“Un Momento Più Felice Del Presente”
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Corso di Laurea Magistrale in Storia Delle Arti e Conservazione Dei Beni Artistici Tesi di Laurea “Un momento più felice del presente” Le mostre collettive annuali dell'Opera Bevilacqua La Masa dal 1958 al 1967 Relatrice Prof.ssa Stefania Portinari Correlatore Prof. Nico Stringa Laureando Giulio Mariotti Matricola 986340 Anno Accademico 2011 / 2012 1 “Smettiamo di pensare di dover assister l’arte, è l’arte che assiste noi, purchè si abbia la mentalità di chi investe sul lungo termine” Angela Vettese, Storia di un testamento tradito, in Felicita Bevilacqua La Masa. Una donna, un’istituzione, una città, 2005 2 INDICE Introduzione……………………………………………………………………………………5 1. Dall’Opera alla Fondazione Bevilacqua La Masa: una breve premessa storica……….9 2. Le mostre collettive degli anni Sessanta 1. La 46ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1958……………….…18 2. La 47ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1959……………….…30 3. La 48ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1960………………….45 4. La 49ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1961…………….……57 5. La 50ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1962………………….68 6. La 51ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1963………………….85 7. La 52ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1964……….…………97 8. La 53ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1965………………...113 9. La 54ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1966…………...……131 10. La 55ma mostra collettiva della Bevilacqua La Masa, 1967……………....145 3. Le personalità più influenti: vertici istituzionali, membri delle giurie, critici………163 1. Diego Valeri…………………………………………………………………165 2. Pietro Zampetti………………………………………………………………172 3. Giorgio Trentin……………………………………………………..………..180 4. Renato Borsato………………………………………………………………183 5. Toni Toniato…………………………………………………………………185 6. Silvio Branzi…………………………………………………………………188 7. Paolo Rizzi…………………………………………………………..……….189 4. Gli artisti e le correnti…………………………………………………………..……194 1. La continuità con il passato: il post-espressionismo di Sergio Franzoi e Carmelo Zotti…………..………195 3 2. I paesaggi e le vedute: Liselotte Höhs e Davide Orler………………………200 3. L’astrattismo: Giorgio Teardo e Giorgio Nonveiller……………..……….…203 4. Le influenze pop: Fabrizio Plessi, Vincenzo Eulisse e Paolo Giordani….….206 5. L’incisione: Mario Guadagnino e Andrea Pagnacco………………….……..214 6. La scultura: Gianfranco Tramontin………………………………….………218 7. Le nuove tendenze: Franco Costalonga e Raoul Schultz……………………221 5. Gli sviluppi delle proteste fino all’approvazione del nuovo statuto…………………228 Conclusioni……………………………………………………………………….…………230 Bibliografia………………………………………………………………….………………237 4 INTRODUZIONE La fine degli anni cinquanta vide sgretolarsi alcune delle certezze dell’arte date per scontate fino a quel momento. La considerazione dell’artista come genio creatore dell’opera e il concetto dell’unicità di quest’ultima, centrali nella poetica informale che aveva dominato il decennio, iniziarono a vacillare: nel 1958 nacquero il Gruppo Zero a Dusseldorf e l’Equipe ’57 in Spagna, gruppi di matrice ottica e neo-dada che sondavano le possibilità analitiche e scientifiche dell’arte; nel 1959 iniziarono le ricerche in ambito cinetico del Gruppo T di Milano e del Gruppo Ennea di Padova, che esploravano la dimensione dinamica e programmata dell’arte opponendo al caos dell’informale il rigore delle geometrie costruttiviste, costruendo opere riproducibili secondo procedimenti industriali e azzerandone di fatto l’aura conferita dall’unicità; cercavano inoltre un’interazione diretta con lo spettatore che veniva così ad assumere un ruolo attivo nella percezione e nella creazione stessa dell’opera. Nel 1959 Pinot Gallizio espose alla Galleria Drouin di Parigi la Caverna dell’Antimateria – riproposta nel 1960 alla mostra “Dalla natura all’arte” al Centro Internazionale per le Arti di Palazzo Grassi, Venezia – un’opera composta da sette tele di pittura astratto-gestuale che creavano un ambiente in cui i visitatori potevano entrare per contemplare il disordine primordiale e cosmico: l’informale stava cedendo il posto all’installazione ambientale. La pittura del resto era stata messa in discussione già all’inizio degli anni cinquanta da Lucio Fontana, che perforando e squarciando le tele ne aveva oltrepassato la bidimensionalità e aveva aperto nuovi varchi. Gli anni cinquanta videro inoltre iniziare quel processo di dematerializzazione dell’arte che fece gridare molti allo scandalo, e che culminò nel 1958 nella mostra “Le Vide” (“Il Vuoto”), in cui Yves Klein sgomberò tutti gli arredi della Galleria Iris Clert di Parigi e ne ripitturò le pareti di bianco. Due anni dopo, Giulio Paolini realizzò Disegno geometrico, una tela bianca su cui erano tracciate solamente le linee mediane e diagonali: il supporto cessava di essere tale e assumeva la dignità di opera affermando la sua esistenza, in un’analisi dell’arte sull’arte che a metà degli anni sessanta sarebbe diventata uno dei temi principali dell’arte concettuale; la squadratura inoltre non si poneva come soggetto dell’opera o veicolo di senso, ma come struttura preparatoria e necessaria alla pittura di qualunque quadro, che evocava tutti quelli del passato in un processo di sottrazione estrema che li riduceva all’essenziale e che racchiudeva l’intera storia dell’arte in una tela. In questo contesto, è comprensibile la preoccupazione di quanti temevano la “fine” o “morte” dell’arte, intesa ancora in maniera ottocentesca come oggetto unico ed irripetibile che esprimeva i sentimenti dell’artista (tra questi Pietro Zampetti, che nel periodo da noi preso in 5 considerazione era direttore dell’Ufficio Belle Arti del Comune di Venezia e fu perciò membro di diritto a tutte le giurie delle collettive della Bevilacqua1): sempre più indistinguibile dalla vita o sempre più caratterizzata da operazioni concettuali, l’arte esplorava territori mai battuti prima che non di rado esulavano dalle sue competenze tradizionali e sollevavano polemiche sui suoi limiti, sulla sua funzione e sulla sua stessa natura. Fortunatamente, altri seppero cogliere la portata di queste proposte: in occasione del IV Corso Internazionale di Alta Cultura organizzato dalla Fondazione Cini a San Giorgio, nel 1962, il docente di arte medievale dell’Università di Padova Sergio Bettini fece notare come sia globalmente che localmente i fenomeni artistici si stavano ramificando in varie linee di ricerca, e che sull’onda del boom economico le strutture e gli eventi espositivi si stavano moltiplicando, così come si stavano ampliando il mercato e il collezionismo2. Tutta questa serie di fattori lo condusse alla seguente dichiarazione: “L’arte non ha mai conosciuto un momento più felice del presente”3. Il titolo di questa tesi di laurea riprende solo la seconda parte della frase, negandone di fatto il significato complessivo: all’Opera Bevilacqua La Masa infatti la situazione artistica era ben diversa da quella descritta sopra, e nonostante l’ambiente veneziano offrisse una panoramica piuttosto puntuale delle ricerche più aggiornate dell’arte internazionale (soprattutto grazie alle gallerie private, ma anche alla Biennale, al Centro Internazionale per le Arti di Palazzo Grassi e ad altre fondazioni come la Querini Stampalia) le mostre collettive dell’istituzione offrivano uno spaccato decisamente conservatore e pesantemente in ritardo sui movimenti degli anni sessanta. Tuttavia, non si può certo giudicare la Bevilacqua solo dal punto di vista dell’innovazione artistica, considerando anche che non fu fondata per incoraggiare la sperimentazione: l’”avanguardia capesarina” degli anni dieci fu un’esperienza fortunata che poco aveva a che fare con gli scopi originari, se non indirettamente; il lascito di Ca’ Pesaro da parte della duchessa Felicita Bevilacqua La Masa al Comune di Venezia era finalizzato infatti ad ospitare giovani artisti veneziani, soprattutto quelli che non venivano ammessi alle Biennali, all’epoca ingessate dalla guida degli accademici più tradizionalisti4. Se una serie di avversità col Comune stesso impedì il pieno utilizzo del palazzo, l’Opera trovò altri modi per aiutare i giovani artisti, come l’assegnazione di premi in denaro e borse di studio: il periodo 1 Cfr. capitolo 3.2. 2 Cfr. A. Castellani, Venezia 1948-1968. Politiche espositive tra pubblico e privato, CLEUP SC, Padova 2006. 3 S. Bettini, Presenza dell’arte nella cultura contemporanea, in Arte e cultura contemporanee, atti del convegno a cura di P. Nardi (Venezia, Fondazione Giorgio Cini), Quaderni di San Giorgio 23, Firenze 1964, p. 431. 4 Cfr. capitolo 1. 6 da noi preso in considerazione va proprio a concludere la “stagione dei premi” inaugurata nel 1947 dal presidente Diego Valeri e conclusasi nel 1967 per ragioni legate alla crescente contestazione giovanile e studentesca, che polemizzava in modo molto acceso con tali riconoscimenti considerandoli espressione di una concezione borghese e antidemocratica dell’arte. Si è scelto di iniziare la nostra analisi dal 1958 per varie ragioni. Prima di tutto, fu l’anno in cui Giorgio Trentin venne chiamato ad affiancare Guido Perocco nel ruolo di segretario della Bevilacqua, subentrandogli poi l’anno dopo: rappresenta quindi in parte un anno di transizione. Nello stesso anno si presentarono però in laguna altre novità di rilievo, che aprirono una nuova stagione e che segnarono l’inizio “effettivo” degli anni sessanta a Venezia: Paolo Marinotti, direttore del Centro Internazionale per le Arti di Palazzo Grassi, decise di rivolgere la sua attenzione all’arte contemporanea, ospitando mostre che sarebbero