INDICE Introduzione

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INDICE Introduzione INDICE Introduzione…………………………………………………………………………..I Capitolo I L’università tra Austria e Italia I.1 «Trieste o Nulla!». Le terre irredente e la questione universitaria………………..1 I.2 L’università in Italia tra l’Unità e la Prima guerra mondiale: brevi note di una storia complessa…………………………………………………..20 I.3. Gli studenti italo austriaci in Italia (1881-1914)……………………….……….33 Capitolo II La formazione culturale II.1 Prima dell’università: le scuole nelle province italiane dell’Austria-Ungheria……………………………………………………………….42 II.2 Tra Dante, Carducci e…Prezzolini: miti culturali e avanguardia nella formazione intellettuale dei giovani «Italiani d’ Austria»……………………..61 II.3 Alpinismo e passione nazionale nella gioventù italo-austriaca…………………80 Capitolo III La mobilitazione studentesca III.1 L’associazionismo……………………………………………………………102 III.2 «…contro la inciviltà e le barbarie»: le manifestazioni studentesche nel Regno per l’università italiana…………………………………………………126 Capitolo IV Tre percorsi biografici IV.1 Le giornate fiorentine di Ettore Tolomei……………………………………..141 IV.2 «…sento superbia della mia gioventù operosa»: lo studente Scipio Slataper……………………………………………………………………..160 IV.3 «…finora non ho osato guardarla fiso»: il fiumano Mario Angheben tra passione nazionale e inquietudine generazionale………………………………178 Appendice…………………………………………………………………………189 Bibliografia………………………………………………………………………..239 INTRODUZIONE Novant’anni fa, con la fine della Prima guerra mondiale, i confini del Regno d’Italia si ampliano a comprendere quei territori, il Trentino, il Friuli orientale, la città di Trieste, l’Istria e parte della Dalmazia, che la retorica nazionale definisce «irredenti». Il termine «irredento» viene probabilmente usato per la prima volta da Matteo Imbriani, fondatore della Società Pro Italia Irredenta, nel 1877 e, da allora, indica gli abitanti delle province di lingua italiana che, dopo la terza guerra d’indipendenza, sono rimaste sotto il controllo dell’ Impero d’Austria. Pensare però come «irredenta» l’intera popolazione di questi territori è certo una forzatura e non è azzardato affermare che sono gli «irredentisti», intesi come attivisti politici e riuniti nel Regno in diverse associazioni, a raffigurare gli italiani d’Austria come «irredenti», cercando, specie nel periodo della neutralità, di presentare strumentalmente all’opinione pubblica italiana un Trentino o un Litorale Adriatico tutti anelanti la redenzione e il ricongiungimento alla madrepatria. La realtà, è noto, è ben diversa. Sebbene il Trentino sia italiano per lingua e cultura in maniera omogenea, la popolazione delle campagne e delle valli è in prevalenza quietamente indifferente, quando non palesemente filo-austriaca, per affetto dinastico o influenza del clero. Nei territori giuliani la questione è più complessa: qui l’elemento italiano, borghese e cittadino, si scontra soprattutto con quello slavo, abitante delle campagne e poi inurbato come proletariato industriale. L’ostilità all’Austria monta solamente verso la fine del secolo XIX, quando il governo di Vienna viene accusato di aiutare il cosiddetto «risveglio» del nazionalismo slavo in chiave anti-italiana. Se questo è vero non dobbiamo però cadere nell’errore di ritenere tutta la questione nazionale delle province italiane d’Austria l’invenzione propagandistica di gruppi politici aventi l’obiettivo di una guerra contro la duplice monarchia. A Trento come a Trieste, per usare una logora espressione, sebbene siano realtà radicalmente diverse, è possibile, con qualche generalizzazione, individuare nella borghesia cittadina, un elemento filo-italiano molto consistente in entrambe le società. Il sentimento di appartenenza all’Italia nasce fondamentalmente da due fattori: quello economico e quello politico-culturale. La borghesia trentina, che non vede possibilità di espansione all’interno della duplice monarchia, guarda all’Italia come sbocco naturale per attività di tipo imprenditoriale e anche come fonte di lavoro negli impieghi statali e nelle libere professioni. A Trieste ci si attende che l’Italia attui nell’Adriatico una I politica di potenza e di espansione che l’Austria sembra non più in grado di perseguire così da ottenere crescita economica e protezione dall’elemento slavo. La borghesia in difficoltà, spinta a vedere nel Regno la soluzione, spesso idealizzata, di ogni problema, trova poi nella tradizione storico-culturale italiana, non solo un motivo di orgoglio e di rivalsa verso l’Austria, ma anche un elemento unificante attorno al quale riunirsi per rivendicare i propri diritti. Allo scoppio della Prima guerra mondiale, testimonianza tangibile di questo sentimento di appartenenza nazionale, saranno circa 700 i trentini che si arruoleranno volontari nell’esercito italiano e di poco maggiore sarà il numero degli «adriatici» che compiranno la stessa scelta. Inutile e fuorviante paragonare quei 700 trentini agli oltre 60.000 coscritti che quella stessa provincia offre all’esercito imperial-regio; importante, a nostro avviso, è cercare di capire quali motivazioni possono aver mosso quegli uomini, in gran parte giovani, a disertare, ad abbandonare le famiglie, a vedersi i beni confiscati e a rischiare il patibolo in caso di cattura. Una decisione estrema che deve necessariamente poggiare su motivazioni salde e radicate. Lavorando ad una tesi di laurea dedicata proprio ai volontari trentini nel regio esercito durante il primo conflitto mondiale, siamo rimasti colpiti dalla forza e dalla profondità delle motivazioni sulle quali quei giovani avevano basato la loro scelta e abbiamo avvertito la necessità di indagarne le origini. Allargando il campo d’indagine dal solo Trentino a tutte le province italiane dell’impero e ponendo la guerra mondiale come ineluttabile momento conclusivo, non solo della ricerca, ma di un intera fase storica, abbiamo tentato di ripercorrere a ritroso il percorso fatto da molti di quei giovani che nel maggio del 1915 troviamo arruolati volontari in Italia. Tra questi, limitandoci solamente ad alcuni dei nomi più noti, troviamo Cesare Battisti, Ettore Tolomei, Damiano Chiesa, Mario Angheben, Scipio Slataper, Giani e Carlo Stuparich, Ruggero Timeus, accomunati, oltre che da una precisa scelta di campo, anche da un altro elemento: l’aver compiuto i propri studi universitari in Italia. Questo aspetto delle loro biografie è stato spesso trascurato o liquidato quasi come cosa «ovvia» mentre, e con questa ricerca ci proponiamo di dimostrarlo, è un fattore assolutamente fondamentale per capire e contestualizzare quei percorsi di vita e la radicalità delle scelte che li hanno contraddistinti. L’annessione del Veneto al Regno d’Italia nel 1866 priva gli studenti delle province italiane dell’Impero dell’unica università di lingua italiana rimasta entro i confini della II duplice monarchia: quella di Padova. Per questi giovani si presenta una doppia possibilità di scelta: studiare in Austria seguendo lezioni in lingua tedesca oppure iscriversi in atenei italiani i cui titoli accademici però non sono riconosciuti dalle autorità austriache. Vienna, Graz e Innsbruck sono le principali mete di chi rimane in Austria, ma numeroso è il gruppo di coloro che decidono di andare in Italia, principalmente a Padova, Firenze, Roma, Milano e Bologna. Tuttavia, l’impossibilità di studiare nella propria lingua rimane una ferita aperta nella popolazione italiana dell’impero e la italienische Universitätsfrage, la richiesta di un’università in lingua italiana, rappresenta tra il 1866 e il 1914 la questione che maggiormente coinvolge emotivamente gli italiani d’Austria e quella che, all’interno della problematica irredentista, più di ogni altra fa sentire la propria eco nel Regno d’Italia. Sono questi i temi che hanno occupato la prima parte del nostro lavoro nell’esigenza di evidenziare tutta l’importanza, simbolica ancor più che reale, che la rivendicazione di un ateneo in lingua italiana a Trieste riveste negli anni che precedono la guerra. È stato poi necessario quantificare il numero di giovani «italiani d’Austria» che, in mancanza di un’università italiana, compiono quella sorta di «emigrazione intellettuale» che li porta nei principali atenei d’ Italia. Grazie agli elenchi degli iscritti che, pur con qualche lacuna, sono contenuti negli «Annuari» pubblicati dalle varie università, è stato possibile individuare più di un migliaio di nominativi di studenti italo-austriaci presenti nel nostro Paese tra il 1882 e il 1915. La scelta del termine a quo (il 1882 e non il 1866) è stata dettata da una commistione di motivazioni pratiche e storiche: è da tale data infatti che gli annuari pubblicano con regolarità le notizie relative agli iscritti, ma è anche, il 1882, l’anno della stipula della Triplice alleanza, pietra tombale di ogni sogno di annessione per le «terre irredente». Se l’idea di studiare gli «italiani d’Austria» nelle università del Regno è nata, almeno in parte, dalla necessità di comprendere l’origine delle motivazioni che spinsero molti di essi a partecipare alla guerra nelle file dell’esercito italiano, prima di iniziare ad approfondire la loro vicenda di studenti ci è apparso subito indispensabile conoscerne la precedente formazione scolastico-culturale. Per quanto concerne le scuole, come vedremo, è pressoché impossibile fare un discorso unitario perché troppo diversa è, ad esempio, la situazione che troviamo in una città come Trieste rispetto a quella che possiamo avere nel resto del Friuli orientale, in Istria o in Trentino. Diverso il contesto sociale, diversa soprattutto la conduzione delle scuole italiane:
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