Udine GIORNATE FAI DI PRIMAVERA 2018 PALAZZO CAISELLI

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Udine GIORNATE FAI DI PRIMAVERA 2018 PALAZZO CAISELLI 1 Provincia di Udine Liceo Classico “J. Stellini” – Udine GIORNATE FAI DI PRIMAVERA 2018 PALAZZO CAISELLI ora sede del Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale (Dium) dell’Università di Udine CON LA SUA RACCOLTA D’ARTE CONTEMPORANEA Le notizie sono state raccolte, assemblate e stese dalla prof.ssa Francesca Venuto, referente del progetto “Alla scoperta dei beni culturali della città e del territorio” per il Liceo Classico “J. Stellini” di Udine. 2 Palazzo Caiselli, in Piazza San Cristoforo 3 La storia del palazzo – frutto di un lungo processo costruttivo - ha inizio alla metà del Seicento, quando Leonardo e Pietro Caiselli, facoltosi fratelli bergamaschi da poco stabilitisi a Udine per commerciare tessuti serici, acquistarono una casa con facciata su via Palladio e poi alcune case tra la chiesa di S. Cristoforo e l’androna (vicolo) dei Florio. La trattativa, lunga e difficile, dell’acquisto di tutta una serie di casupole preesistenti) in San Cristoforo (la più importante delle quali un tempo appartenuta ai conti di Strassoldo) si concluse nel 1657, quando fu stilato l’atto di vendita. In breve tempo i due Caiselli erano riusciti a procurarsi tutto l’isolato. NEL DETTAGLIO: Le trattative ebbero formalmente inizio il 2 marzo 1655, con un’impegnativa di vendita a favore dei Caiselli da parte del conte Lucrezio di Strassoldo, appartenente a una delle più antiche famiglie del Friuli. Il 9 aprile dello stesso anno i periti Antonio Contrino (per la parte Strassoldo) e Agostino Nepoti (per la parte Caiselli) redigevano una stima per la “casa in Borgo San Cristoforo” e per “alcune casette ivi contigue”. Tale stima - che costituisce di fatto il documento più prezioso per rintracciare la conformazione del nucleo più antico del palazzo - non soddisfece le parti determinando lo scioglimento temporaneo dell’impegno sottoscritto. La trattativa venne tuttavia ripresa e, l'11dicembre 1656, “le parti divennero ad accordo per tutto il contenuto nella stima in prezo di ducati cinquemilletrecento”. Il 25 aprile 1657 veniva finalmente firmato l’atto di vendita. Sulla base della stima del ‘55 si é potuto accertare che le case acquistate - indicate come “casa in borgo San Cristoforo” e “casa del Fornaro” quelle su via Palladio, “stanza appresso alla casa del Fornaro” e “casa in Androna Florio” quelle sul vicolo Florio (anticamente “Androna Florio”), “casa sovra l’Androna San Cristoforo” quella sul vicolo Caiselli (anticamente “Androna sora Santo Cristoful”) e infine “casa sulla corte” quella prospiciente il lato occidentale del cortile interno – corrispondono planimetricamente all’attuale parte monumentale del palazzo, cioé a quella che si sviluppa intorno al cortile d’onore. Si può dunque rilevare come il complesso appena acquistato, anche se formato da edifici disomogenei fra loro, fosse già di dimensioni tali da accogliere comodamente la famiglia Caiselli che, fin da allora, abita infatti le case su via Palladio. Per giungere a uniformare le proprietà alle dimensioni dell’intera area compresa fra i due vicoli e consentire finalmente la possibilità di affrontare un progetto generale di sistemazione, occorreva tuttavia procedere ad altri due acquisti: quello della «casa Simeonio», posta sull'angolo fra la piazzetta San Cristoforo e i1 vicolo Caiselli, cosi da poter realizzare una facciata unitaria su via Palladio, e quello di una casa sul vicolo Florio, inserita fra la «casa in Androna Florio» e la «casa sulla corte». I Caiselli, che ormai avevano salito gli ultimi gradini per raggiungere la vetta della società udinese, non mancarono tale obiettivo: nel corso del 1658 venne fatta stimare e poi fu acquistata acquistata «una casa di raggione del signor Giacomo Simeonio” e, il 2 gennaio di quattro anni dopo, il conte Sebastiano Florio anni dopo, il conte Sebastiano Florio prima cedette loro una casa che si affacciava “sull’Androna detta dei Florij”, poi, il 30 dello stesso mese, altre “due stanze et solaro” sempre sullo stesso vicolo. I1 nucleo principale di quello che stava per divenire il palazzo cittadino della famiglia poteva ormai dirsi formato, ma i Caiselli, nel corso dello stesso anno o poco dopo, decisero di ampliare ulteriormente la loro proprietà, acquistando un’altra area confinante con le loro case sul lato occidentale, costituita da orti e piccole "casupole, che apparteneva anch’essa ai Florio. A questo punto i loro immobili occupavano gran parte dell’isolato. Si rendeva ora necessario avviare una generale opera di ripristino e ammodernamento delle case, di cui solo quella prospiciente la piazza, dove essi abitavano, appariva degna di una residenza patrizia. 4 Primo loro pensiero fu quello di rendere più accogliente l’abitazione: affidarono il progetto di ammodernamento al “muraro” Giovanni Battista Stella, che lavorò per loro a lungo, cui forse si deve la 1^ strutturazione del palazzo. Non si capisce se tali opere si basassero su un progetto – di cui resterebbe ignoto l’autore – o se venissero via via programmate e realizzate direttamente dal citato personaggio. L’intervento dello Stella, tuttavia, riguardò soprattutto lavori di trasformazione interna (chiusure di vani, apertura di porte, intonacature, solai, soffittature), per uniformare e rendere funzionali i diversi edifici a beneficio della nobile famiglia e della sua servitù. Questi lavori – che interessarono parti diverse della fabbrica - sono testimoniati dalle fonti documentarie, ma a livello edilizio sono difficilmente riconoscibili a motivo delle successive trasformazioni. Tuttavia sembra di poterne scorgere qualche indizio nell’ala sud del palazzo, quella prospiciente vicolo Caiselli. LA FAMIGLIA CAISELLI – successi commerciali e realizzazioni fondiarie (da M. Ronga) I Caiselli si trasferirono da Caprino nel bergamasco in Friuli all’inizio del XVII secolo, per seguire in loco e ampliare gli interessi commerciali che la famiglia già possedeva in questa regione. Il trasferimento avviene proprio negli anni della crisi 1619-22, quando si sentì il bisogno di dividere l’attività tra i vari componenti maschi della famiglia e cogliere le opportunità che si offrivano in una terra arretrata e nuova per loro, che ancora non conosceva una vera concorrenza commerciale e che costituiva una scommessa per chi fosse in grado di tentare la fortuna. Il Friuli era una terra di confine, caratterizzata da una società ancora ampiamente feudale. I C. avevano diversificato i loro investimenti; erano a capo di una vasta rete commerciale che spaziava dall’ambito strettamente regionale (centro-nord della penisola ma anche al sud) a quello internazionale (terre austriache); compravano e vendevano merci, ma erano anche imprenditori in Carnia. Cercavano l’affare: in Carnia (creando le condizioni per avviare qui una forma di proto- industrializzazione; la manodopera locale si prestava facilmente a un tipo di lavoro artigianale che la occupasse nei periodi morti dell’agricoltura e le permettesse un’esistenza migliore) e in Austria si procuravano le materie prime e i semilavorati che rivendevano e scambiavano nel resto della penisola italiana con tessuti destinati sia al mercato friulano, sia ad essere esportati al nord e a loro volta scambiati con ferramenta (lo scambio permetteva di eludere i problemi creati dalla costante mancanza di denaro contante ed anche dalla differenza fra le diverse monete circolanti nella penisola). Si proposero quindi come mediatori fra il mondo della produzione e quello della vendita, come intermediari di vari tipi di merce (falci, 5 berretti, tessuti), inoltre puntarono sul commercio di un tipo di merce alternativa rispetto alla produzione industriale della Dominante. Difficilmente trattavano merce di lusso (pregiate sete o lane o vetri, i prodotti che rendevano Venezia famosa in tutta Europa). Cercarono dunque di tenersi a debita distanza dalla capitale per far sì che i loro affari continuassero a prosperare, con un tipo di commercio che si sviluppasse ai margini dell’attività manifatturiera ed industriale veneziana, che esercitava un rigido monopolio, salvaguardato da tutto un complesso sistema di regolamentazione da parte dello Stato, con cui si cercava di mantenere il gettito interno e l’alta qualità delle merci veneziane. I C. cercarono di privilegiare nelle loro scelte un’ampia varietà di prodotti per soddisfare una maggiore quantità di clienti e tutto avveniva tramite lo scambio nelle compravendite, a causa della mancanza di denaro contante e per la difficoltà dei vari cambi valutari; inoltre si appoggiarono sul porto di Trieste a scapito di quello veneziano e delle sue restrizioni. A partire dal 1620 iniziarono a investire in beni immobili, trasformandosi da mercanti in proprietari terrieri, preferendo ai rischi del commercio (a seguito di: chiusura mercati internazionali, accresciuta concorrenza delle manifatture estere, fuga dei capitali urbani verso le campagne) la sicurezza degli investimenti immobili. La tendenza generale del periodo investe tutta l’aristocrazia e coloro che aspiravano a farne parte, come i C., che – in una società che riconosceva una condizione aristocratica al proprietario di terre - volevano entrare a pieno diritto nelle ristrette file nobiliari. La conversione alla terra fu una calcolata operazione finanziaria verso la diversificazione dei capitali e un sistema sicuro per mettere in salvo capitali mobili. Così acquistarono il titolo comitale di Reana e poi quello di Ribis verso la metà del ‘600, nel 1676 entrarono nel consiglio nobile della città e negli anni successivi vari membri della famiglia assunsero diverse cariche
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