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Rivista fondata da Luciano Pasquali Anno XXIV•N. 10/11/12•Ottobre/Novembre/Dicembre 2019 Mensile Tecnico Scientifico € 4,50 E.S.S. Editorial Service System In edicola 27 dicembre 2019 Sped. Abb. Post - D.L. 353/2003 Fondazione Dià Cultura (conv. In L. 27/02/2004 n.46) art.1 comma 1, Aut. N.C/RM/036/2010

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Trame di storia Metodi e strumenti dellʼarcheologia sperimentale Archeofest 2017 a cura di Massimo Massussi, Sonia Tucci, Romina Laurito

17x24 cm, 408 pp., 25.00 euro ISBN 978-88-8444-194-2 1 2 Insieme per l’Archeologia

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www.sysgraph.com [email protected] Sommario 3

5 John I. Middleton, un viaggiatore alla scoperta delle città pelasgiche del meridionale di Luca Attenni

12 Specificità delle forme di insediamento pre-romane nel Sannio Pentro. Il caso di studio della fortificazione sannitica di Mirabello Sannitico (CB) di Isabella Muccilli

18 La lapidazione del “falso Nume” della porta San Pietro di Alatri di Roberto Libera

22 L’opera poligonale nell’Italia Centrale di Daniele Baldassarre 4 In copertina La Porta Maggiore dell’acropoli di Alatri

FORMA VRBIS. Itinerari nascosti di Roma antica Mensile Tecnico-Scientifico fondato da Luciano Pasquali

Pubblicazione registrata presso il Tribunale di Roma n°548/95 del 13/11/95

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Redattori Chiara Leporati, Laura Pasquali, Simona Sanchirico

Impaginazione e grafca Giancarlo Giovine per la Fondazione Dià Cultura

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Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodica Italiana La gran parte delle città pelasgiche del Lazio Meridionale 5 si trovava in un anonimato totale fino alla fine del Settecento, quando l’abate francese Petit-Radel si imbatté per la prima volta in queste architetture megalitiche sul monte Circeo. La folgorazione di Petit-Radel beneficiò dell’ondata di interesse verso un Antico “altro” e attirò sulle mura poligonali l’attenzione non solo degli archeologi ma anche dei viaggiatori che ne subirono il fascino e che si mossero alla scoperta dei paesi del Lazio meridionale, generalmente tagliati fuori dai percorsi turistici. Il presule francese datò la costruzione di queste mura in un’età remotissima e la mise in relazione al misterioso popolo dei Pelasgi, ciò facendo caricò le mura di una forte valenza segnica per la cultura e per la sensibilità del suo tempo. 1. J.I. Middleton, Grecian Remains in , a Description of Attribuiamo la scoperta delle mura a pochi pionieri tra Ciclopian Walls and Roman Antiquities, Londra1812 i quali Giuseppe Simelli che esplorò le città sabine del Lazio settentrionale e dell’Umbria. Negli anni compresi fra il 1805 e il 1809, l’americano John Izard Middleton, l’inglese di origini irlandesi Edward Dodwell e Marianna John I. Middleton, un viaggiatore alla Candidi Dionigi, fermi sostenitori della tesi ‘pelasgica’, scoperta delle città pelasgiche del furono gli artefici della grande opera di documentazione Lazio meridionale delle sconosciute cinte del ‘Lazio del Calcare’. di Luca Attenni* Grazie all’utilizzo delle migliori tecnologie dell’epoca, fra le quali le camere chiare e oscure, e alle minuziose misurazioni dal vero, essi produssero un numero Nell’anno 1812 fu pubblicato a Londra, a opera di John impressionante di documenti: non si trattava di ‘vedute’ Izard Middleton, il volume “Grecian Remains in Italy, a ma veri e propri ‘rilievi accurati’. Description of Cyclopian Walls and Roman Antiquities with Da quel momento le città dei monti a sud di Roma, dotate Topographical and Picturesque Views of Ancient Latium”. di mura, vennero visitate da artisti di diverse nazionalità Nel capitolo introduttivo l’autore affermava di volersi e, grazie alle loro riproduzioni pittoriche e alla stampa, occupare delle mura poligonali, monumenti del Lazio uscirono dall’isolamento e dalla trascuratezza a cui precedenti a quelli di età romana, i cui disegni accuratissimi l’itinerario classico del Grand Tour le aveva relegate. accompagnavano il testo e furono l’oggetto principale Nella prima parte del suo viaggio John Izard Middleton della pubblicazione. percorse la via Appia, la via Regina, asse di penetrazione

2. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. Veduta del Lago di Nemi da Monte Cavo 6

3. Tratto di mura in opera poligonale sull’acropoli del Circeo 5. Johann Heinrich Wilhelm Tischbein, Goethe in der roemischen (foto D. Baldassarre) Campagna

4. Luigi Rossini, Antichità di Cora 1824-1826

di un territorio che, per la morfologia e la generosità realizzata anche la nuova strada tra Albano, Ariccia, del clima dovuti alla natura vulcanica dei Colli Albani, Genzano e Velletri. costituiva quasi un unicum per la continuità dell’orografia, La Campagna meridionale di Roma suggestionò del paesaggio e delle sue relazioni con Roma. Il tracciato fortemente l’archeologo: i laghi di Albano e Nemi, romano abbandonato in età medievale all’altezza di i mausolei, le vestigia archeologiche di età romana e i Albano Laziale fu recuperato con la parziale bonifica delle borghi dei Castelli Romani spiccavano in un paesaggio Paludi Pontine dalla fine del Settecento quando venne pieno di contrasti tra le opere dell’uomo e la natura che sembrava volersi riappropriare del territorio modificato da 7 secoli di storia. Middleton affermò che nulla agli occhi del viaggiatore era più allettante della vista della Campagna Romana quando ci si lascia alle spalle Roma uscendo dalla porta di San Giovanni in Laterano: gli acquedotti in rovina attraversavano il paesaggio in ogni direzione, il Monte Cavo era pittoresco da qualsiasi lato si guardasse. Rimase particolarmente colpito dalla città di Albano, dove si soffermò a descrivere il cosiddetto sepolcro degli Orazi e Curiazi e le vaste vestigia della villa di Domiziano. Middleton fece risalire l’origine della moderna città di Albano a un accampamento pretoriano, di cui descrisse 6. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. Vestigia archeologiche la consistente porzione di mura ancora visibili, la cui parte dell’antica Bovillae più intatta fungeva da muro di confine e di fondamenta

7. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. Veduta del Lago Albano e del Lago di Nemi da Monte Cavo

8. Il Ninfeo Dorico a Castel Gandolfo (per gentile concessione del Parco dei Castelli Romani) 8

9. C. Hullmandell, il Lago di Nemi e Genzano (1819) 11. Il cosiddetto sepolcro degli Orazi e Curiazi ad Albano Laziale

12. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. Veduta di Cori

13. Porta Maggiore di Norba (per gentile concessione di Stefania Quilici Gigli)

del convento di San Paolo, dove egli stesso abitò nei mesi estivi del 1809. Descrisse l’area di Palazzolo e il suo convento, località notevole a suo dire per essere stata il luogo dell’antichissima città di Alba Longa, in cui si trovava un sepolcro molto singolare, antichissimo, scolpito nella solida roccia, che 10. L’anfiteatro di Albano Laziale (per gentile concessione del secondo l’archeologo americano fu un monumento Parco dei Castelli Romani) funebre di qualche re di Albano. 9

14. Veduta aerea dell’antica città di Norba (per gentile concessione di Stefania Quilici Gigli)

17. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. La cosiddetta Porta Minore o dei falli

15. Veduta aerea della città di Alatri (foto D. Baldassarre)

18. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. Segni - Portella 16. Alatri, Porta Maggiore (per gentile concessione del Museo Civico di Segni) 10

19. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. Pointed Cyclopian Gate at Segni (per gentile concessione del Museo Civico di Segni) 11

20. J.I. Middleton, Grecian Remains in Italy. Alatri Porta S. Pietro

Middleton subì la fascinazione di ogni cosa che riguardasse Middleton concluse il suo viaggio e il suo lavoro con il piccolo Lago di Nemi, sostenendo che il nome datogli una descrizione delle tombe scavate nella roccia di dagli antichi, lo Specchio di Diana, riverberava la sua Valmontone, dei resti a Palestrina e dei luoghi d’interesse bellezza e che in nessun modo i viaggiatori ne sarebbero che osservò sulla via tra quest’ultima e Roma. rimasti delusi. Ventidue anni dopo la pubblicazione del suo volume Descrisse poi Velletri, il lago di Giulianello, e ancora Cori, alcune delle litografie furono ristampate per il noto lavoro Norba, Segni, Alatri e Ferentino, che incoronavano le loro postumo di Dodwell del 1834 “Views and Descriptions of ripide colline con possenti mura. Cyclopian or Pelasgic Remains in Italy and ”. A Cori rappresentò i muri superstiti che erano stati rialzati allo scopo di sostenere la collina; a Norba immortalò *Luca Attenni l’enorme porta con le pareti ben conservate, esempio Museo Civico di Alatri significativo di opera ciclopica. I resti archeologici di Segni e Alatri furono i più importanti Bibliografia essenziale che descrisse e pertanto documentati nel dettaglio. Le mura poligonali di Segni furono realizzate nel primo stile D. Baldassarre, Latium vetus et adiectum. Architetture megalitiche. Pars prima, ciclopeo, a giudizio di Middleton, confrontabili solo con Alatri 2011 A. Brilli, Il Petit Tour. Itinerari minori del viaggio in Italia, Milano 1988, p. 118 una parte di un muro a Cori e di un altro a Palestrina. M. candidi dionigi, Viaggi in alcune Città del Lazio che diconsi fondate dal Re La cinta muraria signina si estendeva per due miglia di Saturno, Roma 1809 circonferenza e contava otto porte antiche, di cui quattro F.M. cifarelli, “Il Petit-Radel e la riscoperta delle città ‘Pelasgiche’”, in M. cancellieri, F.M. cifarelli, D. PalomBi, S. Quilici gigli (a cura di), Tra memoria dotate dei loro architravi perfettamente conservati. Di dell’antico e identità culturale. Tempi e protagonisti della scoperta dei Monti queste quattro porte l’archeologo americano e i suoi Lepini, Roma 2012, pp. 33-48 compagni di viaggio riportarono alla luce le basi. V. de caPrio, Viaggiatori nel Lazio. Fonti italiane 1800 - 1920, Istituto Nazionale di Studi Romani, Roma 2007 La prima e più grande porta, chiamata Porta Saracena, E. dodwell, Views and Descriptions of Cyclopian, or Pelasgic Remains, in Greece viene descritta composta da cinque enormi blocchi, due and Italy, London 1834 montanti, due inclinati e un quinto che formava l’architrave. J.I. middleton, Grecian Remains in Italy, a Description of Cyclopian Walls and Roman Antiquities with Topographical and Picturesque Views of Ancient Latium, Ad Alatri, in prossimità della Porta di San Pietro, rilevò London 1812 una particolarità riscontrabile in nessuna delle città sopra C.E. norton, “The First American Classical Archæologist”, in The American menzionate: sulle pareti esterne e interne adiacenti al Journal of Archaeology and of the History of the Fine Arts, vol. 1, no. 1, Jan. 1885, pp. 3-9 cancello notò due bassorilievi deturpati dallo scorrere D. PalomBi, “Intorno alle mura di Cori”, in Fortificazioni antiche in Italia. Età del tempo. repubblicana (ATTA 9), Roma 2000, pp. 91-102 12 Specificità delle forme di insediamento pre-romane nel Sannio Pentro. Il caso di studio della fortificazione sannitica di Mirabello Sannitico (CB) di Isabella Muccilli*

Le dinamiche insediative nel Sannio in età sannitica si leggono mediante l’analisi della distribuzione delle cinte fortificate d’altura, un cospicuo nucleo di evidenze oggetto di studi sin dalla metà degli anni Cinquanta del Novecento. In particolare, in questo contributo, si è tenuto conto delle cinte fortificate del territorio del Sannio pentro che, come quelle di gran parte delle popolazioni dell’Italia centro- meridionale, costituiscono una delle testimonianze più caratteristiche delle forme d’insediamento delle comunità non urbanizzate nell’età precedente l’occupazione romana. A partire dal IV sec. a.C., quando sempre più incalzante comincia a farsi sentire la pressione romana sui confini del Sannio, con un lungo rapporto conflittuale tra i due popoli, si assiste a un profondo mutamento dell’organizzazione insediativa che, soprattutto nelle zone più a contatto con le fasce già urbanizzate delle aree centro italiche, trova espressione nella nascita di embrionali strutture urbane. Il sintomo più significativo di tale trasformazione si manifesta nel consistente aumento del numero dei centri abitati, determinato da una maggiore mobilità, la cui causa è da individuarsi nella distribuzione più capillare della popolazione sul territorio per controllarne strategicamente tutta l’estensione e per sfruttarne meglio le risorse. In questo stesso periodo si registra lo sviluppo delle cinte fortificate che vengono a costituire un forte elemento di caratterizzazione del Sannio preromano adattandosi o modificando la stessa fisionomia del paesaggio antico secondo le circostanze. Scavi archeologici, indagini topografiche e ricognizioni condotte nell’arco degli ultimi anni hanno contribuito a un incremento della conoscenza dei sistemi insediatiti costituiti da villaggi sparsi e piccoli nuclei, collocati lungo le vie della transumanza, i percorsi fluviali e comunque in luoghi d’altura posti a controllo del territorio (fig. 1). Secondo alcuni studiosi come Adriano La Regina, le varianti dimensionali non sembrano attestare un qualunque rapporto gerarchico né tra comunità, né tra centri maggiori e centri minori, fortificati o meno e non mancano testimonianze del fatto che esistessero pascoli comuni e grandi proprietà terriere pertinenti a una ristretta cerchia di dinastie familiari. La dipendenza gerarchica esisteva infatti solo nei confronti dello stato (ovvero una lega di tipo federale non strutturata su città-stato) e sull’organizzazione delle campagne in distretti rurali (una federazione di parti politico-etniche, dette “Touti”). L’analisi sul territorio in questa sede vuole verificare la variabilità dimensionale e funzionale di questi centri. Tra essi si attestano recinti di forma pseudo-circolare e con estensioni assai ridotte, ai quali va probabilmente riconosciuta solo una funzione di postazione di controllo e avvistamento, come riscontrato a Monte Crocella di Bojano, a Monteverde di Mirabello Sannitico, a La Montagna di Gildone, le tre Torrette e la Civitella peraltro confrontabili con altri d’area campana 1. Cartografia 1:100000 con la localizzazione dei siti fortificati del Molise e in giallo il sito della Rocca di Monteverde, Mirabello Sannitico (CB) e abruzzese. Accanto, e con un numero altrettanto (rielaborazione grafica Andrea Capozzi-Me.MO Cantieri Culturali) rilevante, compaiono circuiti molto ampi talvolta sede di 13 insediamenti stabili con caratteri proto-urbani: Alfedena, Monte Vairano, Castelromano a Isernia, Monte Saraceno a Cercemaggiore, Monte Ferrante a Carovilli, La Rocca di Oratino. Infine il caso emblematico della fortificazione di Monte San Paolo di Colli al Volturno che sembra raggiungere uno sviluppo di quasi 6 km perimetrando una superficie di ca. 200 ettari (fig. 2). Nella maggior parte dei casi, comunque, il centro fortificato ha dimensioni medie ed è destinato a una frequentazione temporanea e saltuaria, limitata a certi periodi dell’anno, o a situazioni di particolare bisogno con funzione prevalente di raccolta delle singole comunità sparse nel territorio che facevano capo a una principale. Per tale ragione, oltre che in rispondenza a specifiche esigenze agro-pastorali, erano allineati, seppur sopra quota, lungo le vie di comunicazione primarie e secondarie. La funzione principalmente fortificata è comunque inequivocabilmente sancita, nella stragrande parte dei casi, dalla presenza di porte o postierle a corridoio con andamento obliquo rispetto il tracciato delle mura: riprendono sostanzialmente lo schema delle cosiddette Porte Scee, limitandone il numero a un massimo di tre per i recinti più estesi, secondo le ricorrenze finora note. La morfologia e la struttura di questi insediamenti fortificati, pur non rigidamente inquadrabili, si inseriscono in una pratica modellata su condizioni ambientali e funzionali,

2. Planimetrie delle fortificazioni di Bojano, Gildone, Campochiaro, Cercemaggiore, Frosolone (da S.P. oakley, The 1. Cartografia 1:100000 con la localizzazione dei siti fortificati del Molise e in giallo il sito della Rocca di Monteverde, Mirabello Sannitico (CB) Hill – Forts of the Samnites e da A. la regina, Culture adriatiche (rielaborazione grafica Andrea Capozzi-Me.MO Cantieri Culturali) antiche D’Abruzzo e di Molise, vol. II) 14 Gli insediamenti di pianura censiti, infatti, mostrano una corrispondenza quasi biunivoca con il sito d’arce evidenziando quanto la dinamica distributiva fosse ben più varia di quanto possa apparire. In accordo con i dati archeologici emergenti il paesaggio doveva essere caratterizzato da numerosi nuclei abitativi, spesso di dimensioni minime, e negli immediati dintorni si trovavano le aree sepolcrali e quelle destinate a luogo di culto, tutto circoscritto dalle terre destinate alla coltivazione inserite in un sistema variegato di sfruttamento agro-pastorale. Le differenti forme di insediamento che costituiscono un diverso e variegato modo di occupazione 3. Panoramica da satellite con la localizzazione dei siti di altura del territorio (siti fortificati d’altura, abitazioni, villaggi, e e quelli di pianura nell’alta valle del Biferno e nell’alta valle del luoghi di culto) trovano una piccola sintesi nei dati editi Tammaro (da Google Earth) e inediti presentati in questa sede di un areale geografico

identificando, però, alcuni tipi planimetrici fondamentali: cinte apicali a forma circolare, cinte cosiddette incomplete in cui la forma circolare non è conchiusa perché il circuito s’interrompe nei tratti naturalmente difesi, a forma semicircolare e infine a doppio circuito con aree terrazzate. Questi schemi generali, tuttavia, mostrano numerose varianti e le contaminazioni tendono evidentemente a risolvere particolari problemi ambientali, di difesa, di controllo e di frequentazione. Allo stato attuale per un limitato numero di cinte si è riconosciuto un insediamento stabile: ne costituisce eccezione Monte Vairano (perché le indagini archeologiche condotte a partire dalla fine degli anni Settanta dello scorso secolo hanno portato alla luce strutture abitative e l’esistenza di attività connesse con la vita “urbana”). Occorre però sottolineare che il dato risente fortemente della carenza di ricerche sistematiche sul territorio. Tuttavia nuovi dati possono intuirsi, seppur in maniera ancora incompleta, dalle indagini archeologiche e di 4. Panoramica della fortificazione sannitica di Monteverde in ricognizione condotte recentemente a Terravecchia di località La Rocca (Mirabello Sannitico CB), tratto orientale del Sepino, a Civita di Bojano, la Crocella, sempre a Bojano, muro poligonale (foto I. Muccilli) alle tre Torrette di Campochiaro, a Monte Saraceno presso Cercemaggiore e infine a Monteverde di Mirabello. Il dato che emerge, in più casi, è che la cronologia delle mura non corrisponde automaticamente all’inizio della frequentazione del sito, talora a esse precedente. Ricorrono a tal proposito i casi della fortificazione in località Monte Saraceno a Pietrabbondante, Castel Canonico a Forli del Sannio (IS), la Rocca di Oratino, o ancora Monte Vaiano presso Busso Baranello (CB) dove è stato raccolto, sia pure fuori contesto, materiale che suggerisce la possibilità di una frequentazione almeno dal VI-V sec. a.C. Nonostante questi dati apparentemente scollati tra loro, pur nell’ottica di eventuali preesistenze leggibili come frequentazioni di incerta consistenza, la maglia dei siti fortificati si distribuisce in maniera strategica nella fase sannita tenendo conto dei criteri di visibilità territoriale per il controllo diretto e indiretto dei siti. L’intervisibilità tra i siti offriva, infatti, la difesa continua e il massimo controllo ad ampio raggio con “un’azione collettiva” di guardia. Più complessa, invece, è l’analisi del rapporto tra roccaforte sommitale e insediamento di pianura, un’evidenza 5. Panoramica della fortificazione sannitica di Monteverde in accertata in più casi sul territorio ma ancora in fase di località La Rocca (Mirabello Sannitico CB), tratto nord-ovest del analisi come fenomeno globale. muro poligonale (foto I. Muccilli) campione che comprende l’alta valle del Biferno e la Archeologia, Belle Arti e Paesaggio del Molise tra i comuni 15 media valle del Tammaro. Tra i siti fortificati di questa di Sepino (CB), San Giuliano del Sannio (CB) (Loc. Campo area campione dominante in termini di intervisibilità ad del Travo, Fontana Palomba e Loc. Crocella), Cercepiccola ampio raggio tra gli insediamenti sono quelli posti sulle (Loc. Acquasalsa) e Cercemaggiore (CB). alture dei monti del Matese che dominano Boiano e la Argomento specifico di questo studio (fig. 4), recentemente media valle del Tammaro a O (fig. 3), come le Tre Torrette oggetto di nuove ricognizioni e campagne di rilievo a Campochiaro (m s.l.m. 997), Civita di Bojano (m topografico, è il sito fortificato di Mirabello Sannitico s.l.m. 758), La Crocella (m s.l.m. 1040), Colle di Rocco (CB), localizzato a ca. 1000 m s.l.m., posto su terrazzo a Guardiaregia (m s.l.m. 1020), collegati con i siti di dominante dell’altura detta “La Rocca”, identificato da pianura di Campochiaro, (Colle San Martino), San Polo Oakley e datato al IV sec. a.C. La cinta è posta a controllo Matese località Componi, quello presso Baranello, località sia della media valle del Tammaro che di quella della valle Colle Sparanise, o ancora quello di S. Antonio Abate a del Tappino. Il circuito murario presenta un perimetro di Bojano dove risultano essere stati attestati materiali di età 749 m e racchiude un’area estesa 37.000 mq. In elevato sannitica; a NE dalle montagne che sovrastano Bojano si conserva per un’altezza media di m 1,60 e una larghezza sono segnalati l’insediamento sannitico di Valle Fredda di mt. 0,90. È costruita con blocchi lapidei di calcari locali sbozzati in forme poligonali, lavorati sul piano di posa e sovrapposti a secco, con facciavista semi-lavorata. Sono giustapposti con l’ausilio frequente di zeppature atte a regolarizzare i giunti nei punti in cui il profilo dei massi non corrispondeva perfettamente (fig. 5). Il rinforzo statico è costituito da un riempimento di scaglie, sassi e terra, che tende a ridursi di volume verso l’alto, alleggerendo così la struttura. Proprio questo virtuosismo costruttivo, volto a conferire maggiore stabilità alle murature, probabilmente si è reso responsabile del crollo dei paramenti murari i quali, proporzionalmente più incidenti, tendono a collassare. Verosimilmente in questi cedimenti statici deve ricercarsi la causa principale della caduta di parte del circuito murario.

6. Stralcio CTR 1:5000 con la sovrapposizione del rilievo del recinto fortificato di Monteverde (Mirabello Sannitico) effettuato nel 2013 (rilievo topografico realizzato da I. Muccilli)

a Macchiagodena (IS) e quello in località Limata nel comune di San Massimo (molti dei quali attestati nei pressi del Tratturo). Nel settore più a S dei Monti del Matese, nell’area di Sepino, troviamo la fortificazione di Terravecchia (m s.l.m. 953) che domina la media Valle del Tammaro e guarda alle montagne a E, e quello di Monte Saraceno (Cercemaggiore mt. s.lm. 1086); queste a loro volta sono in stretta relazione di intervisibilità con le cinte fortificate di più piccola entità strutturale, come quelle ubicate sulla collina di Colle Grosso a S. Giuliano del Sannio (m s.lm. 626) e quella di Monteverde di Mirabello Sannitico (m s.l.m. 926). Anche per questi siti di altura stretto era il collegamento con importanti stanziamenti localizzati in area pedemontana e di pianura. Accanto ai siti di altura e quelli di pianura ve n’erano altri, un po’ più numerosi, ma di minori dimensioni che dimostrano come le forme del popolamento rurale sembrano tradursi in una fitta trama di piccolissimi insediamenti: si tratta in molti casi di unità abitative e produttive isolate (fattorie), disperse nel territorio e verosimilmente pertinenti a piccoli nuclei familiari. Noti da scavi stratigrafici sono l’edifico sannitico di Pesco Morelli a Cercemaggiore, le fattorie rinvenute durante gli scavi del metanodotto Snam 2014, quelle note da scavi di Università e quelle della Soprintendenza 7. Le sezioni rilevate nel 2013 (disegno realizzato da I. Muccilli) 16 Anche nel caso di Monteverde, il materiale da costruzione è cavato in loco, sfruttando il banco nei punti più alti in quota rispetto al pianoro scelto. Il criterio metodologico risponde alla duplice esigenza di ottenere un piano orizzontale per la costruzione e un pendio dolce per trasportare i blocchi per rotolamento. In alcune situazioni poteva scegliersi di conservare gli speroni rocciosi inglobandoli nel circuito murario: a Monteverde, ad esempio, nella zona N-NE, la cinta ingloba un piccolo tratto roccioso particolarmente acuminato e affacciato su un ripidissimo ciglio. Mediante il rilievo delle strutture visibili e dei tratti rocciosi è stato possibile dimostrarne la pertinenza diretta con le murature poiché se ne è evidenziato il perfetto allineamento con la cinta in quei tratti. È stato possibile, inoltre, con una restituzione grafica ragionata proporre una ipotesi ricostruttiva dell’intero circuito, pur nei tratti in cui la visibilità era assolutamente nulla. Fondamentale, a questo fine, è stato anche integrare al rilievo l’analisi delle curve di livello lasciando aperta la possibilità che queste abbiano funto da guida per l’impianto del circuito (figg. 8-9). La forma e le dimensioni ridotte delle mura, se confrontate con gli esempi molisani, farebbero pensare a un sito fortificato “satellite” di avvistamento e di controllo dell’intera area, senza escludere la possibilità d’utilizzo come ricovero temporaneo. Alla fortificazione di Monteverde, infatti, va associata sicuramente la frequentazione del sito di pianura individuato in ricognizione nelle immediate vicinanze. Proprio presso la chiesetta benedettina di Monteverde di XI secolo, alle falde della rocca, dati di scavo e ricognizioni su una più ampia superficie sembrano confermare la preesistenza sannitica del sito. Nel luogo della chiesa, infatti, molti manufatti ceramici di età ellenistica (forme aperte e chiuse in ceramica acroma e a vernice nera) e la presenza di blocchi calcarei, testimoniati anche nel reimpiego per la costruzione della stessa chiesa, possono a buona ragione testimoniare preesistenze antropiche di epoca sannitica (fine IV-III sec. a.C.). Le nuove indagini archeologiche effettuate negli ultimi tre anni in connessione con i lavori di archeologia preventiva e lo spoglio complessivo dei dati editi a disposizione lasciano evidentemente emergere un grado di articolazione e funzione dei sistemi di insediamento molto evoluta e programmatica sul territorio. Nonostante la documentazione si mostri ancora frammentaria e carente di indagini di scavo sistematiche, la mappatura dei diversi siti con evidenza di alternanza sito fortificato privo di insediamento, sito fortificato con insediamento all’interno, luoghi di culto fortificati/non fortificati, siti di pianura, villaggi e fattorie sannitiche ci lasciano la testimonianza di un’articolazione delle strutture insediative corrispondente a una complessa articolazione socio- politica. Il paesaggio pentro connotato in modo così peculiare sembra farci cogliere tutta la consistenza di un sistema insediativo gerarchizzato all’interno del quale un ruolo di particolare rilievo era senza dubbio rivestito dal controllo del sito d’arce (oppidum) sui siti di pianura (vicus). Se la seriazione tipologica delle strutture ha fatto 8. Alcuni dei frammenti di ceramica a vernice nera proveniente un passo avanti, dal punto di vista cronologico resta dall’area nord-occidentale del complesso medievale e delle ancora oggi problematico datare la costruzione di gran strutture di età repubblicana (foto I. Muccilli) parte dei siti fortificati individuati. In aggancio diretto con la datazione delle cinte e la strutturazione demica al loro Monte Vairano, Monte Ferrante a Carovilli a Frosolone, 17 interno è il tema dibattuto del concetto di insediamento Monte Saraceno a Cercemaggiore e Pescolanciano proto-urbano in ambito sannitico. Non tutti i centri presso Santa Maria dei Vignali. Questa continuità si può fortificati erano correlati a un sistema insediativo di spiegare alla luce delle costanti situazioni di pericolo che pianura mantenendo aperta la questione di ruolo. In realtà la popolazione viveva durante la guerra annibalica e il l’attuale articolazione dei dati sembrerebbe indicarci una bellum sociale, pur con forme di certo non perfettamente lettura nel senso di una naturale corrispondenza sito di aderenti. I dati archeologici convergono verso una altura/insediamento di pianura ma il dibattito intorno alle persistenza di vita oltre il I sec. a.C. in alcuni abitati in area forme territoriale in età preromana, resta ancora aperto. pentra, con termini di cambiamento strettamente correlati Più certamente vi era un rapporto di intervisibilità tra gli con il nuovo rapporto con Roma. Essa aveva avviato, stessi dovuta dall’esigenza di un controllo del territorio infatti, uno sviluppo urbanistico in termini di occupazione per motivi sia economici che sociali. Volendo tirare le e gestione del territorio completamente diverso, portando somme all’intero discorso emerge che, in area pentra, a occupare stabilmente le aree di pianura sebbene il una sorta di organicità strutturale degli insediamenti va più delle volte edificate su preesistenze sannitiche. In consolidandosi fino alla “concretezza” urbana vera e sostanza se incerta rimane la pianificazione primigenia del “sistema sannitico” di insediamento, per il quale si è proposta una lettura tipologica più dilatata nel tempo, se ne sancisce l’occupazione o meglio frequentazione e se, come sostengono in molti i Sanniti rimasero Sanniti anche oltre la romanizzazione, anche le loro strutture abitative rimasero utilizzate (con funzione diversa) come testimoni vividi della comunità.

*Isabella Muccilli Archeologa Me. Mo. Cantieri Culturali

Bibliografia essenziale

g. Barker, “L’origine della pastorizia e della transumanza in Italia”, in G. de Benedittis (a cura di), Il mutevole aspetto di Clio, Le conferenze del premio E.T. Salmon, I, 1992, Campobasso 1994 9. Immagine da satellite con visualizzazione tridimensionale s. Bourdin, “I centri fortificati vestini venti anni dopo”, in Itinera Archeologica. dell’intervisibilità dei siti fortificati di altura e i siti di pianura Contributi di archeologia abruzzese, Lanciano 2006 d. caiazza, Nascita, sviluppo e decadimento dei centri fortificati, Insediamenti visti dalla Rocca di Monteverde - Mirabello Sannitico (CB) (da fortificati in area centro-italica, Atti del Convegno nell’Università (Chieti 1991), Google Earth) Chieti 1995 d. caiazza, Per un censimento dei centri fortificati in opera poligonale. Proposta di una scheda di rilevamento, Atti del 1º Seminario nazionale di studi Mura poligonali (Alatri 1988), Alatri 1989 propria solo alle soglie del II sec. a.C. e ce lo dimostrano i s. caPini, Archeologia del territorio e insediamenti abitativi nei Pentri: alcune osservazioni, Studi sull’ Italia dei Sanniti, Roma 2000, pp. 255-265 centri di Terravecchia di Sepino e La Rocca di Monteverde G. de Benedittis, Il problema delle fortificazioni del Sannio Pentro alla luce degli con i loro corrispettivi siti di pianura, ovvero aree dove scavi di Monte Vairano, Atti del 1º Seminario nazionale di studi (Alatri 1988), l’elemento di attrazione insediativa risulta essere la zona Alatri 1989 i rainini, Modelli, forme e strutture insediative del mondo sannitico, Studi sull’Italia di fondovalle, favorita da accessi e dalla praticabilità delle dei Sanniti, Milano 2000, pp. 238-245 vie di comunicazione, e dove, contemporaneamente il sito a. la regina, “Scavi e scoperte: Molise. Campobasso, Campochiaro, Isernia, di altura, ancora attivo, era funzionale al controllo della Media Valle del Trigno, Monte Vairano, Pietrabbondante, Vastogirardi, Venafro”, in StEtr 42, 1974, pp. 531-536 viabilità e alla difesa. Al cospetto dei dati a disposizione s. oakley, The hill-forts of the Samnites, Rome 1995 attualmente il definitivo abbandono dei siti fortificati nel g. tagliamonte, I Sanniti. Caudini, Irpini, Pentri, Carricini, Frentani, Milano 1997 periodo imperiale sembra scontato ma i dati più recenti, i. muccilli, a. di niro, “Vinchiaturo (CB) - Mirabello (CB). Località Monteverde. Area di interesse archeologico di epoca romana e medievale”, in Direzione Generale esposti sommariamente, sembrano indicare che sebbene Archeologia, < http://www.archeologia.beniculturali.it/index.php?it/142/scavi/scavi il sito d’arce sembri cessare la sua funzione di controllo/ archeologici_4e048966cfa3a/178 >, 2013 difesa, nel periodo imperiale ancora continuano a esserci m. torelli, La romanizzazione dei territori italici. La cultura italica, Atti del Convegno della società italiana di Glottologia, Pisa 1977 attestazioni della sua frequentazione. Ne divengono m. torelli, La romanizzazione del Sannio. La Tavola di Agnone nel contesto testimoni la frequentazione fra I sec. d.C. e II sec. d.C. di italico, Atti del convegno di studio (Agnone 1994), Firenze 1996 18 figura qualunque siasi” (candidi dionigi 1809-1812, p. 27). Dopo altre considerazioni sullo stato della porta San Pietro (fig. 2) e su alcuni aspetti tecnici della stessa, la studiosa rileva che nel muro, sotto l’imposta dell’arco: “…vi è un altro bassorilievo meno danneggiato dell’altro” (candidi dionigi 1809-1812, p. 27) (figg. 3-4). Segue, immediatamente, la descrizione della scultura, che però deve essere riferita al primo bassorilievo descritto in questa epistola, non fosse altro che per le successive annotazioni: “per quanto poco si discerna, mi pare di poter 1. Porta San Pietro, 2019 francamente asserire, che sino dal principio sia stata una scultura di pessimo stile” (candidi dionigi 1809-1812, p. 27). Curiosa è l’argomentazione data dalla Dionigi sulla La lapidazione del “falso Nume” della sua valutazione riguardo la pessima qualità stilistica del porta San Pietro di Alatri bassorilievo, vista l’assenza di dati concreti per tale giudizio; di Roberto Libera* la scrittrice infatti attribuisce la sua capacità di opinione, nonostante le difficoltà oggettive di lettura dell’opera scultorea, a una dote peculiare agli abitanti di Roma, ossia Nel 1809 Marianna Candidi Dionigi intraprende una serie quella di avere: “l’occhio assuefatto a quanto appartiene di viaggi che la porteranno a scrivere Viaggi in alcune città alle belle arti, per l’uso di vedere sino da fanciulli oggetti del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno, resoconto di a quelle relativi, e perciò qualunque statua, bassorilievo, o quanto aveva avuto modo di osservare e studiare durante altro, benché deformato, e corroso dal tempo, ne lascerà la sua esperienza di visitatrice interessata alla storia e alle comprendere se è stata una buona scultura in qualche parte antichità di quei luoghi. o nell’insieme” (candidi dionigi 1809-1812, pp. 27-28). La versatile studiosa, i cui interessi spaziavano dall’arte Tuttavia, anche se l’oggetto al centro della sua attenzione all’archeologia, dalla letteratura alla musica, è autrice di è ormai deforme (fig. 5), l’autrice dichiara al destinatario questo dettagliato libro di viaggio dedicato ad alcune città dell’epistola di voler tornare sull’argomento, in una della Ciociaria, tra queste Alatri, caratterizzate dall’esistenza successiva missiva, vista la considerazione che merita la delle cosiddette mura ciclopiche. Il testo è caratterizzato da scultura per la sua “immemorabile antichità”. una forte connotazione antiquaria; l’accurata descrizione In effetti, tale epistola è interamente dedicata alla descrizione delle strutture murarie è accompagnata da disegni, opera del manufatto e ad alcune considerazioni interpretative della stessa Dionigi, che le rappresentano con estrema dello stesso: “vorrei trovarmi presente nell’atto che ricevete precisione. questo disegno. Voi sdegnate certamente di fissare lo L’opera pubblicata venne diffusa in fascicoli tra il 1809 e sguardo sull’informe figura, che rappresenta, eppure essa il 1812, il testo era accompagnato da 30 tavole stampate merita particolare riflessione, e io mi lusingo della vostra con lastre incise da Vincenzo Feoli e da Wilhelm Friedrich riconoscenza, per averla non solo disegnata, ma eziandio Gmelin sui disegni eseguiti dall’autrice, solo i rilievi delle trattone il gesso, considerandone l’importanza. È questo un piante sono dell’architetto Luigi Campovecchio, compagno bassorilievo di una sola figura, forse dei primi, che siano di viaggio della Dionigi. stati fatti nell’Italia meridionale, perché contemporaneo al Il testo rappresenta il resoconto del viaggio in forma epistolare. muro Ciclopeo, trovandosi sopra una pietra di esso. Né Curioso è l’anonimato riservato al destinatario delle lettere, potrebbesi credere, che questa pietra sia stata in seguito che viene sempre definito “Amico pregiatissimo”. La volontà posta nel muro, essendo collegata colle altre perfettamente; di tenere nel mistero l’identità del ricevente, insieme al fatto né che venisse scolpita in tempi posteriori, poiché la di evitare qualsiasi accenno alla cronologia delle missive, superficie che serve di fondo alla scultura è piana, e in linea potrebbe essere dettato da una precisa scelta narrativa col resto del muro” (candidi dionigi 1809-1812, p. 31). della scrittrice, che il Ricci individua come “espediente Il timore che quel poco rimasto della figura scolpita possa squisitamente retorico” (ricci 2011, p. 138). scomparire del tutto, da lì a breve, induce la studiosa Dalla lettura di una delle epistole, che compongono Viaggi a intraprendere, come accennato poche righe sopra, in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re Saturno, un’azione di conservazione della memoria storica del si apprende dell’esistenza di una tradizione popolare reperto molto interessante, il calco del rilievo: “prevedo di Alatri, ancora praticata all’epoca in cui la scrittrice che tal bassorilievo sarà del tutto cancellato di qui a romana visitò la cittadina laziale, tradizione che sarà, pochi anni, giacché lo trovo ora molto più guasto, di nelle pagine seguenti, oggetto di analisi e interpretazione quello che fosse, quando lo vidi la prima volta, allorché si demoetnoantropologica. distinguevano alcuni simboli rustici nella mano destra della Nel descrivere il prospetto della porta San Pietro di Alatri (fig. figura. Perciò mi sono affrettata a prenderne il gesso, e 1), la Dionigi fa riferimento a un bassorilievo, in pessimo avendolo quindi fatto trasportare a Roma, diversi antiquarj stato, scolpito nel muro contiguo alla porta, scrivendo: sono stati a vederlo” (candidi dionigi 1809-1812, p. 31). “non però così altrove come in questo muro si trova un In seguito l’autrice passa a elencare le possibili interpretazioni bassorilievo, il quale potrebbe aver molto pregio per la sua dell’immagine: “pensa taluno di essi che sia la figura di un antichità, se non fosse al presente interamente distrutto; gigante, v’è chi pretende discernervi la barba divisa di stile ho voluto nondimeno accennarvi la pietra, nella quale se Etrusco, e chi stima finalmente, che rappresentasse il Dio ne discerne l’orma, col delinearvi sopra il contorno di una degli orti; e di fatti ho appreso dai più colti Alatrini, che venticinque o trent’anni indietro, si vedevano confusamente mythologiai e archaiologiai, sostanzialmente usati come 19 nella detta figura, alcuni segni in favore di questa opinione. sinonimi, si può affermare che per Diodoro i fatti mitici sono Essa in vero a me sembra meglio adattata delle altre, e fatti più antichi, ma pur sempre fatti (praxeis), quindi reali. analoga all’antichità, e situazione del bassorilievo, poiché Ovviamente l’autore è ben conscio delle difficoltà inerenti il trovarlo scolpito presso la porta, da dove sembra dovesse alla ricostruzione della storia dei tempi mitici: l’imprecisione proteggere e la città, e la campagna, mi fa confermare nel dovuta all’antichità degli eventi, la mancanza di una parere che fosse l’immagine di questa Divinità, venerata, cronologia precisa, le discordanti genealogie degli eroi e come scrive Diodoro, nella città, nei campi, e nelle ville; tanto le diverse versioni dei miti. Tuttavia, per Diodoro, il mito più che gli abitanti affermano, che a questo fosse consimile può comunque essere oggetto d’indagine storiografica, l’altro bassorilievo, che era nella parete esterna della porta perché dotato di un indubbio fondamento di storicità. medesima, il quale ora per disavventura non conserva più la Il “Dio degli orti” citato dalla Dionigi, “né a questo Dio si sua forma” (candidi dionigi 1809-1812, p. 31). presta culto soltanto nei templi delle città, ma anche nelle Giunta al termine della sua epistola, la Dionigi rende campagne e nelle ville, dove è fatto custode dei vigneti e nota al suo destinatario la tradizione popolare che a noi degli orti” (Diodoro Siculo, IV, 6.4, τὰς δὲ τιμὰς οὐ μόνον interessa: “avvalora altresì la nostra opinione il costume κατὰ πόλιν ἀπονέμουσιν αὐτῷ [ἐν τοῖς ἱεροῖς], ἀλλὰ che vi è fra gli Alatrini (costume che si dice abbia avuto καὶ κατὰ τὰς ἀγροικίας ὀπωροφύλακα τῶν ἀμπελώνων origine dal tempo che la Religione Cristiana s’introdusse ἀποδεικνύντες καὶ τῶν κήπων.), lo troviamo nel IV in Alatri) di portarsi in folla il secondo giorno di Pasqua a libro della Biblioteca storica (Diodoro Siculo, IV, 6.1): qui offendere con ischerni, e colpi di sassi questi bassirilievi, Diodoro si riferisce a Priapo, dio itifallico della fertilità che asseriscono fossero alquanto indecenti; avendo e della sessualità, forse di origine frigia, raffigurato con forse voluto il popolo dimostrare di aver abbandonato un pene sproporzionato, sovente con le sembianze di un l’idolatria, con prendere in dispregio l’immagine di un nano. Il suo culto fu presente sia nei centri urbani che nelle falso Nume” (candidi dionigi 1809-1812, p. 31). campagne, custode delle vigne e promotore della potenza Infine, termina l’epistola chiedendo all’anonimo amico di generatrice della natura, sorvegliava i luoghi in cui era esaminare il disegno e, eventualmente, formulare delle posto a difesa dagli intrusi e i malintenzionati. ipotesi sulla natura del bassorilievo. Tuttavia, l’identificazione da parte della Dionigi, del Per prima cosa, proviamo a esaminare l’ipotesi della Dionigi malridotto bassorilievo con il dio Priapo, perché posto riguardo l’identità della figura da lei descritta; la studiosa nei pressi della porta san Pietro di Alatri “da dove sembra sembra propendere, dopo aver ricordato due possibilità, dovesse proteggere e la città, e la campagna” (candidi la rappresentazione di un gigante e quella di un probabile dionigi 1809-1812, p. 31), non ci sembra sufficientemente collegamento a caratteristiche etrusche, per il “Dio degli fondata, perché il dio itifallico non è caratterizzato dal orti”. A supporto di tale ipotesi, riporta la testimonianza suo posizionamento nelle porte d’ingresso e di uscita dei degli Alatrini che ricordano “alcuni segni”, presenti nella centri abitati. Probabilmente, l’autrice di questo libro di figura, visibili fino a venticinque-trenta anni prima, in grado viaggio trova supporto alle sue convinzioni, riguardanti di suffragare tale identificazione. Sul fatto che i “segni” non l’identità della figura, associandole a quei “segni”, siano affatto esplicitati dalla Dionigi, torneremo in seguito; visibili ancora qualche decennio prima della sua visita in ogni caso, nelle righe successive, la scrittrice fornisce delle alla cittadina ciociara, della cui esistenza aveva appreso informazioni che ci rendono evidente la presunta identità da alcuni abitanti del luogo, chiarendo, poi nelle righe della figura quando scrive: “poiché il trovarlo scolpito presso di una delle lettere successive, che “nell’architrave della la porta, da dove sembra dovesse proteggere e la città, e la porta d’introduzione alla descritta via sotterranea di Alatri, campagna, mi fa confermare nel parere che fosse l’immagine il quale ha gl’incastri, come la porta maggiore della di questa Divinità, venerata, come scrive Diodoro, nella città, Fortezza, ed è lungo palmi quindici, e alto palmi quattro, nei campi, e nelle ville” (candidi dionigi 1809-1812, p. 31). once due, si scorgono le vestigia di tre segni fallici non Diodoro Siculo, in effetti, scrive di questa divinità nella sua ha guari distrutti, dai quali sempre più si comprova, che il opera Bιβλιοϑήκη ἱστορική (Biblioteca storica). Dell’opera, bassorilievo esistente sulla porta S. Pietro, rappresentasse costituita da quaranta libri, ci sono giunti i primi cinque il Dio degli orti” (candidi dionigi 1809-1812, p. 42). libri e quelli dall’XI al XX. Diodoro ha voluto dar vita a Ecco, quindi, che un elemento simbolico, ben più una storia universale che aspirava alla totalità geografica caratterizzante del dio Priapo, induce la nostra viaggiatrice e cronologica delle vicende di tutta l’umanità, barbari a trarre le sue conclusioni sulla identità del rilievo murale. compresi. Dalla effettiva equivalenza con cui usa i termini Resta ora da valutare se, quanto sopra esaminato, possa

3. Bassorilievo sull’imposta dell’arco - 2. Porta San Pietro - M. Dionigi, Tav. XIII M. Dionigi, Tav. XVI 4. Bassorilievo sull’imposta dell’arco, 2019 20 contribuire a meglio comprendere o, addirittura, spiegare il complesso rituale e la funzione culturale della tradizione popolare, descritta da Marianna Dionigi, del lancio dei sassi contro il bassorilievo pagano. Dalla sua testimonianza sappiamo che il rito che la comunità alatrina metteva in atto si svolgeva “il secondo giorno di Pasqua”, cioè il Lunedì dell’Angelo, o, utilizzando l’espressione laica, la Pasquetta. Il nome solenne della festività proviene dal racconto del Vangelo che descrive l’incontro con un giovane vestito di bianco, un angelo appunto, fatto da Maria di Magdala, Maria madre di 5. Comparazione del bassorilievo esterno (a sinistra M. Dionigi, Giacomo e Giuseppe, e Salomè, recatesi al sepolcro di tav. XIII, a destra fotografia 2019) Gesù, per imbalsamarne il corpo. Nel corso di questo incontro, l’angelo le informò della resurrezione del Cristo e le invitò ad annunciare la notizia agli Apostoli (Mc 16, 1-7). frontiera che separa e contrappone due mondi, è il punto In realtà, la Pasquetta (o Lunedì dell’Angelo) è da considerare paradossale dove questi mondi comunicano” (mircea una festa “semireligiosa”, nel senso che, seppure riferita a eliade 2006, p. 21). un evento descritto nei Vangeli, fu istituita ufficialmente, Nel suo libro Il sacro e il profano, Eliade definisce la concezione come festività, nel calendario soltanto nel 1949 dallo Stato dello spazio da parte dell’uomo religioso: “per l’uomo religioso italiano. Per i cattolici non è giorno di precetto, cosa che lo spazio non è omogeneo; presenta talune spaccature, o comporterebbe l’obbligo di partecipare alla Santa Messa. fratture: vi sono settori dello spazio qualitativamente differenti Mancano quindi elementi certi sulle modalità di celebrazione tra loro. Vi è dunque uno spazio sacro, quindi con una della Pasquetta all’inizio dell’Ottocento. Possiamo presumere sua “forza”, un suo preciso significato, e vi sono spazi non che, seppur assente la festività calendariale, in alcuni luoghi consacrati, quindi privi di struttura e di consistenza, in una si svolgesse comunque una qualche festa, già prima che parola: amorfi” (mircea eliade 2006, p. 19). lo Stato italiano la istituisse ufficialmente, visto che non La dicotomia tra spazi sacri e spazi consacrati non è da mancano notizie a tal proposito. intendersi soltanto nella dialettica religioso/laico in senso Nel testo la Dionigi ci informa che la comunità alatrina si stretto, Eliade estende il concetto di sacro agli spazi definiti dirigeva verso porta San Pietro il secondo giorno di Pasqua, da strutture artificiali realizzate dall’uomo: “l’abitazione il Lunedì dell’Angelo appunto. Lì si svolgeva il rituale che è sempre santificata per il fatto che essa costituisce una vedremo in dettaglio di seguito; è da considerare, quindi, imago mundi e che il mondo è una creazione divina” elemento imprescindibile per l’analisi antropologica (mircea eliade 2006, p. 38). di questa tradizione popolare, il luogo stesso della La trasformazione della realtà circostante, operata “rappresentazione” rituale. dall’attività creatrice dell’uomo, stabilisce la divisione di un La Porta San Pietro, ubicata sul versante settentrionale, determinato territorio tra luoghi naturali e luoghi culturali è una delle porte di accesso, lungo le antiche mura e la soglia, il confine tra i due luoghi, diventa spazio di ciclopiche, alla città di Alatri. Lo stato attuale dell’antico separazione e, al contempo, di comunicazione tra essi: “la ingresso, rispetto alla riproduzione proposta sul libro di soglia che separa i due spazi indica contemporaneamente viaggio della Dionigi, è notevolmente diverso (fig. 1). In la distanza tra i due modi d’essere, profano e religioso. ogni caso, sono ancora visibili, anche se le tracce risultano La soglia è il limite, la frontiera che separa e contrappone piuttosto tenui, due dei bassorilievi presenti nelle descrizioni due mondi, è il punto paradossale dove questi mondi della studiosa, che erano parte integrante della tradizione comunicano, dove il passaggio dal mondo profano al popolare di Pasquetta. Sulla descrizione delle immagini mondo sacro può verificarsi” (mircea eliade 2006, p. 21). torneremo dopo, insistiamo qui sullo spazio nel quale si Emerge, quindi, in tutta la sua forza, soprattutto nelle società svolgeva l’azione del rito alatrino. La presenza della “folla” tradizionali (ma gli stessi meccanismi simbolici funzionano (dionigi 1809-1812, p. 31), cioè della popolazione di anche per le società moderne, pur se attraverso linguaggi Alatri riunita a festa, presso porta San Pietro, è con tutta differenti), l’opposizione tra il territorio che la comunità evidenza dovuta alla sopravvivenza delle immagini pagane abita e lo spazio esterno, sconosciuto e indeterminato. Il in questione, poste in quel luogo con molta probabilità primo è il “il nostro mondo”, creato dall’uomo e regolato in funzione apotropaica e di difesa della città (tale ipotesi culturalmente, il secondo è una sorta di “mondo alieno”, è da ritenersi piuttosto credibile soprattutto se le divinità uno spazio estraneo e caotico, popolato da entità misteriose raffigurate fossero Priapo e Bellona). Ovviamente, con e pericolose: “a prima vista questa frattura nello spazio l’arrivo del Cristianesimo, la funzione delle due antiche sembra la conseguenza dell’opposizione fra un territorio divinità cessa del tutto; del resto, le stesse porte della città abitato e organizzato, quindi “cosmizzato”, e lo spazio vengono in qualche modo “esorcizzate”, attribuendo loro sconosciuto estendentesi oltre le sue frontiere: da una parte dei nomi cristiani: Porta San Pietro, Porta San Francesco, il “Cosmo”, dall’altra il “Caos”” (mircea eliade 2006, p. 24). Porta San Benedetto, etc. Ecco che il luogo in cui si riunisce la comunità alatrina, Porta Ma se cambiano i numi tutelari degli ingressi al San Pietro, per dar vita al tradizionale rito di Pasquetta, è centro abitato, non cambia il ruolo che essi svolgono uno spazio carico di criticità, fortemente simbolico. La (fondamentalmente a difesa degli abitanti) e il significato porta d’ingresso al centro abitato è il confine che divide e metaforico che ogni “soglia” rappresenta simbolicamente. contrappone due mondi, quello culturale, abitato dall’uomo, Come ha rilevato Mircea Eliade: “la soglia è il limite, la da quello naturale, ossia la campagna; tuttavia essa è anche il punto di comunicazione tra i due mondi, in cui il passaggio dei mali verificatisi in precedenza. I due individui, un uomo e 21 dall’ uno all’altro costituisce il rischio di perdita d’identità, di una donna, scelti come ϕ ϕαρμακοί, erano espulsi dal centro “contaminazione” tra Cosmo e Caos. Questo rischio può abitato e inseguiti dalla folla, armata di pietre. Se riuscivano essere controllato e annullato attraverso il rito. a scampare alla lapidazione, erano costretti a non far mai più Rileggiamo la descrizione della tradizione popolare narrata ritorno in città. dalla Dionigi: “il costume che vi è fra gli Alatrini (costume In conclusione, i dati offerti dalla Dionigi, riguardo l’originale che si dice abbia avuto origine dal tempo che la Religione cerimonia di Pasquetta alatrina, non sono sufficienti per Cristiana s’introdusse in Alatri) di portarsi in folla il secondo una analisi approfondita del simbolismo rituale; tuttavia, giorno di Pasqua a offendere con ischerni, e colpi di sassi alcune caratteristiche di quella tradizione popolare ci questi bassirilievi, che asseriscono fossero alquanto indecenti; permettono di formulare delle ipotesi di lettura. Il periodo avendo forse voluto il popolo dimostrare di aver abbandonato in cui avveniva il rito, il Lunedì dell’Angelo, corrisponde alla l’idolatria, con prendere in dispregio l’immagine di un falso notizia data alle donne giunte al sepolcro di Cristo della Nume” (candidi dionigi 1809-1812, p. 31). sua avvenuta resurrezione, quindi, alla vittoria della verità Quindi, il giorno di Pasquetta, la comunità di Alatri si recava cristiana sulla morte e sui falsi dèi. presso Porta San Pietro, per deridere e colpire con delle Non a caso l’autrice ricorda che questo costume “si dice pietre i bassorilievi ivi raffigurati. Riguardo questo rito, è abbia avuto origine dal tempo che la Religione Cristiana evidente che assistiamo a una sorta di lapidazione, non verso s’introdusse in Alatri” (candidi dionigi 1809-1812, p. esseri umani, ma contro immagini di divinità pagane. Sul 31), facendo così risalire la nascita del rito popolare a un significato antropologico del lancio della pietra, applicherei, “tempo mitico”, quello dell’introduzione del Cristianesimo nel caso della tradizione di Alatri, le considerazioni di nella città, e assegnandogli, a tutti gli effetti, il carattere Eva Cantarella nelle pagine della sua opera I supplizi di festa religiosa, come riattualizzazione di un evento capitali (Cantarella 2011) a proposito della condanna per primordiale, di una “storia sacra”, fondante della comunità lapidazione: “uccidendo con la pietra, il popolo esprimeva e dei suoi valori sociali e culturali. la sua rabbia, manifestava il giusto desiderio di chi aveva Lo svolgimento del rito avviene in uno spazio ben preciso, provocato dei danni alla collettività, in altre parole, rendeva quello della porta d’ingresso alla città, luogo liminale, esplicito il principio della morale sociale secondo il quale chi soglia che separa il centro abitato, sicuro e conosciuto, provocava un male ai concittadini meritava una punizione. dal mondo esterno, pericoloso e sconosciuto, ma anche Ma l’atto con il quale questa punizione veniva inflitta non spazio di contatto tra i due diversi mondi, quindi sottoposto era l’espressione del volere ufficiale del gruppo: era l’atto a rischi di “contaminazione”. spontaneo – e moralmente giusto – con il quale il popolo, Infine, la lapidazione simbolica delle immagini dei del tutto al di fuori di ogni previsione istituzionale, puniva chi, avendo provocato un male, meritava in risposta un falsi dèi, assume da una parte il valore della vittoria, riconfermata ciclicamente con questa cerimonia annuale, altro male” (cantarella 2006, pp. 105-106). Seguendo un tale ragionamento, potremmo ipotizzare che del Cristianesimo sul paganesimo, per altro verso, il lancio la tradizione popolare degli alatrini fosse, appunto, un rito delle pietre ricorda il rituale espiatorio che nell’antichità non sancito e normato da una volontà istituzionale, ma da un avveniva per mezzo di vittime sacrificali sulle quali si volere popolare, ormai ritualizzato attraverso la consuetudine, caricavano tutti i mali della comunità. che esprimeva una morale sociale ben precisa: colpire, Un’ultima riflessione: il fatto che le immagini destinatarie danneggiare e punire una immagine, quella del “falso del lancio delle pietre si trovassero proprio nei pressi di Nume”, che per la sua natura maligna costituiva una costante quella porta d’ingresso è dovuto, evidentemente, alla minaccia per la comunità. Attenzione, però, non si tratta di funzione che esse ricoprivano nell’antichità, ma non un’azione preventiva: in realtà, gli idoli pagani, assimilati sin può passare inosservato che, rispetto alle altre porte di dall’inizio del Cristianesimo ai demoni, rappresentavano, tout Alatri, anch’esse definite con nomi di santi, quella dove court, non solo i mali e i pericoli nei quali potevano incappare si celebrava l’antica tradizione popolare fosse dedicata a gli abitanti del luogo, ma anche quelli che avevano già colpito San Pietro, il custode delle chiavi della porta per eccellenza la popolazione durante l’anno trascorso. del Cristianesimo, quella del Paradiso. Così, l’uso rituale, potremmo anche affermare “religioso”, della pietra, anche se di matrice popolare, era impiegato *Roberto Libera per compiere un’azione purificatrice ed espiatoria nei Museo Diocesano di Albano confronti dei mali che avevano afflitto la comunità nell’anno passato, ma, allo stesso tempo, rappresentava un atto apotropaico per difenderla dai pericoli futuri. Bibliografia essenziale Per meglio rendere l’idea del valore rituale della lapidazione, Biblioteca storica di Diodoro Siculo volgarizzata dal cav. Compagnoni, Tomi I-VII, utilizzato per fini catartici e apotropaici, ricordiamo qui la Milano 1820-1822 pratica, in uso in molte città antiche, dell’uccisione dei M. candidi dionigi, Viaggi in alcune città del Lazio che diconsi fondate dal re ϕαρμακοί, sventurati che venivano “adottati” dalla comunità, Saturno, Roma 1809-1812 E. cantarella, I supplizi capitali, Milano 2011 a spese pubbliche, con l’unico scopo, qualora fosse stato M. eliade, Il sacro e il profano, titolo originale Le sacré et le profane, Paris 1965 necessario, di essere sacrificati per espellere il male dalla (trad. it. Torino 2006) città. Ad Atene, durante la festa delle Targhelie in onore di G.F. gianotti, A. corcella, I. laBriola, D.P. orsi (a cura di), Diodoro Siculo, Biblioteca Storica, ll. I-V, Palermo 1986 Apollo e Artemide, i ϕαρμακοί potevano essere sottoposti al M. Pavan, “Osservazioni su Diodoro, Polibio e la storiografia ellenistica”, in lancio delle pietre; lo scopo era proprio quello di purificare galvagno, molè ventura 1991, pp. 5-16 la città da tutte le calamità, caricando gli sventurati prescelti A. ricci, La scrittura di viaggio di Marianna Dionigi, Viterbo 2011 22

Tavola 1. Le aree dell’Italia Centrale dove si concentrano le testimonianze in opera poligonale

L’opera poligonale nell’Italia Centrale meridionale alla parte più settentrionale della Campania, di Daniele Baldassarre* area abitata in antico da una eterogeneità di popolazioni: dagli Etruschi alle genti umbro-osco-sabelliche del medio Le regioni dell’Italia media, occupate anticamente in gran Appennino, tra cui i Marsi, i Sabini, gli Equi, i Sanniti, fino parte dai popoli etruschi e latini, offrirono molte importanti a quei popoli italici preromani che occupavano il Latium - notizie sulla antica maniera di costruire le mura intorno le Latini, Rutuli, Ernici, Volsci, Ausoni. città, denominata prima ciclopea, e poscia pelasgica, ma Territorio rientrato poi in quattro regiones della definizione in seguito più propriamente poligona irregolare, nelle quali augustea: la regio VII Etruria, la VI Umbria, la IV Samnium ricerche si distinse primariamente il Petit-Radel, e poscia la et Sabina, e infine la I Latium et Campania, e oggi Dionigi, Middleton, Klenze, Micali, Gell, Gherard e Dodwel compreso in sei delle attuali Regioni amministrative: (sic); e da tutte le osservazioni fatte da questi scrittori si è Toscana, Umbria, Abruzzo, Molise, Lazio e Campania. conosciuta essere siffatta maniera opera più propria dei Di esso cercheremo di illustrare la particolare ricchezza paesi, in cui si trovava il materiale atto a tale struttura, che dei tempi, ai quali unicamente in principio si riferiva. di testimonianze in opera poligonale (acropoli, cinte e terrazzamenti urbani, podi templari, bases villarum, (L’Architettura antica, descritta e dimostrata coi monumenti terrazzamenti agricoli, sostruzioni viarie, argini fluviali...) che dall’Architetto Cav. Luigi Canina, Tomo I, discorso rientrano in decine e decine di comuni, e che lo rendono preliminare, p. 31, 1843) tra quelli a più alta concentrazione di siti nel bacino mediterraneo, come dimostrano le tavole realizzate per L’ambito territoriale di cui ci interesseremo ricopre una l’articolo, nonostante per ovvi motivi di composizione grafica vasta superficie dell’Italia Centrale, che va dalla Toscana non si siano potuti riportare tutti i toponimi presenti nel testo. Non ci occuperemo, volutamente, delle dibattute Ma già in provincia di Grosseto il numero aumenta con i 23 questioni sulla datazione e sui costruttori di tali opere, siti di Vetulonia, Roselle (la cinta, qui in un dettaglio sempre ampiamente trattate in altre sedi, ma ci limiteremo da Dennis, ha una lunghezza di oltre tre chilometri), a dare una panoramica “geografica” il più possibile Saturnia. E poi con quell’unicum rappresentato dalle indicativa di quei “paesi” dell’“Italia media” di cui scriveva mura di Orbetello, affioranti dalle acque della laguna il Canina. Una rassegna purtroppo necessariamente (già Baldassarre Peruzzi agli inizi del Cinquecento ne parziale, considerandone la grande cifra e considerando aveva rilevato le misure e abbozzato un particolare dei oltretutto che non pochi dei siti sono stati scoperti negli blocchi, conservato a Firenze nel Gabinetto dei Disegni ultimi decenni cosicché, probabilmente, altri ancora ne e Stampe degli Uffizi). Infine ad Ansedonia, sempre in potrebbero essere individuati in futuro. comune di Orbetello, la dominante città di Cosa, delle La panoramica parte dunque dal limite a settentrione del cui fortificazioni ci ha lasciato disegni ancora Canina (in nostro ambito: dalla Toscana, di cui chiaramente non L’antica Etruria marittima, vol. II tavole, Roma 1851). possiamo qui affrontare il più vasto discorso delle cinte Spostandoci in Umbria, nella parte bassa della provincia murarie etrusche nell’entroterra, sia pur citando almeno di , si apprezzano a Spoleto evidenti tratti in opera Volterra e Cortona, che in alcuni punti presentano lacerti poligonale, alla base delle più tarde mura cittadine (alcuni in poligonale o pseudopoligonale. Muovendo allora in studiosi ne individuano porzioni anche a Todi). quella Etruria marittima studiata negli anni Quaranta Più testimonianze si hanno invece nella provincia ternana: dell’Ottocento sia appunto da Luigi Canina sia da George da quelle di Cesi (frazione di Terni) con il terrazzamento Dennis, isolata in provincia di Livorno troveremo Populonia a valle, ma soprattutto con le forti mura sul monte a (frazione di Piombino), con le “Mura Alte” della sua Sant’Erasmo, fino alla splendida cinta muraria che difende acropoli, delle quali riportiamo un’illustrazione da “The Amelia nella parte bassa. Di essa si era occupato Antonio Cities and Cemeteries of Etruria” che Dennis pubblicò da Sangallo il Giovane intorno al 1518, mentre nel 1829 a Londra nel 1848. Nel V secolo d.C. Claudio Rutilio venne studiata da Edward Dodwell, che aveva come Namaziano ne parlava come di «una fortezza di doppia assistente in qualità di “architetto disegnatore” il giovane utilità agli uomini, difesa a terra e segnale per il mare», Virginio Vespignani (al quale si devono i 5 preziosi disegni aggiungendo però: «Vorace, il tempo ha consumato le sulle mura amerine conservati al Sir John Soane Museum grandiose mura». di Londra). Importanti anche i tratti che rimangono

Tavola 2. L’alta densità di siti in quello che era il territorio del Latium nella Regio I 24

1. Le mura di Atina in un disegno di Augusta di Coventry pubblicato nel 1831

all’interno dell’abitato, in specie quello su Via della Valle. Di più recente individuazione ci sono poi manufatti nei territori di Guardea e Lugnano in Teverina, con interessanti sbarramenti di regimazione idraulica in area agricola e un terrazzamento, ma anche a Giove erano stati documentati resti di un basamento, poi “scomparso”! A Narni invece vengono segnalate soltanto tracce di megalitismo, non sicuramente riconducibili al poligonale. Passando ora all’Abruzzo, a Cansatessa frazione del comune di L’Aquila, la “Murata del Diavolo”, realizzata ai margini di una profonda forra, ha attirato sin dal 1810 l’attenzione del Simelli e in seguito quella di molti altri studiosi, tra cui Leo von Klenze e Thomas Ashby. Nell’ultimo decennio, anche nella frazione di San Vittorino 2. “Etruscan Walls of Populonia”, da George Dennis, 1848 e nello stesso capoluogo di regione sono state rinvenute diverse altre briglie per la regimazione delle acque in intatto poligonale. E massi megalitici sono inglobati alla base delle mura cittadine aquilane. Nella provincia primeggia però Alba Fucens (comune di Massa d’Albe), un sito archeologico connotato dalla forte presenza di opera poligonale, sia nella poderosa cinta perimetrale, sia nelle architetture al suo interno, come accade nei percorsi d’ingresso allo splendido anfiteatro. Non distanti dal centro colpiscono i resti dell’acquedotto in località Arci. E poi, sparsi nell’ampio territorio sino ai confini con il Molise, possiamo elencare tra gli altri Sulmona, il Lucus Angitiae presso Luco dei Marsi, Castel di Sangro e Alfedena (con segnalazioni anche a Villetta Barrea). Come pure Colle delle Fate a Roccacasale e Civita d’Antino in Val Roveto, valle questa il cui valico era controllato dall’elevato recinto fortificato di Fossa Rotonda, presso Capistrello, esplorato 3. “Etruscan Walls of Ruselle”, da George Dennis, 1848 da Lorenzo Quilici nel 1986. Altre mura in altura sono in località Colle del Vento a Crognaleto: scoperte nel 1968, vengono considerate un unicum nella provincia di Teramo con tratti dove una massiccia opera quadrata si alterna a blocchi in poligonale. Sempre nella fascia adriatica, ma in provincia di Chieti, risalta la cinta sul Monte Pallano, nel comune di Tornareccio, con le sue integre portelle. Ancora nella Valle del Sangro, non da meno è peraltro l’altura fortificata di Montenerodomo. Superati allora i confini con il Molise, entrando in provincia di Isernia, ammiriamo subito a Pietrabbondante, luogo sacro della “nazione” dei Pentri, il complesso del Santuario Sannitico, con il monumentale “tempio B” e quella splendida parete semicircolare in poligonale che delimita il teatro. Incontriamo un altro insediamento 4. Luigi Canina, “Veduta dello stato di rovina delle mura di fortificato a Carovilli, sul Monte Ferrante, quindi Cossa”, tav. CXIV in L’antica Etruria marittima, 1851 tocchiamo Isernia stessa, nel cui centro la pavimentazione 25

5. Il fronte della cinta muraria sulla laguna di Orbetello

6. Ansedonia, frazione di Orbetello: la Porta nord-ovest della città di Cosa 26 della piazza rivela un tratto di mura a grandi blocchi, che si ritrovano poi anche all’interno degli edifici nei pressi. Nella vicina Venafro, caratterizzata dalle notevoli mura di terrazzamento nell’area della Madonna della Libera, ancora a metà degli anni Novanta Maurizio Zambardi riuscì a individuare mura sannitiche, appartenenti a un recinto fortificato sul pendio del Monte Santa Croce del quale, nel novembre 1999, documentò un primo tratto di alcune centinaia di metri. E possiamo citare ulteriormente Cerro al Volturno, Colli a Volturno, Frosolone, Montenero Valcocchiara, Pescolanciano… Continuando poi nella provincia di Campobasso con Bojano (Bovianum era la capitale del Sannio Pentro), Campochiaro, Ferrazzano, l’abitato 7. Saturnia, il tratto in opera poligonale alla Porta Romana di Monte Vairano (esteso sul territorio di due comuni, (cartolina viaggiata nel 1901) Busso e Baranello) e Sepino, dove la cinta dell’arcaico insediamento insiste sulla montagna di Terravecchia. Rimane tuttavia evidente come gli innumerevoli esempi di fortificazioni dei Marsi e dei Sanniti in Abruzzo e in Molise non si possano concludere in questa elencazione. Veniamo dunque alla Regione Lazio dove troveremo altresì una densità di siti veramente rilevante, soprattutto nella parte meridionale, quella del Latium nella Regio I, sebbene già in provincia di Rieti si presentino realtà assai interessanti: a iniziare dall’area sabina, dalla basis villae con criptoportico sotto un casale in Via di Grotte di Torri, nella campagna di Fara in Sabina. A Poggio San Lorenzo un’interessante muratura contraffortata, realizzata in concrezione, presenta, seppur con una posa in prevalenza orizzontale, molti blocchi in poligonale. A Poggio Mirteto, in località Castellaccio, colpisce un’alta parete ripresa già in una stupenda fotografia tratta da 8. La cinta urbana di Spoleto in una cartolina del 1910 “Ruderi delle Ville Romano Sabine nei dintorni di Poggio Mirteto - Illustrati dal Prof. Ercole Nardi” del 1885. E ancora altre opere nei comuni di Torricella, Nerola, Scandriglia, Montorio Romano, Palombara Sabina e nei colli della Sabina Tiberina. Nel reatino inoltre assume particolarmente importanza quel Cicolano esplorato prima dall’architetto Giuseppe Simelli nel 1809 su mandato dell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres di Parigi (incarico di sicuro caldeggiato da Louis Charles François Petit-Radel) e più tardi da Edward Dodwell, in un’escursione che gli fu fatale per il malore nell’estate del 1830 che, degenerato, lo avrebbe portato alla morte nel 1832. Questi “ricercatori” ci hanno lasciato notevoli disegni (con l’inglese c’era sempre il giovane Vespignani) che già allora documentavano l’abbondanza e la bellezza dei siti, tanto che, in un intervento del 2009 al IV Seminario Internazionale di Alatri, Giovanna Alvino è 9. Cesi, frazione di Terni. Le mura e la chiesa di Sant’Erasmo giunta a segnalarne ben 35 nei soli territori di Fiamignano, Pescorocchiano e Borgorose. Mentre, al contrario, nella provincia di Viterbo si incontra un unico e particolare caso: una limitata parete a Bolsena, nell’area archeologica di Volsinii in località Poggio Moscini. Ma la Tuscia laziale è in un’area geologica vulcanica, a prevalenza tufacea, il che ha fatto certo preferire il taglio in blocchi squadrati, nonostante un’eccezione, nella confinante parte settentrionale della provincia di Roma: a Cerveteri, nella necropoli della Banditaccia, alcuni tumuli presentano infatti il basamento circolare in un curato disegno poligonale, sia pur con blocchi medio-piccoli, per l’appunto di tufo. 10. Il grande “bastione” a destra della Porta Romana di Amelia 27

11. Particolare dell’area centrale di Alba Fucens

12. Resti dell’acquedotto di Alba Fucens in località Arci, Massa d’Albe 28

13. Le mura sul Monte Pallano, comune di Tornareccio (foto di Francesco Balzola)

14. Cartolina postale d’epoca con blocchi in poligonale ad Alfedena 15. La parete posteriore del Teatro Sannitico di Pietrabbondante Non lontano, tuttavia, tornano a colpire per imponenza i 29 massi in pietra calcarea delle mura di Pyrgi, oggi nell’area del Castello di Santa Severa, frazione di Santa Marinella. Le “eccezioni” in rocce vulcaniche, tufo o colate laviche, dovute all’attività dell’antico Vulcano Laziale, si ripetono invece subito a sud di Roma. È notorio come nella capitale non siano presenti tracce di opera poligonale (se si esclude quel “muretto”, proprio in “cappellaccio”, di limite a una sede stradale antica all’interno della Città Universitaria, di cui parlava negli anni Ottanta Cairoli Fulvio Giuliani); ma già ne troviamo segmenti lungo la riva sud-est del lago di Albano e sui Castelli Romani non è raro incontrarne altre: appaiono ad esempio, sia pur limitatamente, al Tuscolo, in “pietra albana” come scriveva Giovan Battista Giovenale; a Monte Porzio Catone, con quei blocchi di tufo dal disegno netto, ormai di maniera, nel parco di Villa Gammarelli; a Frascati, all’interno di Villa Aldobrandini. Edward Dodwell aveva pure ritratto le “Walls at Bevilacqua near Frascati”; insieme, occorre ricordarlo, a cinque soggetti nei dintorni di Tivoli, tutti pubblicati postumi nel 1834. E infatti, spostandoci a Tivoli e nell’ager Tiburtinus (Tibur, secondo Plinio, era compresa nella Regio IV, mentre Mommsen la reinserisce nel Latium Vetus), si contano non pochi esempi nell’uso del poligonale: oltre quello imponente in località Vitriano pure fotografato da Dora Ellinor Bulwer nel 1896, assai interessante, a Guidonia Montecelio, il terrazzamento a Colle Nocello; nella vicina Marcellina padre Mackey scattò alla fine dell’Ottocento una bella fotografia di un basamento immerso nella campagna. Segnalazioni si hanno anche a San Polo dei Cavalieri. Di grande attrazione per i vari manufatti è l’antico percorso lungo la via Empolitana che parte da Tivoli; in particolare nel comune di Castel Madama colpiscono i due muri di argine in località Colle Passero, oggetto di un recente scavo di Zaccaria Mari, archeologo che ha individuato numerosi altri siti nell’agro tiburtino e oltre. Ad esempio, più avanti la via raggiunge Ciciliano, già nel territorio degli Equi Aniensi, ricco di ritrovamenti sia nella zona urbana sia nei dintorni boscosi. Ancora ne incontriamo a est, nei pressi degli abitati di Arsoli, Canterano, Cerreto Laziale nella contrada Le Jonte, Cineto Romano in località San Vincenzo, Roviano in località Olivella. 13. Le mura sul Monte Pallano, comune di Tornareccio (foto di Francesco Balzola) Come prima anticipato, e come ho avuto modo di scrivere anni fa sulle pagine di questa rivista, è così scendendo sempre più nel Latium Vetus et Adiectum che troveremo una densità e una diversità di situazioni (“maniere” costruttive, tipologie funzionali, datazioni) tali da renderlo specialmente significativo. Sono centinaia le architetture in opera poligonale nel “Lazio del calcare”, secondo la definizione coniata da Francesco Maria Cifarelli in un suo scritto del 2008 (si ha in pratica un “vuoto” unicamente nell’area che era occupata dalle Paludi Pontine, dove possiamo giusto riscontrare i blocchi megalitici dei manufatti lungo la Regina Viarum). E non è certamente possibile citarle tutte, soprattutto valutando le frequentissime ville rustiche del periodo repubblicano romano, che per la maggior parte presentano terrazzamenti e basamenti in poligonale. Senza contare i tanti lavori di sostruzione ad affiancare 15. La parete posteriore del Teatro Sannitico di Pietrabbondante le vie consolari che si dipartono da Roma, come appunto 30 l’Appia e poi la Salaria, o l’antico percorso della Via Flacca sulla costa. Basterà osservare la Tavola 2 predisposta su tale specifica Regio, per cogliere la profusione di episodi tra arx, cinte urbane e testimonianze sparse nel territorio. Citiamo ora nel testo solo una parte tra questi luoghi ragguardevoli, alcuni dei quali accompagnati da immagini: passando dalla zona preappenninica alla fascia costiera, dai comuni nelle attuali province di Roma e Frosinone a quelli di Latina, dunque da Bellegra, Olevano, Veroli, Sora, Vicalvi e la Val 16. Tratto di mura nel centro di Isernia (foto di F. Balzola) di Comino, Rocca d’Arce, Cassino e il cassinate, fino a

17. Venafro. Terrazzamento nell’area a valle della Madonna della Libera

18. Le mura sul Monte Santa Croce dominano Venafro (foto di 19. Bolsena. Area archeologica di Volsinii, località Poggio M. Zambardi, 1999) Moscini San Vittore del Lazio; e da Praeneste (oggi divisa in due provincia di Frosinone. Illustrate già nel primo decennio 31 comuni, Palestrina e Castel San Pietro Romano), Artena, dell’Ottocento da Marianna Candidi Dionigi nel suo Segni, Cori, Norba, Valvisciolo (Sermoneta), Sezze, il album in folio “Viaggi in alcune Città del Lazio che diconsi privernate, Circeii, Terracina, Fondi e l’ager Fundanus, Itri, fondate dal Re Saturno”, sono state oggetto per tutto quel Formia e il Formianus, Gaeta, fino al comune di Minturno secolo, e oltre, dell’attenzione di studiosi, artisti, viaggiatori e alla sua frazione Scauri, dove si pensa di riconoscere i e appassionati cultori da tutta Europa e dalle Americhe. resti della città ausone di Pirae. E se nel centro urbano di Anagni – piegata dai Romani Ci dobbiamo soffermare peraltro su un aspetto: importante per aver capeggiato la rivolta degli Ernici alla fine del IV capitolo nella storia degli studi sull’argomento è quello secolo a.C. – non si hanno segni di poligonale (come che riguarda il nucleo di cittadine – Anagni, Ferentino, annotava la stessa Marianna, giungendo a dubitare che Alatri, Arpino e Atina – denominate Città di Saturno, nella fosse una città “saturnia”), ne possiamo però trovare

20. Basis villae sotto un casale in Via Grotte di Torri, nella campagna di Fara in Sabina

esempi nel vasto comprensorio, lontano da quella cinta in opus quadratum che ancora la difende. Ferentino, al contrario, ne è ricco e insieme all’imponente avancorpo dell’acropoli, alla Porta Sanguinaria, a quella “pentagonale”, al “Ponte Sereno”, appare particolarmente interessante il tratto della cinta urbana a destra di Porta Santa Croce, con blocchi molto ben lavorati e con l’uscita di un condotto di scolo, inciso da Vincenzo Feoli su disegno della Candidi Dionigi proprio per i Viaggi. Altra città di fondamentale importanza è Alatri con la sua acropoli e con una cinta urbana che ben supera i due chilometri. Oltre alla maestosità della Porta Maggiore dell’arx e all’imponente altezza del vicino spigolo sud- 21. Un tratto delle mura di Pyrgi, su cui poggia una parete del orientale, misurata in 16,62 m. dal Winnefeld nel 1889, è complesso di Santa Severa degna di nota la perfezione raggiunta nella composizione 32

22. Guidonia, Colle Nocello. Il terrazzamento della grande villa già illustrata dal Dodwell

23. Ferentino. Tratto della cinta urbana a destra di Porta Santa Croce

24. Arpino. La famosa porta a ogiva nell’acropoli di Civitavecchia

25. La “Porta Saracena” nella parte bassa della cinta urbana di Segni 26. La Porta Maggiore dell’acropoli di Alatri 33

26. La Porta Maggiore dell’acropoli di Alatri 34

27. Il triplice bastione nella cinta di Cori, in Piazza Municipio 35

27. Il triplice bastione nella cinta di Cori, in Piazza Municipio 36

28. La Porta Maggiore di Norba con il bastione semicircolare

29. L’Acropoli di Circeii, presso l’angolo sud-ovest, San Felice Circeo e le isole Ponziane 37

30. San Pietro Infine. Le mura che salgono a Sant’Eustachio sul versante est

31. La porta di Trebula Baliniensis presso Treglia, frazione di Pontelatone 38

32. Un segmento murario all’interno del centro urbano di Caiazzo

delle pareti, in particolare nel basamento su cui ora Certo anche spingendosi fuori di questa fascia “centrale” poggia la Cattedrale, all’interno dell’acropoli. della Penisola non mancano interessanti siti. In un’area Pure Arpino vantava un’estesa cinta, in parte conservata; della provincia avellinese proprio a ridosso dei confini con soprattutto spicca, sull’acropoli di Civitavecchia studiata la Puglia e la Basilicata troviamo ancora mura sannitiche nel anche da Heinrich Schliemann nel 1875, la famosa porta comune di Monteverde Irpino. Come pure nell’entroterra scea “acuminata”, a ogiva. E ad Arpino la tradizione vuole di Salerno, ma ormai quasi in Basilicata, ci sono le mura il sepolcro di Saturno stesso! di Atena Lucana fotografate da padre Mackey nel 1894 e, Infine di Atina, la Atina potens dotata di più difese murarie sempre scendendo nel Vallo di Diana, quelle dell’antica per molti chilometri di sviluppo e in un entroterra così Cosilinum nel territorio di Padula, senza dimenticare, in difficile da raggiungere per i viaggiatori ottocenteschi, ci zona costiera, quelle pareti in rifinito poligonale all’interno piace evidenziare in particolare il bel disegno della contessa del Parco Archeologico di Elea (Velia), in comune di Ascea. Augusta di Coventry (in apertura, Fig. 1), pubblicato da Ancora più a sud possiamo trovare esempi di mura nel 1831, senza certo dimenticare quello del megalitiche, come appunto in Puglia; ad Altamura (BA), Dodwell oggi conservato al Soane Museum di Londra. o in Sicilia, dove per il poligonale ricordiamo Cefalù, con Parlando di Pirae e di San Vittore del Lazio eravamo giunti al le sue mura “ciclopiche” a mare o lo stupendo Tempio di confine con la Campania. Nella sua parte alta, in provincia di Diana, l’allineamento murario a Naxos, Taormina, e non Caserta, subito dopo San Vittore e le estese mura sul Monte distante Adernò (CT). Sambucaro, è San Pietro Infine: lo stesso toponimo ci indica E poi in Sardegna, isola del megalitismo nuragico, non che siamo al limite regionale, dov’era Ad Flexum; sul monte, mancano testimonianze più pertinenti al poligonale: è il che sovrasta il paese e la vallata attraversata dall’antica Via caso del muro di Palattu a Padria (SS), sul colle di San Latina, la vasta cinta fortificata sannitica di Sant’Eustachio. Paolo, con un’altezza massima di 5 metri e uno sviluppo Nella stessa provincia ricordiamo almeno le mura sulla che cinge il pianoro sulla cima del colle, costituendone il cima di Monte Cavuto a Pratella; il recinto dell’“Orto terrazzamento. della Regina”, nel Parco Regionale di Roccamonfina; il Ritornando però alla nostra specifica area, penso si possa terrazzamento di una villa a Mondragone; le mura con concludere quantomeno accennando a quell’iniziativa posterula a Dragoni; la Trebula Baliniensis (comune intrapresa da alcuni anni, con l’adesione di sempre più di Pontelatone) valorizzata dall’appassionato lavoro di amici e studiosi, e oggi confortata dall’appoggio delle Domenico Caiazza. E poi a Caiazzo (dentro la città ma Amministrazioni di sei città pilota, in rappresentanza anche in località la Selvetella); tra Pontelatone e Caiazzo, proprio delle sei Regioni che abbiamo principalmente in comune di Piana di Monte Verna, sulla sommità del trattato. I comuni di Orbetello, Amelia, Massa d’Albe, Monte Santa Croce, è la cinta con una doppia fila di mura Pietrabbondante, Alatri e San Pietro Infine si stanno infatti ciclopiche indagata per la prima volta da Gioia Conta facendo promotori dell’iscrizione de “Le millenarie Mura Haller, archeologa che già nel 1978 aveva individuato Poligonali dell’Italia Centrale, tra mitologia, paesaggi nel territorio tra Liri e Volturno 19 siti fortificati dell’area e archeologia” nella tentative list italiana per il loro campano-sannitica. inserimento nei Siti del Patrimonio Mondiale dell’Umanità Per finire, sempre nella parte bassa del nostro ambito, dell’Unesco! sebbene in provincia di Benevento, citiamo Morcone, probabilmente l’antica Mucrae, quindi Telese e l’area *Daniele Baldassarre telesina con 4 fortificazioni di altura segnalate. Architetto, Centro Studi sull’Opera Poligonale 39 40 La casa editrice E.S.S. Editorial Service System Srl e la Fondazione Dià Cultura presentano:

Storie di persone e di musei Persone, storie, racconti ed esperienze dei musei civici di Lazio, Umbria e Toscana tra tutela e valorizzazione a cura di Valentino Nizzo

17x24 cm, 792 pp., 39.00 euro ISBN 978-88-8444-196-6 Prodotto da In collaborazione con Edito da Stampato da Con il sostegno di