DOTTORATO DI RICERCA In
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1 Indice Introduzione 4 CAPITOLO I DESCRIZIONE DI UNA BATTAGLIA Il calcio come linguaggio universale 10 Il calcio come social problem 13 Il derby nichilista 17 Oltre il panico sociale 20 Nel campo della storia: il calcio delle origini 22 Verso la modernità 24 Nascita del football 25 Panem et circenses? 26 Il calcio come forma di rituale 29 Descrizione di una battaglia 31 Calcio e civilizzazione 37 Play e game 41 CAPITOLO II IL CALCIO COME GENERE DI CONSUMO La calcistizzazione delle masse 45 Il governo del calcio: il “colpo di stato” della FIGC 48 Calcio, industria e pubblicità 49 Minuto per minuto: la radiocronaca di Nicolò Carosio e l’esordio televisivo 52 Totocalcio 56 La nascita del tifo 59 Il fenomeno del tifo organizzato 61 Gli hooligans, mito e terrore del calcio inglese 66 I primi gruppi ultras in Italia 73 Ultras e nuovi movimenti sociali 81 “I furiosi” anni '80 91 2 CAPITOLO III I CONFLITTI DEL CALCIO MODERNO Un'officina del potere 102 La trasformazione delle maglie in business 102 All seater stadium 104 Commodification: le nuove categorie di spettatore 107 Mentalità supporter e disincanto flâneur 110 Pay tv: il crollo del monopolio della televisione pubblica in Europa 113 Stadio Italia: le riforme degli anni '90 114 Il dispositivo berlusconiano 117 L'Italia come il Milan 120 Il calcio on demand 123 I conflitti dietro l'immagine 128 La rivolta contro il calcio moderno 136 La nuova strategia: l'autonomia da Stato e mercato 145 Le leggi speciali 151 Acab 156 La tessera del tifoso 180 Gli stadi di proprietà 185 CAPITOLO IV LIVORNO SIAMO NOI 197 Un certo sguardo 199 Un rito d'iniziazione 203 Una domenica all'Armando Picchi nei “lunghi” anni '80 205 Le Brigate Autonome Livornesi 218 Un'avanguardia ultras 230 Millenovecentonovantanove 241 Fino all'ultimo bandito 249 Controluce 262 Generazione post-fordista 273 La crisi nella trasmissione dei saperi 277 Conclusioni 294 Bibliografia 297 3 Introduzione Da tempo il calcio ha venduto la sua popolarità. Si è fatto, inevitabilmente, industria e spettacolo: oggi tanti guardano e pochi giocano, come in una versione rovesciata del panopticon originario di Bentham. E' diventato un genere di consumo che, felicemente abbinato al linguaggio televisivo, catalizza l'attenzione distaccando fisicamente il pubblico dallo spettacolo. In Italia, il progressivo svuotamento degli stadi è seguito a un lungo processo di selezione che ha portato alla rottura di un dispositivo che fino a qualche decennio fa poneva al centro di ogni evento una ritualità di massa. Come sostiene Debord nel suo “La società dello spettacolo”, quanto più l'esperienza deperisce e si degrada sul piano reale, tanto più la sua messa in scena spettacolare è chiamata a offrirne un surrogato seducente e potente. Il movimento è direttamente proporzionale: più la qualità reale perde vigore più si incrementa lo splendore apparente della sua immagine e si nasconde l'annullamento effettivo dell'esperienza. L'oggetto della ricerca è appunto l'indagine dei mutamenti del rito calcistico fino all'avvento del cosiddetto “calcio moderno”, una nuova fase caratterizzata da un afflusso inedito di capitali che ha modificato più che in passato gli assetti del calcio e della sua fruizione, ora prevalentemente televisiva. Un processo accompagnato da una serie di riforme che hanno favorito la privatizzazione e la commercializzazione della merce- calcio e predisposto la nascita di un pubblico orientato al consumo, “rieducando” chi continua a considerare il gioco una sorta di “bene comune”. La nuova forma spettacolare e “moderna” necessita di un'analisi che tenga conto dei cambiamenti cui il rito calcistico è andato incontro e che, a parte rare eccezioni, non è ancora stata affrontata in modo sistematico dalla letteratura del settore, anche per il suo sviluppo relativamente recente. Anche uno dei testi di riferimento per l'analisi del rito calcistico, “Descrizione di una battaglia” di Alessandro Dal Lago, fondamentale anche per la realizzazione di questa ricerca, per ammissione dello stesso autore nella prefazione alla seconda edizione, dice ben poco della nuova dimensione, subordinata alle esigenze della televisione. L'allentamento della fase esperienziale diretta del pubblico non si deve ridurre a un solo dato quantitativo: a cambiare è soprattutto la qualità dello spettatore, che ha subito a partire dagli anni '90 un processo di selezione produttiva, volto a ridimensionare o 4 espellere dagli stadi quelle soggettività eccedenti, spesso identificate negli ultras delle curve. Portatori di una conflittualità sostanzialmente simbolica, i tifosi organizzati riflettono in forme evidenti le inquietudini che soggiaciono la “messinscena di una battaglia”, metafora che sembra aderire puntualmente alla situazione di una partita di calcio. Sui tifosi legati alla vita di curva si è concentrata negli anni una prolifica attività legislativa, che ha individuato in essi il nemico interno al nuovo ordine sociale degli stadi. La stampa e l'opinione pubblica riconoscono questa metafora dominante e la evocano di continuo, ma ne negano la legittimità attraverso una lettura dello sport e dei processi di socializzazione dei giovani edulcorata e avulsa dalla struttura sociale. Proprio alla questione dell'elevata conflittualità legata al gioco la ricerca tenta di offrire una risposta che dia conto della profondità dell'argomento, che si intreccia con il riconoscimento del calcio come dispositivo antropologico di conflitto. Una posizione che differisce da quella sostenuta dalle retoriche degli organi di governo del calcio (e di parte dell'opinione pubblica), che lamentano da sempre l'esistenza di conflitti che si sovrapporrebbero a un gioco puro. Il lavoro cerca di dare una lettura dei conflitti del calcio riattivando un percorso storico in termini sociali, politici e antropologici, evitando di ridurre l'analisi a questioni di ordine pubblico ed aprendo un punto di osservazione sul calcio che tenga conto della sua dimensione di fatto sociale totale. L'analisi si pone infatti in modo critico rispetto a versioni ufficiali e forme di sapere consolidate e avallate dai media, egemoni nella narrazione del calcio, e fa proprio lo sguardo della metodologia etnografica, che presuppone essenzialmente metodi empirici basati su osservazione e descrizione, la valorizzazione delle voci soggettive dei protagonisti della ricerca e l'uso di analisi documentaria (interviste, storie di vita, materiale audiovisivo e sonoro). Lo studio teorico dell'evolversi e del mutare del rito nel calcio è supportato dalla ricerca sul campo relativamente a una vicenda specifica: la forte conflittualità che a Livorno per circa un quinquennio (fine secolo - inizio anni 2000) ha avuto come fulcro lo stadio. La tesi si compone di quattro capitoli. Il primo capitolo offre un'analisi storica della natura del calcio volta a mostrare, nei suoi caratteri originari, l'associazione di questo sport al rito, il suo processo di civilizzazione e la sua particolare predisposizione al conflitto. 5 In quanto sport di squadra, si configura come una forma di attività collettiva che condensa e trasfigura significati sociali profondi che rimandano alla messinscena di una battaglia; si associa immediatamente al sentimento di appartenenza a un gruppo- comunità e alla rappresentazione del conflitto. Il richiamo alla battaglia si esprime in una dimensione rituale e perlopiù performativa, ma è parte integrante del gioco. Il calcio, in quanto rituale, possiede in essenza tratti che attengono a un processo di civilizzazione e ne ospita tutte le contraddizioni. La trasformazione del gioco in sport, ovvero “il processo di sportivizzazione”, ha fatto da ponte tra gli aspetti più selvaggi del gioco e la dimensione normativa dello stesso; è l’esito di un percorso che ha permesso il mantenimento entro forme razionalizzate e moralmente tollerabili dell’espressione originaria di un rito. Sin dalle origini il termine “sport” non è stato però applicato solo a chi lo praticava: il ruolo degli spettatori nel tempo è stato centrale nella riaffermazione della divisione amico/nemico e lo stadio è diventato il contenitore simbolico di un rituale bellico, confine e barriera nei confronti del pieno dispiegamento di un’ostilità. Con l’avvento della società industriale il processo di civilizzazione traccia un perimetro di comportamenti “produttivi” che vanno a garantire allo Stato il monopolio della violenza e della definizione dell’ordine. Pur ridimensionata nel suo protagonismo, la comunità ha continuato a prendere parte attivamente al gioco, collocandosi sugli spalti degli stadi e nutrendosi di appendici estetiche che ne hanno rafforzato l'aggregazione e la comunanza. I conflitti del calcio emergono sostanzialmente da una contraddizione profonda di questo processo di civilizzazione, che il calcio assume fin dalle sue origini: la distinzione antropologica tra play e game. Al play attiene il gioco libero, selvaggio, con regole tacite e non scritte, che perennemente ridiscute l'autorità del game, al quale si riferisce la grammatica normativa dello sport, le sue regole e le sue istituzioni. Il processo di sterilizzazione delle condotte sportive non ha infatti impedito il riaffiorare di comportamenti appassionati e violenti, evidenziando una relazione critica tra le due cornici. La violenza fa infatti parte della società e il calcio non è solo uno sport, ma uno specchio “deformato” della società. L’equazione è semplice e disarmante. Il tema è dunque attuale, perché il calcio con ogni probabilità continuerà a produrre conflitti, a meno che non si verifichi