SCUOLA SUPERIORE PER MEDIATORI LINGUISTICI (Decreto Ministero dell’Università 31/07/2003)

Via P. S. Mancini, 2 – 00196 - Roma

TESI DI DIPLOMA DI MEDIATORE LINGUISTICO

(Curriculum Interprete e Traduttore)

Equipollente ai Diplomi di Laurea rilasciati dalle Università al termine dei Corsi afferenti alla classe delle

LAUREE UNIVERSITARIE IN SCIENZE DELLA MEDIAZIONE LINGUISTICA

Il linguaggio gergale e il dialetto in ambito letterario e cinematografico

RELATORI: CORRELATORI:

Prof.ssa Adriana Bisirri Prof.ssa Claudia Piemonte Prof.ssa Maria Nocito Prof.ssa M. F. Vaneecke

CANDIDATA:

Francesca Nìcoli 2349 ANNO ACCADEMICO 2017/2018

Sommario

Introduzione ...... VI I.Il linguaggio gergale ...... 1 I.1. Il gruppo ...... 1 I.2. Lo scopo ...... 2 I.3. Etimologia e denominazioni ...... 3 I.4. I gerganti nella storia ...... 3 I.5. Gerghi e mestieri ...... 4 I.6. Le caratteristiche ...... 5 I.6.a. Il disfemismo ...... 6 II.Il gergo nella letteratura ...... 11 II.1. Cecco Angiolieri ...... 11 II.2. Luigi Pulci ...... 12 II.3. Cletto Arrighi ...... 14 II.4. Carlo Emilio Gadda ...... 15 II.5. Pierpaolo Pasolini ...... 16 II.6. Altri autori ...... 17 III.Il gergo nel cinema ...... 20 III.1. L’odore della notte ...... 21 III.2. Scialla (stai sereno) ...... 22 III.3. Altri film ...... 25 IV. Il dialetto ...... 26 VI.1 Il dialetto nei giovani ...... 31 VI.2. Latinorum e cultismi nel dialetto ...... 34 VI.3. La situazione linguistica italiana odierna ...... 36 VI.3.a. Geosinonimi e geoomonimi ...... 38

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VII. Caratteristiche ...... 46 VII.1 Dialetti settentrionali ...... 46 VII.1.a Dialetti gallo-italici : ...... 46 VII.2 Dialetto toscano ...... 47 VII.4.a. Trilussa ...... 48 VII.4.b. Pierpaolo Pasolini ...... 52 VIII. Il dialetto nel cinema ...... 63 VIII.1. Ladri di biciclette: ...... 63 Conclusione ...... 67 Introduction ...... I I. Uses and functions of slang ...... 1 I.1 The group ...... 2 I.2 The aim ...... 2 II. Characteristics of slang ...... 4 II.1. Dysphemisms and euphemisms...... 6 III. Slang in literature ...... 8 III.1. Thomas Harman ...... 8 III.2. Thomas D’Urfey ...... 9 III.3. Henry Fielding ...... 10 III.4. Pierce Egan ...... 11 III.5. Other authors ...... 12 IV. English dialects ...... 15 IV.1. Cockney ...... 16 IV.1.a. The costers ...... 16 IV.2. Use of cockney in movies ...... 17 IV.2.a. “Lock, stock and two smoking barrels” ...... 17 IV.2.b. “My Fair Lady” ...... 18 IV.3. Other dialects ...... 19

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IV.3.a. Yorkshire ...... 19 IV.3.b. East midlands English...... 20 IV.3.c. East Anglian English...... 21 Conclusion ...... 22 Introduction ...... I I. Emplois et fonctions de l’argot ...... III I.1.Le groupe ...... 1 I.2. Le but ...... 1 II. Les caractéristiques de l’argot ...... 3 II.1. Dysphémisme et euphémisme ...... 4 III. L’argot dans la littérature ...... 7 III.1. François Villon ...... 7 III.2. Victor Hugo ...... 8 III.3. Alphonse Boudard ...... 10 IV. Les patois : ...... 11 IV.1. Le patois et les jeunes : ...... 11 IV.2. Le français régional : ...... 12 IV.3. L’influence du français ...... 12 IV.4. Caractéristiques des patois : ...... 13 V. Classification ...... 14 V.1. La langue d’oc : ...... 14 V.1.a. Le gascon ...... 15 V.1.b. L’auvergnat ...... 15 V.1.c. Le provençal (moyen, alpin et oriental) ...... 16 V.2. La langue d’oïl ...... 16 V.2.a. Le normand...... 16 V.2.b. Le picard ...... 17 V.2.c. Le wallon ...... 17

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V.3.Le franco-provençal ...... 18 VI. Les patois dans les films ...... 19 VI.1. Bienvenue chez les ch'tis ...... 19 VII. Les patois dans la littérature ...... 20 VII.1. Hubert Ora ...... 20 VII.2. Guillaume de Berneville ...... 21 Conclusion ...... 22 Ringraziamenti ...... 24 Bibliografia ...... 26 Sitografia ...... 29

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ITALIANO

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Introduzione

Il presente lavoro ha come oggetto l’analisi del linguaggio gergale e dei dialetti all’interno del contesto letterario e cinematografico. In particolare, si pone l’attenzione su queste varietà linguistiche e su come esse siano impiegate nella lingua italiana, inglese e francese. Tra le motivazioni che mi hanno spinto ad analizzare tale argomento c’è l’interesse nei confronti dei procedimenti linguistici e delle peculiarità delle suddette tipologie di linguaggio. Tale interesse è inoltre scaturito dalla volontà di approfondire l’utilizzo di gerghi e dialetti in ambiti quali la letteratura e il cinema che offrono vari spunti di riflessione. L’obiettivo di tale tesi è quello di fornire un’analisi approfondita dell’impiego del linguaggio gergale e dialettale, evidenziandone le principali caratteristiche morfo-sintattiche, lessicali e fonetiche. Il modo di comunicare di una persona caratterizza la propria personalità. Alcune persone tendono ad usare un linguaggio più raffinato e sofisticato, mentre altri impiegano varietà di linguaggio come il gergo e il dialetto. Dunque tendiamo ad usare il termine "gergo" per descrivere parole ed espressioni non appartenenti alla lingua standard (una varietà linguistica con un'ortografia specifica, regole grammaticali fisse e codificata nei dizionari). Spesso ha origine da determinati ambiti come una professione, un gioco o uno sport e così via, dove

VI vengono usate alcune parole specifiche che entrano in seguito nel discorso colloquiale.

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I. Il linguaggio gergale

Il termine “gergo” definisce una varietà della lingua che si discosta da quella standard, dotata di un lessico specifico ed utilizzata da un gruppo ristretto di persone. Esso svolge una duplice funzione in quanto da un lato esclude coloro che non appartengono a quel determinato gruppo (per questo una delle sue caratteristiche principali è l’ermetismo) e dall’altro consolida la coesione interna. Secondo la definizione del dizionario GRANDIT il gergo è un : “Linguaggio fondato su trasformazioni convenzionali delle parole di una lingua o d’uno o più dialetti, con inserzioni di elementi lessicali esotici o di nuovo conio, usato da chi appartiene a determinati gruppi professionali, come ad es. girovaghi, o gruppi sociali, come ad es. sette religiose o politiche, malviventi, carcerati, ecc., allo scopo di garantire l’identità di gruppo e di non farsi intendere da coloro che ne sono estranei.”1

I.1. Il gruppo

Il caposaldo del gergo è il gruppo, senza il quale esso non può esistere. I suoi utenti sono un determinato gruppo di persone unite da un interesse, un’attività, uno stile di vita o una situazione comune e nasce proprio dall’intenzione del gruppo di comunicare ed escludere gli estranei dalla comprensione. Quando la situazione condivisa dai gerganti è temporanea e vi è dunque un continuo

1 Carla Marcato, I gerghi italiani, Il Mulino, Bologna 2013. p. 7

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ricambio di membri all’interno del gruppo, si parla di “gerghi transitori”. I gerganti sono accomunati dalla convivenza momentanea in alcuni ambienti quali il carcere, il collegio, la caserma ecc. In questi casi, il gergo assolve a due funzioni principali : una funzione criptica ed una che tende al consolidamento dell’identità del gruppo come nel caso dei giovani nei confronti degli adulti o dei borghesi per i militari. In quanto si tratta di gerghi impiegati solamente in alcune fasce d’età o durante un periodo in cui vi è un distacco dalla vita abituale, (come nel caso del servizio militare), vengono anche definiti “varietà paragergali”.

I.2. Lo scopo

Per quanto riguarda lo scopo, abbiamo varie interpretazioni. È sempre stata attribuita al linguaggio gergale una funzione criptica, come nel caso dei gruppi legati alla criminalità (mafia, camorra) o alla microcriminalità (tossicodipendenti, scippatori ecc.) i quali si servono del gergo per “escludere” l’estraneo. Tuttavia attraverso ricerche recenti è emerso che sono pochi i casi in cui questa varietà di linguaggio è utilizzata in presenza di estranei, al contrario è adottata dai gerganti al fine di comunicare tra di loro. Questo fenomeno introduce un’altra funzione svolta dal gergo, vale a dire quella identitaria soprattutto nel caso degli adolescenti che avvertono il bisogno di affermare loro stessi, il legame del gruppo e l’estraneità nei confronti di coloro che non ne fanno parte.

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I.3. Etimologia e denominazioni

Il termine “gergo” deriva da “gergone” tratto a sua volta da “jergon” in francese antico che significa “linguaggio degli uccelli” ed allude al “cinguettio” o linguaggio incomprensibile dei falsi mendicanti del XIII secolo. Nel corso del tempo sono stati impiegati anche altri termini quali “furbesco” dall’aggettivo “furbo” e che fa quindi riferimento a colui che sfrutta la sua intelligenza e abilità al fine di ingannare qualcuno ed ottenerne vantaggi. Per questo motivo il termine è associato principalmente ai gerghi della malavita o a gruppi di individui scaltri e malintenzionati. In passato erano ampiamente utilizzate le denominazioni “furfantina” o “furfantesca”. Nelle documentazioni tra il XIV e XVII secolo troviamo anche il termine “calmone” ormai desueto. Nel Cinquecento troviamo invece “amaro” in quanto spesso il gergo veniva considerato come una varietà “amara” o cattiva della lingua.

I.4. I gerganti nella storia

Il gergo ha subito spesso l’influenza dei linguaggi specifici di alcuni mestieri caratterizzati da termini tecnici non noti agli estranei. Inoltre sono stati aggiunti termini che sostituivano le parole d’uso comune. In questo modo la comunicazione era circoscritta ai membri del gruppo che diveniva sempre più unito. Dal tardo medioevo, in Italia si hanno testimonianze del legame tra linguaggio gergale e fenomeno del vagabondaggio. Tale fenomeno

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era largamente diffuso e includeva persone che viaggiavano senza confini, in condizioni di marginalità e che non rispettavano le regole della società ma vi si opponevano. Vi erano mercanti, artigiani, zingari, cantastorie, soldati, mendicanti, venditori ambulanti, giocolieri, disoccupati, pellegrini ecc. Molti di questi mendicanti erano molto abili nell’estorsione di soldi attraverso l’elemosina. I mendicanti infatti si dividevano in compagnie denominate con espressioni o termini appartenenti al linguaggio gergale. Questi richiamano i modi attraverso i quali i mendicanti chiedevano l’elemosina. Ne abbiamo testimonianza grazie alla confessioni di due detenuti a Roma : Pompeo e Girolamo arrestati a San Pietro per aver chiesto l’elemosina in chiesa. Alcuni esempi sono : la “Compagnia delli Sbasiti” i quali si fingevano malati, la “Compagnia delli Pistolfi” dei finti preti, la “Compagnia delli Formigotti” dei finti soldati, la “Compagnia delli Abbici” dei finti non vedenti, la “Compagnia delli Falchi” dei finti storpi, la “Compagnia delli Farfogli” dei finti frati e la “Compagnia delli Incostatori” dei finti pellegrini. Come risulta da altri manoscritti della prima metà del Cinquecento venivano impiegate anche nomenclature particolari per le città (definite “bolle”) quali : “Bolla del Santo” (Roma), “Bolla del fiore” Firenze e “Bolla della lenza” (Venezia).

I.5. Gerghi e mestieri

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Alcuni mestieri implicano necessariamente lo spostamento da un posto all’altro, come nel caso dei venditori ambulanti, in cerca di oggetti da riparare o persone a cui venderli. Tutto ciò si traduce in un distacco dalla propria comunità e una maggiore emarginazione che possono portare alla creazione di un gergo che tenda a sottolineare la coesione del gruppo. Un esempio è costituito dai “caminanti” siciliani (perlopiù ombrellai e arrotini) che partivano in grandi gruppi verso Roma, Napoli e Milano servendosi di un proprio gergo denominato “bbaccagghiu”. Sebbene solitamente siano gli uomini a svolgere questi mestieri e a migrare, le donne di Claut nel Friuli-Venezia Giulia erano solite partire per andare a vendere cucchiai e altri oggetti in legno, impiegando anch’esse un loro gergo specifico denominato “dhérbol”. È bene sottolineare che ovviamente ritroviamo esempi di linguaggio gergale anche in coloro che svolgevano mestieri sedentari.

I.6. Le caratteristiche

La formazione delle parole avviene attraverso il ruolo “parassitario” che il gergo svolge nei confronti di una lingua o di un dialetto, attraverso azioni di rifacimento e mascheramento. Viene definito “parassitario” perché la morfologia, la sintassi e il sistema fonetico che i gerganti utilizzano all’interno del gruppo, sono gli stessi che vengono impiegati anche al di fuori di esso. Si appoggia dunque alla lingua base per creare dei neologismi, dei “doppioni lessicali” frutto dell’inventiva dei gerganti.

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Il lessico gergale è piuttosto limitato in quanto esprime concetti che concernono principalmente la quotidianità al fine di rendere incomprensibile il discorso. I procedimenti attraverso i quali si formano nuovi termini sono molteplici: è possibile modificare la forma e/o il significato dei termini appartenenti alla propria lingua o dialetto. In particolare si ricorre all’impiego di : - Affissi; - Metafore : “neve” (cocaina), “bruna” (notte) , “angelo custode” (poliziotto); - Turpiloquio; - Prestiti da linguaggi settoriali o gerghi : (“collassare” = sentirsi male, dal linguaggio medico), (a gonfie vele e abbordare una ragazza dal gergo dei naviganti), (“canna” dal gergo della tossicodipendenza); - Prestiti da altre lingue (“scialla” da “inshallah” in arabo che significa “se Dio vuole” ovvero un’accettazione del futuro senza preoccupazioni); - Inversioni sillabiche; - Fonemi o sillabe inseriti nelle parole; - Alterazioni semantiche : (“essere bevuto”= essere arrestato); - Scambi di vocali e consonanti; - Troncamenti; - Metatesi; - Aferesi.

I.6.a. Il disfemismo

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Un tratto molto peculiare del linguaggio gergale è la negatività: i gerganti tendono spesso ad utilizzare voci gergali che denotano la realtà in modo negativo e offensivo. Questa tecnica è stata denominata disfemismo : una figura retorica attraverso cui si utilizza un termine spiacevole o offensivo al posto di un altro gradevole o neutrale, senza però mostrarsi ostili. È una figura retorica che viene per questo considerata come il contrario dell’eufemismo. Nel linguaggio gergale tale tecnica peggiorativa viene utilizzata anche allo scopo di screditare qualcuno o qualcosa, di abbassarlo ad un livello bizzarro e ridicolo al fine di far cessare i propri timori relativi a quella determinata cosa o persona. Alcuni esempi sono “canarino” per delatore, “asparagio” per secondino e “scorpione” per giudice istruttore. Troviamo altre particolarità per quanto riguarda la formazione dei pronomi personali in alcuni gerghi come l’aggiunta di terminazioni ai pronomi stessi, ad esempio : “nostriso”=noi o “vostriso”=voi. Esistono inoltre molte parole polisemiche quali “stanziare”, ricorrente in molti linguaggi gergali, per esprimere “essere,stare o avere” o “affinà” che nel gergo della Meta indica qualsiasi tipo di azione o ancora “ghèber” che nel gergo dei pastori di Lamon può significare “andare, venire, scappare, partorire, prendere”. Alcuni gerghi europei infine, sono accomunati da voci gergali quali “artone”=pane (arton in argot) e “ruffo”=fuoco (“rif” in argot e “ruffin” dal cant). Un esempio di gergo che utilizza frequentemente inversioni sillabiche è il parlè in déca di Osco nel Canton Ticino.

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Il procedimento attraverso il quale vengono create nuove parole gergali è il seguente : le consonanti iniziali della parola vengono sostituite da una “l”, alla fine del termine viene aggiunto il suffisso dé, seguito dalle consonanti e vocali iniziali, ad es: “pan”= “landépa”, “tropp” = “lòppdétro” ecc. Un altro gergo un tempo diffuso nel Canton Ticino, è il larpaiudre il quale ricorre all’utilizzo di metatesi come nel caso delle seguenti parole : “dona” = “nado” (donna) e “fradèll” = “dèlfra” (fratello) ecc. Per quanto riguarda le parole dialettali monosillabiche invece, viene aggiunta la vocale finale presente nell’italiano, ma caduta nel dialetto, ad es. “can” = “neca”, “vin” = “novi” ecc. Un altro procedimento molto ricorrente è l’aggiunta di suffissi, attraverso i quali si riesce meglio nell’intento di camuffare una parola. Tra i suffissi più comuni ricordiamo : “oso”, “engo”, “aldo” come in “fangose” (scarpe), “fratengo” (buono), “rufaldo” (ladro) ecc. Al contrario, dei suffissi meno frequenti sono : “arro”, “ógni”, “asso” e “en”. Nella “parlèsia” di Napoli è ampiamente utilizzato proprio il suffisso “èsia” come in “manèsia” (mano). Per quanto riguarda i troncamenti, questi sono solitamente applicati su termini già gergali. Sono particolarmente noti troncamenti quali “pula” per polizia e “caramba” per carabinieri. È molto ricorrente anche l’aggiunta di sillabe in mezzo o alla fine di una parola della lingua, ad es. “pollo” che nel gergo dei camorristi di Napoli diventa “cipolla”. Per quanto concerne la semantica, i linguaggi gergali ricorrono a vari procedimenti quali metafore : serpentina= lingua (per la forma), rastrelliera=denti (per i denti del rastrello) ecc. Altre voci verbali richiamano una caratteristica propria di un determinato

8 oggetto o persona come nel caso de gergo veneto : “faticosa” (scala) o di quello parmigiano: “gustosa” (pipa). Sono molteplici anche gli imperativi o i participi sostantivati : “màstega” (bocca), “tagliante” (sarto) ecc. Vengono inoltre impiegate sineddochi e metonimie quali “spavento” (leone, per lo spavento che causa), “campanaru” (sordo, perché le campane rendono sordi) ecc. Infine sono molto espressive e singolari le perifrasi utilizzate dai vari gerghi come nel caso dell’ergastolo che nel gergo veneto viene indicato con il termine “ciave de ciocolata”. Allude al fatto che la chiave di cioccolato non è in grado di aprire le porte del carcere o come riporta Fantin “esprime esattamente il secondino che si “mangia” le chiavi della cella per quel detenuto condannato all’ergastolo”. Un altro modo attraverso il quale i vari gerghi ampliano il proprio lessico è il ricorso ai prestiti da dialetti, altri gerghi o lingue straniere. Nei gerghi alpini sono presenti tedeschismi quali “schwanz” (nero) e “milik” (latte). Sono di origine zingarica termini quali “gagio” (contadino) e “maróc” (pane). Il termine “gagio” in particolare designa una persona che non è di razza zingara, lo straniero ma anche appunto il contadino o una persona che viene ingannata facilmente. I gerghi nei quali troviamo l’influenza zingarica sono in particolare quelli furbeschi dei girovaghi, dei mercanti di cavalli e dei malavitosi a causa dei contatti con prigioni o fiere. Sebbene i gerganti neghino di avere rapporti diretti con gli zingari, le voci zingariche che incontriamo sono molteplici : è di origine zingarica “lacio” (buono). Per questo motivo nel gergo veronese è stata creata un’esclamazione di gioia : “laci che gusto!”

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mentre “cilacio” o “silacio” vengono impiegati con un’accezione negativa. Di origine slovena sono invece termini come “gori” (brutto/cattivo) da “gorje” (male). Sono diverse anche le voci di origine ebraica dovute a contatti con ebrei nell’ambiente lavorativo o alla presenza di comunità ebraiche in alcune città. Un esempio è “accamà?” (quanto costa?) utilizzato dal gergo dei norcini a Roma che rimanda all’ebraico “kammah” (quanto?). Sono presenti inoltre cultismi provenienti dal latino come “conquìbus” (soldi) da “cumquibus hummis” (con i quali denari) o “collegio” (carcere), “alberto” (uovo) da “albo” (bianco). Il primo lavoro sistematico sul gergo in Italia è quello di Biondelli (1846) . Questi opera una suddivisione in lingue furbesche e lingue di trastullo. Le prime conservano il loro carattere segreto al fine di “sottrarre all’altrui vigilanza più o meno colpevoli disegni”. Le seconde, al contrario, sono quelle impiegate per lo più dai giovani per svago “anziché per fini indiretti o colpevoli”. Inoltre egli nota come i linguaggi furbeschi delle varie nazioni si somiglino tra loro : “Il malandrino italiano chiama ingegnosa la chiave, bruna la notte, travaglioso il carcere, cruda la morte; il Francese appella dardant l’amore, carrante la tavola, filoche la borsa, bouffarde la pipa; l’Inglese chiama blower la pipa, bones i dadi, bishop il vino misto con acqua, glaze la finestra; il Tedesco chiama Langfusz la lepre, Schnee la cera, Rothosen le ciriege e simili2.” Questo secondo Biondelli avviene per la “naturale tendenza dell’uomo a rappresentare gli oggetti per mezzo delle loro proprietà

2 Ivi, p. 82

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più distinte”3. Lo stesso concetto viene ripreso da Ascoli secondo il quale le immagini utilizzate per creare vocaboli gergali sono per lo più le stesse in ogni popolo.

II. Il gergo nella letteratura

Il linguaggio gergale è spesso adottato in molte opere letterarie con fini comici, provocatori, realistici ecc. ma anche in quanto il gergo costituisce un elemento che suscita curiosità letteraria per la sua singolarità e stravaganza. Questa curiosità da parte degli ambienti umanistici deriva anche dall’interesse verso il mondo dei mendicanti e dei vagabondi. Vengono dunque inseriti alcuni singoli vocaboli o frasi ma sono presenti anche componimenti scritti interamente in gergo.

II.1. Cecco Angiolieri

In una delle sue Rime (Da po’ t’è ’n grado, Becchina, ch’i’ muoia), Cecco Angiolieri è uno tra i primi a fare uso di qualche voce gergale come “cosco” (casa) . Il gergo in questo caso è adoperato con intenti polemici, di opposizione e ribellione.

“Mit’e Turella ne farà gran risa, Nell’e Pogges’e tutti que’ del cosco, accetto que’ che fuor nati di Pisa.”

3 Ivi, p.83

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II.2. Luigi Pulci

Anche Luigi Pulci nelle sue lettere a Lorenzo il Magnifico fa ampio utilizzo del linguaggio gergale. In una delle varie lettere egli spiega infatti che stanno arrivando delle ragazze nella città in cui si trova l’autore : “Qui saranno stasera di be’ pesci […]. La carnefice di tonello truccherà di primo lustro alla bolla, che maggio e ‘lla maggese non facessimo scalfa. Ma il medesimo lustro, verso la mornia, ritruccherà e ristanzonerà nel corso di sonello. I pesci di 60 lustri o più nel medesimo corso stanzoneranno, et poi truccheranno all’altro cosco, dove si pettinò quello lustro la brigata sopra la lenza, dove tonello fecie la festa del giro santo.[…] Et uno piattello di porcini si serba questa mornia al pettine a tone, oltre l’altre cose. Il belle incerri il burchio del colore del vitello ch’è nel vangelio, acciò che si trionfi per la polverosa, che n’è divenuto più vago che simone degli spirti […]. Io ho lettere da Bartolomeo, che è libero alla bolla della Santa e truccherà alla bolla del fiore come vorrà monello con l’aiuto d’ercole.” Sono diverse le voci gergali presenti quali : “pesce” (fanciulla) e “maggio” (padrone). Alcuni termini appartengono ad altri dialetti ma con un significato diverso come nel caso di “polverosa” (terra/paese), mentre “mornia” (sera) potrebbe derivare dal francese “morne” ovvero cupo, tetro. La lettera contiene anche le nomenclature gergali per le città come “bolla della Santa” (Roma) e “bolla del fiore” (Firenze). In Morgante, il poema più importante di Luigi Pulci, vengono inseriti personaggi, in particolare dei giganti, che costituiscono una

12 parodia del romanzo cavalleresco. Tra questi il mezzo-gigante Margutte incarna il mondo furfantesco e per questo motivo comunica facendo ampio ricorso al linguaggio gergale. Margutte è un peccatore incallito, i suoi peccati sono fondamentalmente tre : il gioco d’azzardo, la gola e il sesso. Nel XVIII canto le sue conoscenze di termini gergali relativi al gioco d’azzardo o dei ladri sono evidenti:

“Non domandar quel ch’io so far d’un dado, o fiamma o traversin, testa o gattuccia, e lo spuntone, e va’ per parentado, ché tutti siàn d’un pelo e d’una buccia. E forse al camuffar ne incaco o bado o non so far la berta o la bertuccia, o in furba o in calca o in bestrica mi lodo? Io so di questo ogni malizia e frodo.”.

Sono molteplici anche i vocaboli o espressioni gergali relativi alla cucina :

“S’io ti dicessi in che modo io pillotto (ungere l’arrosto) o tu vedessi com’io fo col braccio, tu mi diresti certo ch’io sia ghiotto; o quante parte aver vuole un migliaccio, che non vuole essere arso, ma ben cotto, non molto caldo e non anco di ghiaccio, anzi in quel mezzo, ed unto ma non grasso (pàrti ch’i’ ’l sappi?), e non troppo alto o basso.”

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[…]“Piccolo sia, questo è proverbio antico, e fa’ che non sia povero di panni, però che questo importa ch’io ti dico; non molto cotto, guarda non t’inganni! ché così verdemezzo (cotto al sangue), come un fico par che si strugga quando tu l’assanni; fa’ che sia caldo; e puoi sonar le nacchere (spargere il sale con le dita), poi spezie e melarance e l’altre zacchere.” Non mancano inoltre le voci proverbiali e popolaresche.

II.3. Cletto Arrighi

Anche nel romanzo “La Scapigliatura” di Cletto Arrighi (pseudonimo di Carlo Righetti) compaiono molti termini gergali:

“ – E i compagni non aspettano? - Eh li troverò li apostoli – rispose Lisandro – ci siam dato il santo laggiù, dove ce n’è del buono. - E chi sono? - Chi gli apostoli? - Sì. - Eh, sa bene, i soliti. C’è lo spadon dei dodici… - Paolino? - Sì; poi c’è il Disma e il Michele colle rispettive smilze – e s’accarezzò il mento – poi c’è il Gabiola e due altri del Borgo che lei non conosce.”

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I gergalismi sono stati in seguito chiariti : “apostel” (compagno), “dà elsant” (avvisare), “Spadon di dodes” (San Paolo), “smilza” (amante).

II.4. Carlo Emilio Gadda

Nella letteratura contemporanea è molto frequente l’impiego di voci ed espressioni verbali come nel romanzo di Carlo Emilio Gadda “Quer pasticciaccio brutto de via Merulana”. L’autore adotta un linguaggio molto diversificato : registri di provenienze diverse, stranieri, dialettali, colloquiali o tecnici ma anche toni comici, tragici, aulici e triviali. “Nelle stesse ore del mattino di quello stesso giorno, mercoledì 23 marzo, risultate vane le ricerche dell’Enea Metalli detto Iginio al Torraccio, dove abitava, allorché vi abitava, il maresciallo Santarella cavalier Fabrizio era a percorrere sulla sua motocicletta la via provinciale da Marino ad Albano, così stupendamente alberata, o fiancheggiata da alberi, dei giardini e dei parchi di cui si affoltisce la colina. Marzo ne trova ignudi o laceri una parte, gli olmi, i platani, le querci: altri hanno fronda verde a San Biagio, a San Lucio: i pini italici, i lecci, l’amistà serena e pressoché domestica, in villa, del lauro, di cui altrove è redimito l’accademico in qualche caso il poeta”.

“Era una giornata meravigliosa: di quelle così splendidamente romane che perfino uno statale di ottavo grado, ma

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vicino a zompàner settimo, bè, puro quello se sente aricicciassear core un nunsocché, un qualche cosa che rissomija a la felicità”.

II.5. Pierpaolo Pasolini

Nei romanzi di Pierpaolo Pasolini come “Ragazzi di vita” o “Una vita violenta” (ambientati nelle borgate romane) sono ricorrenti parole del gergo della malavita o della plebe romana. L’Autore infatti sceglie di impiegare l’italiano standard per la voce narrante, mentre i dialoghi sono caratterizzati da lessico e gergo appartenenti alle borgate, al fine di sottolineare il degrado di quei luoghi. Sono stati inseriti in vari glossari lessemi gergali quali “allumà” (guardare), “sgamà” (accorgersi), “spesà” (andarsene), “saccoccia” (tasca) e “saganassoni” (schiaffi): “ Allumava le bancarelle dei fruttaroli, e qualche persica e due o tre mele, riuscì a fregarle […] si beccò il pezzo di gruviera e se lo schiaffò in saccoccia. Il padrone lo sgamò. […] uscì fuori dal banco, acchiappò pel colletto della camicia il Riccetto che se la squagliava facendo il tonto, e con aria paragula, sentendosi in pieno diritto di farlo, gli ammollò due sganassoni. […] Ma però, da fusto e da dritto come si sentiva, potè permettersi di calmarsi subito […] Damme er formaggio mio , e spesa, fece già quasi conciliante il formaggiaro”.

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II.6. Altri autori

Nel Canzoniere dello Squarzola o Strazzola (pseudonimo di Andrea Michieli), poeta furbesco del secondo Quattrocento, incontriamo diverse voci gergali, particolarmente nel suo componimento “Contra certi plebani che sotto specie di benedir la Epifania le case per la verola, robano le cose”:

“Bisto, che vieni a benedirmi il cosco, a ciò ch'entro non vi entri la verola, vorei ch'ai loco ove porti la , avesti un carco di soma di bosco. Questo, perché chiaramente cognosco, che in voi non regna questa voglia sola di benedir Varton, la niezzarola, ma per carpirme qualche cosa al fosco; e se la landra vi andasse alla cera taiarli il tappo dinanzi o da dietro non guardaresti che non fusse sera. Sì che intendete ogni mio canto e metro, come non voglio in alcuna manera, che in casa mia entri vostro scetro, se ben fusti san Pietro non che plebano della mia centrata; ch'io non me fido in testa chierecata.”

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I gergalismi sono “bisto” (prete), “cosco” (casa), “arton” (pane), “landra” (donna meretrice), “sonza de bosco” (legnate), “cera” (mano), “tappo” (mantello/vestito). Anche nei vari sonetti scambiati tra l’umanista Felice Feliciano e Gian Francesco Soardi incontriamo alcuni termini cosiddetti “calmoneschi” quali : “verbare” (parlare), “catallo” (maestro), “merzocirengo” (frumento rustico), “ luscar” (guardare), “pelosa” (anima). L’argomento è stato approfondito anche con “Nuovo modo de intendere la Lingua Zerga”, scritto probabilmente dal letterato Antonio Bracardo. Si tratta di un glossario che riunisce alcune parole gergali appartenenti, da quanto si nota, per lo più all’ambiente accademico : “falcon de draghetti” (bidello), “dragon de farda” (dottore di medicina), “dragon del re di Persia” (dottore di filosofia). Inoltre la presenza del gergo nella letteratura si deve anche all’interesse per gli ambienti emarginati e malavitosi, nei quali questo viene utilizzato come principale via di comunicazione. Nei romanzi sociali di Francesco Mastriani, medico e scrittore napoletano, sono presenti descrizioni di quartieri malfamati napoletani, del sottoproletariato urbano ecc. con l’uso di molti lessemi ed espressioni gergali. In “I misteri di Napoli” troviamo “paranza”, “camorra” “picciotto di sgarro”, “tofa” (arma da fuoco) ma anche espressioni che risultano più difficili alla comprensione :

“I due che si erano gittati nel macchione ne risbucarono al risentire la voce del compare.

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- Neh, Tellecariello, è lontano il gatto (l’ispettore)?- domandò quegli che portava il fagotto. - Scalciamo presto, canucciacci –disse Tommaso- e tirate mogi per la vostra via senza dar sospetto […] Sembrò che questa proposta non andasse molto a genio di quei due “gentiluomini”, che, datosi avviso per cenni, si accordarono a non fare il piacimento del camorrista […] – Col tuo permesso, Masto, avrò i due pezzi, e vedrò lo sbruffo (l’oggetto rubato).”

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III. Il gergo nel cinema

Da tempo anche il cinema non è più vincolato all’italiano letterario o scolastico ed il gergo è ampiamente utilizzato. Il linguaggio adottato in film, serie tv ecc. è molto vario : sono presenti registri aulici, colloquiali, dialetti, gerghi ecc. Nel suo saggio del 1947 Alberto Menarini spiega l’evoluzione e l’entrata di questo tipo di linguaggio nell’ambiente cinematografico:

“Il cinematografo, che col suo parlato entra nel dominio letterario quasi alla stessa stregua del teatro, aveva finora rispecchiato le condizioni generali della nostra letteratura, tanto che fino a pochi anni fa era difficilissimo sentire un divo italiano abbassarsi a pronunziare una parola che non fosse nel Petrocchi, salvo in qualche raro film comico o di ambiente speciale come ad es. in scene dialettali […] Da qualche tempo, invece, gli autori e i registi più progressivi son venuti alla riscossa, dapprima saggiando le reazioni degli spettatori con prudenti tentativi, poi accettando decisamente l’innovazione. […] La ricerca di espressioni popolari, basse o gergali è più che altro dovuta […] all’intento di colorire con qualche pennellata vivace l’ambiente in cui si svolge la scena, di rendere i personaggi più aderenti alla loro parte. Questi sforzi, lodevoli in genere nelle intenzioni ma non sempre approvabili nella misura e nella forma, vengono logicamente intensificati sempre più quando si abbiano film che si svolgono in ambienti nettamente circoscritti, per i quali non sarebbe davvero possibile adottare un

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tipo di parlato contrastante con i presupposti psicologici o professionali dei personaggi; far parlare oggi un ladro o uno straccione come un conferenziere da salotto non sarebbe più possibile. […] stretti rapporti oramai intercorrono tra lingua e cinema, perché se la prima può fornire con adeguati mezzi espressivi degli ottimi elementi per migliorare e completare i pregi del film, il secondo si sdebita col contribuire ad affermare e generalizzare l’uso di questi mezzi mediante la sua capacità diffonditrice”.

III.1. L’odore della notte

L'odore della notte è un film del 1998 diretto da Claudio Caligari. Ambientato a Roma tra il 1979 e il 1983, Remo Guerra è un poliziotto di giorno, che arrotonda facendo il ladro di notte. Egli esprime la sua ribellione nei confronti dello stato che lo paga ma che in realtà non gli fornisce un aiuto concreto. Sono presenti temi quali l’alienazione, la violenza e la lotta tra ricchi e borgatari. Nella maggior parte delle scene del film sono presenti : turpiloquio, romanesco, espressioni gergali quali “movimento” (affare sporco), “spigne er cocco” (mandare avanti i propri affari).

“Lungo : A Ce’, ma ch’hai fatto? Me pari Cristo er giorno prima de Pasqua... Cesare: Avete visto quer frocio de Samanta? Se la trovo l’ammazzo. Lungo : Ehhh, ma chi ammazzi! Vieni co’ nnoi che c’avemo un movimento sicuro.

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Corto: ‘N appartamento ai Parioli, robba de lusso. Lungo :E quanno te ricapita d’entrà co’ ’a chiave. Lungo: Er garzone de ’naferamenta amico mio c’ha avuto er pensiero de fa ’na copia pe’ mmequanno i proprietari j’hanno chiesta pe’ ’a fija. Cesare: Ditelo ar Brutto. […]”

III.2. Scialla (stai sereno)

È un film del 2011 scritto e diretto da Francesco Bruni. Come si evince dal titolo stesso, il linguaggio gergale, in particolar modo quello giovanile, è ampiamente utilizzato. Il termine scialla è un gergalismo attestato anche in alcuni dialetti come espressione di gioia e il significato è il seguente : “Scialla significa : - 1) saluto gergale. Uno entra nel gruppo e alzando la mano dice, scialla. - 2) risposta affermativa X : - Andiamo a berci una birra? Y : - Scialla - 3) aggettivo con significato di tranquillo, positivo, buono, simpatico. Ad es. “stai scialla” (stai morbido, stai sereno, stai tranzo).” O ancora (come messo in evidenza da alcuni commenti provenienti da Roma) : “Modalità di agire/di pensare/ di essere privi di ansie. 1) un modo di fare, es. Per il mio complex faccio un festone sicalla 2) di pensare es. X è un tipo scialla 3) di essere es. Il locale X è scialla.”

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Silverio Novelli ripercorre l’etimologia e le ragioni della scelta di questo titolo per il film di Francesco Bruni : “E se i nostri ragazzi parlassero arabo? È probabile che tra qualche anno nuovi flussi di arabismi scorreranno nell’alveo dell’italiano. Magari non verranno rinverditi i fasti della compenetrazione adstratica medievale tra arabo e italiano neonascente, visto che allora l’arabo era lingua espressione di una grande civiltà espansiva, mentre oggi l’arabo lo portano in Italia persone in fuga, spesso disperate, alla ricerca di un riscatto economico e sociale. Pensiamo ai figli di coloro che sono emigrati dai Paesi arabi. A casa parlano e capiscono la lingua araba. Parlano italiano, frequentano le scuole italiane, dialogano con coetanei italiani. Vuoi che, prima o poi, un qualche arabismo, prima di tutto nel gergo giovanile, non filtri e contribuisca a fare sangue italiano? Qualcuno pensa che sia già successo, pensa che, di questi tempi, all’origine del bonario scialla! (‘[sta’] tranquillo’) , diffuso nel romanesco dei giovani (in origine i più “coattelli”) e, con varie sfumature di significato, o in altre varianti formali del gergo giovanile qui e là per l’Italia (vedi sciallato ‘rilassato’, scialloso ‘divertente’, sciallo ‘divertimento’ nel Nord Italia; R. Ambrogio-G. Casalegno, Scrostati gaggio. Dizionario storico dei linguaggi giovanili, Utet libreria, Torino 2004; vedi anche su Slangopedia), vi sia nientepopodimenochéinshallah, formula ritualizzata di saluto e devozione islamica che permea il mondo musulmano e racchiude un’intera filosofia di vita e concezione del rapporto tra l’essere umano, la realtà e la divinità.

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Dunque, scialla (rinvenuto anche nella forma shalla, in scritte murali o nei chiacchiericci digitati in rete)e inshallah, per dire: sta’ tranquillo, se Dio lo vorrà tutto andrà bene. Questo suggestivo etimo non è così certo come piacerebbe pensare, ma va ricordato che gli affioramenti lessicali (nei gerghi come nella lingua comune) conoscono mille esistenze, morti e rinascite in epoche diverse e in luoghi diversi: «“scialla scialla!” grazie a Dio!, arabo in-šā ’a- allah! In genovese, un tempo era una locuzione di allegria usata dai marinai che tornavano a casa dopo lunghe assenze. Ancora nel secolo scorso, la mamma assieme ai bambini la poteva usare come cantilena di saluto al papà» […] Il regista Francesco Bruni ha intitolato Scialla (stai sereno) il suo ultimo film, con Fabrizio Bentivoglio e Filippo Scicchitano, eleggendo la parola scialla a simbolo del gergo giovanile che il ragazzo protagonista del film sciorina quotidianamente anche nel dialogo con un padre ritrovato. A domanda sul perché di questa scelta lessicale, Bruni ha risposto, mostrando attenta sensibilità linguistica: «Perché è l’interiezione che sento risuonare di più a casa mia. I miei figli la mettono in testa a quasi tutto quello che dicono: “Scialla oggi entro alle 9”, “Scialla mangio dopo”, e così via. È un’espressione sintetica che si passa facilmente, chi la capisce la sente come una parola d’ordine, chi non la capisce ne è incuriosito. E comunque ha funzionato: dopo la presentazione del film, a Venezia, sentivo le persone dire “Ci scialliamo in spiaggia?” oppure “Scialla ci vediamo più tardi”. Un’altra frase che mi sento dire spesso, e che mi piace, è “non t’accollare”, che vuol dire non essere appiccicoso (come la colla), non rompere».

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Nei gruppi di giovanissimi, a Roma, scialla è spesso accompagnato dal vocativo regà (‘ragazzi’), ed è bello pensare che ad un arabismo dubbio si accompagni un arabismo certo, anzi, certissimo, come ragazzo (in provenzale ragas), dall’arabo magrebino medievale raqqaas (‘corriere che porta le lettere, messaggero’).”

III.3. Altri film

Ne “Il pirata sono io” di Mario Mattioli (1940) Macario afferma in una delle sue battute che certi gioielli sono “falsi, fasulli, balordi, balenghi”. Tuttavia la battuta non venne sempre colta dal pubblico in quanto gli ultimi tre termini sono sinonimi del primo ma gergalismi e quindi talvolta ignorati dalla maggior parte delle persone. In “Pattuglia volante” (1941) compaiono voci ed espressioni quali “impacchettare” (arrestare), “non voglio grane” (non voglio problemi), “mi tocca abbozzare” (tacere, acconsentire alle richieste), “mi sfotte” (mi prende in giro). In “Circostanze attenuanti” di Jean Boyer (1940) figurano termini plebei e gergali quali “sgranfignare” (rubare), “cucuzze” (anni), “damigella” (cassaforte), “schiappini” (incapace) ecc.

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IV. Il dialetto

La situazione linguistica italiana è molto frammentaria. Questa è infatti caratterizzata dall’italiano, come lingua nazionale dal XVI secolo circa e da altre varietà linguistiche, chiamate appunto “dialetti” che sono ancora utilizzate per comunicare e che dispongono di una propria grammatica e di un proprio lessico molto differenziati tanto da non essere mutualmente intellegibili. Il dialetto è dunque una varietà della lingua non standardizzata, generalmente estromessa/esclusa dall’utilizzo formale e istituzionale. Inoltre il termine “dialetto” ha spesso un’accezione negativa per i parlanti, in quanto si pensi che abbia un valore inferiore rispetto alla lingua. Tra le nazioni europee l’Italia è sicuramente il paese più frazionato dal punto di vista linguistico. Come afferma il linguista e glottologo tedesco Gerhard Rohlfs, (il quale ha studiato a lungo la situazione linguistica italiana): “ Ogni viaggiatore che, cominciando con il Piemonte, attraversando poi la Liguria, la Toscana, il Lazio e le province napoletane, si reca in Sicilia, si può rendere conto di questa situazione”. Questa situazione linguistica così diversificata era riscontrabile già da epoche più antiche. Dante Alighieri nel suo “De Vulgari Eloquentia” classifica i dialetti italiani in base a criteri geografici : “Per prima cosa diciamo dunque che l'Italia è divisa in due parti, una destra e una sinistra. E se qualcuno vuol sapere qual è la linea divisoria, rispondiamo in breve che è il giogo dell'Appennino:

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il quale, come la cima di una grondaia sgronda da una parte e dal1'altra le acque che sgocciolano in opposte direzioni, sgocciola per lunghi condotti, da una parte e dall'altra, verso i contrapposti litorali […] Le regioni di destra sono l'Apulia, non tutta però, Roma, il Ducato, la Toscana e la Marca Genovese; quelle di sinistra invece parte dell'Apulia, la Marca Anconitana, la Romagna, la Lombardia, la Marca Trevigiana con Venezia. Quanto al Friuli e all'Istria, non possono appartenere che all'Italia di sinistra, mentre le isole del Mar Tirreno, cioè la Sicilia e la Sardegna, appartengono senza dubbio all'Italia di destra, o piuttosto vanno associate ad essa. Ora in entrambe queste due metà, e relative appendici, le lingue degli abitanti variano: così i Siciliani si diversificano dagli Apuli, gli Apuli dai Romani, i Romani dagli Spoletini, questi dai Toscani, i Toscani dai Genovesi e i Genovesi dai Sardi; e allo stesso modo i Calabri dagli Anconitani, costoro dai Romagnoli, i Romagnoli dai Lombardi, i Lombardi dai Trevigiani e Veneziani, costoro dagli Aquileiesi e questi ultimi dagli Istriani. Sul che pensiamo che nessun italiano dissenta da noi. Ecco perciò che La sola Italia presenta una varietà di almeno quattordici volgari. I quali poi si differenziano al loro interno, come ad esempio in Toscana il Senese e l'Aretino, in Lombardia il Ferrarese e il Piacentino; senza dire che qualche variazione possiamo coglierla anche nella stessa città […]Pertanto, a voler calcolare le varietà principali del volgare d'Italia e le secondarie e quelle ancora minori, accadrebbe di arrivare, perfino in questo piccolissimo angolo di mondo, non solo alle mille varietà, ma a un numero anche superiore.”

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Il termine “dialetto” deriva dal greco “diálektos” che significa “conversazione, colloquio” ma anche “lingua, lingua di un determinato popolo”. Per molti secoli in Italia, il dialetto è preferito all’italiano. Sebbene questo venga insegnato nelle scuole infatti, è parlato da un numero ristretto di persone fino alla seconda metà del XIX secolo. Dal Cinquecento, il dialetto è impiegato in ambito letterario ad esempio nella commedia per contraddistinguere la plebe dai ceti più alti. Tra Settecento e Ottocento troviamo numerosi capolavori in dialetto tra cui i versi romaneschi di Giuseppe Gioachino Belli o le commedie di Carlo Goldoni. Dall’unità d’Italia nel 1861 l’italiano inizia a diffondersi anche come lingua parlata con interferenze di alcuni dialetti. Questa diffusione è facilitata da fattori quali l’urbanizzazione, i mezzi di comunicazione e la scuola.

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Attualmente, secondo il rapporto Istat del 2014 relativo ad un’indagine effettuata nel 2012, l’uso esclusivo del dialetto è diminuito (9% in famiglia o con amici, 1,8% con gli estranei) mentre è aumentato il numero di coloro che adottano solo o prevalentemente l’italiano (53,1% in famiglia, 56,4% con amici, 84,8 con gli estranei). Tali dati dimostrano quanto sia stata la diffusione dell’italiano se consideriamo anche le percentuali di italofoni (2,5%) e di analfabeti (oltre il 78%) all’indomani dell’unità d’Italia. Nonostante vi sia quindi un progressivo calo dei parlanti dialetto, questo è comunque conosciuto ed impiegato da una buona parte della popolazione che talvolta tende ad utilizzare sia l’uno che l’altro, anche se il dialetto si trova in una posizione subalterna rispetto all’italiano. Anche l’italiano era originariamente un dialetto, vale a dire il fiorentino della tradizione scritta del Trecento che, nel Cinquecento, in seguito alla “questione della lingua” venne scelto come modello di quella lingua che successivamente diventerà la lingua italiana. Con il tempo alcuni termini dialettali, tendono a scomparire come nel caso di alcune parole appartenenti al lessico del lavoro agricolo, sempre meno diffuso al giorno d’oggi. Per questo motivo le parole che designano gli attrezzi o altri oggetti che venivano utilizzati in questo campo, non servono più ed iniziano a scomparire gradualmente. Tuttavia, vi sono parole che invece entrano a far parte di alcuni modi di dire, con un significato traslato (o figurato o metaforico). Un esempio è la parola “centìmulu” un tempo diffusa in Abruzzo, Campania, Sicilia ecc. che indica un tipo arcaico di mulino utilizzato per la macinazione del grano. Nonostante questo

29 sistema di molitura sia scomparso, questo termine ha continuato ad essere impiegato in alcune aree. Infatti nel dialetto calabrese ha assunto il significato di “centro del cervello, capo” ed è utilizzato nell’espressione “mi gìranu i centìmuli” (ho dei pensieri per la testa). Molti cognomi italiani derivano da vari dialetti ovvero si sono originati a partire da un soprannome che veniva dato all’individuo, principalmente in base alla sua professione, il suo luogo di origine, alcune caratteristiche personali ecc. : “Calzolai” cognome molto diffuso in Toscana, si riferisce ad una persona che svolgeva quella determinata professione, ed era utilizzato alla forma plurale poiché indicava i membri della famiglia; “Callegaro/i” dalla voce dialettale (diffusa soprattutto nel nord) “calegàro (calzolaio); Ferrèri che corrisponde a delle voci dialettali utilizzate per indicare una persona che svolgeva il mestiere del fabbro (feràr, ferèr, frèr ecc.). Da qui sono poi derivati vari cognomi quali Ferrarini, Ferraretti ecc. Un cognome che è invece legato ad una caratteristica fisica della persona è ad esempio Mancini. Uno dei trenta cognomi più comuni a livello nazionale è Esposito, tipico delle regioni meridionali, che proviene dal termine “espòsito” o “espósto” con i quali si indicavano i bambini adottati ai quali poi veniva affibbiato questo cognome. Analizzandone la morfologia, inoltre, possiamo ricondurre alcuni cognomi a delle aree geografiche specifiche. Ad esempio i cognomi Cabras o Piras possono essere facilmente ricondotti all’area geografica della Sardegna a causa della presenza della “s” finale che in sardo viene impiegata per formare il plurale. I cognomi con il suffisso “us/usso/ussi” invece, appartengono all’aria friulana come Bortolussi mentre quelli con il suffisso “in” sono di

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origine siciliana ed indicano l’appartenenza ad una determinata famiglia, come nel cognome Ingrassìa (appartenente alla famiglia Grassia).

VI.1 Il dialetto nei giovani

Sebbene sia in calo il numero di giovani che parlano dialetto, questi se ne servono per arricchire il proprio linguaggio giovanile. Vi è un recupero del dialetto nell’ambiente scolastico, in particolare da parte dei maschi in quanto : “sono associate connotazioni di virilità e di aggressività, che si inseriscono con facilità nelle tendenze degli adolescenti maschi a far uso di forme comunicative,

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verbali o non verbali, che possano essere considerate simbolo di virilità”. 4 In generale, il tipo di italiano che i giovani utilizzano è quello colloquiale dell’uso contemporaneo ovvero caratterizzato dal ripetersi delle cosiddette “parole vuote” quali “niente” o “comunque” per riempire appunto un vuoto semantico. Secondo la suddivisione operata da Carla Marcato, il linguaggio giovanile è inoltre caratterizzato da : - Elementi gergali tradizionali (recupero di parole del dialetto tradizionale) come “togo” (buono, bello) ampiamente diffuso in tutta la penisola, o termini “di lunga durata” trasmessi da una generazione all’altra quali “secchione” o “cotta”. - Elementi gergali innovativi vale a dire quelle voci o espressioni create dai giovani stessi attraverso un procedimento di modifica del significato o significante della parola. Un esempio del primo è quello del termine “cozza” che assume il significato di ragazza brutta (questo processo è chiamato animalizzazione ingiuriosa) mentre troviamo un esempio di cambiamento del significante in termini quali “tele”, “bici” “mate” utilizzati anche nel linguaggio comune. - Elementi appartenenti al mondo della pubblicità e dei mezzi di comunicazione di massa : sono ricorrenti nel linguaggio giovanile slogan, diventati in seguito tormentoni, quali “ O così o pomì” “Dove c’è Barilla c’è casa” ecc. o anche soprannomi derivanti da pubblicità come quella del detersivo Mastrolindo, utilizzato successivamente per caratterizzare una persona calva.

4 https://pressto.amu.edu.pl/index.php/srp/article/viewFile/1833/1803

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- Elementi provenienti da lingue straniere o pseudoforestierismi : perlopiù anglicismi ma anche ispanismi : “bonus” (va bene) , “sapiens” (genitori) o pseudoforestierismi quali “effusions” (tenerezze) , “cuccador” (detto di un ragazzo che ha molta fortuna con le donne). A differenza dei dialettismi che celano l’intenzione del gruppo di sottolineare la loro appartenenza alla propria realtà locale, i forestierismi permettono loro di inserirsi in un contesto più ampio.

- Elementi dialettali: questi non svolgono una funzione denotativa, ovvero non vengono impiegati con l’intento di riferirsi a qualcosa di preciso bensì per la loro carica emotiva, per assegnare al discorso una maggiore efficacia espressiva come in alcuni esempi provenienti dal dialetto veneto : “ti xe un mèio” (sei uno sciocco) , “fora come na mina” (essere ubriaco), “quella tipa parla sempre, no ghe a vanto più” (quella ragazza parla sempre, non la reggo più), “te si massa brusà el servèo” (ti si è bruciato il cervello, stai proprio fuso).

Il significato dei dialettismi impiegati dai giovani è noto e spesso utilizzato in senso metaforico come dimostrano vari esempi : “il ragazzo è un coniglio” (vigliacco, pauroso come un coniglio), “brèa” dal friulano (asse, tavola) e sta ad indicare una ragazza piatta o “prècchia” e “làppara” nomi di alcune specie di pesci, che come nel caso di “cozza” indicano una ragazza piuttosto brutta (anche in questo caso si tratta di un procedimento di “animalizzazione ingiuriosa”).

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Questi vocaboli giovanili possono oltrepassare i confini geografici e diffondersi in altre regioni in cui non erano precedentemente conosciuti, attraverso strumenti quali il cinema, la televisione, le canzoni e altre mode seguite dagli adolescenti. Dall’area meridionale e da Roma si sono diffuse parole come “buzzurro” (rozzo) , “sgamare” (scoprire) “sola” (fregatura) entrato nel dialetto di Pescara con l’espressione “dare una suola” , “pischella” (ragazza) ecc. Un altro contesto in cui il dialetto è fortemente adoperato è quello degli SMS in quanto si tratti di una scrittura spontanea o semispontanea. Talvolta infatti questi messaggi vengono scritti interamente in dialetto ma più frequentemente notiamo una mescolanza di italiano e dialetto, con l’aggiunta di lingue straniere in alcuni casi : “Magnatel nu passag ogni tant” (dai un passaggio ogni tanto); “Hey sister, ce mut? Stasera allora alle 10 da me e poi a bailar!! Yuppi!! ☺ C u later. xx.” In quest’ultimo troviamo infatti una mescolanza di friulano (ce mut?= come va?), anglicismi (hey, sister, see you later) e ispanismi (bailar).

VI.2. Latinorum e cultismi nel dialetto

Il lessico dialettale viene spesso formato anche attingendo ad altri linguaggi come quello giuridico, scientifico, amministrativo ecc. e attraverso l’utilizzo di latinismi, cultismi o parole dotte ecc. Molti di questi provengono dall’ambiente ecclesiastico, infatti il latino utilizzato in quel contesto viene storpiato da chi non lo conosce ed assume il nome di “latinorum”. In questi casi succede

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inoltre che i nuovi significati attribuiti ad una parola, si discostino eccessivamente da quelli originali, fino ad assumere una connotazione negativa. Alcuni esempi sono : “da nobis hodie” (dacci oggi [il nostro pane quotidiano]) da cui è derivato “bisòdia” (preghiera) nel dialetto piemontese e da questo “bisòdia” nel dialetto friulano con il significato di discorso senza capo né coda. Sempre nell’ambito della pratica religiosa, il termine “epistole” ha dato origine nel dialetto lombardo a “pistri” (chiacchiere, cose lunghe e noiose) ovvero “lentezza, ritardo, lungaggine, e noia, scocciatura, incomprensibilità, come manifestazione di insofferenza per le interminabili o noiose tiritere della liturgia o della predica”5. Come già evidenziato, anche altri settori hanno contribuito alla formazione di nuovi lessemi dialettali : - “de so prano nel padovano “di sua spontanea volontà”, de me prànio, de to prànio, de so prànio, de bon prànio in veronese “spontaneamente, volentieri”, vengono dall’espressione giuridica latina de plano e italiano antico di plano “senza formalità di giudizio” poi “senza difficoltà, senza contrasto”6 - “ius che è un latinismo e significa “diritto” è entrato nella locuzione campana (a San Mango sul Calore) iùsso re passàggio “diritto di passaggio”. 7 - “ablativo, nome dell’ultimo caso della declinazione latina, attraverso l’insegnamento scolastico del latino, è entrato in italiano nel modo di dire ridotto all’ablativo ‘ridotto all’estremo, senza alcuna risorsa’, e in dialetto ligure esse a l’abrativo, in lombardo es a l’ablatìv ‘essere in bolletta, in miseria’”.

5 Carla Marcato, Dialetto, dialetti e italiano, Il Mulino, Bologna 2002. p. 78 6 Ivi, p. 79 7 Ibid.

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VI.3. La situazione linguistica italiana odierna

Generalmente, la maggior parte della popolazione conosce o comprende alcune varietà di italiano e una o più varietà dialettali. I due codici (italiano e dialetto) vengono alternati oppure vengono usati entrambi nella stessa conversazione (ad esempio si inizia una frase con l’italiano e si finisce con il dialetto o viceversa), a differenza di quanto accadeva nel passato quando la popolazione era principalmente dialettofona. Solitamente il parlante che conosce entrambi i codici, opera una scelta dettata dalla situazione comunicativa ovvero il luogo, i partecipanti, il momento e ulteriori fattori. Si tende dunque a riservare il dialetto per situazioni meno formali (amici, famiglia ecc.) mentre l’italiano per quelle più formali (con estranei, ambiente scolastico ecc.) : “situazione <> (mettiamo che si stia parlando, a scuola, col professore) non mi sembra accettabile rivolgersi all’interlocutore con un <>. Al contrario, in una situazione <>, sarebbe preoccupante il caso del ragazzo che annunciando alla mamma di aver <> domandasse <>. Il non rispettare le norme sociali che regolano l’agire comunicativo dà, nel caso migliore, effetti umoristici […] nel caso peggiore, effetti di oscurità e di

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incomprensione, perché la competenza linguistica del destinatario finisce per essere ignorata, se non scavalcata”. 8 Dunque, come dimostrato, non è sufficiente conoscere bene l’uno o l’altro codice, bisogna anche saperlo adattare alla situazione ed utilizzarlo adeguatamente. Bisogna avere quindi competenze linguistiche ma anche comunicative. Le varietà del repertorio linguistico italiano sono collocate secondo una gradazione che parte da quelle più alte, formali (in cui si presta particolare attenzione alla pronuncia, alla forma, all’impiego di parole adeguate ecc.) a quelle più basse, meno formali o informali (meno corrette o anche trascurate). L’insieme delle varietà è stato schematizzato da Pellegrini nel seguente modo9: - Italiano standard - Italiano regionale - Koinè dialettale (una varietà dialettale utilizzata da un’area relativamente ampia, come per esempio quella di una provincia o di una regione) - Dialetto schietto

Mentre altri studiosi come Sobrero hanno proposto la seguente schematizzazione10 : - Italiano standard toscaneggiante - Italiano neo-standard/ italiano dell’uso medio/ italiano medio tendenziale - Italiano regionale ‘alto’ (formale) - Italiano colloquiale

8 Ivi, p.93 9 Ivi, p.94 10 Ibidem.

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- Italiano formale trascurato - Italiano popolare/ regionale ‘basso’ (informale) - Italiano-dialetto/ dialetto-italiano - Koinè dialettale - Dialetto urbano - Dialetto locale (rustico)

VI.3.a. Geosinonimi e geoomonimi

Nel dialetto si possono avere situazioni di geosinonimia e geoomonimia. I geosinonimi sono “lessemi della lingua italiana aventi, come i sinonimi, forma diversa e significato uguale”11. Alcuni esempi includono la parola “marinare” : - Bigiare a Milano - Fare sega a Roma - Sparare o far Sicilia in Sicilia - Bucare o tagliare in Piemonte - Fare forca a Firenze

O ancora la parole “grembiule” : - Faudale, fodale, faldale in Piemonte - Scossale in Liguria, Lombardia, Emilia occidentale

- Devantale in Sardegna

- Mantesino, vantesino in Molise, Campania, Basilicata, Sicilia - Bigarolo in Lombardia orientale - Traversa nel Veneto e Venezia Giulia - Grombale in Trentino, grembiale in Toscana e in Emilia

11 Ivi, p.101

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- Sinale, zinale in Umbria, Lazio e Marche - Parannanza nel Lazio, parninza in Abruzzo - Mantile in Abruzzo, Molise, Salento e Sicilia

Al contrario i geoomonimi sono parole che “simili dal punto di vista della forma, posseggono significati diversi in diverse aree geografiche” 12 : - Balcone nel dialetto Veneto significa imposta

- Corto significa basso e tovaglia corrisponde all’asciugamano nel dialetto Siciliano - Il panno è la coperta in Romagna - Villa nel meridione indica un giardino pubblico

12 Ivi, p.102

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- in Toscana il mestolo corrisponde al cucchiaio di legno mentre al nord è un utensile per liquidi.

VI.4. L’italiano popolare

Una delle varietà dell’italiano in cui è notevole la presenza del dialetto, è l’italiano popolare. È difatti una varietà utilizzata da persone analfabete, fortemente dialettofone o con un basso livello di istruzione. I fattori più evidenti nell’italiano popolare sono dunque l’interferenza del dialetto, una maggiore espressività la prevalenza della semantica sulla sintassi e così via. A livello grafico si rilevano dei tratti caratteristici di questa varietà dell’italiano. Il documento seguente è stato scritto nel 1974 da Giovanni che ha 27 anni e possiede la licenza elementare :

“EGREGI SIGNIORE VI SCRIVO COME A PARLATO LARADIO CHE ADETTO DI SCRIVERE E MANDARE QUALCOSA DI NOI EMIGRANTI PERCHE SIAMO IN SVIZZERA A LAVORARE, DUNQUE ORA RACCONTO LA MIA STORIA PERO CHIEDO ALLA VOSTRA SIGNORIA DI NON FARE NOME MIO E DI NON FARE NOMENEMMENO DA DOVE VI SCRIVO. DUNQUE LA MIA STORIA E QUESTA IO SONO EMIGRATO GIA DA 14 ANNI IN TERA STRANIERA PRIMA IN GERMANIA E POI IN SVIZZERA, PRIMA DI EMIGRARMI IO IN ITALIA ANDAVO A LAVORARE LA TERA. ANZI SE

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LAVETE A PIACERE DI SCRIVERE E DI MANDARMI A DIRE SE UNO NASCE CRIMINALE O PURE CI DIVENTA DOPO AVER LETTO QUESTA LETTERA. ALORO RIPRENO IL MIO RACCONTO DI COME DICEVO ANDAVO A LAVORARE IN CANPAGNIA DI NASCOSTO DEI MIE GENITORI PERCHE LORO NON VOLEVANO CHE IO ANDAVO A LAVORARE PERCHE ERO TROPPO PICCOLO […]”.

Si rileva che il testo è interamente scritto in stampatello. Inoltre alcune I recano un puntino. I dialettalismi che sono stati usati sono : “avere a piacere una cosa” ‘gradirla’ e “ripreno” per riprendo, tipico dei dialetti del sud. Per quanto riguarda la morfologia, troviamo degli elementi frequenti quali la ricorrenza di strutture a cornice (io devo pensare anche a me, devo pensare), ridondanza dei pronomi (i suoi genitori di lei, fargli coraggio a papà), discorso poco pianificato e prevalenza del discorso diretto. Il lessico è molto limitato, sono ricorrenti malapropismi ovvero “l’uso di una parola al posto di un’altra di suono simile” come “celebre” per celibe, “autobilancia” per autoambulanza, “febbrite” per flebite ecc. Sono presenti inoltre varie perifrasi, perlopiù utilizzate con il verbo fare : “fare la decisione” (decidere) , “fare sangue” (sanguinare), “fare un’emigrazione” (emigrare) ecc. Per quanto riguarda la fonologia, invece, sono frequenti fenomeni di semplificazione di nessi consonantici complessi : “pissicologo”, “aritemetica” o “arimettica” ecc. Infine, ricorrono molto spesso, perlopiù nel Sud, incertezze delle vocali finali (il mio

41 cognata) o ipercorrettismi come “oglio” e “gnente”. L’ipercorrettismo è un fenomeno di errata correzione di una parola, un espressione ecc. che ha “l’intento di imitare sopprimendo il tratto in questione, la forma della varietà di prestigio, ma produce così forme che quest’ultima non possiede”. Negli esempi che seguono possiamo inoltre notare la presenza di dialettismi tipici, errori ortografici e incertezze nell’interpunzione: “A volte quanta sono arrabbiata mi rinchiuto nella mia cameretta e mia mammà mi chiete cosa e successo e ne parliamo inzieme… Mia mmamma per me e la migliore amica che ci sia al monto… Poi e una Donna che se la sapa vedere con tutti e sa parlare molto bene in italiano” o ancora : “Io in questo anno sto lavorando ai fratelli franciarobba che si tratta delle mozzarelle, io sono Molto fiero de il mio lavoro perché mi ci trovo bene. I primi tempi stavo sul balcone a servire e mo invece sto giù disotto allavorare io mo il mestiere chè faccio e il pizzicarolo giu disotto spacco le forme di parmigiano, disosso i prosciutti metto apposto il frigo la robba che va in frico, come il parmigiano, il pecorino..” In particolare nell’esempio scritto dallo studente romano, troviamo l’ipercorrettismo “frico” e forme dialettali molto frequenti a Roma quali “mo” (ora), o “robba” . Altri esempi di scritture in italiano popolare, con molte interferenze dialettali, irregolarità nell’interpunzione, errori ortografici, nella morfosintassi e nel lessico sono delle memorie di due emigranti Antonio De Piero (originario del Friuli Venezia Giulia) e Tommaso Bordonaro (originario della Sicilia):

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“[…] Mio padre emigrava specialmente in Austria, col sacco sulle spalle partiva alla primavera non tiepids ancora, ritornando al’autunno inoltrato quando le foglie eran cadute dagli alberi ed ingialite dalle brine. L’aria gelata annunciava l’inverno che s’avanzava a grandi passi, segno che i lavori specialmente di scavamenti dovevano essere sospesi, per ultimarli a stagione propizia. Una sera ci capitò a casa all’improvvisa, siccome non sapeva a scrivere e non volendo incomodar alcuno, se non era propriamente di necessità. Quanta gioia, a vederlo, sano e robusto, e contento, faceva cadere il sacco di botto, per abbracciarci e bacciarci tutti: mia madre solerta gli domandava se aveva fame. Rispondendo che aveva mangiato un boccone alla città della stasione di Pordenone distante circa quattro kilometri diceva lui che nelle osterie si mangia sempre poco per non spender troppo; se avrei saputo la vostra venuta rispondeva essa, vi avrei fatto trovare qualche cosa di cena, noi abbiamo già cenato da un bel pezzo e proprio in questo momento macingevo a coricare i figlioletti a dormire, già è tardi non saprei che farvi; ho solo un po’ di radici insalata enull’altro […].” Oltre ai vari errori ortografici, morfosintattici e lessicali come : “solerta”, “a coricare i figlioletti a dormire” , “se avrei saputo…vi avrei fatto trovare”, “non sapeva a scrivere” ecc. sono presenti termini di un italiano più ricercato : “autunno inoltrato”, “per ultimarli a stagione propizia” anch’essi tratti tipici dell’italiano popolare ripresi dall’ambiente scolastico o burocratico ecc. Anche nell’autobiografia di Tommaso Bordonaro è evidente la presenza di tratti caratteristici dell’italiano popolare:

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“Io sono Tommaso Bordonaro. Sono nato il 4 luglio 1909 in un piccolo paesetto della Sicilia Italia, Bolognetta, nella provincia di Palermo […]. Nel 1912 a magio 8 mi è nato un fratellino dove hanno posto il nome Ciro. I miei genitore essendo di classe poveri, mio padre e mia mamma con due figli campavano alla giornata. Così mio padre ha deciso emigrare in America per potere accumolare un po’ di moneta per vivere un po’ meglio la vita, lasciando mia mamma con noi due piccoli in Italia, in cassa dei miei nonni, i genitore di mia mamma. Così io da circa quattro anni, non conoscendo mio padre, sono cominciato ad abitare da un mio zio, Pietro Bordonaro, che lui non aveva figli o fratello più grande di mio padre”. Anche in questo caso i tratti caratteristici sono molteplici : uso errato dell’ausiliare (sono cominciato), ridondanza pronominale (che lui non aveva figli), errori nelle vocali finali (i miei genitore), assenza di preposizioni (ha deciso emigrare). Un altro aspetto molto interessante è quello che riguarda il rapporto tra italiano, dialetto e le lingue straniere. È il caso di quegli italiani che sono emigrati in altri paesi dove sono venuti a contatto con le lingue locali. Il documento che segue è un annuncio di vendita, risale al 1970/1980 circa e mostra elementi tipici dell’italiano popolare e interferenze adattate dell’inglese :

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Le forme inglesi adattate presenti sono : bungalò per bungalow, indercomo per intercom (citofono), subbué per subway (metropolitana)e iorchidale per Yorkdale(una stazione della metro di Toronto).

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VII. Caratteristiche

VII.1 Dialetti settentrionali

- Le consonanti sorde diventano sonore in posizione intervocalica (fradello,cavello…). In alcuni casi si arriva anche alla caduta della consonante - Scempiamento delle consonanti doppie : (galina)

- Le vocali finali che non sono accentate (esclusa la a) generalmente cadono (apocope) : (can)

VII.1.a Dialetti gallo-italici :

All’interno dei dialetti settentrionali troviamo quelli galli- italici (piemontesi, lombardi, liguri, romagnoli e emiliani) che presentano le seguenti caratteristiche :

- Il passaggio di a accentata ad e aperta : (cantè= cantare; sèl =sale)

- Alcune parole quali latte e notte diventano “lac, noc” o “lait,noit”.

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VII.2 Dialetto toscano

Caratterizzato da quattro varietà : - Gruppo pisano-lucchese - Gruppo senese e grossetano - Gruppo aretino-chianaiolo - Fiorentino

I tratti caratteristici di questi dialetti rispetto agli altri sono i seguenti :

- La gorgia, vale a dire l’aspirazione delle occlusive sorde (p,k,t) intervocaliche - L’impiego del suffisso “aio”

- L’anafonesi : la e diventa i e la o diventa u davanti ad alcune consonanti.

Alcuni di questi tratti appartenenti al dialetto toscano sono passati all’italiano standard.

VII.3 Dialetti centro-meridionali

Dialetti meridionali (tutta l’Italia meridionale eccetto il Salento, la Calabria centro-meridionale e la Sicilia) :

- Le vocali finali si indeboliscono al punto di diventare indistinte o evanescenti

- Betacismo (confusione tra v e b) : (vocca= bocca, che bbuoi?= che vuoi?)

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Dialetti meridionali estremi (Salento, Calabria centro- meridionale e Sicilia)

- L’infinito viene sostituito da una frase esplicita : vogghiu mu dormu= voglio dormire - Uso del passato remoto al posto del passato prossimo

- Il periodo ipotetico dell’irrealtà viene reso con l’imperfetto indicativo : se potevo, se avevo..

- Vocalismo siciliano :la e diventa i e la o diventa u, in posizione tonica : vuci= voce, nive=neve

VII.4 Il dialetto nella letteratura:

Il dialetto è ampiamente utilizzato in ambito letterario, perlopiù nelle poesie, ma anche nella prosa. Esso infatti è ritenuto più incisivo soprattutto quando si vogliono esprimere aspetti della cultura locale, sentimenti o stati d’animo. Talvolta la scelta del dialetto nella scrittura è perfino una forma di ribellione alla lingua considerata inadeguata per esprimere la semplicità e vivacità del quotidiano. In alcuni casi invece gli autori si servono del dialetto per fini comici.

VII.4.a. Trilussa

Nelle sue poesie Trilussa, pseudonimo di Carlo Alberto Salustri, descrive la quotidianità della borghesia romana, attraverso l’impiego di metafore molto incisive che riguardano principalmente il mondo degli animali domestici. Questi infatti, incarnano i vizi e

48 debolezze tipiche dell’uomo che il poeta cerca umoristicamente di denunciare come nel caso della seguente poesia :

“L'Omo disse a la Scimmia: -- Sei brutta, dispettosa: ma quanto sei ridicola! ma quanto sei curiosa!

Quann'io te vedo, rido; rido nun se sa quanto!... -- La Scimmia disse: -- Sfido! T'arissomijo tanto!...”

L’autore sceglie il dialetto evidentemente per la sua maggiore forza espressiva e per la sua schiettezza : egli vuole farsi comprendere da tutti, senza giri di parole. In alcuni casi, troviamo anche forme espressive nazionali, in quanto con l’unità d’Italia, l’italiano stava diventando un’esigenza comunicativa sempre più diffusa. Trilussa quindi prese l’italiano e lo “tradusse” in romanesco, attribuendogli una maggiore capacità di sintesi e forza espressiva. I temi che Trilussa intende affrontare, servendosi del dialetto sono molteplici :

La politica :

“Un Somarello, che pe’ l’ambizzione De fasse elegge’ s’era messo addosso La pelle d’un leone,

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Disse: – Bestie elettore, io so’ commosso: La civirtà, la libbertà, er progresso… Ecco er vero programma che ciò io, Ch’è l’istesso der popolo! Per cui Voterete compatti er nome mio… – Defatti venne eletto propio lui. Er Somaro, contento, fece un rajo, E allora solo er popolo bestione S’accorse de lo sbajo D’ave’ pijato un ciuccio p’un leone!”

Il poeta immagina la riunione di un gruppo di animali che devono eleggere il proprio presidente. Ciò che vuole sottolineare sono le promesse mai mantenute dei politici ma anche la loro abilità camaleontica nell’adattarsi al popolo per ingannarlo. L’utilizzo degli animali è giustificato anche dal fatto che Trilussa dovesse eludere la censura.

La nostalgia e la vecchiaia :

“È un orloggio de legno fatto con un congegno ch’ogni mezz’ora s’apre uno sportello e s’affaccia un uccello a fa’ cuccù. Lo tengo da trent’anni a capo al letto e m’aricordo che da regazzetto me divertiva come un giocarello. M’incantavo a guardallo e avrei voluto

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che l’ucelletto che faceva er verso fosse scappato fòra ogni minuto…[…] Mó l’orloggio cammina come allora: ma, quanno vede lo sportello aperto co’ l’ucelletto che me dice l’ora, nun me diverto più, nun me diverto… Anzi me scoccia, e pare che me dia un’impressione de malinconia…”

E la condanna contro la guerra :

“Da qui a cent’anni, quanno ritroveranno nerzappà la terra li resti de li poveri sordati morti ammazzati in guerra, pensate un po’ che montarozzo d’ossa, che fricandò de teschi scapperà fòra da la terra smossa! Saranno eroi tedeschi, francesci, russi, ingresi, de tutti li paesi. O gialla o rossa o nera, ognuno avrà difesa una bandiera; qualunque sia la patria, o brutta o bella, sarà morto per quella. Ma lì sotto, però, diventeranno tutti compagni, senza

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nessuna diferenza. Nell’occhio vôto e fonno nun ce sarà né l’odio né l’amore pe’ le cose dermonno. Ne la bocca scarnita nun resterà che l’urtima risata a la minchionatura de la vita. E diranno fra loro: – Solo adesso ciavemo per lo meno la speranza de godesse la pace e l’uguajanza che cianno predicato tanto spesso!”

VII.4.b. Pierpaolo Pasolini

Oltre ad essere stato uno studioso della letteratura dialettale, fu anch’egli un poeta dialettale, perlopiù nei suoi anni giovanili come nel caso dei seguenti versi tratti da “La nuova gioventù” in cui l’autore opera una riflessione sulla sua stessa morte : “Il dí da la me muàrtTanasitàt, Trièst o Udin, ju par un viàl di tèjs, di vierta, quan' ch'a múdin il colòur li fuèjs, i colaràimuàrtsot il soreli ch'al art biondu e alt e i sierarài li sèjs, lassànlulusi, il sèil. Sot di un tèjclípid di vert i colarài tal neri da la me muàrt ch'a dispièrt i tèjs e il soreli. I bièjzuvinús a coraràntachèlus ch'i ài pena pierdút, svualàntfòur da li scuelis cui ris tal sorneli. Jo i sarài 'ciamòzòvin cu na blusa clara e i dolsciavièj ch'a plòvin tal

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pòlvaramàr. Sarài 'ciamòcialt e un frutcuríntpalsfaltclípit dal viàl mi pojaràna man tal grin di cristàl”

VII.4.c. Benedetto Croce

Nel suo saggio “La letteratura dialettale riflessa, la sua origine nel Seicento e il suo ufficio storico del 1962 Benedetto Croce fissa la nascita di tale tipo di letteratura che si contrappone alla letteratura spontanea. La letteratura dialettale riflessa infatti implica difatti la scelta del dialetto sebbene si disponga di altri strumenti comunicativi, ritenuti più prestigiosi e maggiormente diffusi.

VII.4.d. Andrea Camilleri

Nel racconto “La prova generale” in “Gli arancini di Montalbano” (1999) è possibile cogliere un ampio utilizzo del dialetto come nel passaggio che segue : “ La nottata era proprio tinta, botte di vento arraggiate si alternavano a rapide passate d’acqua tanto malintenzionate che parevano volessero infilzare i tetti. Montalbano era tornato a casa da poco, stanco perché il travaglio della jornata era stato duro e soprattutto faticante per la testa. […] No, non era proprio cosa, l’unica era farsi una doccia e andarsi a corcare con un libro. Sì, ma quale? A eleggere il libro col quale avrebbe passato la notte condividendo il letto e gli ultimi pinsèri era macari capace di perderci un’orata. […] Andiamoci piano: con tutti i revisionismi di moda, capitava che t’imbattevi in uno che ti veniva a contare che

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Hitler era stato in realtà uno pagato dagli ebrei per farli diventare delle vittime compatite in tutto il mondo. Allora ti pigliava il nirbùso e non chiudevi occhio. […] Forse era indicato per l’occasione uno di quelli inglesi, preferibilmente scritti da una fìmmina, tutto fatto di intrecciati stati d’animo che però dopo tre pagine ti fanno stuffare […]” . Come si evince dal passaggio, è presente una combinazione di italiano e dialetto. Una delle peculiarità è che quest’ultimo non è utilizzato solamente dai personaggi siculi bensì anche dal narratore, il quale se ne serve per identificare il luoghi in cui avvengono le azioni e allo stesso tempo per creare situazioni comiche ed umoristiche.

VII.4.e Dacia Maraini

“La lunga vita di Marianna Ucrìa” è un romanzo del 1990 ambientato in Sicilia, nel quale ricorrono varie espressioni dialettali, il cui significato viene spesso chiarito dall’autrice stessa : “ Dai sussulti regolari che scuotono la carrozza la bambina indovina che sono arrivati a Palermo. Le ruote hanno preso a girare sulle balate e le pare di udirne lo strepito cadenzato […] perché le sue radici affondano in quella terra che ama più delle balati di Palermo […] Rilegge soprattutto le ultime righe: quindi il fidanzato, lo zitu, sarebbe lo zio Pietro? Quell’uomo triste, ingrugnato, sempre vestito di rosso che in famiglia chiamano il “gambero”? […] Ma le donne ricche a Palermo non sposano uno spiantato anche se ha un bel nome, a meno che non debbano

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comprarselo il nome e in questo caso la spesa è molto salata. In più la zita deve essere molto bella e come minimo deve sapere suonare con grazia la spinetta […] quella babba della zia Fiammetta vorrebbe che lei zappasse l’orto in convento, come le altre […] e io sempre più scimunita e babba ci dico “se non ve ne andate, popolaccio, chiamo i dragoni del signor padre”.

Alcune delle voci dialettali più ricorrenti sono “balata” (grossa pietra piana, lastra), appartenente al dialetto siciliano ma anche calabrese, “zitu” (fidanzato, sposo ecc), appartenente ai dialetti meridionali in genere e “babbo” (cretino, stupido) del dialetto siciliano, calabrese e pugliese.

VII.4.f. Giuseppe Gioaccchino Belli

L’intento dell’autore è quello di condannare l’ipocrisia della società dell’epoca, operando riflessioni sulla vita e sulla condizione dell’uomo attraverso la sua satira pungente. A differenza di Trilussa si concentra sulle classi più popolari. Nell’introduzione ai suoi sonetti romaneschi afferma infatti:

“Io qui ritraggo le idee di una plebe ignorante, comunque in gran parte concettosa ed arguta, e le ritraggo, dirò, col soccorso di un idiotismo continuo, di una favella tutta guasta e corrotta, di una lingua infine non italiana e neppur romana, ma romanesca. Questi idioti o nulla sanno o quasi nulla: e quel pochissimo che imparano per tradizione serve

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appunto a rilevare la ignoranza loro: in tanto buio di fallacie si ravvolge. Sterili pertanto d’idee, limitate ne sono le forme del dire e scarsi i vocaboli. Alcuni termini di senso generale e di frequente ricorso vi suppliscono a molto. Ed errato andrebbe chi giudicasse essersi da me voluto porre in iscena questo piuttosto che quel rione, ed anzi una che un’altra special condizione d’uomini della nostra città. Ogni quartiere di Roma, ogni individuo fra suoi cittadini dal ceto medio in giú, mi ha somministrato episodii pel mio dramma: dove comparirà sí il bottegaio che il servo, e il nudo pitocco farà di sé mostra fra la credula femminetta e il fiero guidatore di carra. Cosí accozzando insieme le varie classi dell’intiero popolo, e facendo dire a ciascun popolano quanto sa, quanto pensa e quanto opera, ho io compendiato il cumulo del e delle opinioni di questo volgo, presso il quale spiccano le piú strane contraddizioni.”

Il poeta espone la scelta del dialetto romanesco, fornendo anche qualche delucidazione sulle peculiarità di tale dialetto :

“L’ortoepia ne’ Romaneschi non cede in vizio alla grammatica: il suono della voce è cupo e gutturale: la cantilena molto sensibile e varia. Tradotta la prima nella ortografia de’ miei versi, mostrerà sommo abuso di lettere. Nel mio lavoro io

56 non presento la scrittura de’ popolani. Questa lor manca; né in essi io la cerco, benché pur la desideri come essenziale principio d’incivilimento. La scrittura è mia, e con essa tento d’imitare la loro parola. Perciò del valore de’ segni cogniti io mi valgo ad esprimere incogniti suoni. Delle vocali si avrà discorso piú tardi. Parliamo intanto delle consonanti. La “B” tra due vocali si raddoppia, come abbito (abito),la bbella (la bella), debbitore (debitore), ecc. La “B” dopo la “M” si cambia in questa: cammio (cambio),címmalo o cèmmalo (cembalo), immassciata (ambasciata), limmo (limbo); palommo (palombo), gamma (gamba), ecc. Ciò peraltro accade quando appresso la “B” venga una vocale. Se la “B” sia seguita da “R”, alcuni la mutano in me alcuni no: per esempio, le voci imbriaco, settembre, ambra, da molti si pronuncieranno senza alterazione e da taluni si diranno immriaco, settemmre, ammra. La “C” si ascolta quasi sempre alterata. Se è doppia avanti ad “E” o ad “I”, oppure se la precede una consonante, contrae il suono che hanno nella regolar pronuncia le sillabe “CIA” e “CIO” in caccia e braccio e lo prende ancora piú turgido che in questi due esempi non si ascolta. Preceduta poi da una vocale, anche di separata parola, prolungasi strisciando, simile alla “SC”, di scémo, oscèno, scimia: per esempio, piascére (piacere), duscènto (duecento),

57 rèscita(recita), la scéna (la cena), da li scènto (dai cento), ottoscívichi (otto civici) e simili. E qui giova il ripetere aver noi prodotto in esempio un suono soltanto similare, imperocché di simile in questo caso la retta pronunzia nonne somministra. Pasce, pesce, voci della buona favella, si profferiscono dal volgo come le voci viziate pasce, pesce(pace, pece), colla differenza però che in questi ultimi vocaboli il valore della “S” è semplice e strisciante, laddove in que’ primi odesi doppio e contratto: di modo che, chi volesse rappresentare con la penna la differenza di questi due suoni, dovrebbe scrivere passce, pessce (pasce, pesce), e pasce, pesce (pace, pece): quattro vocaboli che il dir romanesco possiede. […]Bisogna qui avvertire un altro ufficio della lettera “C”. Presso il volgo di Roma le voci del verbo avere sono profferite in due modi. Quando serve esso verbo di ausiliare ad altri verbi, tutte le di lui modificazioni necessarie ai tempi composti di questi si aprono col naturale lor suono, meno i vizi delle costruzioni coniugative, per esempio: hai fatto, avevo detto, averanno camminato, ecc. Allorché però lo stesso verbo avere, preso in senso assoluto, indichi un reale possesso, i Romane schifanno precedere ogni sua voce dalla particella ci. Non diran quindi hai una casa, avevo due scudi, averanno un debito, ecc., ma bensí ci hai una casa, ci avevo du’scudi, ci averanno un debbito, ecc. Poiché però il ci non è da essi

58 pronunciato isolato e distinto, ma connesso e quasi incorporato col verbo seguente, cosí queste parole e le altre verranno da me scritte colla particella indivisa: ciai, ciavevo, ciaveranno. E siccome esse consteranno pur sempre dell’accoppiamento di due voci diverse, io vi apporrò un apostrofo al luogo dov eaccade l’unione fonica (ci’ai, ci’avevo, ci’averanno) affinché da niuno sien per avventura credute vocaboli speciali e di particolare significazione. Se poi la combinazione delle altre parole del discorso, che vadano innanzi alle dette voci a quel modo artificiale, produrrà lo strisciamento oppure il raddoppiamento della c già da me piú sopra indicata, ecco in qual maniera si noteranno queste altre due differenze: Io sc’iavevodu’ scudi, Tu cc’iai una casa, ecc. […]La “D” appresso alla “N” mutasi in questa seconda lettera. Vendetta si pronuncierà vennetta; andare, annà; indaco,innico; mondo, monno. Allorché però le parole principiate da in non saranno semplici ma composte, come indemoniato, indietro, indorare e simili, la “D” conserverà il proprio valore. La “G” fra due vocali non si addolcisce mai al modo che sogliono i buoni favellatori italiani, come in agio, pregio,bigio, ecc. ma si aspreggia invece e si duplica. Doppia poi, o preceduta da consonante avanti alla e ed alla i, si pronuncia turgida come la c ne’ medesimi casi. Nel resto questa lettera ritiene la sua natura. La sillaba “GLI” nelle parole si cambia in due “JJ”:

59 mojje (moglie), ajjo (aglio), mejjo, fijjo ecc. Ma l’articolo gli si muta in “JE”: je disse, ecc. La”L” fra le vocali e le consonanti mute si trasforma “INR”, come Rinardo, Griserda, Mitirda, manigordo, assarto,sverto, morto, inzurto, ferpa, corpa, quarcheduno, arbero, Argèri, arquanto, marva, scarzo, mea-curpa, […]La “S” non suona mai dolce come nella retta pronunzia di sposo, casa, rosa. Odesi sempre sibilante; e, allorché non sibila, assume le parti di una “Z” aspra: lo che accade ogni qual volta succeda nel discorso ad una consonante,come sarza (salsa), erzegno (il segno), penziere (pensiere), inzino (insino), ecc. La “Z” nel mezzo delle parole costantemente raddoppiasi. Cosí grazia, offizio, protezione si profferiranno grazzia, offizzio, protezzione. Bensí questo s’intende allorché la “Z” rimanga fra due vocali […]Pur tuttavia, per non indurre in equivoco i meno pratici, ai quali potesse per avventura giungere questo scritto, seguiremo coi segni la guida del suono da essi rappresentato. Per le lettere vocali non dovremo fare osservazioni se non se intorno alla a, alla e ed alla o. La prima esce sempre dalla bocca de’ Romaneschi con un suono assai pieno e gutturale: l’acuto o il grave della seconda e della terza seguono le regole del dir polito, meno qualche incontro che all’occasione sarà da noi distinto con analoghi accenti. Basterà qui l’avvertire che niuna diffrenza si fa da “E” congiunzione ed è

60 verbo, siccome neppure tra la “O” congiuntiva e la “HO” verbale: udendosi tutte pronunciare ugualmente con suono ben largo ed aperto. Aggiungeremo a questo luogo che la i nei monosillabimi, “TI”, “CI”, “VI”, “SI”, transformasi in “E”, pronunciandosi “ME”, “TE”, “CE”, “VE”, “SE”. Al contrario poi la “E” in se, particella condizionale, volgesi in “I”. Questo rilievo peraltro apparterrebbe piú alla grammatica che alla ortografia: e noi di grammatica non parleremo, potendone i vizii apparir chiaramente da gli esempii, i quali verranno all’uopo corredati di apposite note dichiarative”.

Ecco alcuni esempi nei quali ritroviamo le caratteristiche del dialetto romanesco esposte da Giuseppe Gioacchino Belli :

L’ADUCAZZIONE

Fijjo, nunribbartàmmai tata tua: Abbada a tté, nnun te fàmmette sotto. Si cquarchiduno te viè a ddà un cazzotto, Líccallo callo tu ddàjjenedua.

Si ppoiquarcantroporcaccio da ua Te scefascessi un po’ de predicotto, Dijje: «De ste raggione io me ne fotto:

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Iggnunopenzi a li fattacci sua».

Quannoggiuchi un bucale a mmora, o a bboccia, Bbevifijjo; e a sta ggentebbuggiarona Nu ggnenefàrrestàmmanco una goccia.

D’èsse cristiano è ppuro cosa bbona: Pe cquesto hai dai portàssempre in zaccoccia Ercortello arrotato e la corona.

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VIII. Il dialetto nel cinema

Tra il 1900 e il 1930 il cinema italiano è essenzialmente muto con didascalie dialettali utilizzate al fine di aggiungere spiegazioni alle immagini o per rendere il parlato. In seguito poi il cinema neorealista ha dato ampio spazio al dialetto come possiamo vedere nei film che seguono :

VIII.1. Ladri di biciclette:

È un film del 1948 diretto e prodotto da Vittorio De Sica, considerato uno dei capolavori del cinema neorealista italiano. I protagonisti, esprimono le loro realtà quotidiane anche attraverso le molteplici interferenze dialettali come possiamo vedere durante un dialogo in un mercato tra due venditori :

Venditore 1 : Ma me fai lavorà! Mame fai lavorà! Venditore 2 : Mo te lo do ‘n faccia st’affare! Venditore 1 : Ma che da’ ‘n faccia! Ma che ha’ da da’ ‘n faccia! Venditore 2 : Ma che ce se’ venuto callo callope ‘n famme lavorà? Venditore 1 : Sì! callo callo proprio! Venditore 2 : Ma che ‘r posto è tuo? Venditore 1 : Ma lasceme fa’, che so avvelenato stammatina, sa’! Lasceme lavorà, vedi d’annattene e lasseme perde!

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Venditore 2 : Ma si ce stavo prima de te! Ma che vai cercanno?! Venditore 1 : Ma de che! Ma ‘n ved’a nessuno, sa’, io! Venditore 2 : Ma allora voi litigà!

Le varie espressioni dialetti riguardano alcuni fenomeni in particolare come il troncamento dei verbi all’infinito (lavorà, fa’), l’utilizzo di “er/’r” al posto dell’articolo determinativo il, il verbo “lassare” al posto di lasciare ecc.

VIII.2. 1860:

È un film del 1860 diretto da Alessandro Blasetti nel quale, il protagonista principale Carmeliddu intraprende un viaggio dalla Sicilia alle Alpi. I dialetti che incontriamo sono diversi : possiamo cogliere espressioni dialettali siciliane “òra tu te ne vai in paise co’ patre Costanzo a pigghiariistruziòniprecis”, “itepicciòtti, tempo n’avete”, “Ritòrnosubbito, Gisuzza, tantuarrivuaupaisi”, “va’ a pigghiarmi ’u cavall”, “«figghiumèu”, “Garibbaldi ha dettu ch’amufattu l’Italia!”; venete: “No sta a piànser, mama”; toscane : “anche te tu vieni a Genova?”, “oh, bisognava vvedere a Firenze l’accoglienza he gl’è stata fatta al nostro re”, “io ’un so come la la pensa lei”, “oh, intendiamoci, come uomo io gli fo tanto di cappello» e lessemi piemontesi quali : “’nduma” (andiamo), “suta” (sotto) e molti altri ancora.

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VIII.3.Terraferma:

È un film del 2011 diretto da Emanuele Crialese nel quale il protagonista, Filippo Pucillo, attribuisce al proprio dialetto una duplice funzione : questo è uno strumento volto a sottolineare la propria identità e il proprio legame con la comunità di pescatori di Lampedusa ma anche un modo per manifestare ostilità nei confronti degli “altri” ovvero, in questo caso, i migranti sbarcati sull’isola. In una scena del film la madre di Filippo cerca inutilmente di spronarlo ad aprire la sua mente, a distaccarsi da Lampedusa e a parlare italiano anziché dialetto : “[…] E Filippo deve imparare a fare altre cose adesso! […] Io voglio che tu vedi altre cose, cose nuove, cose diverse, voglio che parli con gente diversa, non ti piacerebbe? […] Manco l’italiano sai parlare!”

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INGLESE

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Conclusione

Come precedentemente accennato, il gergo è utilizzato da tutte le classi sociali indipendentemente dal livello di istruzione o alfabetizzazione. Inoltre l'uso del dialetto o del gergo non implica una mancanza di cultura nel proprio ambiente domestico o il fatto che una persona non sia in grado di parlare correttamente la propria lingua. In realtà, sono spesso l'espressione della personalità di qualcuno e per questo motivo non devono essere visti in modo negativo, concezione attualmente molto comune. Una delle caratteristiche principali e più sorprendenti è la loro originalità ed espressività che danno origine a parole ed espressioni creative, che a volte trasmettono concetti e idee in modo più adeguato, almeno dal punto di vista della precisione e della concisione. L’uso del dialetto nella conversazione non è da sottovalutare: come il gergo, è spesso usato dalle persone per trasmettere pensieri più immediati e, come hanno dimostrato studi recenti, migliora anche le funzioni cerebrali. Infatti, viene generalmente utilizzato a seconda del contesto e della persona con cui stiamo parlando. Ciò significa che chi lo usa deve compiere uno sforzo mentale che migliora l'attenzione e le capacità mnemoniche. Tuttavia non si deve necessariamente usare il gergo o il dialetto nella vita di tutti i giorni poiché il loro impiego dipende da diversi fattori come il contesto, il luogo e l'interlocutore e talvolta sono chiaramente inadeguati. Al contrario, in alcune situazioni

67 possono essere utili al fine di trasmettere un messaggio specifico ed instaurare una relazione più stretta con l’interlocutore. Per questo motivo, anche se il loro impiego è spesso visto in modo negativo, fanno parte della realtà della nostra società e il loro uso è ancora un fenomeno molto comune.

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Introduction

The way a person speaks characterises his or her personality. Some people tend to use a more refined and sophisticated language, while others are inclined to employ other varieties of language such as slang and dialect. There have been many definitions for the term “slang”. Some of them include:

“It is a peculiar kind of vagabond language, always hanging on the outskirts of legitimate speech, but continually straying or forcing its way into the most respectable company.” 13 Or: “language of a highly colloquial type, considered as below the level of standard educated speech, and consisting either of new words or of current words employed in some special sense.” 14 Another definition is: “The diction that results from the favourite game among the young and lively of playing with words and renaming things and actions; some invent new words, or mutilate or misapply the old, for the pleasure of novelty, and others catch up such words for the pleasure of being in the .”15 Or again: “Slang ignores all that belongs to the routine duties of ordinary life; it does not characterize the humdrum and commonplace. There is little in the vocabulary to suggest naïveté,

13Eric Patridge. Slang To-day And Yesterday. Routledge&Kegan Paul LTD. London. 1933. p. 1. 14Ivi, p.2. 15Ibid.

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innocence, and spontaneous playfulness. It is purely unsentimental. It castigates every kind of excess of sentiment or sensual indulgence. It deifies money and the pleasures procurable with money; it is hard on physical defects, stupidity, idealistic tendencies, and it exaggerates perfections as well as imperfections. It prefers the abrupt and the shocking. It is superior to accepted use through its emotional force. […] it is a spontaneous manifestation of unconscious process.”16 There are different “types” of slang: cant, jargon, humbug or nonsense and other kinds of vulgar and low speech. Hence we tend to use the term “slang” to describe words and expressions that are not part of the standard language (a language variety with a specific orthography, fixed grammar rules and which is codified in dictionaries). It often originates from certain fields like a profession, a game or a sport and so forth, where some specific words are used. These, then, enter the colloquial speech. Despite the fact that the term “slang” has been accepted since 1850 as the word which described the “illegitimate” and “colloquial speech”, there have been several synonyms with a similar meaning: “lingo” was widespread especially among the lower classes while “argot” was used by the cultured ones. Actually, the first term refers to a simplified language which is spoken by people who adapt English to their grammar and phonetics. “Argot” instead is nowadays used uniquely to refer to French slang. Another synonym was “flash” but it has a merely negative connotation since it is applied to the slang of criminals. Finally the term “jargon” employed for professions,

16Eric Patridge. Op. cit. p. 33.

II trades, sciences and certain sectors like the medical, legal and economic ones.

III

I. Uses and functions of slang

According to M. Alfredo Niceforo, an Italian criminologist and anthropologist, slang can be employed for many different reasons: - just for fun, especially by young people, in a teasing and playful way; - in a humorous and witty way, in order to show one’s talent and cleverness; - to distinguish from others, to be “extraordinary” and startling; - for its incisiveness and conciseness; - to embellish the speech with original and unusual terms and expressions; - to make the abstract things more realistic and concrete; - to lessen the excessive elegance or seriousness of a speech; - to minimise the seriousness of tragedies or themes like death; - to be more understandable by an inferior public and, at the same time, to entertain the superior one; - to establish intimacy and closeness with another person; - as a hallmark, an identifier: profession, social class, school etc. - to be “in the swim”; - with a cryptic function: in order not to be understood by others, as in the case of criminals, lovers, students, children etc.

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I.1 The group

The cornerstone of slang is the group: without the group, slang does not exist. The users are a group of people who have a common interest, activity or situation. For this reason, the intention is very often that of communicating by ruling out other people from comprehension. It is used by all social classes and not only by the lower ones, since it is well understood by everyone. In fact, as stated by Frank Sechrist: “On the whole, the use and prevalence of slang is not based on the influence of culture or lack of culture at home, efficiency or non-efficiency in the use of English, but rather upon the individuality of the person who uses it.”17 However there are some differences in the way in which it is employed: among lower classes slang is concrete, precise and instantaneous, among cultured people it tends to be full of complex allusions and among illiterate people, on the contrary, it is rather hazy and monotonous.

I.2 The aim

The aim of slang is still controversial. According to some, slang has a cryptic function, especially as far as crime organisations are concerned. Criminals and vagabonds indeed, use secret words for the most important concepts rather than other typical features such as the deformation of words through

17Eric Patridge. Op. cit. p. 17

2 affixes and so on. Furthermore, they tend to change their vocabulary when slang becomes known to other people. On the other hand, slang used by other kinds of groups, such as lovers, children or other organisations has a secret function due to the fact that they want to exclude outsiders and conceal their thoughts. For this reason, they rely on artificial, imaginative and often distorted terms, and this especially through the use of affixes. Another function is linked to the concept of identity: this occurs especially in the case of teenagers who need to assert themselves, to underscore the cohesion of the group and their aloofness towards those who are not part of it. Obviously the aim of slang, especially when we refer to dysphemism, is also to mock everything in a droll and unexpected way as well as to astonish and to stagger people.

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II. Characteristics of slang

Usually old words from common language are given a new and original meaning. They are formed through the “parasitic” role of slang, which uses morphology, syntax, and phonetics of standard English to create neologisms and expressions. The methods thanks to which new terms are formed are manifold. Particularly there is a widespread use of: - affixes; - coarse language; - terms employed in other contexts and sectors; - borrowings from foreign languages; - semantic changes; - apocopes; - metathesis; - aphaeresis; - metaphors; - irony; - metonymies; - synecdoche.

Irony is widely used: there is farce, satire, comedy, mockery and a wide use ofantiphrasis (that is to say a figure of speech in which a person says the opposite of what he or she really wants to say) and of euphemisms e.g.: “you are a great pal” (you are not a good friend.)

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Also misunderstandings, mispronunciation, and miswriting give origin to slang since they make people forget the old meaning and create a completely new and different concept of the word. Another feature that is worth mentioning is the fact that, when a word is given a new meaning, it might not always be clear and accurate. For instance in the following sentences, the word “funny” takes on different meanings: “none of your funny tricks” (dishonesty), “he looks very funny” (ill or drunk), “I will funny you” (teach a person not to play jokes.)Moreover, if we dwell upon the idea of drunkenness, we can see that in the English slang, this word (followed by those related to money and sexual acts) is the one that has more synonyms or words which express the alcohol-related mental confusion such as: boozy, battered, bemused, bosky, buffy, corned, elevated, foggy, fresh, gassed, hammered, moony, muzzy, plastered, stewed, sloshed, tight, tanked-up etc. There are also some expressions that convey this idea of bewilderment like: he “cannot see a hole in a ladder”, “itis all mops and brooms” “off his nut” or has “the sun in his eyes” or “lapped the gutter.” Also apocopes (the curtailment of words) are used in the following examples: monk (monkey), loony (lunatic), flu (influenza), biz (business), varsity (university). Other features are: the search for novelty due to the desire to detach from out-dated terms and expressions; ephemerality: since most slang words are transitory and are always replaced by newer ones which in turn will be replaced by others. Finally

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all slang words follow trends and they are the expression of the latest craze.

II.1. Dysphemisms and euphemisms

A very peculiar hallmark of slang is its “negativity”:there are different terms and expressions which portray reality in an unfavourable and offensive way through a pejorative process which consists in describing people, things or places even worse than they really are. M. Albert Duzat identifies 3 consecutive phases in this process: “(1) An inferior object (or a series or group of mainly inferior objects) is designated according to its defect; (2) the designation extends to every object – whether inferior or good – in that series, that group, or of the same kind; (3) finally this designation – that is to say, this word – loses its unfavourable associations and becomes a synonym, often exactly co- terminous, for the term current in standard English or American English or French or whatever language it may be.”18 This pejorative technique consists in using a disagreeable or offensive term instead of a positive or neutral one, but without showing hostility. It is indeed defined as: “A reaction against pedantry, stiffness, and pretentiousness, but also against nobility and dignity in

18 Eric Patridge. Op. cit. p.13.

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language. It seeks to keep language (especially the spoken language) at a low level, suitable to vulgar and commonplace sentiments. On the other hand, it shows good humour in poverty and in adversity, and while maintaining language at the level of the popular mind, it renders it piquant, ‘tasty’, and comfortable. Dysphemism, therefore, is principally an attempt to free itself from the respectful and admiring attitude which weighs heavily on average humanity. It consists, above all, in the substitution for dignified or simply normal terms, of expressions borrowed from spheres more vulgar, familiar and joyous.”19 The contrary of dysphemism is euphemism. While the first one, tends to be harsh, scornful, pungent and merciless, the other is more delicate and sentimental and tries to “prettify” the things that are being said. Some examples are: to pinch (to steal), go to you know where (go to hell), leaden favour (bullet),to put to sleep (to kill), Adam and Eve’s togs (nakedness) and so forth.

19Ivi, p.14.

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III. Slang in literature

With this statement, Walt Whitman underscored the importance of slang not only in the common language but also in poetry: slang “is below all words and sentences, and behind all poetry.”20 In England, as well as in Germany and France, the earliest written accounts of slang concern the slang of thieves and not the general kinds. From the beginning of modern English we observe “this extraordinary tendency to degenerate into slang of every kind.” 21

III.1. Thomas Harman

In his “A Caveat or Warning for Common Cursitors, Vulgarly Called Vagabonds” we can find a list of the different types of thieves and vagabonds: the Rufflers are beggars disguised as soldiers, the Upright Men are those who have feudal rights, Hookers or Anglers are thieves in general, Rogues and Wild Rogues are beggars, Priggers of Prancers are horse- thieves, Dommerars are false dumb people, Bawdy Baskets are women who live principally by stealing and Kinchen Morts are orphan girls who were taught to steal. In addition to this, the author made a list of some words which then entered general slang: nab later nob (head), duds (clothes), to boose (to drink), stow you!, later stow it! (stop!), cofe later cove (man,

20 Eric Patridge. Op. cit. p.18 21Ivi, p. 43.

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fellow.)Moreover there is also a cant dialogue between a Rogue and an Upright Man: “Upright Man: Benelightmans to thy quarromes, in what libken hast thou libbed in this darkmans, whether in a libbage or in the strummel? (Good morning to you, in what house have you lain this night-in bed or in straw?) Rogue:I couched a hogshead in a skipper this darkmans (I lay down to sleep in a barn last night.) Upright Man:I towre the strummel trine upon thy nab-cheat and togeman (I see the straw hanging from your and coat.) Rogue: I saye by the Salomon I will lage it of with a gage of benebouse. Then cut to my nose watch (I swear by the mass, I’ll wash it off with a quart of good drink. Then say what you like to me!)”

III.2. Thomas D’Urfey

In his collection of songs “Wit and Mirth: or Pills to Purge Melancholy” there are many slang and colloquial words:

“To Horse, brave boys of Newmarket, to Horse, You’ll lose the Match by longer delaying; The Gelding just now was led over the Course, I think the Devil’s in you for staying; Run, and endeavour all to bubble the Sporters, Bets may recover all lost at the Groom-Porters; Follow, follow, follow, follow, come down to the Ditch,

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Take the odds and then you’ll be rich. […] Dragon would scow’r it, but Dragon grows old […]”

Some of the slang terms which are used are: to bubble (to cheat) and scower it (to run away with it).

III.3. Henry Fielding

Also in the works of the most important English novelist of the eighteenth century we can findsome slang words and expressions, particularly in “The Life of Mr. Jonathan Wild” which revolves around the life of a rogue: “I must not expect to treat him in the manner to which a set of blockhead land-men submitted. None of your coquette airs, therefore, with me, madam […] the first man who offers to come in here, I will have his skin flea’d off at the gangway […]I then begged him to let us drink some punch together; for that I loved a can as well as himself, and never would grant the favour to any man till I had drank a hearty glass with him. Oh! Said he if that be all, you shall have punch enough to drown yourself in.”22 Or in Amelia where there are several cant terms: “I thought by your look you had been a clever fellow, and upon the snaffling lay (robbery) at least; […] I find you are some sneaking budge rascal (pilferer).”23

22 Eric Patridge. Op.cit. p. 71. 23Ivi, p.72

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III.4. Pierce Egan

In his monthly journal “Life in London or, the Day and Night Scenes of Jerry Hawthorn, esq., and his elegant friend, Corinthian Tom, accompanied by Bob Logic, the Oxonian, in their rambles and sprees through the Metropolis” different slang words are used, like in the following passage:

“London Town’s a dashing place For ev’ry thing that’s going, There’s fun and gig in ev’ry face, So natty and so knowing. […] Randall and Cribb Know how to fib! Tothill-fields Pleasure yields; The Norwich bull With antics full. Plenty of news, All to amuse ; The monkey “Jacco”, All the crack O! Ambroghetti’s squall Match girls baw! […]

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Cyprians fine, Kids full of wine […]” 24

Herethe slang words are gig (mischief), to fib (to hit), crack (fashion), Cyprians (courtesans) and kids (young people).

III.5. Other authors

Dickens also made some slang terms popular. These, indeed, entered even standard speech. We can find some of the already mentioned examples in works like “Hard Times”:

“ Kidderminster, stow that! (stop it!) Said Mr. Childers. […] If you want to cheek us, pay your ochre (money) at the doors and take it out. Kidderminster said Mr. Childers raising his voice stow that! […].”25

Also in Shakespeare’s plays there are many different slang words such as: blue-bottle (beadle, because of the colour of his ), carry-tale (tale-bearer), conveyer or lifter(thief), fap (drunk), pickers and stealers (hands), tag or tag-rag (rabble), tickled-brain (strong liquor).

24Ivi, p.81. 25Ivi, p.87.

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An example of cant can be found in the House-breaker’s song by G. W. M. Reynolds in Pickwick Abroad:

“I ne’er was a nose, for the reg’lars came Whenever a pannie was done:— Oh! who would chirp to dishonour his name, And betrays his pals in a nibsome game To the traps?—Not I for one! Let nobs in the fur trade hold their jaw, And let the jug be free:— Let Davy’s dust and a well-faked claw For fancy coves be the only law, And a double-tongued squib to keep in awe The chaps that flout at me! From morn till night we’ll booze a ken, And we’ll pass the bingo round; At dusk we’ll make our lucky, and then, With our nags so fresh, and our merry men, We’ll scour the lonely ground. And if the swell resist our “Stand!” We’ll squib without a joke; For I’m snigger’d if we will be trepanned By the blarneying jaw of a knowing hand, And thus be lagged to a foreign land, Or die by an artichoke. […]”26

26 DucangeAnglicus. The Vulgar Tongue: A Glossary of Slang, Cant, and Flash Words and Phrases: Used in London from 1839 to 1859; Flash Songs, Essays on Slang, And A Bibliography of Canting and Slang Literature. Bernard Quaritch. London. 1859. p. 50.

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Pickwick employs various words which are typical of cant: nose (a person who betrays his companions), reglars (share of the booty), pannie (burglary), chirp (to inform), traps (police), jug (prison), Davy’s dust (gunpowder), double-tongued squib (double-barrelled gun), booze a ken (to drink freely), bingo (brandy), we’ll make our lucky (depart), lagged (transported), artichoke (hanging) and so on.

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IV. English dialects

The term dialect defines a variety of a language which istypical of a specific region or social group. The English spoken by people of different countries or regionshas a variety of accents, different spellings, constructions and words even if it is generally comprehensible. As we can see fromthis map, in England many different kinds of dialect coexist.

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IV.1. Cockney

This is the dialect originated in the East End of London and it is generally spoken by the working class of this city. Its main features are: - the use of rhyming slang; - the change of “ei” to “ai” or “ou” to “ah” e.g.: daily -> dyly; - non-rhoticity: which means that the “r” at the end of a word is not pronounced; - the change of “th” to “f” e.g.: thing ->fing; - pungency; - wit, humour and satire; - immediacy and frankness; - the denunciation of falseness, excessive formality and boastfulness.

In the “Passing English of the Victorian Era” by J. Redding Ware there is a list of the characteristics ofcockney terms and their definitions: Barrikin (to shout), Eye in a Sling (defeated), Real Scorcher (a very active person), Regular Oner (a careful scapegrace), Up the Pole (drunk), You’ll get yourself disliked (referring to a person who behaves badly) and so forth.

IV.1.a. The costers

The costers are a kind of Cockneys, the word comes from the abbreviation of costermonger, initiallycustard-monger which means seller of apples (since monger is a merchant and

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costard a large apple). Here are some of the words and expressions typically used by them: Couter (sovereign), half- couter or netgen (half-sovereign), tumble to your barrikin (to understand you), flash it (to show it), crosschap (thief), showfulls (bad money), nommus (be off!), come over on a Whelk Stall (to with style), Knock in (to make money), Rorty Bloke (a strong and powerful man). The costerslargely employ nicknames as stated by Henry Mayhew: “the costermongers […] are hardly ever known by their real names” and nicknames are given to them “by some mode of dress, some remark that has ensured costermonger applause, some peculiarity in trading, or some defect or singularity in personal appearance.”27 Some of the most common nicknames are Brassy (for a saucy person), Foreigner (for those who had been in the Spanish Legion) and Curly (for those with curly hair). Other general words used by Cockneys are the following: north and south (mouth), skin and blister (sister), dustbin lids (kids), jam jar (car), tea leaf (thief), dog and bone (phone), elbows and knees (trees), pride and joy (boy) and so forth.

IV.2. Use of cockney in movies

IV.2.a. “Lock, stock and two smoking barrels”

It is a crime comedy movie, written and directed by Guy Ritchie. It is about a man who loses £500,000 in a game. In order to pay off his debt, he and his friends plan to rob a gang.

27Ivi, p.153.

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This is a dialogue between Tom, one ofthe main characters who wants some information about Rory, and Barfly Jack, the owner of a pub: “Barfly Jack: Rory? Yeah, I know Rory. He's not to be underestimated […]A few nights ago Rory's Roger iron's rusted, so he's gone down the battlecruiser to watch the end of the football game. No one's watching the custard, so he switches the channel over. A fat geezer's north opens, and he wanders up and turns the Liza over.Rory knows claret is imminent, but he doesn't want to miss the end of the game […]He flicks a flaming match into his bird's nest and the geezer's lit up like a leaking gas pipe. Rory, unfazed, turns back to his game. His team's won, too: four–nil.” Here, Barfly Jack employs different cockney words: battlecruiser (it rhymes with boozer and means pub), geezer (man), claret (blood, but in this case: fight), bird’s nest (which rhymes with chest).

IV.2.b. “My Fair Lady”

It is a musical inspired by George Bernard Shaw’s Pygmalionand it deals with the story of Eliza Doolittle, a Cockneyflower seller girl, who takes speech lessons from professor Higgins, in order to look as if she was a real lady. This is one of her most famous monologues: “My aunt died of influenza, so they said. But it's my belief they done the old woman in. Yes Lord love you! Why should she die of influenza when she come through diphtheria right

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enough the year before? Fairly blue with it she was. They all thought she was dead. But my father, he kept ladling gin down her throat. Then she come to so sudden that she bit the bowl off the spoon. Now, what would you call a woman with that strength in her have to die of influenza, and what become of her new straw that should have come to me? Somebody pinched it, and what I say is, them that pinched it, done her in. Them she lived with would have killed her for a hatpin, let alone a hat. And as for father ladling the gin down her throat, it wouldn't have killed her. Not her. Gin was as mother's milk to her. Besides, he's poured so much down his own throat that he knew the good of it.” However, in the end,her way of speaking will change and she will prove to be a brilliant and clever woman.

IV.3. Other dialects

IV.3.a. Yorkshire

It is obviously spoken in the county of Yorkshire and it is often known for its musicality. Its main characteristics are:

- the shortening of the article the to “t”; - the initial h is dropped; - use of thou and thee; - aught and naught used for anything and nothing; - in a comparison, the word “nor” is often used instead of “than”;

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- nouns which indicate distance, height, weight etc. don’t have the plural form; - “us” is often used instead of “me” or “our”; - “while” often used with the meaning of until ; - the word “self” becomes “sen”; - “them” used instead of “those” (as well as in other English dialects); - use of double negatives.

IV.3.b. East midlands English

The East Midlands is one of nine official regions of England and consists of Derbyshire, Leicestershire, Lincolnshire (with the exception ofNorth and North East Lincolnshire), Northamptonshire, Nottinghamshire and Rutland. Its main features include:

- use of “yorn”, “hisn”, “ern”, “ourn” and “theirn” as personal pronouns; - use of “y’usen”, “mesen”, “thisens” and “ussens” as reflexive pronouns; - use of “on” instead of “of”; - employment of some expressions such as: clouts (), to mash (to make a pot of tea), jitty/jetty (alleyway), rammel (rubbish), sile (to rain heavily), tuffees (sweets), oakie (ice cream), mardy (grumpy), croaker (doctor) etc.

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IV.3.c. East Anglian English

It is spoken in East Anglia and it is thought to have largely contributed to the formation of standard English as well as American English. It has some distinctive features such as:

- the omission of the “s” at the end of the verb; - use of “do” instead of “or”; - use of “time” instead of “while”; - use of “now” instead of “just”; - words such as: “dow” (pigeon), stroop (throat), dodman (snail), pit (pond), (donkey) etc.

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Conclusion

As previously mentioned, slang is used by all social classes regardless of one’s education level, alphabetization or scholarship. Furthermore the employment of dialect or slang does not imply a lack of culture at home or the fact that a person is not able to speak his or her language properly. As a matter of fact, they are often the expression of someone’s personality and for this reason they must not be seen in a negative way, as is common today. One of the main and most striking characteristics is their originality and expressiveness which give origin to creative words and expressions, that sometimes convey concepts and ideas in a more adequate way, at least from the point of view of precision and conciseness. Moreover, as seen in many examples, slang was largely employed by writers (or play writers) from Fielding and Dickens to Shakespeare, Egan and so forth. The use of dialect in conversation must not be underestimated either: like slang, it is often used by people in order to convey more immediate thoughts and, as recent research has shown, it also enhances brain functions. In fact, it is generally used depending on the context and the person we are talking to. This means that those who use it have to make a mental effort which improves attention and memory skills. One should not necessarily use slang or dialect in everyday life since their employment depends on different factors such as

22 the context, place and interlocutor and sometimes they are clearly inadequate. On the contrary, in some situations it can be very useful to convey a specific message and to establish a closer relationship. For this reason, albeit their employment is often seen in a negative way, they are part of the reality of our society and their use is still a very common phenomenon.

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FRANCESE

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Introduction

La façon dont une personne parle caractérise sa propre personnalité. Certaines personnes ont tendance à utiliser un langage plus raffiné et sophistiqué, tandis que d’autres se servent de diverses variétés linguistiques comme l’argot ou le patois. Beaucoup de définitions ont été proposées pour le terme « argot ». En voici quelques-unes : «La définition courante de l'argot est une définition historique : l'argot y est caractérisé comme la langue des malfaiteurs et des mendiants utilisée à des fins cryptiques. Il est clair que, si elle s'applique bien aux origines de l'argot, cette définition ne recouvre pas la multiplicité des formes que celui- ci a pu prendre au cours des siècles. On constate, en effet, que ces formes se développent dans toutes les communautés qui, en se forgeant un langage à des fins cryptiques ou crypto-ludiques, cherchent à affirmer la solidarité de leurs membres ou, plus exactement, la connivence des initiés, qu'il s'agisse de corporations professionnelles (maçons, merciers, forains, comédiens...) ou dégroupements temporaires (étudiants, soldats...)[…] Encore faut-il ajouter qu'à l'époque contemporaine il tend à se créer ce qu’on peut appeler un « argot commun » qui puise dans les divers argots et qui est pratiqué, indépendamment de toute appartenance à un groupe social, par une large fraction de la population […]Quels que

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soient leurs caractères sociologiques, tous les argots se définissent, linguistiquement, par la création d'un lexique qui transcode partiellement le vocabulaire commun et, par ailleurs, s'intègre, sans les perturber sérieusement, dans le système phonique et le système grammatical de la langue. L'argot est donc un phénomène purement lexical qui joue des latitudes offertes par une langue déterminée selon des mécanismes qu'on a pu répertorier ». 28 D’autres définitions sont les suivantes : « L'argot est un langage spécial, mais il a des caractères tout particuliers d'identité qui lui sont propres et qui le différencient des nombreux langages spéciaux avec lesquels, si souvent, il a été confondu ». 29 « Langage ou vocabulaire particulier qui se crée à l'intérieur de groupes sociaux ou socio-professionnels déterminés et par lequel l'individu affiche son appartenance au groupe et se distingue de la masse des sujets parlants ».30 Il y a différents types d’argot comme le verlan, le louchébem, l’argot javanais etc. ou d’autres types de variétés de la langue. En effet on a tendance à utiliser le terme « argot » pour désigner des mots et des expressions n’appartenant pas au langage standard (une variété linguistique qui possède des règles d’orthographie et de grammaire spécifiques et qui est codifiée dans les dictionnaires). Les premières traces de l’argot dans un texte littéraire remontent au XV siècle dans les ballades

28Denise François, La littérature en argot et l’argot dans la Littérature. p.6 29Alfredo Niceforo, Le Génie de l’Argot. Essai sur les Langages Spéciaux, les Argots et Les Parlers Magiques. Mercure de France. Paris. 1912. p. 5. 30https://fr.wikipedia.org/wiki/Argot#cite_note-2

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de François Villon qui racontaient les actions des « coquins» et leur langage.

I. Emplois et fonctions de l’argot

D’après M. Alfredo Niceforo, un criminologue et anthropologue italien, l’argot peut être utilisé pour différentes raisons :

- Juste pour s’amuser, ( par les jeunes)de manière farceuse et ludique ; - De façon humoristique et maline pour montrer son talent et son intelligence ; - Pour se distinguer des autres et donc pour être « extraordinaires » et surprenants ; - En raison de sa concision et de son efficacité ; - Pour embellir un discours avec des termes et des expressions originaux et insolites ; - Pour rendre les choses abstraites plus réalistes et concrètes ; - Pour réduire l’élégance et la solennité excessives d’un discours ; - Pour être plus compréhensible par un public inférieur et, en même temps, pour divertir un public supérieur ; - Pour créer un lien intime et plus profond avec une autre personne ; - Comme une marque d’identification : profession, classe sociale, école etc… ; - Pour être à la mode ;

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- Avec une fonction cryptique : pour éviter d’être compris par les autres comme dans le cas des criminels, des amants, des étudiants, des enfants etc…

I.1.Le groupe

Le fondement de l’argot est le groupe : sans ce dernier, l’argot n’existe pas. Les utilisateurs sont des personnes qui ont un intérêt, une activité ou une situation communs. Pour cette raison, très souvent, l’intention est celle de communiquer en excluant de la compréhension les autres personnes. Effectivement, l’argot est utilisé par toutes les classes sociales et non seulement par les classes populaires. Cependant, il y a quelques différences dans la façon dont il est employé: parmi les classes inférieures, l’argot est concret, précis et instantané, chez les gens cultivés, il est plein d'allusions complexes et chez les analphabètes, au contraire, il est plutôt vague e monotone.

I.2. Le but

Le but de l'argot demeure controversé. Selon certains, il a une fonction cryptique, surtout en ce qui concerne les

1 organisations criminelles. Les criminels et les vagabonds, en effet, utilisent des mots secrets pour les concepts les plus importants plutôt que d'autres caractéristiques typiques de l’argot telles que la déformation des mots à travers des affixes et ainsi de suite. De plus, ils ont tendance à changer leur vocabulaire lorsque l'argot devient connu des autres. En revanche, l'argot utilisé par des types de groupes, tels que les amants, les enfants ou d'autres organisations a une fonction secrète car ils veulent exclure les étrangers et dissimuler leurs pensées. Pour cette raison, ils s'appuient sur des termes artificiels, imaginatifs et souvent déformés, et ceci notamment à travers l'utilisation d'affixes. Une autre fonction est liée au concept d'identité: cela se produit surtout dans le cas des adolescents qui ont besoin de s'affirmer, de souligner la cohésion du groupe et leur éloignement envers ceux qui n'en font pas partie. Il est évident que le but de l'argot, surtout lorsqu’on parle de dysphémisme, est aussi de se moquer de tout de manière drôle et inattendue, d'étonner et d'impressionner les gens.

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II. Les caractéristiques de l’argot

Parfois, on donne aux vieux mots du langage commun une signification nouvelle et originale. Ils sont formés à travers le rôle «parasitaire» de l'argot, qui utilise la morphologie, la syntaxe et la phonétique du français standard pour créer des néologismes et des expressions. Les méthodes grâce auxquelles de nouveaux termes sont formés sont nombreuses. En particulier, il y a une utilisation répandue de : - Affixes ; - Langage grossier ; - Termes employés dans d'autres contextes et secteurs ; - Emprunts aux langues étrangères ; - Changements sémantiques ; - Apocopes ; - Métathèses ; - Aphérèses ; - Métaphores ; - Ironie ; - Métonymies ; - Synecdoques.

L'ironie est largement répandue: farce, satire, comédie, moquerie et un large usage de l'antiphrase (c'est-à-dire une figure de style dans laquelle une personne dit le contraire de ce qu'elle veut vraiment dire) par exemple on utilise beaucoup d’ironie dépréciative pour des objets comme la nourriture qui était très souvent méprisée par les soldats : la viande était

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appelée « pneu » le pain « pierre à affûter » et les haricots « shrapnells ». De même, les malentendus, la mauvaise prononciation et les fautes d’orthographe donnent origine à l'argot, car ils font oublier le sens ancien et créent un concept complètement nouveau et différent du mot. De plus, nous pouvons voir que dans l'argot, le mot « argent » est parmi ceux qui ont plus de synonymes comme : artiche, aubert, blé, caillasse, flouze, fric, galette, grisbi, lové, maille, oseille, pèse ou pèze, pognon, radis, rond, thune, etc. Les apocopes (la réduction des mots) sont également utilisées dans les exemples suivants où la dernière syllabe a été supprimée : « carbo » pour charbon; « merlo »pour merlan. Les autres caractéristiques sont les suivantes: la recherche de la nouveauté en raison du désir de se détacher des termes et des expressions dépassés ; L’éphémérité: puisque la plupart des mots d'argot sont transitoires et sont toujours remplacés par des mots plus récents qui à leur tour seront remplacés par d'autres. Enfin, tous les mots argotiques suivent les tendances et sont l'expression du dernier cri.

II.1. Dysphémisme et euphémisme

Une caractéristique très particulière de l'argot est sa «négativité»: il y a des termes et des expressions différents qui désignent la réalité d'une manière défavorable et offensive à travers un processus péjoratif qui consiste à décrire des personnes, des choses ou des lieux encore pires qu'ils ne le sont

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réellement. M. Albert Dauzat identifie 3 phases consécutives dans ce processus: « Pour beaucoup de termes, on peut distinguer trois opérations successives : un objet (ou une série d'objets) de mauvaise qualité est désigné d'après son défaut ; L’appellation s'étend ensuite à tous les objets de même espèce, bons ou mauvais; enfin le mot se dépouille de sa valeur péjorative et devient un synonyme parfait du mot employé par la langue courante. » 31 Cette technique péjorative consiste à utiliser un terme désagréable ou offensant au lieu d'un terme positif ou neutre, mais sans montrer d'hostilité. Le contraire du dysphémisme est l'euphémisme. Alors que le premier, a tendance à être dur, méprisant, piquant et impitoyable, l'autre est plus délicat et sentimental et tente d’embellir les choses qui sont dites ou d’atténuer des idées qui sont considérées comme immorales. En effet : « Il est un fait général à constater : lorsqu'on peut appeler un objet par son véritable nom clair, ce nom, pour ainsi dire, se cristallise et ne produit pas de doublets; mais si on est obligé de trouver différentes façons indirectes, euphémiques et métaphoriques de remplacer la parole interdite, les doublets jaillissent de tous côtés et se multiplient; ils font même quelquefois oublier le nom interdit, le nom clair, véritable, originaire, de la chose, ainsi qu'il est très probablement arrivé aux mots primitifs indiquant certains animaux ou certains faits.

31 Albert Dauzat. L'argot de la guerre, d'après une enquête auprès des officiers et soldats. Armand Colin. Paris. 1918.

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L'abbé de l'Aulnay, avait observé que la langue érotique était l'une des plus riches au XVI siècle. Il n'y avait pas moins de 300 mots ou périphrases pour indiquer l'acte de l'amour […] ».32

32 Denise François. Op.cit. p.264.

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III. L’argot dans la littérature

En France, comme en Allemagne et en Angleterre, les premiers écrits sur l'argot concernent l'argot des voleurs et non les genres généraux. Même si l’argot est utilisé principalement à l’oral, il est rare de trouver des auteurs qui n’emploient jamais de mots faisant partie du langage argotique.

III.1. François Villon

Son langage est plutôt complexe :le poète utilise très souvent un langage populaire ou argotique, avec beaucoup de figures de style pleines d’obscurité et double sens comme dans ses ballades très célèbres. Voici quelques exemples :

« Au beau paname à la cloche gaillarde Où dans le noir,les jobards sont enfouis C'est par des flics suivant la gent paillarde Qu’ils sont griffés et fourrés cinq ou six; Là,les filous au plus haut bout sont sis, (Pour se tanner), pendus par un lacet. Fuiez les durs cachots du châtelet Car les voleurs aux oreilles coupées S'en vont les pieds devant d'ici! Fais gaffe ! Échecà votre vie !»

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Dans cette ballade, les mots argotiques sont les suivants : « Paname » (Paris), « jobards » (pauvres niais), « flics » (les sergents), « filous » (escrocs, faiseurs et voleurs), « gaffe » (échec) etc.

III.2. Victor Hugo

Dans son roman « Le dernier jour d’un condamné» l’auteur décrit l’angoisse d’un prisonnier qui doit être exécuté. Notamment dans le chapitre XVI, où le prisonnier entend une chanson chantée par une jeune fille, il y a beaucoup de mots argotiques : « C’est dans la rue du Mail Où j’ai été coltigé Maluré Par trois coquins de railles, Lirlonfa malurette, Sur mes sique’ ont foncé Lirlonfa maluré Sur mes sique’ ont foncé Maluré. Ils m’ont mis la tartouve, Lirlonfa malurette, Grand Meudon est aboulé, Lirlonfa maluré. Dans mon trimin rencontre,

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Lirlonfa malurette, Un peigre du quartier, Lirlonfa maluré.Un peigre du quartier, Maluré. Va-t-en dire à ma largue […] lui fonce un babillard, Lirlonfa malurette, Pour m’ fair’ défourrailler, Lirlonfa maluré. Pour m’ fair’ défourrailler, Maluré. Ah! si j’en défourraille, Lirlonfa malurette, Malargue j’entiferai, Lirlonfa maluré. J’li ferai porter , Lirlonfa malurette, Et souliers galuchés, Lirlonfa maluré. […] »

Ici, les mots argotiques sont : « raille » (police), « siques » (hardes), « tartouve » (la corde du pendu), « abouler » (venir vers quelqu’un comme un boule), « trimin » (chemin), « peigre » (voleur), « foncer » (donner), « babillard » (livre), « entiffer » (épouser), etc.

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III.3. Alphonse Boudard

Alphonse Boudard, un romancier et scénariste français a souvent utilisé l’argot dans beaucoup de ses œuvres : nous retrouvons aussi les figures de style typiques de ce genre de langage : métaphores, apocopes, suffixations, métonymies etc. Parmi les mots et les expressions qu’il utilise dans ses œuvres il y a «beaujolpif » (excellent), « aller à Niort » (nier), « aller à Cachan » (se cacher), « cloporte » (qui en argot signifie « concierge » mais qu’il utilise avec plusieurs significations). Il a aussi tendance à désamorcer des situations qui ont été tragiques pour lui, comme son expérience en prisonqu’il décrit avec plusieurs métaphores telles que : « être inscrits au même club de vacances » etc.

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IV. Les patois :

Le dialecte ou patois est une variété linguistique qui a un statut de subordination par rapport à une langue principale et qui pour cette raison, n’est pas utilisée dans tous les contextes. Les patois dérivent de la segmentation géographique d’une langue. Les patois français (à l’exception du flamand, du , du bas- et de l’alsacien)proviennent tous du latin qui était parlé en Gaule après la chute de l’Empire romain.

IV.1. Le patois et les jeunes :

Bien que le nombre de jeunes qui parlent le dialecte soit en baisse, quelque fois ils l'utilisent pour enrichir leur langage juvénile. Il y a une récupération du dialecte dans l'environnement scolaire, en particulier par les garçons car le patois est vu comme un symbole de virilité. Les éléments dialectaux ne remplissent pas de fonction dénotative, c'est-à- dire qu'ils ne sont pas utilisés avec l'intention de se référer à quelque chose de spécifique mais plutôt pour leur charge émotionnelle, pour conférer au discours une plus grande efficacité expressive. Un autre contexte dans lequel le dialecte est fortement utilisé est celui des textos car ils constituent un type d’écriture spontanée ou semi-spontanée. Parfois, ces messages sont écrits entièrement en dialecte mais, plus fréquemment, on remarque un mélange du français et du dialecte avec les langues étrangères.

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IV.2. Le français régional :

Il est considéré comme un intermédiaire entre le français et le patois. Toutefois, il est beaucoup plus homogène que ce dernier. Il présente des mots et des expressions archaïques, utilisés surtout dans les périphéries, par exemple : « souventes fois », « courtil » (jardin) et « relevée » (après-midi) etc. Il contient aussi des formes grammaticales très particulières comme : « su’ semaine » (en semaine) et « j’arrive que » (je viens d’arriver).

IV.3. L’influence du français

Le français a exercé une influence considérable sur les patois, notamment dans leur vocabulaire. Les patois, effectivement, empruntent au français tous les mots qui concernent les nouvelles découvertes dans le domaine agricole, des vêtements, des transports, de la médecine, de l’économie etc. Mais, au contraire, dans certains cas, le mot du patois n’a pas de correspondances en français, car l’objet décrit est connu et utilisé seulement dans certaines régions. Cela souligne une autre caractéristique des patois : tandis qu’ils présentent une multitude de termes qui indiquent des objets concrets, les mots qui dénotent des concepts abstraits sont très peu nombreux et

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pour cette raison, les patois doivent évidemment recourir au français.

IV.4. Caractéristiques des patois :

Les patois utilisent aussi les suffixes du français, par exemple « ot » est largement utilisé comme diminutif en Lorraine, Provence et Auvergne comme dans le cas de« petiot » ou « pechot » (petit). D’autres suffixesempruntés aufrançaissont « ade » utilisés en Auvergne et Angoumois comme dans le cas de« pinade » (endroit avec beaucoup de pins) et « ière » en Saintonge comme « pepinière » (les pépins d’un fruit). Il y a évidemment des cas d’homonymie entre les différents mots des patois. Toutefois, quand cette homonymie commence à créer des problèmes au niveau du concept et de la compréhension, un mot disparaît. En Gascogne en effet, il y avait deux mots « cattus » (chat) et « gallus » (coq), qui se confondaient dans la même forme « gat ». Mais, puisqu’on ne pouvait pas appeler par le même nom deux animaux complètement différents, de nouveaux mots, comme « faisan » et « vicaire » ont été choisis pour indiquer le coq. Un autre phénomène typique des patois est la dédiminutivisation : dans certains dialectes la finale latine « et » était considérée comme un diminutif, donc elle a été supprimée comme dans le cas de « juillet », transformé en « juil ».

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V. Classification

Les trois groupes, qui sont encore présents aujourd’hui et qui sont à l’origine des différents patois sont : la langue d’Oc, la langue d’Oïl et le franco-provençal.

V.1. La langue d’oc :

Elle est parlée dans le Midi etdans la plupart du Plateau Central. Par rapport au latin, la langue d’oc est la plus conservatrice car elle conserve les mêmes voyelles et consonnes

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du latin vulgaire. Comme le montrent lesexemples suivants, l’ancienne langue d’oc présente une profonde ressemblance avec le latin : « amar » (aimer), « amado » (aimé), « gola » (geule), « mel » (miel), « moneda » (monnaie) « segur » (sûr) etc. Parmi les autres, ce groupe comprend les patois suivants : le gascon, l’auvergnant, le provençal etc. Voyons leurs caractéristiques :

V.1.a. Le gascon

- Changement du F en H ; - Le passage de V à B ; - Changement de R en Arr ; - Réduction de Nd en N et de Mb à M ; - Chute de n intervocalique ; - Emploi du « que » au début des phrases ; - Emploi multiplié du réfléchi (« on se mange ») ; - Emploi de mots comme : « cèu » (ciel), « aiga » (eau), « hemna » (femme), « minjar » (manger), « jogar » (jouer) etc.

V.1.b. L’auvergnat

- Chute des consonnes finales ; - Emploi du Z euphonique devant les voyelles ; - Changement de Ch en Ts ; - Chute du S intervocalique.

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V.1.c. Le provençal (moyen, alpin et oriental)

- Vocalisation de L final « soulèu/soleu » (soleil) ; - Emploi des articles définis : lo (lou), la, lei(s), li(s), les, los, las ; - Parfois leL en milieu de mot se prononce R ; - Parfois le A final devient O ; - Emploi de certaines expressions comme « Bono annado, bèn granado e bèn acoumpagnado » (bonne année, bien prospère, et bien accompagnée) ou « Se fai pas lou civié avans d'avé la lèbre » qui en français se traduit par le proverbe : il ne faut pas vendre la peau de l'ours avant de l'avoir tué.

V.2. La langue d’oïl

Elle est parlée dans le Nord et l’Ouest. Ses patois présentent beaucoup d’innovations comme l’affaiblissement ou l’effacement de beaucoup de consonnes intervocaliques. Parmi les patois qui font partie de ce groupe il y a : le normand, le picard, le wallon, etc.

V.2.a. Le normand

- Emploi des mots germaniques (qui concernent surtout le domaine de la pêche) ; - Passé exprimé surtout avec le passé simple ; - Large utilisation du subjonctif imparfait ;

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- Emploi de certains mots et expressions comme : « Vi-t'en veir » (viens voir), « eun qùenâle » (un enfant), « boujou » (bonjour/au revoir), « Ch'est eun bouon gâs, ma i se néyerait dauns sa roupie » (c'est un bon garçon mais pas très intelligent), « mâqùèse » (tête) etc.

V.2.b. Le picard

- Passage de O et Au à Œ ; - Emploi de beaucoup d’archaïsmes ; - Les graphies voyelle+nn, voyelle+nm et voyelle+mm indiquent la nasalité ; - Utilisation de mots et d’expressions comme : « I mint conme un arracheus ed dints ! » (il ment pour rassurer comme un dentiste), « Tu veus èm foaire gober des eus durs ! » ou «Tu veus èm foaire craquer des alunmètes dins l'iau ! » (tu veux me faire croire à des choses impossibles) etc.

V.2.c. Le wallon

- L’adjectif qualificatif devant le nom ; - Ordre différent des pronoms « dijhoz-m' el » (dites-le-moi) ; - Le passage de Ie à I ; - Conservation du W germanique ; - Utilisation du Tch au lieu du Ch français ; - Présence d’archaïsmes.

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V.3.Le franco-provençal

Ce dernier groupe de patois est parlé à l’Est. Il peut être considéré comme une sorte de moyen terme entre la langue d’oc de laquelle il reprend le vocalisme et la langue d’oïl de laquelle il reprend le consonantisme et les palatisations. Voici quelques exemples : « amar » (aimer), « amaa » (aimée), « monea » (monnaie), « nova » (neuve) etc. En général ses caractéristiques lesplus évidentes sont : - La chute de consonnes finales ; - La chute duS devant consonne ; - La réduction de Tch à Ch ; - Le passage de Ts à S ; - Emploi de mots comme : « cllâf » (clé), « chantar » (chanter), « mengier » (manger), « lengoua » (langue) etc.

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VI. Les patois dans les films

VI.1. Bienvenue chez les ch'tis

Bienvenue chez les ch'tis est un film réalisé par Dany Boon. Il raconte lamutation de Philippe Abrams, un directeur de la Poste dans le sud de la France, qui à cause d’une faute professionnelle, est transféré à Bergues dans le Nord-Pas-de- Calais, où les habitants parlent un dialecte picard : le ch’timi. Cela donne lieu à beaucoup de situations comiques, malentendus, et jeux de mots qui, très souvent, rendent la communication très difficile. Voici quelques mots et expressions tirés du film : «a la r’voyure » (au plaisir de se revoir), « cabaret » (bar), « ch’ti » (celui), « quien » (chien), « parlotte » (conversation), « brin » (désordre), « emberlificoter » (emmêler), « gosse » (enfant), « eud » (de), « cocotte » (fille), « koko » (garçon), « torgnole » (gifle), « a c’t’heure » (maintenant), « biloute » (mon gars), « v’la chi » (voilà).

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VII. Les patois dans la littérature

VII.1. Hubert Ora

Il est le premier auteur de langue wallonne. Son « Sonèt lîdjwès â minisse », sur un débat théologique, est entièrement écrit dans ce dialecte :

« Hoûtez dê, Mounseû l’ prédicant, ni pârlez nin tant conte les mônes; ca vos f'rîz dîre qui l'diâle vis mône come ounk di sès-appartinants […] Vos-èstez oun grand afahant après lès bins di nos tchènônes; mins, po v'dîre tot çou qu'i m'è sône, vos porpôs sont porpôs d’ brigand Si vos-eûhîz sût li Sicriteure èt bin wârdé li lwè d'nateure vos eûhîz acwèrou boun brut ».

Voilà la signification de certains mots en patois : « hoûtez » (écoutez), « Mounseû » (monsieur), « mô nes » (moines), « diâle » (diable), « afahant » (avide), « sône » (semble), « porpôs » (propos), « brut » (renommée), « lwè d'nateure » (loi de la nature), « tchènônes » (chanoines) etc.

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VII.2. Guillaume de Berneville

Guillaume de Berneville est un poète de la seconde moitié du XII siècle. Dans ce texte rédigé en normand on voit plusieurs termes germaniques :

« A plein se astent d’eschiper, Kar mult coveitent le passer, Bons fud li vens e la mer quieie: Ne lur estoet muver lur greie, Ne n’i out la nuit lof cloé, Estuinc trait ne tref gardé, Ne n’i out halé bagordinge, Ne escote ne scolaringe; Ne fud mester de boesline ; […] »

Voici quelques exemples : « eschiper » (appareiller), « greie » (agrès), « bagordinges » (cargues) « boesline » (bouline) etc.

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Conclusion

Comme mentionné précédemment, l'argot est utilisé par toutes les classes sociales indépendamment de leur niveau d'éducation, d’alphabétisation ou d’érudition. En outre, l'emploi du dialecte ou de l'argot n'implique pas un manque de culture à la maison ou le fait qu'une personne ne soit pas capable de parler correctement sa langue. En effet, ils sont souvent l'expression de la personnalité de quelqu'un et, pour cette raison, ils ne doivent pas être vus de manière négative, comme c’est très souvent le cas aujourd’hui. L'une des caractéristiques les plus frappantes est leur originalité et leur expressivité qui donnent naissance à des mots et des expressions créatifs, qui véhiculent parfois des concepts et des idées d'une manière plus adéquate, au moins du point de vue de la précision et de la concision. L'usage du dialecte dans la conversation ne doit pas non plus être sous-estimé: comme l'argot, il est souvent utilisé par les gens pour transmettre des pensées plus immédiates et, comme l'ont montré des recherches récentes, il améliore également les fonctions cérébrales. Effectivement, il est généralement utilisé en fonction du contexte et de la personne à qui nous parlons. Cela signifie que ceux qui l'utilisent doivent faire un effort mental qui améliore les capacités d'attention et de mémoire. On ne devrait pas nécessairement utiliser l'argot ou le dialecte dans la vie de tous les jours puisque leur emploi dépend de différents facteurs tels que le contexte, le lieu et l'interlocuteur et parfois ils sont

22 clairement inappropriés. Au contraire, dans certaines situations, ces variétés linguistiques peuvent être très utiles pour transmettre un message spécifique et établir une relation plus étroite avec l’interlocuteur. Pour cette raison, bien que leur emploi soit souvent considéré de manière négative, ils font partie de la réalité de notre société et leur utilisation reste un phénomène très commun.

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Ringraziamenti

Si desidera ringraziare la Professoressa Adriana Bisirri, relatrice di questa tesi di laurea, la Professoressa Claudia Piemonte correlatrice, la Professoressa Maria Nocito e la Professoressa Marie-Françoise Vaneecke per avermi seguito nella stesura di questo elaborato, per la loro disponibilità e l’aiuto professionale fornitomi.

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