Venceslao Santi e la rivoluzione del 1831

I. I fatti precedenti

Le frequenti ruberie, le molteplici requisizioni, le leve forzate e le violenze di ogni maniera che dal 1796 al 1814 furono fatte anche nella provincia di dai Francesi calati in Italia per portarvi, dicevano essi, la libertà e l’eguaglianza, avevano suscitato nell’animo dei Frignanesi, forse più che negli abitanti delle città e della pianura, una così profonda avversione contro la dominazione e gli ordinamenti di quei nuovi apostoli di libertà, che nel 1814 anche quassù fu accolta con gioia la noti- zia della disfatta di Napoleone I e venne salutata con entusiasmo l’instaurazione nel ducato di Mo- dena di Francesco IV, già preannunciata quale apportatrice di pace, di giustizia e di prosperità mate- riale e morale. E, come accade sempre nelle forti reazioni, il popolo non si restrinse a stigmatizzare gli eccessi del- la rivoluzione e della egemonia francese, ma arrivò perfino a giudicare come funeste nella vita pra- tica quelle dottrine fondamentali civili e politiche che formano la conquista più bella di quel grande rivolgimento. Si ebbe così una novella prova che i nemici più funesti alla vera libertà sono coloro che di questa fanno maggiore abuso. Dall’altra parte il nuovo duca, prodigando ai suoi sudditi blandizie paterne, proteste amorevoli, ge- nerose largizioni, secondandone i desideri col ripristino di istituzioni predilette, colla costruzione o col riattamento di strade, colla somministrazione di lavoro e di commestibili nelle annate penuriose, esonerandoli o alleggerendoli da tasse gravose, li rese più devoti e più sottomessi al principato asso- luto e perciò più alieni dalle innovazioni e dai mutamenti politici. Onde avvenne che i frignanesi mal disposti da questi fatti precedenti verso i propugnatori di rivoluzioni governative, non si com- mossero punto, tranne qualche rara eccezione di individui appartenenti alla classe più colta, ai moti liberali del 1820 e 1821 e poco a quelli del 18311. Allorché nel principio di quest’anno i liberali dell’Emilia e delle Romagne, incoraggiati dall’esito felice delle rivoluzioni della Francia e del Belgio e più ancora dalle promesse dirette e indirette di Luigi Filippo, raddoppiarono la propaganda in favore di un rivolgimento destinato a sostituire, al- meno nell’Italia centrale, un regime costituzionale al governo assoluto, Francesco IV, venuto a co- noscenza di questo lavorio, procurò di opporvisi specie coll’impedire l’introduzione nel suo stato “di libri e fogli volanti contenenti massime contrarie alla pubblica tranquillità ed alle legittime auto- rità”. A tal uopo, colla data 24 gennaio 1831, fece dal governatore di Modena March. Luigi Cocca- pani mandare anche al facente le funzioni di Sindaco in Pievepelago, Marco Ferrarini, una circolare con cui lo eccitava a non permettere la circolazione “in cotesto di libri od altri fogli che non fossero muniti del bollo voluto dalla stabilita censura sulle stampe” e ad usare “la più attenta vigilanza sui Pedoni, conoscendosi che si procurava l’introduzione di tali perniciosi libri e stampe specialmente col mezzo loro”2. Il 2 febbraio poi il medesimo governatore scriveva al Ferrarini: “E’ a notizia del governo, che alcuni mossi da reo disegno di trarre partito dalle circostanze dei tempi, onde predisporre gli animi a poli- tici cambiamenti, si permettono non solo di sragionare delle pubbliche notizie che vengono stampa- te nelle Gazzette, ma anche d’inventarne altre allarmanti, esagerate, e tali da far temere vicini peri- coli, torbidi ed insurrezioni, che compromettono l’ordine e la pace pubblica. Disprezzerebbe il go-

1 Il paese delle montagne modenesi nel quale il rivolgimento politico del 1831 fu accolto con maggiore simpatia e con più efficace cooperazione fu dove Francesco IV, subito dopo i moti patriottici del 1821 aveva per ragioni politi- che, istituito un Convitto Legale, come sezione dell’Università. 2 I documenti che servono di base a questa narrazione sono tratti, per la massima parte, dall’Archivio di Stato di Mode- na e da quello del Comune di Pievepelago. 1 verno, né si prenderebbe alcuna cura del contegno di tali maleintenzionati, se ciò non influisse diret- tamente a destare timori ed angustie in tante buone persone e famiglie, che costituendo il massimo numero di sudditi leali e fedeli si trovano oltremodo esposte a dispiaceri nell’apprensione che ad ar- te è ad essi insinuata di mutazioni e di vicende funeste nella pubblica quiete e tranquillità. In conse- guenza di ciò invito la S. V. di portare la maggiore vigilanza sopra gl’individui che si permettono discorsi allarmanti sulle vicende dei governi, e sui fatti che li riguardano, alterandoli od immagi- nandoli per modo da produrre e spargere timori ed angustie sulla continuazione della pubblica quie- te e dello stabilito ordine legittimo. Acquistata notizia dell’individuo od individui che si permettono gli enunciati discorsi, e conosciuta la di loro arte, saranno da lei chiamati, e premesso un processo verbale dei discorsi che avessero te- nuti, si riceverà la loro dichiarazione, o affermativa o negativa del fatto, e si rimanderanno, avver- tendoli nel primo caso che si terrà la cosa a calcolo, onde conoscere a suo tempo se per loro parte vi ebbe maliziosa esagerazione, od invenzione, e nell’altro caso poi procuri V. S. di rendere notoria la dichiarata insussistenza dell’allarmante discorso. Se l’individuo poi al riprovevole enunciato di lui contegno unisse anche qualche mancanza di rispetto, in allora lo farà arrestare, dandone immediato rapporto al governo”.

II. La rivoluzione

Queste istruzioni e questi comandi arrivarono a Pievepelago la sera del giorno 5, quando cioè, scoppiata nella notte dal 3 al 4 febbraio quella rivoluzione intorno a cui la circolare pretendeva dile- guare nei montanari non solo le voci, ma finanche i sospetti, Francesco IV, spaventato, abbandona- va la capitale del ducato per recarsi ad invocare la protezione e il soccorso del Governo Austriaco. La notizia ufficiale di tale avvenimento pervenne a Pievepelago insieme all’annunzio che alla Reg- genza lasciata dal duca era stata sostituita dai liberali una Giunta Provvisoria, la quale poi il giorno 9 rassegnò il potere all’avvocato Biagio Nardi col titolo e coll’autorità di Dittatore. Per guadagnare simpatie al nuovo governo, il Dittatore mediante circolare dell’11 febbraio notificò ai popoli della provincia la soppressione della tassa personale, ed il Governo Provvisorio, instaurato il 22 dello stesso mese, con editto del 28 abolì la pena del confisco e con altro del 2 marzo, certa- mente a dileguare il timore di quelle leve forzate che al tempo di Napoleone I avevano tanto irritato gl’Italiani, dichiarò che non vi era, né vi sarebbe stata mai coscrizione militare e che al bisogno l’arruolamento sarebbe stato volontario. Rispetto a Pievepelago in particolare dal Nardi il 13 febbraio fu imposto al Brigadiere dei Dragoni qui stazionato di trasferirsi prontamente a Modena senz’armi; il 14 venne emanato l’ordine di far cantare dai parroci, nella domenica del 20, un solenne Tedeum pel felice cambiamento di esso; il 16 si invitò l’autorità comunale a pubblicare avviso “portante che il sig. Saverio Cabonargi3 era auto- rizzato a inscrivere quei giovani che amavano far parte della guardia nazionale in questo paese”; ed il 18 fu nominato Sindaco del Comune, in luogo del Ferrarini legittimista inflessibile, Vincenzo Giacobbi, liberale, che prese possesso della sua carica nella seduta plenaria del 26. L’accoglienza fatta dalla popolazione di Pievepelago al mutamento di governo ed il contegno di es- sa durante il breve regime dei liberali, per i motivi sopra accennati e pel ricordo dei moti infelici del 1820-1821, fu piuttosto fredda ed improntata a molta diffidenza. Nei primi 13 giorni dopo la fuga del duca da Modena non venne fatta alcuna dimostrazione palese- mente favorevole al nuovo governo: solo il 19 febbraio, massime per iniziativa di Venanzio di Fi- lippo Vignocchi e di Domenico di Giovanni Galassini, “fu fatta in questo capoluogo una bandiera a tre colori, bianca, rossa e verde, che venne portata in giro pel paese ed affissa nella pubblica piaz- za”. Poco tempo appresso dai medesimi individui, coadiuvati da Giuseppe Vignocchi fratello di Venanzio e diretti dal predetto Saverio Cabonargi, “fu istituita una guardia nazionale provvisoria pel mantenimento del buon ordine, col distintivo di un nastro di cordella tricolorata al braccio sini-

3 Era figlio del notaro Vincenzo di Groppo. 2 stro, della quale fecero parte Vignocchi Venanzio, Vicini Giulio, Venturi Domenico, Galassini Do- menico, Vignocchi Giuseppe, Vignocchi Vincenzo, Vignocchi Gio. Battista di Luigi, Guerri Gio- vanni, Marcolini Gio. Domenico fu Angelo, Venturi Pellegrino fu Domenico e Serafini Angelo fu Gio. Battista”. A questi fautori del nuovo ordinamento si aggiungevano il chirurgo Pietro Manfredini di S. Anna che arrivò fino a strappare al sedentario di Finanza, residente in quella frazione, i bottoni della mon- tura perché portanti l’effigie dell’Aquila Estense, e Vincenzo Fini di Angelo di Pievepelago, il quale di giorno e di notte girava spesso per il paese gridando ad alta voce: Evviva l’Italia! Evviva l’unione! Evviva l’indipendenza! alternando a queste sante parole imprecazioni ed invettive contro il governo assoluto. Il luogo dove si radunava il piccolo manipolo di pievaroli “attaccati al governo rivoluzionario” co- me li designavano i legittimisti, era l’osteria di Luigi Giovanetti, ed ivi i convenuti si comunicavano le scarse notizie che arrivavano dalla capitale e discutevano di alta e bassa politica. All’arruolamento di volontari indetto dal governo provvisorio due soli furono gli aderenti in tutto il comune di Pievepelago, cioè Simone Mucci dalle Tagliuole, che seguì poi il generale Carlo Zucchi fin presso Ancona, e Giovanni Antonio Masoni che il 4 marzo fu inscritto nei cacciatori a cavallo. Vincenzo Crovetti che il 1° marzo era partito da Pievepelago col Masoni per arruolarsi nelle truppe volontarie, non si presentò all’ufficio d’inscrizione.

III. La reazione

Come sospettavano i più, le speranze dei liberali svanirono ben presto, e le innovazioni introdotte dal governo dittatoriale e dalla giunta provvisoria ebbero una durata molto breve. Imperocché ricol- locato Francesco IV sul trono di Modena dalle soldatesche austriache, il governatore della Provin- cia, march. Luigi Coccapani, nel dar l’annuncio, con una circolare dell’11 marzo, di tale avveni- mento, scriveva “essere intenzione di S. A. R. come da proclama datato il 2 corrente dal Cattaio, che tutte le autorità legittime che erano in attività prima della partenza rientrino ai loro posti”, ed aggiungeva: la gioia di sì lieto avvenimento, qual era il ritorno del duca, “che fa conoscere ad evi- denza la mano suprema del Signore, che ha voluto liberarci da un flagello da cui eravamo minaccia- ti, merita che sia resa pubblica col suono delle campane e che ne sia ringraziato Iddio con un solen- ne Tedeum il più presto possibile”. Perciò Vincenzo Giacobbi, di null’altro colpevole che di avere accettata la carica di Sindaco dal go- verno liberale, dovette rinunciare la presidenza dell’amministrazione comunale di Pievepelago al Ferrarini, il quale con pubblico manifesto eccitò gli abitanti del capoluogo a festeggiare, come fu fatto il 13 marzo, il ritorno di Francesco IV nel possesso dei suoi stati con una sfarzosa illuminazio- ne, collo sparo di mortaletti e col canto di un Tedeum nella chiesa plebana, reso più solenne dall’in- tervento delle autorità comunali e giudiziarie e dei R. Cacciatori. E domeneddio colla sua infinita sapienza e colla sua bontà senza limiti avrà poi trovato il modo di conciliare questo ringraziamento coll’altro cantato un mese prima a scopo diametralmente opposto in tutte le chiese della congrega- zione! Il 28 marzo il governatore della Provincia con fine astuzia rinnovava gli eccitamenti alle dimostra- zioni in favore di Francesco IV mandando anche agli amministratori municipali di Pievepelago la seguente circolare: “Avendo qualche comunità chiesto il permesso di umiliare a S. A. R. gli atti di sua sottomissione pel ritorno felice ne’ suoi stati, inviando a tale effetto apposite deputazioni a que- sta capitale, significo loro che per non distogliere la lodata A. S. dalle gravissime sue occupazioni e per evitare spese al Comune, potrà piuttosto essere accompagnato al governo un indirizzo da umi- liarsi in nome della Comunità a S. A. R.”. A buon intenditore poche parole! Alcuni giorni appresso la nostra Comunità scriveva a Sua Altezza Reale “Gli Amministratori del Comune di Pievepelago servi umilissimi e sudditi fedelissimi di V. A. R. a nome anche di tutta questa popolazione umiliano ai piedi dell’A. V. R. il presente atto di lo- ro sommissione e fedele sudditanza pel felice ritorno al possesso de’ suoi stati, protestandole al

3 tempo stesso quell’attaccamento, fedeltà ed amore che da molti secoli la Comunità di Pievepelago ha sempre mantenuto e fedelmente conservato alla dinastia estense, e supplica quindi a degnarsi di aggradire il presente atto, come se fosse l’amministrazione stessa in persona ai piedi del trono dell’A. V. R.”. Quando poi alle 3 pomeridiane del 16 aprile di quel medesimo anno Francesco IV, proveniente, col seguito di 208 soldati austriaci, dalla Garfagnana, passò, per la prima volta, dopo la rivoluzione, da Pievepelago, gli furono fatte onoranze straordinarie. Verso S. Pellegrino fu incontrato da un distac- camento scelto di cacciatori, e alla distanza di un miglio dal paese da un corpo di 40 militi forensi; nel capoluogo venne accolto, fra il suono delle campane e lo sparo di mortaletti, dalle autorità civili e giudiziarie, dal clero, dal popolo e dai Cacciatori di Pievepelago e di , schierati davanti alla locanda della Posta, dove S. A. sostò, per pranzare, fino alle cinque; alla quale ora riprese il suo viaggio verso Pavullo accompagnato dallo stesso distaccamento di Cacciatori pievaroli. Ma la reazione non fu qui ristretta alla destituzione del Giacobbi e a queste procurate dimostrazioni ufficiali di simpatia verso la restaurazione del regime assoluto. Quantunque le popolazioni del Fri- gnano in generale e quella di Pievepelago in particolare non avessero esternato molto entusiasmo pel breve governo liberale, tuttavia Francesco IV non si trattenne dall’imporre anche quassù prov- vedimenti allo scopo di togliere ogni vestigio della passata rivoluzione e di punire i fautori reali o presunti di essa. Fin dal 13 marzo 1831 il duca aveva fatto ordinare al sindaco di Pievepelago “di far scomparire qualunque segnale rivoluzionario, come fascie e bandiere tricolorate”; il 14 “di richiamare entro 24 ore tutte le armi ed armamento militare, anche privati, all’ufficio comunale”; ed il 23 “di intimare a tutti i forastieri, che si trovavano in questo comune dal 1830 in poi, di restituirsi alla loro patria en- tro tre giorni”. Inoltre prescrisse alle autorità civili e militari di arrestare quei forestieri e quei pae- sani che anche fuori del ducato di Modena avevano preso parte all’ultima rivoluzione dell’Italia centrale. Perciò il Brigadiere dei Dragoni stanziati a Pievepelago arrestò l’8 aprile Angelo Pilati, Tommaso Torrigiani, Giuseppe Spagni, Carlo Lari, Gaetano Motti, Luigi Ferrari e Michele Molda- ni, tutti di Reggio Emilia, il 26 Paolo Frangi di Modena; e in quel torno di tempo i Finanzieri di Ser- rabassa trassero in arresto Vincenzo Barili e Carlo Uberti: i quali poi sotto vigile custodia furono tradotti nelle carceri di Modena per essere giudicati dal tribunale statario. Il 28 dello stesso mese, il Ferrarini, avvertito dal Sotto ispettore di Finanza, Vitali, che a Groppo, allora frazione del Comune di Pievepelago, trovavasi, presso la famiglia Cabonargi, Nardini Leonardo nativo di Garfagnana, ma domiciliato a Modena, mandò colà alcuni Cacciatori con tre guardie di Finanza, le quali lo arrestas- sero e lo traducessero in queste carceri, da dove, dopo alcuni giorni, fu fatto accompagnare a Mode- na per esservi giudicato dal tribunale statario che lo condannò con sentenza del 12 luglio a tre anni di carcere, per la imputazione di aver cooperato alla compilazione ed alla promulgazione del Moni- tore Modenese. Dei pievaroli l’11 aprile venne carcerato sotto l’accusa “di aver servito come semplice soldato nell’orda dei ribelli”, Simone Mucci, il quale peraltro dopo pochi giorni fu dal suddetto tribunale rimesso in libertà. Saverio Cabonargi, il più compromesso del nostro Comune, avendo fin dal 7 marzo ottenuto dal Sindaco Giacobbi un passaporto per l’estero, poté mettersi in salvo emigrando.

IV. I bersaglieri del Frignano

Il fatto che nei rapporti della montagna modenese colla rivoluzione del 1831 assunse maggiore im- portanza fu senza dubbio la istituzione dei Bersaglieri del Frignano e la loro chiamata a Modena per comprimervi e domarvi la rivolta. E siccome anche il Comune di Pievepelago diede a quelle milizie un numeroso contributo, perciò, a complemento di quanto ho detto intorno alle attinenze di Pievepe- lago col rivolgimento politico del 1831, credo necessario far conoscere le ragioni che determinarono Francesco IV all’arruolamento di quelle soldatesche e le vicende della loro andata a Modena nel febbraio del 1831.

4 Il 12 novembre del 1830 il duca di Modena, fatto chiamare da Pavullo alla capitale Sigismondo Fer- rari che come ingegnere e perito del governo da parecchio tempo si trovava nella montagna mode- nese, così gli parlò “A pochi sudditi e a tutte prove fidati i Principi possono e debbono solo aprire il cuore e manifestare i loro ed i segreti dello stato in certe circostanze. A lei quindi confido non esse- re lontano lo scoppio di una rivoluzione in Italia; precisamente nei miei Stati; forse in Reggio prima che altrove! Vorrei pertanto aggiungere alle mie truppe regolari alcuni volontarj; e perché la fedeltà ed il coraggio vero insieme colla Religione sono per eccellenza nel cuore dei Montanari della Pro- vincia Frignanese, così vorrei fare un appello ai medesimi per chiamarli all’arme in mio servigio come volontarj organizzandoli sulla guisa della landverd austriaca; e siccome poi Ella per lavori fat- ti eseguire in detta Provincia, e per quelli attualmente in corso conosce quelle popolazioni e ne è da esse conosciuto, così vorrei affidare alla sua avvedutezza e devozione per me l’arruolamento di un corpo di montanari volontarj, diviso in compagnie, e sarebbero Pavullo con Monfestino, Pievepela- go con Fiumalbo, con Fanano, Montese con ”. Il Ferrari tornato a Pavullo si accinse subito all’impresa, e coadjuvato particolarmente dal podestà di Pavullo Dott. Grandi, dai sindaci Marco Ferrarini di Pievepelago, Pietro Bondi di Fiumalbo, dott. Giorgio Landi di Sestola e dott. Guidotti di Montese, riuscì ben presto ad arruolare circa 300 giova- ni dei più robusti, ai quali tosto si cominciò ad impartire l’istruzione militare col mezzo di ufficiali e di istruttori venuti da Modena, sotto l’alta direzione del Ferrari, che da Pavullo portossi nei singoli paesi a presiedervi le esercitazioni, a distribuire armi, munizioni, buffetterie ai volontari ed a conse- gnare ai sindaci le placche, distintivo dei bersaglieri, eguali in tutto a quelli del R. Battaglione di li- nea, per esser date agli arruolati che le affissero ai loro cappelli. Sui primi del gennaio 1831 Francesco IV richiamò a Modena il Ferrari e gli dichiarò “d’esser tanto soddisfatto dell’esito dell’ideato arruolamento di volontari nell’alta montagna modenese, da volerne organizzare sotto il comando di lui un corpo regolare e dar loro un’uniforme a scelta del Ferrari medesimo”, il quale propose subito che i Bersaglieri del Frignano fossero armati di carabina e aves- sero cappello da Tirolesi e montura verde con mostre gialle, i due colori della provincia frignanese. In conformità di queste disposizioni il Ferrari, fatto ritorno in montagna, divise la massa dei volon- tari in quattro compagnie, la 1a di Pavullo e , la 2a di Pievepelago e Fiumalbo, la 3a di Sestola e Fanano, la 4a di Montese e Guiglia; ritenne per sé il comando della 1a nella quale ebbe a coadjutori il Tenente Giuseppe Mari degli Urbani, il sottotenente Carlo Ferrari e l’istruttore France- sco Tamagnini di segretario di Montefestino; designò comandanti speciali della 2a Marco Ferrarini, della 3a il sergente Istruttore Felice Marcelli, già caporale cadetto di linea, e della 4a il Brigadiere Lagrange; nominò i sergenti, i caporali e i sotto-caporali; e dispose perché venisse prepa- rato in ognuno dei suddetti luoghi un giovinetto all’ufficio di tamburino. Mentre nel Frignano si attendeva con sollecitudine alla organizzazione ed all’ammaestramento del nuovo corpo, ed a Modena si stavano preparando le monture onde vestire i volontari frignanesi al- meno entro la prima metà di febbraio, la mattina del 4 di questo mese, verso le ore 7 un apposito in- viato, partito da Modena la sera del giorno precedente, consegnò al Ferrari una lettera colla quale il governatore Coccapani gli significava che “S. A. R. volendo provare la devozione e l’obbedienza di codesti Bersaglieri gli comandava di riunire subito in Pavullo quanti più poteva dei medesimi e di condurli a Modena armati per una generale parata, e di disporre in pari tempo perché i più lontani di Fiumalbo, di Pievepelago, di Sestola e di Fanano seguissero da vicino la prima colonna per la stessa destinazione, e quelli di Montese per la via di Guiglia e fossero condotti alla capitale dal Brigadiere Lagrange”. Il Ferrari aveva appena diramato gli ordini per ottemperare alle ingiunzioni sovrane, quando un’altra lettera dello stesso governatore, portata da un secondo espresso, gli rad- doppiava le istanze per la immediata partenza sua colla truppa “avendosi assoluto bisogno dei Ber- saglieri Montanari in Modena”. Queste pressanti sollecitazioni e la circostanza che all’ultimo invia- to era stato prescritto lo stradale di S. Dalmazio, mentre al primo era stato fissato quello della Giar- dini, convertirono in certezza i sospetti del Ferrari, che, cioè, fosse scoppiata a Reggio e a Modena quella rivoluzione di cui gli aveva parlato il duca fin dal novembre del 1830. Tuttavia, senza mani- festare ad alcuno le sue apprensioni, affrettò la riunione delle truppe, le fornì di armi, di munizioni e

5 di viveri e mandò innanzi un picchetto di Forieri coll’incarico di preparare a S. Venanzio il rancio pei soldati e di accendervi, sulle alture circostanti, grandi fuochi coi quali far conoscere alla capitale l’andata dei Bersaglieri del Frignano, infondere coraggio ai legittimisti e incutere timore ai rivolu- zionari. Partì da Pavullo verso le 12 meridiane con 90 soldati e alla distanza di un quarto di miglio da quel luogo incontrò un postiglione di Modena, portante, al galoppo, una terza lettera del Coccapani con cui lo sollecitava calorosamente a recarsi a Modena coi bersaglieri: lo avvertiva “che la rivoluzione era scoppiata, sebbene pel momento repressa”: gli raccomandava “procedesse nella marcia con pre- cauzione, perché la città era circondata da squadriglie di rivoltosi armati, e Sassuolo e eransi già ribellati”, e lo incitava, all’occorrenza, ad aprirsi il passo colle armi. Il postiglione inter- rogato privatamente dal Comandante rispose, con accento improntato al maggior spavento, “che il sangue correva per Modena, che i Pionieri eransi uniti ai ribelli, che i soldati avevano combattuto e combattevano fra di loro, che si era tirato il cannone in città e dalle mura, e che tutti i paesi intorno a Modena, Reggio, Carpi, , Sassuolo, la Bastia e Spilamberto si erano sollevati”. Il Ferrari, per non lasciar conoscere né a’ suoi né ad altri quanto si diceva accaduto a Modena, inca- ricò il suo sergente di accompagnare innanzi il postiglione, coll’ordine tassativo di farlo rifocillare nell’osteria di Serra Mazzoni e di S. Venanzio, ma chiuso in una stanza senza permettergli di parla- re con alcuno delle cose della capitale. Indi, dopo avere per breve tempo ristorata con pane e vino la truppa alla Serra, riprese la marcia verso Montardone; presso al qual luogo il Comandante prece- dendo alquanto l’avanguardia entrò nella locanda dove “trovò una generale costernazione recatavi da vari barocciai reduci da Modena, che narravano mille diverse storie tutte di sangue e di stragi. Confinò anche costoro nelle stanze interne dell’osteria fin tanto che passasse la Colonna, cui fece recar da bere in fretta in sulla via”; poscia proseguì la marcia fino a S. Venanzio ove pervenne coi suoi soldati verso le ore 7 della sera. Collocati, per non essere sorpreso, alcuni dei più fidati in sentinelle nei siti donde si poteva giungere in quel luogo, fece assidere i soldati a lauta mensa di minestra, carne, pane e vino, durante la quale arrivarono i cacciatori di Monfestino condotti dal Tamagnini ed un drappello di quelli di Sestola, che uniti agli altri formarono il numero di 132. A mezzanotte, dopo tre ore di riposo alla pagliata, suonata la sveglia, radunò la truppa in un salone di quella locanda, e conoscendo impossibile poter più oltre occultare la notizia degli avvenimenti della capitale per l’alto turbamento che traspariva dal volto e dal contegno dei locandieri e dei paesani, per il chiarore di straordinaria illuminazione che scorgevasi nei dintorni di Modena e più ancora per i colpi di cannone e di moschetto che fin da S. Venanzio si andavano sentendo di tratto in tratto, risolse di far conoscere alla sua truppa tutta la verità e di prepararla così a procedere colle precauzioni richieste in caso di sospetti, colle armi cari- che e con buona quantità di munizioni in giberna. Al sentire che lo scopo vero della loro chiamata a Modena era quello di reprimere la incominciata rivoluzione i Bersaglieri frignanesi non si spaventa- rono; e, quantunque il Ferrari li dichiarasse liberi di tornare al proprio casolare col capitano Mari destinato a far ritorno in Pavullo per porvi in arme la Compagnia Urbana e per custodire il paese, nessuno manifestò l’intenzione di retrocedere; ma tutti gridarono ad una voce: partiamo Capitano! A noi munizioni! carichiamo le armi e avanti!4 Conosciute queste disposizioni il Ferrari diede a ciascun milite alcuni pacchi di cartuccie, ne visitò accuratamente le armi, ritirò i posti avanzati e le sentinelle, mandò innanzi, come vedetta perduta, il suo postiglione a cavallo seguito dal sergente, formò una forte guardia, dispose alcuni fiancheggia- tori per schiarire la marcia ove occorreva, e con pochi uomini alla retroguardia mise in moto la co- lonna sotto il comando del capitano Mari, mentre egli si collocò alla testa dell’avanguardia. Passò felicemente per e per Casinalbo, da dove rimandò ai loro posti di Pavullo e di Serra Mazzoni il Capitano Mari, il dott. Tamagnini e i vetturali di cui più non abbisognava, e per Casinal- bo e S. Faustino, senza sosta e trovando ovunque la quiete più grande, proseguì per Modena, dove giunto verso le ore sette del mattino del giorno 5, gli fu senza alcun ostacolo aperta la porta di San

4 Il Ferrari era stato promosso al grado di maggiore comandante i Bersaglieri del Frignano fino dal gennaio di quell’an- no 1831. 6 Francesco, per la quale entrò, e condotto da un ufficiale estense al piazzale ducale trovò ivi al bi- vacco tutto il R. Battaglione di linea. E’ facile immaginare la festa onde vennero accolti i 132 Bersaglieri frignanesi, e specialmente il lo- ro comandante, dal duca e dai superiori militari! Furono acquartierati nella caserma di S. Agostino dove venne dato a ciascuno di loro un mezzo scudo di Milano affinché potessero provvedersi di che mangiare nelle vicine osterie della città; ed alle ore 9 furono mandati a coricarsi alla pagliata perché fossero in condizioni da assumere nel pomeriggio il servizio alla guardia della fortezza e delle mura della città. Durante la notte dal 5 al 6 i Bersaglieri montanari furono i soli che vigilassero intorno alle mura di Modena, specialmente da porta S. Francesco a porta Castello, resistendo alcuni di essi fino a 14 ore di sentinella; e 15, guidati dal Ferrari, perlustrarono tutta quanta la città rientrando in Cittadella alle 3 dopo mezzanotte, donde tre ore dopo ne risortirono altri 15 per andare a riconosce- re il servizio che prestavano le diverse guardie in città e alle porte5. La mattina del giorno 6 il Ferrari, ritirate tutte le sentinelle, accordò alla sua truppa circa tre ore di riposo, dopo il quale, le fece mangiare l’ordinario, ed ad un’ora circa la dispose in linea di battaglia subito fuori dalla porta della cittadella, dietro ai Pionieri e agli Urbani, rimasti dopo la partenza del duca, tutti sotto il comando del Colonnello Leonida Papazzoni, pronti per avanzarsi contro il popolo tumultuante nella piazza grande ed al palazzo di città. E quando dopo poco tempo varie masse di gente spuntarono all’imboccatura degli stradoni di Piazza d’arme, con alla testa alcuni armati, i di- fensori della cittadella, i frignanesi pei primi, impugnarono le armi, e si disponevano a combattere quando il Papazzoni li trattenne ed ordinò loro di rientrare in cittadella insieme ai 15 o 16 dragoni, che, guidati dal Tenente Muzzioli, ne erano sortiti al galoppo cogli squadroni snudati per far impeto contro la folla veniente da S. Agostino. Pietro Maranesi colonnello in ritiro, Silvestro Castiglioni, ex ufficiale austriaco, l’avv. Vincenzo Borelli ed altri capi liberali chiesero ed ottennero dal Papaz- zoni che fosse da lui provveduta d’armi e di munizioni la guardia cittadina, ed alle proteste del Fer- rari e degli altri ufficiali estensi contro la imposta ritirata e la facile condiscendenza a questa do- manda il Papazzoni rispose dichiarando altamente “avere ordine dalla R. A. S. di non opporre resi- stenza d’arme ai ribelli, dover essi piegar alle circostanze e rispettare i suoi comandi che erano ap- punto i comandi Sovrani”. Allora il Ferrari, preoccupato più della sua truppa che di sé stesso, pensò al modo di rimandare alle loro case i Bersaglieri montanari con sicurezza e con decoro. In un colloquio avuto col Castiglioni ottenne, come condizione per far loro deporre le armi, che venisse aperta la porta-soccorso per la quale poterono uscire liberamente scortati da alcune guardie cittadine incaricate di impedire che fossero molestati nel ritorno ai loro paesi. Così questi Bersaglieri del Frignano, lasciate, per ordine del loro capo, le armi, le buffetterie e le placche nella cittadella, furono accompagnati dal coman- dante e da 6 o 7 guardie cittadine fino al Casino Brunetti in quel di S. Faustino, da dove, messi dal Ferrari in libertà, ritornarono sani e salvi, senza ostacoli di sorta alle loro famiglie. Frattanto la colonna dei Bersaglieri di Pievepelago, Fiumalbo e Sestola affidata alla direzione del Ferrarini, e composta di circa 100 uomini “era giunta al Lazzaretto della Saliceta aspettando ordini”. Il Ladorini, caporale cadetto di Fiumalbo, incaricato dal Ferrarini di portarsi a ricevere gli ordini dal Comandante, la sera stessa del giorno 6 “aveva bravamente scalata la mura per compiere a questo dovere sprezzando ogni pericolo”. Il Ferrari “rispose con due righe che il Ferrarini ponesse subito in libertà i suoi uomini, ritirasse in luogo sicuro e nascosto armamento, buffetterie, munizioni e plac- che per conservare il tutto al principe, ritornasse egli stesso a Pievepelago, od in altro luogo ad evi- tare disgrazie e cercasse che tutto seguisse senza disordini”. Il Ladorini, per la stessa strada d’onde era entrato in cittadella, fece ritorno a Saliceta, e il Ferrarini ottemperò puntualmente a quanto gli scriveva il Ferrari. Così “anche quei 100 soldati montanari tornarono alle loro case senza sinistri; e finita la rivoluzione, al ritorno di Francesco IV, il Ferrarini restituì le armi e quanto altro eragli stato affidato”.

5 “A porta Bologna trovarono un tumulto di cittadini contro quella guardia, pretendendosi dai tumultuanti che si aprisse la porta col pretesto di lasciar entrare in città le vittuaglie. L’arrivo dei 15 bersaglieri del Frignano bastò a dissipare quell’attruppamento; né la porta si aperse altrimenti”. 7 Gli 80 uomini circa di Montese e di Guiglia, che il brigadiere Lagrange conduceva alla capitale re- trocessero appena arrivati al piano. Imperocché “giunti all’alba del 7 febbraio a Vignola e fatti certi da quel podestà della consumata rivoluzione di Modena, per ordine del Lagrange depositarono pres- so la comune nel Castello le armi, le munizioni e le buffetterie e ritornarono ai monti; senza ostacoli o disgrazie”. In tal modo “il corpo dei Bersaglieri montanari fu sciolto, sì come al Ferrari aveva or- dinato Francesco IV prima di lasciar Modena, salvo, aveva aggiunto il duca, a richiamarlo in servi- gio al suo ritorno”6.

V. Deduzioni

La incertezza delle circostanze che hanno preceduta ed accompagnata la rivoluzione del 1831 ha fi- nora offerto il destro ai narratori passionati di quell’avvenimento di emettere intorno ad esso affer- mazioni svariatissime e contraddittorie le quali perciò rendono molto difficile formulare un giudizio pienamente conforme alla verità dei fatti. I documenti sui quali si appoggia l’esposizione dei rapporti di Pievepelago con quel rivolgimento politico mi offrono il modo di rettificare e chiarire alcune di quelle circostanze, e ne approfitto certo di contribuire a gettare un po’ di luce sopra un fatto di non lieve importanza nella nostra storia na- zionale. A proposito delle circostanze che precedettero la congiura del 3 febbraio 1831 gli scrittori di parte ducale affermarono che la trama passò così segreta che il duca non ne ebbe sentore altro che pochi giorni innanzi che la congiura scoppiasse7. Ma il discorso tenuto da Francesco IV con Sigismondo Ferrari il 12 o il 13 novembre 1830 e gli ordini speciali emanati in quel torno di tempo dal governo ducale per impedire la propaganda di idee e di notizie sovversive dimostrano che il duca di Modena fin dalla prima metà del novembre 1830 era consapevole o almeno sospettoso della rivoluzione che stava per scoppiare nel suo Stato. Quelli invece di parte liberale asserirono che la polizia tutta dello Stato estense, benché conoscesse le disposizioni per la imminente rivoluzione, dormiva placida sui movimenti e le operazioni del Menotti e che fino agli ultimi del gennaio 1831 tutta la popolazione soggetta al duca di Modena par- lava liberamente della rivoluzione che doveva compiersi in febbraio8. Ma anche queste asserzioni sono dimostrate erronee dalla istituzione del corpo dei Bersaglieri o Cacciatori del Frignano ordinata da Francesco IV nel dicembre del 1830 specialmente per reprimere o prevenire la temuta insurrezione; dalle prescrizioni contenute nelle circolari del 21 gennaio e del 2 febbraio 1831 colle quali si mirava a impedire la circolazione nello Stato di Modena di libri e fogli contenenti massime contrarie alla pubblica tranquillità e alle legittime autorità e la diffusione di no- tizie circa la probabilità e il pericolo di prossimi torbidi ed insurrezioni; e dall’arresto preventivo di individui sospetti rivoluzionarii compiuto per ordine della polizia fin dal gennaio del 1831. Per quanto riguarda la discesa a Modena dei Bersaglieri del Frignano, da una parte il Parenti9 ed il Galvani10 ne lodarono la sollecitudine volonterosa onde risposero all’appello del loro Principe, ne descrissero l’arrivo alla capitale senza ostacoli e senza opposizioni, esaltarono il coraggio e l’ope- rosità di cui diedero prova durante la loro permanenza in Modena11 e ne segnalarono il rimpatrio senza che alcuno contendesse loro il libero ritorno.

6 Da una relazione autografa particolareggiata del Ferrari medesimo. 7 Stocchi P. Vincenzo: Sopra la vita del marchese Giuseppe Molza, Memoria, Venezia, tip. Emiliana, 1864, p. 56. 8 Bianchi dott. Francesco: Biografia del martire italiano Ciro Menotti, Bologna, tip. Azzoguidi, 1880, pp. 24 e 28. 9 Condizione del Frignano sotto la signoria di Francesco IV, in Tributo della R. Accademia di Scienze, Lettere ed Arti di Modena alla memoria di Francesco IV, Modena, Eredi Soliani, 1846. 10 Memorie storiche intorno la vita dell’Arciduca Francesco IV d’Austria d’Este duca di Modena, Modena, A. Cappelli, 1853, vol. IV, pp. 66-70. 11 Il Sossai segnalando nella sua Cronaca l’arrivo a Modena dei Bersaglieri del Frignano aggiungeva: “Non sono per anche provvisti di uniforme: portano sul proprio cappello rotondo una placca con la cifra F. IV sormontata dalla corona simile a quella dell’Infanteria, armati di fucile. Questi giovani dimostrano molto ardore di servire il Principe”. 8 Dall’altra parte nel supplemento al Monitore Modenese del 23 febbraio 1831 n.° 2 con manifesta al- lusione ai volontari frignanesi fu scritto: “nella mattina del 6 distaccamenti di Pievepelago, Sestola e Fanano de’ suddetti cacciatori diretti alla volta di Modena furono parte disarmati dai Sassolesi e parte si sbandarono”. E nel n.° 3, 26 febbraio, dello stesso periodico, riferendosi quanto era avvenu- to in Sassuolo durante la rivoluzione del 1831 venne scritto che nel pomeriggio del 5 febbraio “sa- putosi in Sassuolo che per la strada Giardini doveva la seguente notte discendere un corpo di caccia- tori montanari (milizia novellamente ordinata) affine di rinforzare la guarnigione di Modena il valo- roso Giuseppe Piva con dieci compagni d’animo pari al suo, pigliossi volonteroso l’assunto di re- carsi a S. Venanzio a impedire a quella truppa di giungere alla capitale. Come deliberò fece: la assa- lì alla sprovvista e la disperse, e la dimane si rese a Sassuolo con 12 fucili via gettati dai fuggitivi”. Taddeo Grandi nel volume Ciro Menotti e i suoi compagni12 ripeté, a proposito dell’andata a Mode- na dei Bersaglieri del Frignano, le parole medesime contenute nel Monitore del 26 febbraio qualifi- cando l’asserta loro fuga precipitosa e disastrosa; ma senza indicare a qual giorno e a quale compa- gnia debbano riferirsi. E il Silingardi nel suo Ciro Menotti e la rivoluzione dell’anno 1831 in Modena13, fece proprie le e- spressioni surriferite nei numeri 2 e 3 del Monitore14, riferendo le seconde, dove è fatta menzione dell’operato del Piva, al 4 febbraio, giorno in cui giunsero al piano i volontari guidati dal Ferrari; le prime al 6, giorno nel quale vi arrivarono quelli condotti dal Ferrarini. Così che stando alle asserzioni di questi scrittori, tutti i Bersaglieri del Frignano, tranne quelli di Montese e di Guiglia che pervennero solo fino a Vignola, sarebbero stati sbandati e dispersi dai Sassolesi prima di giungere a Modena, ed avrebbero dato prova di grande vigliaccheria fuggendo disordinatamente di fronte a un nemico dodici volte inferiore di numero. Come amante della verità storica e come frignanese non posso trattenermi dal confutare tali affer- mazioni contrarie alla verità e ledenti la dignità de’ miei conterranei. Senza tener conto della inverosimiglianza che il 5 febbraio 10 soli uomini, per quanto fossero forti e coraggiosi, riuscissero a mettere in fuga in luogo aperto circa 130 soldati guardinghi e provvisti di armi e munizioni, la erroneità dell’affermazione del Silingardi apparisce anche dal fatto indubitabile da lui pure ammesso in altra parte del suo scritto, che dal 5 al 6 febbraio l’ordine e pubblica quiete dentro alla città di Modena furono tutelati specialmente dai Bersaglieri del Frignano comandati dal Ferrari. Se erano arrivati a Modena non potevano essere stati sbaragliati e messi in fuga poco prima a S. Venanzio! Inoltre è noto che tornato Francesco IV al governo del Ducato ed “informato della fedeltà e bravura mostrata dai volontari del Frignano” non solo conferì nell’aprile del 1831 ai 132 uomini che il Fer- rari aveva da Pavullo e da condotti a Modena e al cap. Ladorini la medaglia d’onore e fedeltà; ma per dippiù con decreto 21 marzo 1831 ne ordinò la riorganizzazione “così bene inco- minciata dal Ferrari” e volle si chiamassero Cacciatori del Frignano15. Certamente queste sovrane testimonianze di gratitudine e di estimazione non sarebbero state concesse se i volontari frignanesi nel febbraio del 1831 avessero dato prova di infedeltà e di vigliaccheria! L’errore ed i falsi apprezzamenti circa l’andata dei Bersaglieri del Frignano a Modena è derivata anzitutto dall’avere il Silingardi erroneamente considerati come allusivi a due fatti diversi, accaduti in giorni diversi, gli accenni contenuti nel Monitore Modenese del 23 e del 26 febbraio, i quali inve- ce riguardano lo stesso unico avvenimento; in secondo luogo dalla naturale esagerazione dell’ano- nimo scrittore degli articoli del giornale mirante ad impressionare coll’alterazione di un fatto di mi- nima importanza le menti e gli animi dei Modenesi, allora per la massima parte titubanti e dubbiosi della fermezza e stabilità del governo liberale, o fors’anche dall’avere l’articolista medesimo o per

12 Bologna, Soc. tip. Azzoguidi, 1880, p. 162. 13 Rivista Europea, rivista internazionale, Firenze, 1880, vol. XIX, fasc. II e III. 14 Il Silingardi (op. cit., p. 283) indica, come fonte da cui ha dedotto l’operato del Piva, il Monitore del 23 febbraio 1831; ma invece doveva indicare quello del 26 febbraio 1831. 15 In questa riorganizzazione Marco Ferrarini venne nominato tenente nell’aprile del 1831 e capitano effettivo il 1° gen- naio del 1833. 9 ignoranza o per malanimo affermate come tolte il giorno 6 verso S. Venanzio ai Bersaglieri frigna- nesi quelle armi che il Piva e i suoi compagni asportarono l’8 dello stesso mese da Pavullo dove e- rano state dianzi da quelli depositate dai Bersaglieri. Ed a questo sospetto mi fa inclinare il non aver trovato nei processi a carico dei compromessi politici sassolesi del 1831, tra i titoli d’accusa, l’im- putazione della violenza fatta in S. Venanzio il 6 febbraio ai volontari del Frignano e l’avervi invece riscontrata quella d’essere andati in banda armata il giorno 8 a prendere “le armi dei Bersaglieri esi- stenti a Pavullo”. Ad ogni modo deve ritenersi per certo che i 132 volontari del Frignano, i quali nel 4 febbraio parti- rono da Pavullo per recarsi a Modena, poterono la mattina del 5 raggiungere la loro meta senza es- ser per nulla molestati: che gli 80 di Montese e di Guiglia retrocedettero spontaneamente da Vigno- la quando ebbero notizia della fuga del Duca e della prevalsa rivoluzione: e che quelli di Pievepela- go e Fiumalbo, in numero di 100 pervennero il giorno 6 al lazzaretto di Saliceto S. Giuliano dove erano stati destinati e donde retrocedettero per ordine del maggiore Ferrari16 dopo avere nascoste in luogo sicuro le armi, le buffetterie, le munizioni e le placche, le quali poi tornato il Duca furono tut- te restituite al governo. Di guisa che l’asserto sbandamento dei Bersaglieri frignanesi attribuito al Piva ed ai suoi compagni o non ha alcun fondamento di vero, o tutto al più deve essere ridotto a proporzioni minime, cioè alla dispersione di pochi individui appartenenti alla compagnia guidata dal Ferrarini, i quali forse eransi con poca avvedutezza allontanati dal grosso delle forze.

I Montecuccoli di Montese - Percorso storico

16 Francesco IV “per dare una prova della sua piena soddisfazione al sig. cav. cap. Sigismondo Ferrari per lo zelo ed at- tività colla quale aveva organizzato i Cacciatori nella montagna modenese si era degnato nominarlo col giorno 28 gen- naio 1831 maggiore effettivo...” (Arch. di Stato di Modena, Lett. del C. Guicciardi 30 gennaio 1831). Anche il Sossai (Cronaca in Biblioteca Estense) riferisce al gennaio del 1831 la promozione del Ferrari da capitano a maggiore. Perciò si allontanò alquanto dal vero Vittorio Ferrari scrivendo (Paolo Ferrari, Milano, Casa Editrice Boldrini, 1899, p. 13) che la promozione fu fatta nell’agosto del 1831 dopo il ritorno del Duca a Modena. 10