Problemi di ricerca sull’atteggiamento della chiesa durante la Resistenza *

È ancora prevalente, nel discorso storiografico sul clero e la Resistenza, la pro­ posta di una netta distinzione tra alto e basso clero: senza risalire alle note opere di Battaglia, Bocca, ecc., essa figura ancora presente, in termini precisi anche se attenuati, nel recente volume Operai e contadini nella crisi italiana del 1943-44 *. Ernesto Brunetta tuttavia ha giustamente rilevato come tale distin­ zione « resti riportabile a diversità di prudenza e di responsabilità piuttosto che a scelte di fondo [...] una volta che ovviamente sia accertata la prospettiva moderata [...] nella quale la Chiesa intende collocare la Resistenza»2. Ma il discorso, mi pare, richiede ancora ulteriori articolazioni e precisazioni. In que­ sto senso intende muoversi questa mia comunicazione, frutto marginale di un lavoro collettivo che da alcuni anni viene condotto presso l’Istituto regionale di sul rapporto chiesa-società ai confini orientali dal ventennio fa­ scista ai primi anni del dopoguerra 3. A bloccare l’analisi ai giorni e ai mesi della Resistenza sono indubbie e non irrilevanti le differenze tra alto e basso clero, ma anche all’interno dell’uno e dell’altro: ad una frangia relativamente ristretta di preti collaborazionisti schierati con la Repubblica sociale fa riscontro un notevole numero di preti militanti nelle schiere partigiane; tra gli stessi vescovi non mancano, sia pure in termini più sfumati, atteggiamenti diversi. Libertario Guerrini ha potuto distinguere, per i vescovi della Toscana, posizioni di grande varietà, che vanno dal filofascismo dei vescovi di Pienza-Chiusi e di Pisa al palese antifascismo del vescovo di Arezzo 4. Sono differenze di atteggiamenti e di esperienze che sarebbe mistificante non rilevare: perché espressive di scelte e di giudizi significativi nella storia dei diversi membri della gerarchia e del clero, scelte e giudizi ai

* Relazione letta a Belluno il 26 ottobre 1975 nell’ambito del convegno dedicato a Società e resistenza nelle Venezie. ' Cfr. ad es. Gianfranco bertolo, Le Marche, e libertario guerrini, La Toscana, in Operai e contadini nella crisi italiana del 1943/1944, Milano, 1974, pp. 293, 349. 2 II , in Operai e contadini, cit., p. 423. 3 II gruppo è costituito da sette persone: per il periodo ed i problemi qui trattati hanno collaborato particolarmente Loredana Alajmo, che si sta occupando della diocesi di dalla Resistenza al dopoguerra, e Anna Maria Vinci, che svolge analoga ricerca per Trieste e lTstria. 4 La Toscana, in Operai e contadini, cit., p. 347. 44 Giovanni Miccoli quali forse non è errato in taluni casi collegare anche il lento maturarsi di spunti di revisione e di ripensamento, quali emergeranno negli anni ’60, intorno alla linea di presenza assunta dalla chiesa nella società italiana lungo tutto l’arco degli anni del dopoguerra. Ma vescovi e clero — sembrerebbe troppo ovvio ri­ cordarlo se non fosse che spesso gli studiosi di storia contemporanea sembrano dimenticarsene — sono parte costitutiva di un’istituzione come la chiesa, in quegli anni saldamente strutturata in termini gerarchici e disciplinari, condizio­ nata sino in fondo dalle scelte e dalle direttive del papato, con una sua precisa linea dietro le spalle, con i suoi problemi e le sue prospettive per il futuro, allora assai preoccupante ed incerto: quelle differenze vanno dunque valutate e comprese in un più ampio contesto, che superi il momento soggettivo della sin­ gola scelta e del singolo giudizio, proprio per riuscire a comprendere quello che in fin dei conti interessa, il senso cioè e la direzione della linea assunta allora dalla chiesa — se linea appunto, e linea ancora saldamente unitaria ci fu, e non sconcerto, disgregazione, incertezza e tensione interna, come l’insistere solo 0 soprattutto sulle differenze potrebbe far supporre — . Intendo dire insomma che lo studio degli atteggiamenti della gerarchia e del clero italiani nel corso della Resistenza non può prescindere in alcun modo, per le caratteristiche, la natura, il modo di porsi in quegli anni dell’istituzione ecclesiastica, da quella che fu la posizione assunta dalla Santa Sede rispetto alla situazione italiana ed internazionale, nella misura in cui quegli atteggiamenti fanno parte di una storia più lunga e più vasta, non solo oggettivamente, ma anche nella consape­ volezza e nelle volontà stesse di coloro che allora variamente li assunsero e li portarono avanti. L ’accordo e l’alleanza tra la chiesa e il regime fascista non corrispose solo ad uno stato di necessità ma anche alla prospettiva concreta, per l’istituzione ec­ clesiastica, di servirsi del regime, « occupando » dall’interno le sue istituzioni per raggiungere in tal modo il miraggio non ancora abbandonato dello stato confessionale5. È espressivo di tale linea il giudizio, espresso da Pio X I nella Quadragesimo anno, sull’organizzazione corporativa introdotta in Italia, meri­ tevole di aver realizzato « la pacifica collaborazione delle classi, la repressione delle organizzazioni e dei conati socialisti, l’azione moderatrice di una speciale magistratura ». I pericoli di statalismo e di burocraticismo presenti in essa saranno, secondo il papa, evitati, « quanto più largo sarà il contributo delle competenze tecniche, professionali e sociali e più ancora dei principi cattolici e della loro pratica da parte, non dell’Azione cattolica (che non intende svolgere attività strettamente sindacali o politiche), ma da parte di quei figli Nostri che l’Azione cattolica squisitamente forma a quei principii ed al loro apostolato sotto la guida ed il magistero della Chiesa » 6. È chiaro cioè che nel pensiero di Pio XI all’Azione cattolica spettava la funzione di costituire il grande serbatoio di uo­ mini preparati ed obbedienti agli ordini della gerarchia, grazie ai quali riempire lentamente tutti i settori essenziali dell’organizzazione della società, secondo appunto quella prospettiva, volta a realizzare uno stato confessionale e ierocra- tico, che è essenziale per comprendere l’alleanza della Santa Sede con il fasci­ smo ed il suo tentativo di strumentalizzarlo ai propri fini. 1 contrasti che opposero chiesa e fascismo intorno all’Azione cattolica furono

5 Cfr. per questo Chiesa e fascismo, in Fascismo e società italiana, a cura di G. Quazza, Torino, 1973, pp. 185-208. 6 In Le encicliche sociali dei papi da Fio IX a Pio X II, a cura di I. Giordani, Roma, 1956, p. 466 sgg. Problemi di ricerca 45 duri contrasti che evidenziarono una precisa concorrenzialità, sottolineando dif­ ferenze di linea e di movimento (la chiesa non si identificò mai col regime): ma essi tuttavia non infirmarono l’alleanza di fondo né misero realmente in crisi la prospettiva che ad essa si connetteva (come recentemente ha voluto so­ stenere, per gli scontri del 1931, Renzo De Felice)7; ancor meno, contraria­ mente ad altre recenti interpretazioni8, essi mettono in luce tensioni e con­ trasti reali tra vertici ecclesiastici e laicato cattolico, salvo che non si vogliano privilegiare, da un punto di vista ideale ed astratto e non storico, posizioni isolate e marginali. Don Primo Mazzolari, tanto per fare un nome, costituisce indubbiamente un riferimento importante per la tradizione del cattolicesimo democratico ma non può essere occasione, nel suo profondo e reale isolamento, di generalizzazioni arbitrarie e mistificanti. Il clima e l’atteggiamento di fondo della chiesa e del cattolicesimo italiano di quegli anni sono attestati dai discorsi dei vescovi al tempo della guerra d’Etiopia e di quella di Spagna, da manifesta­ zioni come il pellegrinaggio a palazzo Venezia di più di cento vescovi e di due­ mila parroci nel febbraio del 1938, dal riconoscimento costante e insistito che « è vanto del Regime aver per il primo additato ai popoli il nuovo orienta­ mento politico-sociale corporativo ed aver accostato di più l’Italia alla conce­ zione cristiana nel suo indirizzo sociale » 9, dall’affermazione ribadita e diffusa che è stata ed è benemerenza indimenticabile del fascismo l’aver opposto un valido baluardo contro il comunismo ateo 10. Si tratta di un clima e di un atteg­ giamento di fondo non infirmati da atteggiamenti marginali di dissenso né da intermittenti tensioni e scontri, talvolta anche aspri, ma che appaiono general­ mente legati a ragioni di concorrenzialità per quanto riguarda l’influenza sui gruppi sociali e la capacità di organizzarli e di controllarli, o a motivi di presti­ gio locale, o a divergenze sul costume e la moralità pubblica (le polemiche sui balli dopolavoristici e domenicali), non tali insomma da incrinare profon­ damente e durevolmente le basi complessive dell’incontro e dell’accordo. In­ sisto su tutto ciò non per amore di polemica o per una pur necessaria esigenza — così spesso e a torto considerata fastidiosa al dibattito politico — di pre­ cisione filologica e documentaria, e di distinzione tra primario e secondario, ma soprattutto perché si tratta di una premessa essenziale per comprendere l’atteggiamento della chiesa e del mondo cattolico italiano nel corso della guer­ ra e negli stessi anni del dopoguerra. Furono l’avvicinamento alla Germania nazista e soprattutto l’entrata in guerra dell’Italia a mettere progressivamente in discussione e poi in crisi la prospet­ tiva di fondo della politica italiana della chiesa, soprattutto nel momento in cui la debolezza sempre più manifesta del regime venne a rendere incerto il quadro istituzionale, politico e sociale che sarebbe prevalso nel caso di un suo probabile crollo o comunque alla fine del conflitto. Le preoccupazioni per un

7 Renzo de felice, Mussolini, il duce. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino, 1974, p. 272 (ma vedi a p. 274 l’affermazione che la maggior parte dei cattolici non perse l’illu­ sione che il regime fosse uno stato fascista e cattolico insieme, dove viene appunto introdotta una distinzione, per questo complesso di problemi assai poco persuasiva e pertinente, tra « chiesa » e cattolici). 8 Cfr. in particolare Pietro scoppola, Introduzione a I cattolici tra fascismo e democrazia, a cura di P. Scoppola e F. Traniello, Bologna, 1975, p. 14 sgg. ’ Così — ma gli esempi a livello di pubblicistica sono innumerevoli — l. g. b. nigris, Panorama della Russia e noi (conferenza letta alla Scuola di cultura cattolica di Udine il 28 febbraio 1937, XV), Udine, 1937, p. 52. 10 Anche qui gli esempi (a livello di pastorali vescovili e di pubblicistica) sono numero­ sissimi, si può dire dal 1923-24 in poi: cfr. tra i tanti, Lettera pastorale collettiva dell’epi­ scopato della regione triveneta - Il pericolo del comuniSmo (24 gennaio 1937), p. 8. 46 Giovanni Miccoli indebolimento del « cordone sanitario » intorno all’Unione Sovietica e per una espansione del comuniSmo attraverso gli eserciti sovietici sono presenti in Va­ ticano fin dall’inizio della guerra, insieme al timore del verificarsi all’interno di sovversioni comuniste, che le distruzioni causate dal conflitto avrebbero po­ tuto favorire u. Tali preoccupazioni e tali timori ancora relativamente astratti e teorici per dir così fra ’39 e ’40 — ma non per questo meno pressantemente condizionanti la politica vaticana — erano divenuti ben concreti e reali alcuni anni dopo, anche riguardo alla stessa situazione italiana. Tra il 1942-’43 la Santa Sede si candida come punto di riferimento essenziale degli alleati anglo-ameri­ cani per mantenere sotto controllo la situazione interna del paese, mentre pa­ rallelamente procede ad una vasta e capillare mobilitazione delle « energie cat­ toliche » per poter disporre di un’ampia massa di manovra in grado di far fronte alle diverse evenienze. « Non lamento, ma azione è il precetto dell’ora » aveva proclamato Pio X II nel celebre radiomessaggio del Natale 1942, che in­ vitava i fedeli cattolici all’impegno nella « crociata sociale » per la costruzione di un nuovo « ordine interno delle nazioni » 11 12. Gli echi tra le file dell’ACI fu­ rono immediati e profondi13, lungo una linea volta a sottolineare, nell’impegno di preparazione e di studio, la piena e unitaria obbedienza agli ordini presenti e futuri del papa. Di fronte alle prospettive politiche del futuro, definite espli­ citamente confuse ed incerte, vengono ribaditi il valore coagulante per i cat­ tolici dell’obbedienza alla gerarchia e al papa, il posto e la funzione che in questo senso, anche nell’ipotesi di futuri dissensi fra i cattolici, spetteranno alle associazioni di Azione cattolica:

L’unità di pensiero, di sentimenti e di azione è, grazie a Dio, una tradizione luminosa della Gioventù; il Papa ne fa l’elogio — come fate. — C’è una meravigliosa compattezza oggi come nel passato. Ma possono giungere i momenti di prova, di perplessità, d’indecisione e di facile disorien­ tamento. Vi è tutto un mondo che si prepara a trasformazioni profonde nel travaglio della guerra; dopo le rovine dell’oggi s’impone la ricostruzione del domani. Su quali basi, con quali mezzi? Pio XII indica paternamente la luce che illumina in ogni tempo la via: la parola dei vescovi e soprattutto il magistero del Vicario di Cristo. Guardare al Papa, ascol­ tare il Papa, seguire il Papa, con filiale disciplina, anche quando le sue direttive non coinci­ dono con le nostre vedute e preferenze. Non solo i comandi ma gli stessi desideri del Papa saranno sempre accolti con gioia e attuati con prontezza e lealtà. [...]. Queste ore d’incertezza e di dissenso fra gli stessi cattolici potrebbero tornare domani; i giovani non si lasceranno trascinare da nessun uomo anche benemerito, e da nessuna cor­ rente anche se apparentemente bella e seducente; leveranno gli occhi verso la Sede di Pietro e si metteranno in ascolto: Che dice il Papa? La Sua augusta parola sarà ancora e sempre l’unica norma della loro condotta 14. All’esplicita e pubblica denuncia e alla messa in guardia contro i pericoli di una sovversione interna comunista 15, fa riscontro una discreta azione diplomatica

11 Cfr. riferimenti in Giovanni miccoli, Santa Sede e Terzo Reich, in L’altra Europa, To­ rino, 1967, p. 120 sgg. 12 In Le encicliche sociali, cit., p. 760. 13 Cfr. riferimenti in teodoro sala, Un’offerta di collaborazione dell’Azione cattolica ita­ liana al governo Badoglio (agosto 1943), in «Rivista di storia contemporanea», a. IV, 1972, p. 519 sgg. 14 Federico sargolini, Il valore di un documento, in « L ’Assistente ecclesiastico », a. XIII, 1943, p. 136 (è un commento alla lettera apostolica indirizzata alla GIAC nel marzo ’43). ls Cfr. in particolare, il discorso di Pio XII ad un pellegrinaggio di operai del 13 giugno 1943 (in Le encicliche sociali, cit., p. 772 sgg.), e una dichiarazione del cardinale Schuster ai fedeli della diocesi di Milano del 30 marzo dello stesso anno (in « La civiltà cattolica », a. 94, voi. II, 1943, p. 117 sgg.). Per le orripilanti notizie su giuramenti terribili e attività di corruzione morale diffuse nello stesso periodo da « L ’Assistente ecclesiastico », vedi più avanti p. 54 sg. Problemi di ricerca 47 del Vaticano presso gli alleati occidentali vòlta sia a sottolineare la gravità di quegli stessi pericoli sia a suggerire o comunque appoggiare una soluzione « autoritaria » per la crisi italiana, che si ritiene ormai prossima. Non è senza significato che, nel maggio ’43, tra i nomi che il Vaticano pensa di proporre agli americani come capi di un futuro nuovo governo, figurino quelli del ma­ resciallo Caviglia e di Luigi Federzoni16; anche se poi si limiterà a sostenere l’opportunità di mantenere il « regime monarchico » come « il più confacente alle esigenze, agli usi e all’indole del popolo italiano », lasciando insieme al re « la responsabilità di scegliere la persona cui spetterebbe il compito di presie­ dere il governo fino al ritorno della piena normalità » 17 18. A parte l’ironia, certo involontaria, della motivazione addotta al riguardo (« perché governanti im­ posti da altri non sarebbero certamente graditi al popolo italiano »), è evi­ dente che in quei mesi la Santa Sede tenta in ogni modo di garantire una so­ stituzione indolore del fascismo che assicuri nella sostanza il mantenimento del quadro politico-istituzionale esistente, ed eviti insieme un brusco affer­ marsi di un personale politico antifascista 1S. È indubbio che sul piano dei dati di fatto, delle mosse e contromosse diploma­ tiche, delle pressioni e delle informazioni, non pochi restano i punti oscuri che avvolgono l’intrecciarsi e il sovrapporsi dei diversi progetti e delle varie ini­ ziative formulati in quei mesi per allontanare Mussolini dal governo: ma è certo che pur con enorme prudenza e discrezione la Santa Sede si mosse già allora e si configurò con piena consapevolezza 19 20 come componente essenziale di garanzia per una soluzione moderata della crisi italiana tanto rispetto al con­ testo interno che di fronte a quello internazionale. I termini dell’offerta di col­ laborazione che Luigi Gedda, presidente della Gioventù italiana d’azione catto­ lica, presentò al ministero Badoglio x, proponendo il personale dell’ACf per co­ prire posti di direzione e di responsabilità all’interno dei numerosi enti sotto­ posti più o meno direttamente al partito fascista (opere della GIL, Opera nazionale dopolavoro, ECA, ONMI, GUF, EIAR ecc.) dicono molto sulla per­ sistenza di una prospettiva di fondo di poter occupare — pur in una situazione profondamente mutata e così difficile — gli spazi creati ed ora lasciati liberi dal fascismo con uomini controllati direttamente dalla gerarchia ecclesiastica. Gedda sottolineava nella sua lettera l’importanza di « controbattere la propa­ ganda sovversiva del fuoruscitismo comunista » e in quegli stessi giorni del­ l’agosto ’43 la Segreteria di stato individuava già con estrema lucidità nel pro­ babile fallimento del tentativo di sottrarre in modo indolore l’Italia dalla guer­ ra il pericolo del formarsi di condizioni tali da determinare « uno stato d’animo molto pericoloso, perché potrebbe sfociare nel comuniSmo » 21. II tentativo Badoglio di realizzare una sorta di pacifica successione del fascismo in termini autoritari, sottraendo insieme l’Italia dal conflitto, viene travolto e fallisce con l’8 settembre. Si apre così una situazione estremamente confusa e

16 Cfr. Le Saint Siège et la guerre mondiale (nov. 1942-déc. 1943), in Actes et documents du Saint Siège relatifs à la seconde guerre mondiale, vol. V II, Città del Vaticano, 1973, p. 365. 17 Ibid., p. 362. 18 Significativa la diffidenza nei confronti dei fuorusciti antifascisti che il Vaticano cercò di inculcare negli alleati anglo-americani: cfr., ad es. Le Saint Siège, cit., nrr. 46, 153, pp. 130 sgg., 280 sg. 19 Numerosi indizi in questo senso in Le Saint Siège, cit.: cfr., ad es., nrr. 181, 187, pp. 318 sgg., 332 sgg. 20 In t. sala, Un’offerta di collaborazione, cit., p. 530 sgg. 21 Le Saint Siège, cit., nr. 327, p. 539. 48 Giovanni Miccoli difficile per la Santa Sede, sempre più chiaramente preoccupata del pericolo che anche in Italia si realizzasse una « sovversione comunista », in un contesto internazionale nel quale la presenza sovietica si veniva profilando come essen­ ziale e decisiva per le prospettive del dopoguerra22. La mobilitazione delle « energie cattoliche » presenti nella società italiana si manifesta perciò in una serie di iniziative e di interventi più o meno variamente sollecitati, approvati, guidati (e talvolta anche solo tacitamente tollerati) dalla gerarchia, sia per ga­ rantirsi in vario modo e con ricchezza di articolazioni di fronte alle oscure e incerte prospettive del futuro, sia per cominciare ad apprestare gli strumenti più idonei ed opportuni di presenza attiva nel corpo sociale al fine di mantenere in piedi, se non ancora la precedente prospettiva di una sua integrale conquista, almeno la possibilità di un suo saldo controllo e reale condizionamento. Non c’è dubbio — lo si è già accennato all’inizio — che soprattutto nella par­ te del paese sottoposto all’occupazione tedesca il « mondo cattolico » si espres­ se con una grande ricchezza di interventi, di articolazioni e di proposte, in una varietà reale di esperienze e di indicazioni che sarebbe errato e mistifi­ catorio disconoscere. Ma è indubbio anche che tale varietà, in quei mesi e in quegli anni di grandi incertezze e di estremi timori per la Santa Sede e per l’intera istituzione ecclesiastica italiana, trovò allora una sua oggettiva e rea­ le ricomposizione unitaria nella linea di fondo della gerarchia, che promosse o accettò una così ampia articolazione di spunti, tensioni e iniziative, proprio come garanzia del sussistere o del profilarsi di una serie di strumenti di pre­ senza e di intervento più o meno efficaci nella soicetà italiana: pronta peraltro a tagliare seccamente e troncare o comunque orientare diversamente quel tipo di esperienze che, chiarificatasi la situazione, si fossero rivelate pericolose, inu­ tili, superate rispetto agli strumenti rivelatisi più idonei ed efficaci in una situazio­ ne meno fluida ed incerta. Non si tratta insomma di sottovalutare il significato che sul piano della maturazione soggettiva ebbe l’attiva partecipazione nelle file della Resistenza di numerosi membri del clero e del laicato cattolico 23 ; né si vuole disconoscere la diversità esistente tra il maturarsi di queste esperienze e di queste scelte e quelle dell’episcopato e di gran parte dello stesso clero, bloc­ cati su posizioni di attesa, di carità e di soccorso individuale. Ma ciò che non può non essere rilevato, se si vuole comprendere realmente l’intrecciarsi e l’affrontarsi complessivo delle forze e delle tendenze in campo, è che quelle di­ versità rientravano in una linea unitaria che trova la sua ragione (e la sua forza d’impatto e il suo spessore) nella coesione dell’istituzione ecclesiastica, nella sua consapevolezza, in quel momento, della necessità di disporsi a ventaglio,

22 Ibid., p. 282, 378 e sgg., 590, 593. a Un censimento dei materiali — utile ma del tutto insufficiente dal punto di vista del­ l’analisi critica — sulla presenza del clero e dei cattolici nella Resistenza, in Gianfranco bianchi, I cattolici, in Azionisti cattolici e comunisti nella Resistenza, Milano, 1971, pp. 151-300. Un indubbio importante arricchimento per quanto riguarda l’individuazione e la raccolta del materiale documentario è costituito dal recentissimo volume II clero toscano nella Resistenza, Atti del Convegno - Lucca 4-6 aprile 1975, Firenze, 1975, pp. XIV-382. Si tratta di una numerosa serie di contributi — quasi sempre fondati su ricerche di prima mano — dei quali gli studi sulla Resistenza dovranno tenere attento conto. Ma anche qui le relazioni generali di Silvio tramontin, Il clero italiano e la Resistenza, pp. 13-52, e di r. angeli, Motivazioni dell’impegno del clero toscano nella Resistenza, pp. 241-262, non vanno generalmente oltre alla rilevazione degli atteggiamenti individuali, degli interventi e dei casi singoli, anche numerosi e spesso eroici, che tuttavia non possono non essere, in sede di ricostruzione e di giudizio storico, inquadrati in una linea ed in una prospettiva più am­ pie, per i caratteri stessi dell’istituzione « chiesa » nella quale quegli atteggiamenti e quegli interventi trovavano collocazione. Problemi di ricerca 49 muovendosi su più tastiere, proprio per poter fronteggiare, non esternamente, ma con un’articolata presenza alPinterno del corpo sociale, ogni tendenza eversiva e di radicale rottura che emergesse in esso. La Segreteria di stato e lo stesso pontefice prospettarono separatamente, tra il 13 e il 19 ottobre 1943, agli ambasciatori tedesco e inglese e al sostituto del rappresentante personale del presidente Roosevelt presso la Santa Sede, il pe­ ricolo che Roma, se evacuata dai tedeschi senza un immediato arrivo degli eser­ citi alleati, potesse cadere in mano di « elementi turbolenti specialmente comu­ nisti »: « dopo lo scioglimento dell’Arma dei Carabinieri, le forze di polizia qui rimaste sono insufficienti e se, come si vocifera, venissero anche ridotte, si tro­ verebbero nell’impossibilità di prevenire e reprimere un moto insurrezionale comunista » 24. L ’invito a prendere adeguate misure o a raggiungere un accordo al riguardo si saldava con la linea che in quegli stessi giorni il segretario della nunziatura d’Italia prospettava al maresciallo Graziani come caratteristica del clero romano in quelle difficili circostanze: « II clero compie il proprio dovere sacerdotale inculcando la calma, la tranquillità, l’ordine, per fare in modo che azioni inconsulte non producano gravi rappresaglie a danno di tanti innocenti e dell’intera popolazione » 2S. Ma entrambi questi atteggiamenti non sono che il preannuncio di una linea e di una serie di appelli e di iniziative che punteggeranno l’azione della gerarchia e di gran parte del clero dell’Italia centro-settentrionale, da quei mesi fino a tutto l’aprile 1945: appelli e iniziative di pacificazione e di concordia, racco­ mandazioni di osservare le norme emanate dalle autorità, di evitare sabotaggi e violenze che potrebbero coinvolgere vittime innocenti si succedono un po’ dovunque con variazioni di tono che non incidono sulla sostanza della linea proposta26: l’evidenza delle preoccupazioni pastorali e di carità che animano tali proposte non può esimere dal rilevare che tale linea corrispondeva pie­ namente a quell’impegno di evitare movimenti eversivi e di massa, facil­ mente dominati dall’iniziativa comunista, quale traspare costantemente nei pro­ nunciamenti della gerarchia; così come questi inviti all’attesa e alla modera­ zione si saldano con le sollecitazioni a prepararsi ad essere presenti per fronteg­ giare nella lotta politica di domani quelle stesse tendenze e movimenti: « È [...] dovere dei cattolici di prepararsi e di organizzarsi nelle forme statutarie, per rendersi idonei a partecipare alla vita e al governo nazionale, perché il loro posto non sia preso da partiti antinazionali, bolscevichi o comunque anticatto­ lici, i quali non procurerebbero davvero il bene del popolo, ma gli interessi del partito » 27. E in tali inviti a prepararsi e ad essere presenti rientra anche quella sorta di via libera chiaramente lasciata ai singoli membri del clero di militare nel movimento partigiano. All’estrema varietà degli atteggiamenti e delle scel­ te immediate corrisponde una sostanziale unità intorno ad alcuni temi di fondo e ad alcune esigenze e prospettive considerate primarie. Così come le diverse motivazioni e sollecitazioni che intervengono a formare tale linea variegata (ma insisterei: sostanzialmente unitaria però nella consapevolezza, reale e profonda

24 Le Saint Siège, cit., nrr. 433-35, pp. 668 sgg. 25 Ibid., nr. 440, p. 677. 26 Cfr. esempi in luigi ganapini, I cattolici nella crisi del 1943. Il caso di Milano, in « Il Movimento di liberazione in Italia », a. XXIV, f. 109, 1972, p. 48; cfr. anche G. villani, Il ve­ scovo Elia Dalla Costa, Firenze, 1974, pp. 193 sgg. (ma cfr. ora, per un’interessante prospettiva su questa rilevante figura dell’episcopato italiano, b. bocchini-camaiani, Per un profilo storico del card. Elia Dalla Costa, in II clero toscano, cit., pp. 93-108). 27 In l. ganapini, I cattolici nella crisi del 1943, cit., p. 50. 50 Giovanni Miccoli consapevolezza, della necessità, in quelle difficili circostanze, di tali articolazioni) non comportano contraddizioni reali all’interno dell’istituzione ecclesiastica, nel­ la misura in cui si ricompongono in un disegno che privilegia la tutela del suo ruolo e la costante riafiermazione della sua capacità, unica e perenne, di offrire risposte adeguate ai bisogni del corpo sociale. Il catechismo sul comuniSmo pubblicato dal cardinale Schuster nell’agosto 1943 e poi ancora nel febbraio 1944 non è solo un rozzo centone di luoghi co­ muni della vecchia propaganda clerico-fascista (carattere antinazionale del co­ muniSmo, di distruttore della famiglia, suoi legami con l’ebraismo massonico ecc.): esso prospetta insieme una precisa linea di alleanze candidando la chiesa a divenire punto di riferimento di tutte le forze moderate perché irriducibilmen­ te avversa al comuniSmo e perciò pilastro dell’ordine sociale: Il nostro suolo italico non cela grandi ricchezze naturali, come la Russia, la Cina, ecc. ecc. Per vivere, noi abbiamo bisogno di importare ed esportare; per esportare, noi abbiamo bi­ sogno di molto produrre; per produrre molto, noi abbiamo bisogno di grandi impresari, di industriali, di coloro che mettano dei grandi capitali a profitto della classe dei lavoratori. La Lombardia, è grande soprattutto per la sua fede ambrosiana e per l’industria dei suoi grandi e fiorenti stabilimenti. Senza queste due condizioni la Lombardia è rovinata. Senza religione non c’è famiglia. Senza capitale non c’è lavoro; senza lavoro c’è la pallida fame... Generalmente le diverse rivoluzioni comuniste assumono un deciso e violento carattere anti­ religioso, perché la più valida barriera contro quelle ideologie viene opposta dalla dottrina cattolica, che è immutabile e divina28.

L’atteggiamento della gerarchia ecclesiastica al confine orientale

Se tale è la tendenza generale delle indicazioni emergenti dagli atteggiamenti e dalle prese di posizione della Santa Sede e delle gerarchie ecclesiastiche del­ l’Italia centro-settentrionale, precisazioni, conferme e approfondimenti di un certo interesse provengono dalle ricerche e dai sondaggi finora compiuti a li­ vello locale per quanto riguarda le diocesi poste ai confini orientali (Udine, Go­ rizia, Trieste, Parenzo-Pola, e Fiume). Per ovvie necessità di tempo mi limiterò soltanto ad alcuni limitati e sommari riferimenti: un invito soprattutto alla di­ scussione. Le fonti sulle quali si può operare, oltre che dalla stampa ufficiale e dalla documentazione pubblica, e dagli atti delle prefetture, sono costituite, per quelle di provenienza ecclesiastica, da epistolari, libri storici parrocchiali, testi­ monianze orali di sopravvissuti: un materiale di grande interesse — anche se non sempre e dovunque egualmente accessibile — soprattutto per le sollecita­ zioni e i suggerimenti che è in grado di offrire sulle tendenze profonde, sulla cultura e sulla mentalità presenti e operanti nel corpo ecclesiastico. Il pericolo, sempre in agguato quando si parla di storia contemporanea, è di cadere in una cronaca spicciola, ma scarsamente illuminante in quelle mille storie individuali che tali fonti, per la quotidianità stessa della loro dimensione e delle loro no­ tazioni, tendono irresistibilmente a suggerire; da ciò anche Fimportanza e la ne­ cessità di non perdere mai di vista il contesto più ampio, quel più vasto insie­ me di questioni e di vicende, di tendenze e di prospettive nelle quali quelle storie e quei momenti particolari trovano la loro precisa e reale collocazione. La linea e la posizione della chiesa nelle diocesi del confine orientale presenta alcuni aspetti e problemi caratteristici, strettamente collegati alle particolari

28 In « Rivista diocesana milanese », a. XXXIII, 1944, p. 46 (devo le fotocopie del testo alla cortesia di L. Ganapini). Problemi di ricerca 51 vicende e situazioni della regione. I rapporti della chiesa con il regime erano stati segnati da gravi contrasti e tensioni in ordine alla pesante politica di snazionalizzazione perseguita dal fascismo nei confronti delle popolazioni slo­ vena e croata, compattamente presenti in vaste zone della regione29. Le di­ missioni dell’arcivescovo di , Francesco Borgia Sedej, nell’ottobre del 1931, e la sostituzione del vescovo di Trieste Luigi Fogar, nell’estate del 1936, costituiscono gli episodi più clamorosi di una lunga lotta, sotterranea e ad in­ termittenze pubblica, che mirava ad allineare le gerarchie episcopali alla poli­ tica del regime e a colpire insieme il clero sloveno e croato, reo di rifiutarsi alla rinuncia all’uso della propria lingua nell’esercizio dell’attività pastorale30. Ma tale lotta — ed è questo forse il suo aspetto più significativo anche se meno noto — non vede tanto una contrapposizione tra chiesa e regime quanto piut­ tosto schieramenti e lacerazioni che passano all’interno dell’istituzione ecclesia­ stica, profondamente divisa sull’atteggiamento da tenere nei confronti della politica fascista; monsignor Fogar cade anche perché sostanzialmente isolato tra le gerarchie episcopali ed il clero italiano della regione31. È un aspetto questo cui qui si può soltanto accennare, ma che è essenziale tenere presente per capire la situazione che si determina nel corso della guerra. Ad un episco­ pato e ad un clero italiano conquistati sostanzialmente anche per questi proble­ mi alla politica del regime, fa riscontro un clero sloveno e croato da lunghi anni sottoposto a ricatti, pressioni e minacce, non di rado in aperta e dura polemica con i propri vescovi per i cedimenti di cui li si accusava di fronte alla politica snazionalizzatrice del fascismo 32. L ’attacco alla Jugoslavia, l’annessione della provincia di Lubiana e il rapido formarsi di un movimento partigiano jugoslavo, che investi anche le zone slo­ vene e croate comprese nei vecchi confini, complicarono ulteriormente la situazione. Nell’estate del ’42 la guerra partigiana coinvolge ormai sino in fondo il Carso goriziano e triestino, aprendo nuove tensioni e contraddizioni all’interno del­ l’istituzione ecclesiastica: perché quel movimento partigiano è certamente an­ che movimento di riscossa nazionale, capace quindi di suscitare consensi e sim­ patie tra il clero slavo; ma esso appare anche caratterizzato dall’egemonia comu­ nista, ragione sufficiente di diffidenze, timori, e ostilità, che si richiamano ai giu­

29 Cfr. su questo l. cerm elj, Sloveni e croati in Italia tra le due guerre, Trieste, 1974 (trad. it. dal testo sloveno del 1965), pp. 177 sgg.; ma vedi anche Note sull’episcopato di mon­ signor Luigi Fogar (1924-1936), in «Chiesa e società. Quaderni di dibattito storico-politico», a. I, 1973, pp. 2-11. Per la situazione generale della regione resta fondamentale elio apih, Italia, fascismo e antifascismo nella Venezia Giulia (1918-1943), Bari, 1966. 30 Che tale fosse la ragione principale della persecuzione cui il clero sloveno e croato veniva sottoposto risulta dalle stesse ammissioni delle pubbliche autorità del tempo: cfr. ad es. il documento cit. in Note sull’episcopato di mons. Luigi Fogar, cit., p. 6. Significativo anche l’esplicito riconoscimento in questo senso contenuto in un documento degli inizi del 1945 della Direzione generale dei culti destinato ad una commissione predisposta dal mini­ stero degli Esteri e da quello dellTnterno con l’incarico di studiare la questione dei con­ fini orientali: « La causa principale e originaria di tutte le discordie nasceva dalla vexata quaestio della lingua e, più precisamente, dalla questione dell’uso, da parte del clero, del­ l’idioma sloveno nelle funzioni religiose e nell’insegnamento del catechismo, nel quale uso i gerarchi politici locali volevano identificare una concreta sistematica manifestazione d’italo- fobia e d’irredentismo politico» (ACS, Fondo Credaro, Trento, 1898-1922, 1-27, b. 34, fase. 6, p. 5). Devo la segnalazione di tale documento al dott. Silvio Benvenuti. 31 Cfr. su questo punto la tesi di laurea di F. belci, Aspetti e problemi dell’episcopato di monsignor Fogar (1924-1926), Università di Trieste, facoltà di Lettere, a. 1974-75. 32 Una significativa anche se incompleta documentazione in questo senso è stata raccolta da l. cerm elj, Il vescovo Antonio Santin e gli sloveni e croati delle diocesi di Fiume e Trieste-Capodistria, Ljubljana, 1953, pp. 30 sgg., 86 sgg. 52 Giovanni Miccoli dizi e ai pronunciamenti del papa e della gerarchia degli anni precedenti33. È una situazione questa del resto sulla quale il regime tentò di giocare con espli­ cita consapevolezza le proprie carte, non senza trovare sensibile risposta tra l’episcopato, e creare dubbi, incertezze, talvolta adesione, tra lo stesso clero sloveno. È significativo come già nell’agosto 1942 l’arcivescovo di Gorizia Mar­ gotti segnali in un memoriale trasmesso alla Segreteria di stato l’attiva presen­ za di cellule partigiane comuniste in tutta la diocesi, ma anche la pericolosità di un sistema di repressione sistematica quale quello attuato dalle autorità politi­ che e militari34. Poche settimane dopo lo stesso Margotti prospetta alla prefet­ tura di Gorizia la possibilità, suggeritagli da un alto ufficiale italiano, di costi­ tuire in ogni paese una guardia civica formata da elementi del posto in grado, proprio per questo, di essere impiegati efficacemente « nella ricerca e nella re­ pressione delle bande comuniste e partigiane » 3S: era fi metodo delle « guardie bianche » largamente applicato nella provincia di Lubiana, con l’appoggio e il consenso di una parte preponderante di quel clero36. Più difficile è invece chiari­ re atteggiamenti e posizioni del clero slavo nelle diocesi giuliane, diviso proba­ bilmente tra il richiamo anticomunista, al quale restava indubbiamente sensi­ bile, e la pesante esperienza di persecuzione nazionale cui da un ventennio era ormai sottoposto e che in quelle circostanze giocava come potente fattore di coesione e di unità con le forze della Resistenza37. Il crollo del fascismo, la crisi del settembre e la costituzione dell’Adriatisches Küstenland compficò ulteriormente una situazione già tesa e difficile: perché l’organizzazione su larga scala di un movimento partigiano italiano, soprattutto nel , articolato progressivamente nelle sue componenti garibaldina e oso- vana, si incontrò e si accompagnò con un movimento partigiano sloveno e croato che, nel momento in cui si quahficava anche come movimento di riscossa e di rinascita nazionale, veniva a rappresentare anche la risposta antagonistica alla linea sopraffatrice del fascismo, non a torto identificato tout court, in quel­ le zone e in quelle circostanze, con il dominio di classe dello stato italiano. L ’im­ provvisa e « spontanea » rivolta contadina che insanguinò, con le prime foibe,

33 Cfr. ad es., per restare appunto in un ambito locale, la lettera pastorale collettiva del­ l ’episcopato triveneto sul comuniSmo del 24 gennaio 1937 cit. a n. 10. 31 Institut za zgodovino delavskega gibanja, Ljubljana, Questura di Gorizia, 1034, a. II (il promemoria è del 7 agosto 1942; ad esso è acclusa una lettera di analogo tenore di due esponenti del clero sloveno, mons. I. Valentinicic e mons. A. Paolica, del 10 agosto; entram­ bi i testi pervennero, attraverso la nunziatura, al ministero degli Esteri e da questo furono trasmessi al ministero dell’Interno e alla prefettura di Gorizia con lettera del 15 settem­ bre 1942). 35 La lettera è pubblicata da t. sala, Gorizia 1942: il secondo fronte partigiano al con­ fine orientale nelle relazioni di polizia e dei comandi militari italiani, in « Il movimento di liberazione in Italia», a. XXV, f. I l i , 1973, pp. 55 e 60 sgg. Del tutto elusivo e insoddisfa­ cente, per questo come per molti altri aspetti dell’attività pubblica di monsignor Margotti, e . marcon, Mons. Carlo Margotti arcivescovo di Gorizia, Cividale, 1957. 36 Su questo cfr. F. saje, Zlocin nad domovino, I, Belogardizem, Ljubljana, 1952. In quello straordinario documento che è il suo diario partigiano edvard kocbek scrive del clero slo­ veno: « Ho capito ancora una volta che in i preti, nella grande maggioranza, si comportano in modo immaturo, più o meno da bambini, in un modo impensabile per dei rappresentanti di una concezione così antica, saggia e ricca di esperienza » {« Compagnia » la resistenza partigiana in Slovenia, trad. it., Milano, 1975, p. 39). Il riferimento è al clero sloveno e non vale certo per chiarire la linea dell’istituzione ecclesiastica; ma mi sembra tuttavia offrire ugualmente una prospettiva illuminante, anche di tipo più generale, per co­ gliere alcuni aspetti dell’atteggiamento di molti singoli preti nel corso della Resistenza. 37 Per la tematica anticomunista significativa la lettera dei due prelati sloveni di Gorizia cit. a n. 34. Si tratta comunque di una ricerca quasi tutta ancora da fare: cfr. alcuni riferi­ menti in T. sala, Gorizia 1942, cit., p. 54 sg. Problemi di ricerca 53

l’, nel settembre ’43, è la spia di un fortissimo potenziale di lotta « popo­ lare » accumulatosi sotto la dura repressione fascista e capace di coinvolgere strati tradizionalmente alieni dalla partecipazione a movimenti eversivi e violen­ ti 33 *3538. La pressoché completa egemonia realizzata dal « Fronte popolare » jugo­ slavo sul movimento di Resistenza giuliano (Carso goriziano e triestino, Istria) appare, per quello che se ne sa, coinvolgere ampiamente il clero sloveno e croato, mentre blocca le gerarchie episcopali su di una linea che, nell’invito co­ stante alla pacificazione e alla concordia, risulta un palese tentativo di difesa delle posizioni italiane in funzione insieme antislava ed anticomunista, scarsa­ mente efficace e persuasivo tuttavia, se non altro perché non appare mai accom­ pagnato da reali cenni di denuncia della politica sopraffattrice dello stato italiano e del fascismo39. La profonda scissione con cui, nella Venezia Giulia, l’istitu­ zione ecclesiastica si presenta durante la Resistenza costituisce insomma l’esito e il frutto delle divisioni e delle lacerazioni, sotterranee ma reali, nelle quali già era stata coinvolta durante il ventennio fascista. Ma su questo aspetto la ri­ cerca di gruppo è tuttora largamente in corso e troppe fonti sfuggono ancora alla nostra possibilità di analisi per poter andare oltre ad alcuni riferimenti generali. Più articolato invece può essere il discorso per quanto riguarda la diocesi di Udine, anche perché può giovarsi di una messe assai più cospicua di fonti, di ricerche e di contributi memorialistici di grande interesse. È noto il peso ed il significato che nella costituzione del movimento osovano ebbe l’iniziativa di al­ cuni membri del clero friulano40. Dirò tra parentesi che ho qualche dubbio sul­ la possibilità di riallacciare effettivamente tale iniziativa alla pratica dell’antico popolarismo, che in Friuli, tra il clero e in campo contadino, era stato agguer­ rito e combattivo, ma duramente colpito e disperso, e non per iniziativa fascista soltanto41. È una storia tutta da scrivere quella dei profondi e reali guasti ope­ rati dall’alleanza col fascismo aJl’interno dello stesso clero, nella sua formazione e nei suoi orientamenti. Se si eccettuano poche figure che ancora appaiono atti­ ve ed operanti, quella del clero popolare sembra una tradizione interrotta e spezzata, perché sulle scena della Resistenza appare un clero giovane, formatosi nel clima della conciliazione e dell’alleanza con il regime. È noto anche il con­ senso esplicito, anche se prudente, che venne a questo impegno da parte del­ l’arcivescovo Nogara, disposto a considerare tali preti come veri e propri cap­ pellani presso le formazioni partigiane42. Ma l’aspetto per molti riguardi più

33 Una prima messa a punto in Mario pacor, Confine orientale. Questione nazionale e Resistenza nel Friuli-Venezia Giulia, Milano, 1964, p. 195 sg. 35 Cfr. Note sulla politica nazionale di monsignor A. Santin, in « Chiesa e società. Qua­ derni di dibattito storico-politico », a. II, novembre 1973, pp. 12 sgg., e g. miccoli, A pro­ posito di mons. Antonio Santin, in « Bollettino dell’Istituto regionale per la storia del mo­ vimento di liberazione nel Friuli-Venezia Giuba », a. II, 1974, n. 1, pp. 25 sgg. 40 Cfr. in particolare Galliano fogar, Le brigate -Friuli, in Fascismo, guerra, Resi­ stenza. Lotte politiche e sociali nel Friuli-Venezia Giulia 1918-1945, Trieste, 1969, pp. 288 sgg. e soprattutto 293 sgg. 41 Cfr. sul Partito popolare friulano, con i chiari limiti ma anche con la vivacità della testimonianza di un protagonista, t. tessitori, Storia del partito popolare in Friuli 1919- 1925, Udine, 1972: per il movimento contadino cfr. in particolare s. spadaro, Leghe bian­ che e lotte contadine in Friuli (1919-1920), in Fascismo, guerra, Resistenza, cit., pp. 165-213; per l’atteggiamento delle gerarchie episcopali cfr. la tesi di laurea di e . zaina, Dall’episcopato di monsignor Rossi all’episcopato di monsignor Nogara: per una storia dei rapporti tra Chie­ sa e fascismo nella diocesi di Udine (1922-1929), Università di Trieste, Facoltà di Lettere, a. 1972-73. 42 Cfr. g. fogar, Le brigate Osoppo-Friuli, cit., p. 298 e passim, e soprattutto la tesi di laurea di l . alajmo, La Chiesa udinese tra occupazione tedesca e resistenza (settembre 1943- maggio 1945), Università di Trieste, Facoltà di Lettere, a. 1972-73, pp. 54 sgg. 54 Giovanni Miccoli interessante che emerge dalla lettura dei diari parrocchiali e di altri documenti del tempo è la profonda saldatura, in alcuni giudizi e in alcune prospettive di fondo, che al di là delle scelte diverse e del diverso operare, unisce questi preti partigiani al resto del clero, variamente schierato su posizioni di prudente at­ tesa, di sospettosa diffidenza, di cauta preparazione di piccoli gruppi di parroc­ chia, fondamentalmente orientati ai problemi del dopoguerra. Monsignor Aldo Moretti, che di quei preti partigiani fu l’esponente più autorevole e prestigioso e che ancora oggi — e non è un complimento d’obbligo — svolge un’azione importante per lo sviluppo e la crescita del cattolicesimo democratico, ha scritto recentemente, con la chiarezza e la lealtà che lo distingue, riferendosi alle mo­ tivazioni che spinsero a formare i primi nuclei di quello che diverrà più tardi il movimento osovano: « Moventi politici? Antifascismo senza dubbio e antina­ zismo; ma per il resto molti si muovevano nel vago. Fu l’anticomunismo a unir­ ci, è vero, Io dobbiamo dire » 41*43. Sono ammissioni precise e inequivocabili anche se non a torto monsignor Moretti ha cura di distinguere più avanti tra l’antico­ munismo osovano, o di una parte degli osovani, e quello che era stato l’antico­ munismo fascista. Ma ciò che poteva essere chiaro alla consapevolezza di alcuni, non sempre lo restava nell’attività di propaganda e di preparazione, negli esiti di un discorso che si presentava pressante, articolato e capillare. È significativo come la documentazione, certo parziale, finora raccolta, sull’attività di prepara­ zione e di propaganda svolta da questi preti, non solo tra le schiere partigiane ma tra le stesse file del clero di parrocchia, attesti ampiamente il loro im­ pegno di preparazione e di mobilitazione in funzione anticomunista: non di semplice concorrenza, ma di vera e propria lotta e opposizione al suo espandersi, individuato come il maggior pericolo del dopoguerra. Sono tipiche a questo ri­ guardo le istruzioni redatte prudentemente in latino da uno di questi preti, ad uso di una conferenza indetta tra il clero del cividalese nel dicembre 1944. Ed anche la data del documento attesta la netta prevalenza ormai, per quel contesto e per quell’ambiente, delle preoccupazioni per il dopo, rispetto a quelle che potevano essere ancora le esigenze di lotta e di scontro: Ciascuno deve sapere e riconoscere che le organizzazioni comuniste sono dirette e dipendono da Mosca, e perciò sono chiaramente dirette contro il ben della nazione. Anzi il loro fine è, come si dice dovunque, di annettere e incorporare la patria del Friuli nell’ambito di uno stato sovietico slavo. Sebbene i loro militanti non siano per nulla inclini all’ateismo, i loro esponenti e capi sovvertono totalmente la religione e insieme ogni morale [...] Non ci sia nessuno perciò che ingannato o catturato dalle lusinghe dei loro discorsi o dall’onestà dei singoli — fatto che non muta i principi né diminuisce i pericoli — rinunci dal resistere con tutte le sue forze a questi nemici domestici. Gli illusi perciò andranno illuminati con ogni persuasione. Inoltre tutti coloro che, da soli o in gruppo, con metodi giusti ed onesti, si impegneranno a opporsi a tali nemici, andranno aiutati secondo i mezzi e la pruden­ za l...] 44. Il discorso chiaramente ed articolatamente politico, condizionato con ogni evi­ denza da problemi nazionali e di confine, trova precisi riscontri in tutta una messe di documentazione che, se varia nelle sfumature, ripete nella sostanza lo stesso giudizio e preannuncia la stessa netta contrapposizione. Pochi mesi pri­ ma un vicario foraneo della Bassa friulana denunciava con toni estremamente preoccupati all’arcivescovo l’espandersi dei comunisti: Si presentano con l’inganno assicurando che rispetteranno la religione, la famiglia e la pic­

41 Cfr. aldo moretti, Formazioni partigiane italiane nella pedemontana del Friuli orien­ tale e loro attività militare nel 1943-1944, in « Storia contemporanea in Friuli », a. IV, 1974, n. 5, p. 144. 41 Archivio dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione, Trieste, b. CXXXVIII, fase. I (« Principia »). Problemi di ricerca 55 cola proprietà; dicono che il loro programma mira a migliorare le condizioni del popolo e a combattere il fascismo. Vincolano gli adepti col giuramento, tengono adunanze notturne in aperta campagna, dove si presenta a parlare qualche capo mascherato [...] Le conseguenze sono gravissime. Domani noi ci sveglieremo in un ambiente saturo di comuniSmo e quando noi cattolici ci presenteremo per lavorare nel campo politico e sociale, troveremo il terreno già occupato dalla mala pianta. Gettata la maschera, il comuniSmo allora imporrà all’Italia il giogo di una dittatura antireligiosa con tutte le sue conseguenze. L ’albero darà sempre gli stessi frutti45. I rimedi che il vicario propone non contemplano l’impegno immediato, attivo, concorrenziale se si vuole, nella lotta di liberazione; riguardano la preparazione nell’attesa, l’opera lenta e capillare tra le file dell’Azione cattolica per tenersi pronti46 : ma i giudizi e le preoccupazioni di fondo non si discostano da quelli del prete partigiano ricordato prima. C’è tuttavia anche un altro tipo di rilievi, in quest’ambito ecclesiastico, che va colto e tenuto presente: e sono forse quei rilievi che più danno la misura di una diffidenza profonda, di un pregiudizio irremovibile, precedente ad ogni ana­ lisi e ad ogni concreta notazione critica, nei confronti di tutto ciò che si pre­ senta in qualche modo connesso col comuniSmo, fino a coinvolgere e a colpire lo stesso movimento partigiano nel suo complesso. Galliano Fogar ha già se­ gnalato l’ansia che emerge in certi diari parrocchiali per il contagio del « sov­ versivismo » comunista cui i giovani, divenendo partigiani, sono soggetti, per la « scuola di immoralità e libertinaggio », che può far loro perdere la fede e anche « il nome di galantuomo » 47. « Nella mia parrocchia, circa duemila anime, non era mai avvenuto alcunché di anormale in tutto il corso della guerra, non vi sono partigiani, ma tutti onesti contadini e buoni cristiani », scrive nel settem­ bre ’44 un parroco all’arcivescovo annunciando l’arrivo di un improvviso ra­ strellamento tedesco 48: dove quell’avversativa — « non vi sono partigiani, ma tutti onesti contadini e buoni cristiani » — vale più, come espressione di un atteggiamento, di ogni lungo e articolato giudizio. I partigiani comunisti si ri­ tirano, nel novembre ’43, da un paese delle valli del , e il parroco ita­ liano, che ci ha rimesso « la penna stilografica, un prosciutto, una bottiglia di inchiostro, filo per cucire ed altre cose » — ma la macchina da scrivere « è stata pagata a prezzo di costo » — , annuncia soddisfatto nel suo diario: « Verso le ore 10 del mattino giunge un reparto germanico di SS accolto come una li­ berazione dalla popolazione. I germanici si sono comportati molto bene, alme­ no si è al sicuro » 49. Il resto del diario mostra come assai rapidamente questo parroco fosse costretto a rivedere il suo giudizio sui tedeschi — senza peraltro superare mai, almeno per i garibaldini, la condanna abbinata: « sono vandali tedeschi e partigiani » 50 — , ma resta tuttavia, tale atteggiamento iniziale, l’in­ dizio di una presunzione di civiltà e di cultura, il riconoscimento, alla Germania nazista e ai tedeschi, di un ruolo di baluardo contro il comuniSmo, che così a lungo operò anche tra le alte gerarchie della chiesa, e di cui del resto la stessa corrispondenza all’arcivescovo Nogara con gli alti comandi tedeschi è una testi­ monianza inequivocabile51. Ed è anche in questo contesto che si spiegano certi

45 II documento è pubblicato da l. alajmo, La Chiesa udinese, cit., Appendice documen­ taria, sez. 3, doc. 3. 46 Ibid. 47 Cfr. G. fogar, Le brigate Osoppo-Friuli, cit., p. 293. 41 Arch. Arciv. di Udine, Carteggio Nogara, lettera del parroco di San Lorenzo di Pianzano (Vittorio Veneto) all’arcivescovo, del 15 settembre 1944. 49 Libro storico della Parrocchia di San Pietro al Natisone, p. 38 (una fotocopia del diario è depositata presso l’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione di Trieste). 50 Ibid., 12-13-14 luglio 1944, p. 46. 51 Cfr. l . alajmo, La Chiesa udinese, cit., pp. 32 sgg., e Appendice documentaria, sez. 2a. 56 Giovanni Miccoli toni cupi sulle fosche previsioni per il futuro quali si incontrano nella corri­ spondenza e nelle affermazioni del clero: « I nemici di Dio e del bene — scrive con trasparente allusione un parroco all’arcivescovo — ci preparano forse pre­ sto il Calvario. Lo saliremo, Eccellenza, lassù ci aspetta il divino Maestro cro­ cefisso, pieno di dolori e di gloria. Lassù sono saliti gli apostoli, i martiri, i dottori, i santi e le sante. Noi non romperemo la gloriosa fila » 52. « [...] il do­ mani fa paura a tutti; si sente nell’aria qualcosa di greve, poco rassicurante, puzzo di vendette, di odi repressi, di morte » 53. C’è una prevenzione, fatta di riscontri e persuasioni elementari, che resiste ad ogni evidenza di comportamento o affermazioni in contrario, perché ricorre a schemi e a moduli di giudizio che si riportano a contrapposizioni nette e irridu­ cibili — Dio o Satana, bene o male — dove il bene, sempre e per definizione, è costituito dalla chiesa, sottratta ad ogni analisi di colpe, responsabilità, coin­ volgimento reale nelle tragiche vicende presenti. È un aspetto sul quale si ritor­ nerà brevemente tra poco. Ma è significativo che anche nei diari dove più pre­ cise ed esplicite appaiono l’ostilità ai tedeschi e ai fascisti e la simpatia umana e l’appoggio per i partigiani — chiamati abitualmente patrioti — tale contrap­ posizione al comuniSmo si riproponga in un esclusivo e meccanico richiamo alla dittatura di Stalin o, com’è detto altrove, al « contrasto insanabile tra comu­ niSmo e cristianesimo » 54: Ieri riunione del Sottocomitato di liberazione [...] nella sede del Dopolavoro. Mi hanno ri­ ferito che un commissario di nome Ettore [che è poi, com’è noto, Gino Lizzerò] ha dato direttive chiare e precise in tutti i settori. Non una parola di odio, di vendetta, ma solo stimolo all’azione. La Chiesa non ha nulla da temere. Resta però il fatto che il comuniSmo è una dittatura: non varrebbe la pena abbatterne una perché sorga un’altra. Bisogna ritor­ nare agli insostituibili principi della Chiesa55. Tale complesso di affermazioni, giudizi, semplici incisi, prima ancora che frutto di una riflessione meditata, si rivelano espressione, nell’ovvietà stessa con cui si dispongono, di una vera e propria mentalità costruita dai lenti depositi della martellante propaganda di tutto un ventennio, largamente ripresa dalla pubbli- cistica cattolica, soprattutto dalla guerra di Spagna in poi. Certe tematiche tene­ brose non sono certo prerogativa di poveri parroci di campagna. Nel marzo 1943 — la data è significativa — monsignor Federico Sargolini, assistente cen­ trale della GIAC, denunciava la ripresa, in ambiente operaio, di una violenta campagna antireligiosa ed anticlericale — « per iniziativa di occulte menti di­ rettrici » — che la « Civiltà Cattolica » inseriva senza esitazioni nel contesto di una rinnovata penetrazione comunista56. Ma non è la denuncia tanto che in­ teressa, quanto i termini che la esprimono e le notizie che la accompagnano: Crediamo utile richiamare l’attenzione dei confratelli sulla diabolica opera che si sta svol­ gendo in molte fabbriche ed anche in molte scuole, per indurre i più giovani e i più ine­ sperti, dell’età di 14-15 anni alla bestemmia. Le vittime sono numerose; cadono anche i ragazzi provenienti da buone e sane famiglie cristiane; nelle città sono travolti anche gli

52 Lettera del parroco di Santa Maria di Sclaunicco all’arcivescovo, del 4 dicembre 1944 (in l. alajmo, La Chiesa udinese, cit., p. 89, e Appendice documentaria, sez. 3a, doc. 9). 53 Archivio Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Udine, Diario di Pietro Menis (Buia), 17 febbraio 1944, p. 32 (si tratta di una trascrizione parziale dell’ori­ ginale). 54 Libro storico di San Biagio - Cividale, 14 gennaio 1946 (le pagine non sono numerate). 55 Ibid., 25 luglio 1944. 56 f . sargolini, Difendiamo i giovani lavoratori, in « L’Assistente ecclesiastico », a. XIII, 1943, pp. 71-73; Cronaca contemporanea, II, Italia, 4, in «La Civiltà Cattolica», a. 94, 1943, voi. II, pp. 116 sgg. Problemi di ricerca 57 adolescenti che appartengono agli ambienti della media ed alta borghesia. Si insegnano le bestemmie più turpi; si giunge ad esigere che si pronunzino ogni giorno un certo numero di bestemmie; s’incomincia da quattro o cinque, per giungere a 50, 100, e perfino a 150. Ogni sera i giovanetti sono invitati a far l’esame di coscienza: se non si sono ancora pronunziate tutte le bestemmie prescritte, si deve compiere il dovere di pronunziarle prima di andare a riposo. Si va a rapporto dai Capi, i quali hanno cura d’incoraggiare e di spronare con tutti i mezzi: ai giovani operai si offrono premi da 50 lire. È prescritto il segreto più assoluto; quando si riesce a scoprire qualcuno dei ragazzi che a sua volta diviene conquistatore di compagni, non è possibile ottenere che manifesti il nome degli scellerati maestri, nascosti nell’ombra; le domande di genitori, di sacerdoti, e di autorità sono rimaste senza risposta; a nulla hanno approdato inviti, lusinghe ed anche minacce. I giovani si sono chiusi in un mutismo infrangibile; si ha ragione di credere che siano legati da un terribile giuramento. Anche nelle città tradizionalmente più tranquille la campagna per la bestemmia è in pieno sviluppo; giovani studenti e operai dichiarano che foglietti furtivamente introdotti nelle loro tasche, contengono orribili bestemmie e l’invito a ripeterle; alcuni manifestini recano solo questa scritta: Viva la bestemmia! Non sono purtroppo casi isolati [...] Indubbia­ mente anche in questo settore c’è un’organizzazione occulta, che lavora con larghezza di mezzi, con unità di programma, con ferrea disciplina, e purtroppo con efficacia di risultati. Ci si potrebbe chiedere: chi paga? Chi e perché ha preso l’iniziativa? Quali obiettivi si propone questa bestiale campagna, indegna non soltanto di cristiani e d’italiani, ma anche di semplici uomini? [...] Non è tempo di lamento ma di azione; bisogna mettersi al lavoro subito, e tutti devono stabilire dei contatti più vivi e più efficaci con i giovani operai, che una propaganda infernale tenta di strappare al cuore di Cristo e alla sua Chiesa. È un testo che ho voluto citare ampiamente perché mi sembra espressivo di un impasto di motivi, atteggiamenti mentali e psicologici, costruzioni propa­ gandistiche, esemplari di tutto un ambiente e di una linea di azione e di inter­ vento. Le agitazioni operaie non vengono affrontate e discusse per se stesse, come manifestazione del desiderio di pace e di un rinnovamento sociale e poli­ tico 57: si parla della campagna infernale di corruzione che investe l’ambiente operaio e, senza affermarlo esplicitamente, si suggerisce così nel lettore un ovvio collegamento causale: gli operai si muovono e i comunisti avanzano per­ ché avanzano le tenebre di Satana. Ed è indizio se si vuole di una mentalità irrimediabilmente clericale, ma anche della scarsa fantasia e dell’incapacità ad uscire dai propri modelli e dai propri schemi consueti, il fatto che tale azione di propaganda della bestemmia sia immaginata e pensata negli stessi termini, anche se col segno rovesciato, e ricorrendo all’uso delle stesse tecniche di cui ci si serviva nella formazione riservata ai giovani di Azione cattolica. Ma forse su questi temi e su queste espressioni degli atteggiamenti e della pro­ paganda anticomunista c’è da aggiungere anche qualcosa d’altro: perché giura­ menti segreti e adunanze notturne rinviano da una parte a schemi antichi di con­ danna e di repressione (è fin troppo facile confrontare certe caratteristiche at­ tribuite all’iniziativa comunista con alcuni temi tipici delle lontane campagne anticlericali ed antistregoniche), mentre dall’altra e proprio per questo suggeri­ scono il formarsi e il consolidarsi di una mentalità che ripropone emotivamente presenze e incarnazioni sataniche, e perciò rifiuti e distacchi radicali, senza pos­ sibilità di sfumature e di distinzioni. E non è una forzatura rilevare, in tutta una serie di testimonianze che provengono dallo stesso tipo di documenti, un collegamento tra questi atteggiamenti e questi giudizi e il rafforzarsi e il diffon­

57 Non ho potuto determinare se ¡’articolo di mons. Sargolini fosse stato scritto prima o dopo l’inizio dei grandi scioperi operai del marzo (certo è successiva ad essi la nota della « Civiltà Cattolica »). Ma, com’è noto, le agitazioni operaie erano iniziate già nei mesi pre­ cedenti, ad intermittenza, così come si era intensificata la propaganda clandestina, soprattutto comunista (cfr. Giorgio vaccarino, Gli scioperi del marzo 1943, in Problemi della Resistenza italiana, Modena, 1966, p. 146 sgg.): in questo quadro complesso va evidentemente visto l’articolo di mons. Sargolini. 58 Giovanni Miccoli dersi, già nei primi mesi del dopoguerra, di una tematica che, accanto all’anti­ comunismo violento, aggiunge un’esplicita critica all’intero movimento parti­ giano, e il riscontro, che diverrà tipicamente qualunquista e neofascista, che « si stava meglio quando si stava peggio » 58. Sono giunti finalmente a casa i partigiani, i quali, ad onor del vero, entrarono nell’Osoppo sani religiosamente e moralmente e ne uscirono ammalati. Appartenevano quasi tutti all’ÀC ed erano anche ben istruiti, praticanti [...] Ora [...] « quam m utati»! [...]. È giunta l’ora della libertà! E la libertà per tanti giovani continua nella sfrenatezza di costumi e nel di­ vertimento...59. Il fenomeno partigiano lascia perplessi [...] quelli che si sono trovati nel vortice partigiano, non esclusi quelli della Osoppo, non esclusi i più buoni cristiani, hanno assorbito qualche cosa che non va, qualche cosa che non si può spiegare, che non si può capire. C’è un’eva­ sione ad ogni legge umana e divina, c’è una tendenza sfrenata all’abuso di libertà contro ogni norma del vivere civile. Non si sa dove andremo a finirla60. La patetica perplessità ed il riserbo, ancora pieno di timori — « si fa insistente la voce di una prossima rivoluzione comunista » — del parroco di campagna verso un’esperienza che comportava anche, con la sua vittoria, nuove assunzioni di responsabilità, e « disordine », e drastici interventi di rinnovamento, si sal­ dano coi calibrati interventi dei vertici ecclesiastici, di invito alla pacificazione, all’unione nazionale, a dimenticare le passate contese civili, con un risvolto che mette esplicitamente in guardia, saldandosi alle raccomandazioni già emerse nel corso della guerra, contro le ideologie pericolose al buon ordine politico e sociale (tra i moltissimi esempi la pastorale collettiva dei vescovi delle Tre Ve­ nezie, « sulla vendetta, sul comunismo ateo, sui disordini morali, sui rimedi ai mali presenti » ) 61. La ricerca va ancora approfondita ed allargata ma sembra ab­ bastanza evidente, nello stesso ambito ecclesiastico, il progressivo accantona­ mento, in nome dell’ordine e della restaurazione, di quei stessi preti partigiani che pur erano stati uno strumento essenziale di presenza, di mobilitazione e di garanzia, anche in funzione anticomunista, durante i mesi della Resistenza. Non si vuol dire che si tratti di un passaggio necessario e inevitabile, ma, par­ tendo da quelle premesse, è un passaggio ovvio e giustificato, che corrisponde del resto all’atteggiamento di fondo di tanta parte di quelle masse contadine e piccolo-borghesi alle quali il clero strettamente si collegava: perché, negli ultimi anni di guerra, anche quando mancava un’azione consapevole di presenza o di preparazione, restava pur sempre, nella disgregazione generale dell’apparato del­ lo stato, la rete organizzativa parrocchiale a costituire un potenziale strumento di amalgama e di coagulo sociale per far fronte ai bisogni e alle esigenze del do­ mani: una rete tanto più importante e significativa nella misura in cui essa costituiva l’unico punto di riferimento reale per quelle masse della città, ma soprattutto delle campagne, che intimamente rifiutavano, o vennero progressi­ vamente rifiutando, il loro consenso ai fascisti e agli occupanti tedeschi, ma non erano nemmeno disposte ad identificarsi o a marciare coi partigiani. Erano masse sostanzialmente moderate, che al fascismo rimproveravano l’errore della guerra e la colpa della sconfitta, ma che non erano certo orientate ad impegnarsi

58 Libro storico della Parrocchia di San Pietro al Natisone, cit., 28 aprile 1945, p. 64. 59 Archivio Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione, Udine, Libro sto­ rico degli avvenimenti più notevoli accaduti in questa Parrocchia di Rivalpo (Aria), 19 giu­ gno 1945, p. 19 (si tratta di una trascrizione parziale dell’originale). 60 Libro storico della Parrocchia di San Pietro al Natisone, cit., 31 dicembre 1946, p. 85. 61 Cfr. Doveri dei cattolici di fronte ai pericoli odierni. Lettera pastorale collettiva del­ l’episcopato della regione triveneta, del 27 giugno 1945 (nelle chiese della diocesi udinese fu Ietta nelle prime domeniche di settembre: in « Rivista diocesana udinese », a. XXXV, 1945, pp. 93-116); un’ampia parte è dedicata alla confutazione del «comuniSmo ateo» e a una durissima messa in guardia contro i pericoli della sua diffusione in Italia. Problemi di ricerca 59 su strade rivoluzionarie o di radicale rinnovamento. Non c’è divaricazione reale tra la linea moderata di cui il clero nella sua gran parte è espressione nel dopo­ guerra e i ceti e i gruppi sociali che in esso si ritrovano e che lo seguono. La profonda frattura tra città e campagne, tra operai e mondo contadino, ribadita ed accentuata dal fascismo, si riflette pesantemente in questa nuova situazione che, rimettendo vistosamente in moto una generale dialettica politico-sociale, vede il mondo contadino largamente schierato dietro il proprio clero; mentre la piccola borghesia delle città rifluisce anch’essa in parte verso la chiesa, come unica istituzione valida per difendere un ruolo ed un prestigio sociale che av­ verte minacciato dalle forze « sovversive ». Il clero e la Democrazia cristiana che ad esso strettamente si salda vengono a qualificarsi così, già in questo pe­ riodo di transizione, come potenziale espressione di forze e gruppi sociali che perseguono nella loro gran parte una linea di cauta restaurazione: con una ca­ rica di compattezza e di coesione che è accentuata dal tradizionale rapporto di obbedienza che lega il laicato cattolico al clero e alla gerarchia, e con un tipo di pronunciamenti, di iniziative e di attività che ha come scopo e fine quello di riproporre l’istituzione ecclesiastica come strumento essenziale se non unico per condurre realmente la società fuori dal baratro in cui la guerra l’ha gettata. È questo un aspetto fondamentale, anche se ovviamente non esclusivo, per comprendere l’ottica con cui in quegli anni la gerarchia ed il clero guardano al presente e ai problemi e alle difficoltà della società. Poiché l’istituzione ecclesia­ stica offre gli strumenti essenziali ed insostituibili per la vita religiosa, e perciò per una sana vita morale, essa si qualifica come l’unico fattore reale di ripresa e di rinascita complessiva. Non è solo un fatto di routine che i diari parroc­ chiali siano zeppi di notazioni sulla pratica religiosa, attenti a precisare il suo intensificarsi, a segnalarne nuove espressioni, a cogliere nuove iniziative: perché corrisponde ad una concezione ormai antica, che riassume nel culto e nella pra­ tica cultuale — e nel consenso e nella partecipazione pubblica ad esso — , i momenti essenziali della partecipazione del laicato alla vita della chiesa ed insie­ me del rapporto e della funzione della chiesa nella società 62. La tutela dell’isti­ tuzione ecclesiastica insieme all’osservanza dei suoi precetti e delle sue disposi­ zioni, proprio perché è tutela e mantenimento insieme della pratica religiosa cor­ rente (valore autonomo ed essenziale nella vita degli uomini e della società), si configura perciò come il momento primario e più importante dell’impegno pubblico dei cattolici e la salvaguardia migliore al destino della società. Poco prima dello scoppio della guerra monsignor Nogara visita una parrocchia pedemontana. Il diario parrocchiale ne conserva traccia e annota fedelmente le sue raccomandazioni: « Speriamo che la visita pastorale abbia servito a scuo­ tere un po’ l’indifferenza religiosa, che purtroppo si estende. Uno studio più in­ tenso di vita cristiana, l’eliminazione di certi vizi, come l’ubriachezza, una pietà più sentita, concorreranno a tenere lontane le tempeste, che da parecchi anni rovinano i raccolti»63. Nel febbraio del 1945 il cardinale Piazza, patriarca di Venezia, scrive a monsignor Nogara: è una lettera privata, che parla quindi in libertà e delle cose che importano immediatamente: le previsioni sono fosche ed oscure, la situazione difficile: questa la conclusione: « È da augurarsi che l’eventuale crollo non si ripercuota anche ai danni delle anime, specie quelle che hanno maggiore bisogno nel Purgatorio » (come avverrebbe appunto se le

62 Cfr. per alcuni più precisi richiami in questo senso G. miccoli, La Chiesa e il fascismo, in Fascismo e società italiana, a cura di G. Quazza, Torino, 1973, pp. 205 sgg. 63 Cronaca della Cappellania di Lasiz dall’anno 1920 all’anno 1938, p. 269 (una fotocopia della Cronaca è depositata presso l’Istituto di storia medievale e moderna della facoltà di lettere dell’Università di Trieste). 60 Giovanni Miccoli messe di suffragio dovessero restare interrotte) 64. Il 1944 si chiude tra lutti e rovine, e un parroco del cividalese annota nel diario le sue impressioni: la guerra infuria ancora, dilagano l’odio e la corruzione: I buoni sono timidi, sono pochi. Eppure non si deve disperare. Le S. Messe che si fanno celebrare sono un incessante baluardo contro il male e Dio è infinitamente più glorificato da una S. Messa che non vituperato da tutti i peccati degli uomini, passati, presenti e futuri. C’è ancora una zona di innocenza nel mondo: la zona dei bambini; c’è ancora una zona di santità negli ordini religiosi e nell’ordine sacerdotale e nell’Azione cattolica; c’è ancora un faro che sprigiona luce: il Papato. Saranno questi elementi il lievito di un nuovo fermento di vita: Cristo ha vinto il mondo6S. Sono solo pochi esempi tra i tanti possibili: ma danno già la misura di certi ordini di priorità e di certi criteri di giudizio e di azione, e spiegano quell’esclu­ sivismo clericale, così caratteristico della propaganda e dell’ideologia cattolica del dopoguerra, che tende a rivendicare alla chiesa — ed ai cattolici soltanto — la capacità e la possibilità di svolgere un ruolo di effettivo rinnovamento civile e sociale. Non è solo frutto di un’abile organizzazione del consenso e della mobilitazione di massa che gli anni del dopoguerra siano particolarmente carat­ terizzati da grandiosi pellegrinaggi, processioni, accentuazione della pratica cul­ tuale corrente, e dalla presenza o dall’attesa del miracolo. Perché una diffusa cultura cattolica pensa che in queste forme e con questi strumenti soltanto possano realizzarsi le premesse per un reale rinnovamento della vita sociale. Insisto: non si tratta soltanto di strumenti di mobilitazione e di propaganda: perché l’attri­ buzione ad essi di un ruolo primario ed essenziale affonda profondamente le sue radici in un tipo di linea e di presenza che ha ascendenze e motivazioni assai lontane, come elemento condizionante l’atteggiamento e il rapporto dell’istitu­ zione ecclesiastica con la società. Ma questa concezione e questa radicata persuasione inglobavano in sé elementi di contraddizione, nel momento in cui la richiesta di rinnovamento si fosse fatta pressante, le possibilità di esso fossero apparse vicine. Stanno qui, in que­ sto nodo non risolto, i presupposti per quella crisi che cominciò ad investire il mondo cattolico italiano all’inizio degli anni ’50, ma anche alcuni dei germi di quel processo di profondo e tormentato rinnovamento di cui il pontificato di Giovanni X X III segnò l’esplodere clamoroso. È un discorso che non compete ovviamente fare qui, ma che mi pare necessario richiamare: perché la progressiva smentita subita nel dopoguerra dalle confuse attese di rinnovamento che pur pervadevano anche strati del mondo cattolico mise lentamente in discussione quei modelli e quei valori, quelle tematiche e quelle priorità in cui quelle at­ tese pur avevano creduto di poter trovare un proprio spazio ed una propria possibilità di realizzazione. Il problema dell’« aggiornamento » della chiesa, di una diversa presenza cristiana nella società, trova anche in questa situazione contraddittoria, nella scoperta di questa carenza dei propri strumenti e dei propri mezzi di espressione, rispetto alle domande di una società che doveva essere diversa, una delle sue ragioni profonde. Ma è una vicenda questa ancora in corso, che non si svolge certamente in modo indolore e rettilineo, né che ri­ guarda soltanto, nei suoi esiti, quanti si richiamano a presupposti cristiani: e già questo basterebbe a segnare l’importanza di acquisire una piena consape­ volezza delle sue radici e della sua complessità. G iovanni Miccoli

M In l. alajmo, La Chiesa udinese, cit., Appendice documentaria, sez. la, doc. 12. 65 Libro storico di S. Biagio-Cividale, cit., 31 dicembre 1944.