Problemi Di Ricerca Sull'atteggiamento Della Chiesa Durante La Resistenza *
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Problemi di ricerca sull’atteggiamento della chiesa durante la Resistenza * È ancora prevalente, nel discorso storiografico sul clero e la Resistenza, la pro posta di una netta distinzione tra alto e basso clero: senza risalire alle note opere di Battaglia, Bocca, ecc., essa figura ancora presente, in termini precisi anche se attenuati, nel recente volume Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-44 *. Ernesto Brunetta tuttavia ha giustamente rilevato come tale distin zione « resti riportabile a diversità di prudenza e di responsabilità piuttosto che a scelte di fondo [...] una volta che ovviamente sia accertata la prospettiva moderata [...] nella quale la Chiesa intende collocare la Resistenza»2. Ma il discorso, mi pare, richiede ancora ulteriori articolazioni e precisazioni. In que sto senso intende muoversi questa mia comunicazione, frutto marginale di un lavoro collettivo che da alcuni anni viene condotto presso l’Istituto regionale di Trieste sul rapporto chiesa-società ai confini orientali dal ventennio fa scista ai primi anni del dopoguerra 3. A bloccare l’analisi ai giorni e ai mesi della Resistenza sono indubbie e non irrilevanti le differenze tra alto e basso clero, ma anche all’interno dell’uno e dell’altro: ad una frangia relativamente ristretta di preti collaborazionisti schierati con la Repubblica sociale fa riscontro un notevole numero di preti militanti nelle schiere partigiane; tra gli stessi vescovi non mancano, sia pure in termini più sfumati, atteggiamenti diversi. Libertario Guerrini ha potuto distinguere, per i vescovi della Toscana, posizioni di grande varietà, che vanno dal filofascismo dei vescovi di Pienza-Chiusi e di Pisa al palese antifascismo del vescovo di Arezzo 4. Sono differenze di atteggiamenti e di esperienze che sarebbe mistificante non rilevare: perché espressive di scelte e di giudizi significativi nella storia dei diversi membri della gerarchia e del clero, scelte e giudizi ai * Relazione letta a Belluno il 26 ottobre 1975 nell’ambito del convegno dedicato a Società e resistenza nelle Venezie. ' Cfr. ad es. Gianfranco bertolo, Le Marche, e libertario guerrini, La Toscana, in Operai e contadini nella crisi italiana del 1943/1944, Milano, 1974, pp. 293, 349. 2 II Veneto, in Operai e contadini, cit., p. 423. 3 II gruppo è costituito da sette persone: per il periodo ed i problemi qui trattati hanno collaborato particolarmente Loredana Alajmo, che si sta occupando della diocesi di Udine dalla Resistenza al dopoguerra, e Anna Maria Vinci, che svolge analoga ricerca per Trieste e lTstria. 4 La Toscana, in Operai e contadini, cit., p. 347. 44 Giovanni Miccoli quali forse non è errato in taluni casi collegare anche il lento maturarsi di spunti di revisione e di ripensamento, quali emergeranno negli anni ’60, intorno alla linea di presenza assunta dalla chiesa nella società italiana lungo tutto l’arco degli anni del dopoguerra. Ma vescovi e clero — sembrerebbe troppo ovvio ri cordarlo se non fosse che spesso gli studiosi di storia contemporanea sembrano dimenticarsene — sono parte costitutiva di un’istituzione come la chiesa, in quegli anni saldamente strutturata in termini gerarchici e disciplinari, condizio nata sino in fondo dalle scelte e dalle direttive del papato, con una sua precisa linea dietro le spalle, con i suoi problemi e le sue prospettive per il futuro, allora assai preoccupante ed incerto: quelle differenze vanno dunque valutate e comprese in un più ampio contesto, che superi il momento soggettivo della sin gola scelta e del singolo giudizio, proprio per riuscire a comprendere quello che in fin dei conti interessa, il senso cioè e la direzione della linea assunta allora dalla chiesa — se linea appunto, e linea ancora saldamente unitaria ci fu, e non sconcerto, disgregazione, incertezza e tensione interna, come l’insistere solo 0 soprattutto sulle differenze potrebbe far supporre — . Intendo dire insomma che lo studio degli atteggiamenti della gerarchia e del clero italiani nel corso della Resistenza non può prescindere in alcun modo, per le caratteristiche, la natura, il modo di porsi in quegli anni dell’istituzione ecclesiastica, da quella che fu la posizione assunta dalla Santa Sede rispetto alla situazione italiana ed internazionale, nella misura in cui quegli atteggiamenti fanno parte di una storia più lunga e più vasta, non solo oggettivamente, ma anche nella consape volezza e nelle volontà stesse di coloro che allora variamente li assunsero e li portarono avanti. L ’accordo e l’alleanza tra la chiesa e il regime fascista non corrispose solo ad uno stato di necessità ma anche alla prospettiva concreta, per l’istituzione ec clesiastica, di servirsi del regime, « occupando » dall’interno le sue istituzioni per raggiungere in tal modo il miraggio non ancora abbandonato dello stato confessionale5. È espressivo di tale linea il giudizio, espresso da Pio X I nella Quadragesimo anno, sull’organizzazione corporativa introdotta in Italia, meri tevole di aver realizzato « la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l’azione moderatrice di una speciale magistratura ». I pericoli di statalismo e di burocraticismo presenti in essa saranno, secondo il papa, evitati, « quanto più largo sarà il contributo delle competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei principi cattolici e della loro pratica da parte, non dell’Azione cattolica (che non intende svolgere attività strettamente sindacali o politiche), ma da parte di quei figli Nostri che l’Azione cattolica squisitamente forma a quei principii ed al loro apostolato sotto la guida ed il magistero della Chiesa » 6. È chiaro cioè che nel pensiero di Pio XI all’Azione cattolica spettava la funzione di costituire il grande serbatoio di uo mini preparati ed obbedienti agli ordini della gerarchia, grazie ai quali riempire lentamente tutti i settori essenziali dell’organizzazione della società, secondo appunto quella prospettiva, volta a realizzare uno stato confessionale e ierocra- tico, che è essenziale per comprendere l’alleanza della Santa Sede con il fasci smo ed il suo tentativo di strumentalizzarlo ai propri fini. 1 contrasti che opposero chiesa e fascismo intorno all’Azione cattolica furono 5 Cfr. per questo Chiesa e fascismo, in Fascismo e società italiana, a cura di G. Quazza, Torino, 1973, pp. 185-208. 6 In Le encicliche sociali dei papi da Fio IX a Pio X II, a cura di I. Giordani, Roma, 1956, p. 466 sgg. Problemi di ricerca 45 duri contrasti che evidenziarono una precisa concorrenzialità, sottolineando dif ferenze di linea e di movimento (la chiesa non si identificò mai col regime): ma essi tuttavia non infirmarono l’alleanza di fondo né misero realmente in crisi la prospettiva che ad essa si connetteva (come recentemente ha voluto so stenere, per gli scontri del 1931, Renzo De Felice)7; ancor meno, contraria mente ad altre recenti interpretazioni8, essi mettono in luce tensioni e con trasti reali tra vertici ecclesiastici e laicato cattolico, salvo che non si vogliano privilegiare, da un punto di vista ideale ed astratto e non storico, posizioni isolate e marginali. Don Primo Mazzolari, tanto per fare un nome, costituisce indubbiamente un riferimento importante per la tradizione del cattolicesimo democratico ma non può essere occasione, nel suo profondo e reale isolamento, di generalizzazioni arbitrarie e mistificanti. Il clima e l’atteggiamento di fondo della chiesa e del cattolicesimo italiano di quegli anni sono attestati dai discorsi dei vescovi al tempo della guerra d’Etiopia e di quella di Spagna, da manifesta zioni come il pellegrinaggio a palazzo Venezia di più di cento vescovi e di due mila parroci nel febbraio del 1938, dal riconoscimento costante e insistito che « è vanto del Regime aver per il primo additato ai popoli il nuovo orienta mento politico-sociale corporativo ed aver accostato di più l’Italia alla conce zione cristiana nel suo indirizzo sociale » 9, dall’affermazione ribadita e diffusa che è stata ed è benemerenza indimenticabile del fascismo l’aver opposto un valido baluardo contro il comunismo ateo 10. Si tratta di un clima e di un atteg giamento di fondo non infirmati da atteggiamenti marginali di dissenso né da intermittenti tensioni e scontri, talvolta anche aspri, ma che appaiono general mente legati a ragioni di concorrenzialità per quanto riguarda l’influenza sui gruppi sociali e la capacità di organizzarli e di controllarli, o a motivi di presti gio locale, o a divergenze sul costume e la moralità pubblica (le polemiche sui balli dopolavoristici e domenicali), non tali insomma da incrinare profon damente e durevolmente le basi complessive dell’incontro e dell’accordo. In sisto su tutto ciò non per amore di polemica o per una pur necessaria esigenza — così spesso e a torto considerata fastidiosa al dibattito politico — di pre cisione filologica e documentaria, e di distinzione tra primario e secondario, ma soprattutto perché si tratta di una premessa essenziale per comprendere l’atteggiamento della chiesa e del mondo cattolico italiano nel corso della guer ra e negli stessi anni del dopoguerra. Furono l’avvicinamento alla Germania nazista e soprattutto l’entrata in guerra dell’Italia a mettere progressivamente in discussione e poi in crisi la prospet tiva di fondo della politica italiana della chiesa, soprattutto nel momento in cui la debolezza sempre più manifesta del regime venne a rendere incerto il quadro istituzionale, politico e sociale che sarebbe prevalso nel caso di un suo probabile crollo o comunque alla fine del conflitto. Le preoccupazioni per un 7 Renzo de felice, Mussolini, il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974, p. 272 (ma vedi a p. 274 l’affermazione che la maggior parte dei cattolici non perse l’illu sione che il regime fosse uno stato fascista e cattolico insieme, dove viene appunto introdotta una distinzione, per questo complesso di problemi assai poco persuasiva e pertinente, tra « chiesa » e cattolici). 8 Cfr. in particolare Pietro scoppola, Introduzione a I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di P.