Il Linguaggio Segreto Di Dante E Dei Fedeli D'amore
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IL LINGUAGGIO SEGRETO DI DANTE E DEI FEDELI D'AMORE VOL. II Luigi Valli VIII. Il dolce stil novo. Saggio di poesie tradotte dal gergo Bel Tappeto alcun celone mise fuor li drappi ROTTI ovra è questa d'uomin docti se nel tempo e luogo non è. F. da Barberino Ecco ora un saggio di poesie del dolce stil novo o di poeti vicini a esso tradotte nel loro significato reale. Ne scelgo alcune tra le più oscure, altre tra le più chiare per mostrare come la differenza tra le une e le altre sia, come ho già detto, questa sola: che nelle poesie chiare il poeta è riuscito a dare anche al suo pensiero esteriore una continuità logica e una certa coerenza e talora una grazia artistica, mentre nelle poesie più oscure non è riuscito a esprimersi con questa logica e con questa grazia. Nelle prime è riuscito a far camminare parallelamente il pensiero segreto e il pensiero apparente, nelle seconde il pensiero apparente è risultato confuso e artefatto o insulso o ha lasciato qualche squarcio di illogicità. E non esito a dire che abbastanza insulso esso risulta in una grandissima parte delle poesie di questi poeti, quantunque quel pubblico che conosce dalle antologie soltanto le poche poesie belle (cioè ben riuscite anche nel senso letterale), possa avere un'impressione del tutto diversa. L'esempio di queste poesie basterà, io credo, a far vedere come si debbano intendere tutte le altre e ad aprire uno spiraglio sopra un mondo che è ancora tutto da esplorare. E come se chi conosce soltanto la Roma che è «sopra terra, discendesse a un tratto e si aggirasse nelle catacombe ove per tanto tempo si è svolta una vita così intensa di mistico fervore. Sono queste le catacombe di una fede che non trionfò, ma che non fu del tutto vana, se prima di dissolversi contribuì a creare la grande arte poetica italiana sboccando nella Divina Commedia. Il lettore nello scorrere queste poesie si domanderà certamente: ma sono dunque tutte in gergo le poesie del dolce stil novo? E quali sono allora, nella letteratura di quel tempo, le vere poesie d'amore? Questi poeti dunque non si saranno mai innamorati? Quanto al fatto che esistano alcune poesie d'amore fuori gergo, rispondo subito che sono uscite da questo gruppo anche alcune poesie in linguaggio aperto ed estraneo alla dottrina iniziatica. Sono, ad esempio, come mi riservo di dimostrare, le poesie con le quali i poeti già iniziati rispondevano al primo sonetto che il poeta diramava per uso tra i «Fedeli d'Amore» al momento della sua iniziazione o del suo passaggio di grado. Così troviamo che quando Dante diresse ai «Fedeli d'Amore» il suo famoso sonetto: A ciascun'alma presa e gentil core, che è il sonetto ove si annunzia il suo arrivo a un grado alto della setta, tutti coloro che risposero, risposero fuori gergo e con scipitaggini molto grossolane. Fra gli altri Dante da Maiano rispose con delle artefatte sconcezze, che non erano davvero da cuore gentile e da alma innamorata e che pure non offesero minimamente Dante, che continuò a carteggiare con lui in versi. Questa usanza derivava probabilmente dal fatto che la poesia del nuovo adepto o del nuovo promosso era mandata anonima e le risposte dovevano perciò essere vaghe e non riferirsi affatto alle verità iniziatiche. Vi sono inoltre altre poesie che si scrivevano veramente per tutti, come le poesie di carattere non amoroso, ma morale o politico e che erano destinate non soltanto ai «Fedeli d'Amore», bensì al pubblico comune. Un chiaro esempio della differenza che esiste tra le poesie in gergo e le altre si ha nelle due canzoni scritte certo quasi contemporaneamente da Cino da Pistoia alla morte di Arrigo VII Imperatore. Quella che comincia: Da poi che la natura ha fine 'mposto è scritta in linguaggio aperto e palese, senza ombra di doppio senso o di sottinteso. Era destinata alla folla. L'altra che comincia: L'altra virtù che si ritrasse al cielo ha un'intonazione diversissima, allusioni velate al regno di Saturno, imprecazioni e tirate contro la «Morte» (Chiesa corrotta) e altri motivi consueti nella poesia d'amore, e l'Amore (che non c'entrerebbe proprio nulla) è due volte ricordato. Questa poesia è scritta invece per la setta e non per caso è indirizzata a Guido Novello, al quale dice che il suo «amore, idol beato» non lo distoglie certo dall'«amore spento», da Arrigo che è morto. Guido Novello, poeta d'amore, era della bella compagnia. Quanto alla domanda: dove sono dunque le poesie d'amore di questi poeti? Rispondo: questi poeti vivendo in ambiente mistico e iniziatico e vagheggiando un'arte che non era niente affatto l'arte per l'arte o l'espressione per l'espressione, usavano fare di tutti i loro sentimenti d'amore, delle emozioni vere che avevano nella loro vita amorosa, materia per esprimere pensieri mistici e iniziatici. La verità dei loro amori di uomini, se dava qualche vero spunto o qualche immagine dei loro versi era filtrata attraverso il simbolismo in modo che quella materia d'amore venisse ad avere un verace intendimento, cioè una significazione di profonda verità, che era verità mistica e iniziatica. A qualcuno di essi era accaduto certo di restare con la lingua tremante avanti a qualche bella donna della quale era innamorato, ma quando metteva questo in versi e raccontava ai «Fedeli d'Amore» di rimanere con la lingua tremante avanti a «Madonna», lo ripensava e lo diceva in modo che quel suo turbamento significasse per lui e per gli altri ascoltatori il suo sgomento avanti all'ineffabilità della verità divina. Chi guardi la Santa Teresa del Bernini in viso, non può non riconoscere in alcuni tratti della sua estasi i segni della voluttà materiale visti sul volto di una modella, ma quei segni sono adoperati lì a esprimere una voluttà spirituale e mistica e sono tradotti in espressione mistica. Questo entra un po' difficilmente nei cervelli nostri, abituati ad apprezzare la teoria dell'arte per l'arte e della lirica pura, ma qui non si tratta di dire se questa maniera di poetare (che la maggior parte delle volte, si deve avere il coraggio di riconoscerlo, riusciva brutta, fredda o insulsa) sia imitabile, si tratta di sapere che cosa quella poesia significava, con quali intenzioni era scritta e basta. Ma con ciò dovremo affermare che questi poeti, capaci di trattare la poesia d'amore e che di regola l'adoperavano come strumento per comunicarsi idee mistiche e settarie, si proibissero in modo assoluto di scrivere qualche volta una ballatella o un madrigale per dire una cosa gentile a una donna vera o per compiacerla o per commuoverla un poco? Questo non si può assolutamente affermare, come non si può disconoscere che vi dovettero essere alcuni i quali, imitando le forme esterne della lirica d'amore e ignorandone il contenuto simbolico, ripetevano con solo senso letterale le formule che per gli iniziati erano simboliche. Sono, come abbiamo visto, coloro dei quali Dante e il Cavalcanti ridevano dicendo che «rimavano stoltamente». Del resto debbo ricordare che a proposito della poesia persiana, indubitabilmente poesia mistica e simbolica, molte volte si presenta il dubbio se un poeta in quel momento scriva d'amore o se simbolizzi, e di tale incertezza è piena tutta la storia della letteratura persiana, la quale però non dubita minimamente dell'esistenza del gergo misticoamoroso. Io sostengo che una corrente di pensieri iniziatici si immise a un certo punto nella poesia d'amore e via via pervase fino al punto che il grande nucleo centrale dei poeti d'amore, quello che visse intorno a Dante, finì con lo scrivere di regola in linguaggio d'amore simbolico con un gergo artefatto, il che spiega le molte incongruenze e oscurità di questa poesia; ma che non sia rimasto nessun residuo di poesia d'amore vera, che cioè il gergo abbia pervaso interamente tutta la lirica, è cosa della quale, anche se fosse vera, non si potrebbe mai avere una prova assoluta. Chi sa e dimostra che a un certo punto della nostra storia i primi liberali costituiti in setta segreta, assunsero la terminologia dei carbonari chiamando carbone le idee che diffondevano, vendite le loro logge, baracche i loro luoghi di riunione, ecc., non può negare che contemporaneamente ci fossero dei carbonari veri che seguitavano a vendere carbone. Ma sarebbe assai sciocco chi oggi, portandomi una ricevuta regolare di carbone venduto in quel tempo effettivamente da altra gente o magari da uno degli stessi carbonari, pretendesse di provarmi con questo che non esisteva una setta segreta chiamata la Carboneria. E ora passiamo all'esame delle poesie e scegliamo naturalmente non i sacchi dove potrebbe esserci eventualmente del carbone vero, ma i sacchi dove è scritto «carbone» e che contengono contrabbando di propaganda o di comunicazioni settarie. 1. La canzone: «Al cor gentil» del Guinizelli Comincerò com'è giusto da quella che si considera come la «magna carta» del dolce stil novo, poesia la fama della quale (grandissima tra i «Fedeli d'Amore») è certo maggiore del valore dei concetti che esprime, se questi si debbano prendere nel senso letterale. Ma questi concetti sono, come vedremo, molto più profondi di quanto non appaiano. Il senso generale della canzone è questo: L'amore della Sapienza santa sorge immediatamente nell'anima quando essa è fatta pura, e non può sorgere se non nell'anima pura. E il concetto ripetutamente espresso dai mistici persiani e da tutti i mistici, che i «puri di cuore» acquistano l'intuizione o la visione della Sapienza o di Dio e che non si può volgersi alla Sapienza vera o a Dio se non si sia puri di cuore.