Marine Alligier

La costruzione dell’opinione pubblica nel Caffè 1764-1766

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ALLIGIER Marine, La costruzione dell’opinione pubblica nel Caffè 1764-1766, sous la direction de Pierre Girard. - Lyon : Université Jean Moulin (Lyon 3), 2017. Mémoire soutenu le 05/07/2017.

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Université Jean Moulin – Lyon 3 Faculté des langues Département d’italien

Marine ALLIGIER La costruzione dell’opinione pubblica nel Caffaf è 1764-1766

Mémoire de Master Recherche

Sous la directtion de Pierre GIRARD Professeur des Universités

Année universitaire 2016-2017

Remerciements

J’adresse mes sincères remerciements à Monsieur Pierre Girard pour ses conseils et ses remarques éclairantes, ses précieux encouragements et sa disponibilité.

In copertina : « L’accademia dei Pugni » di Antonio Perego, Collezione Sormani Andreani, 1762. Da sinistra a destra: Alfonso Longo (di spalle), Alessandro Verri, Giambattista Biffi, , Luigi Lambertenghi, , Giuseppe Visconti di Saliceto.

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Indice

Introduzione ...... 6 I. L’origine dell’opinione pubblica nel Caffè ...... 21 A. La Milano del Caffè ...... 22 1. L’appartenenza all’Illuminismo europeo ...... 22 2. Le specificità del contesto milanese rispetto al resto dell’Italia ...... 26 3. Un periodico fra gli altri ? ...... 32 B. Una concezione nuova dell’uomo ...... 36 1. L’emergenza dell’uomo nella sua complessità ...... 36 2. La possibilità di diventare attore ...... 42 3. Degli uomini considerati come cittadini ...... 45 C. Le nozioni di « pubblico » e di « opinione » nel Caffè ...... 49 1. Il rapporto fra il « pubblico » e il « privato » ...... 49 2. Un uso politico dell’opinione pubblica ...... 54 3. Il pubblico del periodico ...... 59 II. I luoghi di costruzione dell’opinione pubblica...... 64 A. Le istituzioni ...... 65 1. Il regime politico ...... 65 2. Il sistema legislativo e giudiziario ...... 69 3. Le classi sociali ...... 73 B. I campi pratici ...... 78 1. L’educazione ...... 78 2. La comunicazione ...... 83 3. L’economia ...... 87 C. Scienza e cultura ...... 92 1. La scienza di Galileo Galilei ...... 92 2. La questione della lingua ...... 97 3. Le arti ...... 103 III. Le condizioni di possibilità di un’azione concreta ...... 110 A. Gli ambiti razionali ...... 111 1. Un uso pratico della ragione ...... 111 2. Una struttura sociopolitica chiara ...... 114 3. La morale ...... 118

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B. Passioni e sentimenti ...... 122 1. Le passioni e gli errori ...... 122 2. I sensi corporali e le sensazioni ...... 126 3. La fantasia ...... 130 C. Il linguaggio ...... 134 1. Il foglio periodico ...... 134 2. La cornice ...... 137 3. Stile e retorica ...... 141 Conclusione ...... 145 Bibliografia...... 148

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« I fogli periodici debbono essere una miniera di tentativi e di suggerimenti, scritti in maniera che lusingando l’amor proprio de’ lettori lascino ad essi il merito più che si può dell’invenzione. L’agricoltura, le arti, il commercio, la politica sono quelle cognizioni che ogni cittadino non manuale dovrebbe meno ignorare; feconde di nuove produzioni possono appagare la curiosità di ciascuno, e più universalmente coltivate conducono alla felicità d’uno Stato. »

Cesare Beccaria1

1 Il Caffè (1764-1766), a cura di G. Francioni e S. Romagnoli, Torino, Bollati Boringhieri, 2005, p. 415. 5

INTRODUZIONE

Affrontare la questione dell'opinione pubblica in relazione al periodico del Caffè, ossia brevi e vari discorsi distribuiti in fogli periodici2 può sembrare paradossale, ma proprio per questo risulta interessante. Il fatto stesso che gli articoli del Caffè siano pubblicati presuppone che ci sia un pubblico già costituito a cui rivolgersi ma allo stesso tempo si vede un’evidente volontà di costruzione di un’opinione pubblica come se non esistesse ancora e come se potesse essere costruita secondo il solo volere dei giornalisti milanesi. Inoltre, ci si chiede se si tratti di una scoperta dell’opinione pubblica o della modificazione di un’opinione pubblica già esistente. Infatti, ci si chiede se si tratti di una costruzione vera e propria di un’opinione pubblica e, addirittura, se una costruzione, processo che implica una volontà esterna che fa da guida, possa essere ritenuta possibile. In altri termini, ci si può anche domandare se è possibile o meno agire su un’opinione pubblica. In questa prospettiva, è interessante cercare di capire se il pubblico destinatario dell’opinione pubblica risulti identico all’ipotetico pubblico preesistente, quale sia la sua natura sociale e se il pubblico sia omogeneo o meno. Inoltre, ci si domanda quale sia il modo di raggiungere questo pubblico, cioè quali siano gli argomenti e come siano trattati, e se non sarebbero i soli argomenti a permettere di raggiungere il pubblico ma anche la struttura retorica dell’opera. Inoltre, nel Settecento, l’Italia geopolitica è frammentata e per lo più sotto dominio altrui, anche se partecipa alla politica internazionale dei grandi conflitti europei. Secondo Mario Infelise, sono proprio i grandi conflitti europei della fine del Seicento che determinano la crescita di interesse nei riguardi delle vicende politiche, il quale si manifesta nella lettura delle gazette a stampa che esercitavano una certa influenza sui lettori.3 Per quanto riguarda Milano, all’inizio del secolo, la città passa dal dominio spagnolo a quello austriaco di Maria Teresa. Il che è interessante perché, in questo modo, gli autori del Caffè intendono l’opinione pubblica all’interno di un regime di dispotismo illuminato, cioè in un regime in cui gli intellettuali influenzano il sovrano assoluto in una politica di riforme. Ci si può allora interrogare sulle modalità dell’opinione pubblica sotto un tale regime, sul ruolo che il periodico milanese dà a quest’opinione pubblica in tali condizioni. L’opinione pubblica nel Settecento è il risultato dell’espressione dell’adesione da parte degli individui a posizioni che riguardano questioni culturali, sociali, politiche, economiche, scientifiche, e più largamente tutte le questioni che

2Il Caffè (1764-1766), a cura di G. Francioni e S. Romagnoli , Torino, Bollati Boringhieri, 2005, 2 vol. [Edizione di riferimento]. 3 M. Infelise, Prima dei giornali. Alle origini della pubblica informazione, Bari, Laterza, 2002, p. 122. e p. 139. 6 riguardano l’organizzazione della società. L’espressione di queste posizioni ha vocazione a influenzare il potere di dispotismo illuminato. John Locke nel Saggio sull’intelligenza umana attribuisce all’opinione pubblica una funzione di controllo nella società stabilendo una distinzione precisa tra la legge morale, espressa dall’opinione pubblica, e la legge civile, che emana dal potere politico. Nel corso dei secoli, la nozione di « opinione pubblica » è evoluta : dal Novecento si pone l’accento sulla perdita sempre più crescente del suo valore democratico a causa dell’influenza dei mezzi di comunicazione onnipresenti. In effetti, la concezione novecentesca dell’opinione pubblica porta a chiedersi in che modo si possa parlare di « opinione » se nella sua costituzione viene indirizzata verso una certa meta e quindi se non è libera scelta di pensiero a partire dalla conoscenza di un luogo del sapere nella pluralità delle sue possibilità di esistenza e di applicazione. In che modo l’opinione pubblica può essere valorizzata e come si può allo stesso tempo costruirla e agire su di essa ? Di conseguenza, ci si può domandare anche come si possa pretendere di esprimere la propria opinione sotto un regime dispotico, seppure illuminato, e se non sia in atto un processo di censura o di autocensura. Infatti, nei confini di un tale regime, se si vorrà conservare la possibilità di esprimersi, si dovrà essere attenti al contenuto dei propri propositi e quindi esercitare un’autocensura affinché non entri in atto un processo di censura statale. Il che implica una necessità di adeguamento rispetto alla tolleranza statale nell’espressione della propria opinione che di conseguenza viene o modificata o espressa implicitamente tramite vari processi retorici. Quest’adeguamento rispetto alla tolleranza statale è una delle caratteristiche dell’« Illuminismo moderato », com’è inteso da Jonathan Israel4, che si accomoda dell’Antico Regime per appunto tentare di riformarlo. In effetti, l’Illuminismo moderato fra cui si evidenzia il Caffè non intende sulla scia dell’Illuminismo radicale tentare una qualsiasi rivoluzione. Il periodico Il Caffè ora raccolto in due tomi che comprendono in totale 137 articoli è stato pubblicato tra il 1764 e il 1766 in 74 fogli periodici e scritti da vari membri dell’« Accademia dei Pugni ». Il che ci permette di sottolineare che non si tratterà di stabilire se l’opera di costruzione dell’opinione sia riuscita o meno presso i lettori del Caffè, appunto perché i due anni di pubblicazione, che manifestano il momento di cristalizzazione dei caffettisti, non permettono da soli di attuare un’impresa così ambiziosa.5 Fin dalla sua

4 J. I. Israel, Les Lumières radicales : la philosophie, Spinoza et la naissance de la modernité, 1650-1750, Paris, Amsterdam, 2005, tradotto da P. Hugues, C. Nordmann e J. Rosanvallon. 5 N. Jonard, au siècle des Lumières, Presses universitaires de Dijon, 1994, p. 131. « Nul doute que les publicistes n’aient aidé une fraction du public à prendre conscience des problèmes contemporains, mais il est non moins certain que le Café n’a pu être à l’origine d’une révolution culturelle quelconque. En eût-il eu le pouvoir 7 pubblicazione, si trovano vari echi del Caffè in altre riviste, come nella Frusta letteraria del Baretti, che tuttavia si limitano a una critica aspra. Nell’Ottocento, alcuni periodici quale il Conciliatore rivendicano una forma di retaggio del Caffè. Nel 1900, Luigi Ferrari6 pubblica un saggio in cui suggerisce che il Caffè abbia avuto un ruolo nella « formazione di un centro di coltura lombarda, che diresse la rivoluzione ed il risorgimento delle lettere in Italia »7, il che indica la consapevolezza di un tentativo di radunare culturalmente un gruppo di persone che avrebbe dovuto avere un ruolo nella storia del proprio paese. Tuttavia lo stesso critico non rende conto dell’aspetto critico del periodico nei riguardi di qualsiasi pensiero che non sia regolato dalla ragione o che sia diretto da un principio di autorità imposta quando indica che esso tratta di « opinioni ed usanze, leggi e credenze, vizi e virtù »8. Allo stesso modo, il critico occulta la varietà dello stile e dei processi retorici del periodico milanese (che permettono tra l’altro di aggirare la censura statale) nonché lo sforzo di offrire ai lettori una riflessione chiara e precisa quanto a questioni della giurisprudenza e quanto alle istituzioni, il che fa sì che non si possano cogliere le peculiarità dell’opera che avrebbero permesso di costruire un’opinione pubblica.9 Di conseguenza, si può dire che la critica si è interessata al Caffè in modo più profondo e più genuino abbastanza recentemente, cioè dalla fine degli anni Cinquanta del Novecento. Si nominerà per primo il critico Franco Venturi che, con il suo notevole saggio « La Milano del Caffè »10 pubblicato nel 1969, sottolinea l’importanza del Caffè nella storia intellettuale di Milano nel Settecento e studia l’inserimento della rivista milanese nell’Illuminismo. Inoltre, quando si trova un saggio sul Caffè ci si trova per lo più confrontati a una riflessione su soltanto una delle tematiche affrontate dal periodico, su una tematica trasversale dell’opera oppure sulla relazione fra uno degli autori con il periodico. Inoltre anche se finora la critica si è interessata a definire l’opinione pubblica nel Settecento11 e

qu’il n’en eût le temps. C’est ce caractère éphémère de la plupart des périodiques qui, ajouté à la faiblesse des moyens de diffusion, explique combien il était difficile à un journaliste qui en avait l’intention de créer un courant d’opinion publique. » 6 L. Ferrari, Del Caffè : periodico milanese del secolo XVIII, Annali della R. Scuola Normale Superiore di Pisa, 1900, vol. 14. 7 Ivi, p. 5. « Nel tempo in che l'Italia settentrionale si faceva promotrice alla intera nazione di una vita nuova, non ebbe parte il Caffè insieme con altri fatti storici, politici e letterari, alla formazione di un centro di coltura lombarda, che diresse la rivoluzione ed il risorgimento delle lettere in Italia? ». 8 Ivi, p. 27. 9 Ivi, p. 112. « Nè il Caffè ci offre trattazioni ampie ed originali dei problemi maggiori del diritto, dell'economia, della scienza sociale; al che sarebbero occorse una maturità e una profondità di studj, che i suoi autori, giovani come erano, ancora non avevano, e una franchezza ed indipendenza di giudizio, che mal si poteva ritrovare in chi tutte le speranze proprie e della patria riponeva nei governanti. » 10 F. Venturi, « La Milano del Caffè » in F. Venturi, Settecento riformatore, vol. I., Torino, Einaudi, 1969, p. 645. 747. 11 S. Landi, Naissance de l’opinion publique dans l’Italie moderne, Rennes, PUR, 2006. 8 anche, in modo più puntuale, nei confronti del Caffè, non si trovano saggi sulla costruzione dell’opinione pubblica nel Caffè. Inoltre, esistono alcune raccolte di articoli del Caffè (si pensa in particolare a quella di Giorgio Roverato12 e all’edizione bilingue italiano/francese a cura di Raymond Abbrugiati13) però non sembrano rilevanti per uno studio preciso del Caffè per diverse ragioni. Il fatto stesso di pubblicare solo alcuni articoli può essere utile per rendere conto di un’idea generale della raccolta ma presume una scelta che non rende conto della varietà degli argomenti trattati e che addirittura lascia da parte alcuni temi fondamentali dell’opera come le questioni che discettano del campo amministrativo e legislativo nell’edizione di Roverato. Oltre a questi problemi intrinseci alle raccolte di articoli scelti, ci si trova davanti a un’altra difficoltà, cioè la perdita della struttura retorica originale molto importante nel Caffè. In effetti, si perde la progressione diacronica e non si evidenziano più gli echi fra gli articoli e le eventuali correzioni da parte degli autori né la messa in scena degli articoli come riassunti delle discussioni che si svolgono in una bottega di caffè e trascritte da Demetrio, padrone di questa bottega. In effetti, l’aspetto diacronico è essenziale nello scopo di costruire un’opinione pubblica appunto perché indica la volontà permanente dei caffettisti di adattarsi per far esistere un’opinione pubblica sempre più modellata secondo i loro criteri. D’altronde, la perdita dell’aspetto diacronico provoca un effetto di sedimentazione che sarebbe nociuto alla costruzione dell’opinione pubblico come processo dinamico. Un altro inconveniente di queste raccolte riguarda ancora una volta la progressione diacronica : l’assenza di alcuni articoli rende difficile e spesso impossibile l’identificazione delle posizioni un po’ divergenti da un articolo all’altro dovute al fatto che gli articoli siano scritti da diversi autori (anche se Pietro Verri, direttore della rivista, controlla sempre il contenuto degli articoli), al fatto che siano scritti da persone giovani nel pieno della loro formazione intellettuale e che sono quindi ancora di più soggette a mutazioni o per lo meno variazioni di pensiero. Ad esempio, cambierà il rapporto di Cesare Beccaria con il pensiero rivoluzionario e ci sono varie riflessioni sul preromanticismo di Alessando Verri durante il periodo romano.14 D’altronde, il periodo storico stesso fa sì che gli autori milanesi scrivano in un contesto europeo in fermento intellettuale e culturale che offre di continuo nuovi spunti di riflessione da cui essi possono essere influenzati. In effetti, negli stessi anni della scrittura e della pubblicazione degli articoli del Caffè vengono pubblicati varie opere fondamentali

12 Il Caffè, a cura di G. Roverato, Treviso, Canova, 1975. 13 Le Café 1764-1766, a cura di R. Abbrugiati, Lyon, ENS Éditions, 1997. 14 D. Consoli, Dall’Arcadia all’Illuminismo, Bologna, Cappelli, 1972, p. 130.

9 dell’Illuminismo come l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert pubblicata fra il 1751 e il 1770 o diverse opere di Rousseau come Du Contrat social e Émile ou de l’éducation, entrambi pubblicati nel 1762. Per finire, il fatto stesso di ripubblicare gli articoli raccolti in tomi mette in evidenza la volontà stessa da parte dei caffettisti di reinstaurare un ruolo diacronico al periodico. Infatti, così facendo, si offre ai lettori la possibilità di leggere tutti gli articoli insieme e quindi di cogliere tutti gli aspetti appena messi in evidenza e fondamentali alla costruzione dell’opinione pubblica. Tuttavia gli studi sul Caffè sono ancora numerosi oggi e l’edizione critica del Caffè a cura di Gianni Francioni e Sergio Romagnoli pubblicata nel 1993 rispetta la struttura originale dell’opera e perciò sarà la nostra edizione di riferimento. In più, il confronto tra le raccolte di articoli scelti e l’edizione di Francioni e Romagnoli risulta utile per capire meglio alcuni aspetti della rivista. In effetti, ogni articolo è stato classificato da Pietro Verri in categorie definite al momento della pubblicazione degli articoli in tomi alla fine di ogni annata. E se si paragona la classificazione del Verri con quella compiuta nell’edizione del Roverato, ci si accorge che gli articoli non si trovano nelle stesse categorie. Per esempio, il primo articolo del periodico « Storia naturale del caffè » è collocato in « Di economia pubblica » da Roverato mentre nell’edizione originale si trova in « Di agricoltura, storia naturale e medicina », il che può indicare che, in realtà, tutti i campi del sapere sono legati nel Caffè per accedere a una conoscenza e una comprensione più globali. Di conseguenza si tratta di un’opera non riassumibile se non a danno di una comprensione globale e vera dell’opera perché la forma stessa del riassunto farebbe anch’essa perdere l’aspetto diacronico essenziale alla nostra riflessione sulla costruzione dell’opinione pubblica. Infatti gli autori della rivista milanese trattano di « Cose varie, cose disparatissime »15, cioè di argomenti che riguardano sia questioni economiche, come il lusso, il commercio o l’agricoltura, sia questioni culturali e letterarie, come il teatro, la musica, la lingua, sia questioni di scienze generali e quotidiane, come la medicina o la scienza di Galileo, che questioni morali ed etiche, come l’ambizione o la vendetta. Quindi ci si chiede perché quest’opera ha avuto una certa fama subito dopo la sua pubblicazione (alcuni articoli sono tradotti in francese e in tedesco e pubblicati nella Gazette littéraire de l’Europe fin dal 1766) e nei secoli successivi fino a oggi. Per il modo di presentare le sue idee ? Per il fine delle sue pubblicazioni ? Gli argomenti affrontati nel Caffè sono intrinseci all’Illuminismo. In effetti, sono argomenti che fanno parte della tradizione europea settecentesca dimostrando una nuova

15 Il Caffè, op. cit., p. 11. 10 attenzione all’uomo e al suo ruolo nella società. Sono trattati sia a Milano che in altre regioni d’Italia e in Europa e sia in altre riviste come la Frusta letteraria del Baretti che in altri generi letterari anche brevi e che raggiungono perfino un pubblico di non soli intellettuali come le odi pariniane. Di conseguenza, dal punto di vista tematico, si deve considerare il Caffè una rivista tra altre e ci si deve interessare ad altri aspetti per capire meglio la sua peculiarità nella costruzione dell’opinione pubblica come la messa in scena degli articoli. Quando ci si interessa all’organizzazione del periodico milanese, cioè all’organizzazione degli articoli fra di loro e all’organizzazione interna degli articoli, ci si accorge che quest’opera comprende diversi livelli retorici messi in scena dagli autori e soprattutto da Pietro Verri al servizio di una strategia interna. In effetti, strutturando la loro opera quasi fosse un resoconto delle discussioni tenute nel bottega di Demetrio, i filosofi milanesi tentano di instaurare con i lettori una relazione fra propri simili. Infatti, con l’Illuminismo si assiste a una nuova concezione della conoscenza. In effetti, Walter Binni sottolinea che il Caffè è partecipe dell’Illuminismo quanto al suo carattere sperimentale, pur avendo fede nel potere della ragione e rifiutando l’erudizione mnemonica.16 Come spiega Philippe Audegean17, non si tratta più di insegnare qualche conoscenza ma piuttosto di trasformare il rapporto con la conoscenza che necessita un cambiamento del rapporto col sapere. Infatti, nel Caffè il sapere è considerato in un rapporto orizzontale : le discussioni dei caffettisti giungono alla produzione di un articolo a sua volta discusso dai lettori che hanno un ruolo essenziale, cioè quello di legittimare la pubblicazione18. Questa collaborazione permette di radunare persone con interessi culturali diversi ma con lo stesso intento di contribuire al rinnovamento della cultura italiana. Il rapporto orizzontale si sostituisce a un rapporto verticale che imponeva un sapere che non aveva vocazione a essere discusso ma a essere integrato e la cui legittimazione proveniva dall’autorità che lo imponeva. La sfida dell’insegnamento risiede quindi nel fatto che il contenuto insegnato non deve essere percepito come l’oggetto dell’insegnamento. Così il lettore deve sviluppare da solo quello che Beccaria chiama uno « spirito di lettura », cioè una capacità a ricevere un sapere, tramite la lettura, pur rimettendolo in discussione.

16 W. Binni, « Illuminismo, sensismo, preromanticismo nel Caffè », in W. Binni, Preromanticismo italiano, Napoli, ESI, 1959, p.80. 17 P. Audegean, « Lo spirito di lettura. L’usage public de la lecture du Caffè au Conciliatore », in (a cura di) P.C. Buffaria e P. Grossi, Il giornalismo milanese dall’Illuminismo al Romanticismo, Paris, Cahier de l'Hôtel de Galliffet, 2005, p. 125. 142. 18 Il Caffè, op. cit., p. 30. « Chiunque compera il vostro foglio ha comperato il diritto di dirne e di farne quel che gli piace. » 11

Questa strategia sembra costituire una parte dello scioglimento del paradosso iniziale rispetto alla costruzione dell’opinione pubblica. In effetti, la struttura narrativa dell’opera e la strategia retorica permettono di raggiungere un certo pubblico e di modificare il suo atteggiamento verso la lettura appunto nel momento in cui ci si rivolge a lui. In effetti, le lettere di finti lettori integrate tra gli articoli oppure il fatto stesso di dichiarare fin dall’Introduzione che la pubblicazione continuerà finché « il favorevole giudizio del pubblico continuerà a dar lena a questo periodico lavoro »19 spinge il lettore a inserirsi in un rapporto orizzontale col sapere in cui avrà un ruolo da assumere. Di conseguenza, si capisce che i caffettisti sono consapevoli della necessità di rendere i loro lettori capaci di ragionare da sé e di discutere un sapere, cioè di avere un’attitudine attiva rispetto alla conoscenza, per costruire un pubblico capace di capire un’opinione pubblica e di promuoverla, diventando attivo nella sua costruzione. In questa prospettiva, ci si può chiedere quale ruolo venga dato all’opinione pubblica nel periodico milanese. Durante la lettura dell’opera, si notano numerose occorrenze di diverse parole tra cui la parola « pubblico » ma quest’occorrenza non è straordinaria per l’epoca. Secondo Sandro Landi, l’occorrenza di questa parola nel Settecento europeo costituisce un indizio o un fattore di cambiamento profondo che investe la nozione di sovranità, la rappresentazione del potere e le forme della comunicazione politica.20 Di conseguenza, anche se l’occorrenza non è straordinaria per l’epoca, indica tuttavia un atteggiamento caratterizzato dalla volontà di cambiamento in una dimensione pubblica e politica. Il valore e il significato della parola sono cambiati : « pubblico » non significa più « comune a tutti » ma piuttosto « che riguarda la collettività », cioè che riguarda una forma studiata del vivere insieme nella società e non solo una somma di individui considerati nel loro insieme senza tener conto dei loro rapporti. Inoltre, il fatto che la parola « pubblico » sia usata molto di più rispetto al secolo precedente può essere messo in relazione con la volontà di contestazione dell’assolutismo in Europa. Di conseguenza, riveste un ruolo e un valore politico già per il solo fatto di essere usata. Bisogna tenere in mente la situazione geopolitica della penisola italiana alla metà del Settecento e chiedersi come considerare la nozione di « pubblico » e a quale fine. Ci si chiede anche come la parola « pubblico » deve essere capita, se deve essere capita in opposizione alla nozione di « privato », come complementare a questa nozione oppure se deve essere capita come relativa a un territorio determinato concepito come nazione, il territorio milanese, quello della

19 Ivi, p. 5. 20 S. Landi, « « Pubblico » e « opinione pubblica » : osservazioni su due luoghi comuni del lessico politico italiano del Settecento », in Cromohs, 13, 2008, http://www.fupress.net/index.php/cromohs/article/view/15496/14724. 12 penisola italiana o addirittura quello europeo. La parola « pubblico » può essere intesa anche come antonimo di occulto, cioè segreto, tenuto nascosto. Su questa scia, ci si può vedere di nuovo un uso politico nel senso di strategia di azione di questa parola, cioè se non un uso propagandistico, almeno un uso che si svolge all’interno di condizioni concesse (anche non esplicitamente) dal potere che così strumentalizza l’uso della parola « pubblico ». Ci si può anche domandare se si può ancora avvicinare quest’aggettivo a una dimensione universale, cioè comune a tutti. Adesso che si sono intravisti i diversi modi di capire la nozione di « pubblico », sembra opportuno interessarsi ad un’altra occorrenza vale a dire la nozione di « opinione » e alla relazione di quest’occorrenza con il concetto di « pubblico ». Infatti ci si chiede se e come un’opinione, che rileva quindi dell’ambito personale, può essere pubblica. In effetti, secondo Pierre Bourdieu, pensare che « esista un’opinione pubblica come pura addizione di opinioni individuali è un’illusione ». In effetti, secondo lui, « l’opinione pubblica è un artificio vero e proprio la cui funzione consiste nel dissimulare il fatto che lo stato dell’opinione, in un determinato momento, sia un sistema di forze, di tensioni »21. Si può obiettare a questa riflessione dicendo che la costruzione dell’opinione pubblica nel Caffè sembra appunto una volontà di superare questo sistema di forze e di tensioni di opinioni personali per tentare di farle coincidere in un’opinione pubblica capita e discussa. Tuttavia, anche nel Caffè, non si considera l’opinione pubblica come pura somma di opinioni personali, peraltro viste in modo negativo, mentre l’opinione pubblica è vista in modo positivo e voluta come risultato di ragionamenti che permettano di superare le divisioni. Di conseguenza, proprio come l’uso della parola « pubblico », quello dell’espressione « opinione pubblica » è incontestabilmente politico, in quanto risulta l’oggetto di una strategia. In effetti, anche per la parola « opinione » bisogna pensare alla situazione politica e culturale milanese e italiana e chiedersi come mai e con quale scopo in una situazione di dominazione estera si ritiene importante il fatto di avere la propria opinione in un ambiente pubblico. La parola « opinione » è oggetto di varie definizioni che determinano il suo uso fin dall’Antichità e torna utile considerarne alcune definizioni per capire di più le sue peculiarità nel Caffè. La parola « opinione » viene dal greco δόξα (doxa) che secondo il vocabolario Bailly22 significa l’« opinione », il « parere » o il « giudizio » e la parola δόξα viene dal greco δοκέῶ (dokéo) che significa « sembrare », « parere » o « avere l’impressione ». Nella

21 P. Bourdieu, « L’opinion publique n’existe pas », in P. Bourdieu, Questions de sociologie, Paris, Les Editions Minuit, 2002, p. 222. 235. 22 A. Bailly, Dictionnaire grec/français, Paris, Hachette, 1950, p. 527. 13

Repubblica, Platone concepisce la δόξα, cioè l’opinione, in antitesi all’ἐπιστήμη (episteme), cioè alla scienza : l’opinione rientra nel campo del sensibile e quindi dell’immaginazione e della credenza mentre la verità rientra nel campo dell’intelligibile e quindi delle verità mediate dalla ragione e delle verità supreme, quale la filosofia, concepita come sola vera scienza.23 L’opinione nella Repubblica risulta quindi negativa rispetto al sapere scientifico, quando prende l’apparenza della certezza, ma Platone stesso nel Menone riconosce alle opinioni oneste la facoltà di chiarire l’azione umana e quindi riconosce una certa utilità alle opinioni.24 Inoltre secondo Platone, ognuno possiede un’opinione mentre la scienza è facoltà di pochi25. In effetti, l’opinione può essere positiva e non degrado della scienza quando risulta il frutto di un ragionamento basato su conoscenze. Di conseguenza, le opinioni positive sono quelle di chi è in possesso di conoscenze ed è in grado di ragionare. Nel Caffè, si parte dal presupposto che tutti possono avere un’opinione per dare l’illusione di rivolgersi a tutti (anche se si vedrà che le opinioni della popolazione non istruita sono ritenute valide solo in certe circostanze) e i caffettisti riconoscono l’utilità dell’opinione anche se le modalità del suo uso sono diverse rispetto all’uso greco. Per i Greci, l’opinione viene considerata utile in ambito personale in quanto permette di cercare di dare una spiegazione a certi fatti nella speranza di giungere a una conoscenza vera e propria convalidata da un’autorità verticale spesso religiosa. Invece, i giornalisti del Caffè considerano l’opinione in un rapporto orizzontale definito poi da Kant26, si tratta di uscire dallo stato di minorità caratterizzato dall’eteronomia per giungere allo stato di maggiorità caratterizzato dall’autonomia, cioè dalla capacità di servirsi del proprio intelletto. Non si tratta più di volgersi verso un’autorità verticale ma di guardarsi attorno usando il proprio intelletto per farsi un’opinione personale e possibilmente condividerla e confrontarla con l’opinione degli altri. L’opinione personale sarebbe quindi un prerequisito al confronto con l’opinione personale degli altri e un’opinione pubblica. Tuttavia, allo stesso tempo, uno degli scopi del Caffè è appunto di educare il proprio pubblico per permettergli di concepire la propria opinione ma il fatto stesso di rivolgersi a lui presuppone

23 Platon, La république, Paris, GF Flammarion, 2004, tradotto da G. Leroux, p. 354. 355. 24 Platon, Ménon, Paris, GF Flammarion, 1967, tradotto da E. Chambry, p. 371. « Socrate : L’opinion droite n’est donc en rien inférieure à la science, ni moins utile en ce qui concerne nos actions, et l’homme qui a une opinion vraie ne le cède point à celui qui a la science. » 25 Platon, Timée, in Œuvres complètes, Tome X, Paris, Les belles lettres, 1985, tradotto da A. Rivaud, p.170. 171. « Il faut dire encore qu’à l’opinion, tout homme participe, qu’à l’intellection, au contraire, les dieux ont part, mais des hommes, une petite catégorie seulement. » 26 I. Kant, Qu’est-ce que les Lumières ?, Paris, Gallimard, 1985, [1784], p. 497. « Qu’est-ce que les Lumières ? – La sortie de l’homme de sa minorité, dont il porte lui-même la responsabilité. La minorité est l’incapacité de se servir de son propre entendement sans la direction d’autrui […]. » 14 che sia già in grado di capire un ragionamento o di farsi la propria opinione. Ora si tratterà di capire il legame tra questa concezione dell’opinione e il suo uso nel periodico milanese. Come si è detto, per i caffettisti, l’opinione è un tipo di giudizio notevolmente rispettabile che permette agli uomini di essere utili alla società. Il concetto dell’« utilità » è da capire nel Caffè nell’ambito pubblico come ciò che legittima un’azione o una riflessione o come mezzo per giungere a uno scopo collettivo come quello della felicità pubblica. Questo concetto permette di spostare l’attenzione da chi governa ai sudditi. Infatti, ci si rende conto che, nel Caffè, ogni azione è e deve essere pensata non in quanto è suscettibile di essere fonte della propria salvezza ma in quanto serve l’obiettivo della felicità pubblica. L’utilità è progettata in un ambito sociopolitico nel periodico milanese : tutto è giudicato secondo ciò che potrà portare di positivo al livello collettivo dell’entità statale. Il progresso sociale e quello politico, che costituiscono le poste in gioco del dispotismo illuminato, sono considerati insieme nella rivista milanese : il miglioramento delle condizioni di vita nella società è concepito in stretto rapporto con l’uso politico che si potrà fare di esso, cioè sarà il beneficio tratto dal miglioramento delle condizioni di vita a permettere allo stato di considerare azioni concrete. Infatti, i filosofi milanesi sono consci che senza progresso sociale il potere politico non potrà agire a lungo e perciò questo progresso diventa indispensabile perché cambino le cose al livello statale. Il ruolo degli intellettuali nel dispotismo illuminato permette di rendere a loro volta i despoti consci di questa necessità. Si intravede qua la doppia strategia politica della rivista : si cerca insieme di costruire un’opinione pubblica e di fare in modo che essa possa influenzare il principe, nel senso di chi governa, e che non siano più soltanto gli intellettuali a influenzarlo. A questo punto sembra opportuno analizzare come Pietro Verri nell’Introduzione al primo numero del periodico espone chiaramente la volontà dei caffettisti pur facendo uso delle strategie di comunicazione evocate prima :

Cosa conterrà questo foglio di stampa ? Cose varie, cose disparatissime, cose inedite, cose fatte da diversi autori, cose tutte dirette alla pubblica utilità. Va bene: ma con quale stile saranno eglino scritti questi fogli ? Con ogni stile, che non annoi. [...] Qual fine vi ha fatto nascere un tal progetto ? Il fine d’una aggradevole occupazione per noi, il fine di far quel bene, che possiamo alla nostra

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patria, il fine di spargere delle utili cognizioni fra i nostri cittadini, divertendoli, come già altrove fecero e Steele, e Swift, e Addison, e Pope, ed altri.27

La vivacità di espressione e la concisione di questo brano dell’Introduzione sono una doppia illustrazione del nostro proposito. Il fatto di scrivere delle domande come se un lettore potenziale le avesse fatte e rispondervi costituisce una tecnica retorica molto efficiente nel mantenere viva l’attenzione dei lettori. Inoltre, l’efficacia del discorso risiede anche nello stile chiaro, conciso e preciso : in poche righe, il lettore può farsi un’idea del contenuto, dell’obiettivo del periodico, del suo stile, dei suoi modelli. Il lettore si aspetta fin dall’inizio a trovarsi davanti a una molteplicità di tematiche, sa che lo scopo del periodico è diretto al progresso sociale e che ogni pubblicazione sarà giudicata a monte dagli scrittori milanesi e più precisamente da Pietro Verri secondo il criterio dell’utilità e in particolare dell’utilità pubblica, cioè per un’entità collettiva e per i suoi cittadini. Inoltre, è interessante notare che viene evocata l’idea di patria, anche se questo brano non basta a determinare di quale patria si tratta. Eppure ciò provoca nel lettore un senso di appartenenza a una nazione nella quale potrà agire in un’epoca in cui l’appartenenza a un regno o a qualunque entità statale può cambiare nel giro di pochi anni per qualsiasi italiano senza che vengano nemmeno interpellati. Infatti, il cittadino è considerato nella sua individualità ed è appunto al livello individuale che si può e si deve accedere alla conoscenza grazie tra l’altro alla lettura di periodici. Possiamo anche aggiungere che già dalla lettura dell’Introduzione, il lettore sa quali sono le fonti di ispirazione dei lettori, cioè modelli stranieri del primo Settecento dell’Illuminismo e in questo caso dell’Illuminismo inglese come quello dello Spectator diretto da Addison e Steele. Si può in più notare che, siccome il lettore conosce l’obiettivo del periodico anche prima della lettura stessa degli articoli, esso si trova in grado di capire come ogni articolo si inserisce in una prospettiva globale e quindi si trova costretto a sua volta a inserirsi in una considerazione del momento politico nella sua pluralità di questioni. In questa prospettiva, si capisce come il Caffè si pone oltre le contraddizioni apparenti di occasionali divergenze di posizione con la volontà di essere utile non solo nel trasmettere delle conoscenze ma anche nel rendere a sua volta il lettore, che ha acquisito certe conoscenze, utile alla società in quanto potrà essere se non promotore almeno sostenitore di cambiamenti proposti dal potere illuminato. In questa prospettiva, diversi campi del sapere sono ritenuti essenziali da diffondere presso i lettori per permettere loro di avere una conoscenza più precisa nello scopo della costruzione

27 Il Caffè, op. cit., p.11. 16 dell’opinione pubblica. Di conseguenza ora si vedrà in quali campi del sapere si riterrà possibile e importante agire. In effetti, anche se gli argomenti trattati dal Caffè non sono gli unici fattori della fama della rivista non possiamo non considerarli degni di attenzione. Infatti, essi hanno un’importanza rilevante in diversi luoghi del sapere e in particolare nel settore sociopolitico, nel settore scientifico e nel settore culturale e letterario. La scelta degli argomenti dimostra la volontà dei caffettisti di investire ogni campo del sapere che abbia un’utilità nella costruzione di un progetto collettivo quale la costruzione dell’opinione pubblica, il che non significa che i filosofi milanesi non si interessano al lettore in quanto individuo.28 Bensì, viene proposto un vero e proprio studio dell’uomo nel Caffè affinché i lettori possano conoscere e riflettere su ciò che costituisce ogni essere umano, i suoi bisogni fisici, emozionali e sociali. Questo studio è essenziale perché permette di evidenziare il fatto che gli elementi fondamentali alla costituzione di ogni individuo abbiano a che fare con una dimensione collettiva in cui l’individuo si esprime e che regola i rapporti umani e la vita in società. Inoltre, questo studio è rilevante anche per quanto riguarda la volontà di costruire un’opinione pubblica : la stesura del Caffè è pervasa dallo studio dell’uomo in quanto individuo, il che permette di raggiungere i lettori prima nella loro individualità affinché trovino un interesse a contribuire a un progetto che miri a migliorare la dimensione collettiva. Come spesso nel Caffè, gli scrittori milanesi investono i campi del sapere sia a livello teorico che pratico. Ogni argomento viene trattato per essere inteso dai lettori perché possano insieme agire al livello individuale e capire il perché di quest’azione e la sua importanza al livello statale e collettivo. Anche in questo caso si constata un legame orizzontale coi lettori : infatti si tratta di una finzione teorica che consiste a fare come se il pubblico esistesse proprio per costruirlo. Di conseguenza, il pubblico della rivista costituisce un obiettivo da costruire e da rianimare costantemente. Proprio per questo, i caffettisti ritengono fondamentale che ogni argomento non solo sia capito dai lettori ma sia anche rivolto almeno in parte direttamente a loro in quanto individui. Per esempio, la questione del lusso non è trattata solo per la sua importanza nella vita economica ma anche dal punto di vista morale perché ogni persona possa se non identificarsi nell’articolo almeno sentirsi attiva nella comprensione dell’argomento e a sua volta sentirsi promotrice dell’argomento. Nel settore sociopolitico, gli autori milanesi si rivolgono sia ai sovrani sia ai loro lettori-sudditi con la

28 Ivi, p. 415. « L’agricoltura, le arti, il commercio, la politica sono quelle cognizioni che ogni cittadino non manuale dovrebbe meno ignorare; feconde di nuove produzioni possono appagare la curiosità di ciascuno, e più universalmente coltivate conducono alla felicità d’uno Stato. » 17 medesima intenzione : fare in modo che i cambiamenti richiesti e in atto siano capiti da tutti. Ed è appunto questo modo di fare che riflette la particolarità del Caffè : rendere accessibile a più persone possibile un contenuto in modo che possano farne un uso concreto, portare la luce della conoscenza e rendere la gente utile al livello dell’entità collettiva. La questione della lingua in particolare è stato oggetto di vari studi nel Settecento e anche all’interno del Caffè i cui autori hanno una posizione molto critica e decisa sul rinnovamento che deve essere intrapreso per quanto riguarda la concezione della lingua e il suo uso. Inoltre, nel campo scientifico, i caffettisti presentano Galileo Galilei e seguono la tradizione settecentesca di divulgazione delle sue teorie ma non si limitano a questo e provano a dare ai lettori gli elementi che permettono loro di usare la scienza in campi pratici e precisi del sapere scientifico per esempio per usufruirne come base per le cure mediche invece di abbandonarsi alla superstizione. È opportuno notare da adesso che i valori messi in evidenza dai caffettisti nei singoli campi del sapere sono spesso anche da considerare sia per altri campi del sapere che come atteggiamento promosso per i lettori. Oltre agli argomenti, il processo retorico del Caffè è molto potente. Verrà considerato quale un elemento fondamentale della volontà di costruzione di un’opinione pubblica attraverso il Caffè perché rappresenta l’elemento fondatore e basilare della coerenza del periodico milanese anche se può costituire per i lettori e per gli studiosi un’altra difficoltà da superare per una buona comprensione dell’opera. Fatta eccezione per alcuni, gli articoli del Caffè hanno un valore minore se li si studia singolarmente al di fuori della cornice della rivista. Infatti, il loro valore sembra risiedere proprio nella loro esistenza in seno alla cornice e nella relazione che intrattengono fra di loro e che contribuisce a un rapporto orizzontale con i lettori. La forma del periodico viene considerata fondamentale per capire il messaggio dell’opera intera e il suo fine perché rispecchia appunto la volontà di far nascere una forma adatta allo scopo dell’opera. Sembra che sia stata la struttura stessa dell’opera ad aver permesso agli autori milanesi di raggiungere il loro fine sociopolitico e un pubblico più ampio rispetto ad altre forme di scrittura. Infatti, gli autori del Caffè hanno quasi tutti scritto opere di un altro genere (trattati, storie, meditazioni, ecc), fra cui alcune sono anche il frutto di un metodo di lavoro collettivo. Tuttavia, anche se hanno avuto un’eco altrettanto importante quanto la rivista del Caffè presso gli ambienti illuminati d’Europa, queste opere non hanno raggiunto lo stesso pubblico del Caffè e quindi non hanno avuto lo stesso ruolo sociopolitico. Il che si può in parte spiegare dal metodo collettivo di lavoro del Caffè che ha permesso di proporre argomenti più vari all’interno della stessa opera, ma soprattutto dalle scelte retoriche fatte durante la stesura. D’altronde, lo stesso Pietro Verri nella corrispondenza col fratello

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Alessandro rimpiange a lungo l’epoca dell’« Accademia dei Pugni » che avrà fine insieme alla rivista. Tuttavia, ci si chiede se la retorica, elemento metalinguistico, può essere individuata da sola come elemento usato per la costruzione dell’opinione pubblica dagli scrittori milanesi. Infatti si capisce agevolmente che anche se la si può considerare un elemento essenziale nel Caffè, ci devono essere altri aspetti rilevanti per agire concretamente. In questa prospettiva, bisogna interessarsi ai mezzi concreti, che avrebbero permesso ai periodici di attuare la costruzione dell’opinione pubblica attraverso il Caffè, che siano linguistici, retorici, scientifici, sociali o cognitivi. Pare appunto che i mezzi che rendano possibile la creazione di un’opinione pubblica come quella voluta dai caffettisti rispecchino l’apertura della rivista proprio per la loro varietà. Questi mezzi sono usati sia per raggiungere il pubblico della rivista milanese che per offrirgli punti di riferimento nel giudicare a monte le proprie azioni e a valle nell’agire stesso. Inoltre, la varietà di questi mezzi sembra tradurre una volontà di considerare l’uomo nella pluralità delle sue facoltà. In effetti, lungo tutta l’opera si ritrovano topoi dell’Illuminismo europeo come l’utilità, la ragione e la chiarezza delle regole che determinano l’ambiente in cui si vive, sempre considerati a breve termine e in ambiti pratici anche se a volte ci si trovano tentativi di teorizzazione. Questi topoi sono considerati universali per tutti gli uomini poiché si basano su criteri definibili nello stesso modo per tutti. Tuttavia per raggiungere il pubblico vengono usati altri mezzi che insistono sull’individualità, cioè sul fatto che ognuno possa essere portato a giudicare qualcosa o essere convinto da qualcosa a seconda della sua sensibilità. I caffettisti promuovono anche la sensibilità in quanto mezzo utile per accedere alla conoscenza. In effetti, è tramite i sensi corporali e le emozioni che l’individuo si sente coinvolto in qualche riflessione che gli permette di prendere posizione. Inoltre, gli errori sono ritenuti utili in quanto permettono di esprimere un giudizio e la sensibilità è perfino riconosciuta « la più bella qualità dell’uomo » da Alessandro Verri.29 In alcuni articoli come quello di Luigi Lambertenghi « Sull’origine e sul luogo delle sepolture », l’attenzione teorica ai sentimenti giunge a riflessioni riprese poi dal Romanticismo. Di conseguenza, si può dire che questi mezzi appena evocati sono per alcuni propri al Caffè, per altri propri all’Illuminismo europeo e italiano ma sembrano anche essere elementi precursori delle tradizione posteriore del Romanticismo. Si può dire che la strategia del Caffè - sia al livello politico che retorico, sia nelle condizioni ritenute fondamentali per agire concretamente che per i campi del sapere sviluppati

29 Ivi, p. 464. « La più bella qualità dell’uomo è quella di essere uomo, cioè di essere sensibile ai mali degli uomini, di essere buono, benefico, compassionevole e discreto; l’aver dello spirito e delle cognizioni è una qualità secondaria. » 19

- sembri permettere di trovare una via di uscita al paradosso iniziale. Infatti pare che appunto questi elementi permettano agli scrittori del Caffè allo stesso tempo di partire dal postulato che esista già un’opinione pubblica per appoggiarsi a essa e per indirizzarla in una certa direzione. In che misura si può affermare che i filosofi del Caffè costruiscono, senza tuttavia imporla, un’opinione pubblica che abbia vocazione a evolversi duttilmente e che tenga conto della pluralità delle problematiche che determinano l’individuo e la società, essendo stimolata in permanenza e ancorandosi storicamennte al contesto del Ducato di Milano tra il 1764 e il 1766 ? Per affrontare questa domanda, converrà prima stabilire l’origine dell’opinione pubblica nel Caffè osservando il contesto sociale, politico, culturale e letterario nel quale si innesta nel Ducato di Milano fra il 1764 e il 1766. Il che ci porterà ad analizzare come i caffettisti considerano gli uomini e quale ruolo venga dato loro. Queste analisi ci condurranno a circoscrivere l’espressione « opinione pubblica » e a definire le sue poste in gioco nel Caffè. La determinazione dell’origine dell’opinione pubblica nel Caffè ci porterà in un secondo momento ad analizzare in quali campi del sapere si educano i cittadini per costruire l’opinione pubblica dei caffettisti. In questa prospettiva, si analizzerà in che modo la costruzione dell’opinione pubblica spinge a riflessioni riguardo alle istituzioni che regolano la vita in società e a dedicare un’attenzione particolare a luoghi di costruzione pratici dell’opinione pubblica. Il che ci porterà a mettere in evidenza come le riflessioni sul ruolo della cultura e delle scienze pur ereditando da quelle riguardo alle istituzioni e ai campi pratici, insieme le promuovono e permettono la loro evoluzione. Tuttavia l’analisi dei luoghi di costruzione dell’opinione pubblica non basta a determinare le condizioni di possibilità della costruzione stessa dell’opinione pubblica e del suo mantenimento, in quanto oggetto destinato a evolvere. In effetti, in un terzo momento, si analizzerà come i caffettisti propongono e insieme mettono in pratica una riflessione sul ruolo da una parte della ragione e dall’altra delle passioni e dei sentimenti e come la sintetizzano, tramite l’uso del linguaggio. Si tratterà infine di capire come questa riflessione mira a educare i propri lettori riguardo ai loro meccanismi di conoscenza per attuare la costruzione dell’opinione pubblica voluta dai caffettisti.

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I. L’ORIGINE DELL’OPINIONE PUBBLICA NEL CAFFÈ

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A. La Milano del Caffè

1. L’appartenenza all’Illuminismo europeo

Per capire la peculiarità del Caffè, bisogna prima vedere come esso si inserisce nel movimento dell’Illuminismo che pone le basi tematiche e filosofiche della riflessione propria ai caffettisti e permette loro di usare queste basi per oltrepassare la sola riflessione e proporre un’azione concreta in un territorio concreto, il territorio milanese di cui sono originari. Innanzitutto si cercherà di dare una definizione dell’Illuminismo anche se si deve essere consci dell’instabilità del concetto stesso. Per quanto riguarda l’etimologia della parola « Illuminismo », si può dire che è derivata dal verbo « illuminare », per calco del tedesco « Aufklärung ». Tuttavia, ancora prima di proporre una definizione dell’Illuminismo, sembra opportuno riferirsi a Paul Hazard per capire com’è nato questo movimento. In effetti, Paul Hazard evoca « una crisi nella coscienza europea » che conduce a una civiltà non più fondata sull’idea del dovere ma sull’idea di diritto.30 Per definire l’Illuminismo si potrebbe parlare di un movimento sei e settecentesco di idee che raduna vari pensatori, ognuno con le proprie concezioni dovute alla diversità delle culture e dei regimi, provenienti dall’Europa intera intorno a una riflessione generale sui diritti. Ma oltre a queste differenze semantiche e geografiche, si può aggiungere che ogni paese sviluppa le proprie teorie concettuali e le proprie pratiche rispetto a temi propri e in periodi diversi anche se gli intellettuali sono a conoscenza delle teorie svolte negli altri paesi. Il francese costituisce la lingua egemone usata dagli intellettuali europei anche se alla fine del Settecento si nota l’espansione dell’inglese come lingua comune. Inoltre, l’Illuminismo è un movimento politico la cui forza risiede nel rendere concreto ciò che è stato teorizzato da molto tempo : si riprende la filosofia antica, si considera l’umanità nella propria storia e si prova ad applicare in politica principi antichi quale l’uguaglianza fra gli uomini. Su questo punto, il Caffè si distingue in una certa misura dalla tradizione illuministica raccomandando la necessità del nuovo e schierandosi contro tutto ciò che si richiama a una tradizione passata. L’Illuminismo è un movimento complesso proprio per la molteplicità dei campi legati tra di loro in un periodo in cui gli intellettuali tendono a specializzarsi in campi precisi. Alcuni pensatori sono consci della complessità del

30 P. Hazard, La crise de la conscience européenne, Paris, Le livre de Poche, 1994, p. 5. « Alors une crise s’est opérée dans la conscience européenne entre la Renaissance, dont elle procède directement et la Révolution française, qu’elle prépare, il n’y en a pas de plus importante dans l’histoire des idées. À une civilisation fondée sur l’idée de devoir, les devoirs envers Dieu, les devoirs envers le prince, les « nouveaux philosophes » ont essayé de substituer une civilisation fondée sur l’idée de droit : les droits de la conscience individuelle, les droits de la critique, les droits de la raison, les droits de l’homme et du citoyen. » 22 periodo in cui si iscrivono, il che si vede nel primo tentativo di definizione dell’Illuminismo proposto da Kant nella risposta alla domanda « Che cos’è l’Illuminismo ? » nel 1784. Secondo Kant, il motto dell’Illuminismo può essere riassunto nell’espressione « Sapere aude ! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza ! ». Infatti la forza dell’Illuminismo sembra risiedere nel proporre e nell’incitare gli uomini a essere consapevoli della loro capacità a farsi coraggio per uscire dallo stato di minorità di cui si è responsabili a causa della mancanza di decisione e di coraggio e a servirsi del proprio intelletto senza esser guidati da qualcun altro.31 Inoltre, anche i caffettisti si dimostrano coscienti di un cambiamento notevole dei costumi del loro secolo.32 Nel Caffè, la parola « Illuminismo » è assente del tutto però ci si trovano varie parole derivate quale « illuminato » nelle espressioni « illuminato legislatore » oppure « illuminato osservatore », il che indica il fatto che il movimento sia già stato integrato nella pratica. Il termine traduce un’idea già presente durante il secolo precedente, il Seicento, del bisogno di far luce su tutto ciò che è pervaso dall’oscurità che, di conseguenza, impedisce lo sviluppo del pensiero razionale e della capacità di portare un giudizio. In seguito allo sviluppo di quest’idea, si assiste nel Settecento a una volontà di rinnovamento radicale che si manifesterà in Europa in generale scuotendo alle basi antiche certezze, portando modi di pensare e descrivere la molteplicità dell’esperienza umana. In certe parti d’Europa, come in Francia o a Napoli, questa volontà di rinnovamento radicale si manifesta con proposte di riforme che sono potute essere accolte e sperimentate grazie tra l’altro alla trasformazione dei costumi e delle idee e alla volontà di costruzione di un’opinione pubblica in grado di ricevere e discutere queste proposte. L’intento del periodico del Caffè a Milano sarà appunto di attuare riforme nel Ducato di Milano. Tuttavia, oltre a queste considerazioni generiche sull’Illuminismo e nonostante la frammentarietà di questa corrente a scala europea, si può anche individuare tematiche comuni all’Illuminismo europeo. In effetti, queste tematiche fanno già parte della tradizione europea e si trovano alla base della riflessione dei giornalisti milanesi. Notiamo per primo il principio di autonomia della ragione teorizzato poi da Kant e che è promossa nel Caffè con esempi concreti come quello della formazione di un buon medico. Infatti nell’articolo « La medicina », Pietro Verri richiede al giovane medico una « preparazione alle scienze » durante

31 I. Kant, Qu’est-ce que les Lumières ?, op. cit. 32 Il Caffè, op. cit., p. 257. « Tanto avrei io da temere se non fossi nato nel secolo decimo ottavo, in cui pare che l’uman genere vada sempre più rendendosi degno dell’addiettivo di ragionevole [...]. In questa luce di scienze, che sfavilla e cresce fra le nazioni d’Europa, divengono più dolci i costumi e la vita [...]. Poiché se io avessi osato neppure pensare a questa materia un secolo fa, quanti non mi avrebbero trattato da scandaloso e libertino in genere di nobiltà? » 23 la quale farà uso di un perpetuo ragionamento analizzando le proprie idee col desiderio continuo di accedere alla verità.33 La ragione è concepita come mezzo per accedere alla verità in opposizione all’opinione, che quando non è ragionata, conduce alla servitù dell’autorità. Infatti, lungo tutta l’opera, si vede una volontà permanente di accedere alla verità e di promuoverla come nell’articolo di Alessandro Verri « Saggio di legislazione sul pedantismo » in cui l’autore afferma che questa ricerca della verità grazie alla ragione è la prima cosa da imparare quando si studia l’arte di scrivere.34 La verità sarebbe in questo caso la manifestazione della volontà di avvicinarsi il più possibile alla realtà del mondo o la forma di giudizio più vicina alla conoscenza. Oltre alla ricerca della verità, notiamo sia nell’Illuminismo che nel Caffè la volontà di accrescere il numero di persone in grado di accoglierla, il che permetterà di accrescere il numero stesso di verità. Appunto in questa scia, i caffettisti si propongono di allargare il loro pubblico di lettori rispetto a quello di altre riviste contemporanee. In effetti, più ci saranno persone in grado di ragionare più queste persone rappresenteranno potenziali individui in grado di cercare e di trovare nuove verità. Infatti, Philippe Audegean nota che è appunto un modello economico a sottendere alla concezione dialettica della verità.35 I progressi scientifici sono pensati nel Caffè sul modello dell’espansione industriale e della concorrenza di mercato.36 In più, questa volontà di accrescimento quantitativo della verità è accompagnata nel Caffè da una volontà di espansione qualitativa. Inoltre, si può notare brevemente che siccome l’opinione individuale viene posta in opposizione alla verità, essa viene vista in modo negativo e ciò anche nell’aggiunta « Al lettore » posta all’inizio del primo tomo che raccoglie gli articoli della prima annata in cui gli scrittori milanesi asseriscono che « non si deve e non si è mai prestato omaggio ad alcuna opinione, ed anche negli errori medesimi alla sola verità si è sacrificato »37.

33 Ivi, p. 204. « Ma, per giungere a ciò fare, primieramente io ricercherò da un giovane la preparazione alle scienze, cioè una costante abituazione del suo intelletto di far l’analisi delle proprie idee, di definire esattamente ogni vocabolo, di tessere in somma quasi in catena ben costrutta i propri ragionamenti, cosicché il desiderio della verità sia in esso sempre più robusto della inerzia, alla quale forse più che ad altre cagioni dobbiamo attribuire la parte maggiore de’ falsi ragionamenti degli uomini. » 34 Ivi, p. 136. « Dovrassi dalla studiosa gioventù prima d’ogni cosa dar buon ordine alle proprie idee, avvezzarsi a far uso della ragione ed a sentire la verità a preferenza della autorità d’opinione [...]. » 35 P. Audegean, « Lo spirito di lettura. L’usage public de la lecture du Caffè au Conciliatore », op. cit., p. 129. 130. 36 Il Caffè, op. cit., p. 56. « Credo che sia un bene che molti scrivino e pensino su gl’interessi veri d’una nazione, sulle finanze, sul commercio e sull’agricoltura; la nebbia ed il mistero servono alla impunità di pochi e alla miseria di molti. I fatti dell’economia politica è bene che si sappiano, poiché è un bene che vi si pensi da molti, e dal fermento delle diverse opinioni sempre più si separa e rende semplice la verità. » 37 Ivi, p. 5. 24

In effetti, il concetto dell’autonomia della ragione va di pari passo con la diffidenza nei confronti di qualsiasi principio di autorità che giunge perfino al rifiuto di ogni autorità non derivata dalla ragione. Infatti, i caffettisti rifiutano in vari campi del sapere ogni forma di autorità, che sia dettata da una tradizione precedente (antica o più vicina nel tempo come la tradizione barocca), da accademie contemporanee (come l’ per quanto riguarda la lingua), dalla fortuna definita « ignoranza nostra »38, oppure da una tradizione popolare come la superstizione (per esempio nel campo della medicina) o ancora da una tradizione familiare come l’autorità del padre. Questa critica dell’autorità permette di sostituire questioni antropologiche a questioni metafisiche. Sembra opportuno sottolineare che non si tratta di ignorare o condannare il passato in quanto tale ma di respingere un abito mentale, cioè il conformismo, il tradizionalismo, l’accettazione e la perpetuazione indiscriminata delle formule e degli usi del passato.39 Tuttavia, sulla scia dell’Illuminismo lombardo con posizioni moderate, non si trova nessuna critica esplicita delle autorità religiosa e austriaca per ragioni strategiche : se non si criticherà apertamente il regime austriaco e l’autorità religiosa, sarà più facile agire all’interno di essi e si eviterà la censura. Di conseguenza, si può dire che si pratica l’autocensura appunto per aggirare la censura. In effetti, fin dall’aggiunta « Al lettore », i caffettisti dichiarano che « una profonda sommissione alle divine leggi ha fatto serbare un perfetto silenzio su i soggetti sacri, e non si è mai dimenticato il rispetto che merita ogni principe, ogni governo ed ogni nazione ». Inoltre questo rifiuto dell’autorità è dichiarato sotto forma di un’autogiustificazione nella stessa aggiunta in cui i caffettisti ribadiscono l’importanza di liberarsi dalle catene dell’autorità che ha influito troppo « sul carattere, sulla letteratura e sulla politica italiana »40. In effetti, criticare l’autorità mostrandone le conseguenze negative sulla società italiana permette ai caffettisti di legittimare le loro prese di posizione più aspre. La necessità di libertà e di uguaglianza costituisce un altro carattere comune all’Illuminsmo europeo. Nell’aggiunta « Al lettore », ci si trova una rivendicazione della libertà presa dagli autori milanesi e quindi ritenuta necessaria alla società promossa dalla rivista. Infatti, si può leggere che « Una onesta libertà degna di cittadini italiani ha retta la

38 Ivi, p. 615. « Fortuna vuol dire ignoranza nostra: più l’uomo è illuminato e minore è il numero degli avvenimenti che attribuisce alla fortuna. » 39 D. Consoli, Dall’Arcadia all’Illuminismo, op. cit., p. 114. 40 Il Caffè, op. cit., p. 5. « Forse potran col tempo sembrar troppo animosi alcuni tratti contro i puristi di lingua; ma la pedanteria de’ grammatici, che tenderebbe ad estendersi vergognosamente su tutte le produzioni dell’ingegno; quel posporre e disprezzare che si fa da alcuni le cose in grazia delle parole; quel continuo ed inquieto pensiero delle più minute cose che ha tanto influito sul carattere, sulla letteratura e sulla politica italiana meritano che alcuno osi squarciare apertamente queste servili catene. » 25 penna »41. Questa libertà sarebbe l’indipendenza intellettuale e la capacità morale di determinarsi secondo i principi della ragione e dell’intelletto. Inoltre, Cesare Beccaria nell’Introduzione alla sua famosissima opera Dei delitti e delle pene riassume il principio di uguaglianza verso cui la società deve tendere con una formula « la massima felicità divisa nel maggior numero »42. Nel pensiero illuministico, la libertà e l’uguaglianza fra gli uomini sono permesse grazie al progresso non solo del sapere ma anche grazie al progresso morale che presuppone la perfettibilità dell’uomo. Infatti, nel periodico milanese si ritrova questa volontà di offrire un sapere in rapporto a molteplici campi, tuttavia questa volontà mira anche a migliorare l’uomo e la società in cui vive per avvicinarsi alla perfezione. Inoltre, sarà promuovendo il sapere e la perfettibilità dell’uomo che si inciterà il pubblico a impegnarsi personalmente nella propria formazione intellettuale e culturale, il che gli permetterà di avere un’opinione personale da confrontare all’opinione degli altri e all’opinione pubblica. Ritroviamo infatti questa volontà applicata alla lingua e all’agricoltura, campi per cui si parte dalla costatazione che non si è giunti alla perfezione e che di conseguenza bisogna proporre mezzi concreti per un miglioramento43. Di conseguenza, per tutti questi elementi, risulta evidente che il periodico del Caffè si iscrive nel movimento dell’Illuminismo sia per le sue idee che per i principi stessi dell’Illuminismo.

Si è fino a ora analizzato come il Caffè si inserisce nell’Illuminismo europeo, ora toccherà capire la sua posizione nell’Illuminismo italiano.

2. Le specificità del contesto milanese rispetto al resto dell’Italia

Si è appena visto che l’Illuminismo è un movimento eterogeneo in Europa e infatti si ritrova quest’eterogeneità nell’Italia stessa. L’Italia geopolitica è frammentata e per lo più sotto dominio altrui. Di conseguenza, in ogni entità statale italiana si sviluppa una specifica

41 Ibidem 42 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, Milano, Feltrinelli, 2014, [1764], p. 35. 43 Il Caffè, op. cit., p. 48. « Perché, sino a che non sarà dimostrato che una lingua sia giunta all’ultima sua perfezione, ella è un’ingiusta schiavitù il pretendere che non s’osi arricchirla e migliorarla. » ; ivi., p. 59. « è sempre un gran bene il far conoscere che le cose non sono a quell’apice di perfezione a cui credono che siano giunte gli uomini volgari, ed è sempre pure un bene il mostrare quai sieno gli autori e le mire che debbono seguirsi per inoltrare i progressi di un oggetto tanto necessario qual è l’agricoltura. » 26 corrente intellettuale e ideologica. Quindi anche se alcune regioni presentano qualche interesse ideologico o politico in comune, la collana « Illuministi italiani »44 mostra benissimo come ogni territorio sviluppi le proprie teorie e riforme a seconda di diversi parametri come il tipo di regime. È utile ricordare fin d’ora che l’Illuminismo lombardo è tardivo non solo rispetto all’Illuminismo europeo ma anche a quello italiano, rispetto per esempio all’Illuminismo napoletano o toscano. In effetti, la fondazione dell’« Accademia dei Trasformati » segnò l’inizio dell’Illuminismo lombardo nel 1743 mentre a Napoli già dall’inizio del secolo erano attivi illuministi di spicco come Pietro Giannone e Giambattista Vico. In effetti a Napoli, già dalla seconda metà del Seicento, esiste il « ceto civile » che rappresenta, oltre ai notai, ai medici, le professioni giudiziarie e alcune cariche pubbliche, il cui miglioramento delle condizioni di vita è rilevante sia dal punto di vista economico e culturale. Ma prima di parlare più di preciso del contesto milanese, si può dare un esempio di uno degli aspetti comuni a buona parte del territorio italiano, cioè il tentativo di dare allo Stato una nuova forma giudiziaria, amministrativa e fiscale grazie a politiche riformistiche. Tuttavia questo tentativo non avviene contemporaneamente in tutte le parti d’Italia. Dino Carpanetto e Giuseppe Ricuperati45 affermano che a Milano, a Firenze, a Napoli e a Modena si studiano diversi progetti di semplificazione e consolidamento del diritto che mirano a limitare il potere del ceto forense, cioè degli avvocati e dei giudici, tradizionali intermediari tra i sudditi e lo Stato per ristrutturare l’organizzazione del potere e per ciò propongono la possibilità di separare la funzione amministrativa dalla funzione giudiziaria. Queste teorie giusnaturalistiche, auspicando una corrispondenza fra il diritto operante e i principi fondamentali della ragione e della convivenza umana, sollecitano una nuova codificazione rigida nella sua applicazione e semplice nei suoi contenuti. Tuttavia si può dire che anche se diverse regioni italiane hanno una base di riflessione comune per quanto riguarda certi argomenti come le istituzioni, l’applicazione concreta delle teorie illuministiche, essa non è per forza tradotta con la stessa radicalità a seconda delle regioni. Inoltre bisogna sottolineare che l’Illuminismo lombardo non è per niente l’emanazione più radicale dell’Illuminismo italiano. Per quanto riguarda la situazione politica di Milano, dal 1702 il Ducato di Milano è sotto il dominio austriaco dell’arciduchessa Maria Teresa d’Asburgo e nel 1765 prende inizio la coreggenza con il figlio Giuseppe, imperatore del Sacro Impero Romano. Milano è

44 Illuministi italiani, Napoli, Ricciardi, 1958-1971. 45 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’Italia del Settecento, Roma-Bari, Laterza, 1998, p. 192. 193. 27 all’epoca uno dei territori più popolati d’Europa con una densità intorno ai 70 ab/Km².46 Il dominio austriaco è caratterizzato dal dispotismo illuminato, il cui riformismo si ispira a modelli mercantilistici individuati a Vienna verso la fine del XVII secolo. Ma la volontà asburgica di riformismo per diverse ragioni stenta ad avere effetti concreti : Vienna non è capace di vincere le resistenze dei ceti locali, non è in grado di adattarsi alla situazione milanese settecentesca e la sua volontà di sfruttare economicamente al massimo il territorio del ducato milanese non le ha permesso di riunire le condizioni favorevoli al riformismo. Inoltre, le forti autonomie conservate nel passaggio dal dominio spagnolo a quello austriaco nel 1702 e la separazione geografica dal cuore della Monarchia asburgica rappresentano altre difficoltà al riformismo asburgico. Il dominio spagnolo ha lasciato tracce ragguardevoli sulla Milano settecentesca. In effetti, Pietro Verri47 spiega che il numero di abitanti di Milano è diminuito di tre volte tanto tra l’arrivo e la partenza degli spagnoli, che l’industria tessile florida in passato, soprattutto nel lavoro della seta e della lana, è diminuita di molto e che le fabbriche sono in rovina. Tuttavia anche se durante il dominio spagnolo le potenzialità economiche di produzione del Ducato di Milano sono state trascurate, esso è comunque un territorio con molte risorse naturali che gli austriaci intendono sfruttare e perciò devono interessarsi ai problemi economici del ducato per poter usufruire più a lungo di queste potenzialità. In effetti, riscuotere le imposte rappresenta il mezzo più efficace al riordinamento delle finanze ma per ciò bisogna rifare il catasto.48 Infatti, l’elaborazione del catasto affidata a Pompeo Neri è ritenuta la più grande riforma degli Asburgo a Milano perché tende a una maggiore giustizia fiscale e quindi a un’eliminazione delle disuguaglianze tra i contribuenti. Il successo di questa riforma a Milano è tanto più significativo quanto essa si conclude con un fallimento a Napoli e in Toscana. Inoltre come si è accennato prima gli austriaci incontrano la resistenza della nobiltà milanese troppo attaccata ai propri privilegi e sorda a ogni idea di progresso sociale. Questa resistenza è tanto più forte in quanto non esiste nessun’altra classe cui il governo avrebbe potuto appoggiarsi. Infatti, le strutture politiche, sociali e economiche degli stati italiani sono in ritardo rispetto agli altri stati ai loro confini, il che spiega perché solo alcuni come il Ducato di Milano hanno potuto aprirsi alla cultura illuministica dei sovrani stranieri.49 In effetti anche gli scrittori del Caffè, pur discendendo dalla nobiltà, si sono opposti ad essa. In un certo modo, si può considerare la frattura di alcuni di loro con i genitori, che si manifesta in un

46 Ivi, p. 6. 47 P. Verri, Scritti Vari, Firenze, Le Monnier, 1854, p. 459. 460. 48 N. Jonard, Milan au siècle des Lumières, op. cit., p. 10. 49 Ivi, p. 23. 28 abisso culturale e una profonda incompatibilità50, come un simbolo delle loro posizioni rispetto alla società in cui intendono agire. La resistenza della nobiltà risulta di conseguenza una sfida per la loro volontà di costruzione di un’opinione pubblica, il che spiega in parte le varie strategie adottate dai caffettisti. A Milano, la nobiltà non è di origine feudale come a Napoli, ma invece di origine cittadina e i suoi membri sono discendenti di aristocratici borghesi che, sotto Ludovico il Moro, sono diventati noti per il loro spirito di commercio o che hanno acquisito qualche titolo di gloria al servizio della signoria. A poco a poco, questa nobiltà si è arricchita comprando feudi e trascurando il commercio. Il ruolo di questi proprietari fondiari non è aneddotico sia a livello del comune che della provincia o del ducato intero perché durante la seconda metà del Settecento l’80% della popolazione del Ducato di Milano vive in campagna. Infatti, essi potevano esercitare una pressione e un potere notevoli sugli abitanti delle campagne. Di conseguenza, anche da questo punto di vista, i caffettisti ritengono essenziale rivolgersi alla nobiltà affinché a sua volta possa, nell’obiettivo di costruire un’opinione pubblica, influenzare con i suoi atti e le sue opinioni il popolo delle campagne e perché no coinvolgerlo a sua volta. Inoltre, il clero era tanto privilegiato quanto la nobiltà ma la surrogava occupandosi degli interessi dell’aristocrazia intera. Di conseguenza, sia per il suo ruolo nei confronti della nobiltà che per la sua responsabilità nel voler mantenere l’ignoranza, esso costituisce anche un bersaglio privilegiato per i caffettisti. Inoltre, sotto il dominio spagnolo, gli ecclesiastici godevano di tutte le immunità e i privilegi con un’influenza rilevante sull’opinione del popolo. Gli amministratori pubblici approfittavano di questa condizione di miseria e vivevano in uno stato di ricchezza e di grande considerazione dal popolo. Così si sono diffuse la superstizione e l’ignoranza che hanno instaurato una « mentalità politica fondata sulla riservatezza, la segretezza, la magica ombra del mistero »51. Per quanto riguarda la plebe, essa costituiva la grande massa dei lavoratori alla giornata. Invece, secondo Norbert Jonard, facevano parte del popolo tutti quelli che avevano una casa propria o quelli che avevano un accesso anche minimo alla cultura. Nel 1768, secondo Vianello, c’erano 128 000 abitanti a Milano, fra cui il 17% costituiva il ceto medio e il 74% la plebe52. Inoltre, Jonard insiste sul fatto che l’élite milanese è composta da aristocratici, come gli scrittori del Caffè, dall’anima nobile e dalle virtù borghesi grazie alla frequentazione dei filosofi francesi e inglesi. Di conseguenza, non c’è nessun’opposizione

50 C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, Bologna, Il Mulino, 2002, cap. I. 51 F. Venturi, « La Milano del Caffè », op.cit., p. 691. 52 N. Jonard, Milan au siècle des Lumières, op. cit., p. 33. 29 fondamentale tra la borghesia e l’aristocrazia milanese che formano il « popolo » del Caffè. Si può dunque considerare che la natura sociale di Milano è composta dalla nobiltà, dal clero e dal resto, insieme del popolo e della plebe. In questo contesto sociale e economico, interessare l’aristocrazia alla produzione e liberare le terre dagli ostacoli giuridici come il maggiorato e il fedecommesso diventa inevitabile per evitare una potenziale crisi. Appunto su questa scia, Pietro Verri nel Caffè e nelle sue Meditazioni sull’economia politica raccomanda l’abolizione di tutti i privilegi e la soppressione delle corporazioni per una maggiore uguaglianza fra gli uomini, necessaria alla costruzione di un’opinione pubblica condivisa da un pubblico più ampio. Questi esempi concreti mostrano in quale misura l’esigenza dell’elaborazione dell’opinione pubblica si ancora a un determinato contesto. In quest’ambiente sociale Maria Teresa ha saputo affrontare insieme la questione delle finanze e quella del consolidamento dello Stato. Infatti, le diverse riforme eseguite negli anni Cinquanta e Sessanta del Settecento costituiscono l’inizio dello sconvolgimento dell’Illuminismo milanese. Queste riforme hanno, sempre secondo Jonard, aperto la strada a illuministi milanesi con una presa di coscienza della nobiltà milanese delle proprie responsabilità nella grande crisi economica del paese e con una volontà delle nuove generazioni di prendere in mano il proprio destino.53 L’azione degli scrittori del Caffè si iscrive appunto in questa prospettiva ed essi sono stati uomini di progresso anche se la loro lotta non riguarda la tolleranza o la questione delle verità religiose contrariamente ai dibattiti svolti nel Regno di Napoli o nel Piemonte. Il ruolo dei giornalisti milanesi ha risieduto appunto nel sapere indirizzare questa presa di coscienza della nobiltà in una certa meta, avviandola con i loro articoli a concepire un’opinione rispetto ai diversi temi proposti per poi costruire un’opinione pubblica. In effetti, questa presa di coscienza della nobiltà costituisce la base del consenso sul quale i caffettisti formano l’opinione pubblica. Inoltre per capire meglio la situazione del Ducato di Milano dal punto di vista intellettuale, sembra opportuno soffermarsi sulla questione dell’educazione, dell’istruzione e della vita intellettuale. In effetti, essa comincia a scuola e in Lombardia la scuola è sotto il monopolio quasi esclusivo del clero per tutta la gioventù aristocratica, la nobiltà e l’alta borghesia54. Infatti dopo la Contro-Riforma, sono i Gesuiti ad assicurare l’educazione senza fare nessuna distinzione fra gli interessi della Chiesa e quelli dello Stato e senza mai dover rendere conto a nessuno del contenuto degli insegnamenti. Di conseguenza, tutte queste fasce della popolazione hanno avuto per sola istruzione una visione del mondo indirizzata secondo i

53 Ivi, p. 69. 54 Ivi, p. 122. 30 principi della chiesa in tutti i campi del sapere sia dal punto di vista morale che metodico e scientifico. Non hanno mai imparato a discutere un sapere, ma solo ad accettarlo come verità. A partire da queste considerazioni, si può dire che l’opinione pubblica del Caffè si costruisce dal nulla ma in opposizione ad altre forme di opinioni, come quelle diffuse dai Gesuiti. In questa prospettiva la questione dell’aggettivo « pubblico » è duplice : da una parte riguarda un problema epistemologico per il fatto che l’aspetto « pubblico » elimini l’incertezza propria a ogni opinione personale e da un’altra riguarda un problema politico appunto perché per creare un’opinione pubblica bisogna affrontare l’esistenza di opinioni particolari come quelle della Chiesa, dei Gesuiti, della Nobiltà che costituiscono l’emanazione nel campo sociale di privilegi e interessi privati. Di conseguenza, il ruolo del Caffè nel voler costruire un’opinione pubblica è stato di liberare il suo pubblico da una visione dogmatica del sapere. In effetti, il Caffè è molto critico nei confronti della scuola pubblica gestita dai Gesuiti e ne fa una satira paragonandola a un luogo di speculazione intellettuale.55 Invece per il popolo esistevano solo poche scuole che ricevevano pochi alunni e dove si imparava solo a leggere, scrivere e l’aritmetica. Di conseguenza, queste scuole fornivano solo il minimo indispensabile per fare un mestiere mercantile e non una formazione reale che permette agli individui di essere capaci di ragionare da sé. Per quanto riguarda l’insegnamento superiore, è assicurato nel Ducato di Milano dalle Scuole Palatine di Milano e dall’Università di Pavia la cui amministrazione è affidata al Senato e dove si insegnano le dottrine aristoteliche e non il diritto naturale e pubblico, il che indica una volontà di imposizione verticale del sapere, che si manifesta nell’assenza di volontà di aggiornamento culturale e intellettuale e di messa in discussione del sapere. Inoltre in opposizione a questo sistema e nel seguito delle proposte del Caffè, Gian Rinaldo Carli nel suo Nuovo metodo per le scuole pubbliche d’Italia pubblicato a Lucca nel 1771 concepisce la scuola della Milano settecentesca come un luogo dove si coltivano la noia e la sofferenza e dove si perde del tempo prezioso utilizzabile per la prima cultura dell’intelligenza, un luogo senza utilità né profitto e propone un sistema di educazione nazionale concepito nella prospettiva illuministica della felicità pubblica. Questa proposta riflette la posizione del Caffè sia per quanto riguarda il concetto della felicità pubblica che costituisce la linea di condotta del periodico milanese che per la volontà di formare un pubblico in grado di poter avere le proprie opinioni.

55 Il Caffè, op. cit., p. 210. « Se poi vi bastasse l’essere volgarmente creduto buon medico, fate il vostro giro alle scuole pubbliche, fatevi addottorare, mettetevi a correr le strade in seguito a qualche buon polsista, rompete molte scarpe, imparate a scrivere una ventina di ricette, imparate a mente una quarantina di parole greche, una trentina di afforismi d’Ipocrate [...]. » 31

Oltre alle diverse scuole, le biblioteche hanno un ruolo importante nel Settecento milanese. Infatti se ne individuano due considerevoli a Milano : la Biblioteca Ambrosiana fondata nel 1609 da Federico Borromeo e fin da allora fornitissima, gratuita e pubblica e la Biblioteca Braidense aperta nel 1770 su iniziativa di Maria Teresa e fin da allora aperta al pubblico. Il loro ruolo è fondamentale nella messa a disposizione del sapere a tutte le persone in grado di riceverlo ma non solo. Infatti, queste biblioteche raggruppano non solo libri scritti da italiani in italiano ma anche una letteratura ben più larga dal punto di vista tematico (vi si trovano scritti letterari, scientifici e artistici) e geografico perché le opere provengono da ogni parte del mondo. La biblioteca diventa un luogo fisico di tante enciclopedie e un luogo di autorità misurata sulla ragionevolezza. Di conseguenza, chi va in biblioteca ha la possibilità di imparare nuove cose ma anche di confrontare le proprie conoscenze con altre teorie, il che gli permette di formarsi una propria opinione e di poter eventualmente confrontarla con altri e nella lettura dei periodici. Infatti è questa possibilità di confronto a essere promossa dai giornalisti del Caffè per poter costruire un’opinione pubblica. È opportuno tenere in mente che i filosofi del Caffè fondano le loro riflessioni su un’antropologia sociale precisa e hanno considerato le loro proposte all’interno dell’ambiente sociale, economico, culturale e intellettuale appena evocato, pur opponendosi a esso per costruire un’opinione pubblica.

Si è fino a ora analizzato il contesto in cui si inserisce il Caffè e come i suoi scrittori riescono a sfruttare la situazione sociale e intellettuale del Ducato di Milano nella costruzione dell’opinione pubblica, ora si tenterà di capire come il periodico milanese si inserisce nella tradizione dei periodici e quali sono le sue specificità.

3. Un periodico fra gli altri ?

Prima di entrare più specificamente nel discorso sul Caffè, sembra opportuno situarlo in quanto periodico nel contesto giornalistico europeo e milanese, il che aiuterà a capire la sua peculiarità. In effetti la forma del periodico non è nuovissima quando comincia a essere usata dai caffettisti. Tra il 1711 e il 1714 a Londra viene pubblicato da Steele, Swift, Addison e Pope il periodico The Spectator cui i giornalisti milanesi si riferiscono fin dall’Introduzione del Caffè. Questo modello, famoso in tutta Europa e conosciuto in Italia grazie alla traduzione e al riadattamento francesi, non è scelto solo dai caffettisti ma anche da altri giornalisti

32 milanesi come Gasparo Gozzi nella Gazetta veneta. Secondo Sergio Romagnoli, il fatto di scegliere un modello straniero si spiega con la convinzione che non fosse possibile rifarsi a modelli domestici e che fosse addirittura necessario riferirsi a modelli stranieri per rompere la soggezione ad autorità letterarie della tradizione italiana. In questa prospettiva, si può considerare il Caffè come una delle forme conclusive di « una tenace ricerca per una libera comunicazione con il pubblico »56. Si è evocata la Gazetta veneta, periodico pubblicato dal febbraio 1760 al gennaio 1761 che presentava fatti di cronaca e notizie di libri e opere teatrali. Il che mostra la particolarità del Caffè nell’ambito milanese degli anni Sessanta del Settecento di non limitarsi a campi particolari del sapere ma di trattare di « cose varie, cose disparatissime, cose inedite » senza tener conto dei fatti di cronaca, propri alle gazette che intendono eccitare la curiosità, e quindi di avvicinarsi al modello enciclopedico.57 Sempre secondo Romagnoli, il Caffè « uscì in un momento di crisi della sperimentazione per una moderna cultura giornalistica in Italia o, meglio, si trovò a voler intraprendere un’avventura che era stata bruscamente interrotta da altri che pur si erano rifatti ai medesimi modelli ». Di conseguenza è ovvio che non sono stati solo i modelli di riferimento a dare al Caffè un’importanza particolare nell’Illuminismo lombardo ma piuttosto la sua strategia retorica che gli ha permesso di esistere raggiungendo il proprio pubblico per ben due anni.

Infatti anche se dagli anni Quaranta del Settecento i giornali cominciano a rappresentare sedi per la formazione dell’opinione pubblica abbandonando « la scelta erudita e neutralmente informativa, ospitando discussioni su problemi di economia, di politica, di scienza e di religione »58, il Caffè esprime uno scontro ideale in modo più battagliero rispetto ad altri giornali, una risposta a un pubblico più ampio di quello raggiunto dalle precedenti iniziative. Inoltre anche se la forma del periodico esisteva da alcuni decenni, la pratica della lettura dei giornali era abbastanza recente e non consisteva in un’esperienza banale. Descrivendo questa pratica, Hegel conferma il ruolo essenziale della stampa periodica e la ancora alla corrente illuministica.59 La lettura del periodico viene associata all’ideale dell’utilità definita da lui come verità dell’Aufklärung. Questa volontà di trovare un nuovo rapporto al sapere grazie al

56 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », nella nostra edizione di riferimento, vol. I., p. XVI. XVII. 57 Il Caffè, op. cit., p. 403. « Una bottega di caffè è una vera enciclopedia all’occasione, tanto è universalissima la serie delle cose sulle quali accade di ragionare; né v’è pericolo che manchi giammai la materia a chi stiavi spettatore con qualche accorgimento. » 58 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’Italia del Settecento, op. cit., p. 192. 59 G. W. F. Hegel, Notes et fragments (Iéna 1803-1806), Paris, Aubier, 1991, fragment 32, p. 53. « La lecture du journal, le matin au lever, est une sorte de prière du matin réaliste. On oriente vers Dieu ou vers ce qu’est le monde son attitude à l’égard du monde. Cela donne la même sécurité qu’ici, que l’on sache où l’on est. » citato da P. Audegean, op. cit. p. 126. 33 giornalismo come si è detto è propria dell’Illuminismo ed è infatti dichiarata dai caffettisti fin dal primo articolo del periodico.60

Inoltre il titolo stesso del periodico evoca una nuova pratica legata al nuovo rapporto illuministico al sapere. Infatti il sapere non è più promosso all’interno delle accademie o di altri ambienti chiusi ma anche proprio all’interno dei caffè dove « alcuni uomini, altri ragionevoli, altri irragionevoli »61 possono liberamente venire e dove si svolgono nuove pratiche culturali. Il fatto di presentare il retroscena delle riflessioni proposte nel Caffè riflette una forza delle opere illuministiche di mostrare le condizioni di elaborazione del pensiero. Il sapere è ormai concepito dai caffettisti in un rapporto orizzontale : dopo essere stato discusso all’interno della loro cerchia viene pubblicato sotto forma di articoli e viene poi legittimato solo con la lettura degli articoli da parte del pubblico in grado di metterlo in discussione. La peculiarità del Caffè risiede appunto nel voler instaurare uno spirito critico che permetta di risvegliare o creare uno spirito individuale e di ricollegarlo alla costruzione dell’opinione pubblica. In più nell’Introduzione, Pietro Verri spiega che nella bottega del Caffè che farà da sede fittizia al periodico, si trovano « i fogli di novelle politiche, e quei di Colonia, e quei di Sciaffusa, e quei di Lugano, e vari altri; in essa bottega chi vuol leggere trova per suo uso e il Giornale enciclopedico, e l’Estratto della letteratura europea, e simili buone raccolte di novelle interessanti »62, il che dimostra come i periodici costituiscono mezzi pratici per la circolazione delle conoscenze non solo a livello locale ma anche a livello europeo o almeno con i paesi più vicini. Inoltre il titolo « Il Caffè » richiama sia la pianta da cui si racava l’infuso per la bevanda la cui caratteristica viene definita da Pietro Verri stesso come « una virtù risvegliativa degli spiriti animati, come nell’oppio v’è la virtù assoporativa e dormitiva. »63 sia il luogo dove si consuma, cioè la bottega del caffè. Di conseguenza il titolo del periodico milanese riflette sia la volontà di spingere gli animi alla riflessione che la volontà di far esistere un sapere che abbia lo scopo di essere discusso tra persone colte per il bene di tutta la società.

La sede reale dell’Accademia dei Pugni che raggruppava alcuni redattori del Caffè si trovava invece in contrada del Monte a Milano. L’Accademia è stata fondata nel 1761 da Pietro Verri qualificato da Romagnoli « l’instancabile organizzatore del Caffè e della coterie raccolta intorno ad esso » e si trasforma naturalmente in un gruppo redazionale, « cosa allora

60 Il Caffè, op. cit., p. 1. « Questo lavoro fu intrapreso [...] per l’ambizione [...] di promuovere e di spingere sempre più gli animi italiani allo spirito della lettura, alla stima delle scienze e delle belle arti. » 61 Ivi, p. 12. 62 Ibidem 63 Ivi, p. 14. 34 nuova ed insolita »64. Il nome dell’Accademia è stato scelto scherzosamente e provocatoriamente per significare l’animosità delle discussioni all’interno di essa e dimostrare le condizioni di produzione collettive. Quando Pietro Verri comincia a pubblicare il periodico del Caffè, egli si era già fatto un nome nell’ambiente politico e letterario milanese in parte perché si trova al centro di polemiche a causa di alcuni scritti suoi e dei suoi amici. I caffettisti che si radunavano intorno a Pietro Verri provenivano tutti dall’aristocrazia e hanno quasi tutti assunto cariche pubbliche o di funzionari dell’impero asburgico anche se sono state cariche spesso subalterne.65 Oltre a Pietro Verri l’Accademia è composta da Alessandro Verri, il fratello di Pietro, Cesare Beccaria, Sebastiano Franci, Paolo Frisi, Alfonso Longo, Pietro Secchi, Giuseppe Visconti, Gian Rinaldo Carli, François Baillou, Ruggero Boscovich, Giuseppe Colpani e Luigi Lambertenghi. Non tutti hanno collaborato allo stesso modo alla rivista e sono presentati ai lettori del periodico nell’aggiunta « Al lettore » come « una piccola società d’amici », il che mette l’accento nonostante il nome dell’accademia sulle reali discussioni che precedevano la scrittura dei singoli articoli. Infatti gli articoli sono firmati solo tramite sigle e il lettore non poteva conoscere l’identità dell’autore.

Per quanto riguarda la pubblicazione del periodico, essa è già annunciata da Pietro Verri nell’ultimo almanacco del Gran Zoroastro con quasi le stesse modalità e gli stessi termini che ritroviamo nell’aggiunta « Al lettore », il che dimostra che il progetto era già maturo prima dell’inizio della pubblicazione. Bisogna sottolineare che all’epoca gli almanacchi costituivano « le uniche pubblicazioni che superassero la cerchia ristretta del pubblico colto ed entrassero perfino nelle case dei popolani e dei contadini »66, quindi la scelta di Pietro Verri di annunciare la pubblicazione del Caffè proprio in un almanacco non è insignificante considerata la volontà di allargare il pubblico. Inoltre si sa che alcuni articoli erano già pronti prima dell’inizio del mese di giugno del 1764. Per quanto riguarda il numero di copie stampate, esso denota un allargamento del pubblico : infatti l’edizione originale non ha superato cinquecento copie, stampate prima a Brescia e poi a Milano, ma quando ci si interessa ad altri periodici di vasta risonanza europea scritti nella lingua culturalmente egemone dell’epoca, ossia il francese, ci si accorge che essi non superavano tre o quattrocento esemplari.67 Quindi anche se con il periodico del Caffè non si è ancora giunti a una stampa periodica per tutti, l’intento dei giornalisti milanesi di allargare il pubblico dei periodici e

64 F. Venturi, « La Milano del Caffè », op.cit., p. 682. 65 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », op. cit., p. XXIV. 66 C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, op. cit., p 126. 67 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », op. cit., p. XIII. 35 quindi di aumentare il numero di persone in grado di servirsi del proprio intelletto sembra in parte raggiunto.

Si è analizzato il contesto europeo, italiano e milanese in cui si inserisce il Caffè guardando alle caratteristiche culturali, economiche, sociali, politiche e letterarie di questo contesto, ora bisogna capire quale visione dell’uomo i caffettisti intendono promuovere per attuare la costruzione dell’opinione pubblica nel Ducato di Milano fra il 1764 e il 1766.

B. Una concezione nuova dell’uomo

1. L’emergenza dell’uomo nella sua complessità

Nell’Illuminismo, si opera un cambiamento nel modo di concepire l’uomo che risulta necessario e addirittura indispensabile alla promozione della cultura illuministica. Poiché con l’Illuminismo l’attenzione ai diritti dell’uomo e al suo ruolo è sempre più forte, diventa indispensabile capire l’uomo nella sua complessità per poter intraprendre riflessioni rispetto ai suoi atti e diritti. Infatti nel Caffè e nell’Illuminismo in generale, si nota l’emergenza dell’individuo in quanto entità unica con le proprie particolarità. L’uomo deve essere considerato in una dimensione concreta e non in una prospettiva divina o astratta che tenderebbe a considerare gli uomini solo come collettività o nelle loro somiglianze. In effetti, per rendere effettiva l’applicazione concreta di principi teorici, si deve tener conto della complessità dell’uomo nella sua individualità. Soltanto questa considerazione dell’individualità rende possibile di capire come si può inserire l’uomo in quanto individuo in una dimensione collettiva. L’Illuminismo tende a considerare l’uomo come un essere ragionevole e cosciente dei propri atti. Infatti Kant, attingendo agli stoici, fa la lode dell’uomo liberato dalle passioni, considerate una malattia dell’anima appunto perché escludono il potere della ragione.68 Tuttavia, Kant stesso riconosce alle passioni un ruolo nella storia. Infatti, secondo lui, sono le

68 I. Kant, Anthropologie d’un point de vue pragmatique, a cura di e tradotto da M. Foucault, Vrin, Paris, 2008, [1798], § 73. « C’est toujours une maladie de l’âme que d’être sujet aux émotions et aux passions, parce que dans les deux cas la raison est sans empire. » 36 passioni e la ragione, due pulsioni contraddittorie, a essere il motore dell’umanità perché le passioni stesse spingono l’uomo ad agire.69 Benché Kant abbia teorizzato questa riflessione due decenni dopo la pubblicazione del Caffè gli scrittori milanesi sono coscienti della negatività delle passioni e sono partecipi di una visione dell’uomo come essere razionale ma nello stesso tempo si propongono di sfruttare le passioni perché, come Hegel70 teorizza in seguito, sono coscienti del loro ruolo nello spingere l’uomo ad agire. Di conseguenza anche se le passioni possono a volte spingere al male, i caffettisti stimano che permettano all’uomo di agire per poter realizzare il bene ma il ruolo delle passioni per i caffettisti non si limita a questo. Poiché sono le passioni a guidare l’uomo permettendogli sia di ricevere che di produrre una riflessione, risulta fondamentale conoscere il meccanismo delle passioni e tenerne conto quando ci si rivolge all’uomo. In effetti, è appunto quello che i caffettisti intendono fare studiando i meccanismi comunicativi come la forma del periodico stesso, i vari processi retorici usati nel Caffè, e il contenuto stesso degli articoli per poter indirizzare il pubblico dei lettori verso una riflessione precisa per costruire un’opinione pubblica. In questa prospettiva, l’umanità viene studiata a monte nella sua diversità caratterizzata antropologicamente dai giornalisti milanesi e l’uomo viene concepito come essere di ragione e di passioni. La pubblicazione degli articoli rispecchia quest’attenzione particolare applicata a varie categorie della specie umana come alle donne o ancora ai giovani. Si analizzerà ora come i giornalisti milanesi mettono in atto queste riflessioni e i meccanismi nel caso preciso del ruolo delle donne nell’articolo « Difesa delle donne » di Sebastiano Franci. Infatti il Franci, e con lui tutti i caffettisti, comincia l’articolo con la descrizione del quotidiano delle donne nobili secondo la visione che se ne ha in Europa con « la loro vita oziosa, molle ed affatto inutile all’umana società »71 e ne elenca diverse tipologie. Ci presenta quelle che « si levano tardi alla mattina », quelle « a cui la vivacità naturale toglie questa indolenza, vanno con un moto incessante scorrendo per tutti i quartieri della città [...] (perché) fossero vedute a tutti i balli, a tutte le visite, a tutte le assemblee » e quelle che « si lasciano persuadere da un indegno pregiudizio [...] e li (i bambini) tengono studiosamente da sè lontani ». Poi l’autore evoca le donne plebee « sempre costanti in fuggire diligentemente tutte le fatiche necessarie all’economia domestica » prima di notare una

69 I. Kant, Idée d’une histoire universelle au point de vue cosmopolitique, Paris, Gallimard, 1985, [1784], p. 483. « L’homme veut la concorde, mais la nature sait mieux que lui ce qui est bon pour son espèce : elle veut la discorde. » 70 G. W. F. Hegel, La Raison dans l'histoire, tradotto da K. Papaioannou, Paris, U.G.E., 1965, [1830], p. 105. « Les passions constituent l'élément actif. Elles ne sont pas toujours opposés à l'ordre éthique; bien au, contraire, elles réaliseront l'Universel. » 71 Il Caffè, op. cit., p. 245. 37 caratteristica comune a tutte le donne dicendo che « l’occupazione intorno la loro bellezza sembra quasi universale alle dame ». Secondo il Franci, questa caratteristica comune non è negativa se è « contenuta entro certi limiti ». Di conseguenza, si può già notare che tutte le donne sono descritte negativamente nelle loro attività che siano nobili o plebee e che il loro unico pregio sono non le qualità morali ma la bellezza, il loro corpo, il che indica l’assenza di considerazione del ruolo delle donne nella società ai tempi del Caffè rafforzata dall’affermazione « Questo è il ritratto che si va producendo del sesso; ed in verità egli è ben somigliante all’originale ». Anche se questa costatazione fa da base alla riflessione dei caffettisti, in realtà il Caffè intende dare spazio al ruolo sociale delle donne. In effetti come indica il titolo dell’articolo, l’obiettivo non è di fornire una descrizione della donna ma piuttosto di difenderla. In questa prospettiva, il Franci propone un’analisi che mette in evidenza la responsabilità degli uomini e qualche spunto per rimediare a questa situazione.

Con noi stessi bisogna lagnarsene, perché noi stessi loro additiamo questa tenebrosa strada e le costringiamo a battere questo fangoso sentiere. Troppo negligentiamo l’educazione delle femmine nella loro fanciullezza, e come se fossero d’una spezie diversa da quella degli uomini, le abbandoniamo a se medesime in mezzo ad una truppa di frivolissimi giovinastri, senza soccorso, senza consiglio. Non si presenta loro mai alcun nobile oggetto in cui possano esercitare utilmente il loro talento.72

In effetti, si nota il riconoscimento della responsabilità degli uomini nell’aver mantenuto le donne in una situazione oziosa e addirittura nell’averle indirizzate in questa situazione. Inoltre, il Franci non dichiara apertamente l’uguaglianza fra i sessi ma accenna a essa con l’espressione « come se fossero d’una spezie diversa da quella degli uomini ». Si può anche aggiungere che appunto mettendo in evidenza la negligenza dell’educazione come causa dell’arretratezza delle donne, i caffettisti promuovono l’educazione in quanto mezzo di azione per rimediare a questa situazione. Per finire si osserva, nella stessa maniera, che i giornalisti milanesi mettono in evidenza il fatto che le donne possano essere utili alla società. Il che ci permette di affermare che questa citazione rende conto sia della visione dei caffettisti

72 Ivi, p. 246. 247. 38 per quanto riguarda le donne, che del meccanismo della riflessione del Franci nel fare risalire alla situazione iniziale i suoi problemi effettivi al fine di proporre una soluzione. Infatti nel seguito dell’articolo, il Franci espone più di preciso la responsabilità degli uomini a proposito di ogni difetto descritto all’inizio dell’articolo scrivendo prima « Le diamo in preda alla mollezza e alle false opinioni; diamo loro i lacci per impedire i voli del loro spirito, imprigioniamo loro il cuore, affinché non sentano l’attrazione della virtù. »73 e poi dettagliando la sua riflessione rispetto a ogni situazione.74 Successivamente, l’autore evidenzia di nuovo l’uguaglianza fra i sessi e mostra come l’umanità sia diretta dalle passioni ma che bisogna dirigerle tramite l’educazione e allo stesso modo mostra che bisogna unire alla bellezza, la virtù per il bene dell’umanità.

I vizi sono degli individui e non del sesso. Questo è fatto per essere la delizia della società, e se noi ci prendessimo la pena d'istruirgli la mente e presentargli idee più belle, di dirigergli il cuore al di sopra dell'umile rango in cui giace, corrisponderebbe egli perfettamente ai nostri desideri e perverrebbe a quella nobile meta alla quale fosse indirizato. [...] Quando la beltà medesima va unita ad un merito più sodo e permanente, si può dire ch’ella fa onore all’umanità.75

A partire da questa citazione, si può anche aggiungere da una parte che il meccanismo delle passioni funziona allo stesso modo per ambidue i sessi e da un’altra che non solo la mente ha un ruolo nella gestione delle passioni ma anche il corpo che permette, per esempio tramite la bellezza, di migliorare l’umanità e di trasmettere le emozioni. Inoltre l’autore ci indica poi come l’educazione delle donne che permette « l’aggiustatezza di mente » ha permesso nella storia e permetterebbe ancora alle donne di essere utili alla società. Il Franci propone questa riflessione allo stesso modo della riflessione precedente cioè affermando una teoria generale e illustrandola con esempi concreti.

73 Ivi, p. 247. 74 Ibidem « L’educazione dei figliuoli è comune ad ambedue i genitori, e non di rado succede che il padre, pieno d’una condiscendenza impropria, permette che i suoi figli [...] imparino a mentire, ad usare termini indegni; e fatti insopportabili vadano poi a stordire la madre e mettere a rumore tutta la casa. Dovranno dunque tali mariti lagnarsi se le loro mogli non sono d’una natura angelica [...] ? Se non mostrano tenerezza per que’ figliuoli che la meritano sì poco e che starebbero meglio altrove che nella propria casa? »74 Questa citazione costituisce un esempio tra altri nell’articolo. 75 Ivi, p. 247. 248. 39

L’aggiustatezza di mente [...] ha rese capaci tante regine di governare vastissimi regni e questa stessa può dettare a tutta la più bella metà dell’umano genere un tenore di vita innocente e regolare, piena di virtù per i loro domestici, di amorevolezza per i loro prossimi, di pace e concordia nella famiglia e di sollecitudine per i loro figliuoli; i quali [...] non mancheranno di corrisponderle colle loro grazie e con una pronta ubbidienza.76

Di conseguenza, il Franci mostra che l’educazione permette alle donne di essere utili sia a livello della nazione intera che a quello della famiglia che costituisce il primo stadio dell’educazione poiché conferisce all’individuo le condizioni che gli permettono di inserirsi nella società aspirando a esserle utili. Inoltre i vari esempi77 di donne educate che secondo i caffettisti sono state o sono tuttora utili alla società attingono sia alla storia antica che recente e sia europea che milanese ed evocano donne valorose in guerra, donne di pregio in poesia, donne che hanno avviato gli uomini alla scienza facendo scoperte scientifiche e trasmettendole ai loro contemporanei. L’ultimo esempio riguarda specificamente Maria Teresa con un suo elogio ma non senza ribadire che le ubbidiscono « per amore e per dovere », il che indica una forma di presa di distanza quanto al regime contemporaneo ma anche una forma di devozione. Tuttavia pare opportuno sottolineare che l’autore non manca di precisare che la sua analisi rispetto all’utilità delle donne nella società è valida non solo per le donne nobili ma anche per le donne plebee.

Vi sono molte arti le quali [...] potrebbero essere comunemente esercitate dalle plebee senza pericolo che soffra alcun intacco la loro beltà. Questo costume sarebbe d’un utile insigne allo Stato.78

L’universalità dell’utilità sociale delle donne è altrettanto rilevante nella riflessione del Franci che più in là nell’articolo espone un altro vantaggio della bellezza e della virtù dovuta all’educazione delle donne appunto nel ruolo che queste due qualità hanno presso gli uomini che sono tutti naturalmente inclini alla bellezza.

76 Ivi, p. 248. 249. 77 Ivi, si vedano i vari esempi p. 248. e p. 251. 256. 78 Ivi, p. 249. 40

Il delicato sentimento del cuore [...] porta a un grado eroico le virtù, le quali congiunte colla beltà riescono di doppio utile, poiché hanno un sovrano potere sopra dell’uomo, che per una fortissima inclinazione verso la beltà medesima è spinto ad imitarle.79

Con questa riflessione, gli scrittori milanesi mostrano di aver letto De l’esprit di Helvétius80. In effetti, i caffettisti considerano essenziale educare le donne perché l’attrazione fisica che provocano presso gli uomini li porta a avvicinarsi intellettualmente alle donne. Di conseguenza, più le donne saranno educate più gli uomini tenderanno a divenirlo. In questa prospettiva, le donne diventano anche attive nella trasmissione delle idee e del sapere, il che è essenziale per la costruzione di un’opinione pubblica voluta dai caffettisti. Per concludere, con quest’articolo si è mostrato come partendo dal presupposto che ogni individuo sia guidato da passioni che possano essere regolate grazie alla ragione coltivata dall’educazione, i caffettisti studiano le caratteristiche antropologiche dell’umanità per permettere a ogni categoria di individui di essere utili alla società ma anche per capire come rivolgersi a loro in modo strategico per costruire un’opinione pubblica. Ed è appunto perché il pubblico che legge gli articoli del Caffè sente di essere considerato in quanto individuo che diventa conscio di poter agire nella società e ne capisce la necessità.

Si è analizzato come il fatto di interessarsi a più categorie di persone come le donne o i giovani, che non sono spesso considerate come portatori di un ruolo attivo nella società, permette ai caffettisti oltre che di allargare il loro pubblico, di radunare un più gran numero di attori. Ora bisogna capire come i filosofi milanesi intendono promuovere l’uomo in quanto attore della società.

79 Ivi, p. 250. 80 C.-A. Helvétius, De l’esprit, Paris, Fayard, 1998, [1758], p. 190. « il en est des amants comme de ces insectes ailés qui prennent la couleur de l’herbe à laquelle ils s’attachent ; ce n’est qu’en empruntant la ressemblance de l’objet aimé qu’un amant parvient à lui plaire. » 41

2. La possibilità di diventare attore

Nella stessa prospettiva della volontà di considerare ogni individuo nelle sue particolarità fisiche, intellettuali, culturali e psicologiche, i caffettisti intendono dimostrare che tutti possono essere utili alla società perché tutti gli uomini sono capaci di avere un’opinione, con la sola, ma essenziale, condizione di essere a conoscenza di ciò che determina ogni singolo argomento. I caffettisti dimostrano che avere una conoscenza attiva e vera e propria, non è compatibile con il principio di autorità. Infatti si schierano contro qualsiasi autorità sia essa legata a una tradizione passata antica o più recente o che sia legata a ogni argomento linguistico, culturale o legislativo o relativo alla famiglia.81 L’uomo deve liberarsi dai vincoli delle tradizioni per poter sviluppare una propria riflessione e per poter capire il suo ruolo all’interno della società. In effetti, i giornalisti milanesi criticano lungo tutta l’opera l’uso di formule o precetti suggeriti da autorità e che fungono da verità per gli uomini.82 Mettono in pratica questa riflessione già con la scelta dei titoli degli articoli del Caffè che sono più adatti a trattati che alla presentazione di precetti tassativi e autorevoli. Comunque i titoli degli articoli non sono scelti a caso : devono essere abbastanza evocativi affinché un maggior numero di lettori possa intravedervi un qualsiasi interesse personale. In effetti, gli scrittori milanesi mettono in rilievo la relazione tra l’interesse personale e la capacità o almeno la volontà di emettere un giudizio. In effetti, nell’articolo « Osservazioni meteorologiche fatte in Milano » il Visconti scrive :

Tutti gli uomini sono per natura portati a giudicare con maggior facilità di quelle cose che immediatamente appartengono ai fisici bisogni a proporzione delle loro sensazioni, e la difficoltà di questo giudizio tanto si fa maggiore quanto più piccola diventa la relazione delle cose co’ bisogni medesimi, e conseguentemente meno sicuro.83

Questa citazione permette di sottolineare la volontà dei caffettisti di considerare tutti gli uomini perché tutti sono in grado di emettere un giudizio ma allo stesso tempo ci dà una

81 Il Caffè, op. cit., p. 47. 50. Si veda per esempio l’articolo « Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al Vocabolario della Crusca ». 82 Ivi, p. 210. Si veda per esempio questa citazione. « Se poi vi bastasse l’essere volgarmente creduto buon medico, fate il vostro giro alle scuole pubbliche, fatevi addottorare, […], imparate a mente una quarantina di parole greche, una trentina di afforismi d’Ipocrate [...]. » 83 Ivi, p. 97. 98. 42 precisazione sulla differenza di natura del giudizio di ogni individuo a seconda del rapporto tra i bisogni fisici dell’individuo e l’elemento da giudicare. In altre parole, si può dire che più l’individuo avrà un interesse personale nei confronti di un argomento più sarà pronto a giudicarlo. Di conseguenza, si può rilevare che i caffettisti sono consapevoli già per quest’elemento di non rivolgersi a tutte le fasce della popolazione, ma solo a persone i cui interessi personali sono in legame con gli argomenti trattati dal Caffè. Vale a dire sulla scia del precedente esempio che anche se al contadino milanese potrebbe tornare utile sapere usare un termometro e sapere studiarlo, egli non è in possesso di tale strumento e di fatto non può giudicarlo né esprimersi sulla sua utilità o necessità. Dunque si può dire che le numerose occorrenze della parola « tutti » nel periodico milanese hanno un interesse strategico e retorico nella volontà stessa di mostrare un interesse a un pubblico più ampio per allargare sempre più questo pubblico. Infatti, se si fingerà di rivolgersi a tutti, incoscientemente il lettore, che non è avvezzo a leggere periodici, sentirà la sua lettura legittimata anzi doverosa. D’altronde, queste occorrenze incoraggiano i vari lettori a discutere gli articoli con persone diverse sia socialmente che culturalmente e sia di genere diverso che di età diversa. Si può inoltre notare che il Visconti insiste sull’aspetto fisico dei bisogni che spingono gli uomini ad agire ma che lungo l’opera i caffettisti sono consapevoli dell’importanza di altri interessi come motori di azione come l’interesse economico. Il che spiega l’attenzione continua che i caffettisti mettono nel provare ad allargare sempre più il loro proposito affinché il maggior numero di lettori ci trovi un interesse personale da cui potrebbe partire uno spunto di riflessione che giungerebbe all’emissione di un’opinione personale. In effetti, anche se l’articolo tratta di un argomento preciso, gli scrittori tentano di sviluppare la questione con diverse focalizzazioni. Per esempio, nell’articolo del Franci « Della difesa delle donne », la questione della donna è trattata in modo da coinvolgere nella riflessione prima le donne, le cui potenzialità sociali vengono sottolineate, poi gli uomini mostrando loro le proprie responsabilità e l’influenza delle donne su di loro, ma anche diverse generazioni affinché le tradizioni culturali rispetto al ruolo delle donne all’interno della famiglia si evolvano. Di conseguenza, una volta che diverse fasce della popolazione vedono un proprio interesse nei confronti di una questione, si può immaginare che l’emissione di un giudizio rispetto alla questione sembri loro più naturale e magari anche il fatto di discuterlo fra di loro. Inoltre si può notare che l’atteggiamento di scrittura dei caffettisti nei confronti del loro pubblico è in accordo con ciò che Kant teorizza poi nella risposta alla domanda « Che cos’è l’Illuminismo ? », cioè con la consapevolezza della necessità di coraggio per passare dall’eteronomia all’autonomia. In effetti sembra risiedere proprio qui il ruolo che i caffettisti

43 intendono assumere, cioè il ruolo del filosofo come uno che riflette per proporre una riflessione strutturata con calma grazie all’osservazione della realtà.84 Infatti, ogni articolo del Caffè è presentato in modo chiaro al lettore perché propone per lo più una sintesi delle varie riflessioni rispetto a un argomento e la posizione dei caffettisti nei confronti dell’argomento. Così facendo, propongono un uso pubblico della propria ragione allo scopo di suggerire un sapere al loro pubblico e insieme di rassicurarlo nel passaggio dall’eteronomia all’autonomia appunto indicandogli le diverse tesi intorno a un argomento e spiegandogli perché secondo loro la loro tesi è più corretta. Il che fa sì che i caffettisti spingano il proprio pubblico a posizionarsi a sua volta rispetto a quest’argomento dopo averne ricevuto una conoscenza più globale. Il fatto che i caffettisti propongano una loro posizione permette non solo di indirizzare di più il lettore verso questa posizione ma anche di mostrare al lettore che non c’è rischio a prendere posizione quando si è in grado di giustificarla. Inoltre, gli scrittori del Caffè permettono ai lettori di diventare attori con il fatto di leggere gli articoli e di legittimarli, il che permette ai caffettisti di continuare la pubblicazione. In effetti, spingendo così il pubblico ad avere un’opinione propria i caffettisti gli permettono di diventare poi attore nella società. Inoltre, come Kant teorizza in seguito, ogni individuo che impara a pensare da solo sarà a sua volta suscettibile di essere motore di un atteggiamento che stima il valore di ogni uomo e la sua vocazione a pensare da sé.85 Di conseguenza, si può dire che i caffettisti non solo spingono gli uomini a diventare attori nella società ma che permettono loro di propagare il proprio atteggiamento nella società. Nella prospettiva del Caffè, quest’atteggiamento permette non solo di costruire un’opinione pubblica ma anche di fare in modo che sia condivisa da più individui.

Si è capito come i caffettisti considerano l’uomo attivo nella società, ora si tratterà di esaminare come gli scrittori milanesi conferiscono a ogni individuo lo statuto di cittadino e quali sono le caratteristiche di questo statuto.

84 Ivi., p. 144. « I cani di villa al menomo romore abbaiano, i cani di città lasciano rottolare e carri e carrozze senza abbaiare : mi pare che questa sia la differenza appunto che distingue i veri dai falsi filosofi. » 85 I. Kant, Qu’est ce que les Lumières ?, op. cit., p. 498. « En revanche, la possibilité qu’un public s’éclaire lui- même est plus réelle ; c’est même à peu près inévitable ; pourvu qu’on lui en laisse la liberté. Car il se trouvera toujours […] quelques hommes qui pensent par eux-mêmes et qui, après avoir personnellement secoué le joug de leur minorité, répandront autour d’eux un état d’esprit où la valeur de chaque homme et sa vocation à penser par soi-même seront estimées raisonnablement. » 44

3. Degli uomini considerati come cittadini

Come si è appena stabilito, l’individuo nel Caffè è concepito come attore della società. In effetti è appunto perché diventa attore che può inserirsi nella politica e che viene ormai considerato quale cittadino. L’uomo-cittadino è considerato nella sua utilità alla società dai caffettisti. Perciò nasce un rapporto di scambio tra la società e il cittadino : al cittadino vengono attribuiti diritti legittimati dalla sua utilità alla società. Infatti i caffettisti sono attenti all’applicazione effettuale di questo scambio anche per i ceti sociali dominanti come la nobiltà. Ad esempio, nell’articolo « Sul commercio della nobiltà », Alessandro Verri scrive :

[...] nasce un gran male, cioè che tanti cittadini che potrebbero essere utili alla patria non lo sono, che anzi è molto se non siano nocivi. Poiché un corpo di uomini che tutto riceve dalla società e nulla restituisce non gli può essere che d’aggravio. Quindi è che il costume si corrompe coll’ozio, che lo spirito di patriotismo s’annienta [...].86

Da questa citazione, si può dedurre la coscienza del peso della nobiltà oziosa nel marasma della società milanese mentre i privilegi le sono in gran parte concessi. Infatti negli stessi anni, Giuseppe Parini pubblica Il giorno, poema in cui descrive con ironia la giornata di un « Giovin signore » per fare una denuncia del peso della nobiltà lombarda di fine Settecento incapace di staccarsi dalla propria vita oziosa e frivola e incosciente del proprio ruolo in un mondo in mutamento.87 Di conseguenza, si può dire che il periodico milanese insiste sulla necessità di uno scambio permanente tra il cittadino e la società non solo riguardo ai ceti sociali che sta conquistando come lettori ma anche riguardo a un ceto privilegiato da tempo, la cui azione diventa ormai indispensabile nella ripresa della società milanese. Con questo articolo, il Verri mette ugualmente in rilievo la necessità di rimanere attivi per conservare buoni costumi e mantenere « uno spirito di patriottismo ». Con « patriottismo », il Verri sembra intendere un sentimento di devozione alla patria ma anche la necessaria relazione attiva del cittadino verso la propria patria tuttavia non specifica di quale patria si tratti.

86 Il Caffè, op. cit., p. 263. 87 G. Parini, Il giorno - Le odi, a cura di G. Nicoletti, Milano, BUR, 2013, p. 84. « Come ingannar questi nojosi e lenti/ Giorni di vita, cui sì lungo tedio/ E fastidio insoffribile accompagna/ Or io t’insegnerò. [...] Se in mezzo agli ozj tuoi ozio ti resta/ Pur di tender gli orecchi a’ versi miei. » 45

Effettivamente, definire il patriottismo riguardo al Caffè presuppone di tener conto della pluralità degli autori a volte relativamente in dissonanza. Quando si parla di « patria » o di « nazione » nei confronti del Caffè, si deve essere attenti al campo di definizione, cioè si deve capire se si tratta di una definizione politica o culturale. Fin dall’Introduzione, i caffettisti dichiarano la volontà di « far quel bene che (possono) alla (loro) patria » che sembra essere il Ducato di Milano. Tuttavia, allo stesso tempo, dimostrano la volontà di passare da una cittadinanza regionale a una cittadinanza europea con la formula « le quali fanno che gli uomini in prima erano Romani, Fiorentini, Genovesi o Lombardi, ora sieno tutti presso a poco Europei »88. In effetti, non viene posto un livello intermediario che sarebbe quello dell’italianità. Secondo Raymond Abbrugiati, il fatto di eludere la questione nazionale italiana è un modo di porre e di trattare la questione politica.89 In questa prospettiva, sembra interessante analizzare la definizione del patriottismo di Pietro Verri proposta da Mario Fubini come patriottismo « ben più moderno e tanto letterario » per cui il Verri « Dalle altre nazioni traeva stimolo per l’opera sua rivolta a fare degli italiani non già delle scimmie dei francesi o degli inglesi, bensì degli europei; il che non significava per lui non essere italiani, bensì membri di una nazione partecipe alla vita dell’età moderna, conscia perciò delle proprie manchevolezze anziché vanamente orgogliosa di un passato trascorso e in sé conchiuso, di primati o supremazie incompatibili nella civiltà presente »90. In effetti, questa definizione mostra che il patriottismo nel Caffè è piuttosto da concepire in rapporto col cosmopolitismo per essere ben inteso. Anche se la parola « cosmopolitismo » non è usata nel periodico milanese e porta un significato negativo nel Settecento91, Norbert Jonard considera che « l’azione del Caffè si presenta subito in una prospettiva cosmopolita e prima di tutto come una prospettiva europea »92. Infatti Pietro Verri scrive

Gli uomini presentemente in Europa trovansi divisi bensì in diverse provincie e sotto diversi governi; ma vivendo tutti sotto una mansueta religione di

88 Ivi, p. 12. 89 R. Abbrugiati, « La pensée politique du Caffè » in R. Abbrugiati, Études sur Le Café 1764-1766. Un périodique des Lumières, Publications de l’Université de Provence, 2006, p. 67. 90 M. Fubini, « Pietro Verri e il Caffè » in (a cura di) M. Fubini, La cultura illuministica in Italia, Torino, Eri, 1957. 91 Dictionnaire de l’académie française, Paris, Brunet, 1762. « Cosmopolite : Celui qui n’adopte pas de patrie. Un cosmopolite n’est pas un bon citoyen. » 92 N. Jonard, « Cosmopolitismo e patriottismo nel Caffè », in (a cura di) A. De Maddalena, E. Rotelli, G. Barbarisi, Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell’età di Maria Teresa, vol. II : Cultura e Società, Bologna, Il Mulino, 1982. 46

pace, con usi, costumi e opinioni poco dissimili, formano piuttosto diverse famiglie d’uno Stato che nazioni diverse [...].93

Questo brano ci permette di capire che il cosmopolitismo europeo del Verri è oltretutto culturale e mostra che l’autore milanese è cosciente che si tratti di un cosmopolitismo d’intenzione più che di fatto. Infatti, il cosmopolitismo è sempre promosso nel Caffè ma nella scrittura degli articoli i caffettisti scrivono sempre per un pubblico milanese o in ogni caso italiano. Le loro proposte si inseriscono sempre nel contesto milanese appunto per poter agire concretamente. Ma anche se si ispirano a volte a modelli europei non offrono proposte per un cambiamento concreto a livello europeo. Questo tema è anche stato trattato da Montesquieu anche se, secondo Jonard, il Verri non conosceva i Cahiers in cui scrive che l’Europa è « un Etat composé de plusieurs provinces ». Inoltre, sempre secondo Jonard, con quest’affermazione il Verri dimostra una presa di coscienza delle diverse culture e dell’universalità della natura umana che porta a non richiedere più alla storia di Roma esempi di patriottismo e di eroismo. In effetti, i giornalisti milanesi sembrano convinti che l’Italia, dopo aver contribuito a civilizzare il mondo, faccia ancora parte delle nazioni colte, che essa debba e possa ritrovare il prestigio di una volta e insieme inserirsi in una dinamica europea. Con questa visione del cosmopolitismo, si capisce di più come l’articolo di Gian Rinaldo Carli si inserisca nel periodico milanese. In effetti, il titolo stesso dell’articolo « Della patria degli Italiani » sembra paradossale rispetto a quanto si è detto prima e in parte lo è. Quest’articolo è l’unico a parlare esplicitamente della questione nazionale italiana con un discorso sull’indifferenza degli italiani verso la loro nazione, sulla storia italiana e sull’origine della sua divisione. Secondo il Carli, l’indifferenza degli italiani costituisce la causa stessa dell’arretratezza dell’Italia, cioè della penisola italiana, in materia di scienza e di arte94, il che indica la focalizzazione culturale della sua riflessione. Inoltre, l’autore tende a identificare la cultura italiana con i valori classici, il che si vede con la citazione di Petrarca95 che secondo Raymond Abbrugiati tende ad assimilare l’italianità alla cultura umanistica di cui l’Italia politicamente divisa ha ravvivato e mantenuto la tradizione. Con questa citazione la patria italiana sembra coincidere geograficamente con la penisola italiana. Si può inoltre notare che la rivendicazione di provenienza dalla cultura classica è ambigua nel Caffè che si schiera

93 Il Caffè, op. cit., p. 159. 94 Ivi, p. 422. « Questo può chiamarsi un genio mistico degl’Italiani, che li rende inospitali e inimici di lor medesimi e d’onde per conseguenza ne derivano l’arenamento delle arti e delle scienze e impedimenti fortissimi alla gloria nazionale, la quale mal si dilata quando in tante fazioni o scismi viene divisa la nazione. » 95 Ivi, p. 423. « Che Appenin parte, il mar circonda e l’Alpe » 47 contro ogni autorità e potrebbe simboleggiare la difficoltà del progressismo dei caffettisti a liberarsi dalla cultura politica tradizionale del secolo. Di conseguenza, si può dire che l’affermazione del patriottismo italiano è riservata alla sfera del sapere e della filosofia. Inoltre, l’analisi del Carli per quanto riguarda il movimento comunale96 risulta difficilmente accettabile per il Verri che esita a pubblicare l’articolo.97 Anche se la critica dei Guelfi va d’accordo con la volontà del Caffè di tenere da parte le questioni religiose dalla vita politica e civica e con la posizione anticuriale del Caffè, invece la critica dell’impero è contraria alla strategia dei caffettisti. In effetti, il Ducato di Milano è sotto il dominio austriaco la cui benevolenza è necessaria alla pubblicazione del Caffè. Tuttavia il Carli non si limita a questa critica ma la fa appunto per far emergere un’altra possibilità ossia il principio nazionale. Raymond Abbrugiati nota che questa nozione è usata poco durante l’Illuminismo e ancora di meno rispetto al contesto italiano, il che conferisce ancora una volta un carattere di stranezza all’articolo che culmina con la perorazione finale « Divenghiamo pertanto tutti di nuovo Italiani per non cessar d’esser uomini. ». Quest’ammonimento risulta sorprendente perché propone un’identità di natura tra l’identità nazionale e l’identità umana mentre in precedenza nel periodico è a più riprese proposta un’identità umana universale. Il Fubini considera quest’articolo come un’evidente preoccupazione retorica con una mentalità diversa da quella dominante nel periodico perché rivolta alle cose e non alle parole. Nel tentativo di trovare una coesione di quest’articolo con il resto del periodico si può dire con Norbert Jonard che il discorso di quest’articolo animato dalla « verità e dall’amore del pubblico bene » mira a combattere un pregiudizio fin troppo radicato che mette su « i popoli dell’Italia gli uni contro gli altri » e a incitarli a convivere. Inoltre l’articolo del Carli sembra rappresentare la volontà di far emergere la capacità dell’Italia ad avere un ruolo nelle scoperte scientifiche e nella storia intellettuale proprio quando accenna alla figura di Galileo Galilei. Il riferimento a Galileo Galilei è interessante per diversi aspetti : egli si schiera a difesa di una concezione moderna del progresso con un sapere inesauribile e indefinito e vede nelle accademie la possibilità di un contributo individuale destinato alla collettività. Inoltre l’uso della forma del dialogo98, anche se si inserisce in una tradizione di scrittura barocca,

96 Ivi, p. 425. « Felice l’Italia se questo comune genio di libertà sparso per tutta questa superficie fosse stato diretto ad un solo fine, cioè all’universale bene della nazione ! Ma i diversi partiti del sacerdozio e dell’impero tale veleno negli animi degl’Italiani introdussero che non solo città contro città, ma cittadino contro cittadino e padre contro figlio si vide fatalmente dar mano all’armi. » 97 Ivi, p. 1121, nota 1, Lettera di Pietro Verri al Carli del 17 aprile 1765. « Bello veramente, non vorrei però che l’amor della Patria ci pregiudicasse dell’imparzialità di buoni cosmopoliti. » 98 G. Galilei, Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, a cura di A. Beltran Mari, Milano, BUR, 2014, p. 164. « Accettila dunque l’Altezza Vostra Serensissima con la sua solita benignità; e se ci troverrà cosa alcuna 48 rispecchia un intento democratico rivolto a raggiungere i lettori non specialisti ma dotati però di intelligenza. Galileo fa la dimostrazione della necessità di una parola socializzata99 e, proprio come i caffettisti, presenta ai suoi lettori le varie teorie rispetto a una questione per offrire loro una conoscenza globale della questione (per esempio quella del sistema tolemaico e copernicano). D’altronde nel Saggiatore, egli dimostra tra l’altro un rifiuto di sottomettersi al principio d’autorità e una rivendicazione di un linguaggio più moderno. I caffettisti erano consci di questi aspetti della sua opera, di conseguenza questo riferimento a Galileo può essere capito come una rivendicazione delle proprie scelte in gran parte simili a quelle del padre della scienza moderna. Inoltre, nell’articolo del Carli, la capacità degli italiani di avere un ruolo nella storia europea è sottolineata per indicare che gli italiani sono stati e sono ancora attivi nella propria storia. Infatti il patriottismo del Caffè sembra escludere ogni campanilismo e ogni nazionalismo e risulta complementare al cosmopolitismo del periodico in quanto si propone di elevarsi al di sopra degli egoismi nazionali per partecipare al « concerto delle nazioni civilizzate rischiarate dai lumi universali della ragione ». Di conseguenza, spostando l’attenzione dall’uomo italiano agli uomini europei, i caffettisti dimostrano apertamente la convinzione che gli italiani possono avere un ruolo nella storia europea. Inoltre questo spostamento illustra l’attenzione degli scrittori milanesi a un pubblico più largo anche geograficamente.

Si è appena analizzato il ruolo che viene conferito all’individuo nella costruzione dell’opinione pubblica, ora ci si interesserà alla nozione di « opinione pubblica » e alla relazione di questa nozione con l’organizzazione della vita in società e con il pubblico dei lettori del Caffè.

C. Le nozioni di « pubblico » e di « opinione » nel Caffè

1. Il rapporto fra il « pubblico » e il « privato »

onde gli amatori del vero lo possan trar frutto di maggior cognizione e di giovamento, riconoscala come propria di Sè medesima [...]. » 99 A. Battistini, Galileo, Bologna, Il Mulino, 2011, IV, 6. 49

Per la chiarezza del nostro proposito, torna opportuno fermarsi sui vari significati e usi delle nozioni di « pubblico » e di « privato » e tentare di analizzare lo stretto limite fra queste due nozioni. Infatti, nel Settecento, la parola « pubblico » assume un nuovo significato : oltre al significato di « comune a tutti » appare il significato di « che riguarda l’insieme di una popolazione, tutta la collettività ». In questa prospettiva, si può considerare il periodico milanese come pubblico. In effetti, l’uso della parola « tutti » è interessante a questo riguardo perché riflette la volontà ufficiale di rivolgersi a tutti, il che è illustrato con la volontà di allargamento del pubblico dei lettori ma anche con la volontà di considerare le azioni degli individui nell’obiettivo del « bene pubblico » o della « felicità pubblica » e quindi di dare l’illusione di un miglioramento per tutta la popolazione. Di conseguenza, si può considerare la pubblicazione del periodico quale pubblica perché i caffettisti curano la forma e il contenuto dei loro articoli per poter aggirare la censura e raggiungere il loro pubblico di lettori nella volontà di creare un’opinione pubblica. Inoltre quando i caffettisti criticano la nobiltà oziosa, lo fanno appunto a causa del danno pubblico, cioè del danno riguardo alla collettività. Un altro significato dell’aggettivo « pubblico » è « relativo allo Stato ». Questo secondo significato è valido per quanto riguarda il Caffè, i cui redattori sono quasi tutti assunti dallo Stato per qualche carica ufficiale. In questa prospettiva i caffettisti sono persone pubbliche perché esercitano funzioni in seno allo Stato che li paga. Si può aggiungere che nel Caffè non si parla mai apertamente del dominio austriaco affinché la pubblicazione del periodico non sia complicata o addirittura vietata dai censori. Si sa anche che i sovrani erano a conoscenza del Caffè. Si può quindi considerare l’opera del Caffè come pubblica anche da questo punto di vista. Prima di studiare gli altri significati della parola « pubblico », sembra importante definirla quando assume la funzione di sostantivo. Per il nostro discorso sembra rilevante la definizione di Jürgen Habermas del « pubblico » come il « pubblico dei lettori » cioè « i privati che si raccolgono in pubblico [e] che discutono anche pubblicamente su ciò che hanno letto »100 anche se la forma del periodico permette ai lettori di leggere da soli prima di discutere le loro letture. Inoltre, quest’immagine ideale del pubblico come comunità di privati che fanno un « pubblico uso della propria ragione »101 presuppone il postulato che fa di ogni lettore il titolare potenziale di un’opinione potenzialmente razionale e critica e nasconde una

100 J. Habermas, Storia e critica dell’opinione pubblica, Bari, Laterza, 1972, p. 68. 101 I. Kant, Qu’est-ce que les Lumières ?, op. cit., p. 499. 50 realtà fatta di pratiche sociali articolate e codificate.102 Inoltre dagli anni Cinquanta del Settecento, Pompeo Neri, che è al servizio del governo austriaco, dimostra la volontà di schiudere la scena del dibattito politico per convocarvi un attore non istituzionale, cioè il « pubblico » dei contribuenti. Secondo Sandro Landi, la presenza di quest’attore estraneo al gioco politico muta profondamente « le regole e le strategie della comunicazione e della lotta politica possibili nello spazio assolutista ». Il che viene a conferma della volontà dei caffettisti di costruire un’opinione pubblica in grado di influenzare concretamente il potere politico. « Che è noto » costituisce un altro significato della parola « pubblico », cioè che non è segreto, che si svolge davanti a più testimoni o che è portato a conoscenza di tutti o di almeno un gran numero di persone. In effetti, con questa definizione, non si può non pensare al foglio periodico del Caffè che intende proprio divulgare certe conoscenze conservate fino ad ora all’interno di accademie o di circoli intellettuali. Si trova poi il significato di « che è generale, comune a tutti », che si declina da una dimensione più vasta a una più ristretta. L’accezione più generale è quella di « accessibile a tutti » come le biblioteche pubbliche o i giardini pubblici103, i quali rappresentano una novità del secondo Settecento a Milano. Come ultimo significato della parola « pubblico », ci interessa quello di « a cui tutti possono partecipare » e con quest’accezione si pensa alla presentazione della bottega di Demetrio, all’inizio del primo foglio e lungo gran parte degli articoli, come luogo dove tutti possono venire per partecipare ai dibattiti. Tuttavia questo costituisce solo una messa in scena di un’elaborazione pubblica la quale, benché sia il frutto di discussioni, si svolge in realtà solo tra i membri dell’Accademia dei Pugni quindi in condizioni relativamente ristrette. L’accezione più ristretta è quella rispetto a una persona che esercita un’attività che riguarda altre persone e in effetti si può dire che i caffettisti in quanto filosofi e giornalisti rientrino in questa definizione di uomini pubblici. Tuttavia, i significati « di tutti, che emana da tutti o dal più gran numero di persone » e « che riguarda l’insieme di una popolazione, tutta la collettività » sembrano essere quelli che definiscono meglio l’espressione « opinione pubblica » nei confronti del Caffè. Ora, per capire di più l’importanza dell’uso della parola « pubblico » e le sue sfumature, è utile considerarla in rapporto con la parola « privato ». La prima accezione di

102 S. Landi, « “Pubblico” e “opinione pubblica”: osservazioni su due luoghi comuni del lessico politico italiano del Settecento », op. cit. 103 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’italia del Settecento, op. cit., p. 14. « Pur in assenza di grandi interventi nel tessuto urbanistico e di ampliamenti ragguardevoli delle aere edificate, durante l’età teresina e giuseppina Milano [...] vede abbellito e trasformato il suo volto grazie ad una serie di realizzazioni che vanno dalla demolizione o dalla diversa destinazione di edifici religiosi, e dalla costruzione di teatri, palazzi, ville, alla sistemazione di strade e piazze secondo i canoni neoclassici del decoro e della magnificenza civile, dall’apertura di pubblici giardini all’illuminazione notturna introdotta a Milano nel 1784. » (citando D. Sella e C. Capra, Il ducato di Milano dal 1535 al 1796, Utet, Torino, 1985, p. 579.) 51 quest’ultima parola in opposizione all’accezione di « pubblico » come « comune a tutti » è « che solo alcuni possono usare, che si svolge nell’intimità, che riguarda un piccolo numero di persone ». Come si è accennato prima, si può considerare l’elaborazione del periodico del Caffè come tale se non si considera il rapporto con il pubblico di lettori che discute gli articoli e così li legittima, rapporto che di conseguenza si svolge nella sfera pubblica. L’ultima accezione di « privato » è quella in opposizione a « di Stato » e sembra rilevante perché ci permette di sottolineare il fatto che gli scrittori del Caffè non si presentino mai al pubblico dei lettori, non parlino mai delle loro cariche governative, anche se si spiega dal fatto che queste siano tangibili soprattutto dopo l’esperienza del Caffè. Ormai si sono definite le diverse accezioni semantiche delle parole « pubblico » e « privato » e si intende ora chiarire il rapporto tra queste due nozioni nei discorsi illuministici. Infatti sembra opportuno interessarsi alla posizione di Rousseau104 in Du contrat social. In effetti, Rousseau non parla di « pubblico » e « privato » ma di « interesse particolare » e « interesse generale » e secondo lui l’interesse particolare deve accordarsi all’interesse generale, che deve prevalere perché rappresenta il bene comune. Inoltre l’interesse generale deve essere provato e capito bene da tutti. I caffettisti hanno anche letto il trattato di Ludovico Antonio Muratori Della pubblica felicità pubblicato nel 1749. Questo trattato, definito « un autentico manuale per il riformismo moderato »105, non presenta un contenuto nuovo ma è interessante perché è indirizzato a un principe, perché è stato accolto da molti lettori austriaci, fra cui Maria Teresa, « così da improntare di sé il modo di interpretare i problemi della politica e della religione »106 e perché presenta in modo concreto la nozione di « pubblico » com’è intesa nel secondo Settecento. In effetti, questo trattato propone un uso politico e normativo di questa nozione nell’area linguistica italiana. « Pubblico » per Muratori ha una consistenza politica direttamente legata a un cambiamento di prospettiva, cioè alla volontà di sottolineare la vocazione « pubblica » della politica del principe. Questa parola diventa quindi veicolo di diversi valori alla luce di una duplice dicotomia « pubblico »/« particolare » e « pubblico »/« occulto ». Inoltre, per Muratori, la felicità individuale è tipica dell’impulso umano mentre la felicità pubblica « ha per madre la virtù ». La prima poiché è una sorta di passione dell’anima può portare al vizio mentre la seconda è sempre positiva107.

104 J.J. Rousseau, Du contrat social, a cura di B. Bernardi, Paris, GF Flammarion, 2012, [1762], I., 6 ; « Du pacte social », p. 51. 54. 105 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’italia del Settecento, op. cit., p.165. 106 Ivi, p.297. 107 L.A. Muratori, Della pubblica felicità, Lucca, 1749, p. 3. « Di gran merito presso Dio e presso gli uomini sempre è il bramare e procurare il pubblico bene, purché si eseguisca con onesti mezzi. Ed oh volesse Dio che questa nobil brama, questo generoso affetto, maggiormente si predicasse, si dilatasse e s’impossessasse del cor 52

Queste due teorie sono interessanti per quanto riguarda il nostro discorso perché permettono di capire meglio la posizione del Caffè. In effetti, come Rousseau, i caffettisti intendono situare l’interesse privato nei limiti dell’interesse pubblico. Tuttavia non richiedono una totale sottomissione ma una comprensione dell’interesse personale che si può ricavare nel situarsi nei limiti dell’interesse pubblico. In effetti, secondo Ida Cappiello108, la concezione di comunità dei caffettisti non è un sogno di comunità alla Rousseau ma una volontà di conciliare il massimo di giustizia con il minimo di sacrifici in termini individuali.109 Da questa concezione nasce nel Caffè l’importanza di far prevalere l’interesse pubblico su quello privato proprio perché l’interesse pubblico è diretto alla « maggior felicità divisa per il maggior numero » ma senza rovesciare l’ordine sociale. Tuttavia, i caffettisti non hanno una concezione dell’interesse personale così negativa come il Muratori. In effetti considerano che, poiché l’interesse personale è guidato in parte dalle passioni, si devono usare le passioni per raggiungere l’uomo in quanto individuo e per svegliare l’idea di interesse personale che può ricavare dall’interesse pubblico. Tuttavia l’interesse personale fine a se stesso è biasimato dai caffettisti.110 L’individuo deve riconoscersi nella comunità e agire nell’ambito collettivo per evitare che ci sia un divario fra lui e la comunità che produrrebbe una tirannia. La scelta di una parola in una dimensione pubblica sia relativa allo Stato, sia riguardo alla caratterizzazione di un certo numero di persone che in opposizione all’occulto è una scelta retorica, strategica e politica appunto perché permette di trasmettere un determinato messaggio a determinate persone, nascondendone alcune caratteristiche o accentuandone altre. In effetti, l’aggettivo « pubblico » è assai usato nel Caffè, ma i caffettisti non ne propongono mai una definizione precisa. Di conseguenza, il lettore, benché sia istruito, può essere indotto a considerare o la dimensione universale anch’essa contestabile o la dimensione relativa alla dimensione politica intesa come arte di governare le società e come organizzazione della vita in società, ma non per forza un’insieme di queste dimensioni. Così si instaura un rapporto dialettico tra il « pubblico » e il « privato » lungo tutto il periodico al dei mortali e massimamente di chi presiede al governo dei popoli, e di chiunque ha genio e si applica alla letteratura. Ne starebbe pur meglio il mongo [...]. » 108 I. Cappiello, « L’idea di stato nell’IIluminismo lombardo », in (a cura di) A. De Maddalena, E. Rotelli, G. Barbarisi, Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell’età di Maria Teresa, volume II : Cultura e Società, Bologna, Il Mulino, 1982. 109 J. J. Rousseau, Du contrat social, op. cit., p. 52. « Ces clauses bien entendues se réduisent toutes à une seule, savoir l’aliénation totale de chaque associé avec tous ses droits à toute la communauté. » 110 Il Caffè, op. cit., p. 128. « La dubbia interpretazione a cent’occhi e cento facce offrirà un ampio campo a’ dottori di deludere i ridicoli loro comandi, mostrando di volerli scrupolosamente adempire; sicché nient’altro avranno guadagnato, se non che il loro nome sarà ripetuto negli atti delle cause, stampato nelle allegazioni, deriso da’ savi pensatori e venerato da coloro che fossero vili ed avidi ministri del loro interesse, piuttosto che delle leggi e della giustizia. » e p. 145. « L’interesse privato ha sovente indebolite le armi ed oscurata la gloria dei sovrani. » 53 servizio dello scopo politico. In questa prospettiva, il « pubblico » diventa più un obiettivo che un risultato e costituisce un’occorrenza problematica che chiama in causa delle strategie di legittimazione del discorso politico.

Secondo Sandro Landi, « difficilmente una qualsivoglia proposta politica che intenda raggiungere i suoi fini potrà (dopo la pubblicazione del trattato del Muratori), evitare di misurarsi con questo nuovo, invadente attore del discorso politico »111. Ora si tratterà di considerare queste nozioni in riferimento all’opinione e di capire il suo uso politico.

2. Un uso politico dell’opinione pubblica

Per parlare dell’uso politico dell’espressione « opinione pubblica » nel Caffè, bisogna prima tentarne una definizione. Quest’espressione sembra paradossale perché l’idea di unanimità e di consenso sottintesa da « pubblico » non sembra in accordo con la divisione implicata dall’uso di « opinione ». Questo paradosso fa sì che l’espressione « opinione pubblica » risulti difficilmente definibile. Tuttavia si sa che essa è un prestito linguistico dal francese, di conseguenza risulta opportuno interessarsi a una sua definizione nell’aria francese. In effetti, Louis-Sébastien Mercier, scrittore vicino a Diderot, scrive che « I buoni libri spandono lumi in tutte le classi del popolo, ornano la verità. Sono essi che già governano l'Europa, che illuminano il governo sui suoi doveri, sui suoi errori, sui suoi veri interessi, sull'opinione pubblica che esso deve ascoltare e seguire : questi buoni libri sono maestri pazienti che attendono il risveglio degli amministratori degli Stati e la calma delle loro passioni »112. Questo brano permette di illustrare la consapevolezza del ruolo politico dell’opinione pubblica ma oltre al ruolo dei « buoni libri » non c’è nessuna spiegazione rispetto al modo di costruire l’opinione pubblica. Inoltre secondo Sandro Landi113, l’espressione « opinione pubblica » diventa di uso corrente nel lessico italiano nella seconda metà del Settecento e il suo impiego è attestato per la prima volta negli anni sessanta proprio

111 S. Landi, « “Pubblico” e “opinione pubblica”: osservazioni su due luoghi comuni del lessico politico italiano del Settecento », op. cit. 112 L.-S. Mercier, Notions claires sur les gouvernements, Amsterdam, 1787, p. IV. 113 S. Landi, « « Pubblico » e « opinione pubblica » : osservazioni su due luoghi comuni del lessico politico italiano del Settecento », op. cit. 54 nella corrispondenza dei fratelli Verri.114 Con « opinione pubblica », il Verri sembra voler indicare il giudizio di un pubblico illuminato ma Sandro Landi sottolinea che nello stesso epistolario « opinione pubblica » pare significare « fama », « giudizio erroneo della moltitudine ». Quest’oscillazione di significato sembra rispecchiare la varietà di espressioni usate nel Settecento come « spirito pubblico » oppure « opinione comune ». In più bisogna sottolineare che l’espressione « opinione pubblica » compare una volta sola nel Caffè per significare « fama pubblica ».115 Tuttavia, sempre secondo Sandro Landi, « nelle pagine di Pietro Verri, l’uso di « opinione » è tutt’altro che neutro ed implica una consapevole strutturazione del campo letterario nel quale gli intellettuali svolgono una funzione di intermediari tra il potere politico, di tipo assolutistico, e il pubblico dei lettori. ». In effetti nell’avvertimento « Al lettore », il Verri scrive « Non si deve e non si è mai prestato omaggio ad alcuna opinione », il che illustra la volontà di costruire un’opinione pubblica in opposizione a una concezione negativa dell’opinione personale, quella medievale di « opinione comune » intesa come fonte di autorità, come « senso comune » non discusso. Inoltre nell’articolo « I giudizi popolari » Pietro Verri distingue un’altra opinione negativa, l’opinione popolare :

Dichiariamo d’aver buono il giudizio volgare [...] in tutte le facoltà le quali hanno per fine primario il dilettare [...], ma dichiariamo incompetente il giudizio del popolo in tutto ciò che per conoscersi richiede il ragionamento, poiché questa è la facoltà umana ad esercitar la quale s’è sempre opposta una invincibile inerzia in tutti i secoli e, dove più, dove meno, presso tutte le nazioni.116

Di conseguenza, si può dire che l’opinione pubblica nel Caffè è da intendere come giudizio emesso da alcuni « uomini dabbene » indifferenti all’opinione popolare e agli

114 Pietro a Alessandro Verri, Milano 27 gennaio 1768 : « Malagrida era certamente reo d'aver fomentata e aiutata l'idea dell'assassinio del re, la sua morte è un tratto di finissima politica; colui presso la nazione superstiziosa passava per un grande e santissimo uomo, né v'era il modo di conciliarsi l'opinion pubblica se non col farlo giudicare fanatico, visionario e peccatore. », Carteggio di Pietro e Alessandro Verri dal 1766 al 1797, I, a cura di F. Novati e E. Greppi, Milano, Cogliati, 1910, p. 147. 115 Il Caffè, op. cit., p. 534. « Un buon parente volle avvertirne Badi, sebbene Badi medesimo erasi già accorto dal freddo accoglimento che dovunque gli veniva fatto, e da alcuni sorrisi che travvedeva, che l’opinione pubblica non era in suo vantaggio. » 116 Ivi, p. 240. 55 argomenti di autorità grazie all’uso della ragione e alla lettura di opere militanti qual è il Caffè. Tuttavia ci si può interrogare sul legame tra l’opinione personale e l’opinione pubblica nel periodico milanese e infatti sembra che l’opinione pubblica non sia il risultato di un ragionamento personale che porti a un’opinione personale o di un’aggregazione di opinioni personali, ma piuttosto della comprensione di un ragionamento proposto da intellettuali, capito e discusso dai lettori nell’ottica di una sua validità nell’obiettivo del bene pubblico e usato poi dagli intellettuali o dagli uomini di stato per influenzare il principe.117 Da questo punto di vista sembra quindi essere l’opinione pubblica a influenzare l’opinione personale anche se Mona Ozouf ricorda che in realtà la questione è spesso risolta in modo circolare, cioè da un lato l’opinione individuale risulta da una sociabilità nuova messa a fuoco durante il Settecento e da un altro lato l’iniziativa individuale si incarica della maturazione dell’opinione pubblica.118 D’altronde una sfida dell’individuo risiede nel tentare di conservare uno « spirito critico » quando ci si inserisce in una dinamica di opinione pubblica. In effetti anche nel Caffè troviamo una tensione fra l’opinione e lo spirito critico nell’articolo « Storia naturale del caffè ». Infatti Pietro Verri scrive :

Il caffè rallegra l’anima, risveglia la mente [...], ed è particolarmente utile alle persone che fanno poco moto e che coltivano le scienze. Alcuni giunsero perfino a paragonarlo al famoso nepente119 tanto celebrato da Omero; [...].120

In questo brano si vede che il caffè è descritto con virtù risvegliative che spingono l’animo a uno spirito critico ma che è allo stesso tempo paragonato all’oppio, le cui virtù sono caratterizzate dall’attenuare le facoltà intellettuali, e di conseguenza non può indurre a uno

117 F. Todesco, « Il pubblico e la tradizione delle « dispute vane » come precostituenti dell’opinione pubblica attraverso i periodici », in (a cura di) A. Postigliola, Opinione, Lumi, Rivoluzione, Roma, 1993, p. 94. « Da un lato, i periodici presentano l’opinione come costituito – almeno in buona misura – proprio a partire dalle opinioni espresse nei periodici ; avremmo quindi che il pubblico si costituisce in primo luogo come « portatore di opinioni » : sarebbe quindi l’opinione a precedere il pubblico, e non viceversa, malgrado il fatto che il termine « pubblico » preceda cronologicamente il termine « opinione pubblica ». » 118 M. Ozouf, « Le concept d'opinion publique au XVIIIe siècle », in Sociologie de la communication, vol.1, Paris, Gallimard, 1997, p. 359. 119 Il Caffè, op. cit., p. 1019. « Odissea, IV 220 – 2 I : farmaco che toglie il dolore. È ricordato nel noto episodio in cui Elena, nella sua reggia Sparta, per lenire il dolore del ricordo, offre ai suoi ospiti, fra i quali Pisitrato e Telemaco, partiti da Itaca alla ricerca di Ulisse, del vino in cui ha mescolato un farmaco «contrario al pianto e all’ira, e che l’oblio / Seco inducea d’ogni travaglio e cura » (trad. Di I. Pindemonte, IV, 285. 286.). » 120 ivi, p. 16. 56 spirito critico, ma provoca la passività dell’individuo rispetto a un’opinione impostagli. Di conseguenza si può dire che quest’articolo dimostra come lo spirito critico diffidi l’opinione. Questa tensione posta nel primo articolo della rivista e non più lungo tutta l’opera indica la consapevolezza dei caffettisti del pericolo che si può riscontrare nel voler costruire un’opinione pubblica, se non si spingono gli uomini a riflettere, e quindi la conscienza dell’importanza dell’educazione in questa prospettiva. Inoltre Mona Ozouf ci indica che l’unica proposta formulata per conservare uno spirito critico è quella dei fisiocratici, la quale consiste a fare in modo che l’« opinione pubblica » abbia l’apparenza dell’« evidenza ».121 Tuttavia questa proposta non costituisce una risposta all’essenza del problema ma costituisce una costatazione da tenere in mente nella volontà di costruzione dell’opinione pubblica rispetto all’importanza della chiarezza nell’enunciazione e dell’educazione. Inoltre sembra importante distinguere anche l’« opinione pubblica » dallo « spirito pubblico ». Infatti quest’ultimo sembra qualificare una concezione delle questioni sociali, economiche o politiche nell’ambito pubblico ma non sembra richiedere una presa di posizione. Si è intravisto il ruolo ritenuto fondamentale dell’educazione nella costruzione dell’opinione pubblica in parte in opposizione a quella costruita dai Gesuiti. La necessità dell’educazione fin dall’infanzia riflette la volontà di fare di ogni individuo un futuro cittadino. Infatti sarà appunto rivolgendosi a individui educati, nel senso etimologico, e quindi dotati di buonsenso che si potrà sempre rianimare l’opinione pubblica affinché essa rifletta uno spirito critico e non un precetto non discusso come nel caso dell’opinione pubblica formata dai Gesuiti. La posta in gioco del Caffè risiede proprio nel proporre un sapere perché l’opinione pubblica possa avere un ruolo positivo e non sia una semplice illusione o un vago senso comune costatato. In altre parole, il ruolo dell’educazione permette di fare sì che lo spirito pubblico non venga meno affinché l’opinione pubblica imposta sia capita e non percepita come una sentenza dittatoriale. Nell’Émile ou de l’éducation, Rousseau espone la difficoltà di questa posta in gioco, mostrando proprio come più si aumenta la propria capacità di ragionamento tramite l’educazione, più ci si espone alla corruzione della società.122 In

121 M. Ozouf, « Le concept d'opinion publique au XVIIIe siècle », op. cit., p. 358. « La solution que le siècle invente, celle pour laquelle Habermas lui fait hommage d'avoir inventé le concept d'opinion publique, est celle des physiocrates : pour que l'opinion publique ait cette infaillibilité qui emporte sans discussion l'assentiment de chacun, il faut et il suffit que l'opinion publique soit l'autre nom de l'évidence. Céder à l'évidence, c'est ne pas céder. » 122 J. J. Rousseau, Émile ou de l’éducation, a cura di M. Launay, Paris, GF Flammarion, 1966, [1762], p. 295. « Prenons deux jeunes gens sortant de la première éducation et entrant dans le monde […]. L’un monte tout à coup sur l’Olympe et se répand dans la plus brillante société […]. Je le suppose fêté partout, et je n’examine pas l’effet de cet accueil sur sa raison ; je suppose qu’il y résiste. Les plaisirs volent au-devant de lui, tous les jours de nouveaux objets l’amusent ; il se livre à tout avec un intérêt qui vous séduit. Vous le voyez attentif, empressé, 57 effetti la sfida del Caffè sembra risiedere nel riuscire insieme a educare il proprio pubblico e a mostrargli gli ingranaggi della società affinché il profitto di inserirsi nella società sia maggiore del rischio di corrompersi. Inoltre nel Settecento la nozione di « politico » assume un secondo significato. Sulla scia della Politica di Aristotele il primo significato di « politica » si evidenzia come l’insieme delle dottrine e dei saperi che riguardano la dimensione dell’agire insieme. In questa prospettiva l’uomo, il cui destino naturale è vivere fra gli uomini, è « un animale politico ». Di conseguenza la politica può anche essere intesa come il gioco delle passioni. Il secondo significato che appare nel Settecento riguarda il complesso delle attività che riguardano la vita pubblica e gli affari pubblici di una determinata comunità di uomini. Di conseguenza l’opinione pubblica in quanto riguarda la vita pubblica e in quanto considera ogni argomento in una dimensione pubblica ha necessariamente un uso politico. In effetti, l’opinione pubblica è doppiamente politica in quanto si costruisce in una certa meta pubblica e in quanto serve a influenzare il principe nel senso di chi governa. In questa prospettiva, Raymond Abbrugiati nota che la riflessione giornalistica del Caffè ha così un significato politico immediato poiché costata l’emergenza di un nuovo fattore della vita politica, cioè il peso dell’opinione pubblica, e, insieme a questo nuovo potere, individua quello dei media che permettono di maneggiare l’opinione.123 In effetti, secondo Sandro Landi, l’opinione pubblica diventa costituitiva di una nuova cultura governativa nel Settecento124 e quest’espressione è diventata in pochi anni una parola chiave del discorso politico, « il cui uso propagandistico è suscettibile di catalizzare aspettative e progetti in un contesto di apologia e di riforma dell’assolutismo. »125.

Tuttavia per capire meglio l’uso politico dell’opinione pubblica e le modalità di costruzione dell’opinione pubblica risulta necessario interessarsi al pubblico reale del periodico milanese.

curieux ; sa première admiration vous frappe ; vous l’estimez content : mais voyez l’état de son âme ; vous croyez qu’il jouit ; moi, je crois qu’il souffre. » 123 R. Abbrugiati, « Un périodique et son public » in R. Abbrugiati, Études sur Le Café, op. cit., p. 136. 124 S. Landi, Naissance de l’opinion publique dans l’Italie moderne, op. cit., p. 14. 15. 125 S. Landi, « « Pubblico » e « opinione pubblica » : osservazioni su due luoghi comuni del lessico politico italiano del Settecento », op. cit. 58

3. Il pubblico del periodico

Quando si parla del pubblico del Caffè si deve stare attenti a distinguere la volontà dei filosofi milanesi e la realtà effettuale. In effetti, anche se questi due parametri possono a volte coincidere, per esempio quando si parla di un allargamento del pubblico del periodico, la realtà effettuale non rispecchia sempre la volontà dei caffettisti per quanto riguarda la quantità reale del pubblico dei lettori rispetto alla volontà apertamente dichiarata. Per riuscire a farsi un’idea del pubblico reale della rivista si deve essere attenti sia al pubblico com’è descritto nel Caffè, che agli argoment trattati nel periodico, perché riflettono in un certo modo categorie di persone da raggiungere sia socialmente che politicamente e intellettualmente. Inoltre, Sandro Landi ricorda che « la formazione di un pubblico « illuminato » è senza reale rapporto con l’esistenza di condizioni politiche che rendono possibile l’espressione di opinioni divergenti. »126, il che è da tenere in mente nel contesto milanese. Riguardo alla volontà di allargare il loro pubblico di lettori, i caffettisti la dichiarano fin dall’avvertimento « Al lettore » quando il Verri scrive « Essi hanno mosso gli autori a cercare di piacere e di variare in tal guisa i soggetti e gli stili che potessero esser letti e dal grave magistrato e dalla vivace donzella, e dagl’intelletti incalliti e prevenuti e dalle menti tenere e nuove. ». In effetti quest’attenzione dichiarata a un pubblico più largo socialmente e intellettualmente è significativa rispetto al pubblico reale degli altri periodici contemporanei al Caffè. Non si tratta solo di rivolgersi a un pubblico di lettori già costituito, ma anche di raggiungere un pubblico che non è avvezzo a leggere periodici. Tuttavia si capisce bene che per costituire il pubblico di un periodico, bisogna saper leggere o almeno essere in contatto con chi legge per poter ricevere una lettura orale, il che non è per niente il caso di tutte le « vivaci donzelle » o di tutte le menti « tenere e nuove ». Quest’attenzione a un pubblico più largo viene anche ribadita da Cesare Beccaria nell’articolo « De’ fogli periodici »127 ma nello stesso articolo il Beccaria dimostra di essere consapevole di rivolgersi a un pubblico limitato con l’espressione seguente :

126 Ibidem. 127 Il Caffè, op. cit., p. 411. « [...] i fogli le cognizioni medesime che circolano nel popolo studioso comunicano e diffondono nel popolo o travagliatore od ozioso. » 59

Qui non si parla né ai sublimi né ai stupidi e zotici uomini, ma a quella parte del genere umano che trovandosi fra questi estremi oscilla perpetuamente o verso l’uno o verso l’altro.128

Questo brano illustra in effetti da una parte la consapevolezza di un pubblico ristretto ma dall’altra anche la consapevolezza di rivolgersi a un pubblico instabile di natura. Il fatto stesso di restringere apertamente il proprio pubblico riflette la nascita di uno « spazio pubblico borghese »129 nel Settecento. In effetti, questo spazio borghese sembra coincidere con il « popolo » del Caffè, che rappresenta il 17%130 della popolazione del Ducato di Milano. D’altronde Giuseppe Ricuperati segnala l’apparizione in questo nuovo pubblico costituito, oltre che dai pochi « dotti », soprattutto dagli operatori economici, gli uomini politici, i funzionari, gli amministratori, gli insegnanti dei collegi e delle università.131 Di conseguenza è opportuno ribadire che nel Caffè, il pubblico dei lettori partecipe della costruzione dell’opinione pubblica a Milano coincide incontestabilmente con una classe sociale precisa, il « popolo » del Caffè cioè la borghesia milanese e parte dell’aristocrazia. Si può segnalare che il fatto che i portatori dell’opinione pubblica coincidano con una classe sociale non è frequente, il che riflette la consapevolezza dei caffettisti di poter appoggiarsi solo a questa classe sociale e a questo pubblico medio132 per poter agire concretamente nel Ducato di Milano. Inoltre nel brano si è intravvista la consapevolezza dell’instabilità del pubblico, di conseguenza si può dire che il ruolo dei caffettisti risiede appunto nel renderlo più stabile tramite tra l’altro l’educazione, la forma stessa del periodico che si legge più velocemente e la struttura retorica dell’opera. Si può aggiungere che questa delimitazione precisa del proprio pubblico permette ai caffettisti di poterlo conoscere meglio e di individuare nuove fasce all’interno di esso a cui rivolgersi rispetto a periodici anteriori o contemporanei a loro. In effetti, fra queste fasce tralasciate prima, si trovano le donne e i giovani. Queste attenzioni particolari si riflettono sia negli argomenti trattati negli articoli sia in qualche dichiarazione dei caffettisti. Come si è

128 Ivi, p. 415. 129 S. Landi, Naissance de l’opinion publique dans l’Italie moderne, op. cit., p. 9. 130 N. Jonard, Milan au siècle des Lumières, op. cit., p. 33. 131 G. Ricuperati, Giornali e società nell’Italia dell’« Ancien Régime », p. 190., citato in D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’Italia del Settecento, op. cit., p. 192. 132 R. Abbrugiati, « La pensée politique du Caffè », op. cit. p. 64. « Il Caffè […] va permettre à ses rédacteurs de s’adresser non seulement à l’étroite élite intellectuelle qui lit les livres mais encore à un public élargi constitué de lecteurs « moyens », peu aptes ou peu enclins à l’effort requis par le livre mais disposés à la lecture facile et rapide d’une feuille périodique. » 60 analizzato prima, il ruolo delle donne è ormai caratterizzato nella propria dimensione attiva all’interno della società e presso gli uomini e i propri figli nel loro ruolo educativo. In effetti, il Beccaria nell’articolo « De’ fogli periodici » scrive :

Le donne poi, le leggieri e distratte donne, il di cui tacito impero cresce col numero degli oziosi e sulle quali gli uomini per lo più si modellano, sono dispostissime a trarre profitto da’ fogli periodici.133

Come si può notare, in questo brano il Beccaria identifica chiaramente le donne come un pubblico di predilezione. In effetti, secondo il pensiero di Helvétius già sviluppato prima, le donne esercitano un potere di attrazione sugli uomini, il che conferisce loro un ruolo nella trasmissione di valori e nella formazione dell’opinione pubblica sottolineato da Beccaria nello stesso articolo quando scrive :

Oh se alcuna di quelle sovrane bellezze che dan norma in una metropoli a tutte le altre, legislatrici de’ più colti modi, ne cominciasse lo sperimento, qual folla d’imitatori e d’imitatrici si trarebbe dietro...134

Questo brano illustra come il Caffè integri le donne nella sua strategia di diffusione e di costruzione dell’opinione pubblica. Inoltre i caffettisti individuano un altro punto di influenza delle donne : nel Settecento sono loro a badare all’educazione dei figli, di conseguenza bisogna anche rivolgersi a loro affinché trasmettano certi valori e certe conoscenze ai propri figli. In effetti, il Beccaria dimostra un’attenzione per i giovani quando scrive :

Noi fortunati, se con questi scritti potremo acquistare un buon cittadino di più alla patria, un buon marito, un buon figlio, un buon padre ad una famiglia; se avremo spinti alle utili cognizioni qualche giovine atterrito dall’austero e

133 Il Caffè, op. cit., p. 412. 134 Ivi, p. 413. 61

puramente fattizio abito che si è dato alle scienze, o ritroso per una insegnata diffidenza che piega gli uomini agli uomini, ma non gli uomini alle cose!135

Questo brano dimostra la speranza e la necessità di rivolgersi a un pubblico giovane che durante la sua educazione è stato lasciato in preda ad argomenti imposti dall’autorità e a una concezione verticale del sapere. D’altronde due articoli136 trattano specificatamente dell’educazione e dell’istruzione dei giovani, il che dimostra da una parte la necessità dell’educazione e soprattutto del rinnovamento dell’educazione e dell’istruzione e dall’altra parte la necessità di coinvolgere anche i giovani137 nella costruzione dell’opinione pubblica. Inoltre, come si è già visto, il governo austriaco è a conoscenza del Caffè. Si può quindi dire che in un certo modo anche il potere austriaco costituisce una parte del pubblico del Caffè. Si può anche notare che il pubblico del Caffè si allarga geograficamente, poiché il periodico milanese viene tradotto fin dal 1766 in francese per essere pubblicato nella Gazette littéraire de l’Europe e poco dopo in tedesco. Di conseguenza il periodico circola già nella Repubblica delle lettere, anche se il pubblico internazionale rimane limitato.

Si è fino a ora spiegato che cos’è l’opinione pubblica nei confronti del periodico del Caffè, come la costruzione dell’opinione pubblica nel Caffè si innesta nelle condizioni culturali, sociali e politiche europee, italiane e milanesi a partire da una nuova concezione dell’uomo che viene ormai considerato quale un cittadino e quindi in una dimensione attiva rispetto alla società. D’altronde si sono analizzate le strategie politiche implicate dall’espressione nella costruzione stessa dell’opinione pubblica. Tuttavia non si sono ancora studiati i campi del sapere nei quali si costruisce l’opinione pubblica per intendere avere un’azione concreta nella Milano del secondo Settecento, il che sarà l’oggetto della seconda parte di quest’analisi. Di conseguenza, si spiegherà ora perché e come le istituzioni devono essere capite dai lettori e quali cambiamenti devono essere intrapresi per poter costruire un’opinione pubblica in grado di influenzare il potere governativo. Si vedrà poi come i cambiamenti intrapresi nelle istituzioni permettono un’azione in campi pratici quale il commercio, l’educazione e la comunicazione. Il che ci porterà a considerare come le

135 Ivi, p. 419. 136 Ivi, si vedano gli articoli seguenti : A. Verri, « Pensieri scritti da un buon uomo per l’istruzione di un buon giovine, p. 189. 198. e P. Verri, « Gli studi utili », p. 311. 318. 137 Ivi, p. 30. « Si faccian cuore i giovani di talento, che avranno a fare con chi non giudicherà né dall’ardimento, né dal nome, né dal vestito. » 62 riflessioni rispetto alle istituzioni e ai campi pratici permettono una riflessione più larga sulle scienze e la cultura in generale che a sua volta influenzerà i campi pratici e le istituzioni nella costruzione dell’opinione pubblica.

63

II. I LUOGHI DI COSTRUZIONE

DELL’OPINIONE PUBBLICA

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A. Le istituzioni

1. Il regime politico

Appunto perché i caffettisti intendono proporre un’azione concreta con la costruzione di un’opinione pubblica all’interno del Ducato di Milano, essi considerano quale una necessità il fatto di ancorarsi alla realtà politica contemporanea. In effetti, le istituzioni in quanto costituiscono una forma particolare di organizzazione delle grandi funzioni pubbliche all’interno delle società costituiscono sia un elemento da considerare per poter agire nel presente sia un oggetto di riflessioni da proporre nella costruzione dell’opinione pubblica per modificare la società. Gli illuministi propongono una riflessione critica sulle istituzioni politiche e sociali dell’Antico Regime, che giungerà in Francia alla Rivoluzione Francese, e rivendicano la necessità di stabilire istituzioni più egualitarie, più giuste e più sicure per i cittadini. In effetti, pensare la costruzione o almeno la trasformazione delle istituzioni equivale a pensare un quadro più semplice, più egualitario e più adatto alla realtà milanese settecentesca. Per queste ragioni, i filosofi milanesi non praticano nel Caffè una critica aperta e feroce del governo austriaco che potrebbe causare la censura del periodico e che probabilmente non giungerebbe a un’azione concreta se non si propone prima una riflessione educativa e politica sui valori e sulle condizioni di un migliore regime politico. Oltre a queste ragioni politiche, si può anche mettere in evidenza una forma di prudenza da parte dei giovani scrittori del Caffè, provenienti da ambienti che hanno contribuito a costruire queste stesse istituzioni. In effetti, Franco Venturi nota che i caffettisti « chiesero [...] che l’accordo tra il potere e i filosofi si facesse [...] nella comune volontà d’una radicale codificazione. »138. Tuttavia i caffettisti e soprattutto Pietro Verri139, si sono espressi in altri scritti riguardo alla propria concezione

138 F. Venturi, « La Milano del Caffè », op. cit., p. 726. 139 P. Verri, Scritti politici della maturità, Roma, Edizione di Storia e Letteratura, 2010, a cura di C. Capra. « I primi elementi per somministrare al popolo della nozioni tendenti alla pubblica felicità : sovranità della nazione, dalla quale dipende « cambiare il suo governo, e stabilire la libertà »; l’eguaglianza giuridica tra tutti i suoi membri, escludenti ogni privilegio basato sulla nascita o sulle condizioni sociali; la distinzione tra libertà « individuale », possibile anche sotto un governo assoluto, e libertà « politica », « che non si può godere se non sotto di una Costituzione », la separazione dei tre poteri legislativo, esecutivo, giuridico, secondo la lezione di Montesquieu; l’attribuzione del primo di questi poteri a un’assemblea nazionale elettiva, che rappresenta tutta la nazione; infine la necessità di un’istruzione popolare da affidare ai « filosofi », cioè agli uomini più « colti e illuminati », per ricondurre sulla strada della virtù una nazione « corrotta e schiava » come quella italiana. ». Citato in C. Capra, Gli italiani prima dell’Italia. Un lungo Settecento, dalla fine della Controriforma a Napoleone, Roma, Carocci editore, 2014, p. 306. 65 della vita politica in modo più diretto, il che permette di capire in modo preciso il loro ragionamento rispetto al regime politico promosso anche se quello promosso nel Caffè non è così radicale appunto per poter agire concretamente nel Ducato di Milano. In questa prospettiva, prima di tentare di portare alla luce i lineamenti del regime promosso indirettamente dal Caffè, sembra opportuno evocare il ruolo della Chiesa. In effetti, nel periodico milanese non si parla apertamente del ruolo della chiesa per aggirare la censura ecclesiastica, tuttavia il fatto di non parlarne e di non integrarla nelle riflessioni e soluzioni proposte indica senza nessun dubbio che, secondo i caffettisti, la chiesa da una parte non deve partecipare alla vita politica e dall’altra parte non deve avere nessun ruolo nella costruzione dell’opinione pubblica. D’altronde, la critica di qualsiasi tipo di autorità imposta viene a conferma del fatto che la chiesa deve essere tenuta da parte dalla vita politica ma denuncia anche le responsabilità della chiesa nel mantenimento dell’ignoranza e specialmente la responsabilità dei Gesuiti. Di conseguenza, per i filosofi milanesi, la religione deve essere concepita in una dimensione personale e non avrà nessun ruolo nel regime politico da loro indirettamente promosso.140 In modo più generale, i Gesuiti sono allontanati anche dalle scuole pubbliche e dalle università del Ducato di Milano appunto perché hanno dimostrato la capacità di creare un’opinione pubblica favorevole al proprio mantenimento tramite tra l’altro la scuola e i sermoni. Dunque dalla volontà stessa di creare un’opinione pubblica da parte dei caffettisti emerge una reazione contro la Chiesa. Allo stesso modo, il fatto stesso di non esporre mai una proposta chiara sul tipo di regime politico più adatto alla volontà riformistica e alla costruzione dell’opinione pubblica, mentre le istituzioni sono ritenute essenziali alla possibilità di riforme, indica che le caratteristiche del regime promosso dai filosofi milanesi sono da leggere tra le righe del periodico. In questa prospettiva, l’analisi del brano seguente posto tra due articoli a guisa di risposta a un lettore può costituire un primo spunto di riflessione.

Nessuna autorità, nessun impegno ci farà mai piegare ad inserire in questi fogli cosa che a noi non piaccia. La società de’ letterati è repubblicana e questo foglio è cosa nostra, né vi si devon porre che gl’innesti che vogliamo noi.141

140 C. Capra, I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri, op. cit., p. 521. « Verrà un tempo – scriveva Pietro Verri ad Alessandro il 7 giugno 1794 – in cui si dovrà insegnare che l’uomo sarà giudicato da Dio non per ciò che ha creduto, ma per le azioni che ha fatte. Allora la Teologia tornerà nel suo antico ricovero, cioè ne’ chiostri come al tempo di Pietro Lombardo, e nelle università s’insegnerà quel poco che si può sapere delle scienze e delle facoltà umane. » 141 Il Caffè, op. cit., p. 30. 66

Si evidenzia il termine « repubblicana » e sembra interessante considerarlo alla luce del suo senso etimologico di « res pubblica ». In effetti, il fatto di definire il periodico milanese quale repubblicano mette in evidenza l’intento dei suoi autori di promuovere il ruolo del popolo come associazione di persone nella vita pubblica. I caffettisti intendono coinvolgere il popolo nella vita pubblica dandogli un certo potere, quello dell’espressione dell’opinione pubblica. Inoltre nel brano si cita anche una « società de’ letterati » che si può considerare come una « Repubblica delle Lettere ». In effetti, in Italia, è molto famosa la rivista Nouvelles de la République des Lettres di Pierre Bayle. Questo riferimento è notevole da più punti di vista. La rivista periodica di Bayle intende fare la critica di opere di vari argomenti come per esempio la filosofia, la scienza, la letteratura, la politica secondo il criterio della scienza e non della religione. In effetti, il Caffè riprende gli stessi criteri e la stessa varietà di argomenti per proporre un modello di ragionamento e di riflessione ai propri lettori. Inoltre, l’espressione « Repubblica delle Lettere » risale al Rinascimento, designa uno spazio virtuale che raduna i letterati europei tramite scritti e incontri intorno a valori condivisi, si vuole egualitaria dal punto di vista sociale e si fonda sulla condivisione del sapere sottomesso alla critica del pubblico. Di conseguenza, secondo Marc Fumaroli, la « Repubblica delle Lettere » si è costruita insieme a un’opinione pubblica.142 Sulla scia di questa Repubblica nascono in Italia accademie che intendono essere strutture autonome di discussione e di diffusione del sapere. Il riferimento alla « Repubblica delle Lettere » non è aneddotico nel periodico milanese perché permette ai caffettisti di rivendicare la loro volontà egualitaria, cioè una volontà di conferire un valore uguale a ogni individuo e a ogni giudizio dal momento in cui esso è il frutto di un ragionamento indipendentemente dalle condizioni sociali di chi lo emette. Tuttavia, la concezione della libertà di espressione evidenziata nel Caffè mostra l’importanza dell’accomodazione al regime per poter agire concretamente. Infatti nell’articolo « Di Carneade e di Grozio », Alessandro Verri evidenzia la necessità da una parte di rispettare il regime e dall’altra di permettere ai cittadini di esprimersi.143 In effetti, la libertà di espressione nel Caffè si situa fra questi due limiti e consiste nel permettere al cittadino di

142 M. Fumaroli, La République des Lettres, Paris, Gallimard, 2015, p. 115. « Depuis la Renaissance, une première « communauté scientifique » s’était édifiée, avec ses usages, ses conventions, son opinion publique, ses mythes, mais aussi son épistémologie du travail en commun par-delà les frontières et les générations, qui la soustrayait dans une mesure certaine au contrôle des autorités politiques et religieuses. » 143 Il Caffè, op. cit., p. 716. « Mi fa orrore un tiranno, mi fa orrore una nazione che pon mano al suo principe, mi fa orrore l’abuso che si può fare di tali opinioni. » 67 esprimersi a patto che non attacchi frontalmente il potere governativo. Questa concezione tende a creare una strategia dell’equilibrio che permette ai lettori di intravedere una parziale possibilità di esprimersi all’interno di un ambiente che non permette una piena libertà di espressione. In effetti gli scrittori preferiscono non esporre fino in fondo le loro concezioni piuttosto che esporre teorie contrarie ai loro principi per giungere a un equilibrio in cui sia il cittadino che il governo possano esistere nell’ambito pubblico. In questa prospettiva, si può pensare al trattato di Torquato Accetto Della dissimulazione onesta144 in cui l’autore si interessa alle modalità di espressione e di azione dell’uomo onesto all’interno di una società corrotta. L’Accetto propone l’uso della dissimulazione definita in opposizione alla simulazione, fonte di menzogne mentre la prima si identifica con la prudenza. Di conseguenza, i caffettisti disapprovano qualsiasi forma di rivoluzione.145 Inoltre la volontà stessa di costruire un’opinione pubblica da una parte espressa dal maggior numero di persone e da un’altra parte che deve tendere all’elaborazione di un interesse comune, cioè il « bene pubblico », denota una volontà di interessare il maggior numero di individui alla vita pubblica e politica tramite tra l’altro l’educazione e la lettura di periodici. Inoltre il fatto di voler costruire un’opinione pubblica il cui scopo sarebbe di influenzare il governo indica l’incentivazione di un regime che non si appoggerebbe solo a una nobiltà feudale ma a una burocrazia di Stato fatta di intellettuali fra cui alcuni caffettisti.146 Ad esempio, Pietro Verri nel 1764 è fatto membro della Giunta per la revisione della « ferma », cioè dell’appalto delle imposte ai privati. D’altronde, nell’articolo « Sulla interpretazione delle leggi », Pietro Verri espone la necessità della separazione dei poteri rifacendosi a Bacone e a Montesquieu. L’autore ribadisce la necessità di separare il potere legislativo, il potere giudiziario e quello esecutivo scrivendo : « Comincio a stabilire un principio secondo ogni ragione chiarissimo, cioè che altra cosa è il legislatore, altra cosa è il giudice. »147. Inoltre nella volontà di costruzione di un’opinione pubblica, il Verri riconosce che « questi principii sono talmente contrari alle idee che l’educazione ha stampate […] che debbon fare di quello che sogliono i paradossi più strani e capricciosi. ».148 Questo riconoscimento serve inoltre a far riflettere i lettori sul

144 T. Accetto, Della dissimulazione onesta, Torino, Einaudi, 2013, [1641], p. 47. « Il capo che porta non meritate corone, ha sospetto d'ogni capo dove abita la sapienzia; e però spesso è virtú sopra virtú, il dissimular la virtú, non col velo del vizio, ma in non dimostrarne tutt'i raggi, per non offender la vista inferma dell'invidia e dell'altrui timore. » 145 Il Caffè, op.cit., p. 717. « Dico che non conosce la storia chi non sa quanti danni seco traggono le rivoluzioni. » 146 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 84. 147 Il Caffè, op. cit., p. 698. 148 ivi, p. 699. 68 proprio rapporto al sapere e a sollecitarli a rimettere in discussione la propria concezione del potere. D’altronde, la separazione dei poteri conduce alla necessità di non interpretare le leggi (tranne in alcune condizioni particolari) perché, in questo caso, il giudice diventa legislatore e la libertà politica è minacciata. In questa prospettiva, il Verri definisce la libertà politica « come l’opinione che ha ogni cittadino di possedere se medesimo e quello che è suo, e di poterne a suo piacere disporre sin tanto ch’ei non trasgredisca le leggi promulgate con legittima autorità. »149. Questa concezione della libertà politica è, per quanto riguarda i suoi limiti, assai simile a quella della libertà di espressione e, secondo Mario Fubini, segna il pensiero e le azioni del Verri.150 Con Raymond Abbrugiati151 si può dire che anche se le riflessioni tendono a lasciare intravedere un’altra forma di regime, dal punto di vista pratico, il Caffè predica il rispetto di qualsiasi sistema governativo. Il regime politico promosso dal Caffè è un regime anti- tirannico e con una maggiore uguaglianza fra gli uomini tuttavia, alla pari di Montesquieu, i caffettisti considerano queste condizioni possibili all’interno di un governo monarchico nella loro volontà di costruzione dell’opinione pubblica. Di conseguenza, si rimane esplicitamente nel quadro del dispotismo illuminato.

Tuttavia, anche se il regime politico promosso dai caffettisti nella prospettiva di costruire un’opinione pubblica nel Ducato di Milano fra il 1764 e il 1766 si adatta al dispotismo illuminato, i filosofi milanesi intendono lo stesso proporre riforme per agire in seno alle istituzioni. Ora si tratterà di esaminare quale sistema legislativo e giudiziario venga promosso nel Caffè.

2. Il sistema legislativo e giudiziario

Lo studio e la riforma della giurisprudenza costituiscono nella società milanese un mezzo privilegiato per conservare conquiste sociali ma anche per introdurre mutamenti in

149 Ivi, p. 700. 150 C. Capra, Gli italiani prima dell’Italia. Un lungo Settecento, dalla fine della Controriforma a Napoleone, Roma, Carocci editore, 2014, p. 175. « Secondo il Fubini, il sostrato comune delle posizioni di Pietro Verri è l’idea di libertà non tanto come determinato progresso politico quanto come principio del suo pensare e del suo agire, premessa e fine della sua speculazione economica e politica, e del pari presente in ogni pagina che egli scrisse sulla vita morale come sulla letteratura. » 151 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 77. « Du point de vue pratique, c’est le respect formellement affiché de tous les pouvoirs politiques en place, quel que soit leur système de gouvernement. » 69 seno all’ordine sociale e in seno alle istituzioni. In effetti, il rispetto delle leggi e del diritto implica sia una volontà riformistica, che il rifiuto della Rivoluzione che per definizione rifiuta l’ordine legale. Di conseguenza, per costruire un’opinione pubblica, risulta indispensabile informare e istruire il proprio pubblico quanto ai meccanismi della giurisprudenza e ai cambiamenti che devono essere intrapresi per creare una società più giusta e egualitaria. Diversi articoli hanno proprio questo compito. Per prima cosa, sembra opportuno soffermarsi sull’articolo « Di Giustiniano e delle sue leggi » che denuncia il fatto che nel Settecento a Milano sia sempre il Corpus di Giustiniano a regolare sia il diritto civile che il diritto penale.

Quest’ammasso di leggi, monumento d’una grand’opera mal eseguita, può paragonarsi alle rovine d’un grande ed informe palazzo; si può dire che non si fece che distruggere. Non solo bastava ridurre tanti volumi ad uno solo, bisognava fissare i principii generali.152

Questo brano denuncia insieme la vetustà del sistema legislativo milanese e la mancanza di chiarezza dei codici legislativi e sottintende quindi la necessità di avere leggi adatte ai tempi. Tuttavia, si nota la volontà di stabilire leggi non solo adatte ai tempi ma soprattutto adatte agli uomini e a un principio di giustizia che preceda lo stabilimento delle leggi, il che indica un’esigenza di Diritto naturale in opposizione al Diritto positivo in vigore. In effetti, per le leggi come per la pubblicazione del periodico milanese e, anche come si vedrà di seguito, per la lingua, importa il principio dell’applicabilità e dell’efficacia hinc et nunc. È appunto l’efficacia pratica della legge che la rende valida e la legittima e non un rinvio a un’autorità anteriore o a qualsiasi principio trascendente come la religione o la morale. Inoltre, quando Alessandro Verri parla di « fissare i principii generali » sembra volere indicare la necessità di semplificare le leggi ma anche la necessità di adottare leggi che rispettino principii generali come la chiarezza. In una volontà più egualitaria, il Verri ribadisce la necessità di avere leggi che coprano il maggior numero di casi.

So che il comprendere nelle leggi tutti i casi possibili non è concesso agli umani legislatori, ma so altresì che migliori saranno quelle leggi che ne abbracciano la maggior parte possibile; né perché in una cosa non puossi avere la

152 Il Caffè, op. cit., p. 181. 70

perfezione, che fu sempre sbandita dalle umane vicende, devesi trascurare di accostarvisi più che si può.153

In effetti, il fatto di avere leggi adatte alla maggior parte dei casi conferisce all’istanza giudiziaria un maggior peso nell’eseguire la giustizia. Di conseguenza, i cittadini possono costatare che la legge è stata applicata come si deve e non interpretata secondo la volontà dei giudici. Il che è fondamentale per la costruzione dell’opinione pubblica perché solo un cittadino che si fidi delle leggi può risentire la volontà e la necessità di impegnarsi nella vita pubblica. Tuttavia, il fatto di avere leggi precise non basta se il maggior numero di persone non ne è a conoscenza.

Malgrado tanti volumi, poche sono le leggi scritte, ed è sostituita la tradizione all’uso della stampa. Questa tradizione, chiamata pratica, è in mano di pochi; ella partecipa dell’incertezza comune ed è conservata con una sorte di mistero sempre funesto ai progressi della ragione.154

In effetti, il filosofo milanese denuncia la presenza di un sistema occulto in cui solo pochi possono essere a conoscenza delle leggi. Il che crea inesorabilmente un ostacolo per costruire un’opinione pubblica perché impedisce ai cittadini di capire le istituzioni e la società all’interno delle quali svolgono le proprie riflessioni e azioni. Inoltre questa denuncia mostra la necessità di un sistema che renda gli uomini uguali nella vita in società, cioè che permetta agli uomini di conoscere i limiti imposti dalla legge per non oltrepassarli e di considerare le proprie azioni in un sistema dato. L’importanza di chiarezza delle leggi è anche un punto fondamentale dell’opera di Beccaria (scritta con l’aiuto di Alessandro Verri) Dei delitti e delle pene155 in cui l’autore afferma la sua rilevanza nella prevenzione dei delitti.156. È importante

153 Ivi, p. 182. 154 Ivi, p. 188. 155 C. Beccaria, Dei delitti e delle pene, op. cit. Si vedano queste citazioni quale esempi delle principali tesi dell’opera. p. 44. « Dunque vi deve essere una proporzione fra i delitti e le pene. », p. 54. « Quelle pene dunque e quel metodo d’infliggerle deve essere prescelto che, serbata la proporzione, farà una impressione più efficace e più durevole sugli animi degli uomini, e la meno tormentosa sul corpo del reo. », p. 67. « Quanto la pena sarà più pronte e più vicina al delitto commesso, ella sar tanto più giusta e tanto più utile. », p. 81. « Non è il terribile ma passeggiero spettacolo della morte di uno scellerato ma il lungo e stentato esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti. » e p. 112. « Finalmente il più sicuro ma più difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l’educazione [...]. » 71 notare che le numerose riflessioni giuridiche esposte nel Caffè sono il frutto o la ripresa delle riflessioni svolte durante l’elaborazione del trattato del Beccaria. Tuttavia il nostro proposito non consiste nell’esporle tutte ma invece nel capire come si inseriscono nella costruzione dell’opinione pubblica. Su questa scia, il Verri segnala l’importanza di aver leggi scritte a cui riferirsi.

Le giuste (leggi) sono quelle che cercano la più estesa utilità della nazione, e la giustizia cresce loro in ragione del numero de’ cittadini che ne sentano più benigni effetti. Né di tal classe saranno mai quelle che premiando pochi offendono molti.157

In questo brano viene riaffermata la necessità di una maggiore giustizia sociale il cui scopo è l’utilità alla nazione. In effetti, per la costruzione dell’opinione pubblica, risulta fondamentale capire che anche le leggi si iscrivono in tale scopo e che esse esistono appunto per proteggere il cittadino. Inoltre viene sottolineata la necessità che le leggi interessino il maggior numero di persone. Nell’articolo « Ragionamenti sulle leggi civili », Alessandro Verri riassume i cambiamenti che devono essere intrapresi dicendo :

Il sostituire alle questioni le leggi, alla interpretazione la loro ininterpretabil chiarezza, ai dubbi gli assiomi, alla moltiplicità la concisione, alle particolarità le universalità, ai dettagli la vastità delle vedute sono le sole e vere riforme da farsi.158

Sembra opportuno sottolineare, come il Verri stesso fa nell’articolo, che il sostantivo « universalità » designa ciò che riguarda tutti allo stesso modo e senza eccezione. Con questo brano, l’autore insiste anche sul fatto che le leggi debbano rispondere alle interrogazioni degli uomini quanto all’organizzazione della vita in società. Inoltre il Verri insiste sull’importanza di diversi principi affinché queste riforme possano riuscire. In questa prospettiva, egli asserisce la necessità che « la ragione e il buon senso avessero la massima parte nella facoltà

156 Ivi, p. 108. « Volete prevenire i delitti ? Fate che le leggi siano chiare, semplici, e che tutta la forza della nazione sia condensata a difenderle, e nessuna parte di essa sia impiegata a distruggerle. » 157 Il Caffè, op. cit., p. 188. 158 Ivi, p. 597. 72 legale »159 e la necessità di fare « leggi [...] nella lingua volgare per essere intese da tutti »160. L’attenzione a mezzi concreti per giungere a riforme concrete illustra ancora una volta come il periodico milanese sia fortemente ancorato al proprio contesto. Il che è essenziale affinché cambino le mentalità cui i caffettisti si appoggiano nella costruzione dell’opinione pubblica. Un’attenzione particolare a classi sociali prima tralasciate dalle leggi è da segnalare appunto perché illustra la volontà dei caffettisti di far partecipare il maggior numero di persone alle questioni pubbliche. Fare sì che le leggi prendano in considerazione tutti torna un obiettivo fondamentale in questa prospettiva. Nell’articolo « Osservazioni su i fedecommessi » si legge :

Devono però le leggi [...] proteggere la plebe ed animarla al travaglio colla speranza delle ricchezze e d’una vita più comoda.161

In effetti, si nota una volontà di far sì che le leggi prendano in considerazione la plebe, classe sociale non istruita e poco se non per niente in grado di capire il sistema legislativo. Il che illustra la richiesta dei caffettisti di una presa di coscienza da parte della nobiltà delle altre classi sociali e del loro ruolo nella società.

Insomma si può dire che le riflessioni che riguardano le riforme del sistema legislativo e giudiziario intendono raggiungere un pubblico più ampio in modo più egualitario per permettergli appunto di capire la società in cui vive e per spingerlo a inserirsi in una dinamica di costruzione dell’opinione pubblica. Ora si tratterà di esaminare come la riflessione sulle classi sociali mira agli stessi obiettivi che le riflessioni riguardo al sistema legislativo e giudiziario.

3. Le classi sociali

159 Ivi, p. 583. 160 Ivi, p. 602. 161 Ivi, p. 117. 73

Nell’analisi del Caffè, è rilevante considerare il ruolo delle classi sociali, tuttavia si deve tenere in mente la problematicità di questa nozione per capire le sue poste in gioco nel periodico milanese. Nel Settecento, la coscienza delle classi sociali emerge in stretto rapporto con la volontà di permettere agli uomini di aver maggior potere nel determinare le proprie condizioni di vita dal punto di vista economico e sociale. Di conseguenza, bisogna intraprendere riflessioni quanto ai meccanismi che permettono una mobilità in seno alla società, e non una destinazione determinata da principi ereditari o religiosi, facendo sì che ognuno possa adottare pratiche di altri gruppi di uomini, per attuare un cambiamento di condizioni. In effetti, una classe sociale è un gruppo che raduna una grande quantità di uomini, stabilito in base a una gerarchia sociale di fatto e non di diritto, di conseguenza non può definire un mestiere né un qualsiasi ordine. Inoltre quando si considerano le classi sociali, si esaminano spesso il loro criterio di differenziazione, i loro rapporti ma anche le variazioni di questi due criteri in vista dei cambiamenti in seno alle società. Infatti è quest’ultimo parametro a fondare il nostro discorso sulla nobiltà. Anche se si è appena intravista un’attenzione chiara alla plebe, bisogna sottolineare che nella Milano del Settecento fanno parte delle istituzioni, secondo Carpanetto e Ricuperati, solo i nobili « che monopolizzano per le loro famiglie la gestione degli organismi giuridico- politici, che regolano le aspirazioni di ascesa sociale dei ceti emergenti, che per raggiungere le più alte posizioni, accrescere il prestigio e far parte dell’élite politica, devono accumulare ricchezze e requisiti tali da non permettere ricambi repentini ai vertici delle società. »162. Di conseguenza, se si vuole costruire un’opinione pubblica in grado di attuare cambiamenti nella società è necessario interessarsi alla nobiltà, che peraltro costituisce il pubblico dei lettori del Caffè e interessarla alla vita pubblica. In questa prospettiva, i caffettisti non intendono abolire la nobiltà ma preconizzano il suo imborghesimento per giungere a una nobiltà defeudalizzata, spogliata dalle sue prerogative feudali, da quella parte di sovranità che deve spettare al potere centrale, al despota illuminato.163 Per imborghesimento, si intende l’assunzione della mentalità, del modo di vita e delle consuetudini della borghesia, il che implica il fatto di concepire il lavoro non più in modo ignobile ma nella sua utilità alla società, nonché l’abbandono dei privilegi feudali. Di conseguenza, il ruolo del Caffè risiede nell’indirizzare con cautela la nobiltà verso questa via mostrandole la necessità di questi cambiamenti.

162 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’Italia del Settecento, op. cit., p. 72. 163 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 84. 74

In effetti nell’articolo « Osservazioni su i fedecommessi », Alfonso Longo studia i privilegi concessi alla nobiltà dalla tradizione e dimostra come essi partecipano al marasma della società. Infatti il Longo si propone di esaminare se :

Tale istituzione utile sia al ben pubblico o pure se convenga restringere il troppo esteso arbitrio di dispor del fatto suo per testamento ed o proibire i fedecommessi, le primogeniture, i maiorascati o limitarli almeno fino ad un dato termine.164

I fedecommessi, le primogeniture e il maggiorascato165 sono procedimenti che permettono di conservare il patrimonio all’interno della stessa famiglia, sono pratiche comuni nella Milano del Settecento166 e costituiscono freni alla circolazione del denaro e alla mobilità sociale. Il Longo in quest’articolo intende denunciare il danno fatto alla società da queste pratiche e intende dimostrare come la loro abolizione costituirebbe un vantaggio per la società dal punto di vista economico, morale e sociale. Infatti scrive :

Poco importa alla pubblica felicità che tal famiglia conservisi eternamente ricca, anzi molto importa che le ricchezze accumulate passino di mano in mano, circolino nello Stato e siano il premio dell’industria d’un negoziante, più utile alla società che mille nobili sfaccendati.167

Con questo brano, il Longo sottolinea il fatto che il commercio e il mestiere di negoziante rappresentino un contributo onorevole e utile alla società. In effetti, nello stesso

164 Il Caffè, op. cit., p. 117. 165 Nell’enciclopedia Treccani un « fedecommesso di famiglia » è un istituto giuridico con cui il testatore vincolava i beni ereditarî ai proprî discendenti per più generazioni, così che tali beni diventavano inalienabili e non potevano uscire dalla famiglia, una « primogenitura » è l’insieme dei diritti, dei beni e dei privilegi che spettavano al figlio primogenito e un « maggiorascato » è un Istituto giuridico per cui un patrimonio, allo scopo di assicurarne l’integrità, veniva trasmesso, nell’ambito della stessa famiglia, dall’ultimo possessore al parente più prossimo di grado e, in caso di parenti di ugual grado, al maggiore di età. 166 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’Italia del Settecento, op. cit., p. 31. « Le famiglie ricche delle grandi città, nobili di antica o di recente origine, tendono a erigere alti steccati a difesa della compattezza dei loro patrimoni e del loro predominio politico, che vogliono esercitare con forti tutele. L’istituto del fidecommesso viene riesumato, se così si può dire, dall’antica giurisprudenza romana, per essere adottato come mezzo di mantenimento dell’integrità patrimoniale. » 167 Il Caffè, op. cit., p. 119. 75 articolo, egli intende dimostrare come quest’attività sia degna anche della nobiltà, che può così contribuire in modo attivo alla sua patria e come il commercio possa addirittura costituire un motore di ascesa sociale senza distinzione di data.168 In effetti, l’abolizione dei privilegi costituisce sia un motore di ascesa sociale che un modo di dividere le ricchezze all’interno della nobiltà stessa.

Allora solo dovrassi chiamare una famiglia ricca ed illustre quando una facoltosa sostanza, più egualmente che si può, distribuita ne’ membri della famiglia; quando tutt’i fratelli siano messi in istato di vivere comodamente, di scegliersi ciascuno una sposa e di dare alla patria de’ cittadini.169

In questo brano, l’autore pone l’accento sui vantaggi che una tale abolizione può portare alla società stessa da un punto di vista economico e morale. Inoltre propone ai lettori una concezione del ruolo della nobiltà contraria a quella di Montesquieu che :

Asserisce che essendo l’onore il mobile degli Stati monarchici, le leggi debbonvi proteggere la nobiltà, debbono renderla ereditaria, perché serva di vincolo tra ’l principe e ’l popolo; che però è necessario ammettere le sostituzioni per conservare i beni nelle famiglie, e ’l diritto di ricomperare i già alienati; che queste prerogative devono accordarsi alla sola nobiltà; che è bene per i sopraddetti motivi permettervi il diritto di primogenitura.170

In effetti, Montesquieu vede nella nobiltà il necessario potere intermedio tra il monarca e il popolo perché, secondo lui, sarebbe l’unica classe sociale degna di onore appunto grazie alla sua ricchezza. Di conseguenza, il mantenimento dei privilegi della nobiltà risulta fondamentale proprio come la nobiltà sarebbe la necessaria condizione al

168 Ivi, p. 125. « O anzi col permettere che esercitino il negozio e che s’arricchiscano, arricchendo anche la patria; col determinare che ’l commercio niente deroghi alla nobiltà; coll’animar anzi i nobili al traffico e correggere di maniera l’opinione del volgo, che il negoziante non sia rigettato dall’esser ammesso nel corpo della nobiltà, ed ammessovi, non sia più considerato come nobile di data recente, né più serva di bersaglio a’ motteggi de’ nobili anticamente oziosi? » 169 Ivi, p. 120. 170 Ivi, p. 123. 76 mantenimento della Monarchia a scapito del dispotismo e della Repubblica171. Questa concezione della nobiltà di Montesquieu è interessante per il nostro proposito appunto perché riflette la visione che la nobiltà milanese ha del proprio ruolo. In questo contesto, i caffettisti intendono sostituire la necessità sociale della nobiltà con la sua importanza economica. Per Norbert Jonard, « l’umanesimo commerciale »172 di origine borghese del Caffè è da leggere nella continuità della morale del negoziante affermata fin dall’inizio del Settecento nello Spectator di Addison e Steele. In effetti, secondo Raymond Abbrugiati, i caffettisti intendono sollecitare la nobiltà a riciclarsi, affinché non venga oltrepassata dagli eventi, a partecipare all’economia, a confondersi con la borghesia per formare con essa una nuova aristocrazia, quella del denaro.173 È appunto in questa prospettiva che Alessandro Verri scrive l’articolo « Alcune riflessioni sulla opinione che il commercio deroghi alla nobiltà » in cui espone le ragioni per cui il commercio non può nuocere alla nobiltà. Anzi egli scrive « credo che grand’utile ne verrebbe ed a’ nobili medesimi ed al pubblico se essi ancora non isdegnassero di commerciare. »174. In effetti, i caffettisti intendono stabilire una presa di coscienza della nobiltà delle proprie possibilità di commerciare senza che la loro attività pregiudichi il loro rango. Questo è un elemento cruciale del progetto del Caffè perché spingere la nobiltà al commercio senza urtarsi al precetto conferitole dalla tradizione che glielo impedisce, rappresenta l’unico modo di attuare riforme economiche nella Milano del secondo Settecento. Inoltre risulta opportuno sottolineare che nella riflessione del Longo, l’abolizione dei privilegi della nobiltà permette una maggiore mobilità sociale e una maggiore uguaglianza da diversi punti di vista.

Direi che tolta la libertà del fare testamento, col partaggio continuo delle successioni le fortune de’ cittadini si rimetterebbono sempre nell’eguaglianza; che avremmo pochissimi avvocati, procuratori, sollecitatori, notai ec., ma più negozianti e più agricoltori; che anche i secondogeniti potrebbero ammogliarsi e contribuire onestamente alla popolazione.175

171 Ibidem. « Dice in seguito che questo potere intermedio dev’essere la nobiltà, poiché dove non v’è monarca non vi puol essere nobiltà; e tolta la nobiltà, è distrutta parimente la monarchia, ed introdotto in vece o ’l dispotismo o lo Stato repubblicano. » 172 N. Jonard, « Morale et société dans le « Caffè » de Milan », in Studi settecenteschi, op. cit., p. 110. 173 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit. p. 84. 174 Il Caffè, op. cit., p. 274. 175 Ivi, p. 129. 77

Questo brano mette in evidenza la maggiore uguaglianza di ricchezze che l’abolizione di questi privilegi produrrebbe, ma indica anche il fatto che questi privilegi inducono la concentrazione delle professioni intorno a questioni di eredità, che sono questioni private, invece di incentivare attività più nobili nei confronti della società intera. Inoltre, l’autore nota come il vantaggio sarebbe maggiore all’interno della famiglia stessa e di conseguenza all’interno della società poiché più gli individui vivono in buone condizioni, più possono diventare cittadini che contribuirebbero al dinamismo della società. Insomma si può dire che nel Caffè l’attenzione alle classi sociali è rivolta a migliorare la società intera studiando i cambiamenti che devono essere intrapresi in seno alla nobiltà a rischio di cambiare i criteri che le definiscono e permettendo a più cittadini di essere attivi e di prendere coscienza del loro ruolo nella società, il che è rilevante nella costruzione dell’opinione pubblica.

Inoltre appunto perché queste riflessioni sulle istituzioni rivestono uno scopo pratico diretto, bisogna ora capire come esse permettano un’azione all’interno di campi pratici per la costruzione dell’opinione pubblica.

B. I campi pratici

1. L’educazione

Per rendere i cittadini promotori e attori di un progetto collettivo, bisogna poter rivolgersi a individui educati affinché possano capire il progetto stesso e avere gli strumenti necessari per crescere in una dimensione collettiva. In questa prospettiva, i caffettisti intendono esporre la necessità di una nuova considerazione dei bambini e dei giovani. Il che comincia col rispetto fisico dei bambini attraverso la denuncia della violenza fisica. Alessandro Verri mette in scena una discussione fra un Ottenttoto e un maestro che sta per flagellare il proprio alunno in cui il maestro dice :

78

Le leggi stabilite in questi pubblici depositi di ciò che v’è di più sacro nella repubblica, qual è la buona instituzione de’ futuri cittadini, sono corrispondenti in tutto ad un fine sì importante.176

Con questo brano, il Verri mette in evidenza l’influenza del precetto secondo il quale la violenza ha un ruolo educativo e mostra come esso sia radicato nelle mentalità e perfino nelle leggi in modo che nessuno non pensi nemmeno a metterlo in dubbio. Inoltre, si sottolinea l’importanza dell’educazione nella formazione di futuri cittadini, il che indica la consapevolezza del ruolo dell’infanzia (tra l’altro definita dal Verri « la più innocente e preziosa porzione del genere umano »177) nella formazione personale di ogni individuo e di futuri cittadini. Inoltre il fatto di prendere in considerazione anche il corpo denota la consapevolezza, da parte del Verri, della sua importanza nell’integrità del futuro cittadino e di conseguenza si può intravedere, come si vedrà dopo, la consapevolezza del ruolo del corpo nella formazione dei cittadini.

Ma non è egli vero, ripigliò il selvaggio, che avete de’ magistrati che invigilano alla pubblica sicurezza ed alla privata di ciascuno, che avete leggi che difendano ognuno da privata violenza; e perché queste non estendono la loro benefica protezione sino ai più miseri, ai più deboli, ai più innocenti cittadini?178

Con questa replica, l’Ottenttoto nota l’assurdità e l’inconsistenza della violenza detta « educativa » e la necessità di considerare l’importanza della protezione dei bambini e dei giovani quando si fanno leggi che mirano alla protezione dei cittadini. È interessante notare che questo processo argomentativo è sviluppato nello stesso modo da Pietro Verri nelle sue Osservazioni sulla tortura che intendono dimostrare l’inconsistenza e l’inefficacia della tortura nell’ambito giuridico.179 La dimostrazione di tale assurdità spinge alla ricerca di altri

176 Ivi., p. 456. 177 Ivi, p. 739. 178 Ivi, p. 459. 179 P. Verri, Osservazioni sulla tortura, a cura di S. Contarini, Milano, BUR, 2015, [1804], p. 119. 120.. « Se dunque la stessa pratica criminale insegna di non credere a quanto un torturato dice in propria accusa fra i tormenti della tortura ma esigge che l’accusa la ratifichi con tranquillità e libero dallo spasimo, forza è concludere ad evidenza che la stessa pratica criminale non considera la tortura come un mezzo da conoscere la verità. » 79 valori educativi. Inoltre nell’articolo « Gli studi utili », Pietro Verri mette in evidenza la mancanza di rispetto degli adulti nei confronti dei giovani180 e denuncia le sue conseguenze sui giovani diventati adulti.

Quasi ogni uomo, se avesse trovati aiuti e non ostacoli ne’ suoi verd’anni, sarebbe riuscito buono in qualche genere [...].181

Il Verri mette in evidenza come il rispetto, l’attenzione e lo spalleggiamento sono valori efficaci per l’educazione dei giovani perché permettono a ognuno di essere capace di fare da sé. Quest’esigenza è rilevante nel Caffè appunto perché riflette la strategia stessa dei caffettisti nella costruzione di un’opinione pubblica. In questa prospettiva, i caffettisti intendono promuovere oltre ai campi del sapere già insegnati all’epoca quale la matematica, le scienze naturali, e via dicendo, l’insegnamento delle scienze umane.

Tutte le umane scienze altro non sono che un lusso della condizione dell’uomo socievole; le società dei selvaggi sussistono senza veruna sorte di scienze, ma questo lusso di ragione è quello appunto che distingue le nazioni rozze dalle incivilite; questo lusso è quello che rende i costumi più dolci e umani; che provede a infiniti bisogni e che nobilita, dirò così, la nostra specie.182

In effetti con questa dichiarazione il Verri intende estendere la nozione di utilità alle scienze umane mostrando appunto come esse permettano alle società di svilupparsi ragionevolmente e di permettere una migliore convivenza umana. Peraltro sembra opportuno notare come le condizioni di scrittura del Caffè e il suo contenuto stesso mostrino una profonda attenzione alle scienze umane. Inoltre insegnare le scienze umane permette di migliorare l’applicazione delle altre scienze insegnate e di ottimizzarle a lungo termine.

180 Il Caffè, op. cit., p. 311. « la maggior parte degli uomini giunti a una certa età mirano i giovani come altrettanti esseri intrusi su questa terra, di cui il dominio sia già devoluto ad essi per anteriorità di possedimento; né risparmiano l’occasione di umiliarli di scoraggiarli, in somma di vessarli [...] » 181 Ivi, p. 316. 182 Ivi, p. 313. 80

Ma se in genere di scienze vogliamo fare i difficili, e tollerarle piuttosto che accoglierle e invitarle; se pretendiamo che ogni scienza [...] ci spieghi immediatamente a che essa è utile, prima di darle accesso nella nostra casa e permetterla ai figli nostri; non potremo mai lusingarci di contribuire [...] al bene della nostra patria, né d’avere la mente illuminata d’un buon cittadino.183

Con questo brano, il Verri sollecita i lettori a dare prova di apertura di mente riguardo al contenuto degli insegnamenti per permettere il progresso a lungo termine della propria nazione e mostra che questo progresso sia strettamente legato a una migliore istruzione dei cittadini. D’altronde si verifica in alcuni articoli del Caffè un vero e proprio studio delle scienze umane, necessario per promuovere un modello di cittadino ideale alla costruzione dell’opinione pubblica. Ad esempio, Alessandro Verri nell’articolo « La virtù sociale. Lettera di un institutore a Lucillo suo alunno » intende determinare i valori che devono essere inculcati ai bambini prima che entrino in società e quelli che gli devono essere insegnati per preparare l’entrata nella società.

Convien pur dunque che tu diventi, o mio Lucillo, dissimulatore ed accorto, da semplice, buono, sincero, dolcissimo che tu sei.184

In effetti, sono evocati i valori ritenuti indispensabili alla costruzione di ogni individuo in vista di farne buoni cittadini. La dissimulazione e l’accortezza vengono raccomandate affinché l’individuo possa inserirsi nella società vista come corruttrice senza guastare le proprie qualità individuali. Queste raccomandazioni rammentano il trattato dell’Accetto in quanto concedono di stabilire una sorta di equilibrio che permetta all’individuo di esistere in società senza tradire i propri valori. È importante notare, come ha fatto Raymond Abbrugiati, che i valori accostati a Lucillo nell’esperienza teorica del primo periodo dell’educazione tramite la natura sono affatto contrari a quelli proposti per l’entrata in società.185

183 Ivi, p. 317. 184 Ivi, p. 740. 185 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 11. 81

Fin ora fu la natura che ti educò per mia mano, or sia ella mista coll’arte, senza che l’arte la contamini.186

In effetti come Rousseau nell’Émile, il Verri sottolinea la sfida di entrare in società senza corrompere le proprie virtù naturali. Tuttavia, a differenza di Rousseau, i caffettisti considerano che l’entrata in società deve essere accompagnata dalla necessità di conformarsi almeno in apparenza ai suoi principi. Il che risulta chiaro se si pensa alla volontà di costruire un’opinione pubblica che implichi una coesione sociale fra gli uomini per poter agire nel presente.

Tu dovrai soffocare gl’impeti d’un troppo robusto amor del vero. Dissimulerai i difetti e molto più i vizi degli uomini, perché avendone più meno tutti, li avresti tutti inimici e non convertiresti alcuno.187

Da questo brano si capisce come la dissimulazione viene raccomandata appunto perché essa permette all’individuo di non essere visto come un selvaggio ma come un pari. In questo modo, egli può appunto pretendere di avere un’influenza sugli altri, il che è necessario come base di coesione sociale.

Tu sai quanto è dolce l’amicizia. Tu la riponi fra i pochi beni disseminati fra i molti mali ond’è sparso questo lampo di vita mortale. Lucillo, seguila, coltivala, sia questa una sacra ed inestinguibil fiamma nel tuo cuore.188

Viene espresso un elogio dell’amicizia. In effetti, l’amicizia rappresenta una virtù sociale inculcata a Lucillo appunto perché permette di offrire agli uomini uno spazio chiuso di discussione in cui viene conferito rispetto a ogni individuo e a ogni suo proposito. L’educazione all’amicizia va di pari passo con l’elogio delle condizioni di elaborazione del proprio foglio periodico nonché con la promozione della volontà di proporre un sapere che

186 Il Caffè, op. cit., p. 741. 187 Ivi, p. 742. 188 Ivi, p. 744. 82 abbia vocazione a essere discusso in un ambito rispettoso. Si può anche indicare la volontà dei caffettisti di creare un rapporto di amicizia con il pubblico potenziale che denota il loro rispetto per i propri lettori ma anche la profonda coscienza di essere partecipi anche loro dell’opinione pubblica che intendono costruire. Su questa scia, si può concepire l’educazione all’amicizia come un primo passo all’educazione alla vita sociale perché, benché la società sia fonte di corruzione, per i caffettisti risulta anche e soprattutto un luogo fondamentale per la propria crescita personale e l’educazione durante tutte le età dei cittadini.

La sicurezza di noi stessi s’acquista coll’uso del mondo; si rintuzza in noi la sensibilità alle minime differenze coll’uso giornaliero, e facendo il paragone degli altri uomini con noi, sovente vediamo che molto a torto eravamo persuasi della picciolezza della nostra ragione.189

In questo brano i rapporti sociali vengono visti come fonte di emulazione di ogni individuo e possono essere considerati appunto come uno strumento all’educazione personale. In effetti, i caffettisti rivendicano la necessità di educare gli uomini a concepirsi in quanto individui e a identificare le proprie potenzialità individuali perché considerano che è proprio la fiducia in se stessi a permettere agli uomini di avere il coraggio di emettere opinioni in un ambito collettivo. Di conseguenza, si capisce perché e come l’educazione e la sua promozione sono fondamentali alla volontà del Caffè di formare un’opinione pubblica.

Si è visto come l’educazione ai rapporti sociali è fondamentale nell’opera di costruzione dell’opinione pubblica voluta dai caffettisti, ora si tratterà di capire in che modo questa forma di educazione è anche essenziale alla promozione della comunicazione.

2. La comunicazione

Si è appena spiegata l’importanza dell’educazione all’amicizia per i caffettisti appunto perché rappresenta un ambito prediletto per la comunicazione e lo scambio sociale. Tuttavia è

189 Ivi, p. 193. 83 anche fondamentale sottolineare che la comunicazione costituisce un mezzo essenziale all’educazione e alla vita in società. In effetti, per Alessandro Verri il vero « spirito di società » consiste proprio in un’« onesta comunicazione fra gli uomini, per cui tendono a rendersi vicendevolmente la vita più dolce, più aggradevole e più felice. »190. Di conseguenza, si deve considerare la comunicazione sia una premessa dell’educazione, sia uno strumento dell’educazione stessa che una possibilità concessa dall’educazione. In effetti, il fatto stesso di usare la forma del foglio periodico per promuovere le proprie idee dimostra la consapevolezza della necessità di adattare le forme comunicative alla situazione. In effetti, il Caffè viene pubblicato ogni dieci giorni, il che palesa la volontà di rimanere presenti presso i propri lettori in modo regolare e costante per avere un maggiore peso su di essi. Su questa scia, viene promosso l’uso delle poste come forma comunicativa a grande scala. Le poste rappresentano un sistema che deve riguardare il territorio intero di una nazione per essere utile allo Stato che a sua volta si incarica del suo buon funzionamento. Di conseguenza, Luigi Lambertenghi dedica l’inizio dell’articolo « Delle poste » alla dimostrazione di come le poste giovino agli Stati.

Perché uno Stato sia ugualmente forte crescendo in grandezza, bisogna che la celerità sempre cresca in ragione della grandezza [...]: onde la grandezza d’un principe non consiste tanto nella facilità ch’egli ha a conquistare, quanto nella difficoltà che v’è a potere contro di esso operare con effetto [...]. Giudicò egli perciò ottima cosa il procurare la più pronta comunicazione tra la capitale e le parti estreme del suo regno, e questo per mezzo di corrieri, di modo da potere tutto tosto sapere affine di rimediarvi.191

Con questo brano, l’autore evidenzia l’utilità delle poste nel mantenimento dello Stato mostrando come esse permettano una rapida comunicazione fra le varie parti della nazione e soprattutto fra lo Stato e le parti ai confini del suo territorio. Mettendo l’accento sul giovamento che il sovrano stesso ne trarrebbe, l’autore intende coinvolgerlo a istituire poste nel proprio Stato per mantenere la propria potenza.

190 Ivi, p. 397. 191 Ivi, p. 300. 84

Egli è vero che tali corrieri erano solo destinati a mantenere la comunicazione sugli affari che riguardavano lo Stato, e che principalmente la salute pubblica avevano per oggetto. 192

In questo brano, l’autore mette in evidenza come non solo le poste servono lo Stato ma anche la « salute pubblica » cioè l’integrità, la tranquillità e il ben essere collettivo. In effetti, si può dire che qui l’autore si rivolge non solo al sovrano ma anche a quelli a cui importa la salute pubblica e la dimensione collettiva della vita politica.

Gli uomini sono sempre simili a loro stessi quando passioni simili in simili circostanze gli agitano.193

Con questo brano, l’autore intende sottolineare il fatto che le poste aiutano gli uomini che vivono nella stessa nazione a corrispondersi, cioè a poter conoscere e capire anche chi non vive nella stessa città e non ha per forza gli stessi usi. Inoltre questo brano definisce in modo indiretto una vera e propria antropologia : non solo gli uomini sono diversi tra loro, ma anche ognuno è anche diverso a ogni istante e secondo l’emozione provata. Di conseguenza, le poste permettono agli uomini di capire le loro differenze in una dimensione collettiva, vale a dire a concepire una dimensione collettiva al di là delle proprie differenze individuali appunto perché le conoscono e possono capire che non ostacolano la vita in società. In effetti, nella costruzione di un’opinione pubblica questo elemento è essenziale. Di conseguenza, l’autore mette in evidenza come in Francia le poste funzionano per tutti e non solo per il sovrano.

Fece Luigi XI questo di più, che a chiunque de’ particolari piacesse, fosse lecito servirsi mediante un dato prezzo da pagarsi per ogni cavallo che venisse adoperato. Furono allora per la prima volta addimandate poste ed a portare e ricevere lettere impiegato con sommo vantaggio de’ privati ancora un tale regolamento.194

192 Ivi, p. 301. 193 Ibidem. 194 Ivi, p. 309. 85

Con questo brano, il Lambertenghi promuove l’uso generalizzato delle poste e dimostra come in Francia i cittadini adoperano già questo sistema con « sommo vantaggio », cioè con un profitto rilevante, il che permette di destare nei lettori un interessamento nei confronti delle poste. Di conseguenza, essi capiscono maggiormente l’importanza della comunicazione e possono diventare promotori dell’istituzione delle poste nella propria nazione.

Il commercio tanto innoltrato, i costumi ripuliti e le scienze che tanta strada hanno in poco tempo fatta fare all’umano ingegno nel mondo intelligibile, le arti ad un raffinamento grandissimo spinte e dalle scienze aiutate sono in gran parte effetti di quella rapida e prestissima comunicazione che colle poste si può avere. Le scoperte hanno il loro secolo, e non si fanno che quando la catena delle idee, fortunatamente spinta ad un punto, fa in un certo modo schiudere da ogni parte le stesse verità.195

Il Lambertenghi intende insistere sul ruolo delle poste non solo nell’accrescimento del sapere e nella sua circolazione ma anche nel perfezionamento di certe scienze. In effetti, propone ai lettori una visione delle poste come elemento necessario ed essenziale per condividere ovunque gli stessi progressi scientifici e sociali affinché essi stessi possano sempre aumentare e affinché possano giovare a tutti. Egli specifica :

Le poste da’ limiti d’una città, d’una provincia, d’un regno con una prestezza grandissima fanno sole dappertutto spargere le nuove verità, ad esse sole quel fermento d’idee si deve che tanto accellera le invenzioni a vantaggio dell’umanità ed all’onore del secolo.196

L’autore insiste sulla necessità di istituire poste che superino la sola città o il solo regno per mantenere uno scambio a scala sovranazionale per il vantaggio dell’umanità e dei

195 Ivi, p. 310. 196 Ibidem. 86 cittadini, vale a dire per un vantaggio immediato ma anche a lungo termine. In effetti, l’autore considera che in parte sono state le poste a stabilire « la superiorità dell’Europa sul resto del mondo »197. Insomma si può dire che, attraverso l’uso delle poste, la comunicazione è individuata come una necessaria condizione alla costruzione dell’opinione pubblica perché permette agli uomini di conoscersi meglio e quindi di intraprendere un progetto collettivo superando le divergenze personali, ma anche perché permette di omogeneizzare la conoscenza del mondo e insieme di accrescerla.

Si è appena visto come la comunicazione è fondamentale per un progetto comune quale la costruzione dell’opinione pubblica, tuttavia essa non deve rimanere fine a se stessa ma veicolare conoscenze o saperi precisi. In questa prospettiva, la riflessione sull’economia emerge come il frutto di riflessioni svolte a scala europea e costituisce un esempio di sapere veicolato e di riflessione scientifica.

3. L’economia

Nel Caffè, le riflessioni che riguardano l’economia sono strettamente legate sia alle istituzioni in quanto regolano le attività economiche che alla realtà politica del Ducato milanese. Di conseguenza, vi si trovano diversi articoli che trattano vari argomenti dell’economia che vanno dal ruolo dello Stato nella vita economica alla proposta di nuove piante da coltivare quale il tabacco per una maggiore indipendenza dello Stato.198 Tuttavia esiste un punto comune fra tutte le considerazioni che consiste nel proporle in virtù del vantaggio che apporterebbero alla nazione. In effetti, il primo articolo legato alla questione dell’economia « Elementi del commercio » pone le basi della riflessione del Caffè e mette in evidenza il beneficio che il sovrano può ricavare se si interessa al commercio. Infatti Pietro Verri scrive :

Le rendite del sovrano crescono colla popolazione dello Stato e scemano con essa, e la popolazione dello Stato dipende interamente dalla natura del commercio.

197 Ivi, p. 309. 198 Ivi, P. Secchi, « La coltivazione del tabacco ». 87

Dove l’industria e l’agricoltura danno più facili mezzi a sussistere, ivi non mancano giammai gli abitanti. È dunque massimo interesse del sovrano la buona direzione del commercio.199

In questo brano viene sottolineato il ruolo dell’industria e dell’agricoltura nel guadagno economico del sovrano appunto perché queste attività permettono a un maggior numero di persone di vivere in buone condizioni nel Ducato di Milano. È rilevante l’intento pratico di queste considerazioni, cioè la capacità di determinare il ruolo preciso di attività pratiche nella vita economica e politica. Questo permette di attirare l’attenzione sia dei sovrani illuminati che dei lettori sulla necessità di interessarsi al commercio in modo metodico per accrescere il potere della propria nazione.200 In questa prospettiva, il Verri presenta il ruolo del commercio interno e di quello esterno nel loro rapporto con la nazione. Queste riflessioni traducono l’influenza dell’Illuminismo inglese, con le figure esponenti di Hume201 e Locke, più di quella francese.

Il commercio interno impedisce la perdita delle ricchezze della nazione, l’esterno ha per oggetto d’aumentarle. Il primo s’oppone al passivo, l’altro lo compensa.202

Con questo brano, il Verri fa risaltare l’importanza di mantenere il commercio interno attivo perché il ruolo del commercio esterno risiede solo nel compenso del primo e nell’accrescimento delle ricchezze e, di conseguenza, non può essere il motore economico del Ducato di Milano. È interessante notare come questa riflessione applicata all’economia è valida come si vedrà di seguito per tutte le riflessioni del Caffè : risulta fondamentale per la vitalità della nazione, la capacità di sfruttare le proprie risorse materiali o intellettuali prima di trarne all’estero. Il compito delle risorse esterne risiede di conseguenza solo

199 Ivi, p. 32. 200 Ibidem. « [...] la nazione che avrà in prima aperti gli occhi sul commercio profitterà della indolenza delle altre e diverrà ricca, popolata e florida a loro spese. » 201 D. Hume, Du commerce, du luxe et de l’argent, Paris, Manucius, 2016, [1752]. « Il est très courant que les nations qui ignorent la nature du commerce prohibent l’exportation des marchandises et conservent à l’intérieur toutes les choses qu’elles pensent avoir de la valeur et de l’utilité. Elles ne se rendent pas compte qu’elles agissent d’une manière contraire à leur intention car, plus on exporte une marchandise, plus on développe sa production intérieure, ce dont le pays producteur profite toujours en priorité. » 202 Il Caffè, op. cit., p. 31. 88 nell’arricchimento delle proprie risorse e nel loro consolidamento. Il primato del commercio interno è rilevante perché offre ai lettori un’attività, nel senso primario della parola, utile alla nazione e perché indica il punto cruciale verso il quale devono convergere sia le riflessioni teoriche che il sistema legislativo e la comunicazione presso il proprio pubblico per renderlo attivo nella vita politica del Ducato di Milano. A questo scopo, il Verri presenta alcuni suggerimenti per quanto riguarda le misure che il sovrano dovrebbe prendere.

Questo timone della nave è sempre nelle mani del sovrano. Colle esenzioni o colle somministrazioni fatte ai fabbricatori egli diminuisce il prezzo delle interne manifatture; aggravando le imposizioni alla introduzione delle merci straniere egli accresce il prezzo delle manifatture esterne; e con abili ministri e buone leggi egli perfeziona le interne manifatture.203

È importante notare come questi suggerimenti sono precisi e ancorati alla realtà e che mostrano che la volontà di progresso economico del Caffè è concepita insieme a un necessario progresso delle leggi che devono regolare e perfezionare ogni attività economica e ogni manifattura. In effetti, si tratta di un sistema economico liberale corretto da un interventismo moderato dello Stato secondo alcune regole.204 Perciò il Verri scrive :

La libertà e la concorrenza sono l’anima del commercio; cioè la libertà che nasce dalle leggi, non dalla licenza. Quindi ne siegue che l’anima del commercio è la sicurezza della proprietà fondata su chiare leggi non soggette all’arbitrio; ne siegue pure che i monopoli, ossia i privilegi esclusivi, sieno perfettamente opposti allo spirito del commercio.205

Con questo brano, il Verri sottolinea tra l’altro il ruolo della libertà e della concorrenza nell’ambito del commercio, il che rispecchia anche il modello di società che si sta delineando, cioè una società dentro la quale sono le leggi a regolare ogni libertà e in cui la concorrenza sembra essere un principio di perfezionamento. Queste considerazioni sono interessanti se si

203 Ivi, p. 35. 204 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 82. 205 Il Caffè, op. cit., p. 36. 89 pensa alla costruzione di un’opinione pubblica perché spingono i lettori ad agire liberamente nello spazio conferito dalle leggi tenendo in mente tuttavia la necessità personale di agire per conservare il proprio ruolo nella società. Questo brano nota anche il ruolo della proprietà ben regolata dalle leggi nel commercio. Su questa scia, il Franci nell’articolo « Dell’agricoltura » mette in evidenza l’importanza di affittare a chi non è proprietario a lungo termine per incrementare lo sfruttamento dei terreni agricoli.

Il proprietario vedrebbe i suoi fondi più a dovere coltivati e con maggior prontezza sarebbe pagato dall’affittuario, l’industria del quale avrebbe un campo più vasto da svilupparsi e d’intrapprendere a fare tutto ciò che deve godere per molto tempo, invece che la certezza o il timore di travagliare unicamente per gli altri lo costringe a pensare ai soli miglioramenti annuali e fa perdere a lui egualmente che al pubblico tutto ciò che intraprenderebbe senza questo corto e fatal termine che fa passare il prodotto delle sue fatiche nelle mani altrui.206

Queste considerazioni sulle conseguenze dell’affitto a lungo termine possono essere applicate al livello della società. In effetti, più si permette ai cittadini di concepire un’azione a lungo termine più si offrono loro condizioni favorevoli a un maggiore impegno personale e più si capisce la possibilità di cambiamenti maggiori nella società, il che è notevole per la costruzione di un’opinione pubblica. In più, l’attenzione all’agricoltura è fondamentale nel Caffè sotto diversi punti di vista. In effetti, i caffettisti la concepiscono quale « una scienza chiamata [...] il sostegno delle arti, la base del commercio e delle ricchezze »207 appunto perché il territorio del Ducato di Milano possiede varie risorse naturali che rappresentano una fonte di ricchezza immensa. Inoltre quando si parla di agricoltura, si evocano più classi sociali, vale a dire il ceto dirigente che legifera, i proprietari fondiari e la plebe che lavora la terra. Ciò è di fondamentale importanza se si considera uno degli scopi primari del Caffè di allargare il proprio pubblico. D’altronde siccome l’agricoltura quale lavoro manuale non si basa su teorie intricate e poiché rappresenta un’attività di importanza fondamentale per la vita quotidiana, essa rappresenta un tema che permette di toccare più facilmente gli interessi di un gran numero di persone. Peraltro Carpanetto e Ricuperati notano che questa politica

206 Ivi, p. 62. 207 Ivi, p. 147. 90 economica di grande rilievo nei confronti dell’agricoltura rappresenta un’autentica novità tale da sollecitare percorsi modernizzatori.208 Un altro attore della vita economica del Ducato di Milano può essere individuato nel lusso, questione molto discussa durante l’Illuminismo, la cui limitazione è individuata nel Caffè nel suo rapporto stesso all’agricoltura.209 Tuttavia Pietro Verri nell’articolo « Considerazioni sul lusso » specifica che, dal punto di vista morale, il lusso è negativo ma che la questione della sua moralità non c’entra nel suo discorso appunto perché egli intende trattare del lusso nell’ambito politico.210 In effetti per la maggior parte di loro e per Pietro Verri, il lusso è da considerare in modo positivo in quanto permette di assicurare una massima mobilità sociale e economica.211

Se il lusso nasce [...] dalla ineguale ripartizione de’ beni, e se l’ineguale ripartizione de’ beni è contraria alla prosperità d’una nazione, il lusso medesimo sarà un bene politico, in quanto che dissipando i pingui patrimoni torna a dividerli, a ripartirli e ad accostarsi alla meno sproporzionata divisione de’ beni.212

In effetti, il Verri considera il lusso come rimedio alle proprie cause in quanto permetterebbe di spingere gli uomini ad essere attivi nella speranza di poter diventare anch’essi consumatori di lusso e perché i denari spesi nel lusso tornino ai « poveri ma industriosi cittadini ». Di conseguenza, si può dire che l’utilità del lusso è concepita solo nell’ambito economico perché può essere fonte di dinamismo. Insomma si può dire che le riflessioni che riguardano l’economia rispecchiano una volontà di cambiare la vita politica appunto usando le istituzioni e informando il proprio pubblico sulle poste in gioco di tali cambiamenti. Sia il metodo che il contenuto di questi articoli sono essenziali alla costruzione dell’opinione pubblica perché permettono di proporre un quadro legale e pratico ai propri lettori e insieme di renderli promotori e attori di questo progetto.

208 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’Italia del Settecento, op. cit., p. 63. 209 Il Caffè, op. cit., p. 38. « Il solo lusso veramente pernicioso, in una nazione che abiti un suolo fecondo, è quello che toglie alla coltura delle terre, consacrandole alla cacce, ai parchi e ai giardini. » 210 Ivi, p. 155. « Il lusso è un vizio contro cui declamano a ragione i sacri oratori; il lusso rovina molti patrimoni: ma ogni vizio morale non è un vizio politico, come ogni vizio politico non è un vizio morale. » 211 F. Venturi, « La Milano del Caffè », op. cit., p. 729. « Pietro Verri riprendendo tacitamente Helvétius considerava il lusso come un fatto positivo, proprio perché tendeva a rendere più difficile l’accumularsi delle ricchezze. » 212 Il Caffè, op. cit., p. 158. 91

Se l’economia costituisce un campo scientifico pratico di riflessione, ora conviene stabilire la concezione teorica delle scienze nel Caffè nonché la concezione della cultura linguistica e letteraria e capire come questi campi del sapere costituiscono sedi particolari della costruzione dell’opinione pubblica.

C. Scienza e cultura

1. La scienza di Galileo Galilei

Carlo Capra nota che oltre un terzo delle pagine del periodico riguardano un argomento scientifico.213 In effetti, le scienze rappresentano un argomento ricorrente nel Caffè che intende appunto divulgare conoscenze scientifiche ma anche proporre ragionamenti e metodi scientifici in vista di un uso metodico delle scienze sia nella vita privata che nella vita pubblica. In questa prospettiva si legge :

Dovunque più pensano gli uomini, ivi sono i minori mali; ed uno de’ massimi beni che fanno al mondo le scienze si è quello di scuotere colla emulazione e colla curiosità gli uomini da quel letargo a cui per una naturale inerzia s’abbandonano, e riporre in moto l’animo loro ad avvezzarli a pensare; facoltà la quale se ben s’eserciti sugli oggetti delle scienze, forma gli uomini illustri; se ben s’eserciti su tutti gli oggetti che circondano l’uomo posto in società, forma il vero saggio.214

In questo brano, Pietro Verri intende promuovere l’uso delle scienze appunto perché spingono gli uomini al ragionamento. In effetti la questione della scienza è rilevante nella

213 C. Capra, Gli italiani prima dell’Italia. Un lungo Settecento, dalla fine della Controriforma a Napolone, op. cit., p. 269. 214 Il Caffè, op. cit., p. 329. 92 nascita dell’Illuminismo grazie al miglioramento dei mezzi di comunicazione e dei luoghi di trasmissione del sapere (università, periodici, enciclopedie, ecc) che permettono la divulgazione delle scoperte scientifiche del Rinascimento. In sede scientifica, gli illuministi rinnovano la storiografia, rompendo con la visione giusnaturalistica di verità immutabili e paradigmatiche alla condotta dell’uomo e sostituendovi un criterio di ricerca duttile che coglie il senso del fenomeno storico con principi propri al mondo naturale, pur per trasportarlo in un quadro universale e filosofico.215 Su questa scia, il metodo scientifico viene promosso dagli illuministi come il metodo di riferimento nella dimostrazione della conoscenza, a scapito dell’autorità religiosa, e permette di stabilire il sapere illuministico. Infatti anche se la teoria copernicana è stata scoperta agli inizi del Cinquecento, è accettata dai più solo durante l’Illuminismo. Per le stesse ragioni, Galileo passa da figura di proscritto a quella di eroe italiano nel giro di neanche un secolo. Questo rinnovo fa sì che il lettore in quanto individuo prenda prima coscienza del rapporto di causa e di conseguenza delle regole che reggono il suo ambiente e in un secondo momento applichi questi principi a ogni ragionamento e alla società. Su questa scia esso diventa consapevole insieme della complessità della società ma anche della possibilità di capirla e quindi di agire nei suoi confronti, il che è fondamentale per la costruzione di un’opinione pubblica. Inoltre non a caso i caffettisti dedicano un intero articolo a Galileo Galilei. In effetti, come si è detto prima, il riferimento al personaggio di Galileo Galilei è rilevante nel Caffè per diversi aspetti che si ritrovano anche nell’articolo di Paolo Frisi « Saggio sul Galileo ». Fin dall’inizio dell’articolo, viene messa in evidenza la concezione dello scienziato del rapporto delle sue scoperte con la società.

Si aggiugne che il Galileo non appagossi della semplice gloria delle nuove scoperte, ma volle unirvi anche quella di ricavare dalle scoperte i maggiori vantaggi al genere umano [...].216

Con questo brano, i caffettisti intendono insistere sui vantaggi pratici del pensiero di Galileo senza accennare alle dispute passate. Il che indica, ancora una volta, che i caffettisti rifiutano ogni polemica inutile per dedicarsi alle conseguenze pratiche, positive e immediate. Inoltre si capisce che l’intento del Galileo è appunto di recare vantaggio alla società delle

215 D. Consoli, Dall’Arcadia all’Illuminismo, op. cit., p. 114. 216 Il Caffè, op. cit., p. 432. 93 proprie scoperte, il che indica la volontà di eliminare le barriere tra i cittadini e le scienze, tra l’altro manifestata con la scrittura in volgare di quasi tutte le sue opere. Per i caffettisti, insistere su questa volontà torna a spingere i propri lettori a interessarsi alle scienze ma soprattutto a promuovere la propria impresa di costruzione dell’opinione pubblica tramite il Caffè. In questa prospettiva, il Frisi insiste anche sulla pratica del Galileo di fare le proprie sperimentazioni pubblicamente.

Fatto lettore in Pisa, incominciò varie pubbliche sperienze intorno alla caduta de’ corpi gravi, e fece a tutti vedere che i legni e i metalli e gli altri corpi, quantunque assai diversi di peso, cadevano in egual tempo, [...] da tutta l’altezza del campanile.217

Il Frisi nota anche che queste esperienze non solo avvenivano pubblicamente ma anzi sulla Piazza dei Miracoli di Pisa, il che è rilevante perché anche se l’università o le biblioteche sono luoghi pubblici non sono per forza frequentati da tutte le fasce della popolazione quanto una piazza. Di conseguenza viene messa in evidenza la possibilità e la necessità di usare forme sperimentali e comunicative raggiungibili da tutti. Inoltre l’autore insiste sui valori che guidano il Galileo.

Disse che Bacone era inferiore al Galileo suo contemporaneo [...]; che il Bacone avea solo accennato le vie in cui si avanzava a gran passi il Galileo; che il primo non sapeva la geometria, posseduta dal secondo eccellentemente e applicata alla naturale filosofia; che il primo disprezzava il sistema di Copernico, stabilito dal secondo con tante prove cavate dalla ragione e dal senso; che lo stile [...] del secondo era piacevole e brillante sebbene qualche volta prolisso ec.218

Contrapponendo il Galileo a Bacone, l’autore da una parte mette in confronto vecchie usanze, tuttavia ancora in uso nel Settecento, con quelle promosse dal Caffè, e da un’altra si

217 Ivi, p. 435. 218 Ivi, p. 433. 94 inserisce in una vecchia disputa di storiografia con gli inglesi che rivendicano il primato di Bacone. Sembra anche opportuno notare l’assenza di Cartesio in questo brano di ricostruzione della storia delle scienze. In più, poiché viene conferita al Galileo una figura positiva, i lettori vengono consapevolmente o meno attirati da questa figura e così anche dai valori che le sono associati, cioè dalla scienza applicata alla filosofia naturale, dalla ragione e dal buon senso e da uno stile gradevole e conciso. Di conseguenza questi valori vengono promossi per ogni ragionamento. Le modalità di uso delle scienze sono anche evocate con l’espressione seguente « il buon uso deve stimarsi assai più dell’invenzione »219. Il Frisi intende per buon uso, uno che abbia vocazione a scoprire nuovi funzionamenti per una migliore comprensione del mondo in contrapposizione all’invenzione fine a se stessa. In questa prospettiva, l’autore insiste più volte sull’intento di giungere a una massima perfezione del conoscimento sia in campi pratici che teorici.220 In effetti il Frisi intende mostrare ai propri lettori alla pari del Galileo e di altri filosofi quale Cartesio e Condorcet che l’umanità progredisce appunto perché è sostenuta da un progresso tecnico permesso dalle scienze, il quale le permette di giungere a migliori condizioni di vita e alla felicità. Ciò dimostra una volontà di costruire un pubblico in grado di esprimere un’opinione pubblica che rispecchi il più possibile l’avanzamento delle scienze. Inoltre in questo modo l’autore mostra ai lettori che anche loro possono ricavare miglioramenti nella propria vita dalla pratica scientifica. D’altronde il Frisi riallaccia a più riprese il Galileo a una certa storia dell’umanità. In effetti scrive :

Galileo Galilei nacque in Pisa nel 1564, e [...] morì l’anno 1642 nella villa d’Arcetri vicina a Firenze; e però nacque l’anno che morì in Roma Michel Angelo Buonaruoti, e morì l’anno che nacque in Inghilterra Isacco Newton.221

Con questo brano, il Frisi riallaccia il Galileo al Buonarotti, artista italiano e protagonista del Rinascimento europeo nonché all’inglese Newton, uno dei più grandi scienziati della storia umana. Il che fa di Galileo il trait d’union europeo di queste due

219 Ivi, p. 436. 220 Ivi, p. 432. « dopo di aver osservato per 27 anni i satelliti di Giove distese le tavole esatte del loro moto per determinare le longitudini e perfezionare la geometria e la nautica » e p. 437. « Le osservazioni di Giove furono portate dal Galileo al più alto grado di perfezione. » 221 ivi, p. 434. 95 tradizioni. Ancora una volta conviene notare che Cartesio viene escluso dalla continuità che lega Galileo a Newton. Il che si potrebbe spiegare dal fatto che nel Settecento, il modello scientifico cartesiano diventa caduco. Infine l’autore conclude il capitolo dicendo :

Noi dobbiamo ammirare nel Galileo un filosofo, un geometra, un meccanico ed un astronomo non meno teorico che pratico, quello che ha dissipato tutti gli errori dell’antica scuola, il più elegante e solido scrittore che abbia avuto l’Italia, il maestro del Cavalieri, Torricelli, Castelli, Aggiunti, Viviani, Borelli, Paolo e Candido del Buono.222

Con questo brano, l’autore intende sottolineare il genio del Galileo in campi precisi del sapere teorico e pratico, il suo ruolo nella lotta contro la superstizione ma anche la rilevanza della sua eredità nelle scienze italiane. Di conseguenza si può dire con Franco Venturi223 che Galileo è il modello italiano ideale di scienziato e di letterato per i caffettisti, il che è anche valido nella prospettiva di costruzione dell’opinione pubblica appunto per i valori e i metodi veicolati. La validità di queste osservazioni è rafforzata dal fatto che sia i fratelli Verri che il Galileo hanno la stessa considerazione ideale e sociale dei « dotti » e dei « saggi » appunto perché trasmettono la capacità di avvicinarsi alla verità per informare un pubblico sempre più ampio. Insomma si può dire che le scienze sono un luogo del sapere essenziale alla costruzione dell’opinione pubblica sia per le scoperte che permettono, sia per il metodo proposto che per la loro facoltà a unire gli uomini al di là delle differenze individuali.

Si è già evocato l’uso della lingua volgare proposto dal Galileo per diffondere le sue scoperte a un pubblico più ampio, ora si tratterà di capire come i caffettisti continuano questo uso e come teorizzano un uso della lingua che rispetti gli stessi criteri dell’utilità delle scienze e che sia adatto alla costruzione di un’opinione pubblica.

222 Ivi, p. 445. 223 F. Venturi, « La Milano del Caffè », op. cit., p. 734. « A lui bisognava rifarsi se si voleva trovare un modello di scienziato e di letterato [...] che avesse avuto l’Italia. » 96

2. La questione della lingua

Non a caso la questione della lingua è l’aspetto più studiato dai critici del Caffè. Nel Settecento milanese vari autori ne discettano ma nel Caffè essa prende un aspetto singolare : viene ribadita una critica aspra contro il pedantismo che regge l’uso della lingua. Quasi tutti i caffettisti trattano della lingua senza per forza farlo in articoli specificamente dedicati alla questione linguistica, il che indica che si ritiene fondamentale applicare tale questione a diversi campi del sapere appunto perché è ritenuta fondamentale nell’opera di costruzione dell’opinione pubblica. In effetti, Maurizio Vitale definisce la reazione del Caffè quale « la più decisa e radicale insurrezione linguistica contro l’accademismo retorico della tradizione letteraria italiana e contro il fiorentinismo arcaizzante e cruscante »224. Questa definizione illuministico-razionalistica ci permette di sottolineare che la questione della lingua in Italia è oggetto di polemiche da diversi secoli ma non è mai stata dichiarata una posizione così novatrice e radicale. Essa è trattata nel Caffè sia in modo polemico che teorico, il che permette insieme di esporre sia il disaccordo con la concezione della Crusca, dominante da secoli, che di proporre nuovi principi a cui appoggiarsi. Fra i primi articoli del periodico, si trova la « Rinunzia avanti notaio degli autori del presente foglio periodico al Vocabolario della Crusca » in cui Alessandro Verri presenta in modo sintetico e polemico i cambiamenti che devono essere intrapresi per quanto riguarda la lingua affinché essa possa assumere un vero e proprio ruolo di comunicazione. Inoltre sembra opportuno ricordare che l’Accademia della Crusca si proponeva di compilare un grande dizionario della lingua fiorentina per difendere il suo primato e imporla come modello. Infatti il Caffè reagisce proprio contro questa concezione della lingua, che definisce quale pedante, più particolarmente nella Rinunzia225 in cui rivendica per prima cosa la libertà e la legittimità di ognuno di creare nuove parole scrivendo :

Perché se Petrarca, se Dante, se Bocaccio, se Casa e gli altri testi di lingua hanno avuta la facoltà d’inventar parole nuove e buone, così pretendiamo che tale

224 M. Vitale, La questione della lingua, Palermo, Palumbo, 1978, p. 257. e M. Puppo, « L’illuminismo e le polemiche sulla lingua italiana », in (a cura di) M. Fubini, La cultura illuministica in Italia, Torino, Eri, 1957, p. 247. « Il loro atteggiamento nei riguardi della Crusca non rappresenta una novità assoluta; nuovo è l’estremismo razionalistico e polemico. » 225 Il Caffè, op. cit., p. 47. 48. « Gli autori del Caffè […] essendo inimicissimi d’ogni laccio ingiusto che imporre si voglia all’onesta libertà de’ loro pensieri e della ragion loro, perciò sono venuti in parere di fare nel forme solenne rinunzia alla pretesa purezza della toscana favella, e ciò per le seguenti ragioni. » 97

libertà convenga ancora a noi; conciossiaché abbiamo due braccia, due gambe, un corpo ed una testa fra due spalle com’eglino l’ebbero.226

Il Verri è molto abile con quest’argomento perché si rifà appunto a modelli promossi dall’Accademia della Crusca per asserire che la loro legittimità nella creazione di lessemi proviene dal solo fatto di essere uomini. Quest’osservazione è rilevante nella volontà di costruzione dell’opinione pubblica perché permette ai lettori di prendere coscienza della propria legittimità e responsabilità nell’uso della lingua e nella sua evoluzione sotto l’egida della ragione.227 Tuttavia anche se tutti possono inventare parole, queste devono rispettare alcuni criteri. In effetti la tesi principale del Caffè quanto alla questione della lingua risiede nella volontà di posporre le parole alle idee.

Consideriamo ch’ella è cosa ragionevole che le parole servano alle idee, ma non le idee alle parole […].228

La necessità di posporre le parole alle idee non è una novità dei caffettisti in Europa : il francese Bouhours alla fine del Seicento ribadisce già il vantaggio che se ne può trarre.229 Tuttavia egli non propone una riflessione sull’uso pratico della lingua. Ancora una volta, è la ragione a giustificare la volontà dei caffettisti perché in qualsiasi luogo del sapere soltanto essa può e deve fare da guida all’uomo nelle sue scelte. In questa prospettiva, nella Rinunzia si trovano riflessioni che tentano di definire un quadro dell’evoluzione della lingua secondo l’autorità della ragione e il criterio dell’utilità e del bisogno per ogni invenzione o per ogni contributo appunto perché « nessuna legge obbliga a venerare gli oracoli della Crusca ed a scrivere o parlare con quelle parole ».230

226 Ivi, p. 48. 227 Ivi, p. 135. « Ogni parola che sia intesa da tutti gli abitanti d’Italia è secondo noi una parola italiana: l’autorità, e il consentimento di tutti gl’Italiani, dove si tratta della lor lingua, è maggiore dell’autorità di tutti i grammatici, sebben anco s’unissero a ricusarla. Questo è uno de’ nostri principii, il quale è pure il principio di tutti gli uomini ragionevoli in quest’affare. » 228 ivi, p. 49. 229 D. Bouhours, La manière de bien penser dans les ouvrages d’esprit, 1687, http://gallica.bnf.fr/ark:/12148/bpt6k113387k.pdf, p. 3. « Il est, ce me semble, encore plus nécessaire de bien penser que de bien parler ; ou plutôt on ne peut parler ni écrire correctement, à moins qu’on ne pense juste. » 230 Il Caffè, op. cit., p. 48. 98

I criteri che derivano da queste concezioni generali ma tuttavia fondanti mirano a « rendere meglio le [...] idee », « arricchire » la lingua e « migliorarla » attingendo a parole straniere, portando « questa nostra indipendente libertà sulle squallide pianure del dispotico Regno Ortografico » e conformando « le sue leggi alla ragione ». Raymond Abbrugiati scrive che queste ultime espressioni permettono di « avvicinare la libertà politica e la libertà linguistica sotto il vincolo della ragione »231, il che è notevole quando si cerca di costruire un’opinione pubblica che abbia vocazione a essere espressa con chiarezza e ad assumere un ruolo nella società. Inoltre il Verri aggiunge :

Protestiamo che useremo ne’ fogli nostri di quella lingua che s’intende dagli uomini colti da Reggio di Calabria sino alle Alpi; tali sono i confini che vi fissiamo, con ampia facoltà di volar talora di là dal mare e dai monti a prendere il buono in ogni dove.232

Da questo brano si può notare che la riflessione linguistica, come ogni altra riflessione del Caffè, ha anche una dimensione civile. In effetti, la lingua promossa dal Caffè offre la possibilità di rispecchiare la realtà della penisola italiana grazie all’uso di parole capite da tutti i suoi abitanti. Quest’attenzione è notevole perché offre una lingua comune a tutta la popolazione, giustificata da un principio universale e non trascendente quale la ragione. Di conseguenza, i lettori possono considerare una possibilità di coesistenza con la popolazione di altre regioni. La dimensione civile della lingua è anche promossa da Francesco Algarotti che sottolinea anche l’importanza della retorica.233 Inoltre l’Accademia dell’Arcadia fondata nel 1690 intendeva già riformare la letteratura in generale poiché la poesia barocca era considerata troppo complicata. La sua volontà di riforma dimostrava l’intento di controbilanciare l’unità politica creando un’unità linguistica. Il che ci permette di sottolineare che la novità del Caffè non è nella dimensione civile ma appunto nei mezzi intrapresi per attuarla. D’altronde il Verri specifica che l’uso di parole straniere è concesso quando permette di esprimere una realtà non espressa da parole italiane, il che denota la volontà dei caffettisti di costruirsi insieme ad altre nazioni tuttavia senza rinnegare le proprie specificità. In questa

231 R. Abbrugiati, Études sur le Café, op. cit., p. 161. 232 Il Caffè, op. cit., p. 49. 50. 233 M. Vitale, La questione della lingua, op. cit., p. 262. « Algarotti si schiera a difesa di uno stile « retorico e civile » ». 99 prospettiva, la lingua diventa lo specchio della nazione perciò non è per niente concepibile usare una lingua fissata da secoli mentre si vogliono attuare cambiamenti nella propria società.234 Tuttavia la riflessione dei caffettisti tra una lingua e quelli che la parlano non si limita a ciò.

Dunque quando una lingua fa veloci cambiamenti, è un indizio certo di una rivoluzione nelle idee della nazione che la parla, e dall’indole del cangiamento della lingua si potrà argomentare il cangiamento nelle idee: così le lingue si raddolciscono col dispotismo, e colla libertà e colle guerre civili ritornano vigorose ed aspre.235

Si capisce con questo brano che la lingua non solo rispecchia a un dato momento la cultura di quelli che la parlano, ma anche l’umore politico della nazione. Infatti, lo stile di una lingua varia a seconda del tipo di regime e delle condizioni di espressione concesse da esso. In effetti secondo Beccaria, lo stile di uno scritto denota, per esempio con la natura delle metafore usate, il carattere e l’attitudine di una nazione.236 Lo scrittore milanese definisce la metafora quale « uno dei maggiori soccorsi per lo stile »237 appunto perché l’espressione di una somiglianza permette di accennare a due oggetti che vengono associati nella mente umana, che ne esamina tutti i rapporti. Quindi l’espressione di una metafora permette di suggerire alla mente umana qualche rapporto comune fra due oggetti ma soprattutto di incitarla alla riflessione. Di conseguenza, si può dire che i caffettisti sono consapevoli del potere della lingua, della necessità di adattare le parole a ogni realtà e di usare nel Caffè, un lessico preciso e adatto sia alla realtà milanese che al proprio pubblico, appunto nella prospettiva di costruire un’opinione pubblica ragionata dai propri lettori e adatta al contesto sociale, culturale e politico. In altre parole, il lessico costituisce uno strumento al servizio delle idee che si

234 Ivi, p. 259. « I caffettisti hanno la certezza, per la stretta connessione posta tra lingua e cultura, che non si possa dare mutamenti di idee senza un profondo mutamento della lingua. » 235 Il Caffè, op. cit., p. 282. 236 Ivi, p. 283. « Così le metafore secondo sono prese o dai cibi, o dalla guerra, o dall’amore, indicheranno il genio particolare di una nazione. » 237 Ivi, p. 280. 100 vogliono esprimere, e, per i caffettisti, si deve assolutamente rispettare questa gerarchia.238 Su questa scia, viene studiato il rapporto tra la varietà delle espressioni e la pluralità della conoscenza. Effettivamente, sempre secondo Beccaria, più si ha a propria disposizione una vasta scelta di espressioni e di lessemi, più si è in grado di riflettere e quindi di avvicinarsi alla conoscenza.239 Al contrario, il filosofo milanese mette in evidenza il fatto che la scarsezza di lessico del volgo gli impedisce di distinguere sempre un oggetto dall’altro.240 Allo stesso modo, la mancanza di lessemi o espressioni che comunichino sfumature rende uguale la percezione di oggetti o fenomeni diversi. Tuttavia, non è solo la lingua a influenzare il modo di pensare, ma esiste una relazione dinamica fra questi due parametri.241 Di conseguenza, per costruire un’opinione pubblica bisogna sia usare un lessico adatto che istruire il proprio pubblico all’uso della lingua, alla riflessione personale e all’espressione di un’opinione. In questa prospettiva, per agevolare la comunicazione in generale e per costruire un’opinione pubblica, bisogna appunto poter rivolgersi al proprio pubblico in modo tale che il messaggio sia inteso da esso. Di conseguenza, i caffettisti intendono attuare mutamenti non solo nella scelta delle parole usate ma anche nel modo di usarle.

Quando taluno avrà la malaugurata voglia di diventar autore, non cominci col dire: Io voglio fare un libro in foglio per esempio sull’Etica, ma bensì dica: Ho varie idee su di questa materia, proviamoci a scriverle più chiaramente e concisamente che si può; venga poi il libro in ottavo, in quarto, in foglio, ciò non importa. Per lo che sia ogni libro proporzionato alla sua materia.242

In questo brano si spiega come procedere per la stesura di un argomento sull’etica, specificando l’importanza della chiarezza e della concisione, unici fattori a determinare la forma del libro. Ovviamente questa riflessione si applica a ogni mezzo di comunicazione che

238 Ivi, p. 472. « Ella è cosa per sé evidente che l’essenza di un discorso consiste nelle cose che si dicono e le parole non sono che i mezzi coi quali vien significato il discorso ; quindi è evidente pure che il primo oggetto dell’attenzione d’un uomo ragionevole devono essere le cose e le parole devon essere un oggetto assai secondario. » 239 Ivi, p. 281. « Dunque le cognizioni non si avvanzano molto in una nazione prima che le espressioni non siano perfezionate; e il secolo dell’espressioni precede sempre al secolo delle riflessioni. » 240 Ibidem. « Il volgo si determina per lo più a considerare le differenze degli oggetti per la differenza delle parole. I limiti delle sue osservazioni si trovano nel suo vocabolario. » 241 Ibidem. « Da ciò vedasi quanto la lingua influisca su le opinioni degli uomini e vicendevolmente queste su quella. » 242 Ivi, p. 135. 101 sia orale o scritto. In effetti, si cerca di educare il proprio pubblico quanto alla necessità di curare questi due elementi dell’espressione, il che è fondamentale quando si costruisce un’opinione pubblica che abbia vocazione a essere espressa. Su questa scia, viene proposta una definizione dello stile che permetterebbe di rispettare i criteri appena enunciati.

Uno stile è conciso quando le idee principali accompagnate da poche accessorie, ma importanti, si succedono rapidamente, quando si destano più idee di quello che si esprimono con parole; lo stile è conciso e chiaro quando le idee espresse destano necessariamente le taciute; [...].243

Con questo brano, si costata la volontà dei caffettisti di spiegare teoricamente e in modo chiaro un’attività pratica quale la scrittura e, insieme la loro capacità ad adottare una forma di scrittura concisa e chiara. Il che fa sì che il lettore possa prima osservare lo stile a cui deve avvicinarsi per poter in un secondo momento farne uso. Tuttavia, lo stile promosso dai caffettisti non si riduce a una semplice argomentazione e lascia spazio alla poesia.

La poesia si esercita più a comporre che a disciogliere, versa più intorno alle somiglianze che alle differenze degli oggetti, e principalmente si occupa intorno alle impressioni forti sull’anima; ella scuote più che non rischiara, ufficio solo del lento ma sicuro esatto raziocinio.244

In effetti, si capisce che deve essere un rapporto di complementarità a regolare la parte di ragionamento e di poesia nell’elaborazione stilistica dell’opera appunto perché la poesia permette di eccitare le passioni e i sentimenti, cioè di stimolare la mente umana mentre il ragionamento chiarisce il proponimento. Su questa scia, Giuseppe Visconti giustifica la sua inclinazione per il francese e l’italiano scrivendo che rispettivamente « l’una per la sua universalità (gli) parve indispensabile; l’altra per la dolcezzae la forza dell’espressione (gli) piacque. »245. Tuttavia questa preferenza non sembra da intendere come l’espressione di un modello di lingua perfetta, ma piuttosto, come nota Sergio Romagnoli, quale l’indicazione di

243 Ivi, p. 281. 244 Il Caffè, op. cit., p. 279. 245 Ivi, p. 78. 102 un « atteggiamento mentale e una forma espressiva semplice e precisa che potrebbe servirsi delle due lingue »246. Di conseguenza, il Caffè, al contrario dell’Accademia della Crusca, non intende proporre un modello di lingua ma invece una riflessione riguardo alle caratteristiche che devono definire una lingua che sia adatta al suo compito di comunicazione e di portatrice di significato. In realtà, in questa prospettiva, non è possibile proporre un modello di lingua appunto perché, secondo i caffettisti, essa dovrà evolversi a seconda del contesto sociale, culturale e politico. Inoltre, secondo Gianni Francioni, « il Caffè è un caso esemplare della faticosa conquista della lingua italiana »247. In effetti quasi tutti gli autori del Caffè sapevano scrivere sia nel proprio dialetto, sia in italiano, che in latino e in francese ma scelgono proprio l’italiano per staccarsi dalla tradizione e per affermare la profonda consapevolezza del ruolo della lingua per la costruzione di un progetto comune nell’Italia del secondo Settecento quale la costruzione dell’opinione pubblica. In effetti, Mario Puppo afferma che l’antitoscanismo del Caffè è insieme un mezzo di affermare la propria indipendenza rispetto alla tradizione e un modo di proporre una visione dell’Italia spiritualmente e culturalmente unita.248 Il che è opportuno quando si intende costruire un’opinione pubblica che raduni un pubblico abbastanza largo. Per concludere il discorso sulla lingua, è opportuno ribadire con Sergio Romagnoli che la polemica della lingua nel Caffè « s’allarga a tutto il significato della cultura e al ruolo dell’intellettuale come tramite individuale e razionale del rapporto cultura e società »249.

In effetti si ritiene la lingua quale strumento educativo e proprio a ogni nazione, ora conviene stabilire come le arti veicolano la lingua e quale ruolo viene conferito loro nella costruzione dell’opinione pubblica.

3. Le arti

246 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », in Il Caffè, op. cit., p. XXIX. 247 G. Francioni, « Storia editoriale del Caffè », in Il Caffè, op. cit., p. CLXXIV. 248 M. Puppo, « L’illuminismo e le polemiche sulla lingua italiana », op. cit., p. 248. « L’antitoscanismo del Caffè è insieme una manifestazione di indipendenza verso la tradizione e l’indizio della volontà di superare le differenze regionali nella visione di un’Italia spiritualmente e culturalmente unita, libera dalle borie e dalle divisioni municipali. » 249 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », op. cit., p. XXII. 103

La riflessione sulle arti nel Caffè si iscrive nella continuità della riflessione linguistica per la preconizzazione di certe regole, quale la chiarezza, e per il suo ruolo civile. In effetti, Mario Fubini nota che nelle polemiche letteraria, morale e civile si osserva « la medesima aspirazione ad un’umanità più libera e, perché più libera, più intensamente viva, più energica, più degna »250. In questa prospettiva, si tratterà di capire quali elementi i caffettisti propongono per attuare questa aspirazione. La riflessione che si metterà in evidenza è valida per tutte le arti evocate nel periodico milanese. Benché non si tratti esplicitamente di tutte, esse procedono con lo stesso sfondo concettuale, di conseguenza ci limiteremo ad analizzare in dettaglio il ruolo della letteratura.

Lo stesso che dico della pittura dicasi della musica, dicasi della poesia, di tutte le arti in somma che hanno per mira di fare una dolce illusione ai sensi nostri, e di eccitarvi col mezzo della immaginazione un dolce turbamento.251

Questo brano illustra il fatto che le arti abbiano tutte gli stessi compiti : quello di raggiungere i sentimenti in modo piacevole e di provocare una riflessione tramite la fantasia. Infatti, il ruolo della cultura risiede proprio nell’istruire dilettando, secondo il principio oraziano molto vivo nel Settecento per esempio nei drammi per musica di Pietro Metastasio che mostrano con impeto la forza dei sentimenti.252 Il che ci permette di sottolineare che i caffettisti considerano la cultura come un mezzo di istruzione e di educazione.

Ivi s’insegna ai padri la beneficenza e l’esempio, ai figli il rispetto e l’amore, alle spose l’amor del marito e della famiglia, ai mariti la compiacenza e la condotta; ivi il vizio viene accompagnato sempre dalla più universale e possente nemica, cioè l’infelicità; ivi la virtù provata ne’ cimenti anche più rigidi riceve la ricompensa; […].253

250 M. Fubini, « Pietro Verri e il carteggio col fratello », op. cit., p. 136. 251 Il Caffè, op.cit., p. 51. 252 Ivi, p. 52. « La commedia è destinata a corregere i vizi dilettando […]. » e p. 546. « Se la coltura non ci rende amabili, non buoni, non dolci, non semplici, che sarà ella mai ? » 253 Ivi, p. 53. 104

Con questo brano, si può capire che si evidenzia la cultura come un mezzo di trasmissione di valori tramite i sentimenti, poiché sono proprio essi a far percepire l’idea di virtù o di vizio. In questa prospettiva, l’arte permette di conferire alla virtù e al vizio rispettivamente valori positivi e negativi per permettere l’emissione di un giudizio morale, ma anche un’identificazione. Su questa scia, viene fatto l’elogio di Carlo Goldoni e della sua arte che permette di svegliare i sentimenti. In effetti, Pietro Verri nell’articolo « La commedia » insiste sul fatto che il Goldoni non rispetti « nessuna regola », che gli spettatori « trovano piacere » alle sue commedie, sul suo « talento comico » e sul fatto che « non sa la lingua ». Questi elementi dimostrano l’importanza del rapporto che la letteratura intrattiene con il pubblico grazie al talento comico e alla subalternità delle regole linguistiche rispetto al contenuto. Si può dire con Raymond Abbrugiati che la lode del Goldoni tramite gli elementi della sua riforma può essere concepita come la lode dell’intento riformistico dei caffettisti e, così facendo, essi si innalzano allo stesso rango di Goldoni.254

Il nostro comico ha dovuto per gradi mostrarci la commedia, e molte ce ne ha mostrate, le quali, oso predirlo, si mireranno un giorno con gloria dell’Italia, come ora con diletto e istruzione.255

Inoltre, i caffettisti pongono l’accento sulla necessità di avvezzare il pubblico « per gradi » e sulla capacità delle arti a farlo, il che permette di riuscire a dilettare e a istruire proiettandosi verso il futuro dell’Italia, cioè pensando alla gloria che si potrà ricavare da questo modo di agire. Nella volontà di costruzione dell’opinione pubblica, quest’elemento è fondamentale perché permette ai lettori di diventare coscienti della possibilità di attuare cambiamenti senza sconvolgere interamente l’ordine stabilito ma permettendo di sperare in un futuro migliore. Inoltre, poiché il ruolo della cultura risiede nell’indirizzare il pubblico verso un certo futuro, bisogna individuare le caratteristiche che definiscono un’opera letteraria di qualità e stabilire ciò che permette di stendere un’opera letteraria di valore. In questa prospettiva, Alessandro Verri scrive che « le opere bisogna comporle con ardire e con passione, e ripassarle coll’intelletto »256, il che mostra la necessità di lasciare libera l’espressione dei sentimenti ma insieme di controllarli in un secondo momento con

254 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 30. 255 Ivi, p. 54. 256 Ivi, p. 545. 105 l’intelletto, e quindi con la ragione. In effetti, viene promosso l’ideale classico della proporzione, dell’equilibrio e dell’armonia : si ridà merito alle passioni senza tuttavia legittimare i loro eccessi.257 Inoltre, Pietro Verri specifica che la musica, ma si può comunque allargare la riflessione a tutte le arti, è universale ma deve adattarsi a ogni nazione per essere in grado di eccitare le passioni.258 Secondo Raymond Abbrugiati, questa teoria del relativismo sociologico rileva della lettura di Montesquieu e dimostra l’interesse dei caffettisti per le scienze sociali.259

Nelle commedie del signor Goldoni primieramente è posto per base un fondo di virtù vera, d’umanità, di benevolenza, d’amor del dovere, che riscalda gli animi di quella pura fiamma che si comunica per tutto ove trovi esca, e che distingue l’uomo che chiamasi d’onore dallo scioperato.260

Si può notare che la combinazione dei sentimenti e della ragione permette proprio ai lettori di « associare le idee di onesto e utile nelle menti umane »261. Tuttavia, vi è un solo caso in cui « il cuore », cioè la parte della mente umana non diretta dalla ragione, costituisce il solo giudice per le opere letterarie : quando si tratta di opere di sentimenti.262 Queste opere sono anche le uniche di cui il volgo possa proporre un giudizio valido appunto perché non hanno a che vedere colla ragione. Effettivamente nel discorso sulla letteratura, i lettori indossano un vero e proprio ruolo nella promozione delle opere letterarie.

Sia detto a gloria nostra, gl’Italiani hanno fatto per quest’illustre paesano quello che avrebbe potuto fare un monarca, e la sensibilità della nazione al merito

257 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 186. 258 Il Caffè, op. cit. p. 488. « Quasi tutte le nazioni del mondo hanno una sorta di musica, ma quasi nessuna delle nazioni del mondo trova diletto nella musica che gli è straniera. Da qui nasce un ragionevole sospetto che [...] questo diletto sia puramente fattizio e di convenzione, non mai intrinsecamente inerente alla natura della cosa stessa. Le nazioni tutte risguardano come musica quella alla quale sono state avvezze coll’educazione, e risguardano come un rumore barbaro quella detta musica altrove, a cui non abbiano con moltiplicate azioni addomesticato l’udito. » 259 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 177. 260 Ivi, p. 53. 261 Ibidem. 262 Ivi, p. 539. « Dei difetti della letteratura e di alcune loro cagioni » 106

ha offerto in tributo all’eccellente comico l’allegria, le lagrime e gli applausi de’ pieni teatri.263

Da questo brano si capisce che il ruolo del pubblico e degli italiani risiede nell’accogliere le novità e nella loro legittimazione o meno. Di conseguenza, quando un’opera o una riforma vengono legittimate dal pubblico, non solo l’autore ne viene onorato ma anche i lettori stessi. Questa riflessione è notevole perché dimostra al pubblico del Caffè il vantaggio che si può ricavare prestando fiducia a una proposta, il che è essenziale nella costruzione di un’opinione pubblica a vocazione riformistica. Inoltre, nel discorso sulle arti, Alessandro Verri ne approfitta per proporre una visione dinamica della storia culturale.

Nessuna nazione è divenuta eccellente da sé; come nessuno gran suonatore o musico o pittore può divenirlo senza aver cominciato dal profittare de’ progressi altrui. Dalla ben intesa, dalla non servile ma illuminata imitazione, quand’essa non venga proposta per fine ma per mezzo di perfezione, si passa a superare i modelli. Così i Greci cogli Egizi, i Romani co’ Greci, i Francesi con noi e co’ Spagnuoli fecero.264

Con questo brano, si capisce che per i caffettisti anche nella letteratura non si deve rimanere schiavi di una tradizione ma piuttosto partire da questa tradizione per arricchirla anche se questo presuppone di attingere a una cultura straniera. In questo modo, si diventa erede di una tradizione culturale che bisogna adattare alla propria realtà contemporanea per far sì che si diventi trasmettitore della propria tradizione. Si può notare che, ancora una volta, la riflessione sulla lingua e sulle arti si sviluppa negli stessi termini.

263 Ivi, p. 54. 264 Ivi, p. 543. 107

Voglia il buon genio d’Italia che ciò si possa, e che nasca qualcuno degno d’imparare l’arte onorata del Goldoni, e degno di sostenerne la gloria presso i figli nostri.265

In effetti, l’articolo « La commedia » si chiude incitando i lettori a trasmettere la propria tradizione appunto per conservare i progressi che sono stati compiuti per le generazioni future e per trasmettere una certa identità. Così facendo, viene conferito un ruolo attivo al lettore non solo al livello della legittimazione dell’opera ma anche riguardo alla storia. È importante notare che questa riflessione è prodotta nell’ambito delle arti ma è valida per tutto ciò che costituisce la società. Come nota Ricuperati, la letteratura costituisce un oggetto per la storia appunto trasformandosi « in storia della coscienza etica ed estetica e semmai civile di un popolo ».266 In questa prospettiva, si ribadisce il ruolo dei letterati.

I letterati sono o dovrebbero essere quella razza d’uomini destinati a far l’onore della nostra specie, ad istruirla, rischiararla, perfezionarla: né ad altro fine esser dovrebbero diretti i loro studi e le loro meditazioni.267

La lode dei letterati può anche essere considerata un elogio alla propria impresa di filosofi tramite il Caffè. Di conseguenza si può dire che la questione delle arti si iscrive nella volontà di costruzione dell’opinione pubblica proprio perché è attenta sia ai mezzi usati per raggiungere il fine oraziano dell’arte che a conferire al pubblico un ruolo di legittimazione, educazione e trasmissione al livello della storia. Il che dimostra l’importanza per gli italiani della letteratura per costruire un’identità collettiva che si manifesti anche nella costruzione di un’opinione pubblica.

Si sono appena analizzati diversi luoghi del sapere considerati problematici ed essenziali alla costruzione dell’opinione pubblica nel Caffè con un’attenzione particolare sia

265 Ivi, p. 55. 266 G. Ricuperati, « I giornali italiani del XVIII secolo : Studi e ipotesi di ricerca », in Studi storici, 2, 1984, p. 284. 267 ivi, p. 566. 108 al loro contenuto teorico e pratico sia al modo di proporli ai lettori. Si è visto come le istituzioni offrano un quadro legale e primordiale alla costruzione di un’opinione pubblica che così può penetrare campi pratici che a loro volta nutriscono e si nutriscono della cultura per far sì che l’opinione pubblica possa in un secondo momento attuare cambiamenti nella società influenzando il principe. Di conseguenza, ora sembra opportuno capire in modo concreto come e a quali elementi i caffettisti pongono l’attenzione per rendere possibile la costruzione dell’opinione pubblica nei vari luoghi del sapere appena evocati nella Milano degli anni Sessanta del Settecento. In questa prospettiva si analizzerà l’attenzione ad ambiti razionali nonché ai sensi, al corpo e come la scelta letteraria dei filosofi milanesi nella stesura del Caffè permette loro di far convergere questi due ambiti.

109

III. LE CONDIZIONI DI POSSIBILITÀ DI UN’AZIONE CONCRETA

110

A. Gli ambiti razionali

Ora conviene analizzare gli ambiti del « buon senso » che costituiscono il mezzo teorico e metodico della costruzione dell’opinione pubblica, vale a dire gli elementi fondamentali da inculcare ai lettori affinché l’opinione pubblica possa essere dinamica e giudicata da chi la esprime. In questa prospettiva, i caffettisti si inseriscono del tutto nell’Illuminismo settecentesco che concepisce la ragione non come un contenuto determinato di conoscenze, di principi, di verità, definita prima come la manifestazione della volontà di avvicinarsi il più possibile alla realtà del mondo, ma come un’energia, una forza che può esprimersi pienamente solo nell’azione e nei suoi effetti.268

1. Un uso pratico della ragione

Come si è visto prima, ogni argomento viene esposto dai caffettisti in modo da proporre una riflessione teorica ma anche e soprattutto in modo da offrire un uso pratico del contenuto teorico. Il che mette in evidenza la volontà di proporre al proprio pubblico un uso pratico della ragione per educarlo in senso etimologico. Per ragione pratica in senso kantiano, definita tuttavia soltanto nel 1785, si intende l’insieme delle facoltà mentali che dirigono le azioni in virtù della conoscenza di principi universali e categorici. Inoltre nel Settecento, molti filosofi tra cui i caffettisti sono convinti dell’universalità della ragione : poiché la ragione è propria agli uomini, ogni individuo ci trova gli stessi principi di conoscenza e di azione. Con l’espressione « principi di conoscenza e di azione », si intende una norma predefinita verso la quale viene indirizzata ogni azione o conoscenza, la conoscenza essendo la manifestazione dell’azione di imparare. In più, secondo Ernst Cassirer, non si tratta di cercare la ragione in quanto regola anteriore ai fenomeni ma bensì di dimostrarla nei legami interni ai fenomeni.269 Di conseguenza, la ragione può e deve regolare la conoscenza del mondo ma anche le azioni degli uomini. In effetti il procedimento dei caffettisti mira insieme a rendere il proprio pubblico atto a diventare attore tramite l’uso della ragione, ma anche a proporgli argomenti precisi per un uso pratico di essa nella vita privata e pubblica. L’ambito della medicina e della salute è notevole in questa prospettiva. Infatti i caffettisti propongono prima un articolo sulla medicina che risulta una riflessione sugli studi da intraprendere per diventare un buon

268 E. Cassirer, La philosophie des Lumières, Paris, Fayard, 1994, [1932], tradotto da P. Quillet, p. 48. 269 Ivi, p. 44. « Qu’on ne cherche donc pas l’ordre, la légalité, la « raison », comme une règle « antérieure » aux phénomènes, concevable et exprimable a priori : qu’on démontre la raison dans les phénomènes eux-mêmes comme la forme de leur liaison interne et de leur enchaînement immanent. » 111 medico270, poi un articolo per conservare una buona salute nel territorio milanese che fa seguito a vari articoli sul clima milanese271 e per finire uno sull’innesto del vaiolo272, tema caro all’illuminismo europeo anche se più tecnico che polemico. La questione della medicina è legata all’Illuminismo in quanto vengono promossi principi razionali per il suo uso e non più principi religiosi, trascendenti o legati alla superstizione. Inoltre il contenuto di questi tre articoli dimostra le caratteristiche dell’intento pedagogico dei caffettisti. In effetti vengono prima esposti, tramite i principi di formazione dei medici, i principi che devono regolare la medicina in generale quale scienza pratica. Poi si tratta di educare il proprio pubblico a principi ragionevoli di prevenzione sia in un determinato territorio che per una determinata malattia. Di conseguenza, si può dire che nel Caffè la ragione pratica viene promossa sia per definire e capire determinati campi del sapere, che per dimostrare e offrire la possibilità di un uso pratico determinato dalla ragione in questi campi. Inoltre l’argomento della medicina è rilevante nel Caffè appunto perché propone una riflessione relativa a scienze applicate al corpo, elemento intrinseco all’uomo, e perché permette di insistere sulla necessità di curare il proprio corpo.

Se l’amor della scienza vi porta alla medicina, riflettete al bel principio che la medicina altro non è che la fisica applicata al corpo umano, cioè a quella macchina la quale anche al dì d’oggi è molto imperfettamente conosciuta e non lo sarà forse mai in tutta la sua estensione.273

In questo brano, Pietro Verri insiste sulla natura della medicina come scienza applicata al corpo, il che indica che la medicina non è altro che principi della ragione applicati ad un campo pratico. Tuttavia il Verri sottolinea che la pratica della ragione non presuppone una conoscenza totale dell’oggetto. In effetti, anche se si può individuare una certa diffidenza nei confronti della Chiesa, il fatto che nel brano l’oggetto sia proprio il corpo umano e che l’autore affermi che esso non sarà probabilmente mai conosciuto nella sua interezza può indicare la consapevolezza che non è spiegabile interamente dalla fisica e dalle scienze naturali. Il che si capisce perché il corpo umano non è costituito da queste sole scienze ma anche da altri principi che sfuggono a determinazioni razionali e universali. Di conseguenza,

270 Il Caffè, op. cit., p. 200. « La medicina » 271 Ivi, p. 498. « Della maniera di conservare robusta e lungamente la sanità di chi vive nel clima milanese » 272 Ivi, p. 756. « Sull’innesto del vaiuolo » 273 Ivi, p. 201. 112 si può dire che importa il ragionamento che permette la pratica, in altre parole la ragione non può essere dissociata dalla pratica e viceversa.274 Quindi si può dire che è anche la possibilità di pratica a legittimare i principi stabiliti dalla ragione. Nel proponimento di costruzione dell’opinione pubblica, l’educazione alla ragione pratica è fondamentale sia come metodo di ragionamento che come strumento di azione. In questa prospettiva, Giuseppe Visconti afferma la necessità di adattare la pratica della ragione all’oggetto tenendo in mente la sua complessità costituitiva.

Le regole che sopra ho esposte sono generali e utili a tutti noi che viviamo nel clima milanese e in qualunque età, usandole in pratica con la sola restrizione del più al meno, giusta la differenza più o meno vigorosa della naturale fisica costituzione.275

In questo brano l’autore insiste sull’universalità dei principi della ragione ma anche sulla necessità di adattarli in termini di intensità al momento della loro applicazione pratica. Esporre queste riflessioni relativamente al corpo umano fa parte della strategia educativa dei caffettisti poiché il corpo risulta sperimentabile da tutti sia come oggetto e soggetto di conoscenza, che come elemento da preservare. Inoltre la necessità di adattamento ricorda la peculiarità di ogni individuo e, di conseguenza la necessità di adattare la propria pratica della ragione a seconda delle proprie peculiarità ma anche di quelle altrui. Questa riflessione, come si vedrà, è anche valida riguardo ai vari processi retorici usati nel Caffè. Il fatto di insistere su questi principi evidenzia la loro importanza nella strategia dei caffettisti per raggiungere il proprio pubblico ma soprattutto la necessità di educare il proprio pubblico riguardo all’importanza dei principi sia di universalità che di peculiarità che regolano la società intera.

La medicina che previene le malattie, ossia, per chiamarla col termine dell’arte, la medicina profilattica, [...], questa benefica medicina che non aspetta il male per risanarlo, ma invigila e anticipa perché non venga, è troppo generalmente negletta per disavventura dell’umanità.276

274 Ivi, p. 205. Si veda anche questa citazione rispetto all’anatomia. « La notomia sì, che dovete saperla; ma dovete sapere la notomia ragionata e comparata, non già la sterile nomenclatura delle ossa, dei muscoli, dei tendini e delle altre parti che formano il corpo dell’uomo. ». 275 Ivi, p. 524. 276 Ivi, p. 800. 113

Nell’articolo « Sull’innesto del vaiuolo » da cui è tratto questo brano, si può dire che l’esempio dell’innesto fa da pretesto per parlare della medicina ma anche della società stessa, anche se non si può trascurare il valore informativo relativo all’innesto stesso. In effetti, attraverso l’uso dell’innesto viene messo in evidenza il ruolo di prevenzione della ragione pratica sia al livello dell’individuo che a quello della società. Peraltro con l’Illuminismo, si ricerca la soddisfazione personale tramite la rimessa in discussione dei dogmi della tradizione, ma soprattutto attraverso la volontà di sperimentare nuove tecniche e modi di agire : i dispositivi sanitari come la lotta contro la malattia tramite l’innesto si iscrivono in questa prospettiva. Il che fa sì che la speranza di vita sia aumentata nel secondo Settecento nell’aristocrazia europea. Si può asserire che, per i caffettisti, i benefici dell’innesto per la salute umana rispecchiano quelli dell’educazione nei confronti della società. Di conseguenza, la ragione pratica deve essere inculcata agli uomini per educarli e per permettere loro di educarsi non solo per migliorare la società ma anche per prevenire eventuali malesseri o addirittura crisi nella società. Su questa scia si può dire che l’uso della ragione pratica è fondamentale all’obiettivo politico della costruzione di un’opinione pubblica in quanto costituisce l’elemento necessario a ogni riflessione valida e in quanto il suo uso è preventivo e educativo e mira a essere normativo.

Tuttavia l’uso individuale della ragione pratica nei confronti di un progetto collettivo, quale la costruzione di un’opinione pubblica, deve, per assumere un ruolo effettivo, essere in stretto legame con una possibilità e una capacità di giudicare la struttura sociopolitica, in quanto fa da legame tra le azioni individuali e le loro conseguenze nella vita in società. In questa prospettiva si tratterà ora di capire come la conoscenza delle strutture sociopolitiche concede agli individui di poter giudicare le proprie azioni a seconda delle loro conseguenze collettive e di giudicare le strutture sociopolitiche stesse.

2. Una struttura sociopolitica chiara

In primo luogo si è vista la volontà dei caffettisti di proporre una riflessione in merito alle istituzioni che mira a permettere una conoscenza di esse grazie a un processo di semplificazione, di chiarificazione e grazie a riflessioni intraprese correlativamente

114 all’educazione e a un nuovo uso della lingua. Il fatto che vari campi del sapere siano strettamente legati per sviluppare una riflessione più ampia sulle strutture sociopolitiche, indica la consapevolezza dei caffettisti della loro complementarità nella costruzione di un’opinione pubblica. Per strutture sociopolitiche si intende il complesso organizzato che non può ridursi alla somma delle proprie parti ma che è invece definito da relazioni di interdipendenza e di solidalità tra l’insieme degli elementi che lo costituiscono. Da queste relazioni derivano le funzioni di queste strutture, cioè funzioni di organizzazione della vita politica e sociale in seno a un’entità determinata. Qui per vita politica e sociale si intende l’organizzazione dei rapporti in seno a una collettività, qui gli abitanti del Ducato di Milano, e dei rapporti di questa collettività con lo Stato, nel nostro discorso il Ducato di Milano, sotto il dominio austriaco di Maria Teresa, despota illuminato. Con queste definizioni, si capiscono le poste in gioco di una vera e propria conoscenza delle strutture sociopolitiche per attuare un impegno civile da parte dei lettori. In effetti, risulta fondamentale conoscere i termini che regolano i rapporti tra gli individui in seno a una determinata collettività, nonché quelli che determinano i rapporti della collettività con lo Stato e dei singoli individui con esso. È ovvio che soltanto un individuo in grado di capire le strutture sociopolitiche, può compiere azioni considerando il loro probabile effetto in una dimensione collettiva. In effetti è proprio la dimensione collettiva che i caffettisti intendono promuovere sia per le azioni del principe che per quelle dei singoli individui.277 Nell’obiettivo di rendere effettivo il ruolo del singolo individuo nell’ambito collettivo, i caffettisti intendono educare l’uomo ai rapporti umani in società e a capire le istituzioni e i sistemi che regolano questi rapporti. È proprio in questa prospettiva che lungo tutto il periodico vengono lodati l’amicizia e lo « spirito di società ». Tuttavia i caffettisti non si limitano a ciò e propongono ai lettori brevi articoli che sono quasi aforismi su alcune caratteristiche degli uomini quale l’ambizione, la disattenzione o ancora l’ingratitudine.278 Però anche se queste riflessioni sono rilevanti per permettere agli uomini di capire le loro qualità, non concedono loro di capire i rapporti tra loro e le istituzioni che rappresentano le strutture sociopolitiche. Appunto in questa prospettiva è interessante ricordare la concezione della libertà nel Caffè.

277 Ivi, p. 113. « Io straniero, se per avventura v’è alcuna cosa utile, altro interesse non vi posso avere che per l’amor solo di tutti gli uomini » e p. 122. « I politici del secolo addietro avevano più in mira il presentaneo utile del principe che ’l suo vero interesse, che non va mai disgiunto dalla felicità de’ popoli. » 278 Ivi, p. 200., p. 143. e p. 153. Si vedano rispettivamente i tre aforismi. 115

Nel che però si guardi il legislatore di ristringer la libertà delle azioni se non quando lo esigga la necessità. Perché nulla di non necessario vi dev’esser nelle leggi.279

Come si è visto prima per la libertà politica e la libertà di espressione, questo brano mostra in che modo anche la libertà di azione viene limitata. In effetti sono proprio le leggi a limitarla ; tuttavia Alessandro Verri indica che la libertà di azione, al contrario di quella di fare fedecommessi o sostituzioni nelle eredità, non deve essere limitata se non in casi particolari determinati dalla necessità.280 Il Verri non specifica di quale necessità si tratta ma si può supporre che si tratti di azioni che violano la dignità altrui o che vanno incontro al bene comune.281 Di conseguenza poiché le leggi limitano la libertà, si può dire che lo spazio di libertà deriva dalle leggi.282 Questa limitazione sembra comportare un valore morale, in quanto sembra avvenire quando l’azione provoca un danno alla società, direttamente, o indirettamente quando è una persona a esserne vittima. In questa prospettiva per poter esercitare la propria libertà, bisogna conoscere le leggi. La forza del progetto dei caffettisti risiede proprio nell’impostare le basi necessarie promuovendo un sistema legislativo più semplice e più chiaro in modo che il maggior numero possa conoscerlo e quindi esercitare la propria libertà in modo avveduto. In effetti, tutti i principi analizzati precedentemente riguardo al sistema legislativo e giudiziario hanno proprio il fine di permettere ai cittadini di conoscere le leggi e le strutture sociopolitiche, il che permette loro di conoscere le proprie libertà, i propri diritti e doveri, derivati dalle leggi. Tuttavia, sembra opportuno sottolineare che l’educazione dei cittadini deve anche riguardare il sistema legislativo e giudiziario, appunto perché, anche se esso viene semplificato, bisogna dimostrare la sua importanza ai

279 Ivi, p. 599. 280 Ibidem. « Così, per esempio, le sostituzioni ed i fedecommessi, che constituiscono sì vasta materia di giurisprudenza e soggetto d’infinite liti e complicati rapporti, dovranno essere o molto limitati o forse affatto esclusi, perché una funesta esperienza ha insegnato che non è possibile, data questa licenza, di andare incontro colle leggi agl’inconvenienti che produce: o leggi innumerevoli vi vorrebbero perciò, e né tampoco esse basterebbono. E se pare ingiusto il circonscrivere questa libertà, egli è più ingiusto il lasciarla, come quella che necessariamente rende incerti molti patrimoni. » 281 Ibidem. « Così non in tutte le guise che a ciascun piace ha da esser permesso di usar delle cose, ma in quelle maniere soltanto che al bene universale non si oppongono. » 282 Ivi, p. 352. 353. Si veda qui in chiave ironica come il rispetto di una libertà concessa dal fatto che nessuna legge la impedisca viene riaffermato nella messa in scena di una lettera di lettore. « Sappiate dunque che per quella ragione per cui non m’impaccio nelle cose d’altri, per la medesima nemmeno soffro che altri s’impacci delle cose mie; e siccome ho inteso raccontare che voi nel vostro foglietto andate spargendo delle massime contrarie alla libertà d’essere ignorante, e cercate di fare che gli altri ridano di noi, e vorreste pure acquistarvi una indebita superiorità a spese nostre; così sono costretto a fare la generosità d’uno scudo al detto signor dottore che scrive le mie buone ragioni che ho da dirvi, acciocché voi altri scrittori del Caffè facciate una volta giudizio, e stando ne’ limiti della ragione, lasciate vivere in pace il genere umano come torna comodo a ciascuno. » 116 cittadini, affinché ne capiscano l’interesse e il carettere fondamentale e, in un secondo momento, decidano di interessarsi al suo contenuto. Di conseguenza, le poste in gioco della conoscenza delle leggi, ma anche di ogni luogo del sapere, sono doppie : bisogna insieme educare il cittadino all’importanza di ogni luogo del sapere affinché nasca la volontà di interessarsene, e semplificare la codificazione del sistema legislativo e giudiziario affinché non venga riservato ai soli specialisti, ma piuttosto reso accessibile al maggior numero di persone. Inoltre se si conoscono le proprie libertà, si possono considerare le proprie azioni in base a esse facendo uso della ragione per giudicare la loro opportunità e decidere di attuarle. In questo modo si permette a ogni individuo di prendersi la responsabilità delle proprie azioni, il che gli conferisce la responsabilità dei suoi atti nonché la possibilità di agire in modo responsabile. Di conseguenza, si può dire che la conoscenza delle leggi è una condizione necessaria per rendere il cittadino responsabile dei propri atti. Il ragionamento fatto precedentemente rispetto alla conoscenza delle leggi è ancora più valido per quanto riguarda le strutture sociopolitiche. In effetti, soltanto un cittadino che conosca il funzionamento delle strutture sociopolitiche può agire in quanto essere responsabile in seno alla società facendo uso delle facoltà di ragionare e di giudicare. Su questa scia se il cittadino è in grado di agire in modo responsabile all’interno della società in base alla conoscenza del suo funzionamento, esso diventa anche capace, grazie all’educazione allo spirito critico, di giudicare le strutture sociopolitiche e il loro funzionamento. Di conseguenza, esso diventa capace di giudicare eventuali proposte di riforme di queste strutture ma anche in grado di formulare da sé queste proposte. Si può quindi concepire questo cittadino attore della propria società in quanto può agire in modo responsabile e anche in quanto può costituire una fonte di rimessa in discussione delle strutture sociopolitiche e perché no di un loro miglioramento. Questa consapevolezza da parte dei caffettisti e le riflessioni proposte per giungere a condizioni che permettano al cittadino di agire in modo responsabile sono fondamentali per costruire un’opinione pubblica. In effetti consentono un effetto sia sull’opinione pubblica che sul pubblico : così facendo l’opinione pubblica che si costruisce può essere precedentemente discussa e il pubblico risulta il suo promotore, e non più il bersaglio. Di conseguenza, l’opinione pubblica può essere in permanenza rianimata in modo dinamico da chi la esprime.

117

Tuttavia sembra che la possibilità di responsabilità che deriva dalla conoscenza delle strutture sociopolitiche non basti a determinare la validità di ogni azione, di conseguenza i caffettisti propongono una riflessione sulla morale che legittima le azioni affinché ogni azione sia giudicata a monte dalla ragione e con una responsabilità guidata dalla morale.

3. La morale

Non a caso una trentina di articoli del Caffè sono dedicati a problemi di morale sociale e una rubrica intera intitolata « Di morale » viene dedicata a questioni di morale.283 In effetti i caffettisti sono, alla pari di Rousseau284 e come Kant285 qualche decennio dopo, coscienti della necessità di legare la libertà alla morale e di legare la morale a una dimensione universale appunto perché considerano la morale riguardo al suo beneficio nelle relazioni e nelle azioni degli uomini in seno alla società. In questa prospettiva, Alessandro Verri ribadisce che la morale è affare di tutti286 e, in una logica pedagogica, esorta i filosofi (e di conseguenza legittima il lavoro stesso dei caffettisti) a definire i principi generali e le varie applicazioni della morale.287 Inoltre li sollecita a persuadere i padri della rilevanza della morale per la felicità affinché a loro volta la moglie e i figli si modellino sulla morale del padre.288 La felicità sembra essere il maggior stato di benessere condiviso dai più e sembra risultare uno degli scopi della morale dei caffettisti in quanto rispecchierebbe uno stato d’animo positivo comune a tutti e favorevole alla crescita personale, la quale aumenterà a sua volta lo stato di felicità dei più. Di conseguenza si può considerare la morale sia come una via di accesso alla felicità che come il punto verso il quale devono convergere tutte le azioni degli uomini nonché le riflessioni e le proposte dei caffettisi per attuare la costruzione di un’opinione pubblica positiva nella Milano del secondo Settecento.

283 N. Jonard, « Morale et société dans le « Caffè » de Milan », op. cit., p. 93. 284 J.J. Rousseau, Du contrat social, op. cit., p. 57. « On pourrait sur ce qui précède ajouter à l’acquis de l’état civil la liberté morale, qui seule rend l’homme vraiment maître de lui ; car l’impulsion du seul appétit est esclavage, et l’obéissance à la loi qu’on s’est prescrite est liberté. » 285 I. Kant, Fondements de la métaphysique des mœurs, Paris, Delagrave, 2000, [1785], p. 103. « Puisque j'ai dépossédé la volonté de toutes les impulsions qui pourraient être suscitées en elle par l'idée des résultats dus à l’observation de quelque loi, il ne reste plus que la conformité universelle des actions à la loi en général, qui doit seule lui servir de principe ; en d'autres termes, je dois toujours me conduire de telle sorte que je puisse aussi vouloir que ma maxime devienne une loi universelle. » 286 Il Caffè, op. cit., p. 690. « La morale è fatta per tutti gli uomini. » 287 Ibidem. « Non tanto fa di bene in questo genere chi ne fissa i principi generali quanto chi sviluppa ne’ casi particolari l’applicazione. » 288 Ibidem. 118

In questa prospettiva, i caffettisti intendono chiarificare i principi universali che devono contribuire alla definizione della morale. Pietro Secchi comincia coll’enunciare i principi che fino a ora hanno determinato la morale ma che, secondo lui, non permettono di giungere alla moralità. I flagelli esposti sono gli stessi di ogni altra denuncia intrapresa dai caffettisti. In effetti, l’autore denuncia chi vede in ogni testo antico principi di moralità, poi si schiera contro chi vede nella moralità l’interesse proprio fine a se stesso e non compreso nell’interesse collettivo e poi fustiga chi approfitta dell’ignoranza altrui per suscitare un timore che fa sì che si accetti qualsiasi « costume e opinione ».289 Qui il termine « opinione » va capito in tutta la negatività che gli conferiscono i caffettisti quando non è ragionata. Inoltre per esprimere con chiarezza la propria concezione della morale, il Secchi, pur scrivendo per aggirare la censura ecclesiastica che il suo proposito non vale per « la vera religione e il nostro Divino Legislatore », afferma sia l’inconsistenza di qualsiasi religione nei confronti della morale che l’accessibilità di ogni principio che definisce la morale.290 Norbert Jonard nota che alla pari di Locke291, la morale del Caffè è una scienza pratica che permette di determinare le condizioni della felicità e i mezzi di raggiungerla nella vita terrena.292 In questa prospettiva viene enunciato un modo di giudicare della moralità di un’azione :

Dal fin qui detto si potrebbe dunque conchiudere quanto sia necessario, anzi indispensabile per chi cerchi di buona fede il vero, prima di determinarsi e decidere sugli oggetti sottoposti alla ragione, d’adoperar la ragione istessa, e colla maggiore imparzialità esaminarli e metterli al più rigoroso sindicato.293

289 Ivi, p. 465. 466. « Procede ella dunque, a moi dire, primieramente dai pregiudizi di alcuni pochi, che senz’esame, perché non troppo avezzi a servirsi della lor testa, credono veramente e di buona fede utile ciò che sia antico [...]. Secondariamente dalla mala fede e dal mal talento di quelli che o trovano il proprio interesse nei disordini [...]. In terzo luogo dal pannico timore che, spargono nel pubblico alcuni falsi e poco illuminati zelatori, per quella indiretta connessione ed influenza che possono talvolta avere alcuni politici provvedimenti sui costumi e sulle opinioni degli uomini, ma sopra tutto su i privilegi e su gl’interessi il più delle volte mal intesi di qualche corpo. » 290 Ivi, p. 467. « Un’altra non meno considerabile e non meno universale contraddizione, e, che [...], pare che più di tutte tenga alla natura stessa dell’uomo, io scorgo in vederlo quanto proclive ed inclinato a rigettare, ed a sprezzare tutto ciò che sia semplice, naturale ed evidente, altrettanto poi facile e disposto a credere, addottare e sostenere le cose le più inverosimili ed assurde, purché sieno o involte da una sempre dal volgo rispettata oscurità, o corredate dallo straordinario, dal portentoso e dal mistero; [...]. » 291 J. Locke, Essai sur l’entendement humain, Paris, J. Vrin, 2006, [1690]. « Le monde que je nomme Pratique, enseigne les moyens de bien pratiquer nos propres puissances et actions, pour obtenir des choses bonnes et utiles. Ce qu’il y a de plus considérable sous ce chef, c’est la Morale, qui consiste à découvrir les règles et les mesures des actions humaines qui conduisent au bonheur, et les moyens de mettre ces règles en pratique. Cette seconde science se propose pour fin, non la simple spéculation et la connaissance de la vérité, mais ce qui est juste, et une conduite qui y soit conforme ». Citato da N. Jonard in « Bonheur public et bonheur privé dans le « Caffè » de Milan », in Studi settecenteschi, op. cit., p. 110. 292 N. Jonard, « Bonheur public et bonheur privé dans le « Caffè » de Milan», op. cit., p. 110. 293 Il Caffè, op. cit., p. 471. 119

Con questo brano si vede che l’espressione « il vero » viene usata per definire la morale dei caffettisti. Tuttavia il vero non è da intendere in quanto principio trascendente appunto perché il Secchi espone un procedimento che permette di giungere al vero e quindi alla moralità. In effetti, la ragione viene promossa quale strumento indispensabile in questo procedimento per esaminare l’eventuale moralità. In questa prospettiva, vengono definiti dal Secchi sia gli elementi che consentono agli uomini di procedere a quest’esame che i diversi elementi da esaminare. In effetti, il Secchi mette in evidenza il fatto che « una profonda cognizione delle passioni e de’ costumi, delle opinioni e della costituzione d’una nazione, de’ diversi suoi rapporti, circostanze ec. »294 sia necessaria affinché la ragione procedi a tal esame. Con questa dichiarazione, l’autore evidenzia il fatto che anche le passioni hanno un ruolo nella determinazione della moralità. Quanto agli elementi da esaminare il Secchi determina sia « la convenienza, utilità, riuscita e conseguenza »295 dell’azione che « il ben pubblico » e, per quanto riguarda il principe, « la felicità de’ sudditi »296 che derivano dall’azione. È opportuno notare che questi criteri si riferiscono a nozioni universali e pratiche. Inoltre è da segnalare che le espressioni « utilità », « ben pubblico » e « felicità » sono usate in modo ricorrente nel Caffè, il che come afferma Raymond Abbrugiati, dimostra che è proprio « il principio utilitaristico associato al progetto di formazione e di conquista di un’opinione pubblica allargata a conferire indiscutibilmente un significato nuovo al pensiero e all’azione politica nel Settecento »297. In effetti permette di spostare l’attenzione dai governatori ai sudditi in quanto si prende in considerazione non solo lo Stato ma tutta la comunità. Inoltre Norbert Jonard afferma che la ricerca della felicità nel Caffè presuppone una profonda trasformazione delle morali indipendenti, il che è notevole nella costruzione di un’opinione pubblica perché permette una trasformazione profonda di ogni individuo in seno alla società.298 Su questa scia, sembra che si possa dire che la morale del Caffè ha un ruolo politico in quanto permette di regolare le azioni in seno alla società. In effetti, se ogni riflessione o azione verrà considerata nella sua moralità prima di attuarla, i rapporti degli uomini si svolgeranno in modo da permettere una convivenza migliore, e così facendo la politica in

294 Ivi, p. 466. 295 Ibidem. 296 Ivi, p. 467. 297 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 65. 298 N. Jonard, « Morale et société dans le « Caffè » de Milan », op. cit., p. 94. « Cette recherche obstinée du bonheur ne saurait se comprendre sans la transformation des morales indépendantes qui faisaient toutes plus ou moins crédit à la nature humaine. » 120 quanto organizzazione della vita in società riuscirà più armoniosa. Di conseguenza conviene che ne facciano uso sia i singoli cittadini che i principi nelle loro decisioni e azioni. In effetti, secondo Norbert Jonard « montrer à chacun là où réside son véritable intérêt, telle est la tâche du philosophe pour la morale, devient le fondement même de la politique, car elle est inséparable de la pratique sociale. »299. Inoltre, poiché, come si è visto, l’interesse particolare è contenuto nell’interesse collettivo nel Caffè, è necessario educare i cittadini a questo principio affinché lo tengano in mente quando giudicano della moralità. Inoltre nell’articolo « Anecdoto chinese » lo stesso Secchi approva la decisione del Vice Re Con-fut-ze di aver annullato il testamento del Re Chiung-y che aveva lasciato in eredità la sua fortuna alle famiglie povere della sua città perché prevedeva « dopo maturo esame », « pessime conseguenze »300 per la società di una tale disposizione. Di conseguenza si può dire che la morale del Caffè deve essere il criterio di decisione usato da tutti e per tutte le decisioni e azioni politiche. Tuttavia come si è intravisto, secondo i caffettisti, le passioni hanno anch’esse a che fare con la morale. In effetti, poiché una società senza passioni non esiste e poiché la morale ha un ruolo sociale, si deve tener conto delle passioni nello stabilimento della moralità.301 In effetti, Alessandro Verri scrive :

Perciò io credo che il mezzo più atto a comunicar le idee morali all’universale degli uomini, sia la strada del sentimento.302

Da questo brano si capisce la necessità dei caffettisti di raggiungere i sentimenti degli uomini per attuare il buon uso della morale nella società. In questa prospettiva, il Verri mette in evidenza come ci si può appoggiare ai sentimenti per rendere gli uomini virtuosi, cioè capaci di dirigere le loro passioni verso il bene.303 Inoltre il Verri intende dimostrare come la virtù e la comprensione del « vero interesse », inteso come interesse personale che non

299 N. Jonard, Milan au siècle des Lumières, op. cit., p. 78. 300 Il Caffè, op. cit., p. 334. 301 Ivi, p. 469. « Sovvengavi sopra tutto che una società d’uomini senza passioni, un aggregato di uomini perfettamente saggi e virtuosi è una vera chimera che bisogne cercare fuori di qua. » 302 Ivi, p. 687. 688. 303 Ivi, p. 689. Si veda per esempio : « Sul sentimento di compassione […], voi fabbricate la beneficenza, l’umanità, l’amor della giustizia e tutte le più sociali e sublimi virtù […] ». 121 intralcia l’interesse collettivo e come motore di azione, porti alla felicità, leimotiv del Settecento.304

Insomma si può dire che nel Caffè c’è una « morale delle passioni »305 in cui tuttavia come per Locke e Rousseau306 la ragione conserva ogni diritto. Di conseguenza i principi che definiscono ogni scelta, riflessione e azione rilevano dell’ambito razionale ; tuttavia i caffettisti sono consapevoli dell’importanza delle passioni e dei sentimenti per insegnare la morale. Di fatto vari articoli sono dedicati alla comprensione della loro influenza sugli uomini, le loro scelte e alla proposizione di una loro considerazione e un loro uso nella costruzione di un’opinione pubblica.

B. Passioni e sentimenti

1. Le passioni e gli errori

Conviene ora tentare una definizione delle passioni e degli errori e capire nonché esaminare il legame che i caffettisti pongono fra di essi e anche la loro utilità nella costruzione di un’opinione pubblica. Con « passione », Cesare Beccaria intende « un’impressione forte e costante della sensibilità tutta rivolta ad un medesimo oggetto; essa modifica e trasforma dentro di sé tutte le altre passioni minori che ne accrescono la forza »307, cioè un sentimento che agisce sull’animo e a cui esso soggiace. Per definire l’« errore », sembra opportuno riferirsi a una definizione delle cause degli errori proposta da Pietro Verri nell’articolo « Alcuni pensieri sull’origine degli errori ».

304 Ivi, p. 692. « Di fatti, prendetemi generalmente in ogni classe di persone l’uomo felice, e vi trovate sempre che è l’uomo che si è ben sviluppati i principii del suo vero interesse e che ha tutte le virtù proprie di quel posto ch’egli occupa nella società. » 305 N. Jonard, « Morale et société dans le « Caffè » de Milan», op. cit., p. 101. 306 J.J. Rousseau, Julie ou la Nouvelle Héloïse, Paris, Garnier, 1988, [1761], p. 349. « […] la raison n’a d’autre fin que ce qui est bien ; ses règles sont sûres, claires, faciles dans la conduite de la vie ; et jamais elle ne s’égare dans d’inutiles spéculations qui ne sont pas faites pour elle. » 307 Il Caffè, op. cit., p. 283. 122

Tre sono le principali sorgenti de’ nostri errori: l’ignoranza della connessione d’un fenomeno cogli altri, gli stretti limiti della nostra sensibilità e l’imparagonabilità dell’estensione coll’intensione delle sensazioni nostre.308

Da questo brano si capisce che gli errori risultano da una mancanza di conoscenza da parte dell’intelletto ma anche dai limiti della sensibilità e più in particolare dal fatto che la sensibilità a volte è manipolata da sensazioni. Con la seconda causa, l’autore mette in evidenza il ruolo delle sensazioni nella percezione del vero e più particolarmente il fatto che la sensibilità debba essere regolata in intensità per un buon uso delle sensazioni. In effetti si può dire che una sensibilità troppo accentuata si ritrovi in preda alle passioni come fine e, di conseguenza, giunga all’errore e non alla verità. Quanto alla terza causa proposta, il Verri intende indicare che quando si prova a far coincidere l’intensione con l’estensione, cioè la comprensione dell’individualità a ogni momento della propria vita con il tentativo di raggruppare un insieme di individui sotto lo stesso concetto, non si può raggiungere nessuna forma di conoscenza né avvicinarsi alla verità. In effetti, l’autore sottolinea che anche se l’apparenza simile degli uomini e dello stesso individuo lungo la propria vita tende a fare sì che li si considerino allo stesso modo, bisogna tener conto e riaffermare in permanenza il principio di individualità.309 Di conseguenza, sembra che si possa dire che le passioni possono condurre all’errore e che la negatività sia delle passioni che degli errori è in legame con la mancanza di educazione e di conoscenza. Tuttavia, sembra anche che entrambi possano comportare una certa utilità anche se in modo diverso : l’utilità delle passioni sarebbe legata alla loro stimolazione sull’animo mentre quella dell’errore sembra risiedere nel tentativo conoscitivo. Insomma l’analisi delle cause degli errori permette di capire meglio qual è il ruolo dell’errore e delle passioni in quanto permettono di giungere a una forma di giudizio, anche se nel caso del precedente esempio si tratta di un giudizio erroneo. In effetti, si capisce che le passioni e l’intelletto si presentano come due elementi fondamentali per accedere alla conoscenza in quanto l’intelletto deve regolare le passioni che gli giungono tramite la sensibilità. Tuttavia questo procedimento non basta se l’intelletto non ha una conoscenza completa dell’oggetto, il che non è sempre possibile, e se non si possiede una consapevolezza e una conoscenza del principio di individualità appena evocato. La comprensione di questo

308 Ivi, p. 537. 309 Ibidem. « L’uomo è paragonabile ad un fiume diverso ad ogni istante, sebben conservi l’istesso aspetto. » 123 funzionamento è fondamentale nella costruzione dell’opinione pubblica per vari aspetti. Infatti siccome si richiede ai lettori di esporre la propria opinione, i caffettisti propongono loro una riflessione sui meccanismi che permettono di farlo e insieme studiano i rapporti dei vari elementi legati alla ragione, tramite l’intelletto, e legati alle passioni. Questa concezione è propria dell’Illuminismo e più particolarmente della tradizione inglese di Locke e Hume, che hanno influenzato Condillac, e si schiera contro la tradizione platonica per la quale le passioni sono considerate soltanto in modo negativo. In effetti, per i caffettisti, le passioni hanno un ruolo nel processo di conoscenza : rappresentano una forza che spinge l’animo a considerare le idee che vengono manifestate dai sentimenti e che vengono in un secondo momento sottoposte all’esame di principi razionali quali la moralità, la praticabilità e l’efficacia. Inoltre si è visto come le passioni possano condurre all’errore ma Alessandro Verri considera anche che le passioni derivano dall’errore.

Vantiamo tanto la ragione, e dobbiamo le più grandi cose all’errore. L’entusiasmo, le passioni sublimi sono per lo più figlie di lui, e con queste si fanno le imprese grandi.310

In questo brano l’autore indica che l’errore può essere più benefico della ragione. La rilevanza dell’errore è dovuta al fatto che esso genera « passioni sublimi » quali l’entusiasmo. Questa espressione sembra definire le passioni dirette a un fine morale, secondo la definizione della morale esposta prima nel nostro proposito, e non quelle a cui gli uomini si abbandonano. In effetti, queste passioni spingono gli uomini alla comprensione delle proprie emozioni ma anche alla loro analisi e all’analisi delle emozioni degli altri. Il Verri giustifica queste affermazioni guardando alla Storia e a situazioni pratiche.

Togliete agli antichi Romani la persuasione che dovessero conquistare il mondo, non sarebbero esciti dai confini del Lazio. [...] Quando mi si dimostrerà che le nazioni non hanno bisogno di certe grandi passioni per esser grandi e felici; quando mi si dimostrerà che in una vasta società d’uomini si possa eccitare l’entusiasmo colla sola ragione e senza opinioni; quando mi si dimostrerà che le

310 Ivi, p. 653. 124

sublimi passioni sono ragionamenti, allora dirò che la ragione fa delle grandi cose.311

In effetti l’importanza delle passioni è giustificata dal coraggio e dall’entusiasmo che esse suscitano in condizioni in cui la sola ragione non basterebbe a destare un fervore così notevole. Inoltre, con l’esempio dei Romani, l’autore dimostra l’utilità delle passioni nella Storia perché hanno permesso una conoscenza più ampia della penisola italiana e dei territori ai suoi confini, il che dimostra la loro rilevanza nello spingere gli uomini a conoscere sempre meglio l’ambiente in cui sono e a respingere i limiti di quello che non conoscono. Le « grandi passioni » sono lodate anche per il loro contributo alla felicità e alla grandezza delle nazioni, il che è notevole nella volontà di costruzione di un’opinione pubblica perché spinge i lettori a prendere in considerazione le proprie passioni e quelle altrui per la vita in società. Su questa scia, si può anche dire che le grandi passioni, come Helvétius312 ha teorizzato, sono le uniche a poter generare « uomini grandi », appunto perché sono le uniche a infrangere i limiti posti originariamente dalla ragione alla vista di un potenziale pericolo e perché, in queste condizioni, indicano agli uomini il meglio da fare e da dire.313 Inoltre sembra opportuno sottolineare che il termine « opinioni » qui è da interpretare nel senso di « errore » e che il loro ruolo è effettivo non soltanto in imprese collettive ma anche in imprese individuali e in campi del sapere specifici e scientifici.314 Il che ci permette di mettere in evidenza il fatto che la riflessione sulle passioni e gli errori è esposta in relazione ai ragionamenti, cioè nella loro complementarità e non nella loro subalternità alla ragione. In questa prospettiva, Alessandro Verri ribadisce che conviene concepire le passioni alla pari dei principi razionali durante l’educazione dei giovani. In questo modo si permette loro di considerare questi due elementi nei loro rapporti reciproci fin dall’infanzia. Questa

311 Ivi, p. 654. 312 C.-A. Helvétius, De l’esprit, op. cit., III , 6, p. 264. « J’ai fait voir que c’est aux passions que nous devons sur la terre presque tous les objets de notre admiration ; qu’elles nous font braver les dangers, la douleur, la mort, et nous portent aux résolutions les plus hardies. Je vais prouver maintenant que, dans les occasions délicates, ce sont elle seules qui, volant au secours des grands hommes, peuvent leur inspirer ce qu’il y a de mieux à dire et à faire. » 313 N. Jonard, « Un aspect du « préromantisme » italien : sentiment et raison dans le Caffè de Milan », in Revue de littérature comparée, Paris, Champion, 1968, n° 42, p. 486. « Helvétius , dans De l’esprit, se propose de faire sentir toute la supériorité de l’homme passionné sur les autres hommes, et montrer qu’il n’y a réellement que les grandes passions qui puissent enfanter les grands hommes. » 314 Il Caffè, op. cit., p. 695. 696. « Fralle opinioni delle menti umane alcune ve ne sono le quali per la utilissima loro azione e per la vanità egualmente de’ loro oggetti meritano il nome di benemeriti errori e di famosissime chimere. [...] Queste chimere hanno mirabilmente contribuito ai progressi della fisica, delle matematiche e della grand’arte de’ legislatori, poiché scavando in queste miniere per ricercarvi quello che non v’è, si sono incontrate per via casualmente vene e strati non preveduti e utilissimi. » 125 volontà viene esplicitata in vari articoli sull’educazione fra cui un articolo dello stesso autore intitolato « Pensieri scritti da un buon uomo per instruzione di un giovine », in cui considerano le passioni e i sentimenti, quando non spinti all’estremo, necessari all’educazione dei giovani perché li rendono prudenti nella relazione con gli altri, conferiscono sincerità agli uomini e insieme li proteggono al momento dell’entrata in società (momento come si è visto, durante il quale c’è maggior rischio di corrompersi) quando vengono accompagnati dalla ragione.315 Il che farà sì che essi potranno diventare cittadini avveduti quanto ai loro meccanismi conoscitivi e di azione e, di conseguenza, potranno proteggersi dalle cattive passioni e sfruttare meglio quelle buone.316 Su questa scia, Norbert Jonard afferma che, nel Caffè, « le dynamisme des passions ne débouche pas sur le dérèglement de la vie morale mais, au contraire, sur l’enthousiasme vertueux. »317, il che ci permette di sottolineare che le passioni devono essere rianimate in modo costante affinché si adattino il meglio possibile alle situazioni.

Fino ad ora si è dimostrato il ruolo delle passioni nella determinazione dell’azione e della riflessione e come fonte di conoscenza, tuttavia non si è evocata l’origine di queste passioni.

2. I sensi corporali e le sensazioni

Il Caffè si iscrive nell’Illuminismo anche per quanto riguarda la sua concezione del ruolo dei sensi corporali. In effetti, in vari articoli, si trova un’attenzione concreta ai sensi corporali, tra i quali l’odorato e l’udito, e al loro ruolo nella percezione delle passioni e delle sensazioni. In questa prospettiva, per raggiungere un pubblico più ampio, i caffettisti intendono, mentre espongono il loro principio, dimostrarne l’universalità.

315 Ivi, p. 192. 193. « Tu, o mio giovine, or meco considera che la soggezione non fa che male [...]. Ardisco anzi dire ch’[...] è un sintoma del merito. Quella tua estrema modestia e cautela ben fa vedere che hai l’anima sensibile e che desideri di essere stimato e che temi il ridicolo. [...] Dissiperassi nello spazio di qualche mese quel magico incanto di tanti nuovi oggetti onde sei abbagliato, ed apprezzando gli uomini e le cose per quello che vagliono, stupirai di ritrovarle molto al dissotto di quel valore che la novità accresce a tutte le cose. » 316 Ivi, p. 194. « La libertà, la follia, la sincerità grande e naturale sono sintomi di un’anima sensibile e vera, e da queste qualità ben impiegate possonsi avere grandi profitti. » 317 N. Jonard, « Morale et société dans le « Caffè » de Milan », in Studi settecentschi, op. cit., p. 103. 126

Tutti gli uomini, dopoché cessarono di contrastare co’ bisogni della vita e superarono gli ostacoli che la selvaggia natura opponeva ai loro piaceri, si diedero a coltivare il loro corpo e a trasformarlo in qualche guisa, cercarono di multiplicare le sensazioni aggradevoli e di dare una novella vita ai loro sensi.318

Con questo brano, si capisce che i sensi e le sensazioni, tramite il corpo, accompagnano il piacere nel procedimento di educazione. Il piacere è visto come uno stato gradevole e innocente319 che conduce alla felicità, stato d’animo necessario per il bene comune, e come una qualità che permette di giudicare la grandezza di una nazione.320 I piaceri sono talmente importanti nella riflessione del Caffè che sono addirittura posti allo stesso livello dell’istruzione e dei bisogni fisici.321 Quando l’autore espone la sua riflessione sul piacere, alla pari di Pietro Verri per la musica, dimostra la volontà di incentrare immediatamente la riflessione sui sensi e su ciò che provoca la loro attività all’insegna dell’edonismo estetico dell’Illuminismo nonché del sensismo.322 Tuttavia il Beccaria specifica che si deve adoperare una « saggia economia del piacere »323, il che ci permette di sottolineare che anche se i piaceri sono ritenuti fondamentali, devono tuttavia essere usati con parsimonia e non devono essere l’unico principio a regolare ogni azione. Inoltre nel brano si tratta prima di accettare ciò che lo stato di natura conferisce all’uomo per in un secondo momento coltivarlo, cioè capire il proprio corpo per poi sfruttare ragionevolmente le sensazioni che trasmette. In questa prospettiva, si tratta quindi di educare i propri lettori al ruolo dei sensi nel processo cognitivo, ma anche di usare consapevolmente i sensi nella loro opera di costruzione di un’opinione pubblica. In più, non solo il meccanismo delle sensazioni e dei sensi è universale, ma anche i sensi sono « alla portata egualmente del povero e del ricco »324, il che permette di accentuare presso i lettori, che non sarebbero coscienti delle possibilità che offrono i sensi, il fatto che anche loro possono sfruttarli.

[..] la forza di questi odori, [...] produce quella viva, ma aggradevole sensazione, che rasserena e rischiara l’animo scuotendolo da quel letargo in cui è

318 Il Caffè, op. cit., p. 39. 319 Ivi, p. 40. 320 ivi, si veda l’articolo « Della felicità de’ Romani ». 321 Ivi, p. 169. « Tutto qui servir deve o all’istruzione o ai piaceri dell’odorato e della mensa. » 322 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 179. « En évoquant le principe du plaisir, PV place d’emblée sa réflexion sur la musique sous le signe de l’hédonisme esthétique des Lumières ainsi que du sensualisme, qui fonde toute la vie de l’esprit sur la sensation et sur les principes de plaisir et de douleur. » 323 Il Caffè, op. cit., p. 415. 324 Ivi, p. 41. 127

sopito dal lento moto delle fibre e dalla noiosa uniformità degli oggetti. Quelle piccole scosse che ne sente il cervello, pare che facciano cadere un velo dinanzi agli occhi, e si destino le idee più limpide e chiare.325

Si capisce che le sensazioni hanno un ruolo nell’incitare gli uomini alla riflessione, nell’aiutarli in essa e nell’indirizzarli nella via della verità. In questa prospettiva, si può mettere in parallelo questa tesi con il sensismo di Condillac esposto nel Traité des sensations per capire meglio il ruolo del piacere nella riflessione dei caffettisti. Per Condillac, i sensi, con il piacere o il dolore che provocano, costruiscono la memoria, che a sua volta permette il paragone fra una situazione e l’altra. Questa capacità di paragone giunge poi a quella di giudizio. In effetti, paragonando un oggetto, una situazione o una riflessione con un’altra anteriore, si cerca di analizzare quanto essi siano conformi al momento presente considerando le conseguenze positive che si sono potute trarre dall’evento anteriore. Di conseguenza si capisce bene il ruolo dei sensi e delle sensazioni nel processo cognitivo che porta a emettere un’opinione, il che è fondamentale nell’impresa dei caffettisti. Inoltre si è esposto prima il ruolo delle arti nella società, ora si tratta di vedere come Pietro Verri dimostra la necessità di educare gli uomini alle arti appunto nella prospettiva di permettere loro di stimolare in modo positivo i propri sensi tramite la loro pratica. In questa prospettiva, è opportuno interessarsi all’articolo « La musica ».

Per musica, in una parola, intendo quella successione di suoni che sveglia negli animi di chi ne è appassionato diversi affetti di tenerezza, di ardire, di compassione, di orgoglio, e così andiam dicendo degli altri movimenti dell’animo, i quali per una sorta di magia co’ suoni si destano.326

Con questo brano, il Verri evidenzia la necessità di provare interesse per la musica per poter sviluppare la capacità di provare qualche emozione al suo contatto. Il che indica la necessità di educare gli uomini ad ascoltare musica, e più generalmente alle arti, affinché essa non risulti un ammasso di suoni per chi l’ascolta. Si può notare con Raymond Abbrugiati, che questa concezione dell’educazione come abitudine dell’orecchio ad essere in contatto con la musica, riconduce al postulato sensistico secondo il quale la mente si elabora a partire dalla

325 ivi, p. 43. 326 Ivi, p. 488. 489. 128 sensazione.327 Inoltre dal brano si capisce che senza educazione, i sensi non possono condurre a nessuna forma di sentimento e di passione e, al contrario, la sola educazione permette di suscitare i sentimenti più buoni in chi l’ascolta. Insomma si può dire che l’edonismo estetico e il sensismo del Caffè appaiono come il versante etico di un discorso epistemologico che riabilita l’esperienza sensibile, appunto perché è l’unica realtà accessibile alla mente umana.328 Secondo Walter Binni, il Caffè rappresenta il momento « più tipicamente illuministico » con l’equilibrio di due linee di tensioni quale il sensimo e la volontà razionalistica, anche se alla fine vengono poste in contrasto. Binni giustifica le sue affermazioni accennando al fatto che queste due linee evolvano « in amore del concreto, in preminenza della sensazione interna, del sentimento e quindi a suo modo prelude a svolgimenti romantici »329. Il critico aggiunge che gli scrittori del Caffè sono « più efficaci quanto alla storia di cultura letteraria di qualche isolato « precursore » romantico. ». Norbert Jonard non è affatto d’accordo con queste affermazioni, poiché, secondo lui, gli elementi che si potrebbero riallacciare al Romanticismo, rivestono un significato diverso quando vengono posti nel loro contesto sociale e storico.330 Il fatto che le riflessioni sui sentimenti e sulle sensazioni interne siano applicate ad argomenti legati alla morte come nell’articolo del Lambertenghi « Sull’origine e sul luogo delle sepolture », in cui si discuta tra l’altro dell’immortalità dell’anima e delle relazioni tra i vivi e i morti, sembra annunciare una corrente che si occupi dell’aldilà quale il Romanticismo.331 Tuttavia il fatto che nello stesso articolo si tratti del luogo delle sepolture in rapporto all’igiene civile dimostra che i caffettisti dedicano attenzione alla morte anche in rapporto con le sue conseguenze sui vivi. Di conseguenza anche se le riflessioni sulle relazioni tra vivi e morti sembrano influenzare figure quale il Foscolo nei Sepolcri332, non si può respingere l’argomento di Norbert Jonard in quanto la base dell’articolo del Caffè sembra essere suscitata da questioni contemporanee legate alle sepolture. Insomma si potrebbe dire che gli elementi messi in evidenza da Walter

327 R. Abbrugiati, Études sur le Cafè, op. cit., p. 181. « Cette conception de l’éducation comme habitude acquise par action répétée sur les sens (en l’occurrence l’oreille) ramène au postulat sensualiste selon lequel la vie de l’esprit s’élaborerait à partir de la sensation. » 328 Ivi, p. 179. 329 W. Binni, « Illuminismo, sensismo, preromanticismo nel Caffè », op. cit., p. 77. 330 N. Jonard, « Un aspect du « préromantisme » italien, raison et sentiment dans le « Caffè » de Milan », in Revue de littérature comparée, op. cit., p. 483. 331 Il Caffè, op. cit. p. 481. « Incapace allora d’azione, di sentimento, di piacere e di dolore, pare che non dovrebbe dagli altri uomni meritare cura alcuna. Ciò non ostante quello è il tempo in cui maggiori tributi riceviamo dall’altrui umanità. » 332 U. Foscolo, Opere, Torino, Einaudi-Gallimard, 1994, I, p. 23. 24. « Ma perché pria del tempo a sè il mortale/ Invidierà l’illusïon che spento/ Pur lo sofferma al limitar di Dite?/ Non vive ei forse sotterra, quando/ Gli sarà muta l’armonia del giorno,/ Se può destarla con soavi cure/ Nella mente de’ suoi ? » 129

Binni rappresentano una linea di continuità tra l’Illuminismo del Caffè e il Romanticismo del secolo seguente mentre lo stretto legame col contesto sociale e storico permette di evidenziare un punto di rottura fra queste due correnti. Queste considerazioni ci permettono dunque di sottolineare in che modo il periodico milanese si ancora alla realtà contemporanea e insieme prende in considerazione gli uomini in quanto individui e le loro interrogazioni relative a questioni metafisiche. Il che permette di coinvolgere sempre meglio il proprio pubblico nell’impresa di costruzione dell’opinione pubblica.

Il discorso precedente sull’eventuale legame tra il Caffè e il preromanticismo ci ha permesso di mettere in evidenza lo stretto legame da una parte tra i sensi corporali e le sensazioni interne e da un’altra tra il ruolo delle sensazioni e delle passioni con la conoscenza. Di conseguenza, ora conviene esaminare una facoltà quale la fantasia per evidenziare la sua capacità di transizione tra le sensazioni e le passioni da una parte e la realtà dall’altra.

3. La fantasia

Ora pare rilevante studiare il ruolo della fantasia appunto perché, secondo i caffettisti, riveste il ruolo di mantenere vivi i piaceri e le sensazioni. Il fatto stesso di dedicare un intero articolo, intitolato « I piaceri dell’immaginazione », alla fantasia dimostra la volontà di promuovere il fatto che possa avere un ruolo positivo e di educare il proprio pubblico riguardo a questo ruolo. In effetti, l’articolo cominicia col dichiarare che « sono grandissimi i beni e i mali che agli uomini derivano dalla loro immaginazione »333, il che permette di evidenziare la necessità di capire questa forma di pensiero per farne buon uso. Il primo compito dell’immaginazione risiede nel prolungare i piaceri. Dopo aver costatato che tutti non sono in grado di farlo, cioè di « abbellire e ampliare » la durata dei piaceri, il Beccaria intende proporre un’analisi del funzionamento dell’immaginazione.

L’immaginazione chiama dal tempo predatore i passati diletti, e spingendosi nell’oscuro avvenire ne invola qualche particella per mezzo della dolce ingannatrice speranza per trasportarla sul presente momento, che senz’essa sarebbe

333 Il Caffè, op. cit., p. 476. 130

languido ed insipido. Così l’immaginazione stende su tutti i momenti della vita di un uomo quei piaceri [...].334

Si capisce che l’immaginazione conserva nella mente umana i piaceri passati per attualizzarli in futuro tramite la speranza che possano riprodursi allo stesso modo e così via per tutta la vita.335 Oltre a un’analisi che intenda dimostrare il riutilizzo dei sentimenti, si può anche intravedere una vera e propria analisi psicologica della mente umana e della sua attitudine a rimettere in moto emozioni passate per attualizzarle nel presente provocando la speranza di provare nuovamente le stesse emozioni che in passato. In questa prospettiva si può dire che il Caffè propone una riflessione relativa alle scienze sociali che regolano i rapporti umani, il che è notevole vista la volontà di costruzione dell’opinione pubblica. Di fatto la consapevolezza di questo procedimento è essenziale al progetto intrapreso dal Caffè perché i suoi redattori possono proporre consapevolmente esempi che diffondono emozioni precise affinché esse si fissino nelle menti dei lettori per essere riattualizzate durante le loro riflessioni e azioni tramite l’immaginazione. In questa prospettiva si può dire con Norbert Jonard che la fantasia è una specie di memoria affettiva che sveglia le sensazioni.336 In effetti, il Beccaria propone un legame tra i piaceri fisici e quelli dell’immaginazione.

Anzi, ogni piacer fisico come monarca ha sotto di sé un immenso popolo subordinato di piaceri d’immaginazione, che gli fan corteggio, che ne aumentano il lustro e lo rendon potente nell’animo umano; anzi, egli è questo popolo solo che gli apre una comunicazione ed un commercio coi piaceri fisici d’un altro senso.337

In questo brano, l’autore afferma il primato dei piaceri dei sensi e spiega come i piaceri dell’immaginazione accrescano lo splendore e la potenza dei piaceri fisici nella mente umana. Il primato dei piaceri fisici risiede proprio nel fatto che sono la condizione stessa

334 Ivi, p. 477. 335 N. Jonard, « Bonheur public et bonheur privé dans le « Caffè » de Milan », op. cit., p. 113. « L’imagination permet de triompher au temps en installant au creux du présent un bonheur tissu de souvenir ou d’espérance. » 336 Il Caffè, op. cit., p. 477. 337 Ibidem. 131 dell’immaginazione.338 In effetti offrono alla mente umana il materiale sensibile da riutilizzare in momenti futuri invece di considerare ogni futura situazione a seconda di un solo materiale determinato in modo teorico. In questa prospettiva la mente umana fa da sede ai piaceri stessi che siano fisici o mentali, offre loro uno spazio di comunicazione e concede a ogni senso di entrare in relazione con un altro. Di conseguenza si può dire che entrambi i piaceri sono importanti appunto per la stretta relazione che li lega. Tuttavia i piaceri dell’immaginazione hanno il vantaggio di portare la tranquillità339 a scapito di rendere per forza « estremamente felice » chi li prova, il che è opportuno da sottolineare perché, anche se si è analizzata l’importanza della felicità per i caffettisti, quando essa giunge a un grado estremo non è più controllabile da chi la prova. Al contrario la tranquillità rappresenta lo stato d’animo di predilezione dei caffettisti in quanto permette un’analisi razionale della situazione, dopo aver risentito gli elementi che la compongono. Di conseguenza, per i caffettisti, anche se ci si deve esercitare all’immaginazione, in quanto permette l’analisi di sempre più situazioni, ci si deve accontentare di ciò che ci propone senza aspirare a una fantasia infinita, e coltivare momenti di tranquilità affinché essa possa impiegare l’immaginazione con maggior successo e maggior profitto. Inoltre, così facendo non ci si espone al pericolo dell’insoddisfazione derivato dalla ricerca dell’infinitezza dell’immaginazione. Si sono finora evocati i piaceri dell’immaginazione in quanto derivano da sensazioni fisiche, si tratta adesso di capire come l’immaginazione si possa nutrire in altre fonti quando è stata prima educata al riconoscimento delle emozioni.

Raccomando lettura di poesie, drammi, poemi epici, e romanzi principalmente, ma non di quelli che vanno noiosamente al suo fine, né di quelli che ti strascinano la sensibilità verso un solo oggetto, ma di quegli altri che te la dividono e te la sminuzzano in tante parti differenti, ed ora ti fanno imperadore, or Caloandro, ed or ti conducono a viver solo in isole deserte, ed or ti trasportano nel fracasso di una capitale.340

338 Ibidem. « [.. .] (L’uomo) ha di bisogno (dei piaceri fisici) per non desiderarli troppo, ne ha di bisogno per rimontare gli organi della immaginazione e per fornirsi quasi di materia prima, per travagliarla poi a suo modo e tingerla di tutti quei colori che sono forniti da quelle tante piccole pazzie che ha l’arte di saper celare, e farne un uso qualche volta men funesto d’un freddo ragionamento. » 339 Ivi, p. 190. « Bisognerebbe esser di null’altro occupato, come spettattore del genere umano, o aver sempre l’anima in una perfetta tranquillità, situazione più d’ogn’altra favorevole al retto giudizio […] » 340 Ivi, p. 478. 132

L’immaginazione è concepita in questo brano nella sua dinamicità. In effetti questa forma di pensiero deve attingere a opere culturali, qui specificamente alla letteratura, per riuscire più acuta, più diversificata e più specifica. Il che le permette di rappresentare un processo conoscitivo più preciso e più adatto alle varie situazioni della vita quotidiana. In effetti, se il Beccaria dedica quest’articolo alla sola immaginazione, è appunto perché si fida di essa nel processo cognitivo, essenziale per permettere agli uomini di esprimere un vero e proprio giudizio nell’opera di costruzione dell’opinione pubblica. Tuttavia l’autore non può fare a meno di mettere in evidenza il rapporto tra l’immaginazione e la ragione.

Fa di mestieri render agile l’immaginazione e rispettare la ragione, sovrana nostra, senza esserle cortigiano troppo assiduo, altrimenti ella t’impiomberà l’immaginazione e ti sforzerà a scavare, mentre tu hai bisogno di scorrere.341

In effetti l’immaginazione deve svolgere le proprie funzioni nei limiti della ragione, però deve conservare un minimo di indipendenza per assumere il proprio compito. Il che ci permette di ribadire che, pur conferendo un posto di pregio ai sentimenti e ai sensi, i caffettisti considerano che essi devono sottoporsi in un secondo momento al giudizio o a uno stato d’animo controllato dalla ragione. Su questa scia si può affermare di nuovo che nel Caffè i principi razionali e relativi alle passioni e alle sensazioni devono agire insieme nel processo cognitivo, tuttavia il momento finale della decisione e dell’azione deve essere governato dalla sola ragione, poiché soltanto essa può garantire la moralità finale.

Finora si è mostrato lo stretto legame fra i principi razionali e quelli del sentimento e della corporeità nei meccanismi cognitivi tenendo in mente il primato della ragione quando si giudica della moralità e dell’opportunità dell’azione o della riflessione. Tuttavia non si è ancora analizzato come gli scrittori del Caffè intendono usare queste conoscenze nella stesura stessa del loro periodico per costruire un’opinione pubblica.

341 Ibidem. 133

C. Il linguaggio

1. Il foglio periodico

Come si è già detto, quando cominciano la pubblicazione del Caffè i filosofi milanesi hanno per lo più già pubblicato altre opere di un’altra forma. Di conseguenza bisogna cercare di capire perché scelgono proprio la forma del foglio periodico per questa nuova pubblicazione, quali sono le modalità di questa forma e quali ne sono le poste in gioco. Philippe Audegean sottolinea il fatto che la lettura di periodici ancora non è una pratica molto frequente negli anni Sessanta del Settecento342 ; tuttavia già a quell’epoca i giornali testimoniano di una volontà di sottomettere ogni valore a criteri non dogmatici né trascendentali. In questa prospettiva, si può considerare il periodico quale un segno e uno strumento di una mutazione più generale. In effetti, esso risulta un tentativo consapevole di sistemare e storicizzare la cultura e l’oggetto del suo interesse, proprio per avere un’azione concreta presso i propri lettori e nel caso del Caffè per costruire un’opinione pubblica.343 In questa prospettiva, l’articolo « De’ fogli periodici » del Beccaria viene a conferma dello studio della forma di pubblicazione intrapreso dai caffettisti ed è interessante da più punti di vista. In effetti, l’articolo dimostra un’attenta lettura dell’Addison nello Spectator344, il che mette in evidenza ancora una volta come il Caffè si ancora a una tradizione contemporanea. Evidenzia anche come i suoi scrittori intraprendano a monte, un vero e proprio studio delle forme comunicative affinché la loro opera possa avere un effetto concreto e a valle, offrano una riflessione ai propri lettori per educarli affinché possano essere consapevoli delle poste in gioco di tale pubblicazione. Per capire le possibilità concesse dal foglio periodico, serve prima stabilire le principali caratteristiche del foglio periodico, che fanno sì che esso sia diverso dal libro, esposte sia nell’articolo del Beccaria citato sopra che nell’Introduzione. In effetti fin dall’inizio del Caffè, vengono ribadite la diversità dei suoi argomenti e dei suoi autori345, la regolarità della pubblicazione346, poi la brevità degli articoli, e quindi del tempo impiegato per

342 P. Audegean, « Lo spirito di lettura. L’usage public de la lecture du Caffè au Conciliatore », op. cit., p. 127. 343 G. Ricuperati, « I giornali italiani del XVIII secolo : Studi e ipotesi di ricerca », op. cit., p. 280. e p. 281 « Il Caffè risulta una vera e propria storicizzazione del nuovo tipo di giornale, rivolto all'opinione pubblica » 344 Il Caffè, op. cit., p. 1121, nota 3. « L’articolo del Beccaria è di sicuro memore del n. 124 dello Spectator, in cui Addison aveva svolto considerazioni assai simili sulla funzione dei fogli periodici. » 345 Ivi, p. 411. « Cose varie, cose disparatissime, [...] cose fatte da diversi autori, [...] » 346 Ibidem. « È un foglio di stampa che si pubblicherà ogni dieci giorni. » 134 la lettura, nonché la convenienza dell’acquisto e del trasporto del periodico.347 Queste caratteristiche proprie al foglio periodico hanno parecchie conseguenze per quanto riguarda il rapporto sia del pubblico con l’oggetto che veicola il sapere, che del pubblico con il sapere stesso. In effetti, il fatto che il foglio periodico sia più maneggevole e la regolarità delle pubblicazioni fanno sì che il periodico entri davvero nel quotidiano dei lettori e in numero più significativo di case, il che ne permette una lettura individuale. Se si aggiunge la convenienza del prezzo, si capisce anche che non si tratta più di un oggetto sacro ma di un oggetto che può passare di mano in mano e quindi raggiungere sempre più persone. Il che permette ai lettori che si scambiano il foglio di poter discutere tra di loro del contenuto degli articoli e di intrattenere un rapporto orizzontale col foglio periodico e con il sapere veicolato. La circolazione dei fogli periodici è cara al Beccaria : allo stesso modo che la circolazione del denaro è un fattore di prosperità, la circolazione dei fogli periodici è un fattore di civiltà.348 Di conseguenza, il foglio periodico permette di elaborare la propria opinione e, eventualmente su questa scia, di rimettere in discussione l’opinione diffusa o modi di fare diffusi nella società. La brevità degli articoli consente sia una lettura meno impegnativa ma ricca lo stesso di contenuto, che di affrontare più argomenti in ogni foglio periodico. Inoltre la lettura o la traduzione degli articoli è resa più agevole e rapida dalla brevità degli articoli, il che permette al Caffè di avere lettori oltre i confini milanese e italiano. In effetti, la varietà degli argomenti permette di trattenere l’attenzione ed eccitare la curiosità del lettore, di affrontare questioni che riguardano la società in tutti i suoi aspetti e quindi di suscitare l’interesse del lettore a nuove questioni. Per quanto riguarda la molteplicità degli autori, essa è significativa perché, anche se si sa che Pietro Verri rileggeva ogni articolo (spesso elaborato prima durante discussioni in seno all’Accademia dei Pugni) e offre riflessioni esposte secondo vari approcci (per esempio, la questione del commercio è abbordata secondo le sue strategie, la sua moralità e la sua natura) ma soprattutto conferisce agli articoli stili diversi, il che è notevole per trattenere l’attenzione dei lettori in vista della costruzione di un’opinione pubblica. Di conseguenza si può dire che la forma del periodico risulta più che adatta a un contenuto abbordabile e non presuntuoso e a un pubblico sempre più ampio349 (bisogna ricordare tra l’altro il ruolo delle donne nella

347 Ivi, p. 412. « Aggiungasi la facilità dell’acquisto, il comodo trasporto, la brevità del tempo che si consuma nella lettura di esso [...]. » 348 Ibidem. « come la circolazione del denaro è avvantaggiosa, perché accresce il numero delle azioni degli uomini sulle cose, così la circolazione dei fogli periodici aummenta il numero delle azioni della mente umana, dalle quali dipende la perfezione delle idee e de’ costumi. » 349 Ivi, p. 411. « [...] i fogli le cognizioni medesime che circolano nel popolo studioso comunicano e diffondono nel popolo o travagliatore od ozioso. » 135 circolazione del sapere e il loro rapporto col foglio periodico esposto prima) per il quale la lettura risulta un atto individuale, intimo e solitario ma anche più critico e scettico.350 Si è già definito e delimitato questo « pubblico » ; tuttavia sembra opportuno ricordare che, anche se la lettura viene sempre riservata alla borghesia e all’aristocrazia nel Ducato di Milano, il pubblico del Caffè comprende fasce della popolazione che non si radunavano prima in pubblico per leggere, si allarga alle donne e anche ai più giovani. Tuttavia le sole caratteristiche proprie al foglio periodico, anche se risultano fondamentali, non bastano per i caffettisti. Di conseguenza, intendono sottomettere il proprio foglio alle « regole » esposte nel Caffè per l’uso della lingua, cioè alla chiarezza e alla precisione, all’orrore della noia e a un’attenzione prima al contenuto e poi alle parole.351 Il che fa sì che il pubblico possa capire in modo più immediato, ma anche che possa sentirsi vicino allo scrittore.

Ma un foglio periodico, che ti si presenta come un amico che vuol quasi dirti una sola parola all’orecchio, e che or l’una or l’altra delle utili verità ti suggerisce non in massa, ma in dettaglio, e che or l’uno or l’altro errore della mente ti toglie quasi senza che te ne avveda, è per lo più il più ben accetto, il più ascoltato.352

L’espressione « una sola parola all’orecchio » indica il legame di prossimità tra l’autore dell’articolo e il lettore che si cerca di instaurare, ma anche la benevolenza di questo rapporto. In effetti, gli scrittori del Caffè curano il loro rapporto e quello del periodico con i lettori appunto perché sono consapevoli che solo un rapporto di fiducia e di stima possa « conquistar paese alla ragione », secondo la formula del Verri, ed essere diretto alla « pubblica utilità, lo spandimento della luce, l’accrescimento del numero de’ lettori, e de’ lettori docili alla verità »353 tramite il foglio periodico. Infatti, poiché i caffettisti difendono un rapporto orizzontale col sapere, sono proprio i loro lettori a legittimare la pubblicazione del foglio periodico con la lettura stessa del Caffè. Di conseguenza, bisogna tener conto di questi elementi affinché la costruzione dell’opinione pubblica possa essere attuata. Su questa scia, la

350 P. Audegean, « Lo spirito di lettura. L’usage public de la lecture du Caffè au Conciliatore », op. cit., p. 130. e p. 135. 351 Il Caffè, op. cit. p. 415. « Le cognizioni poi utili al maggior numero [...] possono esebirsi [...] col rendere a chiarezza e precisione, e quasi in sugo ed in sostanza, ciò che trovasi sparso, oscuro, confuso e quasi direi nuotante in volumi ripieni d’amor proprio per l’autore e di noia per il lettore. » 352 Ivi, p. 411. 353 Ivi, p. 418. 136 lettura di fogli periodici riveste una dimensione civile e poetica.354 In effetti Philippe Audegean sottolinea che leggere equivale a prendere parte al movimento sociale e storico della propria epoca, a diventare parte di una coscienza collettiva, e addirittura a partecipare alla formazione di questa stessa coscienza.355 La coscienza collettiva sarebbe la manifestazione della presa di coscienza del fatto che l’individuo non possa considerarsi da solo ma bensì in una dimensione collettiva. Di conseguenza il periodico risulta portatore di ogni valore sviluppato fin qui nel nostro proposito, di una nuova organizzazione sociale e politica e di una nuova definizione dello spazio pubblico. Il che è fondamentale per costruire un’opinione pubblica nella Milano degli anni Sessanta del Settecento.

Si è visto in che modo la forma del foglio periodico risulta una scelta assai adatta al fine del Caffè di costruire un’opinione pubblica, tuttavia non si è ancora analizzata la cornice del periodico milanese che intensifica certi elementi appena evocati.

2. La cornice

Come si è accennato prima, gli articoli del Caffè sono scritti all’interno di una cornice narrativa che consiste in una parte di testo all’interno del quale l’autore o gli autori si inseriscono. Come nota Sergio Romagnoli356, l’uso della cornice risulta un artificio antico e di grande tradizione letteraria, come nella letteratura italiana nel Decameron di Giovanni Boccaccio. Inoltre la finzione della cornice è usata correntemente nel Settecento tra l’altro nello Spectator di Addison, ancora una volta preso a modello dai caffettisti, e poi anche nella Gazzetta di Milano diretta da Parini dal 1769.357 Di conseguenza, la novità non è nella struttura narrativa ma nell’intento politico e culturale di usare questo processo letterario nello scopo di costruire un’opinione pubblica.358 Fin dall’Introduzione del Caffè vengono presentati Demetrio e la sua bottega di caffè. Demetrio, un greco dall’anima nobile, giunge a Milano dopo aver sfuggito « l’avvilimento e

354 Ivi, p. 414. « (Il Caffè), il di lui scopo è di rendere comuni, familiari, chiare e precise le cognizioni tendenti a migliorare i comodi della vita privata e quelli del pubblico; ma questo scopo dev’essere piuttosto nascosto che palese, coperto dal fine apparente di dilettare, di divertire, come un amico che conversi con voi, non come un maestro che sentenzi. » 355 P. Audegean, « Lo spirito di lettura. L’usage public de la lecture du Caffè au Conciliatore », op. cit., p. 141. 356 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », op. cit., p. LXXIV. 357 M. Fubini, « Pietro Verri e il Caffè », op. cit., p. 102. 119. 358 S. Pautasso, « La bottega di Demetrio. Appunti per uno studio su « Il Caffè » », in S. Pautasso, Tra Illuminismo e Romanticismo. Miscellanea di studi in onore di Vittore Branca, Firenze, Olschki, 1983, p. 50. 137 la schiavitù » del proprio paese e vi apre una bottega di caffè « addobbata con ricchezza ed eleganza somma ». Questi primi elementi che abbiamo della cornice presagiscono un ambiente raffinato, rispettoso della dignità umana e in accordo con certi valori quali la libertà e la morale. In effetti, Anna Bellio sottolinea che il ritratto morale di Demetrio denota una « totale e fiduciosa adesione del narratore alla stagione culturale dei lumi »359. Viene poi proposta una descrizione della bottega stessa con l’anafora « in essa bottega » che insiste sul fatto che tutti gli elementi enunciati siano riuniti nel caffè di Demetrio. Questi elementi fanno proprio da introduzione delle idee promosse dai caffettisti e ricorrenti nel periodico milanese : la qualità del caffè fa diventare l’« uomo ragionevole », un ambiente rischiarato nel senso proprio e poi nel senso figurato, uno spazio dove si discutono questioni politiche con influenze europee, la presenza di un « buon atlante »360 che fa da guida (Demetrio che quindi assumerebbe un ruolo di spicco), una diversità di uomini e di atteggiamenti e per finire la presenza di un « io » che sarebbe Pietro Verri, il cui compito si limiterebbe a « registrare tutte le scene importanti » e di conseguenza non rivestirebbe una partecipazione all’elaborazione.361 A questo punto ci si può già intravedere un legame tra Demetrio e Pietro Verri : mentre il primo offre uno spazio di discussione nel suo caffè, il secondo ne offre uno con la pubblicazione degli articoli. In effetti questi elementi si ritrovano lungo tutto il periodico sia negli elementi propri alla cornice che nel contenuto stesso degli articoli. Di conseguenza il caffè di Demetrio, di cui non si sa il nome, è posto come il luogo delle discussioni riferite negli articoli, il che permette di offrire una certa stabilità ai lettori tra la varietà degli argomenti e degli autori. Così i lettori non avveduti a una lettura personale possono ritrovarvi anche una coerenza a cui appoggiarsi, il che è fondamentale per la costruzione dell’opinione pubblica voluta dai caffettisti. Per quanto riguarda il ruolo delle botteghe di caffè, esso viene esplicitato da Demetrio, l’unica volta in cui si rivolge direttamente ai lettori, che definisce i caffè quale « una vera enciclopedia all’occasione »362. Inoltre il Carli li determina nel loro rapporto alla società, paragonandoli agli intestini nel funzionamento del corpo umano.363

359 A. Bellio, « Elementi narrativi nel Caffè », in Rivista di letteratura italiana, 1990, 19, p. 388. 360 Sembra che si riferisca a un gigante della mitologia greca di cui si diceva che reggesse sulle spalle il mondo. 361 Molti critici, fra cui Sergio Romagnoli e Anna Bellio, hanno studiato il rapporto tra Pietro Verri e Demetrio, e l’identicità dei due. Tuttavia nell’economia del nostro discorso, conviene limitarsi a sottolineare l’esistenza di questi studi. 362 Il Caffè, op. cit., p. 403. 363 Ivi, p. 421. « Sono nelle città le botteghe del caffè ciò che sono nella umana macchina gl’intestini; cioè canali destinati alle ultime e più grosse separazioni della natura, ne’ quali ordinariamente per qualche poco tempo quelle materie racchiudonsi, che se in porzione qualunque obbligate fossero alla circolazione, tutto il sistema fisico si altererebbe. » 138

Inoltre, lungo il periodico vengono presentati clienti della bottega che espongono il loro punto di vista su una questione precisa, che dibattono tra di loro, o che rimangono semplici spettatori pronti a riferire le conversazioni. Questi clienti non hanno per forza un nome e, all’occorrenza, non sono personaggi famosi, il che permette ai lettori di proiettarsi come eventuali futuri protagonisti di discussioni politiche, nel significato dell’organizzazione della vita in società, e di conseguenza di concepire e esprimere la propria opinione. Inoltre i personaggi messi in scena nella cornice sono concepiti da esempi o da antiesempi affinché il pubblico si identifichi o meno a essi. Ad esempio, ci si può soffermare su un personaggio proposto dal Carli nell’articolo « Della patria degli italiani ».

In questa bottega s’introdusse ier l’altro un incognito, il quale nella sua presenza e fisonomia portava seco quella raccomandazione, per la quale esternamente lampeggiano le anime sicure e delicate; e fatti i dovuti offizi di decente civiltà, si pose a sedere chiedendo il caffè.364

Questo brano viene posto all’inizio dell’articolo, cioè nella parte in cui si stabiliscono le condizioni di elaborazione e in cui si presentano i vari personaggi che dibattono. Il personaggio cui ci si riferisce nel brano viene caratterizzato in modo positivo con due qualità : la cultura, cioè un personaggio che fa prova di acculturazione, e il buon senso.365 Nel seguito dell’articolo viene anche evidenziato il suo patriottismo.366 Queste qualità sono tanto più messe in evidenza che sono contrapposte nell’articolo a quelle di un personaggio « vano, decidente e ciarliere a tutta prova », il che fa sì che il lettore si identifichi naturalmente con il personnagio dalle qualità positive e provi ad acquisire quelle che gli mancherebbero. Inoltre quanto al nostro discorso sui personaggi, conviene notare che alcuni, alla pari di Filone367, si ritrovano più volte nel Caffè, il che viene concepito come un altro mezzo di continuità per i lettori. Inoltre la cornice riveste anche il compito di esplicitare le scelte editoriali. In effetti, nell’introduzione degli articoli, Pietro Verri, tramite la finzione della cornice, motiva le

364 Ivi, p. 421. 365 D. Ferraris, « De l'Italie, des Italiens et de la langue italienne dans trois revues septentrionales : « Il Caffè », « Biblioteca italiana » et « Il Conciliatore » », in Chroniques italiennes, n°9, Paris, Université de la Sorbonne nouvelle, 2006, p. 4. 366 Il Caffè, op. cit., p. 422. « Sono italiano, risponde l’incognito, e un italiano in Italia non è mai forestiere [...]. » 367 Ivi, si vedano gli articoli « Conservazione tenutasi nel caffè », « Contraddizioni morali » e « Prova del cuore ». 139 proprie scelte, il che si vede ad esempio per l’articolo di Pietro Secchi « La coltivazione del tabacco ».

M’è stato dato un progetto sulla coltivazione del tabacco […]. Credo che sia un bene che molti scrivino e pensino su gl’interessi veri d’una nazione, sulle finanze, sul commercio e sull’agricoltura.368

Con questo brano si capisce benissimo in che modo la cornice è essenziale alla costruzione dell’opinione pubblica voluta dai caffettisti. In effetti, tra un articolo e l’altro, il Verri ribadisce i principi essenziali dell’opinione pubblica, cioè la necessità che ogni azione sia diretta al ben pubblico ma anche il fatto di incoraggiare i lettori a interessarsi a campi sempre più pratici della vita in società. Di conseguenza si può dire che in questo caso la cornice, sotto l’apparenza di una semplice transizione, riveste il ruolo di un vero e proprio filo conduttore che inculca i principi fondamentali alla costruzione dell’opinione pubblica. Tuttavia, come si è visto prima, la comunicazione assume un’importanza fondamentale nella costruzione dell’opinione pubblica. Di conseguenza, i caffettisti usano la cornice in chiave comunicativa con la finzione di un’interlocuzione con il proprio pubblico. In effetti vengono messe in scena lettere che sarebbero state mandate da lettori sia per criticare alcune riflessioni, sia per dare il proprio consenso alla pubblicazione, che per sottomettere spunti di riflessione o ancora interi articoli. Per esempio, l’argomento della medicina viene introdotto tramite una lettera, indirizzata a Demetrio, di un lettore che intende fare il medico e che, in questa prospettiva, chiede ai caffettisti di « far(gli) un piano del sistema che essi credon buono per riuscirvi felicemente » poiché egli crede che la medicina « ha molto influenza certamente sulla vita degli uomini e merita che di essa si parli »369. Con quest’esempio si capisce l’atteggiamento che i caffettisti si aspettano dei loro lettori, cioè che il loro interesse nasca dalla consapevolezza che l’oggetto sia ragguardevole per l’umanità e che di conseguenza bisogna interessarci secondo un sistema che permetterebbe di coglierne tutte le particolarità e tutta la rilevanza. Di conseguenza, si può dire che le lettere della cornice assumono due ruoli : quello di comunicare un’eco, pur fittizia, dei bisogni dei lettori e quello di indicare ai lettori come procedere nella volontà di conoscenza e di formazione di un’opinione critica. Questi due elementi riuniti creano un rapporto di fiducia e quasi di

368 Ivi, p. 55. 56. 369 Ivi, p. 200. 140 amicizia benevola, valore carissimo ai caffettisti, coi propri lettori e dunque sono fondamentali alla costruzione dell’opinione pubblica. Inoltre si può anche dire che la cornice nel Caffè serve anche a creare uno spazio in cui si declina la responsabilità di alcuni temi o affermazioni, con la credibilità ricercata in impianti realistici o documentaristici370, il che fa sì che la cornice rivesta un carattere di relativa immunità per i caffettisti.371 La relazione intellettuale che si instaura sembra risiedere nel consenso dato dai lettori con la lettura del periodico che manifesta un interesse per gli stessi oggetti e un’approvazione del modo di trattarle, il che incita i filosofi del Caffè a coltivare la varietà dei loro argomenti e dei vari modi di trattarli nonché a conservare la benevolenza manifestata ai propri lettori. Insomma si può dire che la cornice del Caffè permette ai lettori di seguire e capire gli intenti politici dei caffettisti, agli autori di instaurare con i propri lettori, e a chi studia il Caffè, una vera e propria relazione intellettuale e di fiducia di intravedere le sue difficoltà redazionali ed editoriali. Questi elementi sono essenziali sia per costruire un’opinione pubblica che per studiare le difficoltà e le poste in gioco di tale intento.

Fino ad ora si è analizzato il ruolo del periodico e della cornice nella costruzione dell’opinione pubblica, tuttavia non si sono ancora analizzati gli elementi che condizionano il discorso dei caffettisti, cioè i procedimenti stilistici e retorici.

3. Stile e retorica

Fin dall’Introduzione del Caffè, viene messa in evidenza l’importanza dello stile nel periodico con una domanda e la sua risposta « con quale stile saranno eglino scritti questi fogli ? Con ogni stile che non annoi. »372. Questa messa in scena in forma di dialogo per parlare dello stile dimostra che quest’ultimo non va dissociato dalla retorica nel Caffè. L’uso di uno stile, che non susciti la noia, concede l’efficacia della retorica. In effetti, la noia, per i caffettisti, è uno stato contrario al compito dell’uomo nella società e quindi contrario alla costruzione dell’opinione pubblica. Inoltre, come mette in evidenza Anna Bellio, l’aggettivo « ogni » esclude l’acquiescenza a schemi prefabbricati e apre le porte a una gran varietà di registri nella molteplicità dei generi : giornalistico, oratorio, epistolare, saggistico,

370 A. Bellio, « Elementi narrativi nel Caffè », op. cit., p. 387. 371 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », op. cit., p. LXXIV. 372 Il Caffè, op. cit., p. 11. 141 narrativo.373 Il che mette in evidenza il disegno dichiarato di attingere a vari generi letterari che conferiscano insieme allo stile, l’efficacia retorica necesseria ai caffettisti appunto perché bisogna rivolgersi sia alla ragione dei lettori ma anche alle loro passioni, che non soffrono la monotonia e l’uniformità. Inoltre la varietà dei processi retorici dimostra la capacità e la volontà di adattarsi a ogni individuo tenendo conto delle sue peculiarità. Il che permette ai caffettisti di raggiungere lettori per natura molto diversi fra di loro. In questa prospettiva, il Beccaria in « De’ fogli periodici » offre una riflessione sui tipi di narrazione da privilegiare. Egli individua, per prima cosa, la favola374 e l’apologo che permettono di trarre esempi dalla storia dell’umanità e, eventualmente, di usare « la sferza del ridicolo su i difetti degli uomini »375. Mette poi in evidenza l’impiego del dialogo, di tradizione barocca, insistendo sul fatto che siano suscettibili « d’una infinità di caratteri differenti, sì ridicoli e viziosi che giusti e virtuosi » e di « essere sorgente feconda di vario diletto »376. Il che mette in evidenza l’attenzione sia alla ragione dell’uomo che alle sue passioni, appunto grazie alla retorica, che così permette di raggiungere l’uomo nella sua interezza e di conseguenza di convolgerlo nel progetto di costruzione di un’opinione pubblica. Inoltre Raymond Abbrugiati377 analizza il dialogo quale strumento dell’opinione pubblica perché mette in scena la volontà di interlocuzione dei caffettisti con il proprio pubblico. Il terzo genere evocato è appunto il « serio ragionamento » che non va tuttavia capito in esclusivo rapporto con la ragione ma bensì in rapporto con « l’utile » e « il dolce incanto di una mansueta eloquenza non trasportata né sublime »378. È opportuno sottolineare che l’alternanza dei generi letterari promossa dal Caffè non è soltanto messa in pratica da un articolo all’altro ma all’interno stesso degli articoli. Per esempio, l’articolo del Carli « Della patria degli italiani » comincia col paragone indicato prima, tra i caffè e gli intestini, vi si trova poi un dialogo tra un forestiero e un milanese riferito al discorso diretto e per finire, una riflessione generale sul patriottismo. Il dialogo e il ragionamento della riflessione vengono a

373 A. Bellio, « Elementi narrativi nel Caffè », op. cit., p. 387. 374 Il Caffè, op. cit., p. 318. Si veda l’articolo « Dei beni dell’insensibilità ». 375 Ivi, p. 415. « Caratteri e pitture di costume, esempi veri tratti dalla storia di generosità e di virtù, la sferza del ridicolo su i difetti degli uomini e non sui vizi possono condire col diletto e colla dolcezza ciò che la prevenzione e l’inesperienza farebbero credere disgustoso ed amaro. » 376 Ivi, p. 416. « Un altro mezzo sono i dialoghi; questi conducono moltissimo a mettere in chiaro una verità, rappresentando con forza e con industria il pro ed il contro di essa, ed essendo una fedele pittura del conversare degli uomini, sono suscettibili d’una infinità di caratteri differenti, sì ridicoli e viziosi che giusti e virtuosi, e possono essere sorgente feconda di vario diletto. » 377 R. Abbrugiati, « Textes (pré)liminaires » in Études sur le Café, op. cit., p. 211. « Le choix du dialogue manifeste alors la volonté d’interlocution, qui caractérise l’ensemble de ce groupe, vis-à-vis d’un lectorat potentiel, d’une opinion publique en voie de formation qu’il s’agit autant de créer que de rencontrer, et à laquelle la fiction littéraire d’un courrier des lecteurs tentera parfois de donner une voix. » 378 Il Caffè, op. cit., p. 416. 142 conferma di quanto è stato stabilito all’inizio dell’articolo. Il che dimostra la padronanza dell’uso dei generi letterari dai caffettisti e la loro consapevolezza dell’importanza di subordinare il discorso immaginario al discorso filosofico e didascalico per costruire un’opinione pubblica. Inoltre avvicendare i generi letterari permette di far vivere la cornice del Caffè, in quanto rendono conto della varietà dei rapporti che si svolgerebbero nel caffè di Demetrio e in questo modo di contribuire al rapporto dinamico che lega i lettori col periodico. Allo stesso modo, se si guarda alla definizione della diversità dello stile data dal Beccaria, ci si accorge che esso è al servizio del contenuto del proposito e non costituisce un uso pedantesco della lingua.379 È appunto in questa prospettiva che Pietro Verri denuncia l’uso di una letteratura fatta di bisticci fine a se stessi. Philippe Audegean380 mette in evidenza che quest’ultimo tipo di letteratura si sviluppa spesso in contesti dispotici appunto perché tende a relegare il contenuto stesso in secondo piano e quindi a impedire la formazione di una coscienza civile. Di conseguenza, per costruire un’opinione pubblica che abbia vocazione a essere ragionata, lo stile nel Caffè deve assolutamente adattarsi al genere letterario affinché la retorica sia efficace. Inoltre, per quanto riguarda il ruolo dato allo stile nel periodico milanese, torna opportuno interessarsi a una citazione del Beccaria.

Lo stile [...] non è un ornamento ma una parte considerabile della massa d’idee d’una nazione!381

Questa citazione permette di insistere sul fatto che, per i caffettisti, conta la dimensione civile del fatto linguistico. Di conseguenza non è questione di bello stile e di tradizione letteraria ma più di un’esigenza « di adottare una funzionalità comunicativa che s’aprisse a tutta l’Italia il più ampiamente possibile »382. Sarà per questa ragione che, come nota Maurizio Vitale383, la prosa del Caffè è molto meno ribelle alle forme e ai dati della tradizione di quel che lascino supporre le proposizioni della « Rinunzia » appunto per raggiungere il proprio pubblico ed educarlo alla questione della lingua prima di confrontarlo all’uso promosso nel Caffè. In effetti, la prosa del Caffè si identifica a un compromesso tra la

379 Ivi, p. 278. « La diversità dello stile non può consistere nella diversità delle idee principali ma delle accessorie, se per diversità di stile intendasi l’arte di esprimere in diversa maniera della stessa cosa [..]. » 380 P. Audegean, « Lo spirito di lettura. L’usage public de la lecture du Caffè au Conciliatore », op. cit., p. 133. 134. 381 Il Caffè, op. cit., p. 281. 382 S. Romagnoli, « Il Caffè tra Milano e l’Europa », op. cit., p. XXXI. 383 M. Vitale, La questione della lingua, op. cit., p. 261. 143 tradizione e la novità proposta dai filosofi milanesi.384 Tuttavia bisogna sottolineare che a volte l’uso tradizionale della lingua è da leggere in chiave ironica, per esempio l’articolo della « Rinunzia » comincia con l’espressione « cum sit » adottata di solito negli atti ufficiali mentre è proprio quest’uso a venire denunciato nell’articolo. Inoltre nello stesso articolo viene usata l’espressione « nelle forme » tradotta in italiano dal latino curiale, sempre in chiave parodica, appunto per denunciare l’inconsistenza di queste formule e, ancora una volta, dei principi di autorità. Tuttavia, Sergio Romagnoli nota che l’uso di una lingua nuova quale la vediamo usata nei saggi economici e giuridici del Caffè, in alcuni articoli scientifici, medici ma anche nel « Frammento sullo stile » del Beccaria, sarebbe servita ad attenuare i particolarismi regionali e municipali nella nazione.385 In effetti, nell’articolo del Beccaria, vengono ordinate veloci affermazioni, disposte a modo di dimostrazione matematica.386 Non vi sono esempi, né incisi o dubbi che contraddistinguerebbero con l’essenzialità del discorso. Tuttavia, questa prosa non viene usata in tutti gli articoli del Caffè che sono per lo più caratterizzati dallo stile di Pietro Verri con il ritmo, la tenuta, il tono medio di una prosa polemica che si trattiene sempre con molta correttezza dalle violenze verbali e dagli eccessi vituperosi.387

384 Il Caffè, op. cit. p. 396. Si veda ad esempio il passo latino di Seneca posto all’inizio dell’articolo « Lo spirito di società ». 385 S. Romagnoli, « Il Caffè, tra Milano e l’Europa », op. cit., p. XXXII. 386 A. Bellio, « Elementi narrativi nel Caffè », op. cit., p. 394. 387 S. Romagnoli, « Il Caffè, tra Milano e l’Europa », op. cit., p. XVIII. 144

CONCLUSIONE

La questione inizialmente apparsa ci portava a chiederci che cosa ci permetterebbe di affermare che i caffettisti costruiscono, senza imporla, un’opinione pubblica tramite il Caffè fra il 1764 e il 1766, la quale è destinata a evolversi e adattarsi al contesto storico del Ducato di Milano, ancorandosi a esso. Ci si chiedeva anche come la costruzione di quest’opinione pubblica poteva tener conto della pluralità delle problematiche che reggono gli individui e la società affinché l’opinione pubblica possa essere stimolata in permanenza da chi la esprime. Il nostro studio ci ha concesso di capire il meccanismo dinamico che regge gli elementi di costruzione dell’opinione pubblica nel Caffè durante la sua pubblicazione dal 1764 al 1766 grazie all’educazione dei lettori del periodico sia nel senso etimologico della parola che riguardo ai vari luoghi del sapere. In effetti, come si è visto, i filosofi del Caffè intendono attuare una vera e propria costruzione dell’opinione pubblica, il che implica la necessità non solo di tener conto del contesto sociale, culturale, politico, intellettuale e letterario in cui si inseriscono, ma anzi di ancorarsi a questo contesto affinché il periodico milanese non venga percepito come l’espressione di un progetto utopistico. In questa prospettiva, i caffettisti sono « dei riformatori, non dei rivoluzionari giacobini della generazione posteriore, né, tanto meno, dei patrioti ottocenteschi »388. Tuttavia, il fatto di ancorarsi alla realtà contemporanea per costruire un’opinione pubblica ragionata non impedisce agli scrittori del Caffè di interessarsi all’uomo in quanto individuo, anzi il Caffè traduce un vero e proprio studio dell’uomo nella sua individualità, vale a dire tenendo conto di ciò che regola la propria esistenza e le peculiarità di ognuno, e nel suo rapporto con gli altri in ambiti collettivi. Questo studio viene insieme proposto ai lettori per educarli alle problematiche umane. In effetti, si tratta di capire le reazioni dell’individuo sia per dimostrarle ai lettori, affinché essi ne siano consapevoli nella prospettiva di costruire l’opinione pubblica voluta dai caffettisti, che per la stesura stessa del periodico. Su questa scia, il Caffè viene considerato come « una vera e propria iniziativa politica »389 presso il suo pubblico, il « popolo » composto dalla borghesia e dall’aristocrazia per lo più milanese, mostrandogli la necessità di implicarsi nella società, ma anche riguardo a esso, cioè il periodico milanese mira a cambiare la cultura di questa classe dirigente proponendole una nuova concezione del mondo. In effetti, la conoscenza, derivata dallo

388 F. Venturi, « Illuminismi italiano e illuminismo europeo », in (a cura di) M. Fubini, La cultura illuministica in Italia, Torino, Eri, 1957, p. 16. 389 A. Bellio, « Elementi narrativi nel Caffè », op. cit., p. 396. 145 studio, delle specificità del proprio pubblico e del contesto contemporaneo fa sì che ogni argomento venga scelto dai caffettisti in quanto permette di trasmettere ai lettori sia il contenuto che l’opinione pubblica, che si sta costruendo, veicolerà, che un metodo e delle conoscenze. Le quali condizionano la perpetuazione di un’opinione pubblica, i cui portatori saranno in grado di farla evolversi affinché sia sempre adatta ai bisogni della società e miri sempre al bene comune nonché all’utilità pubblica. Di conseguenza, l’opinione pubblica dei caffettisti comprende sia le proprie condizioni di esistenza dinamica, sia un contenuto veicolato, che un fine verso il quale dirigere ogni azione. Il che fa sì che l’opinione pubblica del Caffè non venga « affatto accarezzata, ma costretta a misurarsi con tutti i più aggressivi discorsi di riforma emersi nell’Accademia dei Pugni »390. In effetti, i luoghi di costruzione dell’opinione pubblica non sono per niente nuovi ; nuovo è il modo di esporli e di legarli tra di loro. In questa prospettiva, la questione della lingua, della cultura e delle scienze va di pari passo con la questione civile nel Caffè : sono gli stessi principi a regolare ogni argomento nel Caffè dalle istituzioni, ai campi del sapere pratici, teorici e culturali. In effetti, ogni argomento viene affrontato in modo da avvicinarlo a un suo uso più egualitario e utile a tutta la società, e da adattarlo a un’efficacia e un’applicabilità hic et hunc. In effetti, tutte le fasce della popolazione vengono considerate nelle proposte dei caffettisti, appunto perché sono consapevoli che l’utilità pubblica e il bene pubblico implicano l’impegno di tutti i singoli cittadini senza distinzione. Tuttavia se alcuni luoghi precisi di costruzione dell’opinione pubblica sono stati scelti per illustrare il nostro proposito, nello scopo di rendere conto della loro varietà e della loro specificità, non si devono considerare gli unici a essere implicati nella costruzione dell’opinione pubblica. In effetti, il Caffè, come si è detto, non risulta riassumibile e lo scopo della nostra ricerca risiede appunto nel mettere alla luce i meccanismi che rendono possibile la costruzione dell’opinione pubblica. In questa prospettiva, si è cercato di analizzare l’opera di educazione dei lettori a principi razionali e a quelli legati ai sensi e ai sentimenti, affinché essi possano usarli nel processo cognitivo indispensabile alla costruzione dell’opinione pubblica. Tuttavia, si è messo in evidenza come la stesura stessa del periodico dimostra l’applicazione di questi principi, sintetizzati con maestria tramite il linguaggio. In effetti, la scelta del periodico, l’impostazione della cornice nonché le scelte stilistiche, retoriche e linguistiche rendono conto di questo studio della razionalità e delle passioni degli uomini affinché il Caffè possa raggiungere i

390 D. Carpanetto e G. Ricuperati, L’Italia del !settecento, op. cit., p. 331. 146 propri lettori, condizione necessaria all’attuazione della costruzione dell’opinione pubblica tramite il Caffè nel Ducato di Milano fra il 1764 e il 1766.

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