(Venezia) FASCICOLI DI STORIA E DI CULTURA
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L’esde FASCICOLI DI STORIA E DI CULTURA COMUNE DI MARTELLAGO (Venezia) Il presente numero dell’Esde è stato curato per il progetto grafico e la revisione testi da Cosimo Moretti Danilo Zanlorenzi Affresco in copertina “S. Antonio Abate e S. Paolo Eremita”Proprietà privata II PRESENTAZIONE VII Prof. Cosimo Moretti Il furto di polli come antagonismo sociale 1 Claudio Zanlorenzi Eugenio Bacchion (1899-1976), storico locale 25 e protagonista della vita veneziana del XX secolo Quirino Bortolato Noale in epoca romana: rivisitazione degli 57 studi condotti da Ezio Buchi sulla lapide di Moniego Valentina Pinto Martellago: un secolo di attività teatrali 75 Nicola Maguolo Maerne nel medioevo: uomini insediamenti 97 e società nel primo Trecento Raffaele Roncato Excursus storico - autobiografico sul modo 125 di coltivare i campi in Martellago dall’inizio degli anni Quaranta ad oggi Otello Bortolato La gravidanza 167 Massimo Rossi I mestieri a Martellago dal 1600 al 1900 187 Quirino Bortolato SOMMARIO III IV La presente pubblicazione è stata resa possibile anche grazie alla sensibilità e al contributo di: V VI COMUNE DI MARTELLAGO PROVINCIA DI VENEZIA ASSESSORATO ALLA CULTURA Giunti ormai alla terza pubblicazione del nostro periodico culturale sulla storia loca- le, la platea dei nostri lettori si è estesa ben oltre il nostro paese e i paesi a noi vicini ed è sensibilmente cresciuta per numero e per qualità. Come pure è cresciuta l’atten- zione anche di ricercatori dei paesi vicini, che apprezzano la validità di uno strumen- to che consente la pubblicazione delle loro ricerche. Non mi soffermo più sull’importanza di approfondire la conoscenza del nostro passa- to, delle nostre origini; desidererei, invece, porre l’attenzione sulle potenzialità che può offrire una pubblicazione a cadenza annuale. Gli Archivi comunali e parrocchiali dei nostri paesi sono ricchi di documentazione, sono una fonte preziosa per la ricerca. Numerosi sono, poi, i cittadini, per lo più anziani, che custodiscono nei loro album o nei loro cassetti foto, stampe, lettere, docu- menti d’ogni genere, che documentano pezzi di storia locale sulla vita familiare, sulle tradizioni, sulla vita civile e religiosa, sullo sviluppo socio-urbanistico del loro paese. Un patrimonio spesso trascurato o quantomeno non sufficientemente valorizzato. Pensiamo agli Archivi comunali non sempre ordinati e spesso ospitati in ambienti insalubri. Le risorse professionali certo non mancano, spesso, però, manca lo spirito collegiale, la motivazione, l’obiettivo comune, una sede fisica, un supporto e un coordinamento che gli Enti Locali potrebbero offrire. La collaborazione fra più Enti Locali nel favo- rire la ricerca, nel motivare i ricercatori, nella messa a disposizione dei propri Archivi, può consentire più opportunità. I giovani laureati o laureandi rappresentano una risorsa per la ricerca su alcune tema- tiche che possano interessare i comuni. Le risorse finanziare da mettere in campo, se suddivise, non sarebbero un grande handicap per i magri bilanci comunali, tanto più che ai progetti di ricerca volentieri concorrono banche e soggetti del mondo dell’eco- nomia. Il fenomeno della globalizzazione investe ormai non solo l’economia ma anche la cul- tura e le culture, la civiltà e le civiltà. Il bisogno di orientamento, di punti di riferi- mento culturali, di una formazione solida e non effimera, di sottrarsi al pullulare quo- tidiano, attraverso i numerosi mezzi di comunicazione, di informazioni frammentarie VII e disinformative, è molto sentito. Il motivo del successo di questo periodico forse sta anche nell’aver colto questa esi- genza. E di tutto questo l’assessorato alla cultura desidera ringraziare tutti coloro che colla- borano nella ricerca sulla storia locale, tutti coloro che finanziariamente hanno dato un contributo per la pubblicazione de “L’Esde, Fascicoli di Studi e di Cultura”, che, lo rammentiamo, è distribuito gratuitamente a tutti i cittadini che amano approfondi- re pezzi di storia vissuta. prof. Cosimo Moretti assessore alla cultura pubblica istruzione VIII Il furto di polli come antagonismo sociale di Claudio Zanlorenzi 2 Una pratica diffusa La notte tra il 20 e il 21 febbraio del 1869 ignoti ladri si introducevano nella casa di un certo Angelo Baldan detto Manarin. Abitava sulla strada che da Mirano con- duce alla frazione di Scaltenigo. Aperta una porta, chiusa con un catenaccio senza chiave, rubarono cinque pollastri, tre con piume nere e due con piume rosse. Il valore complessivo della refurtiva era di 6.25 lire. La sera stessa, cento metri più avanti, nella casa di Tommaso Lamon detto Piè i soliti ignoti aprirono il pollaio chiuso con un catenaccio e rubarono due galline del valore di 2.50 lire. L’arma dei carabinieri “tosto si portava in sopralluogo per le opportune investigazioni”. Denuncie come questa si chiudevano poi con altre frasi fatte come: “Le ricerche degli ignoti ladri e il sequestro del pollame rubato fin qui risultò infruttuoso”. L’archivio della delegazione di polizia ne è pieno, anzi, strapieno. Vengono in mente i furti nelle case di oggi. Di solito avvengono di notte, i ladri colpiscono in serie, due, tre, quattro case nella stessa zona e poi spariscono. Così avveniva anche per i furti di polli. Altra caratteristica è l’impunità. Difficilmente i ladri di allora, come i ladri che entrano nelle case di oggi, vengono presi. Comune è il senso di paura e diffidenza che vivono le vittime. Leggendo le denuncie di furto tra le carte della delegazione polizia ne viene fuori un quadro di estrema insicurezza: di gente che non dorme la notte per difendere il pollaio, i salami, le fascine di legna sotto il barco. Oggi ci si affida agli antifurto. Spesso inutilmente. La paura e l’insicurezza modificano modi di pensare, di vive- re, di relazionarsi con gli altri. Allora come oggi c’era chi più di altri chiedeva sicurezza per la proprietà privata. Molto del romanticismo che aleggia attorno ai furti di polli va quindi rivisto. Soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento e ogni volta che la crisi economica gravava sulle campagne chi era alla fame cercava di sopravvivere col furto cam- pestre. Si creava così un clima che faceva sospettare del vicino di casa, del fore- sto, e spesso qualcuno si faceva poi vendetta da sé dando caccia al ladro forca alla mano. L’invenzione del mondo contadino, mitizzato luogo della solidarietà, dello stare in comunione con la natura, si scontra dunque con una realtà che era lotta quotidiana con la miseria materiale e umana. Vediamo nel dettaglio quali erano le caratteristiche di questo tipo di furto, le costanti, le tecniche e come le forze dell’ordine nei comuni del miranese hanno tentato di porvi rimedio nella seconda metà dell’Ottocento. 3 Come si rubavano i polli nella seconda metà dell’Ottocento Lo scrittore Comisso dà una suggestiva descrizione del furto dei polli: “Nella vita di campagna non si riesce mai a svelare il mistero dei ladri di polli. Questi ladri sono sempre minutamente informati dove i contadini tengono i loro polli preziosi, quante sono le porte e di quali specie le serrature da scassinare, oppure se le inferiate sono traballanti e facili da divellere. Ma più ancora sono perfettamente illuminati circa il tempo per compiere con sicurezza l’impresa. Per riuscire bene devono sapere in quali notti e verso quale ora i contadini sono più pesantemente immersi nel sonno. Le notti più propizie sono quelle di aprile, quan- do cominciano i primi lavori di aratura (…) Devono anche sapere quando le notti sono lunghe e oscure di luna. (…) Verso il colmo della notte mi svegliai al rumore come di un tarlo che lavorasse non nel legno, ma nel muro della casa. Intesi piccoli e rapidi colpi come se venis- se battuto uno scalpello per togliere un mattone (…) I ladri accortisi del nostro risveglio si erano dati alla fuga (…) per i ladri di polli l’impresa non era andata bene”. Siamo negli anni Quaranta del Novecento quando Comisso racconta questo episo- dio. La tecnica del furto di polli era sempre quella del “buco”. Si praticava un foro nel muro della stalla o del pollaio per entrarvi o per allungare una mano e aprire il catenaccio che da dentro chiudeva la porta. Naturalmente c’erano anche ricove- ri per il pollame costruiti sugli alberi, sotto il portico, staccati dalla casa e chiusi con semplici recinti di fascine o di canne, nel qual caso per i ladri le cose erano più facili. La collocazione più sicura e più diffusa era un locale, di solito la stalla, vicino alla quale qualcuno ci dormiva. In caso di rumori sospetti poteva interveni- re prontamente. La tecnica del foro su muro diveniva quella più efficace per i ladri. Un esempio dell’attrezzatura usata la troviamo in una denuncia al commissario di Mirano fatta nel febbraio del 1872. Una notte un certo Angelo Calzavara di Gardigiano venne derubato di 14 capi di pollame, tra cui due tacchini, “mediante rottura del muro della stalla del maiale”. Una donna di famiglia si era svegliata per fare i bisogni e sentito dei rumori sospetti lanciò il cane all’inseguimento. Le urla svegliarono il marito e i vicini di casa. Il Calzavara, assieme a un certo Donà detto Stivano, aveva già subito dei furti e aveva osservato che i ladri passavano lungo il fiume Zero, all’altezza del ponte detto “Del Tasca”. Presero le forche e si apposta- rono nei pressi. Dopo più di un’ora arrivarono cinque persone che accortisi dei due si diedero alla fuga lasciando sul posto quattro sacchi e uno scalpello di ferro di un metro. Dentro i sacchi c’erano undici polli mentre due tacchini li trovarono 4 legati e gettati poco lontano dentro un fosso. Era buio e se ne tornarono a casa. Il mattino seguente trovarono il pollo mancante e due tavole di robinia, una di due metri e una di sei metri, oltre a dei bastoni.