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Leggi Il Libro Completo Dossier Craxi Prefazione di Giorgio Galli Kaos edizioni Proprietà letteraria riservata Copyright © 2010 Kaos edizioni Prima edizione giugno 2010 ISBN 978-88-7953-212-9 www.kaosedizioni.com DOSSIER CRAXI Avvertenza – Tutte le persone coinvolte a vario titolo nelle vicende giudi- ziarie menzionate in queste pagine devono ritenersi innocenti, salvo dove è specificata una sentenza di condanna definitiva. PREFAZIONE Il socialista Bettino Craxi è stato uno dei leader politici più impor- tanti della Prima repubblica e di gran lunga il più controverso. Lo fu durante gli anni di esercizio del potere (un quindicennio da segretario del Psi, 1976-1991, di cui un quadriennio come primo ministro, 1983-86), e lo è rimasto anche dopo la mesta conclusione della sua parabola politica. La biografia craxiana prende le mosse dalle vicende del sociali- smo italiano dei primi anni Sessanta, quando il Psi scelse la politi- ca del centro-sinistra, cioè l’alleanza governativa con la Democrazia cristiana. Resosi autonomo dal frontismo col Partito comunista a metà del decennio precedente, il Partito socialista all’inizio degli anni Sessanta tentò una strada audace. Stante l’impossibilità della alternativa di sinistra a causa dell’identità ideologica (asseritamen- te marxista-leninista) e della collocazione internazionale (legame di ferro con l’Urss) del Pci togliattiano, il Psi decise di puntare su un’alleanza di centro-sinistra con la Dc. Il gruppo dirigente sociali- sta (Pietro Nenni, Francesco De Martino, Antonio Giolitti, Giaco- mo Mancini e Riccardo Lombardi) riteneva di poter perseguire una politica moderatamente riformatrice insieme ai settori demo- cristiani progressisti. L’alleanza di centro-sinistra mosse i primi passi nell’agosto del 1960, sulle ceneri del governo Tambroni (nato coi voti determinan- ti del Movimento sociale italiano, e travolto dalle proteste popola- ri), con il III governo Fanfani: un esecutivo sostenuto dal Psi con l’a- stensione, al quale era seguito, nel febbraio 1962, il IV governo Fan- fani. Lo slancio riformatore di questi due governi, contrastati da 7 DOSSIER CRAXI una dura opposizione del Pci, fu molto concreto 1. Ma le elezioni anticipate dell’aprile 1963 non premiarono il centro-sinistra rifor- matore: la Dc perse a destra il 4 per cento dei voti, e arretrò al 38,3 per cento; il Psi perse lo 0,4 per cento e si attestò al 13,8 per cento; invece il Pci che vi si era opposto passò dal 23 al 25,3 per cento. Dunque l’elettorato di sinistra ignorò l’azione riformista dei socia- listi, e premiò la sterile opposizione comunista. Nonostante il deludente responso elettorale, il Psi confermò la scelta politica di alleanza con la Dc, ufficializzata alla fine del 1963 col varo del primo governo organico di centro-sinistra: un quadri- partito Dc-Psi-Psdi-Pri guidato da Aldo Moro, con Pietro Nenni vicepresidente del Consiglio. Le intese programmatiche compren- devano numerose e importanti riforme (della università, urbanisti- ca, sanitaria e amministrativa), ma tutto restò sulla carta: durante il decennio dei vari governi di centro sinistra – guidati da Aldo Moro, Mariano Rumor e Emilio Colombo – lo slancio riformatore dei socialisti venne dapprima frenato quindi bloccato dalla Dc 2. Durante gli anni del centro-sinistra, tra metà anni Sessanta e metà anni Settanta, il Psi subì una profonda mutazione determina- ta da una tacita intesa con la Dc: rinuncia alle riforme, in cambio della promozione sociale della classe dirigente socialista; abbando- no dei propositi riformisti, in cambio della piena gestione del pote- re. Un potere alimentato dalle clientele, e affetto dai primi sintomi della patologia corruttiva. Tutto ciò consolidò l’immagine di un partito che ormai considerava il centro-sinistra non più come mez- zo per le riforme, ma come fine per la spartizione del potere. Infat- ti, il Psi si frammentò in correnti e sottocorrenti così strutturate da rendere problematica la leadership socialista. In sostanza, gli anni del centro-sinistra “democristianizzarono” il Partito socialista. 1 Le principali innovazioni riformiste dei due governi Fanfani di centro- sinistra furono: la nazionalizzazione dell’industria elettrica, la riforma del- la scuola (con l’istituzione della scuola media unica e l’obbligo scolastico a 14 anni), l’aumento del 30 per cento delle pensioni, il contrasto dell’eva- sione fiscale con il varo della cedolare sui titoli azionari, la prassi della pro- grammazione economica concertata con le parti sociali, la riduzione della leva militare a 15 mesi. Lo slancio riformatore si incagliò – per volere del- la Dc – sull’istituzione delle Regioni. 2 Tuttavia non mancò qualche importante episodio riformatore: il varo del- la legislazione detta “Statuto dei lavoratori”, l’istituzione del referendum abrogativo, il varo delle Regioni, la legge sul divorzio, la riforma fiscale, il finanziamento pubblico dei partiti, il nuovo diritto di famiglia. 8 PREFAZIONE E tuttavia neppure il decennio di esercizio del potere (con annes- se clientele e finanziamenti illeciti) modificò la situazione elettora- le del Psi. Alle politiche del giugno 1976 si confermarono il bipar- titismo imperfetto e la stasi socialista: Dc al 38,7 per cento, Pci al 34,4 per cento, e Psi attorno al 10 per cento. Fu proprio questa pro- blematica situazione di stallo, seguita al fallimento della politica riformatrice di centro-sinistra, che propiziò l’avvento di Bettino Craxi alla segreteria del partito. Assessore socialista nella prima giunta di centro-sinistra a Mila- no nel 1960, eletto deputato nel 1968, dal 1970 vice segretario del partito per conto della minoritaria corrente autonomista di Pietro Nenni, Craxi si rivelò ben presto un leader politico tanto capace quanto spregiudicato. Il nuovo segretario socialista collocò il Psi al centro della scena politica italiana con tre mosse: anzitutto lo tra- sformò in un partito monocratico; poi ritornò alla politica di allean- za governativa con la Dc, caratterizzando il Psi in chiave antico- munista; infine indusse la Dc a cedergli la presidenza del Consiglio. Il tutto, con due obiettivi dichiarati: un riequilibrio elettorale del Psi rispetto alla Dc, ma soprattutto al Pci; e una “Grande riforma” istituzionale di tipo presidenzialista. Il bilancio politico del quindicennio craxiano coincide con la fine della Prima repubblica. Il Partito socialista è stato snaturato rispet- to alle sue radici ideali e culturali, e trasformato – in nome di una malintesa “modernità” – in un apparato di potere leaderistico (e ciò spiega anche la repentina fine del partito all’inizio degli anni Novanta). Sotto l’aspetto elettorale, il Psi di Craxi è arrivato come massimo alla modesta soglia del 15 per cento, senza minimamen- te beneficiare del declino e dell’agonia politico-elettorale del Pci. Quanto al nuovo centro-sinistra craxiano (quasi un decennio, com- prensivo di un quadriennio di guida del governo), esso non ha pro- dotto alcuna riforma, né grande né piccola: si è limitato alla gestio- ne del potere (con piglio più o meno “decisionista”), lasciando come eredità un debito pubblico galoppante. Poi nel quindicennio di potere craxiano c’è il problema dei pro- blemi: la cosiddetta “questione morale”. La “questione morale” nella politica italiana è un problema di anti- ca data, che cominciò a investire il Psi negli anni Sessanta 3. Fin dal 3 Personalmente, già nel lontano 1966 sostenevo che «oggi i partiti si finan- ziano attraverso tangenti sulle componenti economiche del potere politico che esercitano». Lo ha ricordato il socialista Massimo Pini nel suo libro biografico Craxi. Una vita, un’era politica (Mondadori 2006). 9 DOSSIER CRAXI primo Dopoguerra la Dc alimentava il proprio potere di governo e sottogoverno con la “economia della corruzione” (il pretesto, sotta- ciuto ma rivendicato, erano i finanziamenti che da Mosca affluiva- no al Pci), e il Psi cominciò a fare altrettanto. La “economia della corruzione” nell’Italia degli anni Sessanta era ancora il fenomeno fisiologico coniato dalla economista Susan Rose-Akerman per indicare un elemento degenerativo presente, in forma più o meno diffusa, in tutte le democrazie rappresentative. Ma nell’Italia degli anni Settanta, e soprattutto Ottanta (il decennio del massimo potere craxiano), quel fenomeno degenerò in patolo- gia. Nella forma fisiologica indicata da Rose-Akerman, la “econo- mia della corruzione” era una semplice degenerazione marginale della democrazia rappresentativa; nella forma patologica italiana diventò invece un vero e proprio sistema. Nella sua forma patologica, la “economia della corruzione” è un fenomeno esiziale per la democrazia rappresentativa, perché mina alla radice lo Stato di diritto: sul versante politico altera la compe- tizione democratica fra i partiti, distorce i rapporti fra i vari poteri istituzionali, vanifica basilari principi costituzionali; sul versante economico sovverte le regole del mercato e la libera concorrenza. Non si tratta più, quindi, di un semplice problema fisiologico con valenze etico-morali: la “economia della corruzione” in forma pato- logica è un vero e proprio fenomeno eversivo. La degenerazione patologica della “economia della corruzione” cominciò negli anni Settanta e culminò negli anni Ottanta, dila- gando in tutti i settori della società e dello Stato, fino a diventare sistema. Un sistema nel quale i partiti di governo – soprattutto la Dc, e con particolare veemenza il Psi – alimentavano la loro attività politica e gli apparati attraverso tangenti e corruttele per centinaia di miliardi di lire (aggiuntivi al finanziamento
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