Discarica Di Celico
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DISCARICA DI CELICO Cronologia di fatti e misfatti A cura del Comitato Ambientale Presilano Dicembre 2018 La storia che stiamo per raccontare ha inizio nel lontano 1995, quando l’amministrazione di Celico decise di individuare un luogo nel quale realizzare una discarica controllata. Il posto che meglio rispondeva a questi requisiti era un bosco in Contrada San Nicola. L’idea era quella di incentivare lo “sviluppo” locale e la “tutela” del territorio attraverso la costruzione e l’apertura di una discarica. A tal fine fu costituita la SOGED, una società pubblico-privata costituita dal Comune di Celico e dagli imprenditori Mirabelli e Gallo. La “prima” discarica, costata 880 milioni di vecchie lire, era pensata per sversare 78.000 metri cubi di rifiuti allo stato tal quale prodotti da quattro comuni presilani consorziati. Già durante la costruzione si presentarono i primi problemi: una frana, che preannunciava la non idoneità del luogo, determinava la modifica in corso d’opera della volumetria. I criteri di costruzione della discarica probabilmente rispondevano a quanto previsto dalle norme dell’epoca, ma negli anni successivi, quei criteri sarebbero stati ritenuti insufficienti a trattenere i veleni prodotti dalla decomposizione dei rifiuti. In ogni caso la discarica fu realizzata. Fu così che, dal 1995 al 23 giugno 2003, un via vai di camion carichi di spazzatura iniziò a sversare in Contrada San Nicola, nei pressi della vigna del padre di Gioacchino da Fiore, non 78.000 metri cubi ma ben 107.000, il 50% in più di quelli inizialmente previsti. “U ciucciu ce care na vota…” - La seconda discarica 12 settembre 1997 – ore 18:30 – sala consiliare Comune di Celico. Mancavano due anni alla data di prevista chiusura della vecchia discarica pubblico-privata. In realtà poi sarebbe stata usata per altri 6 lunghi anni. In consiglio si discuteva del “Piano di indirizzi per la programmazione ambientale”. All’ordine del giorno c’era la programmazione della realizzazione di una nuova discarica. E’ l’amministrazione di Celico che, nel 1997, ha iniziato il percorso autorizzativo che ha portato alla realizzazione e all’utilizzo della nuova discarica, oggi di proprietà del gruppo Vrenna. Ma l’amministrazione di Celico non aveva fatto i conti con il Corpo Forestale dello Stato che riconosceva l’area interessata dalla nuova discarica come sottoposta a vincolo idrogeologico. Inoltre il vasto bosco interessato era sottoposto a tutela paesaggistico-ambientale. La Forestale metteva in guardia inoltre dalle modalità di realizzazione della vecchia discarica che avrebbe potuto costituire un corpo di diga con conseguenze devastanti per il territorio a valle. La Regione Calabria pertanto, supportata dal parere negativo del Corpo Forestale dello stato, negava il rilascio dell’autorizzazione. Di notevole interesse sono le parole usate nel dispositivo emesso dalla regione Calabria per negare il rilascio dell’autorizzazione: “la notevole estensione dell’area da impegnare per l’interramento dei rifiuti allo stato tal quale potrà determinare notevoli effetti negativi nell’ambiente limitrofo”. In altre parole la Regione Calabria riconosceva scrivendolo nero su bianco che la realizzazione di una nuova discarica in contrada San Nicola sarebbe stata devastante per l’ambiente circostante. Era il momento per chiudere definitivamente con l’idea di incentrare lo sviluppo del territorio sulle discariche. Il territorio di Celico era già stato per anni il ricettacolo dei rifiuti della provincia di Cosenza e la Regione metteva in guardia dall’idea folle di realizzare una nuova discarica. Cosa può aver spinto l’Amministrazione di Celico, nonostante tutto, a ricercare la strada per riuscire a realizzare ad ogni costo la nuova discarica? Business is business - Entra in scena la famiglia Vrenna L’utilizzo della vecchia discarica probabilmente aveva consentito la distribuzione di una tale quantità di denaro da spingere l’amministrazione di Celico a lavorare per convincere la Regione a rilasciare l’autorizzazione. Così viene presentato un nuovo progetto che interessa un’area molto meno vasta di quella prevista nel progetto iniziale. A questo punto la Regione Calabria cede e rilascia l’autorizzazione. Il Corpo Forestale specifica però che, il parere positivo si limita solo ad una minima porzione dell’area interessata dal primo progetto e che “la nuova proposta progettuale avanzata deve intendersi come l’unica ammissibile”. In altre parole Forestale e Regione dicono: “abbiamo provato a mettervi in guardia ma se non siete interessati voi a tutelare il vostro territorio noi non possiamo fare le barricate quindi fate pure purché non esagerate”. Così nel dicembre 1998 il Commissario per l’emergenza rifiuti, Pietro Fuda, approva il progetto di realizzazione della discarica. Trascorrono un paio di anni e il 2 Agosto 2001 il 50% della MIGA passa dalle famiglie Mirabelli e Gallo alla società Salvaguardia Ambientale di Raffaele Vrenna. Il Ras della spazzatura calabrese entra a far parte del consiglio di amministrazione della MiGa. Ma chi sono “i Vrenna”? Il Procuratore Vincenzo Antonio Lombardo definisce pubblicamente Raffaele Vrenna “un imprenditore border-line” ossia: “quell’imprenditore che sta per un verso sul crinale della criminalità organizzata, per un altro verso sul crinale di un’impresa che opera legittimamente e correttamente e che entra in contatto con tutte le istituzioni pubbliche che servono per avere autorizzazioni, che servono per avere finanziamenti”. Secondo i magistrati dell’antimafia di Catanzaro i fratelli Vrenna: “sono imprenditori attigui al fenomeno mafioso, per essersi sin dalla genesi della loro attività, accordati con le consorterie criminali e segnatamente con quella denominata Vrenna-Corigliano-Bonaventura“. Secondo i magistrati i Vrenna avrebbero garantito posti di lavoro in cambio di “sicurezza”, alla quale avrebbe dovuto pensarci Luigi Bonaventura nipote del boss Pino Vrenna e ora collaboratore di giustizia. Già nel 2006 l’imprenditore Raffaele Vrenna era stato accusato di concorso esterno in associazione mafiosa, condannato in primo grado e poi assolto. A seguito dell’operazione “Puma”, la Dda di Catanzaro gli ha contestato reati come concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione aggravata dal metodo mafioso, falso e corruzione per la costruzione di alcuni villaggi turistici (in particolare quello di Praialonga) controllati da alcune organizzazioni mafiose. Al processo con rito abbreviato, è stato condannato in primo grado a quattro anni per concorso esterno in associazione mafiosa. L’imprenditore non ha più i requisiti per ottenere la certificazione antimafia. Vrenna cede tutte le quote societarie in suo possesso. E crea un trust che amministri il patrimonio in maniera separata. Qui la faccenda si fa più intricata: perché come amministratore del trust viene scelto l’allora Procuratore della Repubblica di Crotone, Franco Tricoli (che sarebbe andato in pensione quattro giorni più tardi). La cui segretaria, Patrizia Comito, è moglie di Raffaele Vrenna. Al momento in cui si scrive anche per questa ultima vicenda si è in attesa di giudizio. In merito al processo succitato, l’assoluzione definitiva per Vrenna arriverà, ma, alla fine di un lungo iter. Nel primo processo d’appello, Vrenna viene prosciolto dall’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa, ma gli restano 1 anno e 8 mesi per falso e corruzione. Nel secondo processo d’appello arriva la prescrizione, quindi l’annullamento in Cassazione perché il fatto non sussiste. «Esistono certamente rapporti di frequentazione e di interesse tra Vrenna Raffaele, suo fratello e i componenti della cosca sopracitata (ovvero i Maesano, ndr)», scrivono però i giudici della Corte d’Appello di Catanzaro (http://www.linkiesta.it/it/article/2016/05/04/a-crotone-funziona-solo-il- pallone/30213/). Oggi i magistrati della DDA trovano proprio nella sentenza di assoluzione succitata le ragioni per portare ad una nuova richiesta di misure cautelari. Quindi attualmente Vrenna è atteso davanti alla Corte d’Appello di Catanzaro, che dovrà decidere presto sul sequestro dei suoi beni, compreso il Crotone calcio. Il Tribunale di Crotone in prima istanza ha respinto l’applicazione dalla misura. Ma secondo i magistrati, Raffele Vrenna e suo fratello Giovanni devono la propria ascesa imprenditoriale alle cosche di ‘ndrangheta locali. Le accuse si fondano anche sulle parole del pentito Luigi Bonaventura, che dice «di essere stato assunto dalle aziende dei Vrenna e, dopo essere stato licenziato, di aver percepito dazioni di danaro in nero». Secondo i PM, Vrenna, appoggiato dalla cosca, sarebbe stato «capace di sbaragliare la concorrenza nel crotonese e godere di protezione nei confronti delle altre ‘ndrine».Da questo rapporto deriverebbe il successo imprenditoriale di Vrenna, diventato negli anni uno dei maggiori costruttori della città e soprattutto il re dello smaltimento dei rifiuti di Crotone. Nel 2016 la giornalista Maria Teresa Improta, attenta cronista delle vicende della discarica di Celico, è stata querelata dal RAS dei rifiuti per aver pubblicato stralci delle sentenze relative a Raffaele Vrenna e le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia. Il CAP rimarrà al fianco della coraggiosa giornalista fino al termine della vicenda giudiziaria. La regione Calabria non è ancora collaborativa ma gli amministratori di Celico non si scoraggiano: “la discarica sa ‘dda fa”. Il 24 settembre 2001 è accaduto un fatto inatteso. La Regione Calabria infatti revoca l’autorizzazione per realizzare e per utilizzare la nuova