PROGETTO TERRAVITA

Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria INDAGINE MULTIDISCIPLINARE DEI LEGAMI TRA TERRITORIO, BIODIVERSITÀ, NUTRIZIONE E LA SOSTENIBILITÀ DELL’AGRO-ALIMENTARE ITALIANO RAPPORTO DI RICERCA

a cura di Angela Polito e Federica Intorre

Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria

INDAGINE MULTIDISCIPLINARE DEI LEGAMI TRA TERRITORIO, BIODIVERSITÀ, NUTRIZIONE E LA SOSTENIBILITÀ DELL’AGRO-ALIMENTARE ITALIANO RAPPORTO DI RICERCA

a cura di Angela Polito e Federica Intorre Il presente rapporto di ricerca è stato realizzato per illustrare i risultati del progetto “Biodiversità, Territorio e Nutrizione: la sostenibilità dell’agro-alimentare Italiano” - TERRAVITA, finanziato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (MiPAAF) con il D.M. 25870/7303/2011 del 2/12/2011.

Coordinatore Scientifico del Progetto: Angela Polito (da febbraio 2014; Giuseppe Maia- ni da dicembre 2011 a gennaio 2014), CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

Edizione 2018

ISBN 9788899595838

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in nessun modo o forma, sia essa elettronica, elettrostatica, fotocopie, ciclostile etc., senza permesso scritto dell’editore.

2 Nel panorama agrario italiano e internazionale si assiste ad una progressiva erosione del- la biodiversità degli alimenti che, dal punto di vista produttivo, può essere intesa come PREFAZIONE diversità tra le specie, diversità all'interno delle specie e diversità degli ecosistemi nel loro complesso, a partire dalle caratteristiche pedoclimatiche, orografiche, alle pratiche agricole adottate, fino ad arrivare agli aspetti sociali e culturali delle diverse regioni. Comprendere il profondo legame tra biodiversità, territorio, nutrizione e sostenibilità del sistema agroalimentare richiede un approccio nuovo e multidisciplinare: un approccio di- namico e di sistema che analizzi l'intera filiera, dalla produzione al consumo, centrato sulla biodiversità degli organismi e dei prodotti che entrano nella catena alimentare, fornendo la base conoscitiva per identificare le strategie più opportune per mantenere una biodiversità funzionale per la salute umana e al contempo ottimale per altri aspetti del benessere e della sostenibilità (sociale, economico, ecc.). In questo contesto si inserisce il progetto “Biodiversità, Territorio e Nutrizione: la sosteni- bilità dell’agro-alimentare italiano – TERRAVITA”, finanziato dal Ministero delle politiche agricole alimentari forestali ora Ministero delle politiche agricole alimentari forestali e del turismo (Mipaaft) e coordinato dal Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione del Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria (CREA). Il progetto si è posto l’obiettivo di valorizzazione il settore agro-alimentare italiano, con par- ticolare riferimento alle produzioni locali presenti in aree di particolare sensibilità ambien- tale quali i parchi regionali e nazionali, le aree naturali e aree interne montane, studiando prodotti agroalimentari, come materie prime e prodotti finiti, orfani di qualsiasi tutela e ca- ratterizzati da un forte legame con il territorio di provenienza. Lo studio si è articolato in tre tematiche di ricerca (socioeconomico-culturale, ambientale e nutrizionale) che forniscono un quadro interdisciplinare necessario al sostegno delle filiere e dei processi di valorizzazio- ne produttiva e commerciale per uno sviluppo sostenibile dei territori. I risultati raccolti nel progetto sono preziosi: permettono, infatti, di approfondire le cono- scenze scientifiche catturando informazioni a livello qualitativo e quantitativo in ambiti e per produzioni agroalimentari legate alla tradizione ed alla biodiversità di aree interne del Paese e per le quali gli studi e le sperimentazioni sono scarse. Permettono di acquisire, inoltre, elementi utili per le politiche di valorizzazione del territorio attraverso il patrimonio agroalimentare stimolando la creazione di un ambiente di ricerca interdisciplinare. Lo svi- luppo delle attività scientifiche favorisce, non ultimo, un rapporto sinergico e collaborativo tra le Istituzioni, a vantaggio delle filiere del territorio. L'attenzione e la cura dello sviluppo del settore agroalimentare nazionale, e a maggior ra- gione in quei territori di particolare criticità e caratteristiche, sono da sempre un obiettivo prioritario per il Mipaaft e tale attenzione si concretizza in particolar modo mediante la promozione di progetti di ricerca mirati alla valorizzazione delle produzioni di eccellenza, della quale il progetto TERRAVITA ne è un esempio.

Elisabetta Lupotto Direttore del Centro di ricerca CREA Alimenti e Nutrizione

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IL PROGETTO TERRAVITA “BIODIVERSITÀ, TERRITORIO E NUTRIZIONE: SOMMARIO LA SOSTENIBILITÀ DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO”: ASPETTI INTRODUTTIVI ED OBIETTIVI GENERALI 7 Polito A.

I CEREALI TRA SALUTE, BIODIVERSITÀ E TRADIZIONE 14 Acquistucci R., Melini V., Durazzo A., Galli V., Mellara F., Bartoli L.

CARATTERIZZAZIONE QUALITATIVA DI ANTICHI GRANI SICILIANI PER LA PRODUZIONE DI PRODOTTI TIPICI 34 Palumbo M., Licciardello S., Sciacca F., Virzì N.

AGRO-BIODIVERSITÀ ITALIANA: BENEFICI NUTRIZIONALI E SALUTISTICI DI VARIETÀ LOCALI ORTOFRUTTICOLE 41 Azzini E., Casale G., Durazzo A., Foddai M.S., Intorre F., Maiani GL., Palomba L., Venneria E. , Silveri D.D., Maiani G., Polito A.

PROPRIETÀ NUTRIZIONALI E TECNOLOGICHE DI VARIETÀ LOCALI DI LENTICCHIE (LENS CULINARIS L.), CICERCHIE (LATHYRUS SATIVUS L.) E CECI NERI (CICER ARIETINUM L.) DELL’ITALIA CENTRO-MERIDIONALE 51 Carbonaro M., Nardini M., Casale G., Maselli P., Nucara A.

PRODOTTI OLIVICOLI 72 Pastore G., Ambra R., Lucchetti S., Forte V.

IL FINGERPRINT MOLECOLARE COME STRUMENTO AL SERVIZIO DELLA TRACCIABILITÀ IN PYRUS COMMUNIS, OLEA EUROPAEA, TRITICUM AESTIVUM E TRITICUM DURUM 89 Forte V., Ambra R., Pastore G., Lucchetti S.

POTENZIALE DI TOLLERANZA AGLI STRESS DELLE PIANTE COLTIVATE E RICADUTE SULLA QUALITÀ NUTRIZIONALE DEGLI ALIMENTI 100 D’Orso F., Peñalosa A., Baima S., Possenti M., Morelli G.

ASPETTI CHIMICO-NUTRIZIONALI DI ALCUNI FORMAGGI DELLA TRADIZIONE ITALIANA 119 Manzi P., Mattera M., Di Costanzo M.G., Durazzo A., Ritota M., Nicoli S.

5 I FORMAGGI DEL TERRITORIO: ASPETTI PRODUTTIVI E DI SALUBRITÀ 136 Formigoni A., Serraino, A. Giacometti, Grilli E., Mammi L., Cavallini D., Canestrari G., Palmonari A..

LA SOSTENIBILITÀ DI PRODUZIONI LOCALI DI QUALITÀ. IL VALORE ECONOMICO, AMBIENTALE E SOCIALE DEI MICRO-SISTEMI TERRITORIALI 168 Monteleone A., Verrascina M., Borsotto P., Cristiano S., Dara Guccione G., Papaleo A.

LA LIFE CYCLE ASSESSMENT APPLICATA AL SETTORE AGROALIMENTARE: IL CASO STUDIO DI TRE PRODOTTI SICILIANI 176 Cellura M., Cusenza M.A., Gulotta T.M., Longo S.

PRODUZIONI LOCALI, TRADIZIONI, E VITALITÀ DEI TERRITORI RURALI DEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA 205 Monteleone A., Verrascina M., ZanettiB., Dara Guccione G., Papaleo A.

VALUTAZIONE DELLO STATO DI NUTRIZIONE E STILE DI VITA IN COMUNI RURALI DEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA 217 Polito A., Intorre F., Ciarapica D., Barnaba L., Azzini E., Maiani F., Maiani G., Foddai M.S., Venneria E., Palomba L., Zaccaria M.

STUDIO IN “VITRO” E IN “VIVO” DI UNA DIETA ARRICCHITA CON ALIMENTI A BASE DI GRANO SOLINA DI DERIVAZIONE ABRUZZESE 235 Merendino N., D’Aquino M., Costantini L., Molinari R.

ALLEGATO : SCHEDE DI PRODOTTO 218 Pane di Monreale: impronta energetico-ambientale, sostenibilità economico, caratterizzazione chimica e nutrizionale. Schede riassuntive

Provola delle Madonie: impronta energetico-ambientale, sostenibilità economico, caratterizzazione chimica e nutrizionale. Schede riassuntive

6 IL PROGETTO TERRAVITA “BIODIVERSITÀ, TERRITORIO E NUTRIZIONE: LA SOSTENIBILITÀ DELL’AGROALIMENTARE ITALIANO”: ASPETTI INTRODUTTIVI ED OBIETTIVI GENERALI Angela Polito, CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

I legami tra biodiversità, produzione alimentare, territorio, consumo di cibo e nutrizione sono molteplici e complessi (Rodrıguez et al., 2006; Chivian and Bernstein 2008; Sala et al., 2009; Myers and Patz, 2009; Stephens, 2012; Myers et al., 2013) ed alla base della sostenibilità dei sistemi agroalimentari è posta la diversità delle specie animali e vegetali (Powell et al., 2015). La biodiversità agroalimentare è stata affrontata per la prima volta in modo esaustivo dalla Convenzione sulla diversità biologica (CBD) nel 1996 e da allora sono state avviate numerose iniziative nazionali ed internazionali a sostegno e a promozione della biodiversità finalizzate all’attuazione del piano strategico per Biodiversità 2011-2020.

La biodiversità alimentare implica la presa in esame di molteplici tematiche tra loro stretta- mente collegate, che spaziano dalla valorizzazione delle radici socio-identitarie delle comu- nità locali al bisogno di conservazione dell’ambiente e delle sue risorse naturali, dal recupero delle specie vegetali, agronomiche e animali in via di estinzione, alla salvaguardia di gusti e sapori spesso dimenticati. Parlare di biodiversità, infatti, implica conoscere il modo in cui le popolazioni locali mantengono vivo l’uso di produzioni alimentari ritenute minori, sottou- tilizzate o prive di un sostanziale valore nutrizionale ed economico, assecondare il recupero sulle tavole di prodotti ad elevata compatibilità ecologica, mobilitare gli sforzi della comu- nità nazionale ed internazionale verso la conservazione di un patrimonio a forte rischio di estinzione, perseguire strategie di sviluppo integrato dei sistemi agricoli locali, recuperare saperi gastronomici fortemente territorializzati e culturalmente non omologati, riscoprire anche gli usi funzionali e “nutraceutici” di molti elementi della biodiversità alimentare tra- mandati dalla conoscenza e dalla tradizione.

L’urbanizzazione, la deforestazione, le pratiche agricole intensive, l’introduzione di specie associate ai cambiamenti climatici e la gestione non sostenibile del territorio (inquinamen- to delle matrici ambientali, artificializzazione delle reti idrografiche, intensificazione del reticolo infrastrutturale) stanno portando alla frammentazione degli habitat naturali ed al degrado degli ecosistemi naturali, in particolare foreste, zone umide, barriere coralline, ba- cini idrici e quindi provocando un progressivo impoverimento della biodiversità. Il declino della diversità della produzione agricola può avere importanti implicazioni sulla qualità della dieta (Jones, 2017; Lachat et al., 2018) ed il benessere delle popolazioni includendo l’aumento della malnutrizione (McMichael et al., 2007; Fanzo et al.,2013) e delle malattie non trasmissibili (Alleyne et al., 2013; Beaglehole et al., 2011; Johns e Eyzaguirre, 2006). Infatti, globalizzazione, sviluppo industriale, aumento della popolazione e dei flussi migra- tori hanno profondamente mutato la produzione ed il consumo del cibo in maniera tale da influenzare non solo l’ecosistema, ma anche l’alimentazione dell’uomo. Le nuove abitudini alimentari sembrano convergere verso una omogeneizzazione di stili alimentari, ovvero una semplificazione della dieta in cui la maggior parte dei nutrienti è fornita da un numero ristretto di specie coltivate ed allevate.

Nel contesto della biodiversità e sostenibilità dei sistemi alimentari e delle diete, i prodotti tipici/locali sono oggetto di grande attenzione perché potenzialmente in grado di sostenere l’agro-biodiversità a livello locale e garantire la sicurezza delle popolazioni relativamente ai loro bisogni elementari e legittimi. Le produzioni tipiche sono di norma percepite dai consumatori come più naturali e rispettose dell’ecosistema in quanto associate ad attività

7 maggiormente artigianali ed a minore impatto ambientale di quelle industriali, oltre che ricorrenti a materie prime e tecniche produttive più rispettose degli equilibri naturali in ter- mini di uso di additivi, conservanti, contaminanti chimici ecc. La promozione dei prodotti locali è un aspetto cruciale della loro produzione per le piccole e medie imprese anche a conduzione familiare. Inoltre, le produzioni tipiche diventano un aspetto di differenziazio- ne e di qualificazione di interi territori, diventandone una delle risorse o, in taluni casi, la principale risorsa ed il vero fattore di attrattiva turisticamente rilevante (i cosiddetti turisti del gusto, i turisti verdi, ecc.). Il panorama agrario di numerose aree rurali è fortemente ca- ratterizzato da produzioni di nicchia legate alle tradizioni socio-culturali locali. La presenza di tali produzioni è particolarmente marcata in aree che hanno potuto conservare particolari ecosistemi produttivi grazie alla presenza di Parchi naturali, le cui politiche conservative hanno permesso di mantenere colture antiche e caratterizzate da pratiche produttive soste- nibili.

In questo contesto il progetto TERRAVITA “ Biodiversità, Territorio e Nutrizione: la So- stenibilità dell’agroalimentare Italiano”, finanziato dal Ministero delle politiche agricole ali- mentari e forestali e coordinato dal Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione (ex INRAN) del CREA, è stato rivolto alla valorizzazione del settore agro-alimentare italiano, con particolare riferimento alle produzioni locali presenti in aree di particolare sensibilità ambientale come parchi nazionali, parchi regionali, aree naturali, aree montane. Le aree “modello parco” incarnano un ecosistema caratteristico, punto di incontro di un enorme varietà di specie vegetali e animali in un habitat intatto, ricco di culture e tradizioni. Le aree parco identi- ficate per il progetto sono: Parco Brenta, Parco Nazionale Dolomiti, Parchi del Bresciano situati in Val Trompia, Val di Sabbia e Val Camonica, Parco della Majella, Parco Nazionale d’Abruzzo, Parco del Gran Sasso e Monti della Laga, Parco Naturale del Sirente, Parco Valle di Diano e del Cilento, Parco Nazionale dell’Alta Murgia, Parco delle Madonie.

Obiettivi specifici del progetto sono stati:

• Censimento di varietà di specie autoctone (indagine conoscitiva delle eccellenze, indi- viduazione delle eccellenze) e di modalità di produzione in parchi nazionali e regionali (Nord, Centro e Sud Italia) presi come modelli sperimentali

• Costituzione di un database globale che rappresenti un inventario che raccolga inda- gini, metodi utilizzati per l’individuazione e la caratterizzazione delle specie autoctone animali e vegetali di interesse alimentare.

• Valutazione e verifica della sostenibilità economica di talune attività agricole svolte all’interno dei parchi con particolare attenzione ai prodotti selezionati

• Valutazione dell’impatto energetico-ambientale e della “carbon footprint (CF)” me- diante la metodologia LCA (Life Cycle Assessment) delle tipologie di prodotti presi come modelli sperimentali coltivati e/o prodotti in aree protette in un’ottica di ciclo di vita.

• Determinazione della composizione chimico-nutrizionale di alimenti di origine vege- tale e animale e loro prodotti.

• Identificazione di markers molecolari per la valutazione dei polimorfismi genetici di alimenti di origine vegetale.

• Studio delle relazioni esistenti tra dieta e habitat microbiologico ruminale e intestinale di bovine e bufale in relazione all’effetto sulla qualità di prodotto (latte, formaggi e carne).

8 • Studio degli effetti funzionali in vivo di diete formulate sulla base di ricette tradizionali mediante modelli sperimentali animali.

• Valutazione dello stato di nutrizione su gruppi di popolazione che vivono all’interno delle aree parco a confronto con gruppi di popolazioni che vivono in aree urbane.

Tabella 1 - Articolazione del progetto TERRAVITA

WP TITOLO REFERENTE

1 Coordinamento [email protected] CREA Alimenti e Nutrizione 2 Valutazione dell’impatto territoriale sui prodotti [email protected] locali da un punto di vista socio-economico-culturale CREA Politiche e Bio-economia 3 Impatto ambientale di un’area sostenibile [email protected] Dipartimento di Ingegneria, Università degli Studi di Palermo Valutazione dell’impatto energetico-ambientale per le diverse [email protected] fasi di produzione del pane di Monreale CREA Cerealicoltura e Colture industriali, Acireale (già CREA-ACM) 4 Studio dei prodotti di origine vegetale e loro prodotti in un’area sostenibile 4.1 Prodotti ortofrutticoli [email protected] CREA Alimenti e Nutrizione 4.2 Prodotti cerealicoli [email protected] CREA Alimenti e Nutrizione Caratterizzazione qualitativa di “antichi grani siciliani” [email protected] per la produzione di prodotti tipici a base di cereali CREA Cerealicoltura e Colture industriali, Acireale (già CREA-ACM) 4.3 Prodotti vegetali ricchi in proteine: leguminose [email protected] CREA Alimenti e Nutrizione 4.4 Prodotti olivicoli [email protected] CREA Alimenti e Nutrizione Caratterizzazione genetica di campioni Pyrus communis, [email protected] Olea europaea, Triticum aestivum e Triticum durum CREA Alimenti e Nutrizione mediante approccio molecolare 4.5 Valutazione del potenziale di tolleranza agli stress dei [email protected] genotipi e relazione alla qualità nutrizionale CREA Genomica e Bioinformatica (Roma) 5 Studio dei prodotti di origine animale e loro derivati in un’area sostenibile 5.1 Caratterizzazione dei prodotti lattiero caseari [email protected] CREA Alimenti e Nutrizione 5.2 Alimenti e alimentazione come mezzi di tipicità della [email protected] filiera zootecnica [email protected] Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Bologna 6 Biodiversità, dieta mediterranea e salute del consuma- [email protected] tore CREA Alimenti e Nutrizione 6.1 Tipologie, produzioni e canali di commercializzazione [email protected] di specifici prodotti locali CREA Politiche e Bio-economia 6.2 Valutazione dei consumi alimentari, stile di vita e stato di [email protected] nutrizione in piccoli gruppi di popolazione campione in aree CREA Alimenti e Nutrizione urbane e rurali 6.3 Valutazione degli effetti biologici di diete a base di alimenti con [email protected] attività funzionale Laboratorio di Nutrizione Cellulare e Molecolare, Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche (DEB) dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo

9 Per la realizzazione degli obiettivi progettuali è stato utilizzato un approccio di studio di tipo multidisciplinare articolato in tre tematiche di ricerca: nutrizionale, rivolto alla va- lutazione della composizione chimico-nutrizionale degli alimenti e prodotti selezionati e delle potenzialità salutistiche per il consumatore; economico, rivolto alla valutazione e ve- rifica della sostenibilità economica di talune attività agricole; ambientale, per la valutazione dell’impatto energetico-ambientale di alcune tipologie di prodotti presi come modelli spe- rimentali (provola delle Madonie, pane di Monreale, olio siciliano).

Il progetto è stato articolato in sei work package (WP) (Tabella 1). Il gruppo di lavoro risul- ta composto da tre Unità Operative (U.O.) afferenti al Consiglio per la ricerca in agricoltu- ra e l’analisi dell’economia agraria (CREA) e da enti universitari estreni: U.O.1 Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione (CREA-Centro di ricercA Alimenti e Nutrizione), coordina- tore generale del progetto, coinvolto anche in attività di ricerca dei differenti WPs, l’U.O.2 CREA Centro di ricerca per l’Agrumicultura e le Culture Mediterranee (ora Centro di ri- cerca cerealicoltura e colture industriali (CREA Cerealicoltura e Colture industriali) - Labo- ratorio di Cerealicoltura, Acireale, che svolge attività di collaborazione e supporto nel WP3 e nel WP 4.2, e l’U.O. 3 Centro di ricerca Politiche e Bio-economia (CREA-Politiche e Bio-economia ex INEA), la cui attività è svolta nel WP2 e WP 6 (azione 6.1). Gli enti ester- ni coinvolti sono: il Dipartimento Scienze Mediche e Veterinarie, dell’Università Bologna; il Dipartimento di Ricerche Energetiche e Ambientali poi confluito nel Dipartimento di Ingegneria, dell’Università di Palermo, il Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche, dell’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo; i Laboratori IRS del Dipartimento di Fisica, dell’Università La Sapienza di Roma. Hanno, inoltre, dato un contributo essenziale alla realizzazione delle attività previste aziende agricole, consorzi, alcune associazioni di pro- duttori, le ex-agenzie regionali di sviluppo agricolo e l’assessorato regionale dell’agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea (Servizio assistenza tecnica in agricoltura, programmazione e sistemi informativi) della Regione Sicilia. Infine per lo studio su gruppi di popolazione previsto nel WP6 si è avuta la collaborazione delle autorità locali (sindaci, medici di medicina generale) e del Dipartimento di Prevenzione ed il Servizio Igiene degli Alimenti e della Nutrizione dell’Azienda Sanitaria Locale di Pescara.

Nell’ambito del progetto sono stati studiati alcune materie prime e prodotti finiti prove- nienti da varie aree geografiche italiane, caratterizzati da un forte legame con il territorio di provenienza. I prodotti studiati sono riportati in Tabella 2. Nel complesso le analisi e le valutazioni hanno interessato produzioni ortofrutticole, cerealicole, leguminose, olearie e lattiero-casearie per un totale di 63 prodotti autoctoni tra specie, cultivar e prodotti trasfor- mati della tradizione culinaria.

Per i prodotti ortofrutticoli sono state studiate le peculiarità nutrizionali e salutistiche, stret- tamente legate alle condizioni agronomiche e pedoclimatiche di produzione.

Per la valorizzazione di leguminose tradizionali ed ecotipi locali sono stati studiati specifici marcatori di qualità nutrizionale e tecnologica.

Per i prodotti olivicoli lo studio è stato finalizzato alla caratterizzazione e valorizzazione di oli monovarietali di pregio prodotti da cultivar di olivo minori valutando l’influenza di alcuni fattori esterni e tecnologici sulle potenzialità qualitative espresse dalle cultivar, dando particolare attenzione alla presenza di composti fenolici.

Per i prodotti cerealicoli, oltre allo studio chimico-tecnologico e nutrizionale di frumento, mais, , riso, pane e , sono state studiate le proprietà tecnologiche e nutrizionali di antiche varietà locali siciliane.

10 Per i prodotti lattiero caseari, oltre agli aspetti chimici ed alla caratterizzazione nutrizionale di formaggi caratteristici del territorio, sono stati studiati aspetti produttivi e di salubrità del latte e dei formaggi derivati legati all’alimentazione degli animali.

Per caratterizzare alcuni prodotti e stabilire composizione ed origine di prodotti di partico- lare pregio, considerati espressione delle biodiversità regionale, quali le pere San Giovanni, il frumento Solina e Ruscia, gli oli extravergine di oliva monovarietali, sono state effettuate anche indagini molecolari. Tra i prodotti selezionati il pane di Monreale, la provola delle Madonie sono stati scelti come modelli sperimentali per lo studio dell’impronta energetico- ambientale, la sostenibilità socio-economica e la caratterizzazione chimico-nutrizionale.

Inoltre, una specifica linea di ricerca è stata focalizzata sull’analisi delle evoluzioni demogra- fiche, economiche e produttive e nel contempo sugli effetti dell’alimentazione su un gruppo di residenti in alcuni comuni del Parco Nazionale della Majella, integrando le competenze di due centri CREA, quelle del Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione con quelle del Cen- tro di ricerca Politiche e Bio-economia.

Tabella 2. Prodotti studiati nel progetto TERRAVITA

NORD CENTRO SUD

Pesca del Cuneese, Zucca Santa Prodotti Ortofrutticoli Pesca Giallona, Pera San Giovanni Zucchina Verde Bellunese

Frumento Tenero Solina, Pane di Pane di Monreale da semola com- Solina, Frumento Duro Ruscia, Gra- Antico orzo delle valli Bellunesi, merciale, pane da Frumento Duro no Duro Saragolla, Grano Duro Se- Prodotti Cerealicoli Mais Sponcio, Mais Marano, Riso Timilia, Frumento Duro Russello, natore Cappelli, Pasta da Senatore Buono Farina di Grano Duro Tostato, Orec- Cappelli, Pasta da miscela Senato- chiette di Grano Arso re Cappelli e Saragolla

Cicerchia di Castelcivita, Cicerchia di Colliano, Lenticchia di Colliano, Lenticchia di Castelluccio, Lentic- Cece Nero di Caposele, Cicerchia di Leguminose chia di Colfiorito Altamura, Lenticchia di Altamura, Cicerchia di Matera, Cece Nero di Matera

Olii monovarietali (Dritta, Intosso, Leccino, Rustica, Gentile di Chieti, Carpinetana, Monicella, Gentile Olii monovarietali (Biancolilla, Prodotti Olivicoli Olio monovarietale Grignano dell’Aquila, I77, Nebbio, Leccio Cerasuola, Moresca, Nocellara del del Corno, Toccolana, Peranzana, Belice, Tonda Iblea, Verdello) Castiglionese, Posola, Posolella, Picholine, Cucco)

Formagella di Collio, Bagòss, No- Giuncata abruzzese, Pecorino d’A- Prodotti Lattiero caseari Provola delle Madonie strano Val Trompia bruzzo

11 I risultati ottenuti, oltre a rappresentare un approfondimento delle conoscenze scientifiche su produzioni tipiche in contesti rurali “fragili” e sui loro potenziali effetti benefici sulla sa- lute del consumatore, costituiscono una base per il miglioramento della competitività dello sviluppo produttivo e punto di riferimento per una progresso della ricerca scientifica in tale ambito. Si evidenzia come un approccio interdisciplinare, che leghi aspetti economici, ambientali e nutrizionali, sia necessario per una più proficua azione di coordinamento delle filiere e di sostegno politico ai processi di valorizzazione commerciale dei singoli prodotti e di sviluppo sostenibile dei territori. Quest’ultimo deve essere costruito sulla qualità e la pe- culiarità dei prodotti e sui principi di eco-sostenibilità delle produzioni locali, con indubbi vantaggi di tipo economico e sociale per il territorio, per le industrie, per le piccole realtà artigianali a conduzione familiare al fine di incrementare l’offerta sui mercati nazionali e internazionali di produzioni “tipiche” spesso destinate alle sole comunità locali o all’auto- consumo.

Nel presente volume viene presentata una sintesi delle attività svolte e dei principali ri- sultati conseguiti nell’ambito di ciascuna attività di ricerca. In allegato sono riportate le schede che si riferiscono al pane di Monreale e alla provola delle Madonie presentate come materiale divulgativo in due Convegni specifici. Queste schede, che sintetizzano i risultati ottenuti nell’ambito del Progetto, sono state elaborate con l’intento di offrire una visione complessiva dei prodotti nella quale fossero presenti non solo i risultati relativi alla qualità nutrizionale, ma anche informazioni che riguardano aspetti meno noti come la sostenibilità socio-economica e l’impatto ambientale, approccio peculiare del Progetto TERRAVITA.

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13 I CEREALI TRA SALUTE, BIODIVERSITÀ E TRADIZIONE Acquistucci R., Melini V., Durazzo A., Galli V., Mellara F., Bartoli L. CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

INTRODUZIONE Il recupero di produzioni vegetali dimenticate consente di salvaguardare sia le tradizioni culturali di un territorio che l’ambiente, ma anche di contribuire allo sviluppo economico di aree arretrate e periferiche. Le aree protette rappresentano una opportunità di colti- vazione che utilizza pratiche innovative ed ecocompatibili, dove è possibile dimostrare il vantaggio derivante dall’integrazione della natura nella pianificazione del territorio e nello sviluppo delle economie locali.

In questo WP sono state studiate alcune materie prime cerealicole e prodotti finiti da esse derivate provenienti da aree sostenibili caratterizzate da un forte legame con il territorio di provenienza. Queste produzioni, per le loro specifiche caratteristiche, fanno parte del vasto patrimonio agro-alimentare che da sempre ha reso famoso il nostro Paese.

OBIETTIVO L’obiettivo principale di questo WP è stato quello di ricercare gli indicatori di natura chi- mico-fisica e nutrizionale più idonei a valorizzare produzioni cerealicole e prodotti a base di cereali provenienti da aree a tutela ambientale.

MATERIALI Lo studio è stato condotto su un totale di 27 campioni afferenti a 6 regioni diverse (Figura 1). Più in dettaglio, sono stati studiate 5 varietà autoctone di frumento (tenero e duro) e 5 campioni di pane provenienti dall’Abruzzo; 3 varietà di frumento duro e 4 campioni di pasta prodotti nel Lazio; 1 campione di farina di frumento duro tostato ed 1 campione di pasta con aggiunta di tale farina prodotti in Puglia; 2 campioni di mais ed 1 campione di orzo provenienti dal Veneto; 1 campione di riso proveniente dal Piemonte e 4 campioni di pane proveniente dalla Sicilia (Tabella1).

Figura 1. Numero di campioni raccolti per regione

14 Tabella 1. Campioni selezionati suddivisi per regione di provenienza e i rispettivi acronimi

REGIONE CAMPIONE AZIENDA ACRONIMO NORD Piemonte Riso Buono Azienda Agricola Cavalchini, Casalbeltrame (NO) Farina di Mais Sponcio Cooperativa agricola “La Fiorita”, Cesiomaggiore (BL) MS Farina di Mais Marano Mulino Bertolo Antonio, Covolo di Piave (TV) MM Veneto Antico orzo delle Valli Cooperativa agricola “La Fiorita”, Cesiomaggiore (BL) Bellunesi CENTRO Frumento Tenero Azienda Silveri, Castelvecchio Subequo (AQ) Solina 1 Solina Azienda Verna, Forca di -Capestrano (AQ) Solina 2 Azienda De Santis, Introdacqua (AQ) Solina 3 Frumento Duro Ruscia Varietà Ruscia “in purezza”, Azienda Silveri, Castelvecchio Subequo (AQ) RP Abruzzo Varietà Ruscia “selvatica” Azienda Silveri, Castelvecchio Subequo (AQ) RS Forno Alessandro, Sulmona (AQ): filone di pezzatura piccola (900 grammi c.a.) Campione A Agriforno “la Spiga”, S. Gregorio (AQ): filone di pezzatura grande (1660 grammi) Campione B Pane di Solina Agriforno “la Spiga”, S. Gregorio (AQ): pagnotta tonda (900 grammi) Campione C Agriforno “la Spiga”, S. Gregorio (AQ): filone di pezzatura piccola (810 grammi) Campione D Forno Alessandro, Sulmona (AQ): filone di pezzatura grande (1700 grammi) Campione E Tenuta “Le Chiuse di Reopasto”, Contigliano (RI) SNCP 1 Frumento Duro SNCP 2 Senatore Cappelli Azienda “Colle Cavaliero”, Montisola di Contigliano (RI)

Frumento Duro Tenuta “Le Chiuse di Reopasto”, Contigliano (RI) SRG Saragolla

Lazio Azienda “Colle Cavaliero”, Montisola di Contigliano (RI)-Formato maccheroncini MSNCP 2 Pasta da Senatore PSNCP 2 Cappelli Azienda “Colle Cavaliero”, Montisola di Contigliano (RI)-Formato penne

Azienda “Tenuta “Le Chiuse di Reopasto”, Contigliano (RI)-Formato penne PSRG-SN CP 1 Pasta da miscela Senatore Cappelli e Saragolla Azienda “Tenuta “Le Chiuse di Reopasto”, Contigliano (RI)-Formato SSRG -SNCP 1

SUD Farina di Grano Duro Mulino Daddario, Località Cafora, Cerignola (BA) Tostato Puglia di Grano Pastificio Mastromauro, Corato (BA) Arso Antica Forneria Tusa, Monreale (PA) P1 Pane con farina di grano duro macinato a cilindri con lievito compresso Pane di Monreale Sicilia Pane con farina di grano duro dello stesso tipo del campione P1 con lievito madre P2 Pane con farina di grano duro Russello macinato a pietra con lievito madre PR Pane con farina di grano duro Tumminia macinato a cilindri con lievito madre PT

15 I campioni di granella sono pervenuti in sacchi di tela e in quantità variabili tra i 10 e i 20 Kg. Per quanto concerne le altre tipologie di campione, da ciascuna azienda sono stati prelevati più confezioni appartenenti a lotti diversi (4-5 kg). I campioni sono stati miscelati per ottenere campioni primari che sono stati conservati al buio a 4°C. I campioni per analisi sono stati ottenuti a partire dai campioni primari utilizzando il metodo della quartatura a superficie fino ad ottenere un campione da laboratorio di circa 100 g (parametri chimici e nutrizionali) e di 2 Kg per la valutazione delle caratteristiche tecnologiche.

Per quanto concerne i test chimici, prima di ciascuna analisi, una quantità del campione da laboratorio, sufficiente ad eseguire ciascun test e le necessarie repliche, è stata macinata con un macinello da laboratorio refrigerato ad acqua (Janke&Kunkel IKA Labortechnik, Staufen, Germania). I campioni di grano sono stati macinati seguendo le modalità specifi- che per ciascun test.

Il semolato da Senatore Cappelli e la miscela Senatore Cappelli-Saragolla, utilizzate per produrre le paste, sono state fornite dalle stesse aziende che hanno fornito le granelle.

Per quanto concerne i campioni di pane di Monreale, appena ricevuti, sono stati controllati e riuniti per tipologia. Una parte dei campioni è stata tagliata a fette ed utilizzata per le determinazioni colorimetriche; una porzione dei diversi campioni di pane è stata suddivisa in piccoli pezzi costituiti da crosta e mollica poi essiccati in stufa ventilata a 30°C per otto ore. Su tutti i campioni essiccati è stata determinata l’umidità. Una volta essiccati, i cam- pioni sono stati conservati in contenitori di plastica chiusi in presenza di azoto e lasciati al buio in un ambiente asciutto. Immediatamente prima delle analisi, una porzione di ciascun campione è stata macinata con un macinello da laboratorio raffreddato ad acqua. Le de- terminazioni analitiche sono state effettuate entro un mese dal ricevimento dei campioni.

Alcune informazioni di carattere generale relative ai campioni oggetto dello studio sono riportate di seguito.

NORD Riso Buono In tempi recenti si stanno diffondendo anche in Italia varietà di riso con peri- carpo pigmentato interessanti dal punto di vista salutistico per i potenziali effetti benefici associati al loro consumo. In questo studio è stato scelto il Riso Buono, nome commerciale di un riso pigmentato ottenuto incrociando la varietà Venere, e un riso di tipo Indica.

Mais Marano (MM) Il MM è una varietà selezionata all'inizio del Novecento e si distingue dalle altre varietà per la limitata produttività. Viene attualmente coltivata nella zona di Marano Vicentino e nei comuni limitrofi. È una varietà locale non ibrida, e affianca altre varietà sempre locali di mais proprie del Veneto.

Mais Sponcio(MS) Il MS è una varietà coltivata quasi esclusivamente nelle vallate bellunesi. La forma del seme presenta una caratteristica punta, da cui il termine dialettale ‘sponcio’. La granella è di colore arancione tendente al giallo, dall’aspetto vitreo. E’ una pianta molto rustica che si adatta agli ambienti montani marginali fino al limite fisiologico vegetativo, per questo motivo molto utilizzata nei terrazzamenti delle vallate bellunesi.

CENTRO Pane da farina di Solina I campioni di pane prodotti con gli sfarinati di grano Solina prove- nivano da due forni in provincia de L’Aquila. I dettagli relativi alle pezzature sono riportati in Tabella 1.

16 Pasta da Senatore Cappelli e Saragolla I campioni di pasta sono stati ottenuti a partire dal se- molato di Senatore Cappelli (SNCP2) o da una miscela di grano Saragolla (SRG) e Senatore Cappelli (SNCP1) (rapporto Saragolla-Senatore Cappelli 2:1). I dati relativi al formato del- le paste sono riportate nell’elenco dei campioni. L’essiccamento delle paste è stato effettuato a bassa temperatura (T max=40°C) per almeno 36 ore.

SUD Farina di grano tostato (arso) La produzione di farina di grano tostato, in passato detto gra- no “arso”, affonda le radici nei secoli passati quando dai chicchi di grano che rimanevano sulle spighe di grano sopravvissute alla mietitura e alla bruciatura delle stoppie si otteneva uno sfarinato integrale. Oggi la farina viene tostata, da qui il nome di grano tostato, e non bruciata, e trova impiego nella produzione di focacce, taralli e pasta.

Orecchiette da farina di grano tostato La produzione di pasta da grano arso nasce nel tavoliere delle Puglie e trova nelle orecchiette la sua espressione d’elezione. La farina viene sempre miscelata, in proporzioni variabili, con altri cereali a causa del sapore particolare che im- partisce ai prodotti finiti. Nel nostro caso, è stato utilizzato il 15% di farina di grano arso e l’85% di semola di grano duro.

Pane di Monreale Il pane di Monreale è un prodotto agroalimentare tradizionale della re- gione Sicilia, conosciuto anche come “u pani ri murriali”. La sua produzione avviene se- condo antiche tradizioni nella città di Monreale (PA), dalla quale prende il nome. Per la preparazione dei campioni è stata utilizzata semola, acqua, sale, lievito. La temperatura di cottura era di 260°C-280°C. La materia prima per l’impasto era costituita da grano duro di una varietà moderna ma anche da sfarinati di frumento Russello e Tumminia. Per quan- to concerne il processo di lievitazione, per i campioni classificati come P1 e P2, ottenuti utilizzando farine di frumento duro comuni, è stato utilizzato sia lievito di birra (P1) che lievito madre (P2). Per i campioni classificati come PR (Russello) e PT (Tumminia) è stato utilizzato solo lievito madre. Nella parte superiore della crosta sono presenti semi di sesamo.

INDICATORI DELLA QUALITÀ MOLITORIA METODOLOGIA Valutazione dei difetti della granella: Metodo visivo effettuato su 100 grammi di campione

Peso della cariosside: Determinazione mediante SKCS (AACC 55.31.01)

Durezza della cariosside: Determinazione mediante SKCS (AACC 55.31.01)

Peso dei 1000 semi: Determinazione effettuata applicando le specifiche descritte nel meto- do UNI n.10266

Peso Ettolitrico: Determinazione effettuata con bilancia tipo Schopper (Metodo UNI n. 10281)

Proteine: Determinazione mediante metodo Kjeldahl. Fattore di conversione N x 5,70 per il frumento oppure 6,25 (per tutti gli altri cereali) (Metodo ICC 105/2)

Ceneri: Sono state determinate sullo sfarinato integrale opportunamente preparato (UNI- ISO 2171)

Umidità: Determinazione mediante SKCS (AACC 55.31.01)

17 INDICATORI DELLA QUALITÀ TECNOLOGICA Umidità: Determinazione in stufa a 105 °C per 24 ore fino a peso costante (DM 27.05.1985, suppl. n.3)

Proteine: Determinazione mediante metodo Kjeldahl. Fattore di conversione N x 5,70 per il frumento oppure 6,25 (per tutti gli altri cereali) (Metodo ICC 105/2)

Parametri Alveografici (sullo sfarinato): Metodo UNI 10453

Indice di glutine e glutine secco (su semole): Metodo ICC 158

Glutine secco (sullo sfarinati di frumento tenero): Metodo ICC 137/1

Determinazione delle caratteristiche colorimetriche (sulle farine di mais): determinazione in riflettanza diffusa utilizzando un colorimetro Chroma Meter CR-200 (Minolta) con illuminante D65. Le caratteristiche colorimetriche sono espresse dalle coordinate L*, a*, b* (CIE 1976).

CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-NUTRIZIONALE Umidità: Determinazione in stufa a 105°C per 24 ore fino a peso costante (DM 27.05.1985, suppl. n .3)

Proteine: Determinazione mediante metodo Kjeldahl. Fattore di conversione N x 5,70 per il frumento e 6,25 per tutti gli altri cereali (Metodo ICC 105/2)

Ceneri: Sono state determinate sullo sfarinato integrale opportunamente preparato (UNI- ISO 2171)

Polifenoli totali (con idrolisi acida): L’estrazione della frazione libera e legata dei polifenoli è stata effettuata secondo la procedura di Hartzfeld et al. (2002) e di Perez-Jimenez and Saura-Calixto (2005). La determinazione quantitativa è stata effettuata utilizzando il reat- tivo di Folin-Ciocalteau (Singleton et al., 1999). I risultati sono espressi come milligrammi equivalenti di acido gallico in 100 g di campione secco (mg AGE/100 g s.s).

Polifenoli totali (con idrolisi alcalina): l’estrazione della frazione libera è stata effettuata usando due diverse miscele organiche come riportato da Arranz e Saura-Calixto (2010), mentre la frazione legata è stata idrolizzata in ambiente alcalino supportata dagli ultrasuoni (Irakli et al., 2012) e successivamente estratta con solventi organici. La determinazione quantitativa è stata effettuata utilizzando il reattivo di Folin-Ciocalteau (Singleton et al. 1999). I risultati sono espressi come milligrammi equivalenti di acido gallico in 100 g di campione secco (mg AGE/100 g s.s).

Determinazione del potere antiossidante: La determinazione del potere antiossidante sugli estratti polifenolici è stata eseguita utilizzando il test del FRAP (Ferric Reducing Antioxi- dant Power) come descritto da Benzie e Strain (1996) e Pulido et al. (2000).

Determinazione del contenuto in carotenoidi: La metodica utilizzata è stata quella riportata in Melini and Acquistucci (2013).

ANALISI DEI DATI I dati riportati sono valori medi ottenuti da almeno tre determinazioni successive. Dove non specificato, i valori della deviazione standard associata alle medie rientrava nei valori

18 fissati dal metodo. I dati di natura chimica sono riportati sul campione tal quale (s.f) o sul campione secco (s.s).

CARATTERIZZAZIONE DELLE GRANELLE RISULTATI E In Tabella 1 sono riportati i campioni suddivisi per regione di provenienza e i rispettivi acro- DISCUSSIONE nimi. Dopo una verifica preliminare dei campioni di fumento tenero (Solina), uno dei quali eliminato perché infestato, e di frumento duro (Ruscia, Saragolla e Senatore Cappelli), si è passati all’ispezione visiva degli stessi. Sulle granelle sono stati ricercati le impurezze vegetali, i semi rugginosi, i chicchi volpati, i chicchi striminziti, spezzati e bianconati. I risultati rela- tivi agli indicatori di qualità molitoria determinati sui campioni di frumento tenero Solina e di frumento duro Ruscia sono illustrati rispettivamente nelle Figure 2 e 3.

Figura 2. Granelle di frumento tenero Solina: indicatori della qualità molitoria

La Solina è un frumento tenero adatto a terreni poveri, molto resistente al freddo, carat- terizzato da una produttività limitata ma costante. I campioni di granella analizzati, con spiccate caratteristiche “soft”, presentavano un peso medio dei 1000 semi pari a 47,8 g, un peso ettolitrico medio pari a 77,8 kg/hL ed un contenuto di umidità medio pari a 12,5 g/100 g di campione (Figura 2). Tutte le granelle sono risultate ben sviluppate e sane con difetti contenuti e ampiamente inferiori ai limiti di legge. Su 100 grammi di granella la percentuale delle cariossidi sane è risultata compresa tra l’89% e il 96%.

In base ai criteri che vengono generalmente adottati per la definizione della qualità del frumento tenero, i campioni sono risultati adatti alla commercializzazione sia in termini di resa molitoria che in termini di conservazione.

In Figura 3 sono riportati gli indicatori di qualità molitoria relativi ai campioni di frumento Ruscia. Il frumento Ruscia “selvatico” (RS) è costituito da una miscela di tre antiche culti- vars (una di grano duro e due di grano tenero) mentre la varietà Ruscia “in purezza” (RP) è stata ottenuta, dopo un processo di selezione genetica durato quattro anni, a partire dalla varietà selvatica.

19 Figura 3. Granelle di frumento Ruscia: indicatori della qualità molitoria

RS: varietà selvatica; RP: varietà ottenuta dopo selezione

I due campioni sono risultati profondamente diversi e solo il campione RP presentava le caratteristiche di un frumento duro mentre nel campione RS erano evidenti caratteristiche riconducibili al frumento tenero. Per quanto concerne gli indicatori della qualità molitoria, valgono le stesse considerazioni fatte per il frumento Solina. Per quanto concerne i parame- tri chimici quali umidità, ceneri e proteine, tra i grani Solina solo il campione 2 presentava un valore in proteine inferiore al 13,0 g/100 g s.s ed un contenuto in ceneri inferiore a 2,0 g/100 g s.s. Al contrario, entrambi i campioni di granella Ruscia presentavano un contenu- to in proteine superiori a 14,0 g/100 g s.s ed un tenore in ceneri compreso tra 1,81 e 1,99 g/100 g s.s. Pertanto, dal punto di vista della commercializzazione, sia i grani Solina che Ruscia presentano caratteristiche idonee alla commercializzazione.

In Figura 4 sono riportati i parametri atti a valutare la qualità molitoria dei campioni di fru- mento Saragolla e Senatore Cappelli. La Saragolla è un cereale che insieme al Senatore Cap- pelli può essere considerato il capostipite delle varietà moderne. È una varietà di grano duro a ciclo precoce con un potenziale produttivo elevato e stabile, dotata di ottima resistenza alle principali fitopatie. Il Senatore Cappelli è una cultivar di grano duro autunnale capace di grande adattabilità che dagli inizi del secolo scorso fino agli anni ‘60 ha rappresentato la base del miglioramento genetico del frumento duro ed è presente nel patrimonio genetico di quasi tutte le cultivar di grano duro oggi coltivate in Italia e all’estero.

L’ispezione visiva delle granelle, ha evidenziato, sia nel campione di Saragolla che nei due di Senatore Cappelli, una percentuale significativa di chicchi striminziti, volpati e rugginosi. La percentuale di cariossidi sane è risultata pari al 55% per il campione di Saragolla e al 62%-64% per i campioni di Senatore Cappelli. Tali difetti determinano una riduzione della qualità molitoria dei grani soprattutto in termini di resa alla macinazione.

Per quanto concerne gli altri parametri di molitura considerati, le granelle sane sono risul- tate ben sviluppate con valori di peso ettolitrico superiori ai 70 kg/hl, con un peso dei 1000 semi superiore a 45,0 g e un contenuto in proteine superiore al 13,0 g/100 g s.s. Per quanto concerne il contenuto in ceneri, i valori ottenuti oscillavano intorno al 2,0g/100 g s.s.

20 Figura 4. Granelle di Frumento Saragolla e Senatore Cappelli: indicatori della qualità molitoria

CARATTERIZZAZIONE CHIMICO-TECNOLOGICA DEGLI SFARINATI DI FRUMENTO I cereali sono strutturalmente diversi tra loro e, pertanto, la valutazione delle caratteristiche tecnologiche deve essere effettuata tenendo conto di tali differenze. Nel caso del frumento, la qualità tecnologica si identifica con la qualità del glutine che diventa, per questo, il pa- rametro tecnologico più significativo. Il frumento tenero è utilizzato in prevalenza per pro- durre pane e prodotti da forno e la qualità del glutine viene determinata mediante parametri alveografici in grado di descrivere la resistenza e l’estensibilità dell’impasto. Nel caso del frumento duro, invece, gli indicatori più significativi sono il contenuto in glutine e l’indice di glutine. Per quanto concerne i campioni di frumento tenero Solina, i dati alveografici, che sono illustrati in Figura 5, descrivono un glutine di scarsa qualità, estensibile ma poco resistente, adatto alla produzione di biscotti o pani poco lievitati. Per quanto concerne i campioni di Ruscia, il contenuto in glutine è risultato pari al 10,2 g/100 g s.s nel campione RS e 11,0 g/100 g s.s nel campione RP. Per quanto concerne gli indicatori atti a valutare la qualità del glutine, anche il campione RP, l’unico con caratteristiche di frumento duro, è risultato avere un glutine di scarsa qualità.

Figura 5. Frumento Solina: indicatori della qualità tecnologica*

* I risultati ottenuti sono valori medi di cinque determinazioni successive

21 I risultati relativi agli indicatori della qualità tecnologica dei semolati da Senatore Cappelli (SNCP2) e dalla miscela Saragolla-Senatore Cappelli (SRG-SNCP1) utilizzati per produrre la pasta sono illustrati in Figura 6. Anche in questo caso i parametri reologici descrivono campioni caratterizzati da un buon contenuto proteico (circa 14% s.s) ma scarsa tenacità e queste caratteristiche ne limitano l’impiego sia in panificazione che in pastificazione. Va tuttavia sottolineato il fatto che i frumenti considerati in questo studio non sono stati sotto- posti a miglioramento genetico e ciò spiega le caratteristiche tecnologiche inferiori rispetto a quelle tipiche delle varietà maggiormente diffuse. Tuttavia, alimenti finiti di buona qualità quali pane o pasta possono essere ottenuti se vengono impiegate tecniche di panificazione e pastificazione mirate, a carattere artigianale.

Figura 6. Frumento Senatore Cappelli (SNCP2) e miscela Saragolla-Senatore Cappelli (SRG-SNCP1): in- dicatori della qualità tecnologica

* I valori relativi all’indice di glutine e al glutine totale sono dati medi ottenuti da due determinazioni successive

CARATTERIZZAZIONE NUTRIZIONALE La valutazione delle molecole bioattive, importanti ai fini della valutazione nutrizionale ha riguardato i fenoli, i carotenoidi e le antocianine.

Composti fenolici: nei cereali i composti fenolici (acidi fenolici, flavonoidi, tannini etc.) sono presenti sia in forma libera che legata e la distribuzione delle diverse frazioni dipende dal cereale considerato (Hatcher e Kruger, 1997; Beta et al., 2005). Nel frumento la compo- nente legata, che costituisce fino all’80% dei polifenoli totali, è rappresentata in larga parte dall’acido ferulico e può essere estratta dalle pareti cellulari solo mediante idrolisi acida o basica. Al contrario, la frazione libera, presente nella parte esterna del pericarpo, può essere rimossa per semplice estrazione con solventi organici (Dykes e Rooney, 2007).

Nelle Figure 7 e 8 sono illustrati i dati relativi al contenuto in polifenoli presenti nelle granelle e negli sfarinati dei campioni di frumento Solina e Ruscia. I dati di Figura 7 si rife- riscono alla frazione libera mentre quelli di Figura 8 si riferiscono alla componente fenolica legata alla matrice vegetale.

Le granelle di frumento tenero presentavano un contenuto medio in fenoli liberi pari a 173,3 mg AGE/100 g s.s, mentre negli sfarinati questa componente era ridotta a 138, 5 mg AGE/ 100 g s.s (20%). Come atteso, il processo di macinazione determina la perdita di

22 una parte degli strati cruscali con la conseguente riduzione delle sostanze fenoliche ivi con- tenute. Per quanto concerne i campioni di Ruscia, nel passaggio dalla granella alla semola integrale si è osservata la riduzione del 15% circa nel campione RSS e del 30% circa nel campione RPS (Figura 7).

Per quanto concerne la frazione legata (Figura 8), determinata dopo idrolisi acida, le gra- nelle di frumento tenero presentavano un contenuto medio in fenoli pari a 1202,8 mg AGE/100 g s.s mentre negli sfarinati questa componente era ridotta a 861,4 mg AGE/100 g s.s (28%). Relativamente ai campioni di Ruscia, nel passaggio dalla granella alla semola in- tegrale si osserva un incremento dell’11%-17% del contenuto in polifenoli. Tale risultato è certamente dovuto alla maggiore capacità estraente esercitata dal mezzo acido nei confronti degli sfarinati di frumento duro rispetto alla granella.

Figura 7. Granelle e sfarinati dei frumenti Solina e Ruscia: polifenoli liberi*

*G: granella; S:sfarinato; S1: Solina1; S2: Solina2; S3: Solina3; RS: Ruscia selvatica; RP: Ruscia in purezza

Figura 8. Granelle e sfarinati dei frumenti Solina e Ruscia: polifenoli legati*

*G: granella; S:sfarinato; S1: Solina1; S2: Solina2; S3: Solina3; RS: Ruscia selvatica; RP: Ruscia in purezza

23 Nello studio in oggetto sono stati considerati anche campioni di pane prodotti a partire da- gli sfarinati di Solina; poiché il pane è un prodotto finito e, come tale, destinato al consumo immediato, al fine di acquisire dati sul valore nutrizionale è stata valutata anche l’attività antiossidante legata alla componente fenolica. Per valutare l’effetto del processo di trasfor- mazione sul contenuto in fenoli del prodotto finito, la determinazione è stata estesa anche alle materie prime e nelle Figure 9 e 10 sono illustrati i dati relativi all’attività antiossidante, riconducibile alle componenti libere e legate della frazione fenolica.

Per quanto concerne la frazione libera (Figura 9), per la varietà Solina, il valore medio del FRAP era rispettivamente di 6,5 µmoli/g s.s nei campioni di granella e di 2,5 µmoli/g s.s ne- gli sfarinati. Per quanto concerne i campioni di Ruscia, il potere antiossidante relativo alla frazione libera è risultato pari a 5,28 µmoli/g s.s nel campione di granella RS e 4,46 µmoli/g s.s nel campione di granella RP. Nel passaggio dalla granella al semolato, si osserva, anche per la Ruscia, una diminuzione del potere antiossidante talvolta inferiore a quella osservata per i campioni di Solina. Relativamente ai valori del FRAP della frazione legata (Figura 10), come atteso, la componente legata, prevalente nelle matrici considerate, è risultata quella più significativa sia nelle granelle che negli sfarinati. Nel frumento Solina sono stati trovati valori medi di FRAP confrontabili (94,9 µmoli/g s.s e 120,0 µmoli/g s.s rispettivamente nelle granelle e negli sfarinati). Per quanto concerne il confronto tra le granelle e gli sfarinati dei campioni di Ruscia, gli sfarinati presentavano un incremento significativo nei valori del FRAP tra il 30% e il 40%. Tale incremento è evidentemente riconducibile all’incremento della percentuale di fenoli precedentemente osservato.

Figura 9. Determinazione del potere antiossidante dei fenoli liberi mediante test del FRAP*

*G: granella; S:sfarinato; S1: Solina1; S2: Solina2; S3: Solina3; RS: Ruscia selvatica; RP: Ruscia in purezza

Per quanto concerne la valutazione del contenuto in polifenoli degli estratti fenolici dei campioni di pane di Solina, il confronto tra le diverse frazioni è illustrato in Figura 11. I campioni di pane forniti dal forno A avevano un contenuto in polifenoli liberi significa- tivamente superiore ai campioni del forno B (valori medi: 67,2 mg AGE/100 g s.s forno A; 46,6 mg AGE/100 g s.s forno B). Andamento opposto è stato invece osservato nel caso della frazione legata (valori medi: 855,3 mg AGE/ 100 g s.s nei pani del forno A; 1152,8 mg AGE /100 g s.s nei pani del forno B). Tale differenza può essere dovuta sia alla materia prima utilizzata che al processo di cottura utilizzato.

24 Figura 10. Determinazione del potere antiossidante dei fenoli legati mediante test del FRAP*

*G: granella; S:sfarinato; S1: Solina1; S2: Solina2; S3: Solina3; RS: Ruscia selvatica; RP: Ruscia in purezza

Figura 11. Polifenoli liberi (PTL) e legati (PTB) nei campioni di pane

I semolati da frumento duro Senatore Cappelli (SNCP1 e SNCP2) e Saragolla (SRG) pre- sentavano un contenuto in proteine compreso tra 12,8 g/100 g s.s e 14,2 g/100 g s.s. Per quanto concerne i campioni di pasta, il contenuto proteico era compreso tra 13,7 g/100 g s.s e 14,3 g/100 g s.s. I dati relativi al contenuto in polifenoli sono illustrati in Figura 12. I polifenoli sono accumulati principalmente negli strati più esterni della cariosside e pos- sono esistere in forma solubile (liberi) o insolubile (legati). Relativamente al contenuto in sostanze fenoliche di frumenti coltivati in regime convenzionale e biologico, in letteratura sono presenti studi contrastanti dai quali emerge il ruolo dominante della varietà e delle condizioni ambientali. Nei campioni di grano, così come gli sfarinati oggetto del presente studio, la componente legata sopravanzava sempre quella libera e ciò in accordo con quanto descritto in letteratura. Il contenuto in fenoli liberi nelle granelle era compreso tra 102,3 mg/100 g di AGE s.s e 173,2 mg/100 g di AGE s.s. Negli sfarinati tale valore diminuisce e resta compreso tra i 59,0 e gli 89,0 mg/100 g di AGE s.s. Per quanto concerne la frazione

25 legata, determinata dopo idrolisi alcalina, nelle granelle questa era compresa tra i 250,0 e i 270,0 mg AGE/100g s.s mentre negli sfarinati i valori sono compresi tra i 98,4 e i 139,0 mg AGE/100 g s.s. Nei campioni di pasta le due frazioni fenoliche tendono a ridistribuirsi e, in ogni caso, nelle paste si osserva un incremento di entrambe le frazioni rispetto alla materia prima utilizzata: tale andamento è in linea con quanto riportato in letteratura ed è probabilmente da attribuirsi alla formazione di componenti non presenti nel semolato e non necessariamente di natura fenolica, che vengono estratti.

Figura 12. Fenoli nella granella, semolato e pasta da Saragolla e Senatore Cappelli*

*G: granella; Sf: sfarinato; P: formato penne; S: formato spaghetti; M: formato maccheroncini

I dati relativi ad alcuni parametri chimici e al contenuto in fenoli dei campioni di farina di grano tostato (arso) e della pasta (formato orecchiette) sono illustrati in Figura 13. Il grano tostato presentava un valore medio di ceneri pari ad 1,35g/100 g s.s, mentre nel campione di pasta le ceneri erano pari a 0,74 g/100 g s.s. Per quanto concerne il contenuto in fenoli liberi e legati, i dati ottenuti sono piuttosto bassi (fenoli totali: 128,8 mg AGE/100 g s.s e 108,8 mg AGE/100 g s.s nella farina tostata e nelle orecchiette rispettivamente) e ciò è riconducibile alla storia del prodotto.

Come atteso il contenuto in fenoli legati (idrolisi alcalina) è superiore a quello in fenoli liberi anche se la ripartizione tra le due frazioni è diversa nel caso della materia prima e del prodotto finito. Il processo di tostatura porta allo sviluppo di odori e colore che rendono questo prodotto particolare: largo contributo alle caratteristiche organolettiche del cam- pione deriva proprio dalla componente fenolica che, comunque, resta esigua. Nel caso del campione di pasta, la percentuale di fenoli legati risulta superiore alla materia prima anche se il contenuto totale resta esiguo: un incremento della frazione legata è da attribuirsi alle reazioni che prendono luogo durante il processo tecnologico.

Carotenoidi: I carotenoidi sono una classe di molecole costituite da una catena lineare con un esteso sistema di doppi legami coniugati. In natura sono stati identificati più di 700 carotenoidi mentre negli alimenti ne sono stati individuati un centinaio (Saini et al., 2015). In genere, negli alimenti si trovano da uno a cinque carotenoidi principali ed una serie di carotenoidi presenti in piccole quantità o in tracce. Il contenuto di carotenoidi presenti nei cereali è piuttosto basso se confrontato con quello riscontrabile nella frutta e nella verdura, tuttavia il consumo quotidiano di alimenti a base di cereali fa sì che questi contribuisca- no significativamente all’assunzione di carotenoidi (Mellado-Ortega e Hornero-Méndez,

26 2015). I carotenoidi più abbondanti nei cereali sono generalmente le xantofille, quali lutei- na, zeaxantina e β-criptoxantina, mentre i caroteni quali l’a-carotene e il β-carotene sono presenti in quantità minore delle xantofille.

Come per altri componenti bioattivi, nei cereali i carotenoidi sono concentrati nel germe e nella crusca. La presenza relativa dipende, come per gli altri fitochimici, da fattori quali il tipo di cereale, la cultivar, le condizioni di coltivazione, lo stato di sviluppo alla raccolta e le condizioni del post-raccolta.

Figura 13. Farina di grano tostato e pasta: indicatori di qualità nutrizionale*

*FTL: fenoli liberi; FTB: fenoli legati

Per quanto concerne i campioni di mais considerati nel presente studio, il contenuto in proteine del campione MM è risultato di 13,0g/100 g s.s e quello del campione MS di 11,1g/100 g s.s mentre il residuo in ceneri era pari a 1,25g/100 g s.s e 1,67g/100 g s.s rispettivamente per i campioni MM e MS. In Figura 14 sono illustrati i dati relativi ai pa- rametri colorimetrici dei due campioni. Come atteso, entrambe le tipologie presentavano un elevato indice di giallo (b*) anche se nel campione MM questo indice è risultato signi- ficativamente più elevato di quello osservato nel campione MS. Al contrario, gli altri indici L* e a* erano praticamente sovrapponibili. Una differenza in tal senso può essere indicativa del contenuto in carotenoidi e, in particolare, della zeaxantina, la xantofilla tipica di queste matrici vegetali.

27 Figura 14. Indici di colore dei campioni di mais*

In Figura 15 sono illustrati i risultati relativi al contenuto in carotenoidi. Nel campione MM il contenuto in zeaxantina superava i 40,0 µg/g s.s valore questo più elevato del con- tenuto medio riscontrato in campioni di mais, seguito dalla luteina (> 6,0 µg/g s.s), dalla β-criptoxantina (> 2,0 µg/g s.s) e dal β-carotene (>1,0 µg/g s.s). Per quanto concerne il contenuto in carotenoidi del campione MS anche in questo caso la zeaxantina è risultato il componente maggiormente presente (>20,0 µg/g s.s), seguito dalla luteina (>3,1 µg/g s.s), dalla β-criptoxantina e dal β-carotene.

Figura 15. Distribuzione dei carotenoidi dei campioni di mais

Antocianine: nel riso (Oryza sativa L.) i carotenoidi sono concentrati quasi esclusivamente nella crusca che viene rimossa con la sbramatura (Tan et al., 2005), pertanto questo cereale, consumato principalmente come riso bianco, non apporta carotenoidi. In tempi recenti, sono state introdotte sul mercato varietà di riso con pericarpo pigmentato interessanti dal punto di vista salutistico per i potenziali effetti benefici associati al loro consumo. In que- sto studio è stata scelta una varietà di riso commercializzata con il nome di Riso Buono

28 ottenuto dall’incrocio del riso Venere e un riso di tipo Indica. Le determinazioni analitiche hanno riguardato i carotenoidi, i fenoli e le antocianine. La determinazione dei componenti bioattivi è stata effettuata sui campioni prima e dopo cottura. Il riso è stato cotto simulando la preparazione del “risotto” dopo aver stabilito, in via preliminare, il rapporto ottimale tra peso del campione e acqua da aggiungere. Tutti i componenti considerati sono stati larga- mente recuperati dopo la cottura anche se in proporzioni diverse come risulta dalla Figura 16 nella quale sono illustrate le percentuali di recupero dei carotenoidi (luteina, zeaxantina e β-carotene), dei fenoli (liberi e legati) e delle antocianine quali la cianidina-3-glucoside (C3G) e la peonidina-3-glucoside (P3G). A seguito del processo di cottura i carotenoidi recuperati sono compresi tra il 50% e il 70%, le antocianine tra il 55% e il 70% e la com- ponente fenolica per valori superiori al 90%.

Figura 16. Componenti bioattivi nel riso dopo cottura

UN CASO STUDIO: IL PANE DI MONREALE Sono pervenute quattro tipologie di pane che si differenziavano per la varietà della semola utilizzata e/o per il tipo di lievitazione come descritto in precedenza. In Figura 17 è riportata la composizione in nutrienti fondamentali. Per quanto concerne la composizione chimica, dopo essiccamento in stufa per otto ore, i campioni presentavano un contenuto in grassi compreso tra 2,16 g/100 g e 2,78 g/100 g, in proteine tra 10,5 g/100 g e 10,7 g/100 g e in carboidrati totali tra 78,8 g/100 g e 79,2 g/100 g. Il campione PR presentava il contenuto in grassi significativamente più elevato e ciò può ragionevolmente essere dovuto alla diffe- rente tecnica di macinazione (a pietra) utilizzata per l’ottenimento dello sfarinato.

29 Figura 17. Distribuzione dei nutrienti nel pane

Nelle Figure 18 e 19 sono illustrati i parametri colorimetrici misurati sui diversi campioni di pane (mollica e crosta). Il colore è una caratteristica propria di molti alimenti che con- tribuisce ad orientare le scelte del consumatore. Nel caso del pane, il colore della mollica deriva non solo dalla materia prima utilizzata ma anche dal processo di produzione. In questo studio, la determinazione del colore è stata effettuata sia sulla mollica che sulla crosta entrambe prelevate dai pani appena pervenuti. Per quanto concerne la mollica (Figura 18), i campioni P1 e P2 mostravano un indice di luminosità (L*) significativamente superiore ai campioni PR e PT e ciò in conseguenza della minore integralità delle materie prime utilizzate. Relativamente all’indice di giallo (b*), più strettamente legato al contenuto in carotenoidi, in questo caso non sono state osservate differenze significative tra i campioni. Al contrario, l’indicatore a* è risultato significativo solo nei campioni PR e PT a conferma della differente composizione della materia prima.

Figura 18. Indici colorimetrici della mollica

30 Per quanto concerne gli indici colorimetrici della crosta (Figura 19), si è rilevato un innal- zamento degli indici a* e b* rispetto ai corrispettivi osservati nella mollica e ciò è dovuto in parte alle caratteristiche della materia prima utilizzata ed in parte allo sviluppo di reazioni di imbrunimento non enzimatico particolarmente spinte sulla superficie del pane che risulta più esposta al calore. Come atteso, tutti i campioni esibivano una riduzione dell’indice L* che, comunque, rimane più elevato nel caso dei campioni P1 e P2. In generale, resta con- fermata la tendenza dei pani PT e PR ad assumere un colore più intenso rispetto ai pani P1 e P2.

In Figura 20 è illustrata la distribuzione della luteina nei pani oggetto dello studio. La lutei- na, e in misura minore, la zeaxantina e il β-carotene, costituiscono i principali carotenoidi nei cereali. Nel corso dei processi di trasformazione, quale ad esempio il pane, la perdita in carotenoidi può essere dovuta, in via prevalente, a fenomeni di ossidazione, provocati dagli enzimi presenti nella materia prima e/o a processi di distruzione causati dalle temperature applicate. Come risulta dagli indici di colore, nel nostro caso si possono ipotizzare entrambi gli eventi. L’unico carotenoide significativo presente è risultata la luteina seguita da tracce di zeaxantina mentre non è stato possibile rilevare il β-carotene. La luteina è risultata com- presa tra 0,22 µg/g s.s e 0,67 µg/g s.s. È da sottolineare come, nel caso dei pani ottenuti a partire dalla stessa farina di grano duro, il processo più conservativo sia risultato quello in cui è stato utilizzato il lievito compresso rispetto al pane ottenuto con il lievito madre.

Figura 19. Indici colorimetrici della crosta

31 Figura 20. Distribuzione della luteina nei campioni di pane

CONCLUSIONI L’attività discussa nella presente relazione ha riguardato varietà di frumento tenero, duro, mais, orzo, riso e prodotti finiti come pane e pasta provenienti da aree montane e non dell’Abruzzo, del Lazio, della Puglia, del Veneto, della Sicilia.

I risultati ottenuti, che si riferiscono a produzioni locali spesso poco note, hanno riguar- dato non solo gli aspetti strettamente nutrizionali ma anche quelli tecnologici importanti, trattandosi di materie cerealicole, ai fini della destinazione d’uso. Pertanto, i dati ottenuti nell’ambito del Progetto possono essere impiegati per contribuire alla valorizzazione di pro- duzioni cerealicole, di prodotti e di territori.

Lo studio in oggetto ha consentito di:

• Instaurare contatti con produttori e trasformatori fornendo loro dati utili a valorizzare produzioni minori importanti per il territorio.

• Fornire supporto scientifico per indirizzare le scelte ed ottimizzare la produzione lad- dove necessario.

• Instaurare una sinergia tra scienza e realtà produttiva.

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33 CARATTERIZZAZIONE QUALITATIVA DI VECCHIE POPOLAZIONI SICILIANE DI GRANO DURO PER LA PRODUZIONE DI PRODOTTI TIPICI Palumbo M., Licciardello S., Sciacca F., Virzì N. CREA Centro di ricerca Cerealicoltura e Colture Industriali, Laboratorio di Cerealicoltura, Acireale (già CREA-ACM)

INTRODUZIONE La cerealicoltura siciliana è caratterizzata da una ricchissima biodiversità. Accanto alle mo- derne varietà di grano duro, caratterizzate da produttività elevata e buona attitudine alla trasformazione industriale (pasta), sono presenti numerose popolazioni locali di frumento. Tali popolazioni e “varietà locali” di grano duro, ampiamente diffuse in Sicilia fino alla metà del secolo scorso, hanno un legame strettissimo con il territorio di origine e con di- versi prodotti tradizionali, tanto che alcune di esse sono tuttora coltivate e utilizzate per la produzione di pani tradizionali e altri prodotti tipici locali (Boggini et al., 1990; Sciacca et al., 2014) .

Esse, inoltre, rappresentano una preziosa fonte di biodiversità e un germoplasma di grande interesse scientifico per le proprie peculiarità di carattere qualitativo, funzionale e nutrizio- nale. Recuperate e studiate da diversi enti di ricerca, grazie al prezioso contributo di alcuni agricoltori “custodi”, esse stanno riscuotendo in questi ultimi anni un notevole interesse presso i produttori di prodotti tipici e i consumatori. Particolare interesse suscitano le lan- drace di frumento duro Timilia (Tumminia) e Russello (Russeddu). La prima è una vecchia popolazione a ciclo alternativo, resistente alla siccità e alle più comuni avversità, utilizzata da tempo per la preparazione del tradizionale “pane nero di Castelvetrano” ed oggi da nu- merosi panificatori per soddisfare la richiesta crescente di prodotti tradizionali. La seconda è ancora oggi coltivata in molte aree cerealicole della Sicilia sud-orientale e utilizzata per la produzione del tradizionale “pane a pasta dura degli Iblei”.

Studi recenti (Sciacca et al., 2013; Palumbo et al., 2015) attribuiscono a diverse popola- zioni siciliane di grano duro un elevato contenuto in micronutrienti (in particolare ferro, zinco, manganese), in fibra dietetica ed in antiossidanti che comportano effetti positivi sulla salute, tra cui una diminuzione dell’indice glicemico ed un minore livello di colesterolo plasmatico. OBIETTIVO Obiettivo di questa ricerca è la valorizzazione di produzioni cerealicole e prodotti a base di cereali provenienti da aree a tutela ambientale. In particolare la ricerca mira a ottenere e consolidare evidenze scientifiche sulle proprietà tecnologiche e nutrizionali di “antiche varietà locali” di frumento duro, tradizionalmente utilizzate in Sicilia per la preparazione di prodotti tipici, oggi rilanciate nel mercato dei prodotti salutistici e funzionali.

Nel dettaglio, gli obiettivi specifici delle attività svolte nel progetto sono i seguenti:

• Realizzare un censimento aggiornato delle principali popolazioni siciliane di grano duro attualmente coltivate, con particolare riferimento alle aree di sensibilità ambien- tale quali aree interne e svantaggiate della Sicilia.

• Approfondire le conoscenze sulle caratteristiche bio-agronomiche e fenologiche delle vecchie popolazioni siciliane di grano duro utilizzate per la produzione di prodotti tipici quali, in particolare i pani tradizionali.

• Caratterizzare la materia prima utilizzata per la produzione di prodotti tradizionali,

34 mediante determinazioni analitiche relative ai principali parametri qualitativi e reolo- gici, al fine di valutare le proprietà tecnologiche e nutrizionali in funzione delle diverse destinazioni d’uso.

1. La diffusione delle landraces di grano duro attualmente coltivate in Sicilia, in particolare MATERIALI E nelle aree interne e svantaggiate dell’isola, è stata censita mediante visite tecniche presso aziende agricole, indagini effettuate tramite associazioni di produttori, consorzi e singoli METODI cerealicoltori.

2. Nel corso di un triennio (2013-2015), presso l’azienda cerealicola del CREA sita a Li- bertinia (Catania), è stato allestito un dispositivo sperimentale con schema a blocchi rando- mizzati e 3 replicazioni, per la caratterizzazione di 12 popolazioni siciliane a confronto con 3 cultivar testimoni, in un’area interna a vocazione tipicamente cerealicola. Le accessioni di grani siciliani sono state caratterizzate in campo per i seguenti caratteri: altezza della pianta, epoca di fioritura, suscettibilità alle principali malattie crittogamiche, suscettibilità all’allet- tamento, epoca di maturazione. Dopo la raccolta, in laboratorio, sono stati effettuati i rilievi relativi ai seguenti parametri: resa granellare, peso delle 1000 cariossidi, peso ettolitrico, umidità della granella, contenuto proteico delle cariossidi.

3. Presso i laboratori di tecnologia dei cereali del CREA di Acireale, sono state realizzate le determinazioni analitiche per la valutazione delle caratteristiche biochimiche, reologiche, tecnologiche e nutrizionali sulle produzioni agricole (granella) e sui prodotti di prima tra- sformazione (sfarinati). Sulle cariossidi, sono state condotte analisi elettroforetiche su gel di poliacrilammide (SDS PAGE), per la determinazione delle subunità gluteniniche ad alto e a basso peso molecolare.

Inoltre, mediante spettroscopia ad emissione ottica (ICP-OES - Optima 2000 DV, Perkin Elmer), sulle cariossidi dei genotipi in prova è stata rilevata la concentrazione di macro- (azoto, fosforo, potassio, calcio) e microelementi (ferro, zinco, manganese e rame).

I campioni di granella, derivati dalle 3 replicazioni della prova parcellare, sono stati sot- toposti a macinazione mediante molino sperimentale Bona, e sulle semole ottenute sono state realizzate le seguenti analisi per la determinazione delle caratteristiche tecnologiche e reologiche:

• Contenuto proteico (mediante Infratec™ 1241 Grain Analyzer – Foss),

• Parametri colorimetrici (colorimetro Minolta CR 300),

• Analisi quali-quantitativa del glutine (metodo UNI 10690),

• Parametri farinografici: tempo d’impasto, assorbimento idrico, stabilità dell’impasto e indice di caduta (farinografo di Brabender, metodo AACC n° 54-21),

• Parametri alveografici: W, P/L (alveografo di Chopin, metodo UNI n° 10453),

• Baking test per la valutazione della attitudine alla panificazione (metodo AACC n° 10- 10, modificato per il frumento duro).

35 RISULTATI 1. I risultati acquisiti nel corso del censimento hanno consentito di aggiornare le conoscen- ze sulla diffusione e l’utilizzazione di vecchie popolazioni locali di grano duro in Sicilia. Tali accessioni, ampiamente diffuse in Sicilia nella prima metà del secolo scorso, erano quasi scomparse grazie all’avvento di nuove cultivar più produttive, resistenti all’allettamento e maggiormente idonee ai processi industriali di pastificazione. L’indagine ha evidenziato un crescente interesse verso le “varietà da conservazione” di grano duro (e di alcune accessioni di grano tenero), comunemente detti “grani antichi”. Molta enfasi è stata data dai produt- tori e dai commercianti dei prodotti trasformati alle loro proprietà salutistiche, talvolta con imprecisioni e superficialità, soprattutto per quanto riguarda il loro contenuto in glutine e la presunta compatibilità con la celiachia.

Un impulso a tale diffusione è stato dato anche dal Decreto MiPAAF del 17 dicembre 2010, riguardante “Disposizioni applicative del decreto legislativo n. 49/2009 circa le modalità per l’ammissione al Registro Nazionale delle varietà da conservazione di specie agrarie” che, a sua volta, recepisce la Direttiva 2008/62/CE concernente “deroghe per l’ammissione di ecotipi e varietà agricole naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica”.

Attualmente sono state censite 45 popolazioni e vecchie varietà (locali e non) di Triticum spp., ma solo una decina sono diffuse in misura rilevabile; fra queste vanno menzionate le Timilie (Tummunia reste nere e Tumminia reste bianche), Perciasacchi, Russello, Bidì, Regina, Tripolino; oltre alle vecchie varietà Cappelli e Capeiti, e ai frumenti teneri Maiorca, Maiorcone e Romano.

2. I dispositivi sperimentali allestiti presso l’azienda sperimentale del CREA di Libertinia (Ct) hanno consentito di acquisire dati relativi alla caratterizzazione fenologica e bio-agronomica del germoplasma in studio. I risultati della caratterizzazione bio-morfologica hanno messo in evidenza come l’altezza delle landraces presenti una bassa variabilità e, come atteso, sia molto superiore a quella delle varietà moderne. Relativamente ai rilievi sulle caratteristiche fenolo- giche, le popolazioni siciliane hanno presentato un ciclo biologico più lungo e un’epoca di spigatura significativamente più tardiva di quella rilevata per le varietà tester (Tabella 1).

Riguardo alla resistenza alle fitopatie, le popolazioni locali hanno fatto rilevare, rispetto alle cultivar testimoni, una minore suscettibilità alla infezione di ruggine bruna che si è verifi- cata in modo particolare nell’annata 2013/2014. I valori relativi all’intensità dell’infezione (espressi in una scala da 0 a 9), registrati sulle landraces, infatti, hanno mostrato un range compreso fra 2,7 e 4,7 mentre le varietà moderne hanno fatto rilevare valori pari a 6,7 (Duilio) e 7,0 (Iride e Simeto), evidenziando una notevole suscettibilità ai nuovi ceppi di Puccinia. Le popolazioni più resistenti, al contrario, sono state Castiglione, Farro Lungo, Biancuccia e Ciciredda.

Relativamente alle caratteristiche merceologiche della granella (peso ettolitrico e peso di 1000 cariossidi) le medie fra i due gruppi di genotipi in studio (“antichi” e moderni) non hanno presentato grandi differenze, mentre maggiore variabilità è stata riscontrata all’inter- no del gruppo delle vecchie popolazioni locali. La resa in granella è stata significativamente inferiore per le popolazioni siciliane rispetto alle varietà testimoni (Tabella 1), sia nelle annate favorevoli sia in condizioni svantaggiate. Fra le landraces, le produzioni unitarie più elevate sono state accertate per Bivona, Biancuccia, Ruscìa (Russello) e Timilìa.

36 Tabella 1. Risultati produttivi, merceologici e qualitativi (media di un triennio)

Genotipi Epoca spigatura Altezza Resa(t/ha) P.ettol. P. 1000 Gluten in- (gg. da 1/4) pianta (cm) (kg/hL) semi (g) dex (%)

Popolazioni siciliane (media) 23 142 2,56 80,81 41,17 23,38 Varietà moderne (media) 11 82 3,86 78,85 42,02 93,87

I risultati relativi ai parametri biometrici della pianta, della spiga e delle cariossidi hanno consentito la caratterizzazione morfologica delle accessioni in studio. Tutti i dati rilevati sono stati utilizzati per la compilazione di schede informatizzate, riportanti le caratteristiche morfologiche di ciascuna accessione studiata.

3. La caratterizzazione elettroforetica delle proteine di riserva ha mostrato che, per quanto riguarda le sub-unità gluteniniche ad alto peso molecolare (APM) codificate dal locus Glu-A1, tutti i genotipi hanno presentato la composizione “Nulli”, mentre, relativamente alle sub-uni- tà APM codificate dal locus Glu-B1, è stata riscontrata ampia variabilità tra tutte le accessioni.

Per quanto riguarda il contenuto in proteine ed in glutine, contrariamente a quanto spesso si dice in modo superficiale, i risultati hanno evidenziato valori sensibilmente più elevati per i “grani antichi” rispetto alle varietà moderne e un’ampia variabilità anche fra le diverse popolazioni siciliane.

Il dato medio del contenuto proteico registrato sulle landraces è risultato pari a 14.5%, mentre 12.1% è il valore medio rilevato per le varietà moderne (Figura 1a). Ciò conferma che i cosiddetti “grani antichi” presentano un contenuto in glutine notevolmente maggiore rispetto alle cultivar più diffuse. Tra le popolazioni siciliane, Farro Lungo e Gioia hanno mostrato il tenore proteico più elevato (15.6% e 15.2%, rispettivamente), mentre tra le cultivar moderne è stata riscontrata una scarsa variabilità.

Figura 1a. Contenuto proteico dei genotipi in studio Figura 1b. Indice di glutine dei genotipi in studio

37 Particolarmente interessanti sono risultati i dati ottenuti dalle determinazioni dell’indice di qualità del glutine (Gluten Index), che evidenziano come le landraces siciliane presentano valori di gran lunga inferiori, mostrando di possedere un glutine qualitativamente differente da quello delle cultivar commerciali (Figura 1b).

I risultati delle analisi alveografiche confermano la “debolezza” del glutine delle landraces, evidenziando valori di W molto bassi, ad eccezione di Biancuccia (74,5 Jx10-4), e mostrano un’ampia variabilità riguardo i valori del rapporto tra tenacità ed estensibilità del glutine (P/L). Le varietà moderne hanno presentato valori più elevati sia di W che di P/L, a confer- ma di una buona attitudine ai processi pastificazione industriale (Tabelle 2a e 2b).

Tabella 2a. Indici qualitativi delle landraces

Landraces W (Jx10-4) P/L Colore (b*) Volume (cm3)

Biancuccia 74.5 1.6 20.3 401.3 Bivona 40.0 0.8 18.8 428.8 Castiglione 53.5 0.9 20.3 418.8 Ciciredda 53.5 0.4 11.7 555.0 Cotrone 25.0 1.8 19.8 295.0 Duro Lucano 29.5 2.0 20.9 187.5 Farro Lungo 30.0 2.1 21.0 287.5 Gioia 26.5 1.5 19.3 317.5 Regina 32.0 1.3 17.1 303.8 Ruscìa 28.5 1.1 20.3 298.8 Sammartinara 48.5 0.4 17.1 395.0 Timilia 44.5 1.0 16.3 301.3 Media 40.5 1.2 18.6 349.2 Dev. St. 14.9 0.6 2.7 94.9

Tabella 2b. Indici qualitativi delle varietà

Varietà W(Jx10-4) P/L Colore (b*) Volume (cm3)

Duilio 170.5 2.1 20.7 356.3 Iride 161.0 1.6 20.9 336.3 Simeto 199.5 2.2 21.8 442.1 Media 177.0 2.0 21.1 378.2 Dev. St. 20.1 0.3 0.6 56.2

Le analisi relative agli indici colorimetrici hanno messo in evidenza una discreta variabilità tra i due gruppi di genotipi in studio, con valori più elevati dell’indice di giallo della semola rilevati nelle cultivar moderne.

38 Il test di panificazione ha evidenziato caratteristiche differenti degli impasti e dei pani ot- tenuti dai diversi genotipi. I valori più elevati del volume del pane sono stati riscontrati per Ciciredda, fra i grani “antichi”, e Simeto, fra le cultivar moderne (Tabelle 2a e 2b).

Le analisi relative alla concentrazione di composti bioattivi, quali gli elementi minerali, hanno confermato un’ampia variabilità genetica per i nutrienti studiati. La concentrazione in microelementi, in particolare ferro, zinco e manganese, è risultata essere statisticamente superiore nelle popolazioni siciliane, mostrando differenze significative rispetto alle varietà moderne (Tabella 3). Anche per i macroelementi, in particolare azoto e calcio, la concentra- zione è risultata essere superiore nei “grani antichi” rispetto alle cultivar.

Tabella 3. Risultati microelementi (mg/kg) (* = P≥0.05; *** = P≥0.001; n.s. = non significativo)

Genotipi Fe Zn Mn Cu Li Sr

Popolazioni siciliane 55,5 44,6 44,7 7,1 2,2 8,0

Varietà moderne 37,6 38,2 32,1 7,0 3,9 5,4

Significatività *** *** *** n.s. * ***

La valutazione delle caratteristiche qualitative e tecnologiche determinate sulle landraces e DISCUSSIONE sulle varietà moderne ha evidenziato una diversa attitudine ai processi di trasformazione e diverse caratteristiche nutrizionali. A differenza da quanto comunemente si crede, le vec- chie popolazioni locali hanno mostrato un maggior contenuto in glutine. D’altra parte, il glutine “debole” delle landraces, se da un lato le rende meno adatte ad alcuni processi di trasformazione industriale, dall’altro rivela differenti proprietà nutrizionali, particolarmen- te interessanti soprattutto per la crescente diffusione di fenomeni di sensibilità al glutine. Anche la maggiore concentrazione di micronutrienti risulta di notevole interesse, al fine di contrastare la cosiddetta “fame nascosta” causata da sempre più diffuse carenze di microe- lementi.

I risultati ottenuti consentono di confermare una notevole biodiversità esistente nel ger- CONCLUSIONI moplasma cerealicolo siciliano (Boggini et al., 1990; Palumbo et al., 2005) e di definire le peculiarità agronomiche, biologiche e qualitative delle antiche popolazioni siciliane di grano duro. La maggior parte di esse sono caratterizzate da adattabilità alle condizioni am- bientali mediterranee, elevata produzione di biomassa, altezza della pianta elevata, suscetti- bilità all’allettamento, rese in granella relativamente modeste, interessanti qualità dal punto di vista nutrizionale. Nello specifico, la ricerca ha consentito di approfondire le conoscenze scientifiche sulle proprietà tecnologiche e nutrizionali delle landraces siciliane di grano duro, tradizionalmente utilizzate in Sicilia per la preparazione di prodotti tipici (Palumbo et al., 2003; Sciacca et al., 2017), oggi rilanciate nel mercato dei prodotti salutistici e funzionali (Gallo et al., 2004; Sciacca et al., 2015; Palumbo et al., 2015; Sciacca et al., 2013). Studi di proteomica attualmente in corso consentiranno di indagare sulle proprietà del glutine e sulla dichiarata maggiore digeribilità dei prodotti alimentari ottenuti con tale germoplasma.

39 BIBLIOGRAFIA Boggini G., Palumbo M., Calcagno F., 1990. Characterization and utilization of Sicilian landraces of durum wheat in breeding programmes. Wheat Genetic Resources: Meeting Diverse Need. (Ed J.P. Srivastava and A.B. Damania) Publ. by J. Wiley and Sons: 223- 234.

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40 AGRO-BIODIVERSITÀ ITALIANA: BENEFICI NUTRIZIONALI E SALUTISTICI DI VARIETÀ LOCALI ORTOFRUTTICOLE

Azzini E.1, Casale G.1, Durazzo A.1, Foddai M.S.1, Intorre F.1, Maiani GL.1, Palomba L.1, Venneria E.1, Silveri D.D.2, Maiani G.1, Polito A.1 1 CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione 2 Assessorato Agricoltura Regione Abruzzo, Pescara

L’attività progettuale ha previsto lo studio di alcuni prodotti alimentari tradizionali italiani INTRODUZIONE privi di qualsiasi marchio di tutela, al fine di studiarne le peculiarità nutrizionali e saluti- stiche, strettamente legate alle condizioni agronomiche, pedoclimatiche e al background genetico, in aree modello parco del nord, centro e Italia meridionale. Il consumo di prodotti alimentari locali nel rispetto del ritmo delle stagioni oltre ad essere una corretta scelta ali- mentare, rappresenta un importante fattore di supporto all’economia locale e regionale. La sicurezza, la giusta composizione nutrizionale e così la “qualità” sono elementi importanti per la salute dell’essere umano, la crescita economica e sociale e il progresso. I consumatori sono diventati più attenti alla propria dieta, al suo rapporto con la salute e, più in generale, alla composizione degli alimenti che scelgono di consumare.

L’obiettivo principale è stato l’identificazione e la quantificazione dei composti naturali OBIETTIVO peculiari di ciascun prodotto, i cosiddetti fitochimici ovvero caroteni, acido ascorbico e polifenoli, provenienti da aree sostenibili del nord, centro e sud Italia. Su tutti i campioni, è stata valutata la Capacità Antiossidante Totale, mentre attraverso indagini di tipo moleco- lare è stata valutata l’autenticità delle pere S. Giovanni abruzzesi.

Le diverse specie e varietà studiate sono riporate nella Tabella 1 e includono dal Piemonte la MATERIALI E METODI pesca del cuneese nelle cultivar nettarine a polpa gialla (Amiga e Big Top) e cultivar di pesche a pasta gialla (RedHaven e VistaRich); dall’Abruzzo: la Pesca giallona, una varierà di pesca a polpa gialla e la pera S. Giovanni; campioni di Zucca Santa del Bellunese e campioni di zucchine verdi dalla Puglia.

PRODOTTI CHIMICI Tutti i solventi sono stati acquistati da Carlo Erba (Milano, Italia), BDH (Poole, Inghil- terra) e Merck (Darmstadt, Germania). 2,4,6-tri (2-piridil) -s-triazina (TPTZ) da Fluka (Svizzera). La soluzione tampone di sodio e fosfato (PBS) e il 6-idrossi-2,5,7,8-tetramethyl- chroman-2-carbossilico (Trolox sono stati entrambi forniti da Sigma-Aldrich Srl. Anche tutti gli standards sono stati forniti da Sigma-Aldrich Srl (Milano, Italia).

PROCEDURE ANALITICHE FRAP, Misura del potere riducente totale: I campioni sono stati estratti partendo dalla me- todica di Pulido et al. (2000). Il FRAP (Ferric Reducing Antioxidant Power) della frazione estraibile e non, è stato determinato in accordo con la metodica di Benzie e Strain (1996), usando uno spettrofotometro (Tecan Sunrise Plate Reader Spectrophotometer, Manneford,

41 Svizzera). Tale determinazione sfrutta la capacità degli antiossidanti di ridurre un comples- so incolore tripiridiltriazinico ferrico, presente in eccesso stechiometrico, nella sua forma ferrosa di intenso colore blu.

TEAC: Misura la capacità di spegnimento dei radicali cationi da parte degli antiossidanti se- condo attraverso un saggio di decolorazione applicabile ad entrambi gli antiossidanti lipofili e idrofili. Il radicale preformato di 2,2’-azinobis- (3-etilbenzotiazoline-6-acido solfonico) (ABTS • +) è generato dall’ossidazione di ABTS con persolfato di potassio e viene ridotta in presenza di tali antiossidanti donatori di idrogeno secondo quanto riportato da Re et al (1999).

Polifenoli Totali: I polifenoli totali sono stati estratti con modifiche sulla base di metodi descritti da Larrauri et al. (1997), Perez-Jimenez & Saura-Calixto (2005). Dopo una prima estrazione con soluzione acida metanolo / acqua (50:50 v / v) e una seconda estrazione del residuo con una soluzione di acetone/acqua (70:30, v/v) entrambi gli estratti metanolici e acetonici sono stati combinati e centrifugati. Il surnatante risultante è stato direttamente utilizzato per la determinazione contenuto totale di polifenoli tramite reazione colorimetri- ca con il reattivo di Folin-Ciocalteau (Singleton et al. 1999).

Carotenoidi: Dopo stabilizzazione con THF e aggiunta di metanolo, la miscela è incubata per 30 minuti a 40° C in agitazione come descritto nella metodologia secondo Sharpless et al (1999). Gli estratti sono stati analizzati in HPLC con diode-array settato a 450nm ed eluiti isocraticamente (fase mobile metanolo:acetonitrile:THF 50:45:5 v:v:v:) ad un flusso di 1ml/min. come descrittto da Maiani et al. (1995). I picchi sono stati determinati spet- trofotometricamente a 450nm.

Vitamina C: L’acido ascorbico totale (AA+DHA) è stato determinato mediante un sistema HPLC-ESA con detector elettrochimico (Azzini et al 2014) ed estratto secondo il metodo proposto da Margolis & Schapira (1997).

Polifenoli singoli: Il metodo utilizzato per l’estrazione dei singoli polifenoli è quello descritto da Hertog MGL et al. 1992. L’analisi quantitativa è stata eseguita attraverso un sistema cromatografico ESA-HPLC dotato di detector coulometrico (ESA, Chemsford, MA, USA) come riportato da Azzini et al (2014).

Tabella 1. Campioni selezionati suddivisi per località, varietà e provenienza del prodotto

LOCALITA’ PRODOTTO VARIETA’ PROVENIENZA Nettarine (Amiga, Big Top) Nord Italia Pesca Cooperativa produttori del cuneese Pasta gialla (RedHaven, VistaRich) Centro Italia Pesca Pesca giallona Produttori locali abruzzesi Pera San Giovanni Nord Italia Zucca Cucurbita maxima Consorzio zucca santa bellunese Sud Italia Zucchina Cucurbita pepo Produttori locali pugliesi

RISULTATI PESCA L’areale di produzione della pesca del cuneese interessa due zone che si distinguono per me- todologia produttiva e per varietà coltivate. Nella fascia di terreni di pianura che ha come centro il comune di Saluzzo e si spinge fino a raggiungere Cuneo, la coltivazione avviene in

42 frutteti molto specializzati dotati di sistemi di protezione contro la grandine, le brinate e di sistemi d’irrigazione lo- calizzata ed è dedicata a varietà di recente costituzione. In quest’area, il panorama varietale è dominato dalle varietà di nettarine a polpa gialla. Nella zona collinare del Roero, per contro, la coltivazione avviene ancora secondo la tra- dizione, su terreni declivi e ben esposti ove non è possibile ricorrere all’irrigazione. Dal punto di vista varietale preval- gono le cultivar con buccia vellutata e a polpa gialla. Grazie alla coltivazione di differenti gruppi varietali, il calendario di produzione, si estende dal mese di luglio fino alla prima metà del mese di settembre.

La pesca giallona, è una varietà di pesca a pasta gialla, compatta, appartenente al gruppo delle percoche. Coltivata in Valle Peli- gna, nell’Abruzzo interno (Torre de’ Nolfi, Valle Corvo e Cam- po di Fano), trova ampio impiego per la preparazione di pesche sciroppate. Gli agricoltori della zona la moltiplicano principal- mente per seme e questa pratica comporta un’ampia variabilità nell’ambito di questa varietà. Infatti, sono diffusi in coltura alberi caratterizzati da un ampio intervallo di maturazione, le prime, infatti, maturano ai primi di settembre mentre le ultime arrivano a maturare verso fine ottobre.

La frazione fenolica vegetale rappresenta una miscela eterogenea di molecole appartenenti a diverse famiglie, con diverse strutture chimiche, il cui contenuto costituisce una carat- teristica peculiare dei tessuti vegetali. I risultati ottenuti relativi al contenuto di composti fenolici hanno evidenziato una distribuzione tra polpa e buccia preponderante nella buccia, distribuito nelle diverse varietà di pesche come riportato nella Figura 1.

Figura. 1. Distribuzione dei polifenoli totali tra buccia e polpa nelle diverse varietà di pesche

In particolare questi variavano in un range pari a 19,3-207,7 mg/100g di polpa rispettiva- mente per nettarine e abruzzesi; le quantità osservate nella buccia variavano da 40,1 a 230,9 mg/ 100g di buccia per nettarine e abruzzesi. Nelle tre varietà di pesche sono state identi- ficate tre diverse classi di polifenoli tra cui flavanoli, flavonoli e gli acidi fenolici. I valori di queste sostanze espressi come mg presenti in 100g di polpa e/o buccia sono riportati nella Tabella 2.

43 Tabella 2. Composizione percentuale (mg/100g) delle diverse classi di flavonoidi riscontrate nelle di- verse varietà di pesche

Nettarine Abruzzo Piemontesi

%B %P %B %P %B %P FlavAnoli 35 41 76 79 55 37 FlavOnoli 31 24 8 9 21 nd Clorogenico 34 35 15 11 23 63

La procianidina B2, la quercetina-3-galattoside e l’acido clorogenico, sono le molecole pre- dominanti di ciascuna classe di polifenoli. Rispetto ad altri tipi di frutta di colore giallo arancio, le pesche contengono quantità di caroteni apprezzabili. Fra questi il b-carotene e la criptoxantina sono i più rappresentativi (Figura 2).

Figura 2. Livelli (mg/100g) di criptoxantina e b-carotene riscontrati nella buccia e nella polpa in diverse varietà di pesche

*P<005 tra buccia e polpa P<0.05 a vs b e c vs d

Mentre il contenuto della criptoxantina è equamente distribuito tra polpa e buccia, fatta eccezione per le pesche piemontesi, la quantità di b-carotene contenuto nella buccia è più del doppio rispetto a quello riscontrato nella buccia. Anche la vitamina C (Figura 3) presente nella buccia è circa 1.5 volte più concentrata di quella presente nella polpa per le

44 pesche abruzzesi e circa il doppio in quelle del cuneese sia nettarine (2.5 volte) che pesche a pasta gialla (2 volte). I livelli riscontrati nella polpa e nella buccia delle pesche abruzzesi sono significativamente (P<0.05) più elevate dei corrispettivi piemontesi e nettarine. Non sono presenti differenze tra le bucce e le polpe delle piemontesi e nettarine.

Figura 3. Livelli (mg/100g) di acido ascorbico distribuiti per polpa e buccia delle diverse varietà di pe- sche

In letteratura si riporta un’associazione negativa tra il potere antiossidante degli alimenti e l’incidenza di malattie degenerative (Pisoschi and Negulescu, 2011), la valutazione della capacità antiossidante totale (TAC) rappresenta uno strumento adeguato per valutare l’atti- vità sinergica delle molecole bioattive presenti negli alimenti vegetali. La Tabella 3, mostra l’esistenza di un rapporto diretto tra l’attività antiossidante totale delle sostanze fitochimi- che estratte dalla buccia e dalla polpa. Per Il FRAP si osservano differenze statisticamente significative (P<0.05) tra polpa e buccia nelle pesche piemontesi mentre per il TEAC non si osservano differenze tra polpa e buccia nelle tre varietà.

Tabella 3. Valutazione della capacità antiossidane totale tramite FRAP e TEAC nella buccia e della polpa delle diverse varietà di pesche

FRAP TEAC

mmol Fe++/kg mmol Trolox/kg Abruzzo buccia 9.96±2.97a 5.45±1.20a polpa 7.95±4.34c 4.40±2.20a

Nettarine buccia 4.37±1.02b 1.63±0.77b polpa 0.90±0.30d 0.32±0.77b

Piemonte buccia 7.13±4.27ab 2.78±1.54b polpa 1.92±1.01d 1.06±0.31b

Anova: P<0.05 a vs b e c vs d in colonna

45 Da un punto di vista prettamente nutrizionale, circa il consumo ottimale di questo frutto con o senza buccia, i risultati hanno consentito di fare le seguenti considerazioni. Poiché la buccia rappresenta circa l’8-9% del frutto e al contrario delle nettarine, le pesche vellutate a pasta gialla, abruzzesi e piemontesi, difficilmente sono consumate con la buccia a causa della loro tomentosità, mangiare una pesca con o senza buccia comporta:

• L’apporto dei polifenoli totali è pari a 94,1 mg/100 e 93,0 mg/100g per consumo con o senza buccia rispettivamente per le abruzzesi; 40,1 e 21,4 mg/100g per le nettarine e 53,5 vs 46,4 mg/100g per le piemontesi

• il contributo all’apporto di vitamina C è pari a 10,95 mg/100g di pesca abruzzese consumata con la buccia e 10.5 mg per 100g di una sbucciata; 3,6 mg/100g e 4,13 mg/100g per le nettarine e 5,40 mg/100 e 5,99 mg/100 per le piemontesi

• per il b-carotene se ne introduce una quantità pari a 10,5, 64,7 e 104,9 mg/100g di pesca senza buccia rispettivamente per abruzzesi, nettarine e piemontesi. 82,9, 166,6 e 366,4 mg/100g con buccia.

PERA La Pera San Giovanni (Pyrus communis L.) non è mai stata soggetta a coltivazione intensiva, per- ché la maturazione precoce, nel periodo cioè di fine giugno, primi di luglio, in concomitanza con la festa del Santo (24 giugno) la rende dif- ficile da conservare e dunque pronta per il con- sumo immediato alla raccolta. Pertanto questa varietà di pera non si presta a essere venduta al di fuori del mercato locale e va consumata nell’arco di pochi giorni. Questo consumo così limitato ha fatto in modo che gli alberi di questa varietà diventassero piuttosto rari, sopravvissuti come esemplari isolati nei seminativi o più facilmente negli orti o nei piccoli vigneti familiari. La sua adattabilità a diversi tipi di terreni, anche colli- nari, ne consente un areale di produzione molto ampio che include diverse parti del terri- torio abruzzese. Le località in cui sono stati ritrovati diversi esemplari sono Guastameroli (CH), Casoli (CH), Palmoli (CH), Civitella del Tronto (TE). Le diverse accessioni di Pero San Giovanni entrate nella sperimentazione sono state innestate sia sul portainnesto della stessa specie (il pero riprodotto da seme, detto “franco”) sia sul cotogno, ugualmente otte- nuto da seme. Inoltre attraverso indagini di tipo molecolare è stata valutata la loro autenti- cità, attraverso profilo genomico di mediante l’impiego di markers molecolari, SSR (simple sequence repeats), al fine di evidenziarne i polimorfismi e pertanto tracciare uno specifico fingerprint per ciascuno dei prodotti analizzati.

Un primo aspetto di carattere prettamente agronomico da evidenziare è che complessivamen- te il tentativo di utilizzare due diversi tipi d’innesto è riuscito in parte perché questa soluzione, applicata su un notevole numero di accessioni, ha mostrato tutta una gamma di risposte, a volte tra loro contrastanti, riassumibili principalmente in: scarsa affinità tra i due bionti, eccessiva riduzione della taglia e precoce invecchiamento degli esemplari ottenuti, nei casi di attecchimento riuscito. Inoltre l’esame del DNA, mediante analisi capillare di PCR-SSR delle accessioni denominate Pere San Giovanni studiate, ha innanzitutto evidenziato che si tratta di tre specie diverse accomunate da una coincidente epoca di maturazione. I dati ottenuti

46 indicano inequivocabilmente che i quattro campioni di pere San Giovanni possono essere raggruppati in 3 differenti gruppi genetici: Palmoli=Civitella; Casoli; Guastameroli.

Questa caratterizzazione ha consentito di inquadrare meglio i rapporti tra le diverse ac- cessioni che, pur avendo lo stesso nome, raccolgono tre diverse varietà del Genere Pyrus a conferma del fatto che il nome non è sufficiente a identificare le varietà locali.

Oltre alla tipicità locale, la pera S. Giovanni grazie alla composizione in molecole bioatti- ve, presenta diverse potenzialità salutistiche che vanno dagli effetti positivi sul colestero- lo, sul sistema immunitario e sulle malattie degenerative. I composti fitochimici derivanti dall’attività metabolica primaria delle piante, svolgono diverse funzioni, la loro attività più importante è quella di proteggere le piante da vari fattori ambientali di stress (la luce del sole, il caldo o il freddo eccessivi ed altri agenti ambientali), ma anche proteggere la pianta da infezioni fungine, batteriche o virali. Il ruolo dei polifenoli, nella difesa delle piante è stato confermato dalla presenza in quantità significativamente più alte nella buccia (79%) rispetto alla polpa (21%). Anche nelle pere S. Giovanni così come nelle pesche sono state identificate tre diverse classi di polifenoli tra cui flavAnoli, flavOnoli e acidi fenolici (Figura 4). La procianidina B2, la quercetina-3-galattoside e l’acido clorogenico, sono le molecole predominanti di ciascuna classe di polifenoli e ne rappresentano mediamente il 91%, 51% e 89% rispettivamente.

Dal punto divista agronomico le accessioni di pero San Giovanni hanno mostrato un eleva- to grado d’interesse in quanto:

• assicurano una produzione abbondante e costante negli anni (dati desunti dall’espe- rienza di gestione del campo-catalogo e da quanto riportato dagli agricoltori che le hanno conservate);

• tale capacità produttiva sono in grado di assicurarla anche in condizioni basso o nullo input di carattere chimico riguardo ai trattamenti e alle fertilizzazioni;

• a livello aziendale agricolo consentirebbero l’attivazione di un mercato di consumo locale o di breve raggio (il paese o la città immediatamente a ridosso dell’azienda pro- duttrice);

Le attività agricole sostenibili contribuiscono in modo significativo alla conservazione del- la biodiversità che assume un elevato valore paesaggistico e socio-culturale. La protezione della diversità degli ambienti che caratterizza il territorio nazionale, insieme alla presenza di una cultura che ancora dà molta importanza agli usi e costumi tradizionali, consentirebbe la conservazione di un elevato livello di biodiversità agricola su tutto il territorio nazionale non riscontrabile in altri luoghi.

ZUCCHE E ZUCCHINE I risultati ottenuti sulle due diverse specie del genere Cucurbita rispettivamente C. maxima e C. pepo per la zucca Santa del bellunese e le zucchine pugliesi hanno mostrato quanto segue. Nella zucca gialla, dati USDA riportano valori di b-carotene pari a 220-770 mg/100g e vitamina C in un range di 9-12.3 mg/100g.

Il contenuto riscontrato nei cinque campioni studiati è risultato in un range pari a 451- 2463 mg/100g e 2.04-4.89 mg/100g rispettivamente per b-carotene e vitamina C. Nelle zucchine verdi pugliesi il contenuto medio riscontrato è stato pari a 97.41±17.32 mg/100g

47 per b-carotene e 14.93±0.47 mg/100g per vitamina C. In questo caso i dati USDA ripor- tano valori compresi in un range di 90-410 mg/100g e 11-18 mg/100g rispettivamente per b-carotene e vitamina C.

Figura 4. Distribuzione delle diverse classi di flavonoidi (mg/100g) nella buccia e nella polpa delle pere S.Giovanni.

48 La globalizzazione, con la crescente industrializzazione, che non pone alcuna attenzione alla CONCLUSIONI biodiversità e alla sostenibilità degli ecosistemi alimentari sia nei Paesi industrializzati sia in quelli in via di sviluppo, suggerisce di promuovere e diffondere il concetto di diete sosteni- bili che raccomandano stili alimentari più sani per l’ambiente e per i consumatori, qualità del cibo, sicurezza qualitativa e quantitativa degli alimenti. In Italia, secondo il Rapporto Nazionale Passi* (2012-2015) la distribuzione geografica del consumo di frutta e verdura dimostra che l’adesione a cinque porzioni al giorno diminuisce in modo significativo nelle regioni del Sud e Centro rispetto al Nord Italia. Circa il 50% degli adulti consumano non più di due porzioni di frutta e verdura al giorno, meno del 40% consumano tre o quattro porzioni, mentre solo il 10% consuma la quantità consigliata dalle linee guida per la nu- trizione adeguata (cinque al giorno). Mangiare almeno cinque porzioni di frutta e verdura al giorno, come raccomandato, è un’abitudine che cresce con l’età, ed è più comune tra le donne e tra le persone senza difficoltà economiche. Riassumendo:

• la distribuzione e la composizione in fitochimici delle specie selezionate nelle diverse parti della frutta caratterizzino, direttamente ed indirettamente, la qualità di un pro- dotto frutticolo e dunque sul suo potenziale salutistico

• l’alto contenuto di fitochimici dovrebbe incentivarne la promozione al consumo per il potenziale valore nutraceutico anche nell’ottica di inserire la varietà in futuri program- mi di coltivazione

• I dati ottenuti dalle varietà studiate possono anche essere di interesse per l’utilizzo della buccia come sottoprodotti di arricchimento di alimenti e mangimi animali (sostenibi- lità)

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50 PROPRIETÀ NUTRIZIONALI E TECNOLOGICHE DI VARIETÀ LOCALI DI LENTICCHIE (LENS CULINARIS L.), CICERCHIE (LATHYRUS SATIVUS L.) E CECI NERI (CICER ARIETINUM L.) DELL’ITALIA CENTRO-MERIDIONALE Carbonaro M.1, Nardini M. 1,Casale G.1, Maselli P.2, Nucara A.2 1CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione 2Dipartimento di Fisica, Sapienza Università di Roma

Le leguminose da granella, alimento proteico di elevata valenza ai fini della nutrizione INTRODUZIONE umana ed animale, rappresentano al tempo stesso un sistema colturale ad alta sostenibilità ambientale, in virtù della loro capacità di fissare l’azoto atmosferico mediante i batteri sim- bionti del genere Rhizobium presenti nell’apparato radicale (Iriti e Varoni 2017) (Tabella 1).

Oltre a rappresentare fonti primarie di proteine, presenti in quantità pari a due/tre volte rispetto a quella dei cereali, le leguminose contengono elevate quantità di amido e fibra, diversi minerali (potassio, calcio, magnesio, zinco, ferro, rame, selenio) e vitamine (gruppo B, folati). Sono, inoltre, stati identificati numerosi composti bioattivi, comprendenti fita- ti, ossalati, polifenoli, tannini, alcaloidi, fitosteroli, oligosaccaridi, nonchè diverse proteine (inibitori delle proteasi e dell’a-amilasi, lectine) e peptidi (Carnovale et al., 2001; Carbo- naro et al., 2011). Alcuni di questi composti, noti in passato come “fattori antinutrizionali” e contenuti nel seme con funzione di difesa verso stress meccanici e biologici, possono in- terferire con l’assorbimento dei nutrienti, soprattutto delle proteine e dei minerali, o essere responsabili di specifica tossicità (fattori del favismo e del latirismo) in soggetti suscettibili (Liener 1983; Kusama-Eguchi et al., 2011).

La maggior parte degli antinutrienti viene eliminata o ridotta a livelli al di sotto della tossi- cità in seguito ai trattamenti precedenti il consumo (ammollo, cottura, germinazione, fer- mentazione), usati anche in associazione (Carbonaro et al., 2000; Haileslassie et al., 2016). Per la maggior parte dei composti bioattivi riscontrati nel seme delle leguminose sono stati descritti più recentemente effetti positivi sulla salute umana (Rebello et al., 2014). Il con- sumo delle leguminose è stato, pertanto, associato alla prevenzione di diverse malattie cro- nico-degenerative, quali malattie cardiovascolari, diabete, obesità e alcuni tumori (stomaco, colon-retto) (Lima et al., 2016; Singh et al., 2017).

Tabella 1. Azoto fissato da alcune leguminose in associazione simbiotica con i rizobi

Azoto fissato % dell’azoto della pianta Specie (kg/ha/anno) derivante dalla fissazione Phaseolus vulgaris 65 40 Pisum sativum 72 35 Vicia faba 151 80 Vicia sativa 130 70 Lens culinaris 100 63 Cicer arietinum 180 80 Lupinus angustifolius 170 65 Glycine max 120 53 Vigna angularis 80 70

Modificato da Vance (1998)

51 In particolare, studi epidemiologici hanno suggerito un’associazione tra il consumo di ali- menti ricchi in polifenoli e la prevenzione di malattie cronico-degenerative legate allo stress ossidativo (Block et al., 1992; Scalbert e Williamson 2000). Tra i polifenoli, gli acidi feno- lici hanno ricevuto particolare attenzione per la loro concentrazione relativamente alta in alimenti e bevande di origine vegetale, per la loro forte capacità antiossidante, per il loro assorbimento intestinale e per la mancanza di effetti avversi sulla salute. In particolare, gli acidi caffeico, ferulico e, in misura minore, p-cumarico e vanillico, hanno una notevole atti- vità antiossidante e sono stati identificati nel plasma e nelle urine insieme ai loro metaboliti glucuronati e solfati (Nardini et al., 2006; Nardini et al., 2009; Piazzon et al., 2010).

Ai fini della valorizzazione della produzione agro-alimentare nazionale, particolare atten- zione deve essere rivolta ai prodotti tradizionali, anche in considerazione della crescente domanda da parte del consumatore di prodotti garantiti, quali quelli provvisti di marchio di origine (DOP, IGP, STG), o biologici. La tutela del patrimonio nazionale rientra negli obiettivi finalizzati alla conservazione della biodiversità ed in tale contesto le leguminose sono in grado di fornire produzioni locali presenti su tutto il territorio, con riconosciute caratteristiche di tipicità e salubrità. Tra le numerose leguminose tipiche, quelle inserite nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali sono a tutt’oggi circa 160, mentre sol- tanto sette possono vantare il marchio di certificazione di qualità attribuito dall’UE: tra queste rientrano sei fagioli (a marchio DOP/IGP) e una sola lenticchia, la lenticchia IGP di Castelluccio di Norcia (Reg. CE n. 1065/97) (Tabella 2).

In Italia, le leguminose da granella hanno subito, negli ultimi decenni, una drastica riduzio- ne delle superfici coltivate a vantaggio di colture più redditizie, con conseguente calo della produzione (-77% rispetto a quella degli anni ’70) (Tabella 3).

Tabella 2. Leguminose a marchio DOP (denominazione di origine protetta) e IGP (indicazione geogra- fica protetta)

Anno di regi- Marchio Regione Provincia strazione

Fagioli bianchi di Rotonda DOP Basilicata Potenza 2011 Fagiolo Cannellino di Atina DOP Lazio Frosinone 2010 Fagiolo Cuneo IGP Piemonte Cuneo 2011 Fagiolo di Sorana IGP Toscana Pistoia 2002 Fagiolo di Sarconi IGP Basilicata Potenza 1996 Fagiolo di Lamon della Vallata Bellunese IGP Veneto Belluno 1996 Lenticchia di Castelluccio di Norcia IGP Umbria, Marche Perugia, Macerata 1997

Nonostante un leggero aumento nella produzione di fagioli, ceci e lenticchie sia stato regi- strato negli ultimi anni, probabilmente in risposta alla diffusione delle informazioni relati- ve alle loro proprietà salutistiche, numerosi ecotipi autoctoni di leguminose minori (fave, lenticchie, ceci e cicerchie), con antiche tradizioni negli ambienti meridionali, sono esposti al rischio di estinzione. Questi ecotipi, per la loro peculiare capacità di adattamento in con- dizioni pedoclimatiche fortemente limitanti, possono fornire un importante contributo per la valorizzazione di aree svantaggiate realizzata attraverso indirizzi produttivi a basso input, grazie all’apporto naturale di azoto nel terreno. Tuttavia, soprattutto per gli ecotipi coltivati in aree marginali con descritte caratteristiche di pregio, manca ancora una sistematica ca- ratterizzazione nutrizionale alla base dell’attestazione di qualità. È quindi necessario poter disporre di opportuni descrittori che possano differenziare questi prodotti da altri maggior-

52 mente consolidati sul mercato o di importazione.

Tabella 3. Produzione di legumi secchi in Italia (t x 1000)

1971 1981 1991 2001 2011 2015 Variazione %

Fagiolo 138.5 75.1 35.0 19.9 11.8 12.2 -91% Cece 30.0 15.6 4.9 6.5 8.4 16.8 -44% Pisello 10.0 5.3 43.7 18.0 27.3 10.4 +4% Lenticchia 4.8 1.2 0.9 0.8 1.9 2.5 -48% Fava 348.9 200.9 161.5 114.3 82.5 79.8 -77%

TOTALE 532.2 298.1 246.0 159.5 131.9 121.7 -77%

Fonte: elaborazione su dati ISTAT

Il contributo nell’ambito del Progetto TERRAVITA si è basato su alcuni casi-studio relativi ad ecotipi locali di lenticchie, cicerchie e ceci neri, rappresentativi di situazioni frequente- mente osservate sul territorio nazionale.

L’obiettivo è consistito nella ricerca di marcatori di qualità nutrizionale e tecnologica per la OBIETTIVO valorizzazione di leguminose tradizionali e varietà locali a rischio di estinzione coltivate in aree Parco in regioni dell’Italia centro-meridionale (Umbria, Campania, Puglia e Basilicata).

Sono state reperite, direttamente presso le aziende di produzione, varietà locali di lenticchie MATERIALI E (Lens culinaris L.), cicerchie (Lathyrus sativus L.) e ceci neri (Cicer arietinum L.). In parti- colare: METODI

Lenticchia di Altamura, proveniente dal Parco Nazionale dell’Alta Murgia e coltivata nel Comune di Spinazzola (Bari) nell’azienda di Luigi Lorusso, in condizioni biologiche certi- ficate (presenza di etichettatura con logo comunitario, in conformità al Regolamento (CE) N.834/2007). Sono state campionate due varietà: una a seme grande (macrosperma), che rappresenta il prodotto tipico locale, e un’altra a seme piccolo (microsperma). Sono stati analizzati i raccolti di due anni successivi, caratterizzati da diverse condizioni climatiche;

Cicerchia di Altamura, proveniente dal Parco Nazionale dell’Alta Murgia e coltivata nel Co- mune di Spinazzola (Bari) nell’azienda di Luigi Lorusso, in condizioni biologiche certifica- te. Sono stati analizzati i raccolti di due anni successivi, caratterizzati da diverse condizioni climatiche;

Lenticchia di Colliano, proveniente dall’area dell’Alta Valle del Sele, Parco Nazionale del Cilento; in particolare, la lenticchia è coltivata sul Monte Cerriello nella frazione di Collia- nello, comune di Colliano (SA), tra 800 e 1000 m s.l.m. nell’azienda di Nunzio Gizi;

Cicerchia di Colliano, proveniente dall’area dell’Alta Valle del Sele, Parco Nazionale del Ci- lento; è coltivata in località Piano della Corte (Monte Cerriello) nella frazione di Collianel- lo, Colliano (SA), tra 800 e 1000 m s.l.m. nell’azienda di Gerardo Vuocolo in località Piano della Corte a Collianello (Colliano, Salerno). Sono state campionate due diverse varietà, una a seme grande (macrosperma), che rappresenta il prodotto tipico locale, e una a seme

53 piccolo (microsperma), destinata prevalentemente alla nutrizione animale;

Cicerchia di Castelcivita, proveniente dal Parco Nazionale del Cilento, coltivata nel Comu- ne di Castelcivita (SA) in località Cupone, a 500 m s.l.m., nell’azienda di Antonio Scara- mella.

Cicerchia di Matera, proveniente dal Parco della Murgia Materana e coltivata in località La Martella (MT) nell’azienda agricola “Il legume dei sassi”;

Cece nero di Matera, proveniente dal Parco della Murgia Materana e coltivato in località La Martella (MT) nell’azienda agricola “Il legume dei sassi”;

Cece nero di Caposele, proveniente dall’Alta Valle del Sele e coltivato nel comune di Capo- sele (AV), nell’azienda di Donato Merola a due diverse altitudini: in località Mauta, a 1100 m s.l.m., e in località Macchione, a 600 m s.l.m.

Gli ecotipi di leguminose prelevati presso le aziende agricole locali sono stati corredati delle rispettive schede tecnico-agronomiche, riportanti indicazioni relative a: a) zona di coltiva- zione; b) condizioni pedoclimatiche; c) caratteristiche chimico-fisiche del terreno; d) con- dizioni di coltivazione (metodo, data dell’impianto e modalità); e) quantità seme, numero di parcelle; f) concimazione, irrigazione, trattamenti antiparassitari e controllo delle infe- stanti; g) diserbo e sarchiatura; h) data e modalità della raccolta, resa; i) data e modalità della trebbiatura; l) disinfestazione e trattamenti post-raccolta.

Varietà di lenticchie di controllo ad ampia commercializzazione (lenticchia IGP di Castel- luccio di Norcia (PG), lenticchia di Colfiorito (PG) e lenticchia comune, var. Eston) sono state ottenute presso il mercato locale.

I semi delle diverse varietà sono stati macinati con mulino da laboratorio Cyclotec, in modo da ottenere farine con granulometria inferiore a 50 µm Per le analisi sono stati utilizzati me- todi ufficiali (AOAC 2005) e metodi specifici, messi a punto precedentemente per prodotti vegetali ad alto contenuto proteico, in particolare legumi e cereali.

In particolare, le proprietà chimico-fisiche e tecnologiche dei semi sono state analizzate come descritto da Vishwakarma et al. (2012). Le cinetiche di idratazione sono state ottenu- te a 25°C, 35°C e 45°C come descritto in Carbonaro et al. (2015b). L’idratazione dei semi è stata calcolata come segue:

dove M(t) è la percentuale di idratazione in funzione del tempo di idratazione, W(0) e W(t) sono il peso dei semi al tempo 0 e al tempo t, rispettivamente.

Il fit dei dati sperimentali è stato eseguito utilizzando diversi modelli: esponenziale, sigmoi- dale, Peleg e lineare. La corrispondenza tra i valori teorici e sperimentali è stata verificata mediante il test c2.

Il modello esponenziale è stato applicato nella seguente forma:

dove Meq è il valore di M(t) all’equilibrio, A è un parametro che tiene conto dell’offset dei

54 t dati sperimentali e 1/ exp è la costante di velocità di idratazione. Il modello sigmoide è stato testato applicando la seguente equazione:

t t dove half è il tempo di idratazione corrispondente al 50% di saturazione dei semi e 1/ sigm è la costante di velocità di idratazione.

Il modello di Peleg è stato applicato nella forma linearizzata:

dove K1 è la costante di velocità di Peleg e K2 è la costante di capacità di Peleg.

2 -1 E’ stato determinato il valore della diffusività effettiva (Deff , in m s ) e, quindi, dell’energia di attivazione (Ea) in funzione della temperatura mediante l’equazione di Arrhenius:

dove r (m) è il raggio del seme, che è la metà del diametro geometrico, D0 è la diffusività a temperatura infinita, R è la costante dei gas (R = 8.31 J/mol K), T è la temperatura di idra- tazione (in °C). Il valore di Ea è stato calcolato dalla regressione lineare di Ln (Deff) vs 1/T. Il contenuto in polifenoli totali e disponibili (non legati alle proteine) è stato ottenuto con il metodo di Carbonaro et al. (2000). La caratterizzazione in acidi fenolici (p-cumarico, caffeico, vanillico, ferulico) è stata effettuata sugli estratti di polifenoli totali e disponibili mediante HPLC (Perkin-Elmer Series 4 Liquid Chromatograph), equipaggiato con rive- latore elettrochimico di tipo coulometrico (ECD), applicando il metodo di Nardini et al. (2002) e di Nardini e Ghiselli (2004). Le soluzioni di acidi fenolici standard sono state preparate in 1.25% acido acetico-7% metanolo e separati su colonna Supelcosil LC-18 C18 mediante gradiente con 1.25% acido acetico glaciale e metanolo assoluto. Sono stati deter- minati gli acidi fenolici totali e le frazioni di acidi fenolici disponibili e liberi. Aliquote (0.5 ml) di supernatante degli estratti di polifenoli totali e disponibili (0.05 g farina/ml) sono stati sottoposti ad idrolisi alcalina (Nardini et al. 2002). L’acido o-cumarico è stato utilizzato come standard interno. Prima della separazione cromatografica, il residuo secco dall’estra- zione con etilacetato è stato ridisciolto in metanolo. Per le curve di calibrazione sono state effettuate tre repliche di soluzioni standard degli acidi fenolici a diversa concentrazione (20, 100, 200 e 500 ng/ml). Le aree dei picchi dei cromatogrammi dei campioni sono state correlate con le concentrazioni in accordo con le curve di calibrazione.

La concentrazione in tannini (equivalenti di catechina) è stata misurata con il metodo di Price et al. (1978). Il contenuto in acido b-N-Oxalyl-L-α,b–diaminopropionico (ODAP) delle cicerchie è stato ottenuto come descritto da Rao (1978).

Gli spettri nel medio infrarosso (500-5000 cm-1) in trasformata di Fourier sono stati otte-

55 nuti come riportato in Carbonaro et al. (2012), direttamente sulle farine delle leguminose mediante la spettroscopia a riflettanza diffusa (DRIFT). Dalla riflettanza diffusa sono stati ottenuti gli spettri di assorbimento, che sono stati analizzati mediante procedure di de- convoluzione e fitting. La deconvoluzione spettrale è stata effettuata calcolando la derivata seconda dello spettro d’assorbimento. I coefficienti d’estinzione sono stati descritti con del- le funzioni gaussiane, attraverso una procedura di fitting dei dati sperimentali, centrando i contributi del fit alle frequenze indicate dalle derivate seconde (Kaupinnen 1981). Le intensità relative dei singoli contributi gaussiani forniscono una buona stima (con errore relativo del 2%) del contenuto percentuale di struttura secondaria della matrice proteica nel suo complesso. Per la messa a punto del metodo sono state utilizzate proteine purificate (globulina 7S, concanavalina A, inibitore della tripsina della soia, b-lattoglobulina bovina, caseine), con proprietà spettroscopiche note e struttura tridimensionale determinata me- diante cristallografia ai raggi X.

RISULTATI E Le analisi della composizione chimica hanno evidenziato un contenuto in proteine totali particolarmente elevato in tutti gli ecotipi locali, con valori medi, riferiti alla sostanza tal DISCUSSIONE quale, di 25.5% nelle lenticchie, 26.8% nelle cicerchie e 23.5% nei ceci neri. I valori più alti sono stati ottenuti nel caso della lenticchia di Altamura (26.2%) e della cicerchia di Castelcivita (28.1%). Il contenuto in minerali totali delle lenticchie, in linea con i valori attesi, era compreso tra 2.3 e 3.0%, con il valore più elevato in corrispondenza della varietà di Altamura. Anche nel caso delle cicerchie (range: 2.7-3.5%) il valore più elevato è stato ottenuto per l’ecotipo di Altamura. Sono stati riscontrati valori elevati anche per il contenu- to in minerali dei ceci neri (con valore medio pari al 3.4%). I valori medi di umidità sono risultati pari a 11.0, 11.8 e 12.2% per lenticchie, cicerchie e ceci neri, rispettivamente.

Per quanto riguarda i parametri chimico-fisici sono stati utilizzati descrittori selezionati dall’IPGRI (International Plant Genetic Resources Institute)/FAO e dall’ICARDA (Inter- national Center for Agricultural Research in the Dry Areas), raccomandati da queste Or- ganizzazioni per il confronto varietale standardizzato. Sono state evidenziate differenze nei principali descrittori morfologici (peso, dimensioni dei semi), nella densità dei semi, negli indici di idratazione e di rigonfiamento sia tra i diversi ecotipi di lenticchie sia tra quelli di cicerchie e di ceci neri.

Sono state quindi analizzate in dettaglio le cinetiche di idratazione dei semi dei diversi eco- tipi (seguite fino a 24 ore nel caso delle lenticchie e fino a 72 ore nel caso delle cicerchie e dei ceci neri). A titolo esemplificativo dei profili di idratazione caratteristici degli ecotipi, si riporta l’andamento ottenuto per la lenticchia di Colliano (SA) a seme piccolo, per la cicerchia di Castelcivita (SA), per la cicerchia di Matera e per il cece nero di Caposele (AV), località Mauta (Figura 1 A, B, C e D, rispettivamente). Si può osservare che mentre nel caso dell’ecotipo di cece nero (D) l’andamento è di tipo esponenziale per tutta la durata dell’idratazione, nel caso della lenticchia di Colliano (A) e della cicerchia di Castelcivita (B) l’andamento esponenziale si instaura invece soltanto dopo le prime ore di idratazione. In questo caso è necessaria una fase iniziale di attivazione, che è dipendente dalle caratte- ristiche del tegumento. Inoltre, l’idratazione dei semi dei due ecotipi di cicerchie (B e C) presentava una fase finale più lenta, caratterizzata da un incremento lineare tra 24 e 72 ore.

Il fit dei dati sperimentali è stato eseguito utilizzando diversi modelli: esponenziale, sig- moidale e lineare. I risultati sono stati confrontati con quelli ottenuti mediante il metodo di Peleg, ampiamente utilizzato per la caratterizzazione delle proprietà di idratazione dei semi delle leguminose (Turhan et al. 2002; Vasudeva e Vishwanathan 2010). Come atteso, il metodo di Peleg presenta evidenti limitazioni, in quanto fornisce risultati significativi

56 soltanto se si esclude la prima parte dell’idratazione che in alcuni ecotipi, quali la lenticchia di Colliano e la cicerchia di Castelcivita (Figura 1, A e B, rispettivamente) comprende le prime cinque ore. In accordo con i valori del test c2, i risultati migliori sono stati ottenuti t/t applicando il modello esponenziale (M(t ) = Meq- Ae- ).

I valori di τ (ore) e di Meq ottenuti per le varietà di leguminose oggetto di studio sono riportati nella Tabella 4. Il valore più basso di τ (1.57) è stato misurato nel caso della len- ticchia di Castelluccio e del cece nero Mauta, mentre il più alto (5.13) si può osservare in corrispondenza del cece nero di Matera. I valori di Meq erano compresi tra 0.93 (lenticchia di Castelluccio) e 1.35 (cicerchia di Matera). Differenze significative (p<0.05) sono state riscontrate tra le lenticchie di Altamura 1 e 2 (raccolte in due annate consecutive), mentre i valori delle due cicerchie di Altamura sono risultati simili. Si può quindi ipotizzare che le diverse condizioni climatiche abbiano conseguenze maggiori, ai fini della capacità di idrata- zione, per i semi di lenticchie rispetto a quelli delle cicerchie.

Nel caso dei semi delle varietà caratterizzate da una fase di latenza (lenticchia di Colliano var. microsperma, lenticchia comune, cicerchia di Colliano var. macrosperma e cicerchia di Castelcivita), le cinetiche di idratazione sono state anche seguite alla temperatura di 35°C e 45°C. L’aumento della temperatura di idratazione ha avuto come conseguenza un aumento della velocità di idratazione, soprattutto relativamente alle prime ore, con scomparsa della fase di latenza osservata a 25°C in tutti i campioni analizzati. In alcuni casi (lenticchia di Colliano e cicerchia di Castelcivita) è stata misurata anche una riduzione dei valori di Meq.

L’equazione di Arrhenius è stata utilizzata per confermare la dipendenza dei valori di τ dalla temperatura di idratazione (Figura 2). I valori dell’energia di attivazione, calcolati dall’equazione di Arrhenius, sono risultati compresi tra 24.3 e 51.4 KJ mol-1 e, pertanto, nell’intervallo riportato per altre specie di legumi (11-80 KJ mol-1) (Turhan et al. 2002; Kaptso et al. 2008). Si può quindi concludere che gli ecotipi analizzati possiedono buone proprietà di idratazione e che la fase di latenza osservata in alcune varietà può essere elimi- nata mediante un modesto aumento della temperatura di idratazione dei semi nella fase di ammollo precedente la cottura.

57 Figura 1. Cinetica di idratazione della lenticchia di Colliano varietà microsperma (A), della cicerchia di Castelcivita (B), della cicerchia di Matera (C) e del cece nero Mauta (D)

A B

C D

58 Tabella 4. Valori di τ e di Meq delle varietà di lenticchie, cicerchie e ceci neri (media e deviazione stan- dard, n ≥ 3)

-1 t (h) Meq (g/g ) LENTICCHIE

Altamura macro tipica 1 1.91 ± 0.31 1.07 ± 0.02 Altamura macro tipica 2 2.86 ± 0.16 0.96 ± 0.02 Altamura micro 1.90 ± 0.14 0.97 ± 0.01 Colliano macro 2.61 ± 0.15 1.00 ± 0.02 Colliano micro tipica 4.72 ± 0.29 1.04 ± 0.04 Castelluccio 1.57 ± 0.30 0.93 ± 0.02 Colfiorito 2.29 ± 0.23 0.99 ± 0.02 Comune 2.44 ± 0.25 0.94 ± 0.02 CICERCHIE

Altamura 1 3.72 ± 0.53 1.34 ± 0.04 Altamura 2 4.00 ± 0.36 1.30 ± 0.04 Colliano macro tipica 4.59 ± 0.35 1.26 ± 0.04 Colliano micro 3.26 ± 0.48 1.02 ± 0.03 Castelcivita 4.20 ± 0.13 1.22 ± 0.01 Matera 3.13 ± 0.37 1.35 ± 0.03 CECI NERI

Matera 5.13 ± 0.03 1.07 ± 0.01 Caposele Mauta 1.57 ± 0.04 0.97 ± 0.01 Caposele Macchione 1.95 ± 0.04 0.97 ± 0.01

Figura 2. Plot di Arrhenius per l’effetto della temperatura sulla diffusività effettiva (Deff) delle varietà di lenticchie e cicerchie

59 È stata quindi eseguita la caratterizzazione della componente fenolica, mediante quanti- ficazione dei polifenoli totali, dei tannini e della frazione degli acidi fenolici (p-cumarico, caffeico, vanillico e ferulico). I polifenoli sono composti ad elevata eterogeneità strutturale, ampiamente rappresentati negli alimenti di origine vegetale (Xu et al. 2017). I tannini, in particolare, sono polifenoli ad elevato peso molecolare (500-5000), che possono legarsi a proteine e minerali provocandone l’insolubilizzazione, con conseguente interferenza nel loro assorbimento (Carbonaro e Grant 2001). La determinazione della concentrazione di questa categoria di composti negli ecotipi locali ha indicato livelli molto bassi (inferiori a 0.05 g/100 g) e, pertanto, non potenzialmente dannosi o responsabili di effetti indesiderati.

I polifenoli si trovano nella maggior parte dei casi in complessi con carboidrati (forme glicosilate) o proteine (legati, in questo caso, mediante legami covalenti oppure legami a idrogeno ed interazioni idrofobiche), acidi organici e lipidi (Hermann 1989; Rawel et al. 2006; Carbonaro 2011). Il legame determina una riduzione della loro biodisponibilità e dei potenziali effetti benefici per la salute umana (Scalbert et al. 2005). Oltre al contenuto totale di polifenoli, è stata pertanto quantificata anche la frazione di composti disponibili. Nel caso degli acidi fenolici, oltre alla frazione disponibile, sono stati quantificati anche gli acidi fenolici liberi.

Figura 3. Contenuto in polifenoli totali e disponibili (g/100 g) di lenticchie (A), cicerchie (B) e ceci neri (C).

A B B CC

La concentrazione in polifenoli totali si è presentata particolarmente elevata nelle lenticchie (Figura 3), con un valore minimo di 0.73 g/100 g nella lenticchia comune ed un massimo di 1.11 g/100 g nella lenticchia di Castelluccio, in accordo i valori riportati in letteratura (Carnovale et al. 2001). Valori compresi tra 0.64 g/100 g (Matera) e 0.75 g/100 g (Mac- chione) sono stati misurati nelle varietà di ceci neri, mentre concentrazioni decisamente inferiori sono state riscontrate negli ecotipi di cicerchie (tra 0.28 g/100 g (Colliano ma- cro) e 0.34 g/100 g (Castelcivita)). Anche in questo caso, i valori sono in linea con quelli riscontrati per altre varietà delle stesse specie di leguminose (Grela et al. 2001; Stodolak e Starzynska-Janiszewska 2008; Carbonaro 2011). Decisamente inferiori a quelle dei polife- noli totali sono risultate le concentrazioni della frazione di composti effettivamente dispo- nibili (responsabili degli effetti biologici attribuiti ai polifenoli). Quest’ultima è caratterizza- ta da valori relativamente costanti nell’ambito di una spessa specie: 0.21-0.29, 0.13-0.16 e 0.12-0.14 g/100 g nel caso delle lenticchie, cicerchie e ceci neri, rispettivamente (Figura 3). La percentuale più elevata di composti disponibili rispetto ai totali si osserva nelle cicerchie (valore medio di 47.7%), seguita dalle lenticchie (29%) e dai ceci neri (18.6%).

E’ stata quindi presa in esame la concentrazione di specifici acidi fenolici nelle varietà locali di lenticchie, cicerchie e ceci neri. Gli acidi fenolici (acido cumarico, acido p-idrossiben- zoico, acido protocatecuico, acido ferulico, acido caffeico, acido vanillico) sono metaboliti secondari, con proprietà antiossidanti e antiinfiammatorie, identificati nei semi di diverse

60 specie di legumi (lenticchie, ceci, fagioli) (Zhang et al. 2015; Giusti et al. 2017).

Per quanto riguarda la composizione in acidi fenolici degli ecotipi locali oggetto di studio, sono state riscontrate differenze nel profilo qualitativo e quantitativo tra tutti i campioni analizzati relativamente all’acido p-cumarico, ferulico, vanillico e caffeico. Nella Figura 4 è riportato, in particolare, il profilo ottenuto nel caso della cicerchia di Altamura.

L’acido fenolico presente in concentrazione più elevata nel caso degli ecotipi di lenticchie era l’acido p-cumarico, con valori di 4.6, 3.8 e 3.2 mg/100 g nelle lenticchie di Colliano varietà microsperma, Castelluccio e Altamura, rispettivamente, seguito dal ferulico. La con- centrazione di acido p-cumarico risultava sempre molto più alta rispetto alla concentrazione di acido ferulico (dalle 4 alle 13 volte più alta). L’acido caffeico e l’acido vanillico, nella mag- gior parte delle lenticchie, erano presenti solo in tracce, eccetto per la lenticchia di Colliano a seme piccolo (la varietà tipica) e la lenticchia di Castelluccio, con valori rispettivamente di 0.30 e 0.31 mg/100g per l’acido vanillico e di 1.31 e 0.24 mg/100 g per l’acido caffeico. L’acido p-cumarico era anche l’acido fenolico più abbondante presente in forma libera nelle lenticchie, con il valore più alto misurato nella lenticchia di Castelluccio (1.28 mg/100 g).

Figura 4. Profilo di separazione degli acidi fenolici in HPLC-ECD: A - standards; B - cicerchia di Altamura. 1: vanillico; 2: caffeico; 3: p-cumarico; 4: ferulico; 5: isoferulico; 6: o-cumarico

A

B

La frazione di acidi fenolici disponibili si presentava molto variabile, rappresentando il 40- 80% del totale degli acidi fenolici. Si riscontrava inoltre una concentrazione molto bassa di composti liberi in tutti gli ecotipi di lenticchie, compresa tra 0.06 e 0.70 mg/100 g, in accordo con i risultati da noi ottenuti in precedenza su altri campioni di leguminose e sui cereali (Carbonaro et al. 2000; Acquistucci et al. 2013). In particolare, i risultati della carat- terizzazione degli acidi fenolici totali e disponibili ottenuti per la lenticchia tradizionale di

61 Altamura e di Colliano varietà microsperma, a confronto con la lenticchia comune reperita dal commercio, sono riportati nella Figura 5. Si può osservare che gli ecotipi locali (A e B) presentano concentrazioni più elevate di acidi fenolici totali e disponibili rispetto alla len- ticchia comune commerciale (C).

Figura 5. Concentrazione degli acidi fenolici totali, disponibili e liberi in varietà di lenticchie: Colliano microsperma (A), Castelluccio (B) e comune (C) (mg/100 g)

A B C

Nel caso delle cicerchie, l’acido fenolico presente in più alta concentrazione era l’acido fe- rulico (valori tra 0.6 e 1.1 mg/100 g) (Figura 6 A). Il valore più elevato veniva riscontrato nell’ecotipo di Matera, tuttavia le differenze nelle concentrazioni di acido ferulico non erano così marcate come osservato nelle lenticchie. Nel solo ecotipo cicerchia di Colliano a seme piccolo l’acido p-cumarico era presente in concentrazione più alta rispetto all’acido ferulico. L’acido caffeico e l’acido vanillico erano presenti solo in alcune varietà, quali la cicerchia di Colliano a seme grande e la cicerchia di Altamura (Figura 6 A). Analogamente a quanto osservato per le lenticchie, anche nelle cicerchie l’acido p-cumarico era l’acido fenolico più abbondante presente in forma libera. La percentuale di acidi fenolici disponibili rispetto al totale si presentava particolarmente elevata, con valori tra il 50 e l’80% in diversi ecotipi.

La presenza di elevate concentrazioni di acido ferulico e l’alta percentuale di composti di- sponibili negli ecotipi di cicerchie appaiono rilevanti in considerazione del ruolo di primo piano che è stato recentemente attribuito a questo acido fenolico nella prevenzione delle malattie neurodegenerative, Alzheimer in particolare (Sgarbossa et al. 2015; de Oliveira Silva e Batista 2017).

Gli ecotipi di ceci neri hanno presentato concentrazioni di acidi fenolici totali inferiori rispetto alle altre due specie di leguminose, con valori di acido ferulico compresi tra 0.16 e 0.36 mg/100 g e di acido p-cumarico tra 0.17 e 0.20 mg/100g. Nel caso dell’ecotipo di Ma- tera, si riscontrava la presenza di acido caffeico (0.13 mg/100 g), assente negli altri ecotipi (Figura 6 B). Molto variabile, anche in queste leguminose, è risultata la percentuale di com- posti disponibili, con valori tra il 26 e il 65%. Negli ecotipi di ceci neri analizzati, l’acido ferulico era l’acido fenolico più abbondante presente in forma libera. In tutti gli ecotipi di leguminose analizzati si osservava che la concentrazione di composti liberi (non idrolizzati) era molto bassa (10-35% rispetto al totale degli acidi fenolici). Tuttavia, nell’ecotipo di cece nero di Matera e, analogamente, in quelli di Caposele (località Mauta e Macchione), la concentrazione di acidi fenolici liberi si presentava relativamente elevata e non significativa- mente diversa da quella degli stessi composti disponibili (Figura 6 B).

Nel complesso, la concentrazione di acidi fenolici totali degli ecotipi locali è risultata più ele- vata rispetto a quella riportata in letteratura per altre varietà di leguminose (Giusti et al. 2017)

62 Figura 6. Concentrazione degli acidi fenolici totali, disponibili e liberi nella cicerchia di Altamura (A) e nel cece nero di Matera (B) A B

La determinazione della concentrazione della neurotossina ODAP negli ecotipi di cicerchie ha indicato valori compresi tra 0.18 e 0.27 g/100 g. I valori osservati si collocano nella parte inferiore dell’intervallo riportato in letteratura per altre varietà di cicerchie (0.1-2.2 g/100 g) (Rao 1978; Grela et al. 2001; Stodolak e Starzynska-Janiszewska 2008) e in accordo con i livelli riscontrati in altre varietà italiane della stessa specie (Granati et al. 2003).

In collaborazione con il Dipartimento di Fisica dell’Università di Roma “La Sapienza” è sta- ta eseguita la caratterizzazione della componente proteica delle farine degli ecotipi mediante spettroscopia infrarossa a riflettanza diffusa (DRIFT). E’ stata studiata la banda dell’amide I, associata alla vibrazione del gruppo carbossile del legame peptidico delle proteine (C=O stretching). Tale vibrazione è fortemente influenzata dalla struttura secondaria delle protei- ne e, pertanto, la struttura fine della banda può dare informazioni sulle percentuali di strut- tura secondaria della miscela proteica. Un esempio di spettro di riflettività diffusa DRIFT nella zona delle amidi (1400 - 1800 cm-1) è riportato in Figura 7.

Figura 7. Spettro d’assorbimento DRIFT nella regione delle amidi della cicerchia di Altamura

I coefficienti d’estinzione sono stati descritti con delle funzioni Gaussiane, attraverso una procedura di fitting dei dati sperimentali relativamente all’amide I, porzione dello spettro che fornisce le informazioni più rilevanti sulle proprietà della componente proteica correlati alla qualità nutrizionale (Carbonaro et al. 2012; Carbonaro et al. 2015a). I contributi del

63 fit sono stati centrati nella maggior parte dei casi alle frequenze indicate dai minimi della derivata seconda, tuttavia a volte si sono rese necessarie piccole variazioni delle frequenze centrali a causa di un diverso “sampling” dei dati sperimentali rispetto a quelli delle derivate seconde (Barth 2007). Le intensità relative dei singoli contributi Gaussiani forniscono una buona stima del contenuto percentuale di struttura secondaria dell’intera matrice proteica dei diversi campioni.

La messa a punto del metodo è stata effettuata analizzando diverse proteine purificate, la cui struttura tridimensionale è nota dall’analisi cristallografica mediante raggi X. Tra queste: la faseolina 7S (la proteina di riserva del seme di diverse leguminose), l’inibitore della tripsina della soia, la concanavalina A (una nota lectina contenuta nei semi della Canavalia ensifor- mis), la mioglobina, il lisozima, la tirosinasi, l’ovoalbumina, l’α-lattalbumina, la b-latto- globulina, l’k-caseina, la α-caseina, la b-caseina. Per il confronto con i dati cristallografici si è fatto riferimento al contenuto in elementi di struttura secondaria ad α-elica e a foglietto b, depositato per le proteine selezionate nella “Protein Data Bank” (www.rcs.org/pdb). I valori ottenuti mediante spettroscopia infrarossa sono risultati in ottimo accordo con quelli riportati in letteratura per la struttura secondaria delle proteine prese come riferimento (r = 0.99) (Figura 8 e Figura 9).

Figura 8. Proteine di riferimento: contributi del fit a multicomponenti. A1-A2: aggregati intermolecola- ri; b: foglietto b; α: α-elica; T: turn

64 Figura 9. Proteine di riferimento: correlazione con i dati di cristallografia ai raggi X.

Il metodo è stato quindi applicato allo studio delle proteine delle farine degli ecotipi locali. Un esempio di derivata seconda e di deconvoluzione dei contributi è riportato in Figura 10 per l’ecotipo lenticchia di Altamura.

Figura 10. Deconvoluzione della banda amide I per l’ecotipo lenticchia di Altamura. Il pannello supe- riore mostra i minimi della derivata seconda corrispondenti ai contributi delle strutture secondarie. Il pannello inferiore mostra un fit dei dati sperimentali con una somma di contributi Gaussiani centrati alle frequenze indicate dalla derivata seconda.

A1: aggregati intermolecolari; b: foglietto b; α: α-elica; RC: random coil; T: turn

L’analisi qualitativa degli spettri nel medio infrarosso degli ecotipi di leguminose esaminate

65 ha indicato differenze nei contributi alle diverse frequenze tra tutti i campioni, evidenziati dalla posizione dei minimi delle rispettive derivate seconde. In tutti gli ecotipi, era evidente un minimo di assorbimento particolarmente intenso intorno a 1636 cm-1, indicativo di un elevato contenuto di struttura a foglietto b, tipico delle proteine dei semi dei vegetali (Carbonaro et al. 2012, 2015b). Sono risultati di differente intensità gli assorbimenti dei componenti a più bassa frequenza: aggregati intermolecolari (A1) e strutture a foglietti b ad alta affinità di aggregazione (bE). Sono state inoltre differenziate le frequenze di assorbimen- to delle porzioni meno strutturate (random coil, RC, a 1645 cm-1), della struttura α-elica (1655 cm-1), dei segmenti “turn” (1670 cm-1), dell’assorbimento della struttura a foglietto b antiparallelo (b ad alta frequenza, 1680 cm-1), nonché quello degli aggregati intermoleco- lari A2, a più alta frequenza (1690 cm-1).

Le percentuali di struttura secondaria delle proteine di alcune varietà di lenticchie, cicerchie e ceci neri esaminati, derivanti dall’analisi quantitativa, sono rappresentate nella Figura 11 e nella Figura 12.

Figura 11. Pesi relativi delle componenti strutturali di ecotipi di lenticchie.

LENTICCHIE

A1-A2: aggregati intermolecolari; b: foglietto b; a: a-elica; RC: random coil; T: turn

Anche nel caso delle cicerchie (Figura 12), i risultati hanno mostrato componenti di strut- tura secondaria indicativi di un alto grado di aggregazione intermolecolare: le bande A1 e bE, presenti in tutti i campioni studiati, sono infatti dovute ad aggregati intermolecolari (A1) e aggregati di tipo b. Tale aggregazione è confermata dalla presenza della banda b a più alta frequenza, tipica in strutture b-intramolecolari (b-antiparallelo). Un particolare di rilievo è apparsa la presenza di struttura non ordinata (RC, random coil) in tutti gli ecotipi di cicerchie analizzati, in contrapposizione alla situazione riscontrata negli ecotipi di lentic- chie. Il contenuto di struttura secondaria del tipo α-elica è risultato sempre limitato a valori intorno al 18%, ad eccezione della cicerchia di Altamura e di Matera, dove raggiungeva il 26 e 28%, rispettivamente. Significativa è apparsa la variazione del contenuto di struttura b all’interno dei diversi ecotipi di questa leguminosa. Il valore della percentuale della strut- tura b variava da un minimo di 14% (ecotipo di Matera) ad un massimo di 27% (ecotipo di Castelcivita). Poichè la maggiore presenza di questo indicatore è comunemente associato alla diminuzione della biodisponibilità delle proteine vegetali, tale variazione pone in risalto la diversa qualità dei campioni esaminati in termini di contenuto proteico biodisponibile.

66 Altro aspetto che differenziava l’ecotipo di Castelcivita dagli altri esaminati era il basso contenuto di struttura proteica RC (2%) e di struttura b intramolecolare (9%), che confer- mava il più elevato grado di stabilità proteica dell’ecotipo. Diversamente da quest’ultimo, l’ecotipo di Altamura era quello che presentava percentuali maggiori di struttura secondaria per le componenti RC (6%) e bE (16%). Questi aspetti, unitamente al consistente conte- nuto in struttura ad α-elica, evidenziano una potenziale maggiore biodisponibilità proteica dell’ecotipo di Altamura e di quello di Matera, con caratteristiche simili, rispetto agli altri ecotipi di cicerchie.

Caratteristiche di struttura secondaria simili a quelle delle cicerchie sono state riscontrate nei tre ecotipi di ceci neri (Figura 12). Questi ultimi, tuttavia, hanno presentato rapporti delle strutture α/b tra 0.37 e 0.57 e, pertanto, inferiori a quelli misurati per le altre specie di leguminose (compresi tra 0.4 e 1.1 per le lenticchie e tra 0.43 e 0.99 per le cicerchie) (Fi- gura 13). Si evidenzia una spiccata dipendenza del rapporto α/b dalla zona di provenienza degli ecotipi.

Figura 12. Pesi relativi delle componenti strutturali di ecotipi di cicerchie e ceci neri.

CICERCHIE

CECI NERI

A1-A2: aggregati intermolecolari; bE: b esposto, b: foglietto b; a: a-elica; RC: random coil; T: turn

67 Figura 13. Rapporti delle strutture α/b delle varietà di lenticchie, cicerchie e ceci neri (errore relativo = 5%).

CONCLUSIONI I risultati ottenuti nel Progetto TERRAVITA indicano che lenticchie, cicerchie e ceci neri provenienti dal Parco dell’Alta Murgia, dal Parco Nazionale del Cilento, dall’Alta Valle del Sele, dal Parco della Murgia Materana e coltivate in regime di agricoltura biologica, o con tecniche tradizionali, possiedono proprietà chimico-nutrizionali e tecnologiche pecu- liari. Tali proprietà le differenziano rispetto alla zona di coltivazione e rispetto alle varietà commerciali, nonché ai valori presenti in letteratura per le stesse specie di leguminose, mettendone in luce l’elevata valenza nutrizionale. Le proteine sono risultate presenti in alta concentrazione in tutte le specie, con valori superiori al 30% s.s. nelle cicerchie. Sono state evidenziate buone proprietà di idratazione dei semi in tutti gli ecotipi di leguminose. Elevata si è presentata anche la concentrazione di polifenoli e di acidi fenolici totali (acido vanillico, caffeico, p-cumarico e ferulico), con i valori massimi rilevati negli ecotipi di len- ticchie, nonchè la percentuale di composti ad alta disponibilità (50-80% nelle cicerchie). E’ risultata, al contrario, molto bassa la concentrazione di tannini in tutti gli ecotipi e il contenuto di ODAP nelle cicerchie. Infine, sulla base delle proprietà molecolari risultanti dall’analisi mediante spettroscopia infrarossa sono state ottenute informazioni dettagliate sulle caratteristiche strutturali delle proteine del seme correlate alla qualità nutrizionale. In particolare, i valori dei rapporti α/b e la bassa tendenza alla formazione di aggregati stabili sono indicativi di una buona funzionalità e biodisponibilità proteica, con forte dipendenza del rapporto α/b dal territorio di provenienza degli ecotipi.

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71 PRODOTTI OLIVICOLI Pastore G., Ambra R., Lucchetti S., Forte V. CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

PREMESSA L’Italia, secondo produttore al mondo di olive e di olio vergine di oliva, rispetto agli altri paesi produttori ha l’enorme vantaggio di essere dotato di gran lunga della maggiore varia- bilità genetica, potendo disporre di oltre 300 diverse cultivar di ulivi, rispetto alla trentina di cultivar esistenti in Spagna e Grecia e alla ventina presenti in Francia.

Tuttavia, questa grande diversità genetica si sta perdendo, in quanto ormai la maggior parte della produzione di olive deriva da un numero relativamente limitato di varietà di ulivi, con una tendenza che potrebbe determinare la perdita di cultivar di olivo adattate a particolari condizioni pedo-climatiche e in grado di produrre oli monovarietali dotati di particolari caratteri distintivi.

Per far fronte a questa tendenza e per “educare” il consumatore al fatto che gli oli extravergi- ni di oliva non sono tutti uguali e che, come per il vino, esistono oli monovarietali dotati di caratteristiche, aromi e sapori differenti, il progetto si propone di caratterizzare e valorizzare oli monovarietali prodotti da cultivar di olivo minori presenti in diverse aree del nord del centro e del sud Italia.

STATO DELL’ARTE Il consumo di olio extravergine di oliva (EVOO) all’interno di un sano stile di vita sano e un corretto modello alimentare è stato ampiamente riconosciuto come in grado di proteggere da molte malattie cronico-degenerative (Sofi et al. 2008).

In particolare, è stato dimostrato che l’EVOO influisce positivamente sul metabolismo lipidico, su molti processi legati all’età, su processi infiammatori, e ha una azione protettiva contro l’insorgenza di aterosclerosi, obesità, sindrome metabolica, diabete di tipo II, iper- tensione e alcuni tipi di tumori (Lopez-Miranda et al. 2010).

Numerose evidenze hanno dimostrato che sia le proprietà salutari dell’EVOO che la sua stessa stabilità nel tempo è dovuta principalmente alla presenza di composti antiossidanti lipofili e idrofili della sua frazione insaponificabile e, in particolare, per il suo contenuto in composti fenolici (Cicerale et al. 2009).

La composizione chimica dell’olio vergine di oliva è determinata da diversi fattori: le carat- teristiche genotipiche della pianta (cultivar), le condizioni ambientali (suolo, temperatura, clima), le pratiche agronomiche (irrigazione, fertilizzazione), le modalità di raccolta (stato di maturazione alla raccolta, modalità di raccolta, modalità e tempi di trasferimento delle olive al frantoio), e dai fattori tecnologici dei sistemi di estrazione (caratteristiche del fran- gitore, condizioni di gramolatura e il tipo di decanter utilizzato) (Aparicio e Luna 2002; Ye, Wijesundera e Shi 2014; Pastore et al. 2014).

PROFILO GENOTIPICO Il corredo genetico (caratteristico di ogni cultivar) è un fattore determinante nel definire le potenzialità di qualità nutrizionale e organolettica dell’olio prodotto dalle olive. Il cor- redo genetico determina infatti le capacità della cultivar di sintetizzare molecole ed enzimi

72 differenti, con conseguente differenze qualitative e quantitative nel contenuto di molecole bioattive favorevoli dal punto di vista nutrizionale e utili per aumentare la stabilità dell’olio stesso (Sakouhi et al. 2008; Kalogeropoulos e Tsimidou 2014) e di sintetizzare molecole (volatili e non) determinanti nel definire i caratteri organolettici (Aparicio et al. 2002;. Gomez-Rico et al. 2008).

CONDIZIONI AMBIENTALI L’ambiente influisce fortemente sui processi di maturazione delle drupe, e, di conseguenza, sulla presenza di tutte le molecole bioattive che si formano o si degradano durante i processi di maturazione. I tocoferoli nelle drupe tendono ad aumentare durante la maturazione (Sakouhi et al. 2008) mentre i composti fenolici sono maggiormente presenti nella drupa ancora acerba per poi diminuire costantemente superata la maturazione fisiologica (Ye et al. 2014). La disponibilità di acqua è un altro fattore che influenza particolarmente la for- mazione dei composti fenolici, che risultano essere presenti in quantità inferiore nelle zone irrigue (Servili et al. 2007). Infine, esistono evidenze che negli oli prodotti da olive coltivate a bassa quota sono presenti quantità maggiori di steroli, polifenoli e tocoferoli e quantità minori di clorofille e acidi grassi insaturi rispetto a oli prodotti nelle zone collinari a quote più elevate (Aparicio et al. 2002).

MATURAZIONE ALLA RACCOLTA Essendo la quantità di composti fenolici e tocoferoli nelle drupe fortemente influenzata dallo stato di maturazione delle drupe al momento della raccolta e molitura, la scelta del momento di raccolta è critica per l’ottenimento di oli con particolari proprietà nutrizionali e organolettiche. A parità delle altre condizioni, un olio estratto da drupe raccolte precoce- mente conterrà quantità di composti fenolici significativamente maggiori e sarà più amaro e piccante di un olio prodotto da drupe raccolte tardivamente dopo l’invaiatura.

LA MOLITURA Il processo di molitura non è una semplice estrazione e separazione dell’olio dall’acqua e dalle sanse, bensì è un vero processo di trasformazione durante il quale si formano i compo- sti aromatici che caratterizzano il flavour dell’olio prodotto, e durante il quale l’oleuropeina (e altri fenoli complessi) viene idrolizzata dando origine ai diversi secoiridoidi che, oltre a partecipare al mantenimento della stabilità dell’olio, ne caratterizzano gli aspetti organolet- tici. In particolare,

1. la frangitura: oltre ad avere un forte impatto sulla formazione di molecole volatili (Sanchez-Ortiz et al. 2008), il grado di frangitura (particolarmente dell’endocarpo) determina la maggiore o minore disponibilità di enzimi che intervengono nei processi di idrolisi dei fenoli complessi: aumentando il livello di frantumazione si ottiene una maggiore quantità di composti fenolici nella pasta di olive durante la gramolatura (Ye et al. 2014.);

2. gramolatura: molteplici processi enzimatici naturali vengono attivati ​​durante questo processo di lenta disgregazione dell’emulsione acqua-olio. E ‘stato dimostrato che:

• temperature elevate hanno un forte impatto negativo sulla presenza dei secoiridoidi (Servili et al. 2004);

• l’aumento del tempo di gramolatura induce una diminuzione della concentrazione di fenoli (Kalua et al. 2006);

73 • la presenza di ossigeno nella camera di gramolatura induce una maggiore attività di polifenolossidasi, perossidasi e lipossigenasi che determinano una diminuzione di composti fenolici (Pastore et al. 2014);

3. separazione in decanter: questo ultimo procedimento, pur essendo una semplice sepa- razione dell’olio dalle acque di vegetazione e dalle sanse, ha una influenza fondamen- tale sulla qualità del prodotto finito. Infatti i composti fenolici, avendo caratteristiche fortemente idrofile, durante la separazione tendono a migrare verso la fase acquosa per essere quindi poi persi con le acque di vegetazione. La tecnologia adottata in questa fase è conseguentemente fondamentale per determinare la frazione dei composti fenolici presenti nella pasta di olive al termine della gramolatura che riesce a essere trasferite nel olio rispetto a quella persa con le acque di vegetazione. A questo proposito, gli approcci comunemente adottati sono:

• decanter a tre fasi (che separa singolarmente olio, acqua e sansa) nel quale, per ridurre la viscosità, è necessaria l’aggiunta di acqua nella pasta di olive (fino a 1 m3 per tonnellata). In questo caso, la maggior quantità di acqua presente nella pasta di olive determina una maggiore migrazione dei composti fenolici nella fase acquosa e, di conseguenza, una maggiore perdita di fenoli nelle acque di vegetazione;

• decanter a due fasi (che separa olio e acqua+sanse) nel quale non è necessaria alcuna aggiunta di acqua, riducendo fortemente la perdita di composti fenolici (Pastore et al. 2014).

OBIETTIVO Obiettivo generale è la caratterizzazione e valorizzazione di oli monovarietali prodotti da cultivar di olivo minori selezionati.

Parallelamente si è valutato in forma sistematica quale sia l’influenza di alcuni fattori esterni e tecnologici sulle potenzialità qualitative espresse dalle cultivar, dando particolare attenzio- ne alla presenza di composti fenolici e, in particolare, ai secoiridoidi.

DESCRIZIONE DELL’ATTIVITÀ • Per ogni cultivar selezionata, sono stati prodotti oli monovarietali partendo da partite di olive raccolte a diversi stadi di maturazione e molite entro le 24 ore dalla raccolta in frantoi con decanter a due fasi e a tre fasi (frangitore meccanico e gramola chiusa). Sugli oli prodotti sono stati valutati i parametri descritti dalla normativa (acidità, perossidi, indici spettrofotometrici) e composizione acidi grassi.

• Sui prodotti caratterizzati è stata valutata qualitativamente e quantitativamente la pre- senza di tocoferoli, carotenoidi, squalene e composti fenolici. Particolare attenzione è stata data alla composizione della frazione fenolica, in particolare riguardo la presen- za degli alcoli fenolici (3,4-DHPEA, p-HPEA), e dei secoiridoidi (3,4-DHPEA-EA, 3,4-DHPEA-EDA, p-HPEA-EA, p-HPEA-EDA).

• l’autenticità di alcune cultivar provenienti da differenti aree di produzione, è stata valu- tata attraverso indagini di tipo molecolare.

MATERIALI E CAMPIONAMENTO METODI Sono state selezionate 28 aziende e/o frantoi (Tabella 1) rispondenti alle caratteristiche ri- chieste (produzione di oli monovarietali certificati, impianti di estrazione in ciclo continuo con gramole chiuse e decanter a due o tre fasi).

74 Tabella 1. Lista delle aziende e delle cultivar selezionate

Azienda Luogo Cultivar Nord Italia

Menini Mezzane Grignano San Cassiano Mezzane Grignano Terre Bianche Mezzane Grignano Pizzighella Mezzane Grignano Centro Italia

Albanuova Vittorito Rustica Agripeligna Raiano Rustica Della Valle Prezza Rustica Corsetti San Vincenzo Monicella Crugnale Pettorano Gentile dell'Aquila, Rustica La Selvotta Vasto I77, Nebbio, Gentile di Chieti, Leccino Casolana Casoli Intosso Trappedo di Caprafico Caprafico Intosso Forcella S.Angelo Dritta, Intosso Bernardi San Valentino Dritta Mapei Nocciano Leccio del Corno Lupone Tocco Toccolana St.Ilario Pineto Intosso, Leccino Della Fazia Rocca S.Giovanni Gentile di Chieti, Leccino Paliadini Civitella Casanova Dritta, Carpinetana Persiani Atri Leccino, Peranzana, Dritta Carpinetana, Castiglionese,Intosso, Posola, Posolella, Drit- Hermes Penne ta, Picholine La Quagliera Spoltore Cucco, Leccino, Dritta Sud Italia

Caruso Caltabellotta Biancolilla Baglio Ingardia Paceco Cerasuola Tyracia Piazza Armerina Moresca Goccia d’oro Castelvetrano Nocellara del Belice Cutrera Chiaromonte Gulfi Tonda Iblea Oleum Ceresis Patti Verdello

Nel nord Italia sono state identificate 4 aziende nella zona di Verona, a Mezzane, zona carat- teristica della produzione di una cultivar locale peculiare (Grignano). Nel centro Italia, sono state selezionate diciotto Aziende, in Abruzzo, nelle province di Teramo, L’Aquila, Chieti e Pescara. In rappresentanza degli oli prodotti nel meridione, sono state selezionate 6 aziende produttrici di oli siciliani (nelle provincie di Agrigento, Trapani, Enna, Ragusa e Messina).

75 Nelle 28 aziende selezionate sono stati raccolti 50 campioni di olio monovarietale, di 25 cultivar differenti (6 campioni di varietà Dritta, 6 di Intosso, 6 di Rustica, 5 di Leccino, 4 di Grignano, 3 di Gentile di Chieti, 2 di Carpinetana, 1 di Monicella, 1 di Gentile dell’A- quila, 1 di I77, 1 di Nebbio, 1 di Leccio del Corno, 1 di Toccolana, 1 Peranzana, 1 di Castiglionese, 1 di Posola, 1 di Posolella, 1 di Picholine, 1 di Cucco, 1 di Biancolilla, 1 di Ce- rasuola, 1 di Moresca, 1 di Nocellara del Belice, 1 di Tonda Iblea, 1 di Verdello) (Tabella 1)

ANALISI CHIMICHE Le analisi “classiche” previste vigente per la classificazione della qualità degli oli (Acidità, Numero di Perossidi, Indici spettrofotometrici [K232, K270, ΔK]) sono state eseguite uti- lizzando i metodi ufficiali riportati nel regolamento EEC no. 2568/91.

I polifenoli totali sono stati analizzati secondo il metodo proposto da Singleton, colorando col reagente Folin Ciocalteu l’estratto metanolico separato mediante SPE Strata C18-U (55um, 70A) (Phenomenex, Torrence Ca USA) e lettura in spettrofotometro a 765 nm, con acido gallico come riferimento.

Tocoferoli, carotenoidi e squalene sono stati analizzati mediante HPLC-DAD (Agilent serie 1200 Agilent, Santa Clara, CA, USA) dopo aver solubilizzato 1 g di campione in 10 ml di una miscela metanolo:cloroformio 1:1 e filtrato attraverso un filtro a siringa (PTFE) 0.20 μm. Una aliquota di 20 μl è stato iniettata in HPLC.

Per la valutazione di tocoferoli e squalene in HPLC è stata utilizzata una colonna Cosmosil 5PYE (4,6 x 250 mm ID) (Nacalai, Kyoto, Giappone); come fase mobile è stata utilizzata una miscela metanolo/acqua (95:5 v/v), corsa isocratica a 30 °C, con flusso di 1 ml/min. La lettura col DAD è stata eseguita a 292 nm.

I carotenoidi sono stati separati con colonna YMC C30 (4,6 x 250 mm ID) (YMC, Kyoto, Giappone) mantenuta a 35 °C, con un flusso di 1 ml/minuto; la fase mobile era formata da una miscela (A) metanolo/acetone 60:40 v/v, e (B) di acetone/acqua 60:40 v/v, con il seguente gradiente (44 min): 70% A per 3 min, 90% A in 5 min, 95% A in 17 min, 100% A in 10 min. La lettura è stata eseguita a 450 nm.

Tocoferoli, carotenoidi e squalene sono stati identificati attraverso il tempo di ritenzione e lo spettro in comparazione a standard ottenuti da Sigma Aldrich (St. Louis, MO, USA).

I composti fenolici sono stati estratti da 5 g di olio con 15 ml di una miscela metanolo/ acqua acidificata con 12 ml/l di acido acetico (80:20). Per ogni campione l’estrazione è stata eseguita per tre volte mediante agitazione (in moto orbitale 25 mm a 400 rpm) per 15 minuti. La frazione idrofila è stata separata mediante centrifugazione a 4000 rpm per 5 minuti e sgrassata per tre volte con 15 ml di esano. Gli estratti finali sono stati poi portati a secco in pallone da 50 ml in rotavapor a 40 °C e poi diluiti in 2 ml di metanolo per essere iniettati in HPLC.

I composti fenolici sono stati analizzati utilizzando una colonna Kinetex (4,6 ID x 100 mm) 2.6u PFP 100A (Phenomenex, Torrance, CA, USA), mantenuta a a 48 °C con un flus- so di 1,85 ml/min. La fase mobile composta da (A) acqua acidificata con acido acetico (1,2 ml/100 ml) e (B) metanolo. La corsa si è svolta con il seguente gradiente: 95% A per 3 min, 85% A in 11 min, 75% A in 6 min, 55% A in 8 min. La lettura in DAD eseguita a 278 nm.

(3,4-diidrossifenil)-etanolo (3,4-DHPEA) e (p-idrossifenil)-etanolo (p-HPEA) sono stati identificati in funzione del tempo di ritenzione e dello spettro in confronto a standard (Sigma-Aldrich).

76 Il riconoscimento dei secoiridoidi [la forma dialdeidica del decarbossimetil acido eleno- lico legata all’idrossitirosolo (3,4-DHPEA-EDA); l’isomero dell’oleuropeina-aglicone (3,4-DHPEA-EA); la forma dialdeidica del decarbossimetil acido elenolico legata al tirosolo (p-HPEA-EDA); e il ligstroside-aglicone (p-HPEA-AE)], composti per i quali non esistono standard in commercio, è stato eseguito durante uno studio preliminare mediante spettro- metro di massa. Le frazioni fenoliche sono state separatamente raccolte in HPLC e iniettati in spettrometro di massa (Applied Biosystems API3200 Q-Trap) per la loro identificazione. L’API 3200 ES sorgente è stato messo a punto per infusione diretta di una soluzione stan- dard di 3,4-DHPEA (1 μg/ml in acqua / metanolo 50:50), con una portata di 10 μL / min. I parametri ottimizzati sono stati: declustering potenziale -52 eV, ingresso potenziale eV -4.8, energia di collisione -25 eV, uscita cella di collisione potenziale -3 eV. I dati sono stati acquisiti in ioni negativi modalità MS e MS/MS.

La quantificazione dei secoiridoidi è stata effettuata utilizzando oleuropeina come standard di riferimento, applicando i fattori di correzione per il peso molecolare (Mulinacci et al. 2006).

Per la determinazione della composizione in acidi grassi, gli esteri metilici sono stati prepa- rati agitando vigorosamente in vortex per 30 secondi 0.1 g di olio in 2 ml di eptano con 0,2 ml di una soluzione metanolica di KOH (2N). Dopo centrifugazione (3 minuti a 3500, 2 μl di surnatante sono state iniettate in GC con rivelatore FID (Perkin Elmer Autosystem, Waltham, MA, USA), usando una colonna capillare BPX70 (0,25 millimetri ID 0.25μm pellicola 60 m di lunghezza) SGE Analytical Science (Victoria, Australia). L’elio è stato utilizzato come carrier gas, con un flusso di 1 ml/min, con un gradiente di temperatura del forno da 130 ° C e 230 ° C in 40 minuti. Iniettore e rivelatore sono stati settati a 250 ° C.

ANALISI DEI DATI Le analisi statistiche sono state eseguite con il software XLSTAT (v.2013.6.01, Addinsoft). La normalità è stato testata mediante il test di Shapiro-Wilk mentre omoschedasticità è stata verificata con test di Bartlett. Per le variabili per le quali l’ipotesi di normalità è stata accettata i dati sono stati analizzati mediante ANOVA (con il test di Fisher nel caso di omoschedasticità, o, altrimenti, con il test di Bartlett), mentre il test non parametrico di Kruskal-Wallis è stato utilizzato per analizzare le variabili la cui normalità non è stata ac- cettata.

Come variabili indipendenti sono state utilizzate il tipo di decanter (a due fasi o a tre fasi), il periodo di raccolta (prima o dopo il 31 ottobre), l’area in cui sono stati prodotti gli oli (Regione Veneto, regione Sicilia, regione Abruzzo zona costiera, regione Abruzzo zona col- linare) e, ovviamente, la cultivar.

Gli effetti dovuti alla cultivar sulla presenza di molecole bioattive (tocoferoli, carotenoidi, squalene, composti fenolici) sono stati analizzati su un sottocampione che comprendeva solo le cultivar per i quali sono stati disponibili almeno 3 campioni raccolti in tre diverse aziende.

Per tutte le analisi eseguite, gli effetti sono stati considerati significativi a livello di p <0.05.

77 RISULTATI Tutti i campioni di olio analizzati sono risultati essere oli extravergini di oliva di elevata qua- lità e hanno soddisfatto i parametri richiesti per essere inclusi nello studio (acidità <=0.4% (acido oleico); numero di perossidi<=12 meqO2/kg; acido oleico>=65%; a-tocoferolo>= 120 mg/kg; polifenoli totali >=200 mg/kg. Nessuna differenza statisticamente significati- va è stata riscontrata in funzione della cultivar, della zona di produzione, del periodo del raccolto e del tipo di decanter utilizzato per l’acidità libera (0,2±0,01% in acido oleico), il numero di perossidi (9.4±2.2 mEq O2/kg), e per gli indici spettrofotometrici (1,8±0,3; 0,13±0,03 e -0,002±0,001 per il K232, K270 e ΔK rispettivamente). Per quanto riguarda molecole bioattive (Tabella 2) gli oli contengono quantità elevate di α-tocoferolo (197±45 mg/kg), β-carotene (3,1±1,3 mg/kg), luteina (3,5±1,1 mg/kg), squalene (668±187 mg/100 g) e composti fenolici (325±120 mg/kg). Le maggiori differenze tra i gruppi analizzati sono state rilevate riguardo i composti fenolici e lo squalene, ma differenze sono state riscontrate anche per l’α-tocoferolo e i carotenoidi (Tabelle 2, 3, 3b; per quanto riguarda le cultivar, la Tabella 3 riporta i dati relativi alle cultivar di cui almeno tre campioni erano disponibili in tre diverse aziende agricole, la Tabella 3b riporta l’intero set di dati).

Tabella 2. Valori delle principali molecole bioattive negli oli analizzati in funzione dell’area di produzio- ne, il tipo di decanter e l’epoca di raccolta (media±SD)

Area Decanter Raccolta Totale Abruzzo, Abruzzo, in- Veneto Sicilia 2 fasi 3 fasi ≤ 31 Ott ≥1 Nov Costa terno α-tocoferolo (mg/kg) 197±45 159±21 211±49 195±35 171±36 198±47 196±42 199±47 194±41 β-Carotene (mg/kg) 3,1±1,3 2,0±1,0A 3,0±1,1A 2,8±1,3A 4,5±1,5B 2,7±1,1D 3,5±1,5E 3,1±1,2 2,9±1,7 Luteina (mg/kg) 3,5±1,1 3,9±0,7 3,5±1.0 3,4±1,1 4,0±1,8 3,5±0,9 3,7±1,4 3,7±1,0 3,3±1,3 Squalene (mg/100g) 668±187 826±75BC 588±153A 656±154AB 924±163C 644±181 705±194 656±201 693,0±153 Comp. fenolici (mg/kg) 325±120 300±143AB 373±117B 277±114A 254±36A 375±118E 246±74D 356±113G 256±109F Lettere differenti sulla stessa riga indicano significatività statistica, p<0.05 (A-C tra le aree di produzione; D-E tra i decanter; F-G tra i periodi di raccolta)

Tabella 3. Valori delle principali molecole bioattive negli oli analizzati in funzione della cultivar (media±SD)

-tocoferolo -carotene Luteina Squalene Composti fenolici Cultivar α β (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) (mg/100g) (mg/kg)

Carpinetana 187±28ABC 3.0±0.9 4.3±1.0 582±67ABC 428±6AB Dritta 159±24C 2.3±0.7 3.3±0.4 484±158C 450±110A Gentile di Chieti 164±7BC 4.3±2.5 3.6±1.5 473±67C 340±28AB Grignano 159±21C 2.0±1.0 3.9±0.7 826±75A 300±144AB Intosso 235±9AB 3.1±1.3 3.5±1.3 707±73AB 393±42AB Leccino 266±53A 3.2±1.3 4.1±1.4 520±36BC 246±59B Rustica 214±34ABC 2.9±1.3 3.5±1.4 683±113AB 213±82B p <0.01 NS NS <0.01 <0.01 Lettere differenti per Colonna indicano significatività statistica p<0.05; La tabella riporta I dati per quelle cultivar per le quali sono disponibili almeno 3 campioni raccolti in tre aziende differenti. Vedere la tabella 3b per l’intero set di dati

78 Tabella 3b. Valori delle principali molecole bioattive negli oli analizzati in funzione dell’intero set di cultivar analizzato

Composti -tocoferolo -carotene Luteina Squalene Cultivar n α β fenolici (mg/kg) (mg/kg) (mg/kg) (mg/100g) (mg/kg)

Biancolilla 1 221 3.1 2.6 902 243 Carpinetana 3 187±28 3.0±0.9 4.3±1.0 582±67 428±6 Castiglionese 1 203 2.5 4.3 630 400 Cerasuola 1 173 5.5 3.0 688 295 Cucco 1 154 3.1 3.1 863 472 Dritta 6 159±24 2.3±0.7 3.3±0.4 484±158 450±110 Gentile dell’A- 1 quila 179 4.5 2.8 908 187 Grignano 4 159±21 2.0±1.0 3.9±0.7 826±75 300±144 I77 1 220 5.5 3.6 865 194 Intosso 5 235±9 3.1±1.3 3.5±1.3 707±73 393±42 Leccino 5 266±53 3.2±1.3 4.1±1.4 520±36 246±59 Leccio del Cor- 1 no 198 1.9 2.7 648 206 Monicella 1 154 2.1 2.8 554 347 Moresca 1 205 3.4 6.7 810 264 Nebbio 1 177 2.7 2.4 663 230 Nocellara 1 131 4.4 2.8 1107 237 Peranzana 1 180 3.3 3.2 778 293 Picholine 1 236 1.9 2.0 657 549 Posola 1 262 1.7 3.8 303 526 Posolella 1 205 2.3 3.7 358 393 Rustica 6 214±34 2.9±1.3 3.5±1.4 683±113 213±82 Toccolana 1 161 2.4 3.0 672 394 Tonda Iblea 1 150 4.3 2.9 1098 289 Verdello 1 145 5.7 5.7 935 200

79 α-TOCOFEROLO Tra i componenti lipofili dell’insaponificabile dell’EVOO, l’α-tocoferolo è particolarmente importante in quanto, insieme con composti fenolici, agisce come scavenger dei radica- li lipidici, inibendo la foto-ossidazione causata dall'ossigeno singoletto (Kamal-Elding e Appelqvist 1996), e aumentando la stabilità ossidativa dell’EVOO in presenza di luce. Per quanto riguarda gli aspetti nutrizionali dell’α-tocoferolo, tra le sue tante funzioni, la prin- cipale è legata alla sua azione di protezione dal processo di perossidazione degli acidi grassi poli-insaturi presenti nei fosfolipidi di membrana (Packer 1994). In accordo con i risultati precedenti (Sakouhi et al. 2008; Leòn et al. 2011), le differenze riscontrate in quantità α-tocoferolo nei nostri campioni sono legate particolarmente alle caratteristiche genotipi- che e al comportamento metabolico di ogni cultivar (con valori che variano da 159±21 mg/ kg nella cultivar Grignano a 266±53 mg/kg nella cultivar Leccino (Tabella 3; p <0.01)), mentre non risentono in forma significativa delle diverse condizioni ambientali della zona di produzione e del tipo di estrazione cui sono stati sottoposti (Tabella 2; NS).

SQUALENE Anche se non gioca un ruolo essenziale nella stabilità dell’EVOO (Psomiadou e Tsimidou 1999), la capacità di “chain breacking” dello squalene (Velasco & Dobarganes 2002) lo ren- de particolarmente rilevante per la rigenerazione dell’α-tocoferolo dal tocopheroxyl radicale (Manzi, Panfili, Esti e Pizzoferrato 1998). Più volte riportata è anche l'azione chemio-pro- tettiva dello squalene nei confronti dello svilupparsi di alcuni tumori (Peluso et al. 2017).

Nei campioni analizzati sono state riscontrate differenze statisticamente significative del contenuto di squalene nelle diverse cultivar (Tabella 3; p<0.01, con dati che vanno da 473±67 mg/100 g nella cultivar Gentile di Chieti a 826±75 mg/100 g nella cultivar Gri- gnano), e tra le diverse aree geografiche, con i valori più bassi riscontrati nel centro Italia (588±153 e 656±154 mg/100 g rispettivamente nelle zone costiere e collinari dell’Abruz- zo), valore intermedi nel Nord (826±75 mg/100 g) e valori più elevati in Sicilia (924±163 mg/100g) (Tabella 2, p<0.005). Nessuna differenza statisticamente significativa è stata ri- levata nelle quantità di squalene in funzione del periodo di raccolta e del tipo di decanter utilizzato per la preparazione di olio.

CAROTENOIDI I carotenoidi nell’EVOO sono considerati forti inibitori naturali della foto-ossidazione a basse temperature (Rahmani e Saari Csallany 1998). I nostri risultati sul contenuto di β-carotene e luteina nei diversi gruppi analizzati non appaiono in completo accordo con i dati precedentemente pubblicati da Gimeno (Gimeno et al. 2002), che ha descritto un aumento di β-carotene durante la maturazione. Negli oli analizzati nel corso del presente studio non è stata riscontrata alcuna differenza significativa nel contenuto di β-carotene e luteina (Tabella 2) tra gli oli prodotti prima e dopo il 31 di ottobre (3,1±1,2 vs 2,9±1,7 mg/kg Ns; 3,7±1,0 vs 3,3±1,3 mg/kg Ns rispettivamente per β-carotene e luteina), proba- bilmente per il fatto che avendo prodotto gli oli in aree diverse e da cultivar con diversa precocità di maturazione ha determinato un aumento della varianza nei risultati e nascosto l’eventuale aumento di carotenoidi dovuti all’avanzare della maturazione. Differenze sono state invece riscontrate tra le diverse aree di produzione, con quantità significativamente più elevate di β-carotene rilevate negli oli prodotti al sud, intermedi in centro Italia e inferiori al nord (p <0,05, 4,4±1,4 mg/kg in Sicilia, 2,0±1,0 mg/kg in Veneto, 2,8±1,3 e 3,0±1,1 mg/ kg in Abruzzo, zona costiera e zona collinare, rispettivamente).

80 COMPOSTI FENOLICI I composti fenolici idrofili presenti nell’EVOO sono indubbiamente i composti più impor- tanti per determinarne la stabilità ossidativa e, per le loro caratteristiche antiossidanti, anti- infiammatorie, antiaritmiche e antimicrobiche, sono composti estremamente benefici per la salute del consumatore (Covas et al. 2006). Nelle drupe di olivo i fenoli maggiormente presenti sono l’oleuropeina, la demetiloleuropeina, il ligstroside e il nuzhenide (Servili et al. 2004). Questi composti sono idrolizzati durante la frangitura e la gramolatura da reazioni enzimatiche catalizzate da α-glucosidasi endogene con la formazione di secoiridoidi che sono, a loro volta, i composti fenolici più abbondanti che si trovano dell’EVOO (Servili et al. 2004). La presenza, in quantità e qualità, di composti fenolici nelle drupe di oliva e nell’olio prodotto dalle olive dipende principalmente da fattori ambientali (disponibilità di acqua durante la crescita delle drupe, Servili et al. 2007), dal grado di maturazione dei frutti al momento della raccolta (Dagdelen et al. 2013), dai fattori genetici (Aparicio et al. 2002) e, per quanto riguarda l’olio, dalla tecnologia adottata per la sua estrazione dalle drupe e separazione dalla fase acquosa e dalle sanse (Pastore et al. 2014).

A conferma di ciò, nei nostri dati è stata rilevata una elevata variabilità nel contenuto di fenoli totali tra le diverse cultivar (p<0.01 con valori che oscillano da 213±82 mg/kg nella cultivar Rustica a 450±110 mg/kg nella cultivar Dritta) (Tabella 3) e tra le diverse zone di produzione (300±143, 373±117, 277±114 e 254±36 mg/kg, nel nord, centro-zona costie- ra, centro-zona collinare, e sud Italia rispettivamente) (Tabella 2). Tuttavia, le principali va- riabili che determinano le quantità di fenoli riscontrate negli oli sono risultate essere il tipo di decanter utilizzato durante l’estrazione e la fase di maturazione delle olive al momento della raccolta.

I nostri dati infatti indicano come l’uso di un decanter a due fasi (che non necessita di alcu- na aggiunta di acqua durante gramolatura) è in grado di preservare 1,5 volte più composti fenolici rispetto a un decanter a 3 fasi (375±118 Vs 246±109 mg/kg rispettivamente). Per quanto riguarda l’effetto della fase di maturazione, è riportato nella letteratura scientifica che il contenuto di oleuropeina nelle drupe diminuisce significativamente durante la matu- razione dei frutti, particolarmente nella fase di invaiatura (Gomez-Rico et al. 2008), a causa dell’attività di enzimi idrolitici e esterasi, che determinano la divisione dell’oleuropeina nel suo aglicone e glucosio e a acido elenolico e idrossitirosolo (Ye et al. 2014). A conferma di ciò, negli oli da noi analizzati sono stati rilevate quantità di fenoli significativamente più elevate negli oli prodotti da olive raccolte e molite precocemente (entro il 30 di ottobre) rispetto a quelli prodotti da drupe raccolte in novembre e dicembre (Tabella 1; 356±113 vs 256±109 mg/kg, rispettivamente).

SECOIRIDOIDI Per quanto riguarda i diversi composti fenolici, i secoiridoidi​​ (legati al 3,4-DHPEA e al p- HPEA) rappresentano approssimativamente il 90% dei composti fenolici totale dell’EVOO (de la Torre-Carbot et al. 2005). Negli oli prodotti da tutte le cultivar da noi analizzate, i se- coiridoidi più abbondanti sono risultati essere quelli legati al 3,4-DHPEA (Tabella 4, la tabella riporta i dati relativi alle cultivar di cui almeno tre campioni erano disponibili in tre diverse aziende agricole. L’intero set di dati è riportato nella Tabella 4B), con valori fluttuanti tra il 57 e il 74% del totale dei derivati ​​secoiridoidici, eccetto per la cultivar “Rustica” che contiene quantità equivalenti di derivati dal 3,4-DHPEA e p-HPEA. Questo aspetto è estremamente importante sia per quanto riguarda la stabilità dell’olio, che dal punto di vista nutrizionale e organolettico. E’ infatti riportato che le proprietà benefiche risiedano in misura maggiore nelle forme complesse legate al 3,4-DHPEA piuttosto che in quelle legate al p-HPEA.

81 Né la zona di produzione né il livello di maturazione delle drupe è risultato avere un effetto sul rapporto tra le quantità di secoiridoidi legati al 3,4-DHPEA e al p-HPEA (Tabella 5). Un dato particolarmente interessante, a nostra conoscenza non ancora descritto nella let- teratura scientifica, riguarda il fatto che il metodo di estrazione sembra poter influenzare il rapporto tra i secoiridoidi derivati da 3,4-DHPEA e p-HPEA. Infatti, come riportato nella Tabella 6, gli oli estratti con decanter a 2 fasi hanno mostrato una frazione percentuale di secoiridoidi legati al 3,4-DHPEA e p-HPEA maggiore rispetto agli oli estratti con decanter a due fasi (p<0.05; 64.3±8.3 Vs 53.6±11.9 % rispettivamente).

Tabella 4. Valori di tirosolo, idrossitirosolo e dei principali secoiridoidi riscontrati nei diversi oli mono- varietali (mg/kg; media±SD)

Cultivar p-HPEA 3,4-DHPEA 3,4-DHPEA-EDA 3,4-DHPEA-EA p-HPEA-EDA p-HPEA-EA

Carpinetana 3.5±1.6 4.9±1.3AB 94.8±10.5 168.2±46.7AB 44.4±5.8B 47.2±3.1AB Dritta 4.1±0.7 5.0±1.5AB 77.7±35.5 187.5±63.6A 53.4±11.5B 80.9±37.6A Gentile di Chieti 3.0±0.4 2.7±0.1AB 75.9±16.7 105.1±8.4AB 76.3±1.4AB 44.6±6.7AB Grignano 4.0±0.8 2.6±1.4AB 81.9±84.2 77.3±57.5B 51.9±22.4B 32.1±18.0AB Intosso 6.3±1.6 7.1±3.8A 86.0±16.8 142.3±30.2AB 83.8±21.5A 74.8±21.3A Leccino 4.8±1.3 3.9±1.1AB 87.5±23.0 48.6±30.3B 53.4±10.6AB 18.1±4.9B Rustica 3.6±2.5 2.2±1.9B 33.7±33.3 63.0±38.8B 53.4±16.9B 39.6±27.4AB NS <0.05 NS <0.05 <0.01 <0.01 Lettere differenti per Colonna indicano significatività statistica p<0.05; La tabella riporta I dati per quelle cultivar per le quali sono disponibili almeno 3 campioni raccolti in tre aziende differenti. Vedere la tabella 4b per l’intero set di dati

82 Tabella 4b. Valori delle principali molecole bioattive negli oli analizzati in funzione dell’area di produ- zione, il tipo di decanter e l’epoca di raccolta (media±SD)

Cultivar n p-HPEA 3,4-DHPEA 3,4-DHPEA-EDA 3,4-DHPEA-EA p-HPEA-EDA p-HPEA-EA Biancolilla 1 4.0 3.6 72.2 55.3 47.7 37.7 Carpinetana 3 3.5±1.6 4.9±1.3 94.8±10.5 168.2±46.7 44.4±5.8 47.2±3.1 Castiglionese 1 3.2 4.7 92.2 146.0 37.8 41.4 Cerasuola 1 6.5 3.1 102.8 86.1 61.3 17.0 Cucco 1 6.6 3.9 50.1 54.7 132.9 69.2 Dritta 6 4.1±0.7 5.0±1.5 77.7±35.5 187.5±63.6 53.4±11.5 80.9±37.6 Gentile dell’Aquila 1 4.9 1.8 69.0 37.8 23.7 15.4 Gentile di Chieti 3 3.0±0.4 2.7±0.1 75.9±16.7 105.1±8.4 76.3±1.4 44.6±6.7 Grignano 4 4.0±0.8 2.6±1.4 81.9±84.2 77.3±57.5 51.9±22.4 32.1±18.0 I77 1 3.3 8.3 103.5 52.2 30.3 8.9 Intosso 5 6.3±1.6 7.1±3.8 86.0±16.8 142.3±30.2 83.8±21.5 74.8±21.3 Leccino 5 4.8±1.3 3.9±1.1 87.5±23.0 48.6±30.3 53.4±10.6 18.1±4.9 Leccio del Corno 1 2.5 0.5 13.5 35.7 3.6 8.1 Monicella 1 2.5 4.0 55.3 143.4 48.6 52.0 Moresca 1 2.1 2.2 33.5 90.7 27.8 20.8 Nebbio 1 1.9 3.1 77.9 90.9 28.1 14.8 Nocellara 1 2.3 1.6 78.0 41.6 71.1 13.4 Peranzana 1 2.5 1.5 43.4 66.3 43.4 31.2 Picholine 1 5.6 5.3 100.3 179.7 83.1 120.1 Posola 1 6.0 7.5 35.5 182.8 28.7 126.2 Posolella 1 4.2 3.9 70.2 180.5 32.8 47.1 Rustica 6 3.6±2.5 2.2±1.9 33.7±33.3 63.0±38.8 53.3±16.9 39.6±27.4 Toccolana 1 5.3 5.9 68.4 144.6 52.9 76.9 Tonda Iblea 1 4.0 2.1 49.1 34.3 72.6 24.9 Verdello 1 3.3 2.3 24.7 106.6 36.5 20.6

Tabella 5. Valori di tirosolo, idrossitirosolo e dei secoiridoidi in funzione dell’area di produzione, il tipo di decanter e l’epoca di raccolta (media±SD)

Totale Area Decanter Raccolta Abruzzo, Abruzzo, Veneto Sicilia 2 fasi 3 fasi ≤ 31 Ott ≥1 Nov Costa interno

p-HPEA (mg/kg) 4.7±4.1 4.0±0.8AB 4.6±1.6AB 3.9±2.0A 7.7±11.2B 5.4±5.1D 3.6±1.5C 4.3±1.7 5.7±7.0 3,4-DHPEA (mg/kg) 5.3±9.0 2.6±1.4A 5.0±2.5B 3.3±2.3A 12.7±25B 6.8±11.2D 2.9±1.8C 4.5±2.6 7.1±16.1 3,4-DHPEA-EDA (mg/kg) 68.8±37.4 82±84AB 82±21B 45±36A 60±28AB 79±35D 53±35C 72±39 62±32 3,4-DHPEA-EA (mg/kg) 106±62 77±57 124±65 96±60 69±29 125±67 75±37 120±64 73.6±42.5 p-HPEA-EDA (mg/kg) 55.5±24.1 52±22 61±26 47±21 53±18 59±25 51±5 57±24 51±23 p-HPEA-EA (mg/kg) 47.4±33.4 32±18 55±37 48±31 22±8 55±35D 35±27C 54±34F 32±29E Lettere differenti sulla stessa riga indicano significatività statistica, p<0.05 (A-B tra le aree di produzione; C-D tra i decanter; E-F tra i periodi di raccolta)

83 Tabella 6. Rapporto tra i derivati di 3,4-DHPEA and p-HPEA sul totale dei secoiridoidi in oli estratti con decanter a 2 e 3 fasi

Totale Decanter P 2-fasi 3-fasi % % %

Derivati da 3,4-DHPEA 60.1±11 64.3±8.3 53.6±11.9 0.07 Derivati da p-HPEA 39.9±11 35.±18.3 46.4±11.9

ACIDI GRASSI Tabella 7 riporta la composizione in acidi grassi (FA) degli oli analizzati (la tabella riporta i dati relativi alle cultivar di cui almeno tre campioni erano disponibili in tre diverse aziende agricole. Vedere la Tabella 7B dati per l’intero set di data). La percentuale di grassi insaturi rispetto al totale varia dal 77,8% (Cultivar Moresca) all’86,4% (cultivar Grignano). Come atteso, il tipo di decanter utilizzato per l’estrazione non influenza la composizione in acidi grassi. Una diminuzione maturazione-dipendente di acidi grassi insaturi (principalmente acido oleico) e aumento di quelli saturi (principalmente acido stearico) (Salvador et al. 2001), non sono stati notati nei nostri campioni, probabilmente perché l’analisi statistica è stata effettuata sulla base della data di raccolta che non sempre corrisponde al reale stadio di maturazione di olive di cultivar diverse coltivate in ambienti differenti.

Al contrario una chiara differenza statisticamente significativa nella quantità di acidi grassi insaturi è stata trovata rispetto alla zona di coltivazione (p<0,0001) con la minima quantità di acidi grassi insaturi (80,1 ± 2,4%) nella zona più calda (Sicilia, nel sud Italia), valori intermedi al centro (82,7±1,8 e 84,3±1,3% vicino al costo e, rispettivamente, le colline) ei valori più alti (85,8±0,7) nella zona più fredda (nel nord Italia).

Tabella 7. Composizione in acidi grassi (%) negli oli monovarietali analizzati

Cultivar C16:0 C16:1 C18:0 C18:1 C18:2 C18:3 C20:0 C20:1 C22:0

Carpinetana 12,1 B 0,5 C 3,0 A 71,2AB 11,3AB 0,7 0,4 A 0,2AB 0.1 Dritta 14,0 AB 0,9 ABC 2,9 A 73,3AB 7,5 BC 0,6 0,4 A 0,2 B 0.1 Gentile di Chieti 16.5 A 1,1 AB 2,5 AB 66.4 B 11.8A 0,7 0,4 AB 0,2 B 0.A Intosso 12,3 B 0,6 C 2,6 A 75,7 A 6,8 BC 0,7 0,4 A 0,3 A 0.1 Leccino 15,3 B 1,2 A 1,9 C 74,1A 6,1 C 0,7 0,3 B 0,2B 0.1 Rustica 11,9 B 0,7 C 2,6 AB 75,5 A 7,5 BC 0,6 0,4 A 0,3AB 0.1 Grignano 11,6 B 0,8 BC 2,2 BC 78,6 A 5,5 C 0,6 0,3 B 0,3AB 0.1 Lettere differenti per Colonna indicano significatività statistica p<0.05; La tabella riporta I dati per quelle cultivar per le quali sono disponibili almeno 3 campioni raccolti in tre aziende differenti. Vedere la tabella 7b per l’intero set di dati

84 Tabella 7b. Composizione in acidi grassi (%) nell’intero set di oli monovarietali analizzati

Cultivar Regione C16:0 C16:1 C18:0 C18:1 C18:2 C18:3 C20:0 C20:1 C22:0

Carpinetana A 12,1 A 0,5 AB 3,0 C 71,2BCDE 11,3BCD 0,7 BC 0,4 B 0,2ABC 0.1 A Castiglionese A 13,6 AB 0,1 BCDE 2,1 AB 74,3CDE 7,3 AB 0,8 BC 0,4 AB 0,2ABC 0.1 A Cucco A 14,8 AB 1,3 CDE 2,0 AB 73,3BCDE 7,0 AB 0,6ABC 0,4 AB 0,3ABC 0.1 A Dritta A 14,0 AB 0,9 BC 2,9 C 73,3CDE 7,5 AB 0,6ABC 0,4 AB 0,2 AB 0.1 A Gentile dell'Aquila A 13.2 AB 0,8 ABC 2,0 AB 76,1 DE 6,5 AB 0,7 BC 0,3 AB 0,3 BC 0.1 A Gentile di Chieti A 18,3 B 1,3 CDE 2,7 BC 61,6 A 14,4 D 0,7ABC 0,4 AB 0,2 A 0.1 A I77 A 13,1 AB 0,6 AB 1,7 A 76,8 DE 6,2 AB 0,8 BC 0,3 A 0,3 C 0.1 A Intosso A 12,3 A 0,6 AB 2,6 BC 75,7 DE 6,8 AB 0,7 BC 0,4 B 0,3 C 0.1 A Leccino A 15,3 B 1,2 CDE 1,9 A 74,1CDE 6,1 A 0,7ABC 0,3 A 0,2ABC 0.1 A Leccio del Corno A 13,4 AB 1,0 BCD 1,6 A 74,7CDE 7,9 ABCD 0,8 C 0,3 A 0,3ABC 0.1 A Monicella A 13,9 AB 0,9 BCD 2,3ABC 74,3CDE 7,5 AB 0,5 A 0,3 A 0,2 AB 0.1 A Nebbio A 16,4 B 1,1 BCDE 1,8 A 70,9ABCDE 8,4ABCD 0,8 C 0,3 A 0,2ABC 0.1 A Peranzana A 14,0 AB 1,0 BCD 2,2ABC 72,7BCDE 8,7ABCD 0,7ABC 0,3 AB 0,3ABC 0.1 A Picholine A 13,5 AB 0,9 ABC 2,3ABC 74,3CDE 7,6ABC 0,8 BC 0,3 AB 0,3ABC 0.1 A Posola A 17,6 B 1,7 DE 2,1 AB 62,7AB 14,1 CD 0,7 BC 0,3 A 0,2 AB 0.1 A Posolella A 13,0 AB 0,8 ABC 2,3ABC 74,0CDE 8,5ABCD 0,7ABC 0,3 AB 0,2ABC 0.1 A Rustica A 11,9 A 0,7 AB 2,6 BC 75,5 DE 7,5 AB 0,6ABC 0,4 AB 0,3BC 0.1 A Toccolana A 14,5 AB 1,0 BCDE 2,1 AB 70,1ABCDE 10,4ABCD 0,5 AB 0,3 A 0,2ABC 0.1 A Grignano V 11,6 A 0,7 ABC 2,2 AB 78,6 E 5,5 A 0,6ABC 0,3 A 0,3ABC 0.1 A Biancolilla S 18,3 B 1,2 CDE 2,4ABC 68,0ABCD 8,6ABCD 0,6ABC 0,3 A 0,2 AB 0.1 A Cerasuola S 12,4 AB 1,1 BCDE 2,9 C 74,5CDE 8,8ABCD 0,6ABC 0,4 AB 0,3 C 0.1 A Moresca S 18,8 B 2,0 E 2,5ABC 65,3ABC 9,6ABCD 0,7 BC 0,3 A 0,2 AB 0.1 A Nocellara S 15,7 B 1,1 BCDE 3,1 C 70,4ABCDE 8,3ABCD 0,7 BC 0,4 AB 0,2 AB 0.1 A Tonda Iblea S 18,6 B 1,3 CDE 2,5ABC 67,4ABCD 8,7ABCD 0,8 C 0,3 A 0,2 AB 0.1 A Verdello S 16,8 B 1,1 BCDE 1,7 A 69,5ABCDE 9,2ABCD 0,7 BC 0,3 A 0.3 C 0.1 A Regione: A: Abruzzo, V: Veneto, S:Sicilia. Lettere differenti per Colonna indicano significatività statistica p<0.05

Gli oli monovarietali prodotti da tutte le cultivar analizzate sono risultati essere di elevatis- CONCLUSIONI sima qualità merceologica, nutrizionale e organolettica. Di eccellente qualità sono risultati essere tutti gli oli campionati in Veneto e in Abruzzo, ma vale la pena riportare che par- ticolarmente soddisfacenti sono risultate le analisi condotte anche sugli oli siciliani che, pur essendo stati prodotti in una annata particolarmente sfavorevole sia quantitativamente che qualitativamente (il 2014), sono risultati essere oli di eccellente qualità nutrizionale e organolettica.

La produzione di oli monovarietali di elevata qualità potrebbe e dovrebbe essere la via per il rilancio della filiera olivicola italiana, e il mezzo per educare il consumatore all’uso di oli di oliva dotati di peculiari caratteristiche salutistiche e organolettiche da contrapporre alle

85 produzioni “di massa” proposte dalla grande distribuzione, produzioni che molto spesso soffocano i piccoli e medi produttori che sarebbero invece in grado di offrire una produzio- ne di qualità notevolmente più elevata.

Tuttavia, è estremamente importante puntualizzare che un olio prodotto da olive non può essere “di qualità” per il semplice fatto di essere monovarietale. La cultivar dell’olivo semplice- mente offre le potenzialità di qualità nutrizionale, organolettica e merceologica. Ma per poter trasferire queste ottime potenzialità nel prodotto finale, l’olio extravergine di oliva, è assoluta- mente necessaria una perfetta e corretta gestione tutti gli altri fattori ambientali, agronomici e, soprattutto, tecnologici che co-agiscono nella determinazione della qualità dell’olio stesso, particolarmente riguardo la presenza di composti fenolici nel prodotto finito.

Infatti i nostri dati indicano che, mentre l’α-tocoferolo è legato essenzialmente alle ca- ratteristiche genotipiche di ogni cultivar e la concentrazione di squalene è collegata alla zona di crescita delle olive. La presenza di composti fenolici, oltre a essere strettamente legata alla cultivar di olivo, è fortemente influenzata dal livello di maturazione delle olive al momento del raccolto e, ancor di più, dalla scelta del tipo di decanter utilizzato durante i processi di molitura delle stesse olive. I nostri dati suggeriscono inoltre che esiste la possibi- lità che il tipo di decanter possa anche influenzare il rapporto fra i secoiridoidi derivati da 3,4-DHPEA e p-HPEA e le quantità di secoiridoidi totali.

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88 IL FINGERPRINT MOLECOLARE COME STRUMENTO AL SERVIZIO DELLA TRACCIABILITÀ IN PYRUS COMMUNIS, OLEA EUROPAEA, TRITICUM AESTIVUM E TRITICUM DURUM

Forte V., Ambra R., Pastore G., Lucchetti S. CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

La tracciabilità viene utilizzata da molti anni nel settore degli alimenti come strumento INTRODUZIONE utile per garantire sicurezza dal punto di vista nutrizionale e salutistico. La trasparenza e la sicurezza ostentate dai metodi di tracciabilità classici (analisi morfologiche e chimico- fisiche), però, non sempre sono risultate facilmente raggiungibili poiché i descrittori usati con tali metodologie sono condizionati da fattori agronomici, che possono portare a dubbi ed incertezze sulla natura e composizione delle matrici analizzate.

Nel corso degli anni, metodi e protocolli scientifici sono evoluti parallelamente alle nuove esigenze sorte in tema di tracciabilità degli alimenti. I nuovi protocolli quindi sono divenuti potenti strumenti messi al servizio della sicurezza alimentare per garantire la qualità degli alimenti, identificare e descrivere nuove specie, riconoscere sinonimi nella nomenclatura corrente, accertare origine e qualità di matrici alimentari complesse e di prodotti che sem- pre più frequentemente entrano nei mercati in modo anonimo, a volte illegalmente, e nel complesso, per la difesa di una biodiversità ritenuta fonte di benefici e risorse importanti per l’uomo.

Oggi le analisi molecolari vengono usate routinariamente per scopi tassonomici, filoge- netici ecologici e legali (Agarwal et al., 2008) offrendo un grosso supporto alle metodiche tradizionali anche nel caso di prodotti di particolare pregio come DOP (Denominazione di Origine Protetta), DOC e/o DOCG (Denominazione di Origine Controllata e Garantita) dove, anche se non previsto dai disciplinari, l’approccio integrato mediante metodi vecchi e nuovi, permette di garantire al meglio origine e salubrità dei prodotti oltre che evitare fro- di troppo spesso presenti sul mercato (Cappellehi & Nicoletti 2007; Martins-Lopes et al., 2007; Pasqualone et al., 2007; Lucchetti et al., 2018; Woolfe & Primrose, 2004).

La tracciabilità molecolare ha il vantaggio di far uso di descrittori, ovvero marcatori mole- colari, che caratterizzano il DNA, una molecola piuttosto stabile e resistente a interferenze di tipo pedoclimatico o fisiopatologico.

I microsatelliti o Simple Sequence Repeats (SSR), in particolare, rappresentano la classe di marcatori molecolari più usati nel settore degli alimenti e, per la loro versatilità, semplicità d’uso e i risultati affidabili, sono largamente impiegati in ambiti anche molto lontani da quello del food come ad esempio forense o medico (Peres et al., 2007).

IL DNA Il fondamento della tracciabilità molecolare è l’analisi del DNA residuale negli alimenti. Il DNA è una molecola poco suscettibile ad interferenze interne ed esterne ed inoltre è stabile nel tempo, se non per i fenomeni associati all’evoluzione della specie, permettendo così di caratterizzare in modo esclusivo la matrice esaminata senza dubbi generati da variabili che potrebbero influenzarne i risultati. Questo presupposto fornisce la certezza che nella stessa matrice il DNA sia identico indipendentemente dallo stadio di crescita, dalle condizioni ambientali in cui è stato effettuato il campionamento o dal tipo di matrice di cui si tratti, sia essa grezza o trasformata.

89 Estrarre il DNA dalle matrici in quantità e di qualità sufficiente da poter essere utilizzato per la sua caratterizzazione non è sempre facile. I processi tecnologici, infatti, possono essere così drastici da danneggiare fortemente il DNA e da renderne difficile o impossibile il suo studio.

In tale contesto la scelta di una strategia ottimale per l’estrazione del DNA o/e di un ido- neo tipo di marcatore possono concorrere in modo fondamentale alla buona riuscita dello studio del DNA e quindi alla caratterizzazione della matrice alimentare da cui è estratto.

L’ESTRAZIONE DEL DNA Molti sono i metodi disponibili in commercio per l’estrazione del DNA basati anche su principi diversi ma tutti che presentano vantaggi e svantaggi.

METODO FENOLO/CLOROFORMIO Con questo metodo le cellule sono lisate in opportuni buffer contenenti detergenti e pro- teinasi K. In tali condizioni si disgregano le membrane cellulari, si aggregano le proteine e precipitano gli acidi nucleici. Il successivo trattamento con solventi organici permette di separare i diversi componenti e, conseguentemente, di isolare gli acidi nucleici da cui recu- perare il DNA attraverso una precipitazione con cloruro di sodio ed etanolo.

KIT COMMERCIALI Esistono in commercio diverse tipologie di kit, le cui procedure sono ottimizzate per l’e- strazione di DNA da diversi tipi di matrici. L’estrazione con kit permette di semplificare molto le procedure estrattive e di recuperare materiale di ottima qualità anche se hanno lo svantaggio di essere sistemi più costosi e, in genere, di non permettere il recupero di grosse quantità di acidi nucleici.

I kit in una prima fase prevedono l’uso di un buffer contenente sali caotropici che favori- scono la lisi delle cellule e la denaturazione delle molecole organiche presenti nella matrice alimentare. Nel successivo step il passaggio del materiale lisato su colonnine di silice per- mette di eseguire una cromatografia (scambio ionico, affinità o esclusione) che consente di rimuovere i detriti cellulari ed isolare il DNA. Alternativamente il materiale lisato può esse- re purificato attraverso l’uso di biglie magnetiche rivestite da materiali che legano in modo esclusivo il DNA. Successivamente, mediante un magnete le biglie vengono recuperate dal sovranatante contenente gli scarti cellulari e il DNA ad esse legato viene rilasciato.

SALTING OUT Il metodo del Salting out sfrutta il principio delle diverse solubilità delle molecole, dovute alle loro peculiari caratteristiche chimico/fisiche, al fine di separarle. Ha il vantaggio di non far uso di solventi nocivi.

I MARCATORI MOLECOLARI I marcatori consentono di identificare i polimorfismi (sostituzione, inserzioni e delezioni di nucleotidi o di frammenti genomici) associati ad uno specifico DNA.

Esistono molte tipologie di marcatori (classi) con specificità, applicazioni, vantaggi e svan- taggi proprie, ma utili a soddisfare le esigenze più variegate.

I marcatori corrispondono a specifici tratti di DNA particolarmente variabili (polimorfici)

90 tra individui e sono ereditabili secondo i principi mendeliani. Tali polimorfismi non sono soggetti a perturbazioni di tipo estrinseche e/o intrinseche, pertanto il loro studio consente di definire uno specifico fingerprint che permette di discriminare in modo univoco una cultivar o un individuo (Williams, et al. 1990; Hayden & Sharp 2001; Aitken et al., 2005).

Lo studio combinato di più marcatori e dei polimorfismi ad essi associati in uno specifico DNA permette di costruire una mappa di un genoma (fingerprint) che consente di discri- minare in modo specifico ed univoco (genotipizzare) quello specifico genoma.

I diversi tipi di marcatori genetici sono suddivisi in classi che tengono conto delle loro caratteristiche, le classi sono a loro volta raggruppate in due principali categorie che invece tengono conto della tecnica attraverso cui possono essere studiati:

1) Southern Blot (tecnica di ibridazione)

2) PCR (Polymerase Chain Reaction, amplificazione)

1) Marcatori analizzati mediante ibridazione Gli RFLP (Restriction Fragment Length Polymorphisms) se molto utilizzati in passa- to, per la caratterizzazione genomica, sono oggi in disuso oggi poiché la tecnica richie- sta per il loro studio è lunga e costosa. Per l’analisi degli RFLP il DNA genomico viene ristretto con specifici enzimi e successivamente analizzato attraverso l’uso di specifiche sonde, marcate, che consentono di rilevare il profilo dei frammenti di restrizione otte- nuto. Un pattern di restrizione diverso in genomi diversi, utilizzando lo stesso enzima, è indice della presenza di polimorfismi (Botstein et al., 1980).

2) Marcatori analizzati mediante PCR a) I RAPD (Random Amplification of Polymorphic DNAs) consentono di rilevare poli- morfismi localizzati nei siti di legame al DNA dei primer utilizzati per l’amplificazione (Williams et al., 1991). Per ciascuna amplificazione anziché usare una coppia di pri- mer, come accade normalmente, si utilizza di fatto una miscela di primer costituita da brevi oligonucleotidi a sequenza random. Nel caso dei RAPD un diverso pattern di amplificazione (fingerprint) tra campioni in cui è stata usata la stessa miscela di primer è indice della presenza di polimorfismi. Questi sono da imputare al riconoscimento da parte dei primer di sequenze nucleoti- diche diverse o alle sequenze comprese tra due primer sul DNA stampo. Lo svantaggio dell’uso di questi primer è che i risultati sono scarsamente riproducibili ed è impossibile distinguere gli omozigoti dagli eterozigoti. b) Gli AFLP (Amplified Fragment Length Polymorphisms) (Vos et al., 1995) rappre- sentano la versione innovativa degli RFLP. Come con gli RFLP si procede ad una restrizione del genoma solo che in questo caso ai frammenti generati vengono legati degli specifici adattatori che ne permettono poi la successiva amplificazione. Il diverso pattern di amplificazione in genomi diversi ristretti con lo stesso enzima indica la pre- senza di polimorfismi. La tecnica è molto sicura e riproducibile anche se dispendiosa. c) Gli SNP (Single Nucleotide Polymorfism) (Collins et al., 1998), che rappresenta- no le mutazioni di singoli nucleotidi genomici, sono molto usati attualmente perché sono molto presenti ed anche ben distribuiti nei genomi di tutti gli organismi viventi. (Ching et al., 2002; Sachidanandam et al., 2001). È molto diffuso utilizzare gli SNP per genotipizzare soprattutto perché questi vengo- no studiati attraverso i microarrays (chip a DNA) che consentono di lavorare su un gran numero di campioni e quindi rilevare, contemporaneamente, un gran numero di informazioni e conseguentemente di poter effettuare studi di popolazione, mappe

91 genetiche ad alta densità di informazioni, caratterizzazioni varietali, tutti su larga scala e in tempi rapidi (Sobrino et al., 2005). I polimorfismi associati agli SNP, nell’uomo, sono molto informativi in quanto sono spesso riconducibili a malattie molto diffuse. L’utilizzo degli SNP ha lo svantaggio di richiedere, come presupposto, che sia nota la sequenza del genoma sottoposto ad analisi, condizione non sempre raggiungibile con facilità. d) La classe dei Simple Sequence Repeats (SSR) o microsatelliti (Tautz & Renz, 1984) è largamente utilizzata anche in ambiti molto distanti tra loro come quello forense, medico, la caratterizzazione dei germoplasma o nell’ambito degli alimenti (Alba et al., 2009; Dixon et al., 2007; Rakoczy-Trojanowska & Bolibok, 2004; Chen & Du 2006; Queiroz et al., 2015; Elkins, 2013). La loro versatilità, la riproducibilità sperimentale, il semplice utilizzo ed i costi contenuti ne giustificano il largo impiego. Gli SSR corrispondono a piccole regioni genomiche (100-300 paia di basi) costituite da ripetizioni in tandem di 1-6 paia di basi (Hamada et al., 1982). Gli SSR hanno la particolarità di essere altamente polimorfici, relativamente abbondanti e ben distribu- iti nei genomi sia procariotici che eucariotici, oltre ad avere l’importante carattere di essere codominanti. I polimorfismi negli SSR sono identificati dal numero di ripeti- zioni in tandem, carattere estremamente informativo, data l’alta variabilità che con- traddistingue tali regioni e che pertanto rende gli SSR strumenti di caratterizzazione molto efficaci. Poiché corrispondono a piccole regioni genomiche e in quanto richiedono poco DNA per il loro studio, gli SSR si rivelano particolarmente utili per lo studio di matrici ali- mentari soprattutto se trasformate dove il quantitativo di DNA residuo è fortemente frammentato oltre che realmente molto scarso (Powell et al., 1996; Pasqualone et al, 2004; Testolin & Lan 2005). Un ulteriore vantaggio del loro utilizzo è offerto dal fatto che gli stessi marcatori possono essere utilizzati in specie affini con un conseguente notevole risparmio in termini economici e di tempo (Field & Wills 1998; Toth et al., 2000; Rallo et al., 2003).

IL FINGERPRINT MOLECOLARE L’insieme dei polimorfismi riscontrati in un genoma ottenuto attraverso lo studio conte- stuale di un set di marcatori viene definito fingerprint molecolare.

Il fingerprint associato ad una specifica matrice, ricavato dal medesimo set di marcatori, rimane invariato indipendentemente dall’ambiente circostante, dai cambiamenti temporali e/o dalle trasformazioni tecnologiche che può subire quella data matrice.

In definitiva il fingerprint, grazie alla sua unicità, non solo riesce a ricostruire l’origine del materiale studiato, ma anche ad individuarne le possibili relazioni di specie o di parentela.

Definito il fingerprint, è necessaria una elaborazione statistica al fine di valutare l’efficienza del sistema e dei microsatelliti utilizzati oltre che per l’elaborazione vera e propria del risul- tato per il quale si è intrapreso lo studio.

Il fingerprint rappresenta sostanzialmente una certificazione di rintracciabilità e un valore aggiuntivo al il prodotto in termini di qualità e salute.

OBIETTIVO Lo scopo del presente studio è stato di caratterizzare, attraverso metodiche molecolari, pro- dotti tipici regionali di particolare pregio, considerati espressione della biodiversità regio- nale italiana. Come prodotti tipici abruzzesi sono stati usati le pere San Giovanni, i grani

92 Solina (Triticum aestivum) e Ruscia (Triticum durum). Anche alcuni campioni di olio di oliva extravergini monovarietali abruzzesi e siciliani sono stati utilizzati come campioni rappresentativi della biodiversità di tali regioni. La genotipizzazione dei prodotti è stata eseguita mediante l’impiego di marcatori molecolari SSR, adatti alla caratterizzazione di prodotti alimentari soggetti a trasformazioni tecnologiche.

PERE SAN GIOVANNI (PYRUS COMMUNIS) MATERIALI E Pere della varietà San Giovanni, originarie di Guastameroli, Casoli, Palmoli e Civitella del METODI Tronto, sono state prelevate presso il campo catalogo di Scerni (Chieti). Campionamenti multipli sono stati eseguiti su piante di ciascuna tipologia di peri. La polpa delle pere cam- pionate è stata aliquotata e congelata in azoto liquido, quindi conservata a -80°C sino al momento dell’analisi. L’estrazione del DNA è stato eseguito attraverso l’uso del kit “DNe- asy mericon Food Kit” fornito dalla ditta QIAGEN.

SOLINA (TRITICUM AESTIVUM) E RUSCIA (TRITICUM DURUM) Due varietà autoctone di frumento sono state utilizzate per tale studio: Solina (Triticum aestivum) e Ruscia (Triticum durum). 60 spighe sono state campionate per la varietà Solina, prelevate in 3 aziende abruzzesi, e 40 spighe per la varietà Ruscia, prelevate in 2 aziende, sempre abruzzesi. Nel caso del frumento il kit che ha mostrato la migliore performance estrattiva è stato il Nucleospin Food della Macherey-Nagel.

OLI MONOVARIETALI (OLEA EUROPAEA) Campioni di olio extravergine di oliva di tipo monovarietale sono stati utilizzati per lo stu- dio ed ottenuti dalle seguenti cultivar abruzzesi: Carpinetana, Castiglionese, Cucco, Dritta, Gentile dell’Aquila, Gentile di Chieti, I77, Intosso, Leccino, Leccio del Corno, Monicella, Nebbio, Picholine, Peranzana, Posola, Posolella, Rustica, Toccolana, cultivar siciliane Bian- colilla, Cerasuola, Moresca, Nocellara del belice, Tonda Iblea, Verdello e cultivar veneta Grignano. L’estrazione del DNA è stata effettuata mediante il kit “Nucleospin Food” della Macherey-Nagel.

ANALISI DEL DNA La qualità dei DNA estratti è stata preventivamente verificata mediante amplificazioni ese- guite attraverso l’impiego di specifici oligonucleotidi, appositamente disegnati, mediante l’ausilio del programma Primer 3, e complementari a specifiche regioni genomiche delle diverse specie analizzate. L’analisi elettroforetica, condotta su gel di agarosio, ha consentito di selezionare i campioni di DNA più idonei per lo studio con gli SSR.

I DNA risultati positivi al primo screening sono stati amplificati attraverso l’impiego dei marcatori SSR. Per valutare con esattezza i pesi molecolari (PM) degli amplificati è stato necessario impiegare SSR marcati con il fluoroforo 6-FAM (6-Carbossifluoresceina) ed i frammenti separati sono stati analizzati mediante sequenziatore automatico a tecnologia fluorescente. Gli elettroferogrammi ottenuti, costituiti dai picchi che corrispondono agli alleli amplificati, sono stati elaborati con il software GeneMarker. Come marcatore di peso molecolare interno è stato utilizzato lo standard GS600.

PCR Le mix di amplificazione sono state effettuate in un volume pari a 25 μl in presenza di: 1X

93 PCR buffer, 2,5 mM Mg Cl2, 0,8 mM dNTPs, 2 μl DNA genomico, 2,5 μM di ciascun primer di ogni coppia e 1U di Taq Gold polimerasi (Applied Biosystem). Le reazioni di PCR sono state condotte secondo le seguenti condizioni: denaturazione a 95°C per 10 min, quindi 35 cicli di denaturazione a 95°C per 40 s, appropriato annealing per 50 s e reazione di estensione a 72°C per 1 min. quindi un ciclo finale di estensione a 72°C per 7 min. In ciascun esperimento è stato previsto anche un controllo negativo (la stessa miscela di rea- zione degli altri campioni senza alcun DNA) e un controllo positivo (la stessa miscela di reazione degli altri campioni in cui il DNA e la coppia di primer fossero già stati collaudati e ritenuti funzionanti in altri esperimenti).

I prodotti di amplificazione sono stati analizzati su gel di agarosio al 2,2 % (precast) di FlashGel System (Lonza) ed il peso molecolare (PM) dei frammenti è stato valutato attra- verso l’impiego del FlashGel 100-4000 bp (Lonza) ladder.

RISULTATI E Per la caratterizzazione dei prodotti oggetto di studio del presente lavoro si è proceduto, innanzitutto, alla selezione di un opportuno metodo di estrazione del DNA. Il DNA infatti DISCUSSIONE rappresenta il punto nodale per uno studio in cui siano previste analisi di tipo molecolare, pertanto la scelta di una opportuna metodica di estrazione risulta fondamentale ai fini del recupero del materiale genetico che se scadente, dal punto di vista quantitativo e/o qualita- tivo, può comprometterne anche irrimediabilmente lo studio.

Nello specifico, trattandosi di matrici molto diverse tra loro, per riuscire ad identificare metodiche estrattive ottimali per ciascun tipo di matrice è stato necessario effettuare molte prove, utilizzando kit diversi, prima di raggiungere l’obiettivo.

Nel caso delle pere il risultato migliore è stato ottenuto con il DNeasy mericon Food Kit” della QIAGEN mentre è il kit della Macherey-Nagel, “Nucleospin Food” che ha mostrato la migliore performance nel caso del frumento e dell’olio. In particolare, però, la messa a punto della metodica per l’estrazione del DNA da olio ha richiesto molto più tempo in quanto il DNA che si riesce a recuperare, da tale matrice, è molto poco ed anche di catti- va qualità, problematiche imputabili al processo produttivo necessario per la produzione dell’olio stesso. Le numerose prove eseguite anche con l’ausilio del kit GenomePlex Whole Genome Amplification (WGA) (Sigma), però, non hanno consentito di migliorare signifi- cativamente la resa.

La qualità dei campioni di DNA estratti dalle tre diverse tipologie di matrici è stata valutata attraverso l’impiego di primer appositamente disegnati e corrispondenti a specifiche regioni genomiche delle specie oggetto di studio. I prodotti di amplificazione, esaminati su gel di agarosio, hanno consentito una prima selezione dei campioni di DNA idonei per la succes- siva analisi con SSR.

Gli SSR idonei per lo studio delle diverse specie sono stati selezionati attraverso la consulta- zione di banche dati, disponibili on line e/o di dati riportati in letteratura scientifica.

Per l’analisi dei quattro tipi di pere (Guastameroli, Casoli, Palmoli e Civitella del Tronto) (Tabella 1) solo 15 delle 23 coppie di primer SSR, selezionate inizialmente, sono state utili per l’analisi dei polimorfismi. L’amplificazione del DNA target mediante l’impiego di primer SSR, marcati con il fluoroforo 6-FAM e la successiva analisi dei prodotti di am- plificazione mediante elettroforesi capillare, ha permesso di rilevare con accuratezza i PM di questi al fine di identificare i polimorfismi e quindi elaborare uno specifico fingerprint per ciascuna tipologia di pera. L’osservazione dei fingerprint ottenuti ha consentito di ri- conoscere in modo univoco solo tre delle quattro tipologie di pere analizzate. I fingerprint

94 delle Guastameroli e delle Casoli, infatti, hanno permesso di discriminare le due tipologie di pere, mentre le Palmoli e le Civitella del Tronto, seppure sia possibile distinguerle dalle prime due tipologie, risultano avere un fingerprint identico tra di loro e pertanto indistin- guibili dal punto di vista genetico.

Tabella 1. Origine e nomenclatura dei campioni di pera analizzati

Guastameroli A1° A2* A3° A4* Palmoli A5° A6* A7° A8* Casoli A9° A10* A11° A12* A13° A14* Civitella del Tronto A18* A19°

Tabella 2. Origine e nomenclatura dei campioni di frumento analizzati

spiga 1 spiga 2 spiga 3 spiga 4 spiga 5

Frumento Origine Carios- Carios- Carios- Carios- Carios- Carios- Carios- Carios- Carios- Carios- side side side side side side side side side side Solina Roccaspinalveti A1 A2 A4 A5 A7 A8 A10 A11 A13 A14 (CH) Solina Castelvecchio B1 B2 B4 B5 B7 B8 B10 B11 B13 B14 Subequo (AQ) Solina Intradacqua (AQ) C1 C2 C4 C5 C7 C8 C10 C11 C13 C14 Ruscia Tal Quale Castelvecchio D1 D2 D4 D5 D7 D8 D10 D11 D13 D14 Subequo (AQ) Ruscia Selezione Castelvecchio E1 E2 E4 E5 E7 E8 E10 E11 E13 E14 Subequo (AQ)

Per la caratterizzazione dei 5 campioni di frumento (Tabella 2), tre di tenero Solina (Triti- cum aestivum) e due di duro Ruscia (Triticum durum), ciascuno proveniente da una diversa azienda, sono state utilizzate 5 spighe per campione e le analisi sono state eseguite su 10 cariossidi (due per ciascuna spiga) utilizzando 9 delle 23 coppie di primer SSR, selezionate in precedenza. I fingerprint ottenuti dallo studio dei marcatori hanno evidenziato che il Ruscia Casaole Selezione Castelvecchio Subequo (AQ), un campione ottenuto attraverso selezione fenotipica nel corso degli anni, ha una sua specifica identità genotipica, mentre nel caso degli altri campioni la situazione è meno chiara. Infatti pur osservandosi, come atteso, fingerprint identici nelle cariossidi provenienti dalla medesima spiga, i fingerprint ottenuti da spighe diverse, anche se appartenenti allo stesso campione e quindi provenienti dalla stessa azienda, risultano essere differenti suggerendo che le spighe appartenenti allo stesso campione possano essere non omogenee dal punto di vista genetico. L’osservazione dei fingerprint ottenuti dalle spighe del campione definito Ruscia Casaole Tal Quale, noto come frumento duro, in realtà ha mostrato un profilo molto più simile ad un campione di frumento tenero, tipo Solina.

Lo studio del DNA nei campioni di olio ha comportato difficoltà maggiori rispetto agli altri campioni. L’utilizzo dei diversi kit commerciali testati ha mostrato che modificare i proto- colli standard e/o effettuare l’estrazione da quantitativi di olio differenti o dal sedimento (teoricamente più ricco di residui cellulari e quindi di materiale genetico) o anche unendo più preparazioni, permette comunque di recuperare solo piccole quantità di DNA. I test effettuati su gli oli hanno mostrato che le basse rese di DNA genomico non consentono di

95 ottenere delle amplificazioni, anche quando veniva utilizzato il kit “GenomePlex Complete Whole Genome Amplification (Sigma) la cui peculiarità è proprio quella di pre-amplificare di DNA genomico nella sua totalità. La comparazione tra preparazioni di DNA estratto da oli campionati in diversi anni, però, ha suggerito che la quantità e la qualità del DNA estratto dall’olio sono direttamente dipendenti dal tempo che intercorre tra il momen- to dell’estrazione dell’olio e quella dell’estrazione del DNA dall’olio. Nell’olio, d'altronde, oltre al DNA sono presenti anche enzimi (p. e. nucleasi), molecole che vengono rilasciate al momento della spremitura delle olive, che, permanendo insieme nell’olio, da una parte danneggiano il DNA tanto da renderlo non più amplificabile, dall’altro inibiscono le stesse reazioni enzimatiche di amplificazione (Spaniolas et al., 2008). Le 8 coppie di primer SSR, selezionate per l’analisi degli oli, sono state prima testate su DNA estratti da polpa di olive al fine di risparmiare le già esigue quantità di DNA ottenute dagli oli. Tale screening ha permesso di identificare la coppia di primer SSR più performante in assoluto, in modo da testarla sui campioni di DNA estratti da olio di diversa annata (Leccino e Grignano, Cera- suola, Nocellara e Tonda Iblea), selezionati in base ad una verifica effettuata in precedenza mediante primer di controllo. I prodotti di amplificazione osservati mediante elettroforesi capillare hanno confermato l’ipotesi secondo la quale il peggioramento della qualità/quan- tità del DNA è direttamente proporzionale al tempo di conservazione dell’olio, a tal punto che mentre nei campioni di DNA estratti da oli più recenti si rileva un debole segnale dell’amplicone, nei campioni di DNA estratti da oli più vecchi non si apprezza più alcun segnale riconducibile allo specifico SSR (Figura 1).

Figura 1. Risultato dell’elettroforesi capillare degli amplificati ottenuti con il primer selezionato. Lecci- no e Grignano (oli del 2013), Cerasuola, Nocellara, Tonda Iblea (2014)

CONCLUSIONE L’analisi eseguita sulle quattro tipologie di campioni di pere San Giovanni mediante l’im- piego di 15 coppie di primer ha consentito di definire uno specifico fingeprint per campio- ne. Come risultato, i fingerprint ottenuti hanno mostrato che attraverso di essi è possibile discriminare solo tre delle quattro tipologie di pere oggetto di studio. Se, infatti, nel caso delle pere Casoli e Guastameroli i fingerprint sono specifici ed univoci, nel caso delle pere Palmoli e Civitella del Tronto i fingerprint associati a questi due tipi di pere sono identici, anche se diversi dalle Casoli e Guastameroli, suggerendo che Palmoli e Civitella del Tronto potrebbero essere le stesse pere oppure strettamente imparentate dal punto di vista genetico.

Le analisi eseguite sul frumento rivelano che solo il campione Ruscia Casaole Selezione Ca- stelvecchio Subequo (AQ) sembra essere realmente un grano duro e quindi sostanzialmente diverso da tutti gli altri campioni oggetto di studio. Tali analisi mostrano chiaramente che il campione è omogeneo e quindi frutto di una accurata e corretta selezione fenotipica avve-

96 nuta nel corso degli anni. L’altro campione Ruscia, il Tal Quale, risulta avere un fingerprint maggiormente riconducibile, anche se inaspettatamente, ad un profilo del tipo grano tenero e quindi più simile ai campioni di grano Solina. Il Ruscia T. Q. ed i Solina, presentano in aggiunta un problema comune ovvero appaiono essere campioni disomogenei. Infatti, se i fingerprint che si ottengono dalla stessa spiga sono, come atteso, identici non lo sono quelli provenienti da spighe diverse anche se prelevate nella stessa azienda e quindi appartenenti alla stessa tipologia di frumento.

La caratterizzazione dei campioni di olio di oliva ha messo in luce numerose problematiche. I numerosi test eseguiti per l’ottimizzazione dell’estrazione del DNA hanno evidenziato che è molto difficile ottenere materiale genetico sufficiente e utile per le analisi con i primer SSR e questo è dovuto 1) alle trasformazioni tecnologiche necessarie per l’estrazione dell’olio; 2) al tempo di stoccaggio che intercorre tra il momento della spremitura delle olive ed il mo- mento dell’estrazione del DNA. Gli scarsi residui cellulari che rimangono nell’olio a seguito della spremitura delle olive, infatti, se da una parte garantiscono la presenza di DNA nei campioni di olio, e quindi una possibile analisi molecolare di questo, dall’altra espongono l’olio anche alla presenza di molecole indesiderate (enzimi) che possono danneggiare così fortemente il DNA, soprattutto se lo stoccaggio si protrae lungamente nel tempo, tanto da comprometterne la sua amplificazione.

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99 POTENZIALE DI TOLLERANZA AGLI STRESS DELLE PIANTE COLTIVATE E RICADUTE SULLA QUALITÀ NUTRIZIONALE DEGLI ALIMENTI

D’Orso F.1, Peñalosa A.2, Baima S.1, Possenti M.1, Morelli G.1 1CREA Centro di ricerca Genomica e Bioinformatica, Roma; 2CREA Centro di ricerca Ali- menti e Nutrizione INTRODUZIONE Gli organismi vegetali costituiscono la grandissima parte della biomassa sul pianeta e sono alla base della catena trofica come produttori primari. In quanto organismi sessili, le piante dipendono in modo stringente, per la loro crescita e il loro sviluppo, dall’ambiente che le circonda. L’ambiente è mutevole, i suoi cambiamenti non si manifestano solamente con cicli lunghi e regolari, come l’alternanza delle stagioni, ma anche brevi, giornalieri o meno, dall’andamento spesso imprevedibile. Queste variazioni delle condizioni ambientali rap- presentano per le piante una sfida. Variazioni nella luce (quantità e qualità), disponibilità di minerali nel terreno (scarsità o eccessiva concentrazione, salinità), temperatura (caldo, freddo) e disponibilità di acqua (siccità, sommersione) possono rappresentare condizioni sub-ottimali o addirittura inibitorie per la crescita e lo sviluppo delle piante. Durante l’e- voluzione gli organismi vegetali hanno acquisito una peculiare plasticità nel modificare i loro processi di sviluppo, così da adattarsi nel modo migliore possibile all’ambiente e ai suoi cambiamenti. Questo ha permesso loro di colonizzare i più disparati areali geografici deter- minandone una distribuzione geografica specie-specifica (Dolferus, 2014). Da un punto di vista agronomico, le condizioni climatiche rappresentano il più significativo fattore limitan- te per la produttività agricola (Grayson, 2013).

Le piante sono suscettibili all’infezione da parte di microorganismi patogeni e sono parti- colarmente esposte all’attacco di insetti e animali erbivori (Burkepile & Parker, 2017). Gli organismi vegetali hanno sviluppato per questo motivo molteplici meccanismi di difesa diretti e indiretti per fronteggiare l’interazione negativa con gli altri esseri viventi (Aljbory & Chen, 2017). Per esempio, alcuni gruppi tassonomici presentano strutture di barriera come spine, peli, foglie sclerotizzate (Hanley et al., 2007) oppure hanno adottato strategie di mimetismo per allontanare o nascondersi dagli erbivori dannosi (Williams & Gilbert, 1981; Yamazaki, 2016). In altri casi, invece, hanno sviluppato un sistema di difesa basato sulla produzione di sostanze tossiche o atte ad attrarre predatori naturali (War et al., 2012).

Si sono quindi evoluti una serie di meccanismi per fronteggiare non solo le modificazioni delle condizioni ambientali in cui le piante si trovano a vivere ma anche l’interazione negati- va con altri esseri viventi. La capacità di rispondere alle alterazioni dell’ambiente dipende da una moltitudine di meccanismi a livello molecolare che vanno dal rilevamento del fattore di rischio, all’elaborazione del segnale, per finire con la risposta di difesa o di adattamento. La ricerca nel campo della biologia delle piante, e in particolare della genomica funzionale vegetale, sta tentando di comprendere e di districare questa rete di meccanismi che mediano l’interazione pianta-ambiente, e che appaiono sempre più interconnessi tra loro (Balderas- Hernandez et al., 2013). La grande flessibilità e ricchezza metabolica che permettono alle piante di sopravvivere in condizioni di stress biotico e abiotico (Hall, 2006; Cheynier et al., 2013) influenzano fortemente anche la quantità e il tipo di nutrienti e metaboliti secondari non-nutrienti con attività biologica (molecole bioattive) presenti negli alimenti di origine vegetale (Figura 1). A questo proposito è interessante notare che molti dei metaboliti secon- dari che la pianta sintetizza in condizioni di stress, per proteggere se stessa da condizioni ambientali avverse, possono avere un ruolo protettivo anche nell’uomo o in animali model- lo (Traka & Mithen, 2011) (Tabella 1). Il valore nutrizionale e salutistico di un alimento, quindi, risulta dipendente sia dal genotipo (specie/varietà), sia dalle condizioni ambientali

100 (stagionalità, origine geografica, pratiche agronomiche) e dalla presenza di patogeni durante la crescita della pianta. Se da un lato le risposte della pianta all’ambiente determinano una forte variabilità della composizione che rende difficile la valutazione degli effetti salutistici degli alimenti vegetali, dall’altro possono essere sfruttate per aumentare il contenuto di spe- cifiche molecole o classi di molecole all’interno della matrice alimentare.

Il nostro gruppo di ricerca da molti anni è interessato a identificare e comprendere i mecca- OBIETTIVO nismi che determinano la capacità della pianta di adattarsi alla variazione delle condizioni ambientali. L’attività, parte della quale sviluppata nel progetto Terravita, viene svolta a vari livelli tra cui (i) lo studio della conservazione evolutiva dei meccanismi di risposta agli stress abiotici, (ii) la diversa capacità di risposta di genotipi (cultivar ed ecotipi) della stessa specie, e (iii) la capacità di produzione di molecole bioattive di interesse nutrizionale in seguito alla stimolazione con elicitori che mimano situazioni di stress. Un aspetto importante di questa attività è la valutazione degli effetti biologici e “salutistici” di una matrice alimentare arricchita con molecole bioattive su sistemi cellulari o animali modello. Quest’ultima atti- vità è svolta in collaborazione con alcuni colleghi del CREA-Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione e/o di altre istituzioni.

Figura 1. Rappresentazione schematica delle vie metaboliche e dell’effetto degli stress sulla produzio- ne di metaboliti nelle piante. All’interno del cerchio sono rappresentate le vie metaboliche, all’esterno i composti indotti (+) o diminuiti (-) dai diversi stimoli. Riadattata da (Jahangir et al., 2009)

101 Tabella 1. Principali classi di metaboliti secondari delle piante e loro effetto sulla salute

Composti Derivati funzionali Fonte principale Effetti benefici

acido caffeico, acidi fenolici acido ferulico, chicchi di caffè, soia acido clorogenico, curcuminoidi curcumina curcuma flavonoli, flavanone antiossidante tè, frutta (agrumi, antinfiamatorio flavonoidi antociani mele, uve), verdure regolazione del meta- bolismo POLIFENOLI flavanoloni pressione arteriosa calconi floricina pomodori, tè glicemia antiproliferativo stilbeni resveratrolo uve, vino rosso antiangiogenico sesamina lignani grani interi, legumi pinoresinolo genisteina isoflavonoidi soia daizeina licopene pomodori, spinaci, carotenoidi luteina carote antiossidante TERPENOIDI carotene antinfiammatorio composti aciclici sesquiterpeni verdure, frutta composti ciclici

allicina regolazione del tioesteri aglio, cipolla metabolismo: solfuro di allile antidiabetico

ORGANOSOLFORATI alifatici antibatterico, antiproliferativo, aromatici broccoli e altre bras- glucosinolati antinfiammatorio, sicacee anticancerogenico e indolici antimetastatico

steroli inibizione FITOSTEROLI stanoli cereali, oli vegetali dell’ assorbimento del colesterolo campestanoli adattata da (Upadhyay & Dixit, 2015; Possenti et al., 2016; Jesch & Carr, 2017)

CONSERVAZIONE EVOLUTIVA DELLE RISPOSTE ALLO STRESS In natura la flora mostra un’ampia varietà e un’estrema plasticità sia fenotipica che geno- mica che si riflette nella capacità di adattarsi a vivere in ambienti anche molto particolari e talvolta estremi come suoli ad alta salinità (alofite) o aridi (xerofite), e temperature molto alte (piante termofile) o molto basse (piante artiche). Nonostante quest’ampissima variabi- lità e specializzazione per crescere in determinati habitat, molte evidenze suggeriscono che in realtà i meccanismi di difesa si basano su sistemi di regolazione e di segnalazione di base

102 molto ben conservati da un punto di vista evolutivo. Ad esempio, in caso di stress salino, le cellule vegetali, per far fronte alla tossicità ionica, utilizzano dei trasportatori di membrana per ristabilire l’omeostasi, in particolare i trasportatori HKT che pompano fuori dalla cellu- la gli ioni Na+ importando gli ioni K+. Analisi comparative hanno mostrato che questi geni sono molto conservati nella sequenza e nel funzionamento (Hamamoto et al., 2015) e che sono in grado di conferire tolleranza alla salinità in diverse specie sia mono- che dicotiledoni come grano (James et al., 2012; Munns et al., 2012), riso (Ren et al., 2005) e pomodoro (Asins et al., 2013). Un sistema, invece, molto comune per contrastare lo stress osmotico è l’accumulo dei cosiddetti osmoliti o soluti compatibili (Valliyodan & Nguyen, 2006) come prolina, glicina betaina e poliammine, fruttosio, saccarosio, trealosio, ossalato, malato, che, senza interferire con le funzioni cellulari (Ford, 1984), riducono il potenziale idrico delle cellule e impediscono la fuoriuscita di acqua e quindi la disidratazione cellulare (Delauney & Verma, 1993). Sebbene nelle varie specie vegetali ci possa essere una diversificazione nella tipologia (Slama et al., 2015) e nella quantità (Giri, 2011) di osmoliti accumulati, che pos- sono influenzare il grado di tolleranza, la strategia di accumulo di questi composti è molto ben conservata (Giri, 2011; Hussain Wani et al., 2013). Questa strategia difensiva viene tipicamente adottata anche da molti altri organismi tra cui batteri, funghi e animali per contrastare lo stress osmotico (Burg & Ferraris, 2008) suggerendo un’origine estremamente antica e preservata durante l’evoluzione fino agli organismi superiori.

Uno dei nodi centrali di tutti gli stress abiotici e biotici è la produzione di composti reattivi dell’ossigeno (ROS). Questi, da un lato, sono parte del sistema di trasduzione del segnale ma, dall’altro, sono responsabili di un ingente danno cellulare e il loro accumulo costituisce un vero e proprio stress (Demidchik, 2015). Le piante hanno dunque dovuto sviluppare dei sistemi per contrastare efficacemente i danni ossidativi indotti da stress. Uno dei sistemi più comuni e diffusi nelle piante è l’attivazione del metabolismo dei flavonoidi (Di Ferdinando et al., 2012). Questi composti sono efficaci contro i ROS sia perché riescono a prevenirne la formazione (attraverso la loro capacità di chelare gli ioni dei metalli di transizione) che neutralizzandoli una volta formati (Di Ferdinando et al., 2012).

Anche se morfologicamente le piante in natura si possono mostrare in una larga varietà di fenotipi, esse hanno sviluppato la cosiddetta risposta morfogenica indotta da stress (SIMR stress-induced morphogenic response) che consiste in una riprogrammazione della crescita per limitare l’esposizione a stress abiotici, e che risulta conservata tra le piante (Potters et al., 2007, 2009). L’ipotesi più accreditata è che l’analogia che le piante manifestano nelle ri- sposte agli stress, da un punto di vista fisiologico (pompe ioniche), metabolico (osmoliti e flavonoidi) e morfologico (SIMR), rifletta processi molecolari comuni regolati dai fi- tormoni. Molti pathway ormonali sono coinvolti nella risposta agli stress abiotici tra cui auxine, gibberelline (GA), citochinine (CK), acido abscissico (ABA), etilene (ET), acido salicilico (SA), acido giasmonico (JA), brassinosteroidi (BR) e strigolattoni (Verma et al., 2016). Il regolatore centrale dell’organizzazione della risposta agli stress abiotici nelle piante è ritenuto l’ABA, che coordina numerosi processi fisiologici come la biosintesi di osmoliti e la neutralizzazione dei ROS (Finkelstein, 2013; Wani & Kumar, 2015; Sah et al., 2016; Skubacz et al., 2016). Gli studi sull’evoluzione della biosintesi e della segnalazione mediata dall’ABA hanno evidenziato come questa molecola abbia un’origine molto antica e come il suo pathway di segnalazione sia ben conservato nei genomi delle piante terrestri, sugge- rendo quindi un ruolo determinante durante la colonizzazione della terra emersa (Hauser et al., 2011).

Un ruolo cruciale nel preservare il funzionamento dei pathway di segnalazione e di risposta agli stress è dato dalla conservazione della regolazione dell’espressione genica che sotten- de l’avvio dei meccanismi di difesa a diversi livelli: trascrizionale (fattori di trascrizione),

103 post-trascrizionale [attraverso l’azione di microRNA (miRNA) e short interfering RNA (siRNA)], e post-traduzionale (sumoilazione, fosforilazione, ubiquitinazione). Oltre 50 fa- miglie di fattori di trascrizione tra cui MYC/MYB, NAC, DREB, bZIP, HD-ZIP, WRKY e AREB, agiscono come integratori a valle dei network regolativi, controllando l’espres- sione dei geni di risposta a stress biotici e abiotici (Hirayama & Shinozaki, 2010; Cramer et al., 2011). Inoltre, diversi studi hanno messo in evidenza come, in condizioni di stress abiotico, vi sia una cospicua alterazione dell’espressione di miRNA in un’ampia varietà di specie tra cui Arabidopsis, riso, mais, pioppo, ed altre specie (Zhang, 2015). Molte fami- glie di miRNA e di fattori trascrizionali coinvolte nella regolazione dello sviluppo e dell’a- dattamento all’ambiente sono evolutivamente conservate nel regno vegetale (Willmann & Poethig, 2007; Wang et al., 2016) e la base di questa conservazione risiede nel fatto che i geni ortologhi, derivati da un unico gene antenato, in seguito ad eventi di speciazione hanno mantenuto la stessa funzione. Al tempo stesso però l’evoluzione dei genomi ha por- tato ad un’espansione delle famiglie dei fattori di trascrizione e dei miRNA generando una diversificazione e specializzazione, ad esempio attraverso processi di neofunzionalizzazione o subfunzionalizzazione, che hanno consentito l’adattamento delle specie alle condizioni di specifiche nicchie ecologiche pur mantenendo conservati i meccanismi di base. La com- prensione della dettagliata storia evolutiva di questi fattori di trascrizione e delle loro fun- zioni è quindi fondamentale per lo studio dei circuiti di regolazione trascrizionale che sono alla base della diversità e della complessità degli organismi e della loro capacità di crescita in condizioni ambientali avverse.

In questo contesto si inserisce lo studio svolto nel progetto Terravita sulla conservazione evolutiva delle proteine AtTZF1/2/3 di Arabidopsis thaliana, appartenenti alla sottofamiglia RR-TZF (arginin-rich Tandem Zinc Finger) delle proteine CCCH zinc-finger specifica del regno vegetale e coinvolta nella risposta agli stress abiotici (D’Orso et al., 2015). L’interesse verso questa sottofamiglia nasce dalla descrizione di uno dei primi geni RR-TZF in Triticum durum (2H8, successivamente chiamato TdTZF1) come gene e-cor (early cold regulated genes) in grado di rispondere molto precocemente alle basse temperature e a stress idrico (Mastrangelo et al., 2005; De Leonardis et al., 2007).

In questo studio filogenetico sono state analizzate 54 specie diverse distribuite su tutta la scala evolutiva del regno vegetale, dalle alghe alle piante superiori, e sono state identificate 461 proteine RR-TZF che sono state raggruppate in gruppi di omologia. La filogenesi ha chiarito che l’origine di queste proteine è antichissima. Infatti, l’identificazione di geni codi- ficanti per proteine RR-TZF nelle alghe ha permesso di ipotizzare che un gene antenato esi- stesse già prima della divergenza tra alghe e piante terrestri. L’analisi della struttura primaria ha, inoltre, rivelato una forte conservazione dei domini zinc-finger suggerendo un manteni- mento della funzionalità molecolare durante l’evoluzione. La struttura della sottofamiglia, invece, ha rivelato una maggiore complessità con dei raggruppamenti in alcuni casi specifici del ramo evolutivo (clade). La nostra attenzione è ricaduta sui geni del gruppo II che in Arabidopsis e in altre dicotiledoni si compone di due sottogruppi, IIa e IIb; quest’ultimo sot- togruppo non sembra essere presente nelle monocotiledoni facendo supporre che il gruppo II abbia subito un’espansione lignaggio-specifica e che quindi ci sia stata una divergenza tra mono- e dicotiledoni. In Arabidopsis i due componenti di questo sottogruppo IIb sembrano essere ad espressione prevalente nei semi, anche se sono regolati dallo stress salino anche nel- le plantule (Figura 2). Uno dei componenti, AtTZF4 (noto anche come gene SOMNUS), è coinvolto nella regolazione della germinazione dei semi in risposta alla qualità della luce ambientale (Kim et al., 2008). Nel complesso queste osservazioni indicano che i geni del sottogruppo IIb si siano specializzati nelle dicotiledoni in particolari processi.

Il nostro studio si è occupato nello specifico dell’analisi di ortologia dei geni del sottogrup-

104 po IIa (AtTFZ1/2/3-like). Anche nel caso di questi geni, l’origine è molto antica così come lo è la loro capacità di rispondere allo stress salino. Le analisi di espressione condotte su geni di Arabidopsis (AtTFZ1/2/3), di Triticum durum (TdTZF1-A e TdTZF1-B, geni clo- nati e caratterizzati per la prima volta in questo studio) e del muschio Physcomitrella patens (PpaTZF1/2/3/4) hanno rivelato che tutti i geni condividono la capacità di essere indotti in presenza di sale nel terreno di coltura (Figura 2). Inoltre, anche i profili di espressione dei geni di Arabidopsis e T. durum analizzati durante la germinazione in condizioni ottimali e di stress salino si sono mostrati simili e quindi conservati nell’evoluzione. I profili hanno sug- gerito per questi geni un ruolo di regolatori negativi della germinazione, ruolo confermato per AtTZF3 dall’analisi funzionale condotto su piante di Arabidopsis in cui questo gene è stato silenziato o sovra-espresso e che hanno mostrato un’alterata capacità germinativa in presenza di sale e ABA. L’analogia di risposta durante la germinazione farebbe supporre una conservazione della funzione genica nella regolazione della germinazione tra mono- e dicotiledoni.

Nell’insieme questi risultati indicano che il ruolo delle proteine RR-TZF del gruppo II si è originato molto anticamente e che sia rimasto ben conservato tra briofite e piante supe- riori nella capacità di risposta allo stress salino. Inoltre, nelle piante superiori queste protei- ne potrebbero essere state reclutate per la regolazione della germinazione, partendo da un pathway già esistente, quello dell’ormone ABA, la cui segnalazione e i cui meccanismi sono stati ampiamente dimostrati essere evolutivamente conservati tra briofite e angiosperme (Richardt et al., 2010; Takezawa et al., 2011). Inoltre, come conseguenza dell’espansione del gruppo, nelle dicotiledoni alcuni geni (sottogruppo IIb) potrebbero essersi anche spe- cializzati nella funzione di regolazione della germinazione del seme.

Figura 2. Conservazione evolutiva delle proteine RR-TZF del gruppo II. Albero filogenetico delle protei- ne RR-TZF del gruppo II di Arabidopsis thaliana, Triticum durum e Physcomitrella patens e andamento dell’espressione genica in risposta allo stress salino e durante la germinazione dei semi in acqua e in presenza di sale.

TOLLERANZA DIVERSA A STRESS IN GENOTIPI DELLA STESSA SPECIE La plasticità di sviluppo e crescita che le piante sono in grado di mettere in atto quando le variazioni ambientali determinano condizioni non ottimali, rappresenta la capacità che una pianta di una determinata specie ha nell’adattarsi alle nuove condizioni (tolleranza). Il

105 grado di “tolleranza” o di “sensibilità” che una specie mostra verso un particolare stress abio- tico non è sempre di facile valutazione. In piante modello, come Arabidopsis e pomodoro, la tolleranza è spesso misurata sul grado di sopravvivenza della pianta in quella particolare condizione di crescita non ottimale utilizzata in ambienti artificiali (fitotroni). Nelle specie di interesse agronomico, al contrario, la tolleranza non è tanto associata alla sopravvivenza quanto alla produttività della pianta cresciuta in condizioni di stress (Dolferus, 2014). Se è vero che è difficile confrontare specie diverse applicando a tutte gli stessi parametri per de- finire quanto una specie sia tollerante rispetto alle altre, è altresì vero che, all’interno di una stessa specie, si possono avere gradi di tolleranza ad uno specifico stress molto diversi nelle sue varie cultivar. Questo è possibile in virtù delle differenze genetiche che contraddistin- guono i genomi delle diverse varietà sia in piante modello che in piante agronomicamente rilevanti.

Numerosi studi condotti su Arabidopsis hanno dimostrato che la variabilità genetica intra- specie caratterizza numerosi processi fisiologici chiave coinvolti nelle risposte agli stress abiotici. E’ stato infatti dimostrato che accessioni diverse, isolate in varie parti del pianeta, mostrano una differente tolleranza verso la siccità. Questi ecotipi, caratterizzati da profili genetici leggermente diversi tra loro, quando cresciuti ed analizzati in carenza di acqua, mostrano una differente alterazione dei programmi di sviluppo dell’apparato radicale e di quello vegetativo; inoltre presentano differenze nel contenuto relativo di acqua, p.es. nelle foglie, nel potenziale osmotico, nella velocità di scambio istantaneo di gas, nella chiusura degli stomi in risposta ai segnali ambientali, nel profilo di espressione genica in situazioni di carenza idrica e, inoltre, sono caratterizzati da profili metabolici diversi (Bouchabka et al., 2008; Des Marais et al., 2012; Juenger, 2013; Klem et al., 2017). Anche per le spe- cie agrarie in letteratura è consolidato il binomio tolleranza-genoma. In Triticum aestivum analisi genetiche ed epigenetiche hanno indicato alcuni geni della famiglia di trasportatori HKT come i possibili responsabili molecolari del differente grado di tolleranza allo stress salino mostrato da quattro cultivar che differiscono tra loro nei potenziali antiossidanti, nella stabilità delle membrane cellulari, nell’accumulo di osmoliti/composti fitofenolici e nel rapporto K+/Na+. Tra queste quattro cultivar di grano, la varietà più sensibile al sale presenta una forma allelica del gene HKT1;4 in cui delezioni, transizioni e transversioni (rispetto alla forma presente nella cultivar più tollerante) determinano la perdita dei motivi conservati Ser-Gly-Gly-Gly e Gly-Arg e della loro funzione (Kumar et al., 2017). In queste quattro cultivar di Triticum sono state inoltre viste variazioni epigenetiche della metilazione delle citosine che spiegano le differenziali espressioni tessuto e genoma-specifiche dei geni HKT2;1 e HKT2;3 (Kumar et al., 2017). Tra le molteplici cultivar di grano, non solo ci sono diversi livelli di tolleranza al sale, ma anche grande variabilità di tolleranza alle alte temperature (Truong et al., 2017). Quest’ultima, mostrata da diverse cultivar di Triticum aestivum, sembra dipendere dai livelli di espressione e attività degli enzimi appartenenti alle famiglie SOD, CAT e APO (Sairam et al., 2000). Anche in molte altre specie di piante economicamente importanti per l’agricoltura, cultivar diverse mostrano differenti risposte agli stress abiotici; tolleranze diverse alla siccità, alla salinità del terreno e alla concentrazione di metalli sono state dimostrate e associate al genotipo tra le varietà di riso (Pandey et al., 2016), di colza (Lee et al., 2016), di pomodoro (Alian et al., 2000), di patata (Gelmesa et al., 2017) e di vite (Sohrabi et al., 2017). Nel contesto del progetto Terravita, è stato osser- vato che in orzo (Hordeum vulgare L.) quattro cultivar diverse (Steptoe, Morex, Franka e Igri) cresciute in vitro in condizioni di giorno lungo [16 h luce (140 μmol sec-1), e 8 h buio] in presenza di concentrazioni crescenti di cloruro di sodio (0, 50 mM, 100 mM, 150 mM) hanno un tasso di germinazione, e quindi di tolleranza al sale, diverso. Come si vede nella Figura 3, le varietà Franka e Morex sono meno sensibili al sale nel processo di germinazione rispetto alle cultivar Igri e Steptoe.

106 Che cultivar diverse di orzo abbiano una diversa tolleranza al Na+ è stata confermata recen- temente da Zhu Min e collaboratori (Zhu et al., 2017). In questo lavoro si dimostra che nelle cultivar più sensibili al sale c’è una meno efficiente traslocazione xilematica del sodio che, nel tempo, determina un incremento di sale nelle trachee e questo correla con una dif- ferenziale espressione di geni coinvolti nella traslocazione degli ioni (geni HvHKT1;5-like, HvSOS1-like).

Figura 3. Resistenza allo stress salino di piante di Hordeum vulgare L. Durante i 7 giorni dopo la semina per le diverse condizioni di crescita (acqua o NaCl, a concentrazione crescente, in un regime di giorno lungo e a una temperatura costante di 21° C), sono stati contati, per i quattro genotipi di orzo analizzati, i semi aventi la radichetta protrusa dai tegumenti della cariosside e lunga almeno 2 mm.

APPLICAZIONE DI STRESS PER LA PRODUZIONE DI SOSTANZE BIOATTIVE Lo stress applicato in modo mirato (elicitazione) a piante d’interesse alimentare durante le prime fasi della germinazione o durante la coltivazione può essere utilizzato come tecno- logia non solo per stimolare le difese della pianta, ma anche per aumentare il contenuto di molecole bioattive rilevanti per la salute dell’uomo e l’arricchimento funzionale degli alimenti di origine vegetale (Baenas et al., 2014).

Per valutare le potenzialità di questo approccio abbiamo concentrato la nostra attenzione sui germogli di varie specie per uso alimentare che rappresentano una matrice naturalmente arricchita di nutrienti e molecole bioattive rispetto alla pianta matura, che può essere con- sumata fresca e il cui consumo è in costante aumento anche nei paesi occidentali. Inoltre i germogli possono essere facilmente cresciuti in condizioni controllate e sottoposti a trat- tamenti in grado di stimolare la produzione di specifiche molecole d’interesse per la salute dell’uomo.

Gli studi più significativi sono stati svolti su germogli di Brassicaceae (broccoli, broccoletti, rape, cavolfiore, cavolo, cavoletto di Bruxelles, ravanello ecc.) perchè presentano un alto contenuto di fibra, vitamine, minerali e di molecole non nutrienti tra cui i polifenoli, in particolare flavonoidi, e soprattutto i glucosinolati (GLS). In particolare, il contenuto di glucosinolati, tipici delle Brassicaceae e ai quali è attributo il loro peculiare potenziale salu- tistico, è da 10 a 100 volte maggiore nei germogli rispetto al broccolo adulto (Fahey et al., 1997; Moreno et al., 2010).

107 E’ noto che gli stress abiotici e biotici influenzano la quantità e il tipo di molecole bioatti- ve presenti nelle Brassicaceae (Jahangir et al., 2009; Björkman et al., 2011). Le condizioni ambientali influenzano anche la composizione dei germogli di diverse varietà di Brassica oleracea tra cui quelli di broccolo siciliano (Brassica oleracea convar. botrytis var. cimosa o più comunemente indicata come var. italica) utilizzato per il nostro studio. Infatti, il con- tenuto di nutrienti, vitamine, composti fenolici, glucosinolati e il potenziale antiossidante è più elevato nei germogli cresciuti alla luce rispetto a quelli cresciuti al buio ed aumenta in seguito all’applicazione, durante la crescita, di stress osmotico e salino, induttori e ormoni coinvolti nelle risposte di difesa della pianta (Guo et al., 2011; Pérez-Balibrea et al., 2011; Maldini et al., 2012, 2015; Baenas et al., 2014; Vale et al., 2014, 2015). I dati presenti in letteratura, però, sono difficilmente confrontabili a causa del diverso materiale analizzato (varietà ed età dei germogli, condizioni di crescita applicate, modalità e durata del tratta- mento ecc.) e riguardano in modo frammentato l’effetto di pochi induttori su un numero limitato di molecole bioattive. Per questo motivo nel nostro studio sui germogli di broc- colo abbiamo voluto confrontare in modo sistematico, l’effetto di diverse concentrazioni di vari induttori (saccarosio, mannitolo, NaCl, acido 1-aminocyclopropane-l-carbossilico (ACC), acido salicilico (SA) e acido metil-jasmonico (MeJA) sul contenuto di diverse mo- lecole bioattive (glucosinolati, composti fenolici totali, flavonoidi totali, antocianine totali, vitamine C ed E e β-carotene) (Natella et al., 2016). L’esposizione ai diversi induttori ha prodotto dei cambiamenti specifici e dose-dipendenti nel contenuto di tutte le molecole analizzate. Poiché le interazioni tra queste molecole sono complesse, i dati di composizione sono stati analizzati attraverso la Principal Component Analysis (PCA) per mettere in evi- denza la condizione (tipo di induttore e dose) in grado di determinare l’effetto complessivo più significativo in termini di contenuto in molecole bioattive nei germogli di broccoli. Il risultato di questa analisi ha indicato che il trattamento con saccarosio, che induce un aumento significativo dei glucosinolati (singoli e totali), della vitamina C, delle antocianine e dei polifenoli, è quello che produce nel complesso il maggior arricchimento in molecole rilevanti per la salute e potenzialmente quello più utile per aumentare il valore nutrizionale (salutistico) dei germogli di broccolo.

STUDIO DEGLI EFFETTI DI ALIMENTI ARRICCHITI SU SISTEMI MODELLO CELLULARI E ANI- MALI L’accertamento di un cambiamento composizionale di per sé non è sufficiente per poter affermare che un alimento sia effettivamente arricchito dal punto di vista funzionale, e il miglioramento del potenziale salutistico deve essere sempre valutato con appropriati saggi biologici. La valutazione degli effetti sulla salute (health-claims) di alimenti convenziona- li, biologici o innovativi è però un compito molto difficile e controverso. Considerata la grande variabilità di composizione degli alimenti di origine vegetale determinata dai fattori descritti precedentemente, uno degli elementi che spesso indeboliscono le conclusioni degli studi rivolti all’accertamento delle proprietà correlate al mantenimento dello stato di salu- te, sia che si utilizzino sistemi cellulari in vitro che animali modello o studi di intervento sull’uomo, è la insufficiente descrizione dell’origine e della composizione dell’alimento in analisi (Traka & Mithen, 2011; Fahey et al., 2012). Pertanto la descrizione analitica dell’a- limento da valutare è un prerequisito fondamentale per questo tipo di studi. Inoltre, molti degli studi condotti per dimostrare i benefici del consumo di frutta e verdura sono in realtà effettuati utilizzando molecole purificate, mentre è ormai ampiamente riconosciuto che l’effetto di prevenzione verso i tumori e le malattie croniche e degenerative non dipende da una singola molecola ma dalla miscela complessa di nutrienti e molecole bioattive presenti in un alimento che sono in grado di agire, in modo cumulativo e/o sinergico, su numerosi meccanismi bersaglio (Liu, 2003; Jacobs & Tapsell, 2007). L’ipotesi corrente è che gli ali- menti funzionali (health promoting foods) contribuiscano alla prevenzione delle malattie e

108 al mantenimento dello stato di salute aiutando l’organismo a mantenere l’omeostasi supe- rando le alterazioni dell’equilibrio funzionale causato dai continui cambiamenti ambientali e dagli stress. Pertanto, per valutare l’attività biologica e il potenziale protettivo di un ali- mento o di un estratto vegetale, il modello sperimentale ideale è quello che riproduce uno stato di squilibrio fisiologico che può essere modulato dalla matrice alimentare oggetto di studio (Muller & Kersten, 2003).

Nel nostro studio, per valutare il potenziale arricchimento dell’attività biologica in grado di promuovere lo stato di salute associato al cambiamento della composizione nei germogli di broccolo dal trattamento di stress indotto da saccarosio, ci siamo avvalsi di diversi sistemi sperimentali (Tabella 2).

Al fine di utilizzare la stessa matrice alimentare, sia per lo studio degli effetti sulle colture cellulari che nei modelli animali, è stata evidenziata la necessità di disporre di un materia- le di consistenza omogenea ma che riflettesse il più fedelmente possibile la composizione dei germogli. A questo scopo sono stati preparati dei succhi ottenuti dalla spremitura dei germogli freschi mediante un estrattore a pressa. I succhi preparati da germogli cresciuti alla luce e trattati con saccarosio (condizione arricchita) sono stati confrontati con succhi prodotti da germogli cresciuti al buio (condizione basale) per massimizzare le differenze di composizione. Inoltre, per verificare la riproducibilità della composizione a seguito dell’ap- plicazione di condizioni di crescita standardizzate, diversi lotti di succo sono stati prepara- ti a partire da germogli ottenuti da crescite indipendenti. L’analisi del profilo metabolico “targeted” e “untargeted” mediante LC-MS ha confermato che le condizioni di crescita de- terminano delle differenze qualitative e quantitative riproducibili nel contenuto dei succhi basali e arricchiti (Ferruzza et al., 2016).

Alle molecole bioattive presenti negli alimenti di origine vegetale è stato spesso attribuito un ruolo positivo nella regolazione dei processi infiammatori che sono all’origine di diverse patologie croniche (Pan et al., 2010; Boeing et al., 2012; Wagner et al., 2013). Recente- mente è stato sviluppato un interessante modello di infiammazione basato su cellule umane intestinali Caco-2 trattate con la citochina infiammatoria TNFα in presenza di una ca- renza marginale di zinco causata dall’incubazione con un chelante (N,N,N’,N’-tetrakis(2- pyridylmethyl)ethane-1,2-diamine, TPEN) (Ranaldi et al., 2013). La mucosa gastro-in- testinale, agendo da barriera selettiva che regola la biodisponibilità dei nutrienti e delle molecole bioattive (Parada & Aguilera, 2007; Toydemir et al., 2013), ha un ruolo chiave nell’interazione tra la matrice alimentare e l’organismo. Poiché le cellule Caco-2, differen- ziate su filtri semipermeabili, mostrano le caratteristiche fisiologiche e morfologiche della mucosa gastro-intestinale, il modello cellulare intestinale sbilanciato con TNFα è utilizza- bile per valutare i potenziali effetti protettivi e benefici di un alimento o di sue componenti.

Nel nostro studio, il pretrattamento delle cellule Caco-2 differenziate su filtro con il succo di germogli di broccolo ha portato ad una riduzione della perdita dell’integrità del mono- strato cellulare e dell’apoptosi indotta dal trattamento con TPEN/TNF, suggerendo che i succhi aumentino la capacità delle cellule di rispondere allo stress infiammatorio (Ferruzza et al., 2016). L’effetto protettivo, inoltre, è risultato più marcato per il succo arricchito; inoltre, l’analisi di regressione multivariata (PLSR) ha mostrato che la capacità di recupero della disfunzione epiteliale provocata dallo stress infiammatorio correla con il contenuto in molecole bioattive presenti nei succhi.

Un altro ruolo spesso attribuito alle molecole bioattive presenti negli alimenti di origine vegetale è quello di fornire una protezione dagli stress ossidativi associati a diverse patologie (Boeing et al., 2012; Wagner et al., 2013). In particolare ai polifenoli vegetali viene attri- buita la capacità di ridurre l’infiammazione e il danno ossidativo legati all’età alla base delle

109 malattie neurodegenerative (Darvesh et al., 2010; Choi et al., 2012). I succhi di broccolo sono stati quindi testati anche su un modello cellulare di Malattia di Alzheimer costituito da cellule di neuroblastoma umano SH-SY5Y trattate con uno dei frammenti più tossici del peptide β-amiloide (Masci et al., 2015). Entrambi i succhi hanno mostrato un effetto protettivo sulle cellule riducendo la citotossicità indotta dal peptide β-amiloide e l’apop- tosi. Questi effetti sembrano essere mediati dalla modulazione dell’attività mitocondriale e dall’induzione di segnali anti-apoptotici come l’aumento dell’mRNA di HSP70 e l’aumen- to della capacità antiossidante legata all’attivazione della via di segnalazione sotto il control- lo del fattore di trascrizione NF-E2-related factor 2 (Nrf2). Sebbene l’attività biologica dei due succhi sia risultata equivalente, il succo arricchito prodotto dai germogli trattati con saccarosio ha mostrato un maggiore effetto nell’indurre la traslocazione nucleare di Nrf-2 necessaria per l’attivazione della via di segnalazione.

Tabella 2. Valutazione dell’attività biologica di succhi di broccolo

Modello Patologia Difetto funzionale Saggio biologico Effetto del succo Referenza

In vitro, Caco2 Infiammazione intesti- Apoptosi e perdità di Misurazione della fun- Protettivo sull’integrità Ferruzza et al. 2016 nale integrità della barriera zionalità dell’epitelio della barriera intestinale in cellule differenziate intestinale attraverso la su filtro in carenza mar- TEER ginale di zinco indotta da TPEN e trattate con TNFα In vitro, SH-SY5Y Alzheimer Citotossicità e apopto- Condensazione della Entrambi i succhi pro- Masci et al. 2015 si indotta da peptide cromatina, formazione teggono da citotossicità β-amiloide di corpi apoptotici, atti- e apoptosi Succo arric- vità antiossidante, fun- chito favorisce la traslo- zionalità mitocondriale, cazione nucleare di Nrf2 espressione di geni tar- get di Nrf2 Animale, ratti SHRSP Danno renale Ratti spontaneamente Pathway AMPK/SIRT1/ Succo arricchito riduce Rubattu et al. 2015 ipertesi esposti a dieta PGC1α /PPARα / danno renale e protei- ipersodica (dieta stile UCP2Livelli NFkB, SOD2, nuria, infiammazione e giapponese) eNOSProteinuria, ana- accumulo di stress ossi- lisi istologica del rene, dativo espressione di marcatori di danno renale Animale, ratti SHRSP Ictus Ratti spontaneamente Nel cervello aumenta Succo arricchito ritarda Rubattu et al. 2017 ipertesi esposti a dieta livello di UCP2 mRNA la comparsa di ictus (au- ipersodica (dieta stile e proteina, diminuisce menta sopravvivenza) giapponese) livello di miR503, pro- teina NFkB e stress ossi- dativo su proteine

Recentemente è stato riportato che il sulforafano e i flavonoidi possono superare la barriera emato-encefalica ed esercitare un effetto neuroprotettivo anche in animali modello di pato- logie neurologiche (Jones et al., 2012; Tarozzi et al., 2013). Per valutare l’attività biologica dei succhi di germogli di broccolo in un sistema modello animale sono stati scelti ratti spontaneamente ipertesi e predisposti allo sviluppo di danno vascolare cerebrale e renale (Spontaneously Hypertensive Rat - Stroke-Prone, SHR-SP) (Rubattu et al., 2015, 2017). Se sottoposti ad una dieta ricca di sodio e povera di potassio (dieta giapponese) questi ratti manifestano dapprima danni vascolari renali e successivamente danni cerebrali e mortalità precoce per ictus, danni entrambi legati a livello molecolare ad una riduzione della protei- na mitocondriale uncoupling protein -2 (UCP2). L’integrazione dei succhi di germogli di

110 broccolo arricchiti nella dieta (giapponese) ha determinato una netta riduzione dello stress ossidativo e dell’infiammazione tissutale renale con un miglioramento del quadro istologico ed una riattivazione della via di segnalazione AMPK/SIRT1/PGC1α/PPARα/UCP2. La somministrazione di succo di germogli di broccolo arricchiti ha inoltre ritardato la compar- sa di ictus e ridotto la mortalità attraverso l’attivazione di PPARα e la riduzione del microR- NA-503 e il conseguente mantenimento di livelli elevati di UCP2. Questi effetti protettivi del succo di germogli di broccoli arricchiti su UCP2, simili a quelli ottenuti con il farmaco fenofibrato, suggeriscono che l’approccio nutraceutico possa essere uno strumento efficace per la prevenzione del danno cerebrovascolare e renale nei pazienti ipertesi.

Studi epidemiologici hanno accertato che diete ricche di alimenti di origine vegetale contri- CONCLUSIONI buiscono a prevenire molte patologie, quali malattie cardiovascolari, malattie metaboliche, malattie neurodegenerative e patologie infiammatorie. Gli alimenti di origine vegetale, ol- tre a fornire nutrienti (proteine, lipidi, carboidrati) e micronutrienti (minerali e vitamine) essenziali, contengono sostanze che, pur non essendo essenziali, sono in grado di esercitare potenti attività biologiche. Questo gruppo di sostanze comprende decine di migliaia di composti appartenenti a svariate classi chimiche. Infatti, il numero di metaboliti secondari sintetizzati dalle piante terrestri, alcune proprie di una specie o genere, altre ubiquitarie è stato stimato tra 80.000 e 100.000. L’uomo, quindi, ingerisce quotidianamente con la dieta circa 500 grammi di composti chimici di cui la maggior parte sono componenti di piante o di vegetali in genere.

Esiste un’ampia produzione scientifica che ha descritto numerosi effetti biologici di questi metaboliti secondari, che vanno dall’attività antiossidante alla modulazione degli enzimi detossificanti, alla stimolazione del sistema immunitario, alla modulazione del metabolismo ormonale, alla riduzione dell’aggregazione piastrinica e alla riduzione della pressione san- guigna, fino ad attività antibatteriche e antivirali. In particolare, è ampiamente riconosciuto che alcuni composti presenti nei vegetali, come gli antiossidanti, hanno notevoli effetti benefici per la salute. Questa nozione, oggi molto presente anche sui media, sta portando a una sempre maggiore richiesta di alimenti funzionali, contenenti molecole bioattive che riducano il rischio di patologia e/o migliorino lo stato di benessere.

Risulta chiaro, da quanto qui esposto, che lo studio e la valutazione del potenziale di tol- leranza agli stress di diverse specie o diversi genotipi di una stessa specie vegetale, anche attraverso l’elicitazione, può aiutare a migliorare l’accumulo di molecole bioattive, e quindi, il potenziamento della qualità nutrizionale di un determinato prodotto agricolo. D’altra parte, gli studi filogenetici dimostrano quanto sia importante la ricostruzione e l’analisi della storia evolutiva di geni ortologhi per comprenderne il grado di conservazione funzio- nale e regolativa risultando, così, in un ottimo strumento di ricerca di base che facilita il passaggio alla ricerca applicata anche su specie o cultivar poco utilizzate da un punto di vista delle produzioni alimentari.

Le conoscenze così acquisite possono essere sfruttate in programmi di miglioramento gene- tico sia utilizzando i tradizionali sistemi basati su incrocio e selezione, sia attraverso le più recenti metodologie di Genome Editing, potenti strumenti attraverso cui si ha la possibilità di aumentare, in modo mirato, la variabilità genetica e la biodiversità. Si apre, quindi, una nuova stagione del miglioramento genetico che porterà a sviluppare, in tempi più brevi, cultivar meglio adattate all’ambiente e alimenti funzionali ad alto valore aggiunto con mo- lecole bioattive.

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118 ASPETTI CHIMICO-NUTRIZIONALI DI ALCUNI FORMAGGI DELLA TRADIZIONE ITALIANA

Manzi P., Mattera M., Di Costanzo M.G., Durazzo A., Ritota M., Nicoli S. CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

Nell’ambito del Progetto TERRAVITA, in cui alimenti di origine vegetale ed animale ap- INTRODUZIONE partenenti a diverse filiere sono stati considerati come fattori principali per preservare la biodiversità e promuovere coltivazioni e/o allevamenti ad elevata sostenibilità, la ricerca proposta è stata orientata allo studio di alcuni prodotti lattiero-caseari della tradizione ita- liana.

Principale finalità dello studio è stata la valorizzazione, in termini di qualità nutrizionale e funzionale, di alcuni prodotti caseari cercando di evidenziare, ove possibile, un legame con il territorio. Per raggiungere questo obiettivo sono stati selezionati vari formaggi in diverse aree parco del Nord, Centro e Sud Italia. Le aree parco sono territori, anche di notevole estensione, che comprendono ecosistemi ambientali o aspetti storico-culturali ancora pre- valentemente poco contaminati da una forte urbanizzazione: per questo motivo, risulta importante conoscere i prodotti locali, per poter conservare il patrimonio delle tradizioni casearie affidate, spesso, solo alla memoria degli anziani.

I formaggi selezionati sono stati caratterizzati per la loro composizione chimica e per alcuni componenti minori con particolare riferimento a molecole con attività biologica e/o fisio- logica specifica, mediante l’uso di parametri indicatori e/o descrittori di qualità di prodotto.

I formaggi (Tabella 1), opportunamente macinati, sono stati analizzati mediante metodi MATERIALI E standardizzati utilizzando, dove possibile, campioni certificati. METODI - La composizione di base (acqua, proteine, grassi, e ceneri) è stata determinata mediante le metodiche ufficiali (Gazzetta Ufficiale, 1986), mentre il valore dei carboidrati è stato calcolato per differenza a 100 rispetto al contenuto degli altri macronutrienti. E’ stata calcolata l’energia fornita dai nutrienti (Reg UE 1169/2011) ed è stata effettuata la valu- tazione nutrizionale, con la relativa adeguatezza rispetto ai fabbisogni di un adulto sano, utilizzando i valori di riferimento dei LARN (2014).

- I sali minerali sono stati determinati, dopo incenerimento dei campioni, utilizzando un metodo di spettrofotometria nel visibile per il fosforo e di Assorbimento Atomico per calcio e magnesio (AOAC, 2002), applicato anche per sodio, potassio e zinco, utilizzando rispettivamente uno spettrofotometro UV-1800 (Shimadzu Corporation, Kyoto, Japan) e un spettrometro per assorbimento atomico AAnalyst 300 (Perkin Elmer, Waltham, MA, USA).

- Gli acidi grassi sono stati determinati, previa estrazione dei lipidi con etere etilico/etere di petrolio (1:1, v/v), con un gascromatografo Clarus-500 con rivelatore FID (Perkin Elmer, Waltham, MA, USA) secondo il metodo di Prandini et al. (2007) e 1µl di campione è sta- to iniettato mediante l’iniezione split. Condizioni operative del gascromatografo: colonna capillare SP 2380 60m x 0.32mm x 0.2μm (Supelco, Bellefonte, Pa, USA), temperatura iniettore 240°C con rapporto di splittaggio 15:1 e temperatura FID 260°C. Condizioni operative del forno: 60°C per 5 min, 180°C a 5°C/min e 240°C a 3°C/min. I risultati sono stati elaborati tramite il sistema Totalchrom 6.3 WS. 119 - Alfa tocoferolo, beta carotene (ove presente), isomeri del retinolo e colesterolo sono stati determinati, previa saponificazione con KOH (60%) ed estrazione con miscela di n- esano:etilacetato (9:1, v/v), secondo il metodo di Panfili et al. (1994). La rivelazione è stata effettuata mediante cromatografia liquida in fase normale utilizzando un HPLC Alliance 2695 (Waters, Milford, MA, USA) con colonna a base di silice porosa (Kro- masil 250x4,6mm 5µm, Phenomenex Inc., Torrance, CA, USA) dotata di precolonna e una fase mobile di 2-propanolo 1% in n-esano a 1,5 ml/min, secondo un gradiente di eluizione (Panfili et al., 1994). Il colesterolo e il beta carotene sono stati determinati spettrofotometricamente (208nm e 450nm rispettivamente), mentre l’alfa tocoferolo (ex. 280nm, em. 325nm) ed i retinoli (ex. 325nm, em. 475nm) sono stati determinati spet- trofluorimetricamente.

- L’attività antiradicalica (saggio DPPH) degli estratti ricchi in vitamine liposolubili otte- nuti dai campioni di formaggio oggetto di studio è stata valutata secondo la metodica (Mattera et al. 2016) sviluppata nel corso del progetto. L’attività antiradicalica nei con- fronti del radicale stabile 1,1-difenil-2-picrilidrazile (DPPH) è stata valutata come segue: 1,5 ml di radicale DPPH (60µM) è stato fatto reagire con 1,5 ml di estratto vitaminico misurando la diminuzione di assorbanza a 515nm per il tempo necessario a raggiungere lo steady state, utilizzando etile acetato come bianco. Il controllo è stato preparato usando 1,5 ml di 2-propanolo 1% in n-esano. La percentuale di inibizione del DPPH è stata calcolata utilizzando la formula:

% Inibizione del DPPH = [(Abscontrollo – Abscampione)/Abscontrollo]*100 dove Abscontrollo è l’assorbanza della reazione di controllo e Abscampione è l’assorbanza in pre- senza di campione misurata a differenti tempi. L’attività antiradicalica viene espressa come µmol α-tocoferolo/100g di prodotto.

- Il Grado di protezione Antiossidante (GPA), è stato calcolato come rapporto molare tra le molecole antiossidanti (M.A.) e un bersaglio della reazione ossidativa (B.O.), secondo la formula (Pizzoferrato et al., 2007),

dove, come molecole antiossidanti si utilizzano l’alfa tocoferolo e, se presente, il beta caro- tene, mentre come molecola bersaglio viene utilizzato il colesterolo.

- La determinazione delle coordinate di colore L*a* b* (CIELAB) è stata effettuata median- te un colorimetro Tristimulus Minolta (Konica Minolta, Chiyoda, Kyoto, Japan) con illuminante standard D65 con un angolo di 0° e 8 mm di diametro.

- La determinazione delle crocine nei formaggi con zafferano è stata effettuata median- te tre estrazioni successive al buio per un ora a temperatura ambiente con una miscela metanolo:acqua (80:20, v/v). La frazione idroalcolica, dopo filtrazione, è stata sottoposta a cromatografia liquida, mediante cromatografo UHPLC Nexera (Shimadzu Corpora- tion, Kyoto, Japan) con colonna C18 (Synergi Fusion-RP 100x2,0mm 2,5 µm, Pheno- menex Inc., Torrance, CA, USA) dotata di precolonna e rivelatore PDA (λ=440 nm), ad un flusso di 0,4 ml/min con un gradiente di eluizione di acetonitrile in acqua, secondo il metodo di Ritota et al. (2017).

120 Per l’elaborazione statistica dei dati è stato impiegato il pacchetto di elaborazione XL-STAT ANALISI STATISTICA Base 18.06 (Addinsoft 1995-2017) e i risultati sono stati considerati significativi per p<0,05.

Tabella 1. Formaggi oggetto di studio del Progetto TERRAVITA

PRODOTTO CARATTERISTICHE PROVENIENZA FORMAGGI DEL NORD ITALIA

Formagella di Collio da latte vaccino intero o parzialmente Val Trompia, Val Sabbia e Val Camoni- scremato di animali allevati in stalla o ca (BS) al pascolo negli alpeggi Bagoss da latte vaccino di animali allevati in Val Trompia, Val Sabbia e Val Camoni- stalla o al pascolo negli alpeggi; ag- ca (BS) giunta di zafferano durante la caseifi- cazione Nostrano Valtrompia da latte vaccino di animali allevati in Val Trompia, Val Sabbia e Val Camoni- stalla o al pascolo negli alpeggi; ag- ca (BS) giunta di zafferano durante la caseifi- cazione FORMAGGI DEL CENTRO ITALIA

Pecorino d’Abruzzo a diverse stagio- da latte ovino Teramo, Pescara e L’Aquila nature Giuncata abruzzese da latte vaccino o da latte ovino L’Aquila Pecorino con zafferano da latte ovino con zafferano aggiunto Parco della Val D'Orcia (PI), Rieti, in stigmi o in polvere nel latte o nella San Gimignano (SI) cagliata FORMAGGI DEL SUD ITALIA

Provola delle Madonie a diverse sta- da latte vaccino Parco delle Madonie (PA) gionature Provola delle Madonie Affumicata da latte vaccino Parco delle Madonie (PA)

Nel Nord Italia sono stati presi in considerazione, per due anni successivi, tre tipologie di RISULTATI E formaggi vaccini prodotti nei mesi invernali con latte di animali allevati in stalla e prodotti con latte di animali al pascolo negli alpeggi durante i mesi estivi. DISCUSSIONE

In linea con l’obiettivo di individuare determinanti che consentissero di trovare un legame con il territorio, si è proceduto ad un’analisi dei risultati basandosi non sulle singole tipolo- gie di formaggio ma su un confronto tra i due diversi tipi di allevamento (stalla e alpeggio), considerato che i formaggi risultavano simili tra loro per stagionatura.

Nella Figura 1 si riporta la composizione in macronutrienti dei formaggi di stalla e alpeggio del Nord Italia. Indipendentemente dai singoli formaggi considerati, i valori ottenuti hanno evidenziato che i formaggi d’alpeggio rispetto alla tipologia stalla sono maggiormente ricchi in grasso (p<0,05): questi risultati sono in accordo con quanto affermato da alcuni autori (Romanzin et al., 2012; Coppa et al., 2011). In particolare nel lavoro di Romanzin et al. (2012) si evidenzia come il latte di animali al pascolo alpino e i relativi formaggi hanno un contenuto maggiore in grasso e minore in proteine rispetto al latte prodotto da animali allevati in stalla dove, invece, una dieta ricca in concentrati determina una diminuzione del tenore in grasso. Nel caso dei formaggi analizzati nell’ambito del progetto TERRAVITA le

121 proteine, invece, non mostrano differenze significative (p>0,05) tra i formaggi in stalla o in alpeggio, come riportato anche da Bergamaschi et al. (2016).

Da un analisi più approfondita, i formaggi d’alpeggio pur presentando un contenuto mag- giore di lipidi hanno un profilo degli acidi grassi più favorevole: in particolare, nei formaggi d’alpeggio si osserva un minor contenuto di acidi grassi saturi (SFA) ed un maggior con- tenuto di acidi grassi monoinsaturi (MUFA), polinsaturi (PUFA) e di isomeri coniugati dell’acido linoleico (CLA) rispetto ai formaggi ottenuti da animali allevati in stalla (Figura 2) con differenze altamente significative (p<0,001) e in accordo con dati presenti in lette- ratura (Dewhurst et al., 2006; Leiber et al., 2006; Ferlay et al., 2008; La Terra et al., 2010; Descalzo et al., 2012; Romanzin et al., 2012; Bonanno et al., 2013). E’ noto, infatti, che diete basate sul pascolo contribuiscono ad un aumento degli acidi grassi PUFA (Ellis et al., 2006) e dei CLA (Butler et al., 2009).

Il contenuto di vitamine liposolubili A ed E (Figura 3) è risultato maggiore (p<0,05) nei formaggi d’alpeggio (anche riferendo i dati sulla sostanza secca) così come riportato da altri autori in letteratura (Martin et al., 2004; Agabriel et al., 2007). Analogamente il GPA, indi- ce adimensionale in grado di fornire una valutazione quantitativa della stabilità alle reazioni ossidative del prodotto, ha mostrato valori più elevati nei formaggi d’alpeggio. I valori di GPA seguono lo stesso andamento dell’attività antiradicalica dell’estratto vitaminico misu- rata con il saggio DPPH (Figura 3) e del valore dell’indice di giallo b* (24,7 vs 20,5 rispet- tivamente nei formaggi d’alpeggio e di stalla). Quest’ultimo dato è risultato in accordo con altri lavori presenti in letteratura (Agabriel et al., 2007; Nozière et al., 2006) che spiegano come l’aumento dell’indice di giallo sia legato a vari fattori tra i quali un maggior contenuto di caroteni nel latte e quindi, ad una maggiore quantità di foraggi nell’alimentazione del bestiame.

Figura 1. Composizione in macronutrienti (g/100g) ed energia (kcal/100g e kJ/100g) dei formaggi del Nord Italia ottenuti da latte di animali al pascolo in alpeggio e allevati in stalla.

122 Figura 2. Contenuto in acidi grassi (g acidi grassi /100g acidi grassi tot) dei formaggi del Nord Italia ottenuti da latte di animali al pascolo in alpeggio e allevati in stalla. Lettere diverse corrispondono a differenze significative per p<0,05.

Figura 3. Contenuto in vitamina E ed A (µg/100g), valori del Grado di Protezione Antiossidante (GPA) e del DPPH dell’estratto vitaminico (espresso come µmol α-tocoferolo/100g) dei formaggi del Nord Italia ottenuti da latte di animali al pascolo in alpeggio e allevati in stalla. Lettere diverse corrispondono a differenze significative per p<0,05.

Inoltre, poiché alcuni campioni del Nord Italia prevedono l’aggiunta di zafferano durante il processo di caseificazione, è stato approfondito lo studio, valutando il contenuto di crocine (composti maggiormente responsabili del colore dello zafferano) sia in due formaggi vaccini del Nord Italia (Bagoss e Nostrano Valtrompia), sia in tre formaggi Pecorini caratterizzati anch’essi dalla presenza di zafferano ma prodotti in Centro Italia (Tabella 1). L’aggiunta di zafferano a prodotti della tradizione lattiero-casearia è una pratica generalmente usata per conferire colore e un aroma caratteristico, tuttavia, è possibile che i principali composti bio- attivi presenti in questa spezia subiscano modifiche e/o degradazioni ad opera dei processi caseari e di conseguenza, possano essere trasferiti ai prodotti finiti solo in minima parte.

I risultati ottenuti (Figura 4) hanno mostrato una variabilità nel contenuto di crocine tra formaggi vaccini e formaggi pecorini. Queste differenze sono riconducibili con grande pro- babilità alle diverse pratiche di caseificazione: infatti è stato verificato che l’aggiunta di zaf- ferano può avvenire sotto diverse forme, in polvere o in stami, e in diversi momenti della ca- seificazione (nel latte o nella cagliata), oltre che variare nella quantità inizialmente aggiunta.

123 Figura 4. Contenuto di crocine totali (mg/100g) in campioni di formaggio Bagoss e Nostrano Valtrompia (ottenuti da latte di animali al pascolo in alpeggio e allevati in stalla) e in campioni di Pecorino (Z1, Z2 e Z3) aggiunti di zafferano (lettere diverse corrispondono a differenze significative per p<0.05)

Nel Centro Italia lo studio ha riguardato principalmente due formaggi tipici: la Giuncata abruzzese e il Pecorino d’Abruzzo. La Giuncata, formaggio fresco con un aroma particolare legato ad erbe e/o a foraggi utilizzati per l’alimentazione del bestiame, può essere prodotta con latte vaccino (Sprisciocca) o con latte ovino o misto (Giuncatella).

In Figura 5 si riportano le composizioni medie dei principali macronutrienti e il relativo valore dell’energia riferiti a 100g di prodotto fresco nelle Giuncate. In questo progetto i formaggi studiati rappresentano piccole produzioni provenienti da caseifici diversi tra loro che utilizzano pratiche casearie tradizionali spesso tramandate da una generazione all’altra e difficilmente comparabili. La maggiore variabilità nella produzione è stata ritrovata nelle Giuncate di pecora, pertanto, in questo lavoro si è preferito dividere in due gruppi le Giun- cate di pecora e discuterle separatamente sulla base del loro diverso contenuto di acqua. Tutti macronutrienti (Figura 5) mostrano differenze statisticamente significative (p<0,05) tra tutte le tipologie di Giuncate (vaccina e di pecora x e y). La Giuncata vaccina è risultata meno grassa delle Giuncate di pecora a minor contenuto di acqua (Giuncata di pecora x), differenza confermata anche riferendo i dati alla sostanza secca. Numerosi lavori riportano, infatti, un maggior contenuto di grassi nel latte ovino (Park et al., 2007; Boyazoglu e Mo- rand-Fehr 2001; Raynal-Ljutovac et al., 2008) anche se evidenziano una grande variabilità sia nella quantità che nella qualità del grasso, in base allo stadio di lattazione, alla stagione di raccolta del latte, alla razza e all’alimentazione del gregge.

Per quanto riguarda le vitamine liposolubili, i contenuti di vitamina A ed E sono riportati nella Figura 6. In particolare, si evidenzia un maggior contenuto (p<0,05) di alfa tocoferolo, nelle Giuncate ovine rispetto a quelle vaccine. Un andamento simile al contenuto di alfa tocoferolo si osserva sia nel valore di GPA, sia nell’attività antiradicalica dell’estratto vitami- nico (Figura 7). I contenuti di vitamina A risultano statisticamente differenti (p<0,05) tra le tre diverse tipologie di Giuncate.

Relativamente agli acidi grassi (dati non mostrati), è stato evidenziato un maggior contenu- to nella Giuncata ovina (x) rispetto alla Giuncata vaccina, degli acidi grassi a catena corta da C4:0 a C10:0, degli acidi grassi polinsaturi (PUFA) e dei CLA, in linea con quanto ripor-

124 tato da numerosi autori (Patkowska-Sokoła et al., 2004; Barłowska et al., 2011; Balthazar et al., 2017).

Nella Figura 8 si riportano i valori dei principali sali minerali: le differenze sono risultate significative (p<0,05) per tutti gli elementi studiati. In particolare la Giuncata di pecora (x) risulta più ricca in calcio e fosforo, confermando ciò che è stato riportato da alcuni autori (Balthazar et al., 2017; Raynal-Ljutovac, 2008) secondo cui il latte di pecora contiene una maggiore quantità di questi elementi rispetto al latte vaccino.

Sulla base delle raccomandazioni dei LARN (2014) nella Tabella 2 si riportano le coperture percentuali dei fabbisogni giornalieri di calcio, fosforo, vitamina A ed E con una porzione di 100g di Giuncata. In relazione al contenuto di sale e alle indicazioni fornite dall’OMS (WHO, 2014), che definisce come obiettivo per la salute una quantità giornaliera di sale inferiore a 5g/die, il contenuto di sale nella Giuncata vaccina è risultato in media pari a 0,31g/100g mentre, in quella di pecora rispettivamente a 0,28g/100g (Giuncata di pecora x) e 0,32g/100g (Giuncata di pecora y). Con una porzione di Giuncata, quindi, si assume in media il 6% della quota consentita giornaliera di sale. Inoltre, ridurre il consumo di coleste- rolo ad un valore <300mg/die (LARN, 2014) rappresenta un obiettivo nutrizionale per la prevenzione, soprattutto nel caso di malattie cardiovascolari, pertanto con una porzione di 100g si assume in media il 17 % (Giuncata vaccina e Giuncata ovina x) e il 9,4% (Giuncata di pecora y) della quota massima giornaliera consentita di colesterolo.

Figura 5. Composizione in macronutrienti (g/100g) ed energia (kcal/100g e kJ/100g) della Giuncata vaccina e delle Giuncate di pecora

Figura 6. Contenuto in vitamina E ed A (µg/100g) della Giuncata vaccina e delle Giuncate di pecora. Lettere diverse corrispondono a differenze significative per p<0,05.

125 Figura 7. Valori del GPA e del DPPH dell’estratto vitaminico (espresso come µmol α-tocoferolo/100g) della Giuncata vaccina e delle Giuncate di pecora. Lettere diverse corrispondono a differenze significa- tive per p<0,05.

Figura 8. Contenuto in sali minerali (mg/100g) nella Giuncata vaccina e nelle Giuncate di pecora. Lette- re diverse corrispondono a differenze significative per p<0,05.

Tabella 2. Coperture % di alcuni fabbisogni* giornalieri con una porzione (100g) di Giuncata per Calcio, Fosforo, Vitamina A e Vitamina E

Giuncata abruzzese CALCIO FOSFORO VIT A VIT E

(uomo) (donna) (uomo) (donna) G. vaccina 38,3 35,7 31,8 37,1 2,3 2,5 G. di pecora x 50,3 49,6 35,9 41,9 3,9 4,2 G. di pecora y 22,9 22,9 17,8 20,8 2,7 2,9 *Fabbisogni calcolati secondo LARN (2014) utilizzando i livelli di Assunzione raccomandata giornalieri per la popolazio- ne italiana (PRI) per calcio e fosforo e vitamina A e l’Assunzione adeguata (AI) per la Vitamina E per un adulto (18-59 anni)

Un altro formaggio studiato nell’ambito del progetto TERRAVITA che ben rappresenta le diverse realtà dei prodotti caseari nelle Aree Parco del Centro Italia è stato il Pecorino d’A- bruzzo. E’ un formaggio fortemente legato alla tradizione in quanto rappresentava l’alimen- to base dei pastori che si spostavano fra i territori durante la transumanza, scegliendo pascoli in cui la biodiversità delle erbe locali potevano essere la migliore base dell’alimentazione del bestiame, conferendo al latte aromi unici. Il Pecorino d’Abruzzo è un formaggio di forma cilindrica, con uno scalzo di colore giallo con tonalità più o meno intense e caratterizzato

126 da una pasta di colore giallo paglierino chiaro con una consistenza che può variare da tenera a semidura o dura, in base al grado di maturazione.

Nella Figura 9 si riportano i valori medi dei principali macronutrienti e di energia riferiti a 100g di Pecorino d’Abruzzo Stagionato (> 3 mesi), campionati nelle province di Teramo, L’Aquila e Pescara. La composizione in macronutrienti mostra delle variazioni significative (p<0,05) per provincia relativamente alle proteine, ai grassi e alle ceneri (riferendo i dati sia alla sostanza secca che al fresco).

Figura 9. Composizione in macronutrienti (g/100g) ed energia (kcal/100g e kJ/100g) del Pecorino d’Abruzzo stagionato prodotto nelle province di Teramo, L’Aquila e Pescara.

Le maggiori differenze tra i Pecorini studiati si possono riscontrare nei sali minerali (Figura 10): ciò potrebbe essere legato alle differenti razze ovine che sono presenti nelle varie pro- vince o anche alle pratiche di caseificazione. Ad esempio, il contenuto di sodio, legato ai processi di salatura, è molto diverso nei campioni provenienti dalla provincia dell’Aquila rispetto ai contenuti presenti nei campioni provenienti da Teramo o da Pescara. Tuttavia, la frazione minerale nel latte ovino non è stata studiata così approfonditamente come caso del latte vaccino: alcuni studi (Bencini et al., 1997; Zamberlin et al., 2012) evidenziano come la concentrazione dei minerali nel latte ovino dipenda sicuramente da numerosi fattori tra cui la razza, la fisiologia dell’animale, lo stadio di lattazione, lo stato di salute dell’animale, mentre è stata solo ipotizzata una possibile influenza delle stagioni e dell’alimentazione del bestiame. Più recentemente invece, alcuni autori (Mattera et al., 2016) riportano una va- riabilità, soprattutto per il contenuto di Ca, Na e K nel Pecorino d’Abruzzo durante l’anno. I risultati ottenuti confermano quanto indicato già nei primi anni ‘90 da altri autori ovvero che la produzione di questo prodotto non è standardizzata ma varia tra le diverse zone di produzione e i diversi caseifici dell’Abruzzo (Ricci et al., 1993).

Anche nelle vitamine liposolubili si possono evidenziare delle differenze (p<0,05) tra cam- pioni delle tre province, come mostrato in Figura 11, mentre il Grado di Protezione Antios- sidante, che per questi formaggi varia da un minimo di 8,3 (AQ) ad un massimo di 12,8 (TE) non mostra differenze significative (p>0,05).

Il profilo della composizione in acidi grassi conferma il ruolo importante del Pecorino d’A- bruzzo per PUFA e CLA nell’alimentazione umana (Prandini et al., 2007; Buccioni et al., 2010). Diversi studi sottolineano l’importanza di sostituire gli acidi grassi SFA con i PUFA nella dieta per ridurre il rischio di malattie cardiovascolari (Simopoulos, 2002). L’assunzio- ne di un formaggio naturalmente ricco di CLA sembra indurre cambiamenti biochimici favorevoli dei marcatori aterosclerotici e i risultati relativi agli acidi grassi nei Pecorini stu- diati (Figura 12), hanno confermato un’alta concentrazione di CLA, come già evidenziato da alcuni autori (Voutzourakis et al., 2014; Mattera et al., 2016).

127 Figura 10. Contenuto in sali minerali in Pecorino d’Abruzzo prodotto nelle province di Teramo, L’Aquila e Pescara. Lettere diverse corrispondono a differenze significative per p<0,05.

Figura 11. Contenuto in Vitamina A ed E in Pecorino d’Abruzzo prodotto nelle province di Teramo, L’A- quila e Pescara. Lettere diverse corrispondono a differenze significative per p<0,05.

Figura 12. Box plot relativo al contenuto in acidi grassi (g/100g acidi grassi totali) in Pecorino d’Abruzzo prodotto nelle province di Teramo, L’Aquila e Pescara

128 Infine, sulla base dei livelli di assunzione raccomandati per la popolazione italiana (LARN 2014), è stata effettuata una valutazione nutrizionale del Pecorino d’Abruzzo: in Tabella 3 è riportata la copertura dei fabbisogni di calcio, fosforo, vitamina A ed E per un adulto sano, con una porzione di 50g di Pecorino d’Abruzzo stagionato (> 3mesi). Bisogna ricordare, inoltre, che una porzione di Pecorino d’Abruzzo apporta il 18% della quota consentita gior- naliera di sale e copre il 16% della quota consentita giornaliera di colesterolo.

Tabella 3. Coperture % di alcuni fabbisogni* giornalieri con una porzione di Pecorino d’Abruzzo stagio- nato (50g) per Calcio, Fosforo, Vitamina A e Vitamina E.

Pecorino d'Abruzzo CALCIO FOSFORO VITAMINA A VITAMINA E

(uomo) (donna) (uomo) (donna) Pecorino stagionato 37,1 36,7 27,7 32,3 4,5 4,9 *Fabbisogni calcolati secondo LARN (2014) utilizzando i livelli di Assunzione raccomandata giornalieri per la popolazio- ne italiana (PRI) per calcio e fosforo e vitamina A e l’Assunzione adeguata (AI) per la Vitamina E per un adulto (18-59 anni)

Oggetto di studio nel Sud Italia è stata la Provola delle Madonie, formaggio vaccino pro- dotto da latte intero crudo di vacche di razza bruna e/o meticcia, alimentate sia con foraggi verdi (pascolo naturale) che con fieno. E’ un formaggio a pasta filata che si presenta a forma di pera con pasta compatta e una crosta sottile giallo paglierino. Le Provole delle Madonie sono state campionate nell’arco di due annate successive e le tipologie studiate sono state: provole fresche, affumicate e a diverso grado di stagionatura (4 e 16 mesi).

Nella Figura 13 si riportano i valori medi relativi alla composizione in macronutrienti. Il contenuto di acqua, proteine, grassi, ceneri e carboidrati ha evidenziato differenze signifi- cative per tutti i macronutrienti (p<0,05) che dipendono soprattutto dalla stagionatura del prodotto e quindi dal contenuto di acqua: esprimendo i valori sulla sostanza secca, infatti, queste differenze non sono più significative (p>0,05).

Figura 13. Composizione in macronutrienti (g/100g) ed energia (kcal/100g e kJ/100g) della Provola delle Madonie fresca, affumicata e a diverso grado di stagionatura

Come riportato in letteratura, per prodotti caseari di tipo artigianale a pasta filata si pos- sono avere grandi variazioni nei contenuti dei diversi composti (D’Amico et al., 2001) e questo si riscontra dai risultati ottenuti sia per i sali minerali che per le vitamine liposolubili, dove la variabilità tra le due annate è molto elevata (Figura 14 e Figura 15), caratteristica

129 questa che conferma la non standardizzazione del prodotto. Il colesterolo invece, varia in minor misura tra le due annate e, come ci si aspettava, risulta sempre maggiore nel pro- dotto a maggior stagionatura (92,1mg/100g - 130,6mg/100g) rispetto al prodotto fresco (74,4-101,5mg/100g).

Figura 14. Contenuto in sali minerali della Provola delle Madonie fresca, affumicata e a diverso grado di stagionatura. I valori sono espressi come media di campionamenti di due annate successive.

Figura 15. Contenuto in Vitamina A ed E della Provola delle Madonie fresca, affumicata e a diverso grado di stagionatura. I valori sono espressi come media di campionamenti di due annate successive.

Nelle Provole i valori di GPA (Figura 16) risultano diversi tra loro, ma non seguono un an- damento legato alla stagionatura. E’ però interessante notare che mentre il valore di GPA è risultato simile (p>0,05) nella Provola fresca e nella Provola affumicata, i valori relativi all’i- nibizione del DPPH dell’estratto vitaminico (Figura 16) sono risultati maggiori (p<0,05) nella Provola affumicata rispetto alla Provola fresca. A supporto di questo andamento, esi- stono alcuni lavori che evidenziano come in alimenti affumicati l’attività antiossidante, misurata con test in vitro (acido 2-tiobarbiturico) (Goulas e Kontominas, 2005) o con nuove tecniche (Guillen e Cabo, 2004), possa addirittura aumentare per la presenza, ad esempio, di composti antiossidanti che si possono formare durante questo processo. Sempre relativamente alla frazione lipidica il contenuto di acidi grassi (Figura 17) non ha eviden- ziato differenze significative tra le diverse tipologie di provole per acidi grassi saturi (SFA) e monoinsaturi (MUFA) mentre è risultato maggiore il contenuto di acidi grassi polinsaturi

130 (PUFA) nella Provola a 16 mesi di stagionatura. E’ stata evidenziata anche la presenza di CLA, ma senza mostrare differenze significative tra le diverse Provole.

Figura 16. Valori del GPA e del DPPH dell’estratto vitaminico (espresso come µmol α-tocoferolo/100g) della Provola delle Madonie fresca, affumicata e a diverso grado di stagionatura. I valori sono espressi come media di campionamenti di due annate successive.

Figura 17. Acidi grassi (g acidi grassi/100g acidi grassi totali) della Provola delle Madonie fresca, affu- micata e a diverso grado di stagionatura. I valori sono espressi come media di campionamenti di due annate successive.

Dal punto di vista nutrizionale (Tabella 4), una porzione di 50g di Provola delle Madonie (nelle differenti tipologie), garantisce, per un adulto sano, una copertura del fabbisogno giornaliero di calcio che va dal 41,3% al 52,7% e quella di fosforo dal 42,1% al 57,8%. La presenza di questi due sali minerali garantisce, inoltre, un rapporto molare calcio/fosforo ottimale (pari in media a 1,1) in grado di favorire la biodisponibilità di questi due elemen- ti. E’ però necessario ricordare che il contenuto in sale di una porzione di Provola delle Madonie apporta in media il 25% della quantità massima consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (5g/die). La copertura percentuale di vitamina A con una porzione di Provola è in media del 5,6% (per l’uomo) e del 6,5% (per la donna), mentre per la vitamina E è di 1,2% e 1,3% rispettivamente nell’uomo e nella donna. Infine, considerando come Obiettivo nutrizionale per la prevenzione un valore di colesterolo <300mg/die in un adulto sano (LARN, 2014), la percentuale di assunzione giornaliera con una porzione di Provola delle Madonie (50g) può variare dal 15% al 19% se si consuma prodotto fresco o quello stagionato (16 mesi).

131 Tabella 4. Coperture % di alcuni fabbisogni* giornalieri con una porzione di Provola delle Madonie (50g) per Calcio, Fosforo, Vitamina A e Vitamina E.

Provola delle Madonie CALCIO FOSFORO VITAMINA A VITAMINA E

(uomo) (donna) (uomo) (donna) Fresca 41,3 42,1 4,4 5,1 1,2 1,3 Affumicata 38,1 38,5 8,4 9,8 1,3 1,4 4 mesi 48,6 49,2 3,1 3,6 1,0 1,1 16 mesi 52,7 57,8 6,6 7,7 1,3 1,4

*Fabbisogni calcolati secondo LARN (2014) utilizzando i livelli di Assunzione raccomandata giornalieri per la popolazione italiana (PRI) per calcio e fosforo e vitamina A e l’Assunzione adeguata (AI) per la Vitamina E per un adulto (18-59 anni)

CONCLUSIONI Questo lavoro, riassume i risultati principali del Progetto TERRAVITA, in cui sono stati oggetto di studio alcuni formaggi del Nord, Centro e Sud Italia che provengono da aree protette, come parchi nazionali o regionali e aree montane. I risultati evidenziano un’elevata variabilità tra i formaggi studiati, dovuta non solo alla specie animale (vacca o pecora), alla razza o al tipo di allevamento, ma anche ai diversi trattamenti tecnologici e alle pratiche tradizionali di caseificazione delle diverse aree.

Il panorama dei formaggi tradizionali Italiani è molto ampio e le differenze si riscontrano anche in formaggi simili tra loro. Queste differenze all’interno di una stessa categoria, spesso, non sono facilmente riconducibili a pochi fattori caratterizzanti (come il territorio o la materia prima utilizzata), ma possono essere il frutto di un insieme di fattori a cui si aggiungono anche le differenti pratiche casearie locali.

In molti casi si tratta di piccole realtà produttive, come nel caso della Giuncata abruzzese, in altri dell’utilizzo di pratiche di caseificazione non standardizzate, anche tra caseifici di diverse province all’interno della stessa regione, come nel caso del Pecorino d’Abruzzo, che contribuiscono alla variabilità osservata tra i prodotti. Nel caso della Provola delle Madonie, formaggio ottenuto da animali che pascolano per molti mesi l’anno, le differenze riscontrate in campioni di diverse annate potrebbero essere una prova di biodiversità legata alla stagio- ne di raccolta del latte e/o alle eventuali differenze nelle essenze foraggere che caratterizzano i pascoli.

Una maggiore distinzione è stata invece possibile all’interno dei formaggi del Nord Italia dove la presenza preponderante di pascoli estivi ad elevata altitudine, quali sono gli alpeggi, caratterizza in modo netto il prodotto che risulta più facilmente distinguibile dagli stessi formaggi ottenuti con latte di animali allevati in stalla nel periodo invernale.

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135 I FORMAGGI DEL TERRITORIO: ASPETTI PRODUTTIVI E DI SALUBRITÀ

Formigoni A., Serraino, A. Giacometti, Grilli E., Mammi L., Cavallini D., Canestrari G., Palmonari A., Palmonari A. Dipartimento di Scienze Mediche Veterinarie, Università di Bologna

INTRODUZIONE È noto che la qualità, la quantità e la modalità di somministrazione degli alimenti alle bo- vine, sono fattori di grande rilievo nel modificare la quantità e le caratteristiche qualitative del latte e dei formaggi; non sorprende dunque come gran parte delle produzioni casearie tipiche siano basate sulla produzione di latte che deriva da animali il cui regime alimentare è normato da disciplinari che hanno la finalità di garantire, preservare e esaltare le caratteri- stiche organolettiche, sensoriali e nutrizionali distintive dei formaggi.

L’alimentazione degli animali influisce in maniera diretta e indiretta sulla composizione, le caratteristiche di caseificabilità e la dotazione microbiologica del latte (Mordenti et al, 2017). Il tasso lipidico e la composizione in acidi grassi, come pure le componenti azotate, vitaminiche e minerali del latte risentono profondamente delle caratteristiche delle diete adottate; non sorprende dunque che anche le rese casearie e le caratteristiche organolettiche e sensoriali dei formaggi possono essere influenzate dal regime alimentare delle vacche.

Le razioni utilizzate sono in grado di modificare direttamente i processi digestivi, (in par- ticolare le fermentazioni ruminali e intestinali), e più in generale influire sulla dotazione microbiologica nativa del latte. Il meccanismo attraverso cui queste influenze si attuano è riferibile ad almeno due vie; la prima è legata alla possibile presenza di microorganismi (al- cuni dotati di potenziale patogenicità anche per l’uomo) che si sviluppano all’interno della mammella e che sono presenti nel latte già alla mungitura; la seconda via è quella legata all’esposizione all’ambiente di stalla del latte dopo la mungitura e durante la conservazione fino al momento della caseificazione. Il latte una volta munto viene infatti in contatto con le attrezzature utilizzate in stalla, con l’aria e l’ambiente e, a volte, con le mani degli operatori. Il latte è dunque, in senso lato, un collettore del “microbioma” ambientale ove sono allevati gli animali e al caseificio rappresenta, microbiologicamente parlando, l’ambiente ove viene prodotto (Julien et al., 2008).

Il tema è ovviamente molto sentito soprattutto nel caso delle lavorazioni del latte crudo ovvero non previamente pastorizzato. Nella produzione tradizionale di formaggi la dota- zione nativa di microrganismi del latte è, insieme all’utilizzo di appropriate tecnologie di caseificazione, fondamentale nel determinismo del risultato finale. Per le produzioni basate sull’utilizzo di latte crudo è comunque evidente l’importanza di considerare con attenzione i rischi derivanti dalla possibile presenza di microrganismi potenzialmente patogeni per l’uomo che direttamente dall’ambiente di stalla e del caseificio possono trasferirsi lungo la filiera di produzione e fino al consumatore. E’ il caso di patogeni conosciuti da tempo che possono essere considerati particolarmente rischiosi per il consumatore ma anche di quelli la cui importanza è stata solo di recente riconosciuta; i batteri del genere Arcobacter, E. coli O157 e Campylobacter jejuni possono rappresentare un pericolo per il consumatore di prodotti a base di latte ottenuti con sistemi artigianali o anche nelle produzioni industriali soprattutto se il latte non viene pastorizzato e se non si attua un lungo periodo di stagio- natura; questi batteri si sviluppano nel tratto intestinale degli animali, vengono eliminati nell’ambiente con le feci aumentando i rischi di contaminare il latte.

Le principali produzioni tipiche sono ottenute da latte lavorato crudo e con l’uso di sieri

136 innesti naturali e autoctoni; questi elementi sono distintivi delle principali matrici di tipi- cità dei prodotti finali perché espressione dell’ambiente che li produce; allorquando il latte presenta caratteristiche microbiologiche inadeguate il processo di trasformazione non può avvenire correttamente e la tipicità viene compromessa.

Per tutti i formaggi DOP sono previsti regolamenti di alimentazione delle bovine che ri- chiedono, ammettono ed escludono numerosi alimenti; ai foraggi comunque è sempre at- tribuita un’importanza fondamentale perché ad essi è deputato il ruolo di “marker” territo- riali; così, per quasi tutte le principali DOP è richiesto che i foraggi utilizzati nelle razioni delle bovine derivi in gran parte dai comprensori di produzione (Schema 1).

Schema 1. I foraggi nei disciplinari di produzione dei latti destinati alla trasformazione in formaggi DOP.

Provenienza da Fieni Foraggi Foraggi Alimenti comprensorio % min./s.s. Verdi (%) Insilati Grana Padano 50 75 Ammessi Ammessi Ammessi Parmigiano Reggiano 50 75 Limitati Richiesti Vietati Trentin Grana 50 Prevalente Ammessi Ammessi Vietati Gorgonzola … …. …. …. …. Asiago …. …. Ammessi Ammessi Limitati Provolone Valpadana 50 75 Ammessi Ammessi Ammessi Montasio 60 …. Ammessi Ammessi Vietati Fontina … 100 Ammessi Ammessi Vietati Provolone del Monaco 40 … Ammessi Ammessi Vietati Ragusano … prevalente Ammessi Ammessi … Castelmagno … prevalente Ammessi Ammessi Vietati Piave 70 50 Ammessi Ammessi Vietati Puzzone di Moena … 60 Ammessi Ammessi Vietati Salva Cremasco … 60 Ammessi Ammessi Ammessi Spressa delle Giudicarie 50 prevalente No alpeggio Richiesti Vietati Squacquerone Romagna 60 100 Ammessi Ammessi Ammessi Stelvio … … Ammessi Ammessi Vietato silomais Nostrano Valtrompia 75 50 Ammessi Ammessi Vietato silomais Nel caso della produzione di alcuni fra i più noti formaggi DOP nazionali l’uso di insilati è vietato per evitare i problemi connessi alla contaminazione da spore; ove non è ammesso l’uso di lisozima in caseificazione, è quasi sempre fatto divieto di detenere e utilizzare ali- menti insilati; tale sistema di conservazione infatti comporta un elevato rischio di formazio- ne di spore che, contaminando il latte, giungono al caseificio e determinano gonfiori tardivi e irrimediabili danni al formaggio prodotto.

Altrettanto noti sono alcuni nessi causali fra sistemi di conservazione del latte e dotazione di popolazioni microbiche mesofile e filo casearie; per questi motivi il latte destinato alla caseificazione in formaggi tipici viene spesso mantenuto a temperature molto più elevate di quanto non avvenga per il latte destinato al consumo diretto.

137 Il regolamento di produzione del Grana Padano richiede che il latte non sia conservato in frigorifero a temperature inferiori ai 10 °C mentre per il Parmigiano Reggiano (ove il latte è raccolto alla stalla due volte al giorno) la temperatura non deve scendere al di sotto dei 18°C.

Come detto, nella maggioranza dei disciplinari di produzione si riconosce all’alimentazione delle bovine un ruolo essenziale per assicurare la tipicità; il ruolo dei foraggi che, di norma, debbono essere presenti nelle razioni delle bovine in quantità non inferiore al 50% della sostanza secca è di preminente rilievo e ciò non deve sorprendere alla luce del fatto che i foraggi sono essenziali per mantenere in buona salute le bovine e prevenire pericolosi dismi- crobismi nel digerente che possono alterare le caratteristiche casearie del latte.

Le alterazioni fermentative nel rumine e nell’intestino sono indubbiamente meno frequenti se i foraggi sono ben rappresentati e correttamente utilizzati nelle razioni; ciò non significa che i mangimi debbano essere banditi. Questi alimenti infatti, se utilizzati in modo razionale, sono essenziali sia per sostenere gli sforzi produttivi delle bovine di elevato valore genetico e sia per migliorare le caratteristiche qualitative del latte. Al momento attuale gli sforzi della ricerca sono orientati a valorizzare le risorse foraggere aziendali e a comprendere i meccani- smi attraverso i quali gli errori di razionamento siano in grado di modificare le caratteristiche casearie del latte attraverso un cambiamento della sua dotazione microbiologica.

Date le premesse succintamente riportate con le presenti ricerche si sono voluti indagare i seguenti temi:

1. Studio delle relazioni esistenti fra dieta e habitat microbiologico ruminale e intestinale di bovine con l’uso di razioni caratterizzate dall’uso di diverse quantità di foraggi affie- nati.

2. Studio della relazione esistente fra diete a diversa fermentescibilità, sviluppo nel dige- rente di clostridi anticaseari, habitat ruminale e popolazioni mesofile nel latte.

3. Caratterizzazione della flora microbica intestinale e sua influenza sulla presenza di mi- crorganismi patogeni nel latte.

4. Fonti di contaminazione del latte da Arcobacter spp. nella produzione primaria.

5. Fonti di contaminazione dei prodotti caseari da Arcobacter spp. nella produzione indu- striale.

6. Evoluzione nel corso delle trasformazioni artigianali e industriali delle popolazioni mi- crobiche patogene.

1. STUDIO DELLE RELAZIONI ESISTENTI FRA DIETA E HABITAT MICROBIOLOGICO RUMINA- LE E INTESTINALE DI BOVINE CON L’USO DI RAZIONI CARATTERIZZATE DALL’USO DI DI- VERSE QUANTITÀ DI FORAGGI AFFIENATI

MATERIALI E METODI L’obiettivo dello studio è stato misurare alcuni indicatori di qualità microbiologica e casea- ria del latte di vacche alimentate con una razione conforme al disciplinare di alimentazione delle bovine da Parmigiano Reggiano e contenente il 57% di concentrati. Tale quantitativo di concentrati, abbastanza in linea con quanto utilizzato nella pratica, comporta un’alta produttività a fronte di un moderato rischio di insorgenza di sub-acidosi ruminale con conseguente impatto sulla funzionalità ruminale stessa e ripercussioni a valle sulla qualità del latte. La finalità ultima era quindi la raccolta, in condizioni semi-sperimentali, di dati di base sulla qualità del latte destinato a trasformazioni casearie per produzioni tipiche.

138 Il campionamento e le osservazioni sono stati condotti su un totale di 20 vacche in posta libera cui era stato somministrato tramite bolo un pH-metro per la misurazione in continuo del pH ruminale. Le vacche, le cui caratteristiche produttive sono riportate in Tabella 1, sono state alimentate con la dieta sub-acidogena (composizione in Tabella 2) per 42 giorni durante e al termine dei quali sono stati fatti dei prelievi di latte di massa per le analisi mi- crobiologiche e casearie (Tabella 3). Il latte di massa è poi stato utilizzato per produrre una cagliata sperimentale che poi è stata analizzata per popolazioni microbiche filo (carica lattica mesofila e termofila) ed anti- casearie (lieviti, Enterobacteriaceae) e per le proprietà casearie e lattodinamografiche.

Tabella 1. Caratteristiche produttive delle bovine

media dev. std Produzione latte kg/d 34.5 9.7 Età mesi 48.0 13.2 Parti n. 2.05 1.0 Giorni in lattazione n. 183.9 94.91 Peso kg 640.1 65.3 Grasso nel latte % 2.95 0.35 Proteina nel latte % 3.10 0.15

Tabella 2. Caratteristiche chimiche della dieta

Ingredienti (kg/capo/d), tal quale Fieno 1° taglio 8.2 Medica disidratata (pellet) 2.2 Paglia di frumento 1.1 Mais fioccato 5.5 Farina di sorgo 5.5 Farina di soia (44%) 2.2 Vitamine e minerali premix1 0.55 Grassi idrogenati 0.55 Melasso di canna e barbabietola (50%/50%) 1.1 Foraggi: concentrati 43 : 57 Nutrienti SS (%, tal quale) 92.2 Ceneri (% SS) 8.5 EE (% SS) 4.3 PG (% SS) 14.7 NDF (% SS) 31.2 ADL (% SS) 3.4 Amido (% SS) 25.5 Ca (% SS) 1.34 P (%(% SS) 0.5 DCAD2, meq 19

1 Per 1 kg: Ca: 156g, P: 1g, Na: 148g, Mg: 33g, Vit. A: 700.000 U.I., Vit. D3: 50.000 U.I., Vit. E: 1500 mg, Zn: 3000mg, Mn: 3000mg, Cu: 650mg, I: 70 mg, Co: 25 mg, Se: 25 mg. 2 calcolato secondo NRC 2001

139 Tabella 3. Qualità del latte nel corso dei 42 giorni di osservazione

Parametri Afilab Milkoscan Grasso % 3.18 ± 0.37 3.00 ± 0.53 kg/d 0.94 ± 0.26 0.89 ± 0.26 Proteina % 3.14 ± 0.13 3.28 ± 0.27 kg/d 0.94 ± 0.26 0.98 ± 0.26 Lattosio % - 4.81 ± 0.22 kg/d - 1.46 ± 0.46 FCM1 kg/d 25.8 ± 7.2 25.3 ± 7.1 ECM2 kg/d 26.1 ± 7.2 26.1 ± 7.0 Grasso/proteina 1.01 ± 0.10 0.92 ± 0.19 Caseina % - 2.55 ± 1.03 kg/d - 0.77 ± 0.36 Urea mg/l - 178 ± 83

1 latte corretto per il grasso al 4%= kg latte *(0.4+0.15*grasso%) 2 latte corretto per l’energia (750 kcal/kg) = kg latte*((383*grasso%+242*proteina%+783.2)/3140)

RISULTATI La dieta acidogena non ha indotto manifestazioni cliniche di acidosi ruminale sebbene, se- condo la definizione per cui un numero maggiore di 180 minuti a pH ruminale < 5.6 possa indicare acidosi, le vacche potessero trovarsi in condizioni di lieve sub acidosi, condizione tipica delle vacche ad alta produttività (Tabella 4).

Tabella 4. Tempi di ruminazione e pH ruminale (medie ± dev. std; n = 12)

Ruminazione (min/giorno) 396 ± 99 pH medio giornaliero 6.16 ± 0.25 pH < 5.8 (min/giorno) 188.8 ± 282.8 pH < 5.5 (min/giorno) 18.7 ±5 4.2 Come questa condizione di sub acidosi impatti parzialmente sulle caratteristiche reologiche del latte è evidenziato dai dati presentati in Tabella 5 dove vengono riportati i tracciati trom- bo elastografici, ovvero le frequenze delle varie frazioni casearie del latte ripartite sulla base delle loro velocità di coagulazione (Tabella 6). Appare infatti evidente che rispetto al tempo iniziale di osservazione (denominato D0), dopo 42 gg di somministrazione della dieta sub- acidogena, le frazioni casearie considerate ottimali sulla base delle velocità di coagulazione e sulle rese finali, ovvero le A e le B, calino a vantaggio di quelle sub ottimali.

Tabella 5. Acidità e proprietà reologiche del latte

media dev. std Parametro Acidità °SH/50ml 3.24 0.40 R min 14.02 9.62 r = tempo di coagulazione; k20 min 2.91 3.15 k20 = velocità di formazione del coagulo; a30 mm 18.93 14.32 a30 = consistenza del coagulo

140 Tabella 6. Proprietà lattodinamografiche del latte

Control LDG D0 D42

A Frequenza 50.00% 31.48% AE Frequenza 0.00% 7.41% B Frequenza 11.11% 1.85% D Frequenza 0.00% 0.00% E Frequenza 0.00% 20.37% EF Frequenza 0.00% 1.85% F Frequenza 0.00% 9.26% FF Frequenza 38.89% 27.78% Per quanto riguarda le proprietà microbiologiche, come riportate in Tabella 7 invece, i tempi di campionamento (indicati in tabella come latte 1, 2 e 3 e latte pre-cagliata ovvero quello campionato negli ultimi 4 gg di osservazione) influenzano moderatamente le carat- teristiche microbiologiche del latte (microflora quantitativamente non stabile fra un giorno e l’altro) denotando un forte impatto dell’ambiente esterno sulle proprietà microbiologi- che del latte. Inoltre, la cottura della cagliata sembra abbattere le popolazioni anti-casearie (enterobacteriaceae e lieviti) senza però influenzare le popolazioni filo-casearie (flora lattica mesofila e termofila).

Tabella 7. Proprietà microbiologiche del latte di massa e delle cagliate

Matrice Enterobacteriacee Mesofili Lieviti Lactococcus Lactococcus Lactobacilli Lactobacilli Log ufc/ml-g Log ufc/ml-g Log ufc/ml-g mesofili termofili mesofili termofili Log ufc/ml-g Log ufc/ml-g Log ufc/ml-g Log ufc/ml-g

Latte di massa-1 2.9 4.0 2.2 3.7 3.4 2.9 2.3 Latte di massa-2 1.1 4.2 <1 3.8 3.6 3.4 2.6 Latte di massa-3 2.4 3.9 2.6 3.6 3.2 3.0 2.0 Latte pre-cagliata 5.6 6.7 3.8 6.6 6.6 6.4 3.7 Starter <1 <1 <1 <1 <1 <1 <1 Cagliata pre-cot- 4.8 6.5 3.8 6.4 6.4 6.4 3.3 tura Cagliata post-cot- 0.8 5.5 <1 5.4 5.4 4.2 4.3 tura

2. STUDIO DELLA RELAZIONE ESISTENTE FRA DIETE A DIVERSA FERMENTESCIBILITÀ E SVI- LUPPO DI CLOSTRIDI ANTICASEARI, HABITAT RUMINALE E POPOLAZIONI MESOFILE NEL LATTE.

L’obiettivo di questo studio è stato quello di valutare l’effetto di diete apportanti amido a MATERIALI E METODI diversa fermentescibilità e digeribilità sullo sviluppo di spore di Clostridium tyrobutirricum nel rumine e nell’intestino e sulla composizione della microflora lattica in vacche da latte alimentate senza insilati e conformemente al disciplinare del parmigiano reggiano.

141 L’esperimento è stato condotto presso la stalla sperimentale dell’azienda agraria dell’Univer- sità di Bologna su 8 vacche mantenute in posta fissa con controllo individuale giornaliero dell’ingestione della razione e dell’acqua, della produzione quanti-qualitativa del latte (siste- ma AFIFARM integrato con AFILAB) e del peso individuale; in continuo sono anche stati monitorati il pH ruminale e i tempi di ruminazione.

Gli animali sono stati divisi in due gruppi sperimentali omogenei e alimentati con due diete sotto forma di unifeed che si diversificavano esclusivamente per la fonte di amido:

• Dieta FM (amido apportato da Fiocco di mais) • Dieta S (amido apportato da sorgo in farina fine). La fermentescibilità e la digeribilità del mais fioccato è sostanzialmente differente rispetto a quella della farina di sorgo. Infatti per l’amido del fiocco di mais si considera un tasso di de- gradabilità ruminale (kd) del 25%/ora circa a fronte del 7%/ora per il sorgo; relativamente alla digeribilità intestinale si stimano per il fiocco di mais valori superiori al 90% a fronte del 75% circa per la farina di sorgo.

Sono stati valutati due periodi di prova della durata di 10 giorni di cui 7 di adattamento e tre di prelievi.

Le 4 vacche che ricevevano la dieta FM nel primo periodo hanno ricevuto la dieta S nel secondo e viceversa (cross over design). Le bovine sono state alimentate ad libitum.

Il challenge con spore di C. tyrobutyricum è stato effettuato somministrandole individual- mente con bottiglia dopo dispersione in acqua. La somministrazione è avvenuta alle ore 8.00 dell’8° giorno di ciascun periodo di prova.

A 12, 24, 36, 48, 60 e 72 ore dalla somministrazione sono stati prelevati campioni di feci da ciascuna vacca con prelievo rettale per determinare la presenza delle spore attraverso metodica real time PCR. Al termine delle 72 ore sono stati anche raccolti campioni di liquor ruminale e latte indivi- duale per ulteriori determinazioni chimiche e microbiologiche. Al momento della raccolta, il latte e il contenuto ruminale ottenuto sono stati immediata- mente congelati. Al termine del primo periodo sperimentale si è proceduto al cambio della dieta e adatta- mento della durata di 7 giorni e in seguito si è proceduto ad un secondo challenge (seconda parte del cross over). Lo stesso schema di campionamento è stato replicato nel secondo periodo di prova.

RISULTATI Performance produttive, pH ruminale e fecale Nelle Tabelle 8, 9 e 10 sono riportati i dati relativi alle caratteristiche degli animali, delle razioni utilizzate e dell’assunzione di unifeed ed acqua.

Non vi sono differenze significative per quanto riguarda l’ingestione di sostanza secca, an- che se, in valori assoluti, la dieta contenente farina di sorgo ha fatto registrare consumi superiori di circa 1 kg. A fronte di una aumentata ingestione di sostanza secca, gli animali del gruppo S hanno anche assunto una maggiore quantità di acqua (P < 0.05). Gli animali alimentati con la dieta a base di mais fioccato hanno prodotto una maggiore quantità di latte (in media 1 kg di latte/die) anche se le differenze non sono risultate significative (32,26 fiocco di mais vs 31,18 kg farina di sorgo). 142 Tabella 8. Caratteristiche medie degli animali utilizzati per la ricerca

media dev.std Latte kg/d 32.62 2.26 Giorni di lattazione N 204.50 36.48 Ordine di parto N 3.75 0.89 Età Anni 5.08 0.76 Peso vivo kg 673.59 62.36 BCS p.ti 2.66 0.23

Tabella 9. Composizione delle diete sperimentali e le rispettive caratteristiche chimiche

Dieta Dieta Materia prima Frazione FM S FM S

Fieno primo taglio kg/t.q. 10 10 Sostanza secca % AF 89.06 88.62 Paglia kg/t.q. 1 1 Ceneri % DM 5.82 6.37 Fiocco Mais kg/t.q. 10 … Oli e grassi % DM 4.02 3.95 Farina Sorgo kg/t.q. … 10 Proteina grezza % DM 14.2 14.7 Soia F.E. (44%) kg/t.q. 3.5 3.5 NDF % DM 31.64 31.22 Grassi Idrogenati kg/t.q. 0.4 0.4 ADF % DM 19.25 19.03 Melasso kg/t.q. 1.5 1.5 ADL % DM 3.55 3.48 Premix Min. Vit. (*) kg/t.q. 0.4 0.4 dNDF24h % NDF 44.61 44.53 dNDF240h % NDF 80.03 79.87 Amido % DM 25.43 24.12

Tabella 10. Consumi alimentari registrati nel corso della sperimentazione

Dieta FM Dieta S

media media SEM p-value Sostanza Secca kg/vacca/g 21,89 22,85 0,51 0,353 Acqua litri/vacca/g 137,83 155,48 3,87 0,022 Il latte delle bovine alimentate con mais ha presentato percentuali di grasso significativa- mente inferiori rispetto a quello prodotto dalle bovine alimentate con il sorgo (rispettiva- mente 3,54% vs 3,78%). La percentuale proteica invece è risultata analoga tra i due gruppi (Tabella 11).

Tabella 11. Produzione e caratteristiche del latte ottenuti da AFIFARM e AFILAB

Dieta FM Dieta S

media media SEM p-value Latte kg/vacca/g 32.26 31.18 1.14 0.610 Grasso % 3.54 3.78 0.05 0.023 Proteina % 3.26 3.22 0.19 0.202

143 Al termine di ciascun periodo sperimentale, sono stati effettuati dei campionamenti indivi- duali di latte per ulteriori analisi i cui risultati ottenuti sono riportati in Tabella 12.

Tabella 12. Composizione chimica e qualitativa del latte campionato dopo 72 ore dal challenge.

Dieta SEM p-value FM S

Residuo secco % 11.19 11.62 0.12 0.055 Residuo secco magro % 8.46 8.46 0.05 0.986 Grasso % 2.80 3.26 0.15 0.075 Proteine % 3.30 3.26 0.04 0.493 Lattosio % 4.81 4.84 0.05 0.699 Caseina % 2.51 2.51 0.02 0.943 ICN % 76.12 77.09 0.32 0.078 Acidità °SH/50ml 2.98 2.99 0.05 0.938 Cellule n/mcl 92.25 98.88 10.54 0.672 Log Cellule 4.84 4.94 0.06 0.292 R minuti 21.51 18.31 2.18 0.340 a30 mm 13.86 20.16 2.82 0.164 k20 minuti 14.13 12.24 1.00 0.232 Acidif.Past ∆°SH/50 ml 2.29 2.14 0.09 0.298 Urea mg/dl 28.29 32.78 1.26 0.0448 A livello di macro-componenti le differenze più rilevanti si sono osservate per il grasso e il residuo secco. Si è infatti registrato un valore molto basso di grasso (2.8%) negli animali con razione contenente mais fioccato (FM) e inferiore al dato medio osservato della dieta sorgo (S) (3.26%; P=0.07). Il lattosio è risultato basso nel latte di entrambe le diete e le cellule somatiche si sono attestate su valori molto contenuti. I parametri della coagulazio- ne sono risultati mediocri in entrambi le diete, in relazione anche con l’acidità titolabile tendenzialmente bassa. Nella dieta FM si sono osservati parametri latto-dinamometrici meno ottimali. La velocità di acidificazione è risultata in media non ottimale, senza dif- ferenze fra le diete.

Valori più elevati di urea si sono osservati in S, probabilmente per una maggiore quota di ammoniaca che sfugge al rumine in conseguenza della ridotta fermentescibilità dell’amido.

Per quanto riguarda i tempi di ruminazione non si sono registrate differenze significative tra i due gruppi (331+147 vs 311+131 min/d per il gruppo FM rispetto a S ed i valori sono risultati molto più bassi dei valori comunemente registrati per razioni analoghe; non si sono riscontrate particolari differenze nemmeno per il pH ruminale anche se il pH medio ha presentato valori leggermente superiori nelle vacche alimentate con mais fioccato rispetto a quelle alimentate col sorgo (rispettivamente 5,82 e 5,76); per le vacche alimentate con fiocco di mais si è anche osservata una riduzione dei minuti con pH < 5,8 (538 min vs 655 min in media per il sorgo) e con pH < 5,5 (191 minuti in media per FM vs 238 minuti in media per S).

I dati sopra descritti, riportati in Tabella 13, sono in contrasto alle ipotesi sperimentali ini- ziali: la maggiore fermentescibilità dell’amido contenuto nel fiocco di mais avrebbe infatti

144 dovuto determinare valori di pH ruminale più bassi ma la maggiore ingestione di sostanza secca registrata nel gruppo alimentato a sorgo potrebbe giustificare il risultato ottenuto.

Tabella 13. Tempi di ruminazione e andamento del pH rumino-reticolare

Dieta FM Dieta S SEM p-value media media

Tempo di Rumi- nazione (min/g) 331.80 310.60 15.55 pH ruminale medio giornaliero 5.82 5.76 0.03 0.384 pH < 5.8 (min/g) 538.25 655.00 39.04 0.990 pH < 5.5 (min/g) 191.25 237.75 21.36 0.519 pH < 5.8 Delta 161.18 193.44 12.81 0.668 pH < 5.5 Delta 64.07 72.06 3.54 0.339 Temperatura Reticolare °C 38.84 38.77 0.03 0.250 Sono state osservate differenze significative per tutti gli acidi grassi volatili controllati, ad eccezione dell’acido valerianico. Nella dieta FM il rapporto C2/C3 è risultato pari a 2.2 e nella dieta S a 3.5 (Tabella 14).

Per quanto riguarda le feci raccolte, il pH a 12, 24, 36, 48, 60 e 72 ore post-challenge (Tabella 15) è risultato in media più alto, seppur non significativamente, negli animali ali- mentati a mais rispetto al sorgo (rispettivamente 6,34 vs 6,12).

Tabella 14. Composizione in AGV del liquido ruminale prelevato a T72

Dieta FM Dieta S SEM p-value

Acetico mmol/l 61.92 74.30 3.06 Propionico mmol/l 29.02 21.28 1.23 0.004 Butirrico mmol/l 9.92 13.06 0.77 0.028 Isobutirrico mmol/l 0.70 1.19 0.05 0.001 Valerianico mmol/l 1.56 1.43 0.08 0.328 Isovalerianico mmol/l 1.32 2.08 0.06 <0.001 C2P % 61.3 68.1 1.03 0.003 C3P % 28.9 19.9 1.20 0.002 C4P % 9.8 12.0 0.48 0.018 C2/C3 2.2 3.5 0.15 0.001 (C2+C3)/C4 2.6 4.2 0.18 0.001

Tabella 15. pH e sostanza secca delle feci

Dieta FM Dieta S

media media SEM p-value pH 6.34 6.12 0.08 Sostanza secca, % 13.46 14.29 0.15 0.943

145 In Figura 1 sono riportati gli andamenti temporali del pH fecale rilevato. Per entrambe le diete, sono osservabili cali di pH regolari e corrispondenti a T0 T24 e T48. Inoltre anche dall’andamento temporale del pH è possibile dedurre l’effetto delle diverse diete, con la dieta FM capace di mantenere livelli maggiori di pH.

Figura 1. Andamento medio del pH fecale

Rilievi microbiologici Le analisi condotte sul liquor ruminale raccolto dopo 72 ore dal challenge, sul latte e sulle feci raccolte a 12, 24, 36, 48, 60 e 72 ore dopo la somministrazione forzata delle spore non hanno evidenziato la presenza di spore in nessuno dei campioni analizzati.

Per quanto riguarda il profilo microbico del latte sono stati analizzati i coliformi totali con conta su VRBA, la carica batterica totale su terreno PCA, i batteri lattici mesofili con conta su terreno MRS incubato a 22°C e i batteri lattici termofili con conta su terreno MRS in- cubato a 45°C.

I campioni di latte individuale non hanno permesso di evidenziare differenze dovute al tipo di dieta (Tabella 16), mentre nei campioni dei latti di massa si è verificato un lieve aumento numerico della carica lattica termofila a favore del gruppo alimentato con sorgo (3.78 vs <1 Log UFC/ml di latte rispettivamente nel gruppo alimentato con sorgo e mais).

Tabella 16. Dati microbiologici sui campioni di latte (UFC/mL)

Dieta FM Dieta S indivi- individuale massa massa duale

Coliformi fecali 1.06 2.6 1.37 1.30 CBT 4.96 5.47 5.02 6.26 Lattici Mesofili 2.24 2.85 2.46 3.78 Lattici Termofili 2.1 < 1 1.41 3.78 Clostridi (spore/litro) - < 40 - < 40

146 3. CARATTERIZZAZIONE DELLA FLORA MICROBICA INTESTINALE E SUA INFLUENZA SULLA PRESENZA DI MICRORGANISMI PATOGENI NEL LATTE

Lo studio della flora batterica patogena del latte e della sua influenza sulla qualità sanitaria del latte sono stati focalizzata sulla presenza di batteri del genere Arcobacter, E. coli O157 e Campylobacter jejuni nelle produzioni artigianali e nelle produzioni industriali.

Arcobacter spp. Lo studio è stato condotto nella stalla didattica sperimentale della Scuola di Agraria e Me- MATERIALI E METODI dicina Veterinaria, Ozzano dell’Emilia, Bologna.

I campionamenti sono stati effettuati in un periodo di 11 mesi, da settembre 2012 a luglio 2013 da due gruppi di animali: vacche (età maggiore ai 2 anni) e rimonta (da 2 mesi a 24 mesi circa); per ciascun gruppo sono stati selezionati 26 animali, che sono stati testati ripe- tutamente, per un totale di 5 campionamenti effettuati a distanza di 2 mesi, uno dall’altro; per ciascun tempo sono stati prelevati anche 3 campioni di acqua di abbeverata, di man- gime dalla greppia e di latte di massa; in totale sono stati analizzati 300 campioni (come illustrato in Tabella 17).

Tabella 17. Numero di campioni analizzati in stalla.

Tipologia di campione Numero di campioni

Feci 244 Acqua 30 Mangime 20 Latte crudo di massa 6 TOTALE 300 Tutti i campioni sono stati raccolti in contenitori “falcon” sterili; le feci sono state prelevate dal retto degli animali; acqua e mangimi sono stati ottenuti rispettivamente dagli abbevera- toi e dalla greppia; infine i campioni di latte massa sono stati raccolti dal refrigeratore prima della raccolta.

Il metodo utilizzato per l’isolamento di Arcobacter spp. è quello descritto da Houf et al. (2001): 25 ml o g di latte, acqua e mangime o 5 g di feci, sono stati addizionati di 225 o 45 ml rispettivamente di Arcobacter Broth (Oxoid, Basingstoke, UK) precedentemente preparato, addizionato del 5% di sangue laccato (Oxoid, Basingstoke, UK) ed un mix di antibiotici, quali: cefoperazone (16 mg/L), amphotericina B (10 mg/L), 5-fluorulacil (100 mg/L), novobiocina (32 mg/L) e trimethoprim (64 mg/L), come supplemento selettivo. Le sostanze antibiotiche sono state preparate in laboratorio seguendo le istruzioni riportate dall’azienda Sigma (St. Louis, MO USA). I campioni così ottenuti sono stati incubati in stufa a 28°C per 48 ore.

In seguito, un’aliquota di 10 µl di brodo di arricchimento è stata seminata, con la tecnica dello striscio, in piastre di terreno selettivo (Arcobacter Agar) preparato sciogliendo 24 g di Arcobacter Broth (Oxoid, Basingstoke, UK) e 12 g di Agar Technical No. 3 (Oxoid, Ba- singstoke, UK) in 800 mL di acqua ed integrando con il mix di antibiotici sopra descritti come supplemento selettivo. Le piastre sono state incubate in termostato per 96 ore a 28 ± 1°C in condizioni di microaerofilia. Tale condizione è stata creata sottraendo dalle apposite giare l’80% della normale atmosfera ed introducendo un mix di gas, composto dal’8% di

147 CO2, 8% di H2 e dall’84% di N2. Dopo le 96 ore di incubazione, sono state controllate le piastre per valutare l’eventuale sviluppo di colonie riferibili ad Arcobacter spp.; nel caso in cui si è riscontrata la presenza di colonie, queste sono state isolate e purificate (fino ad un massimo di dieci colonie) in agar selettivo mCCDA (modificato Cefoperazone Carbone Desossicolato Agar). L’identificazione presuntiva degli isolati è stata effettuata tramite mor- fologia cellulare (colorazione di Gram), crescita in condizioni di aerobiosi, test di ossidasi e di catalasi.

Per l’identificazione, gli isolati sono stati sottoposti ad estrazione del DNA utilizzando l’ap- posito kit REDExtract-N-Amp Tissue PCR (Sigma, St. Louis, USA), dopodiché è stato possibile effettuare l’identificazione mediante multiplex PCR descritta da Douidah et al. (2010), con successiva lettura mediante elettroforesi, avendo a disposizione due ceppi di ri- ferimento: A. butzleri DSM 8739 (Leibniz Institute DSMZ, Braunschweig, Germany) e A.

RISULTATI Arcobacter spp. Sono stati identificati in tutti i tipi di campioni raccolti nell’allevamento di bovine da latte, con 84 campioni risultati positivi su 300 analizzati (con una prevalenza del 28%). Complessivamente, come illustrato nella Tabella 18, Arcobacter spp. sono stati isolati da 52 campioni di feci su 244 raccolti, con una prevalenza del 21,3%; da 24 campioni di acqua di abbeverata su 30 raccolti, con una prevalenza dell’80%; da 3 campioni di mangime su 20 raccolti (con una prevalenza del 15%) ed infine Arcobacter spp. sono stati isolati da 5 campioni di latte crudo di massa su 6 raccolti, con una prevalenza del 83,3%.

Nella Tabella 18, possiamo notare che, tra i campioni risultati positivi ad Arcobacter spp., la specie maggiormente isolata è A. cryaerophilus, isolata da 50 campioni su 84 risultati positivi ad Arcobacter spp. (con una prevalenza del 59,5%), seguita da A. skirrowii, isolata da 45 campioni su 84 risultati positivi (con una prevalenza del 53,5%), infine troviamo A. butzle- ri, isolato da 16 campioni su 84 risultati positivi (con una prevalenza del 19%). Più nello specifico, possiamo notare che, le specie di Arcobacter isolate, risultano avere prevalenze dif- ferenti in base al tipo di campione analizzato; in particolare possiamo vedere che, per quan- to riguarda i campioni di feci, la specie maggiormente isolata è A. skirrowii, isolato 38 volte su 52 campioni risultati positivi ad Arcobacter spp. (con una prevalenza del 73%), seguito da A. cryaerophilus, isolato in 29 su 52 campioni positivi (con una prevalenza del 55,7%) ed infine A. butzleri, isolato in 1 su 52 campioni positivi (con una prevalenza dell’1,9%).

Tabella 18. Numero di campioni analizzati e numero di positivi ad Arcobacter spp.

Campioni positivi Campioni positivi N° totale dei cam- Campioni positivi Campioni positivi Campioni Arcobacter Arcobacter pioni analizzati Arcobacter spp. (%) A. butzleri (%) cryaerophilus (%) skirrowii (%)

Feci 244 52 (21.3%) 1 (1.9%) 29 (55.7%) 38 (73%)

Acqua 30 24 (80%) 10 (41.6%) 19 (79.1%) 5 (20.8%)

Mangime 20 3 (15%) 0 2 (66.6%) 2 (66.6%)

6 5 (83.3%) 5 (100%) 0 0 Latte crudo di massa TOTALE 300 84 (28%) 16 (19%) 50 (59.5%) 45 (53.5%) Risultati differenti sono stati osservati nei campioni di acqua (Tabella 19), in quanto la spe- cie maggiormente isolata è A. cryaerophilus, presente in 19 su 24 campioni risultati positivi

148 ad Arcobacter spp. (con una prevalenza del 79,1%), seguito da A. butzleri, isolato da 10 su 24 campioni positivi (con una prevalenza del 41,6%) ed infine A. skirrowii, isolato da 5 su 24 campioni positivi (con una prevalenza del 20,8%). Come possiamo notare nella tabella 19, si sono evidenziati diversi casi di contaminazione da più specie (n=10), in quanto sono state isolate, dallo stesso campione, diverse specie di arcobacter contemporaneamente; la presenza di differenti specie è stata maggiormente rilevata nei campioni di acqua, nei quali A. butzleri e A. cryaerophilus è stata evidenziata 7 volte su 10, seguita da A. cryaerophilus e A. skirrowii evidenziata 2 volte su 10; infine in un campione è stata rilevata la presenza di 3 specie contemporaneamente.

Tabella 19. Campioni di acqua di abbeverata positivi ad Arcobacter spp.

Acqua 1° campionamento 2° campionamento 3° campionamento 4° campionamento 5° campionamento 0 AB+ AC+ AS+ AB+ 0 AB+ AB+; AC+ AC+ ; AB+ ; AS+ AC+:AS+ AC+ 0 AS+ AC+; AB+ AC+; AB+ AC+;AS+ AC+; AB+ 1 AC+ AC+ AC+ 1 AC+; AB+ AC+ AC+ AC+; AB+ 1 AB+; AC+ AC+ AC+ AB+ 0= acqua di abbeverata prelevata da animali giovani di età < 2 anni; 1= acqua di abbeverata prelevata da animali adulti di età > 2 anni;AS= A. skirrowii; AC= A. cryaerophilus; AB= A. butzleri Per quanto riguarda i campioni di mangime raccolti e analizzati (Tabella 20), le specie do- minanti sono A. cryaerophilus e A. skirrowii, entrambe isolate in 2 su 3 campioni risultati positivi ad Arcobacter spp. (con una prevalenza del 66,6%) e c’è da evidenziare l’assenza di A. butzleri. Per quanto riguarda le contaminazioni da più specie rilevate nel campione di mangime (Tabella 20), è stata rilevata 1 presenza contemporanea di A. cryaerophilus con A. skirrowii. Infine, per quanto concerne i campioni di latte crudo prelevati dal tank di massa, l’unica specie isolata è A. butzleri, presente in 5 su 5 campioni risultati positivi ad Arcobacter spp. (con una prevalenza del 100%).

Tabella 20. Campioni di mangime dalla greppia positivi ad Arcobacter spp.

Mangime 1° campionamento 2° campionamento 3° campionamento 4° campionamento 5° campionamento 0 AC+ 0 AC+; AS+ AS+ 1 1 0= mangime dalla greppia prelevato da animali giovani di età < 2 anni; 1= mangime dalla greppia prelevato da animali adulti di età > 2 anni; AS= A. skirrowii; AC= A. cryaerophilus; AB= A. butzleri Nella Tabella 21 possiamo osservare come negli animali giovani, di età inferiore ai 2 anni, Arcobacter spp. sia stato isolato in 19 animali su 26 oggetto di studio, con una prevalenza del 73%; mentre negli animali adulti, con età superiore ai 2 anni, Arcobacter spp. è stato isolato in 14 animali su 26 campionati, con una prevalenza del 53,8%.

Per quanto riguarda la specie dominante, possiamo notare che negli animali giovani, la specie maggiormente isolata è A. skirrowii (n=22), seguita da A. cryaerophilus (n=17) e A. butzleri (n=1); mentre notiamo che negli animali adulti, la specie maggiormente isolata è A. cryaerophilus (n=12), seguita da A. skirrowii (n=10) e non si è evidenziato alcun isolamento di A. butzleri.

149 Nella Tabella 22, possiamo osservare che, in alcuni animali risultati positivi a diverse specie di Arcobacter durante i 5 campionamenti, mostrano talvolta una coinfezione di 2 specie. La coinfezione maggiormente presente è AC+;AS+ (A. cryaerophilus e A. skirrowii), rilevata 6 volte su 7 coinfezioni presenti; seguita da AC+;AB+ (A. cryaerophilus e A. butzleri), rilevata 1 sola volta.

Tabella 21. Suddivisione animali in categorie di età con relative positività ad Arcobacter spp.

Categoria animale Numero totale Arcobacter spp. (%) A. butzleri A. cryaerophilus A. skirrowii

Animali giovani 26 19 (73%) 1 17 22 (età <2 anni) Animali adulti 26 14 (53.8%) 0 12 10 (età > 2 anni)

Tabella 22. Animali risultati positivi ad Arcobacter spp. nei diversi campionamenti e tipologia di specie isolata

N°auricolare I campionamento II campionamento III campionamento IV campionamento V campionamento animale

295* AS+ AC+ AS+ 313* AS+ AS+ AC+ 319* AS+ AS+;AC+ 336* AC+;AS+ AS+ AS+ 339* AC+;AS+ AS+ 346* AS+ AS+;AC+ 347* AC+ AC+;AB+ AS+ 348* AS+;AC+ AC+ 243** AC+;AS+ AS+ 270** AS+ AC+ AS= A. skirrowii; AC= A. cryaerophilus; AB= A. butzleri; *= animali giovani (< 2 anni di età); **= animali adulti (> 2 anni di età)

E. coli O157:H7 MATERIALI E METODI Lo studio è stato effettuato nella stalla didattica sperimentale dell’Università di Bologna. L’alimentazione degli animali è rimasta la medesima durante il periodo dello studio (13 mesi).

Venticinque animali giovani e venticinque animali adulti sono stati scelti casualmente e le loro feci sono state campionate ogni 2 mesi; undici animali adulti sono stati riformati durante il periodo dello studio; in totale sono stati prelevati 285 campioni di feci. A ogni campionamento sono stati inoltre prelevati 3 campioni di acqua di abbeverata e 2 campioni di alimenti per un totale di 36 campioni di acqua e 24 campioni di alimento. Nel corso del- lo studio sono stati raccolti i dati metereologici (pluviometria e temperatura) dal sito http:// weather.yahoo.com/italia/emilia-romagna/bologna-711080/

150 Per l’isolamento, cinque grammi di feci o 25 grammi di alimento/acqua sono stati inoculati in 9 parti (1:10) di buffered peptone water (BPW), e incubati a 37±1°C per 21±3 h. Il DNA batterico è stato estratto da 1 ml di brodo di arricchimento usando il “Gen elute TM bacterial genomic DNA kit” (Sigma-Aldrich) come descritto dal fabbricante. Come con- trollo positivo è stato utilizzato il ceppo di referenza E. coli O157:H7 ATCC35150.

I primers e i probes utilizzati nello studio sono descritti nella ISO 13136:2012.

La Real time PCR per la rilevazione di E. coli O157 è stata effettuata su 25 utilizzando I seguenti reagenti: 1 X Taqman®Universal PCR Master mix (Applied Biosystems), 900nM di forwar e revers primers, 250 nM del probe marcato.

Il ciclo di Real Time-PCR è stato effettuato utilizzando il sistema StepOne Plus (Applied Biosystems).

I campioni positivi sono stati ulteriormente caratterizzati tramite multiplex PCR cercando i geni di virulenza eae, stx1 and stx2 Infine dai campioni positivi è stato effettuato l’isola- mento di E. coli O157: gli arricchimenti positivi alla PCR sono stati seminati su tryptone bile x-glucuronide (TBX) agar e incubati per 18-24 h a 37±1°C. Cinquanta colonie con morfologia riferibile a E. coli sono state prelevate, incubate in nutrient agar (NA). Pool di 10 colonie sono state testate con Real Time PCR per la ricerca di E. coli O157; quindi dai pool positivi le colonie sono state testate singolarmente per identificare E. coli O157 e per la rilevazione dei geni eae, stx1 and stx2 genes. L’analisi dei dati è stata effettuata utilizzando il software Stata ® 11.2 (StataCorp. 2009. Stata Statistical Software: Release 11. College Station, TX: StataCorp LP.).

Tramite un modello di regressione logistica I dati sono stati analizzati per valutare l’influen- za dell’età, delle temperature ambientali e degli animali sulla eliminazione fecale di E. coli O157:H

In totale 16 (5.6%) campioni fecali sono risultati positivi per E. coli O157 tramite l’esame RISULTATI con Real Time PCR; l’esame colturale ha identificato 9 campioni positivi (3.1%); tutti gli isolati sono risultati positivi per i geni stx1, stx 2 and eae. Quattordici animali (25.9%) sono risultati positivi ad un solo campione fecale nel corso dello studio e due animali sono risultati positivi due volte.

La Tabella 23 mostra i dettagli della prevalenza dei campioni fecali positivi negli animali giovani e negli animali adulti nel corso dello studio. La Tabella 24 mostra la prevalenza dei campioni positivi nel corso dello studio.

Tabella 23. Percentuale totale di campioni fecali positivi per E. coli O157 e limite di confidenza (CI 95%) in animali giovani e adulti

Età Numero di campioni Prevalenza (%) 95% CI

Giovani 154 6.5 2.3-10.7 Adulti 131 4.6 1.3-7.8

151 Tabella 24. Percentuale totale di campioni fecali positivi per E. coli O157 e limite di confidenza (CI 95%) nel corso del periodo di campionamento

Campionamento Numero di animali Prevalenza (%) 95% CI campionati

1° 52 15.4 5.3-25.5 2° 51 2.0 0.0-5.9 3° 48 2.1 0.0-6.3 4° 47 6.4 0.0-13.6 5° 46 4.3 0.0-10.4 6° 41 2.4 0.0-7.3 Un campione di mangime (4.1%) è risultato positive per E. coli O157 tramite la Real Time PCR ma non è stato effettuato alcun isolamento; nessuno dei campioni di acqua è risultato positivo per E. coli O157.

La regressione logistica non ha evidenziato differenze significative nella eliminazione fecale negli animali giovani e negli animali adulti (p = 0.671) né una influenza della piovosità sulla positività degli animali (p = 0.613).

Il modello finale ha evidenziato una generale riduzione del numero di campioni fecali po- sitivi nel corso dello studio (p = 0.000) e una relazione positiva tra temperature e positività dei campioni (p = 0.003), con un aumento dei campioni positivi nei mesi estivi.

Campylobacter jejuni MATERIALI E METODI Lo studio è stato condotto nella stessa stalla e nello stesso periodo dello studio descritto nel capitolo precedente utilizzando in parallelo i medesimi campioni prelevati in doppio (280 campioni fecali, 20 campioni di mangime e 30 campioni di acqua).

Analogamente la ricerca di C. jejuni è stata condotta in parallelo con metodica Real Time PCR e con esame colturale. Cinque grammi di feci sono state omogenizzate in cinque ml di Bolton Broth (Oxoid, Basingstoke UK) e decantate a temperature ambiente per 10 minuti; 100µl del surnatante sono stati soggetti a estrazione del DNA mediante iQ-CheckTM Campylobacter (Bio-Rad). La reazione di Real Time PCR è stata condotta utilizzando uno strumento CFX-96 (Bio-Rad) equipaggiato con il Bio-Rad CFX Manager Ide software. Dai campioni positivi alla Real Time PCR è stato condotto l’isolamento come descritto nel Manual of Diagnostic Tests and Vaccine for Terrestrial Animals dell’OIE.

Per i campioni di acqua e mangimi è stata eseguita la stessa procedura di Real Time PCR inoculando 25 g di mangime o 25 ml di acqua in 225 ml di Bolton Broth (Oxoid, Ba- singstoke UK), incubato per 4 h a 37±1°C e quindi trasferito a 41.5±1°C per 20 h; I cam- pioni positivi alla PCR sono stati incubati per altre 24 h a 41.5±1°C, e quindi è stato tentato l’isolamento come descritto nella ISO 10272-1:2006.

L’analisi dei dati è stata effettuata utilizzando il software Stata ® 11.2 (StataCorp. 2009. Stata Statistical Software: Release 11. College Station, TX: StataCorp LP.).

Tramite un modello di regressione logistica i dati sono stati analizzati per valutare l’influenza dell’età, della temperature ambientale e degli animali sulla eliminazione fecale di C. jejuni.

152 In totale 33 campioni (9.7%) sono risultati positivi Campylobacter termofili con la real-time RISULTATI PCR: rispettivamente 26 (9.2%) campioni fecali, 6 campioni di acqua (16.6%) e un cam- pione di mangime (4.2%). Sei campioni (1.7%) sono risultati positive per Campylobacter jejuni all’esame colturale: 3 campioni fecali (1.1%), e tre campioni di acqua (8.3 %). Sola- mente i campioni di acqua prelevati nell’area degli animali giovani sono risultati positivi.

La prevalenza di C. jejuni nei campioni di acqua prelevati dagli abbeveratoi degli animali giovani e da quelli degli animali adulti è risultata statisticamente significativa.

Una più alta positività è stata osservata negli animali giovani rispetto agli animali adulti (11.33% rispetto 6.92 %).

La prevalenza di campioni positivi Campylobacter spp. È risultata significativamente correla- te a una bassa temperature ambientale associate a una bassa piovosità e a una alta piovosità associate ad una temperatura ambientale intermedia; l’associazione con le condizioni clima- tiche spiega l’andamento bifasico osservato nella prevalenza (Figura 2).

Figura 2. Andamento delle positività dei campioni fecali per C. jejuni nel corso dello studio

4. FONTI DI CONTAMINAZIONE DEL LATTE DA ARCOBACTER SPP. NELLA PRODUZIONE PRI- MARIA Nel corso dello studio sull’eliminazione fecale di Arcobacter spp. sono stati effettuati cam- MATERIALI E METODI pionamenti supplementari per individuare ulteriori fonti di contaminazione del latte: 80 campioni individuali di latte di quarto da 20 bovine in lattazione, 25 campioni di cute pre- levati con spugnatura dalla superficie dei capezzoli di 25 bovine in lattazione e 31 campioni effettuati con spugnature della superficie interna dell’impianto di mungitura e del tank di stoccaggio del latte. I campioni sono stari processati per l’isolamento di Arcobacter spp. come descritto in precedenza.

I ceppi isolati nel corso dello studio, assieme ai ceppi isolati dai campioni fecali, acqua e mangi- mi sono stati sottoposti a caratterizzazione molecolare tramite digestione con SacII (Fermentas, St. Leon-Rot, Germany) e successiva PFGE (CHEF Mapper, Bio-Rad, Hercules, CA, USA)

L’analisi dei cluster generati con la PFGE ha evidenziato i seguenti aspetti degni di nota: RISULTATI i) gli stessi pulsotipi sono stati isolati da acqua di abbeverata e campioni fecali di differenti animali e dal mangime, dai capezzoli degli animali ii) gli stessi pulsotipi sono stati isolati dal latte, dall’impianto di mungitura e dai capezzoli degli animali iii) gli stessi pulsotipi sono stati isolati nel tempo dal latte.

153 5. FONTI DI CONTAMINAZIONE DEI PRODOTTI CASEARI DA ARCOBACTER SPP. NELLA PRODU- ZIONE INDUSTRIALE MATERIALI E METODI L’indagine è stata condotta in un impianto di lavorazione che processa latte ovino e che produce ricotta per il commercio. Sono stati effettuati inizialmente 4 campionamenti di ricotta in commercio; in ciascun campionamento sono state prelevate dai negozi 8 ricotte.

Nello stabilimento sono stati effettuati 2 campionamenti a distanza di 2 mesi uno dall’altro; durante ciascun campionamento sono stati prelevati campioni superficiali nelle 4 aree dello stabilimento: area di lavorazione, tunnel di raffreddamento cella di stoccaggio e area di confezionamento; in ciascuna area sono state campionate superfici a contato con la ricotta e superfici non a contatto con gli alimenti in totale sono stati prelevati 30 campioni. L’analisi microbiologica per la ricerca di Arcobacter e la caratterizzazione molecolare dei ceppi isolati sono state condotte come descritto nei capitoli precedenti.

RISULTATI Sette campioni di ricotta (21.9%) sono risultati positivi per A. butzleri Tutte le aree dell’impianto industriale sono risultate positive alla ricerca di Arcobacter spp. Con l’eccezione del tunnel di raffreddamento; dieci campioni (33.3%) sono risultati posi- tivi per A. butzleri; nel dettaglio: pavimenti (4 campioni), tombini (4 campioni), muro (1 campione) e carrello usato per sgrondare la ricotta (1 campione)

Lo stesso PFGE pattern è stato isolato in più di un campione di ricotta e più patterns sono stati isolati dalle stesse ricotte. La PFGE effettuata sugli isolati dell’impianto industriale ha evidenziato gli stessi PFGE patterns isolati dalla ricotta e la presenza di clonalità nei pattern isolati da differenti parti dello stabilimento in entrambi i campionamenti.

6. EVOLUZIONE DELLE POPOLAZIONI MICROBICHE PATOGENE NEI LATTI MATERIALI E METODI Nello studio sono stati utilizzati tre ceppi di A. butzleri e tre ceppi di A. cryaerophilus: A. butzleri DSM 8739 (Leibniz Institute DSMZ, Braunschweig, Germany) e A. butzleri ceppi di campo IA/FED 1/2011 e IA/FED 4/2011 isolati da feci di bufale; A. cryaerophilus ceppo DSM 7289 (Leibniz Institute DSMZ Braunschweig, Germany) e A. cryaerophilus ceppi di campo IA/FED 1/2011 e IA/FED 2/2011 isolati da feci di bufale. Ciascun ceppo è stato coltivato separatamente in Nutrient Agar supplementato con 5% Laked Horse Blood (Oxoid, Basingstoke, UK) ed incubato a 30°C in condizioni di microaerofilia per 48 ore.

Sono state prese in esame tre tipologie di latte vaccino: pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo. Il latte pastorizzato microfiltrato e UHT sono stati acquistati al supermercato, il latte crudo è stato invece acquistato presso un distributore automatico di latte. Le tre diverse tipologie di latte sono state trasportate al laboratorio e inoculate entro sei ore dall’acquisto. L’assenza di sostanze inibenti è stata verificata prima dell’utilizzo del latte mediante Delvo- test SP (Tecnomilk®).

I test per A. butzleri e A. cryaerophilus sono stati effettuati separatamente, le procedure ope- rative sono state eseguite nello stesso modo per tutte le tre tipologie di latte (pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo).

Le prove sperimentali di contaminazione sono state effettuate con una miscela dei rispettivi tre ceppi. Per ciascun ceppo è stata preparata una sospensione batterica in tampone di But- tersfield con una densità pari a 8 della scala Mc Farland, che corrisponde ad una concentra- zione batterica di circa 24x108 UFC/ml. Per ciascuna specie testata, A. butzleri e A. cryaero- philus, è stata allestita una miscela dei rispettivi tre ceppi miscelando un egual volume delle

154 tre sospensioni iniziali; la sospensione ottenuta è stata diluita e utilizzata per inoculare 12 provette di latte pastorizzato, 12 provette di latte UHT e 12 di latte crudo contenenti 9 ml di latte ciascuna in modo da ottenere una concentrazione nel latte di 3-4 Log UFC/ml. Una stima della concentrazione batterica delle sospensioni di A. butzleri e A. cryaerophilus è stata effettuata inoculando 0.1 ml in triplo delle diluizioni eseguite su piastre di Nutrient Agar supplementato con 5% di sangue laccato (Oxoid, Basingstoke, UK).

Per ciascuna tipologia di latte (pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo) le 12 provette sono state suddivise in 3 gruppi, costituiti da 4 provette ciascuno, incubati rispettivamente a 4, 10 e 20°C.

Per ciascun test eseguito un’aliquota di latte non inoculato è stato utilizzato come controllo (K). Dalle provette si è proceduto ad effettuare campioni prima della contaminazione e im- mediatamente dopo la contaminazione (T0) e dopo 24 ore (T1), 48 ore (T2), 72 ore (T3) e 144 ore (T6) di incubazione.

La Figura 3 rappresenta uno schema esemplificativo di come sono state eseguite le proce- dure di inoculo in una tipologia di latte (pastorizzato microfiltrato) per un patogeno (A. butzleri) a diverse temperature di conservazione. Nella sperimentazione l’operazione è stata ripetuta allo stesso modo sia per le altre due tipologie di latte (UHT e crudo) che per A. cryaerophilus.

Figura 3. Schema rappresentativo delle procedure operative eseguite nel latte pastorizzato inoculato con A. butzleri, mantenuto a diverse temperature di conservazione per 6 giorni PRIMO GRUPPO SECONDO GRUPPO TERZO GRUPPO

I II III IV K I II III IV K I II III IV K 4°C 10°C 20°C Il valore di pH di ciascuna aliquota, inoculata e non inoculata, è stato misurato a ciascun tempo di campionamento (T0, T1, T2, T3 e T6) utilizzando un pHmetro (Hanna Instru- ments HI 223, Milan, Italy).

Il latte prima dell’inoculo è stato analizzato per verificare l’assenza di A. butzleri e A. cryaero- phylus prelevando 25 ml di campione che veniva analizzato tramite arricchimento secondo la procedura descritta da Houf et al. (2001).

Per ciascun campione è stata effettuata la determinazione della carica mesofila totale, me- diante conta per inglobamento su Plate Count Agar (PCA) (Oxoid, Basingstoke, UK) in- cubato a 30°C per 72 ore basandosi sul protocollo standard EN ISO 4833:2003 (la norma specifica un metodo orizzontale per la conta dei microrganismi nei prodotti destinati all’a- limentazione umana e a quella animale con la tecnica della conta delle colonie sviluppatesi in terreno solido (PCA) dopo incubazione a 30 ± 1°C in aerobiosi per 72 ± 3ore) e la conta del patogeno inoculato mediante semina in doppio di diluizioni seriali del campione su 4 terreni di coltura: Nutrient Agar supplementato con sangue laccato (NA) (Oxoid, Ba- singstoke, UK) preparato sospendendo 12 g di Nutrient broth (CM 0001, Oxoid), 15 g di Agar Bacteriologico No.1 (LP 0011, Oxoid) in un litro di acqua e supplementato con 5% Laked Horse Blood (SR 0048C, Oxoid); Modified Charcoal Cefoperazone Deoxycholate Agar (mCCDA) (Oxoid, Basingstoke, UK) supplementato con cefoperazone (8ml/l), am- photericina B (10mg/l), teicoplanina (4mg/l) (CAT) (Oxoid, Basingstoke, UK) e Brilliant

155 Green Agar (BG) (Oxoid, Basingstoke, UK). I terreni sopracitati sono stati utilizzati per va- lutare l’andamento di A. butzleri e A. cryaerophilus nel latte pastorizzato microfiltrato e nel latte UHT. NA supplementato con sangue laccato è un terreno non selettivo utile per far sviluppare microrganismi con difficoltà nella crescita poiché ricco di fonti di nutrimento; mCCDA è un terreno selettivo proposto da Merga et al. (2011) usato per l’isolamento e la conta di Campylobacter spp., il supplemento CAT quando aggiunto fornisce buoni risultati per l’isolamento delle forme termofile di Campylobacter spp.; BG è un terreno selettivo indi- cato per l’isolamento di Salmonella spp. Che tende ad inibire la crescita degli enterobatteri.

Nutrient Agar supplementato con sangue laccato (Oxoid, Basingstoke, UK) e i cinque anti- biotici (NAA) proposti da Houf et al. (2001b) cefoperazone (16 mg/l), amphotericina B (10 mg/l), 5-fluoruracile (100 mg/l), novobiocina (32 mg/l) e trimetopim (64 mg/l) (Oxoid, Basingstoke, UK) è stato utilizzato per valutare l’andamento di A. butzleri e A. cryaerophilus nel latte crudo a causa della insufficiente selettività dei tre terreni utilizzati in precedenza.

La conferma della conta è stata effettuata con l’identificazione presuntiva delle colonie tra- mite morfologia cellulare (colorazione di Gram), crescita in condizioni di aerobiosi, test di ossidasi e catalasi.

ANALISI STATISTICA I risultati relativi al pH, alla carica mesofila totale (CMT) e alla sopravvivenza e/o crescita di A. butzleri e A. cryaerophilus nel latte pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo a differenti temperature e tempi di stoccaggio sono stati analizzati utilizzando il t-student test, al fine di evidenziare eventuali differenze statisticamente significative. Il livello di significatività della statistica è stato fissato a p < 0.05.

RISULTATI Nessun campione testato ha evidenziato la presenza di A. butzleri e A. cryaerophilus prima dell’inoculo. Il Delvotest ha evidenziato l’assenza di sostanze inibenti nel latte.

La Tabella 25 mostra l’andamento del pH durante tutta la durata dello studio nelle diverse tipologie di latte. Per ciascuna temperatura d’incubazione e per ciascuna tipologia di latte è riportato l’andamento del pH dei campioni inoculati e dei campioni di controllo (K).

La Figura 4 mostra l’andamento del pH nel latte pastorizzato, UHT e crudo inoculati con A. butzleri e A. cryaerophilus del durante il test a diverse temperature di conservazione.

I valori del pH nel latte di controllo (K) nel corso della prova variano in base alla tipologia di latte e alle temperature di conservazione. Si osserva un lieve decremento del pH nel latte conservato a 4 e 10°C in tutte le tipologie di latte; tale decremento è più evidente quando il latte è conservato a 20°C ed è più intenso nel latte crudo rispetto al pastorizzato e all’UHT. Per quanto riguarda il latte inoculato con A. butzleri i valori di pH subiscono una lieve diminuzione nel latte pastorizzato, UHT e crudo a 4 e 10°C. A 20°C i valori di pH decre- scono progressivamente nel latte pastorizzato (6.80-5.24) mentre si osserva un incremento (6.76-6.99) nel latte UHT. Nel latte crudo conservato a 20°C il pH decresce molto eviden- temente da (6.81 a 4.5) già dopo 24 ore e continua a decrescere progressivamente per tutta la durata del test fino a valori di 4.16. Non sono state valutate differenze significative tra latte inoculato e latte non inoculato (K) con l’unica eccezione del latte UHT conservato a 20°C (p-value 0.0047).

Nel latte inoculato con A. cryaerophilus i valori di pH decrescono lievemente nel latte pa- storizzato e UHT conservati a 4, 10 e 20°C, con una maggiore evidenza della diminuzione nel latte pastorizzato a 20°C in cui il pH decresce in modo più evidente (6.82-6.24). Nel

156 latte crudo il decremento è più evidente: da 6.94 a 6.32 a 4°C, da 6.93 a 5.82 a 10°C e da 6.98 a 4.04 a 20°C. Non sono state valutate differenze significative tra latte inoculato e latte non inoculato (K).

Tabella 25. Risultati del pH (media di 4 dati) di latte non inoculato (K) e di latte pastorizzato microfiltra- to, UHT e crudo inoculati con A. butzleri e A. cryaerophilus a diverse temperature di incubazione

A. butzleri A. cryaerophilus Giorni di incubazione Giorni di incubazione Tipologia di latte T° 0 1 2 3 6 0 1 2 3 6 4 6.74 6.77 6.77 6.76 6.56 6.82 6.92 6.81 7.38 6.77 K 6.74 6.71 6.77 6.72 6.61 6.82 6.87 6.73 6.82 6.71 10 6.74 6.77 6.77 6.74 6.56 6.82 6.92 6.82 6.83 6.75 Pastorizzato K 6.75 6.75 6.75 6.71 6.58 6.82 6.89 6.74 6.79 6.71 20 6.80 6.70 6.69 6.65 5.24 6.82 6.84 6.71 6.65 6.24 K 6.73 6.69 6.69 6.64 5.28 6.82 6.80 6.65 6.71 6.43 4 6.64 6.66 6.70 6.64 6.58 6.76 6.83 6.77 6.70 6.82 K 6.63 6.64 6.68 6.63 6.49 6.76 6.73 6.75 6.70 6.72 10 6.64 6.67 6.69 6.65 6.50 6.76 6.78 6.75 6.78 6.79 UHT K 6.64 6.65 6.69 6.62 6.43 6.76 6.74 6.78 6.74 6.74 20 6.76 6.73 6.76 6.81 6.99* 6.76 6.72 6.71 6.71 6.77 K 6.76 6.64 6.68 6.64 6.72 6.76 6.70 6.69 6.68 6.70 4 6.91 6.81 6.80 6.69 6.66 6.94 6.95 6.93 6.9 6.32 K 6.81 6.81 6.80 6.77 6.60 6.92 6.91 6.89 6.91 6.57 10 6.89 6.82 6.80 6.67 5.42 6.93 6.94 6.85 6.64 5.82 Crudo K 6.82 6.81 6.74 6.68 5.57 6.86 6.91 6.82 6.67 5.75 20 6.81 4.50 4.20 4.17 4.16 6.98 6.15 4.54 4.31 4.04 K 6.81 5.05 4.20 4.20 4.15 6.88 6.15 4.55 4.34 4.13 K controllo; * Differenza statisticamente significativa (p<0.05) rilevata tra latte non inoculato e inouato

157 Figura 4. Andamento del pH in latte pastorizzato, UHT e crudo inoculato con A. butzleri e A. cryaerophilus a diverse temperature di conservazione

158 La Tabella 26 a, b mostra che la determinazione della CMT, mediante conta su PCA, risulta in linea con le caratteristiche di ogni tipologia di latte.

Nel latte pastorizzato non inoculato (K) i livelli di contaminazione da valori iniziali, com- presi tra 0 e 0.98 Log UFC/ml, sono aumentati a valori di 1.30, 1.14, e 8.63 Log UFC/ ml rispettivamente a 4, 10 e 20°C l’incremento è risultato significativo (p<0.05) nel latte inoculato a 4 e 20°C; l’incremento a 10°C invece non è risultato statisticamente significati- vo (p>0.05). La CMT nel latte inoculato con A. butzleri evidenzia un decremento (p<0.05) durante la conservazione a 4 e 10°C (da valori iniziali di 2.25 a valori di 0.81 e 1.27 Log UFC/ml); a 20°C invece si osserva un aumento della CMT da un valore iniziale di 1.39 Log UFC/ml a 8.46 Log UFC/ml (p<0.05); nel latte inoculato con A. cryaerophilus si osserva una lieve crescita della CMT nel latte inoculato conservato a 4°C (da 0.23 a 1.13 Log UFC/ ml, p-value 0.0024) e a 10°C (da 0.23 a 1.22 Log UFC/ml) e una netta crescita nel latte conservato a 20°C (da 0.23 a 8.73 UFC/ml).

Nel latte UHT non inoculato (K) la popolazione batterica è rimasta, per tutta la durata del test e per tutte le temperature di conservazione testate, a livelli di contaminazione pari a 0 Log UFC/ml. La CMT del latte inoculato con A. butzleri evidenzia una decrescita (p<0.05) durante la conservazione a 4 e 10°C (da 2.07 a 0 e 1.17 Log UFC/ml) e un au- mento (p<0.05) di 4 Log UFC/ml già dopo il primo giorno di conservazione (da 4.23 a 7.36 UFC/ml) nel latte inoculato conservato a 20°C, tale valore è poi rimasto costante per tutta la durata del test. A tutte le temperature di conservazione si evidenzia una differenza significativa (p<0.01) tra CMT del latte non inoculato e CMT del latte inoculato, dovuta al fatto che A. butzleri è in grado di crescere e formare colonie in PCA alle temperature di incubazione applicate. Al contrario la CMT di A. cryaerophilus nel latte UHT inoculato non evidenzia alcuna crescita di colonie per tutta la durata della prova indipendentemente dalla temperatura di conservazione. Non sono state notate differenze significative di CMT tra latte inoculato e non inoculato dovuto al fatto che A. cryaerophilus non è in grado di crescere su PCA alle temperature di incubazione utilizzate.

Nel latte crudo non inoculato (K) la CMT a 4 e 10°C aumenta (p<0.05) di 3-4 Log UFC/ ml da valori iniziali di 5.3 a 9.2 e 8.44 Log UFC/ml rispettivamente nei sei giorni della prova; a 4 e 10°C, la carica mesofila totale sia nel latte inoculato con A. butzleri che nel latte inoculato con A. cryaerophilus è caratterizzata da valori iniziali di 4 e 5 Log UFC/ml e aumenta (p<0.05) progressivamente a 8.5 e 11.29 per tutti i campioni esaminati. A 20°C la CMT è stata in grado di determinare livelli di contaminazione fino a 12.25 Log UFC/ml e la coagulazione del latte che si verifica intorno al secondo e terzo giorno di incubazione.

159 ± Tabella 26a. Risultati (media di 4 dati in Log10 std della carica mesofila totale di latte non inoculato (K) e di latte pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo inoculati con Arcobacter butzleri a diverse temperature di incubazione

A - butzleri Tipologia di latte Giorni di incubazione T° 0 1 2 3 6

4 2.25±0.28 2.33±0.1 0.82±1.00 0.68±0.62 0.81±0.55* K 0±0 0±0 0± 0 1.15±0.21 1.30±0.43* 10 2.25±0.28 1.91±0.22 1.53±0.29 0.62±0.75 1.27±0.90* Pastorizzato K 0± 0 0±0 0±0 1.15±0.21 1.14 ±1.37 20 1.39±0.92 3.46±0.23 5.50±0.40 7.83±0.30 8.46±0.19*

K 0.98±1.45 3.38±0.21 5.50±0.29 9.05±0.59 8.63±0.22*

4 2.07±0.14 1.43±0.31 1.51±0.44 0.67±0.80 0±0* K 0±0 0 ±0 0±0 0±0.95 0±0 10 2.07±0.14 1.16±0.74 1.25±0.59 1.69±0.33 1.17±0.64* UHT K 0±0 0±0 0±0 0±0 0±0 20 4.23±0.07 7.36±0.04* 7.20±0.10 7.10±0.07 7.01±0.06 K 0±0.43 0 ± 0.74 0±0) 0±0 0±0

4 5.63±0.42 5.51 ±0.40 6.2±0.20 7.57±0.82 8.5 ± 0.21

K 5.3± 0.12 6.04 ±0.47 5.7±0.28 7.69±0.10 9.2±0.21* 10 Crudo 5.63±0.42 6.01±0.17 7.04±0.04 7.88±0.53 8.47±0.13 K 5.38±0.12 6.38±0.60 7.01±0.30 7.46±0.57 8.44±0.13* 20 5.63±0.42 9.01±0.17 ◊ ◊ ◊ K 5.38±0.12 8.45±0.21 ◊ ◊ ◊

K controllo; ◊ il latte ha coagulato e i test sono stati sospesi, Tutti i valori che riportano il simbolo * sono risultati statisticamente significativi (p<0.05)

160 ± Tabella 26b. Risultati (media di 4 dati in Log10 std) della carica mesofila totale di latte non inoculato (K) e di latte pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo inoculati con Arcobacter cryaerophilus a diverse tem- perature di incubazione

A - cryaerophilus Tipologia di latte Giorni di incubazione T° 0 1 2 3 6

4 0.23±0.51 0.63±0.67 0.95 ±0.67 0.63±1.26 1.13± 0.62* K 0 ±0 0 ±0 0±0 1.15 ±0.21 1.30±0.43* 10 0.23±0.51 0.12±0.48 1.25±1.23 0.30±0.84 1.22± 0.56* Pastorizzato K 0± 0 0 ± 0 0 ±0 1.15 ±0.21 1.14±1.37 20 0.23±0.51 2.85±0.74 7.63±1.00 8.73±1.16 8.73±0.33

K 0.98±1.45 3.38±0.21 5.50±0.29 9.05±0.59 8.63±0.22*

4 0±0 0±0 0±0 0±0 0±0 K 0±0 0±0 0±0 0±0 0±0 10 0±0 0±0 0±0 0±0 0±0 UHT K 0±0 0±0 0±0 0±0 0±0 20 0±0 0±0 0±0 0±0 0±0 K 0±0 0±0 0±0 0±0 0±0

4 4.34±0.03 5.37±0.37 6.04±0.11 7.71±0.20 8.06±0.15

K 4.20±0.14 5.43±0.45 6.10±0.30 7.69±0.11 9.2±0.20 10 Crudo 4.34±0.03 5.41±0.30 7.11±0.19 9.03±0.32 11.29±0.27* K 4.17±0.14 5.37±0.55 7.08±0.28 9.06±0.30 11.10±0.23 20 4.34±0.03 9.47±0.52 11.39±0.66 12.25±0.50 ◊ K 4.24±0.12 9.34±0.22 11.29±0.32 12.15±0.20 ◊

K controllo; ◊ il latte ha coagulato e i test sono stati sospesi, Tutti i valori che riportano il simbolo * sono risultati statisticamente significativi (p<0.05)

161 La tabella 27 a, b mostra l’andamento di A. butzleri e A. cryaerophilus nel latte pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo a diverse temperature di conservazione.

La Figura 5 mostra il comportamento di A. butzleri nel latte pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo a differenti temperature di conservazione.

A 4 e 10°C si può osservare un moderato calo nella concentrazione del microrganismo fino al sesto giorno in tutte le tipologie di latte: nel latte pastorizzato microfiltrato da valori ini- ziali di 3.23 e 3.00 Log UFC/ml si assiste ad un modico calo (p<0.05) fino a 2.54 e 2.40 Log UFC/ml rispettivamente a 4 e 10°C; nel latte UHT l’andamento è del tutto analogo da 2.91 e 2.98 a 2.20 e 2.29 Log UFC/ml rispettivamente a 4 e 10°C (p<0.05); anche nel latte crudo l’andamento è simile da valori iniziali di 5.70 a 5.15 (p<0.05) e 5.17 Log UFC/ ml (p<0.05) rispettivamente a 4 e 10°C.

A 20°C il comportamento di A. butzleri varia a seconda della tipologia di latte: nel latte pastorizzato si può osservare una fase Lag di durata compresa tra uno [(T1) 3.62 Log UFC/ ml] e due giorni [(T2) 3.60 Log UFC/ml] a cui segue una crescita esponenziale fino ad otte- nere un livello di contaminazione pari a 107 Log UFC/ml; nel latte UHT invece la fase Lag non è risultata determinabile nella nostra sperimentazione (in quanto inferiore a 1 giorno) e si osserva, una crescita esponenziale fino a raggiungere una contaminazione pari a 1012 Log UFC/ml al sesto giorno. Nel latte crudo invece dopo una lieve crescita (p<0.05), durante il primo giorno di incubazione (da 5.70 a 6.33 Log UFC/ml), la conta di A. butzleri decresce rapidamente e nessun batterio coltivabile è stato isolato dopo due giorni di conservazione.

La Figura 6 mostra il comportamento di A. cryaerophilus nel latte pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo a differenti temperature di conservazione.

A 4 e 10°C si osserva un moderato calo del microrganismo in tutte le tipologie di latte che però è in grado di sopravvivere fino al sesto giorno di conservazione: nel latte pastorizzato microfiltrato da valori iniziali di 3.72 e 3.67 Log UFC/ml si può osservare un calo (p<0.05) modico a 3.08 e 2.99 Log UFC/ml rispettivamente a 4 e 10°C; nel latte UHT l’andamento è del tutto analogo da valori iniziali di 4.15 e 4.05 a valori finali di 2.41 e 2.84 Log UFC/ml rispettivamente a 4 e 10°C (p<0.05); nel latte crudo il calo osservato a 4 e 10°C è caratteriz- zato da valori iniziali di 4.79 e 4.74 a valori di 3.98 e 4.08 (p<0.05) rispettivamente. A 20°C il comportamento di A. cryaerophilus è analogo nel latte pastorizzato e nel latte UHT: dopo una fase Lag di circa un giorno si osserva una crescita fino al secondo giorno di incubazione (latte pastorizzato: da 3.60 a 5.37 Log UFC/ml; latte UHT: da 3.87 a 5.98 Log UFC/ml) seguita da una significativa riduzione al terzo giorno (latte pastorizzato: da 5.37 a 3.41 Log UFC/ml; latte UHT: da 5.98 a 4.15 Log UFC/ml) che continua fino al sesto giorno di conservazione quando non è stato più possibile recuperare batteri coltivabili dal latte. Nel latte crudo, dopo una lieve crescita (p<0.05) al primo giorno di stoccaggio (da 4.64 a 5.05 Log UFC/ml), la conta di A. cryaerophilus decresce significativamente per tutta la durata del test fino all’ultimo giorno di stoccaggio in cui nessun batterio coltivabile è stato osservato.

162 ± A. butzleri (a) A. cryaerophilus (b) Tabella 27. Risultati dell’andamento (media di 4 dati in Log 10 std) di e a diverse temperature di conservazione seminato in piastre di NA per il latte pastorizzato microfiltrato e il latte UHT e in NAA per il latte crudo a

Tipologia di latte A. butzleri

T Giorni di incubazione 0 1 2 3 6

4° 3.23±0.10 3.25±0.09 2.82±0.07 2.76±0.32 2.54±0.23* Pastorizzato 10° 3.00±0.20 3.26±0.04 2.87±0.10 2.42±1.00 2.40±0.22* 20° 2.74±0.21 3.62 ±0.16 3.60±0.33 5.74±0.33 6.96±1.39

4° 2.91±0.10 2.19±0.08 2.69±0.18 2.64±0.13 2.20±0.20* UHT 10° 2.98±0.09 1.78±0.12 2.80±0.15 2.70±0.19 2.29±0.20* 20° 3.42±1.09 5.67±0.19 8.72±0.34 9.76±0.48 11.52±1.03

4° 5.7±0.13 5.66±0.42 5.28±0.18 5.00±0.26 5.17±0.23* Crudo 10° 5.70±0.13 5.85±0.13 5.50±0.16 5.29±0.16 5.15±0.12* 20° 5.70±0.13 6.33±0.33* n.d. n.d. n.d.

b

Tipologia di latte A. cryaerophilus

T Giorni di incubazione 0 1 2 3 6

4° 3.72±0.11 3.67±0.07 2.99±0.16 2.66±0.22 3.08±0.06* Pastorizzato 10° 3.67±0.07 3.60±0.12 3.07±0.20 2.65±0.33 2.99±0.14* 20° 3.70±0.10 3.60±0.17 5.37±0.48 3.41±0.47 n.d.

4° 4.15±0.05 3.90±0.11 2.81±0.46 2.06±1.34 2.41±0.16* UHT 10° 4.05±0.15 3.73±0.14 3.27±0.18 3.07±0.31 2.84±0.18* 20° 4.07±0.05 3.87±0.41 5.98±0.67 4.15±0.32 n.d.

4° 4.79±0.00 4.72±0.15 4.19±0.16 4.33±0.11 3.98±0.12 Crudo 10° 4.74±0.03 4.74±0.18 4.45±0.07 4.68±0.03 4.08±0.07 20° 4.64±0.10 5.05±0.13* 2.10±0.09 1.5±0.17 n.d. n.d. non determinato: non è stato possibile isolare microrganismi vitali Tutti i valori che riportano il simbolo * sono risultati statisticamente significativi (p<0. 05)

163 A. butzleri Figura 5. Comportamento di (media di 4 valori in Log10) nel latte pastorizzato microfiltrato, UHT e crudo a differenti temperature di conservazione seminato in NA per il latte pastorizzato e il latte UHT e in NAA per il latte crudo

164 A. cryarophilus Figura 6. Comportamento di (media di 4 dati in Log10) nel latte pastorizzato, UHT e crudo a differenti temperature di conservazione seminato in NA supplementato con sangue laccato per latte pastorizzato e UHT; in NAA per il latte crudo

Sulla scorta dei risultati ottenuti nel corso delle ricerche del progetto “Terravita”, si può CONCLUSIONI ritenere che, nell’alimentazione delle bovine da latte, l’uso di razioni in cui prevalgano i concentrati modifica alcuni parametri fisiologici degli animali (tempi di ruminazione e pH ruminale) senza tuttavia che appaia compromessa la dotazione del latte delle micro-popola- zioni lattiche essenziali per i processi di caseificazione; l’uso di razioni comprendenti fieni, inoltre, anche quando vi siano bassi valori di pH nel rumine e nell’intestino, sembrano essere capaci di limitare e bloccare la moltiplicazione nel digerente di sporigeni ad attività anti casearia.

165 Le indagini hanno inoltre confermato come il latte crudo risenta, da un punto di vista microbiologico, delle condizioni igieniche della stalla e dei caseifici; in questi ambienti pos- sono infatti accadere contaminazioni da microorganismi potenzialmente pericolosi (anche emessi da singoli animali portatori) per la salute del consumatore.

Le comuni pratiche di conservazione e trasformazione del latte, in ogni caso, sembrano adatte a assicurarne le necessarie caratteristiche di salubrità essenziali per la tutela della salute del consumatore.

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167 LA SOSTENIBILITÀ DI PRODUZIONI LOCALI DI QUALITÀ. IL VALORE ECONOMICO, AMBIENTALE E SOCIALE DEI MICROSISTEMI TERRITORIALI

Monteleone A., Verrascina M., Borsotto P., Cristiano S., Dara Guccione G., Papaleo A. CREA Centro di ricerca Politiche e Bio-economia

INTRODUZIONE L’Italia, per la sua particolare orografia, è uno dei Paesi maggiormente caratterizzati da at- tività agricole all’interno delle aree Parco o comunque ad alto valore ambientale. In queste aree l’agricoltura si identifica soprattutto nella produzione di “alimenti di nicchia”, che godono di una reputazione rara e costituiscono molto spesso una delle principali risorse economiche del territorio.

Verificarne gli aspetti di sostenibilità, economica, sociale e ambientale, è l’obiettivo di ricer- ca, realizzata su tre prodotti scelti per la loro tipicità: la Provola delle Madonie (Sicilia), il Pane di Monreale (Sicilia), l’Olio delle Colline Teatine (Abruzzo). Le tre dimensioni della sostenibilità sono alla base dell’analisi condotta su un gruppo di prodotti agroalimentari contraddistinti da forme di tutela differenziate. La relazione presenta i risultati dello studio di tre prodotti, in particolare:

1. La Provola delle Madonie, prodotto di punta dell’omonimo Parco Regionale (Sicilia), da sempre molto vocato all’attività agricola che esprime ancora diverse produzione lattiero casearie. La Provola delle Madonie è ottenuta da latte di vacca intero, crudo, e piccole quantità di latte ovino e caprino, caglio e sale. Si tratta di un formaggio a pasta filata, annoverato nell’elenco dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) previsto dal Mi- nistero delle Politiche Agricole, alimentari e forestali. Da circa una decina di anni i servizi regionali di assistenza tecnica in agricoltura (SOAT) hanno definito il disciplinare di pro- duzione della Provola delle Madonie che stabilisce una serie di elementi necessari per la produzione. La Provola è un Presidio Slow Food e il relativo disciplinare prevede norme rigide: la produzione deve rispettare il regime biologico e l’alimentazione del bestiame deve essere OGM free.

2. L’Olio delle Colline Teatine identifica un olio prodotto nella provincia di Chieti (da Teatum, nome latino di Chieti). Si tratta di un olio extravergine di oliva estratto princi- palmente da due varietà (ecotipi locali) di olivo ben rappresentate nell’area: la Gentile di Chieti e la Leccino. L’area di produzione si estende alle pendici del Massiccio della Majel- la e in parte coincide anche con territori delimitati dal Parco Nazionale della Majella, nel cuore dell’Abruzzo, dove la coltura olivicola conserva una grande importanza dal punto di vista economico oltre che paesaggistico.

3. Il Pane di Monreale (u Pani ri Murriali) è un prodotto tipico del comune di Monreale, in provincia di Palermo, inserito nell’elenco dei Prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Insieme al Biscotto di Monreale (Viscottu ri Murriali) fa parte dei 243 prodotti della Regione Siciliana contenuti nella “Sedicesima revisione dell’elenco dei prodotti agroali- mentari tradizionali” . Il pane, dalla crosta croccante e bruna decorata da semi di sesamo, viene realizzato, sia in pagnotte che in filoncini dalla morbida mollica gialla, dopo una lunga lavorazione e due diverse fasi di lievitazione (circa 3 ore). Viene ancora prodotto secondo i metodi tradizionali, grazie alla tenacia di, ormai, pochissimi artigiani fornai che ne hanno consentito l’inclusione nel predetto elenco.

168 L’obiettivo generale della ricerca è quello di valutare le dinamiche sociali, economiche e OBIETTIVO culturali che la presenza delle produzioni indagate implica a livello territoriale. La ricerca si è posta dunque l’obiettivo di valutare il legame con il territorio, le caratteristiche econo- miche e di mercato al fine di stabilire la redditività e la sostenibilità socio-ambientale delle aziende e il costo di produzione di prodotti di nicchia ottenuti. Si tratta in altri termini di analizzare l’intera filiera di produzione al fine di verificare se il prodotto è sostenibile dal punto di vista economico (in termini di reddito per i produttori/allevatori), ambientale (in termini di sostenibilità dell’allevamento e della produzione della materia prima e di bassi input) e sociale (in termini di tutela dell’occupazione, mantenimento di competenze locali, salvaguardia dell’identità e del patrimonio di conoscenze e tradizioni locali).

L’attività di ricerca è stata condotta utilizzando diverse metodologie di ricerca quantitati- MATERIALI E va, empirica, di tipo qualitativo: ricerca di informazioni on desk, analisi di dati statistici e ricerche condotte da altri soggetti scientifici quali le università, focus group con gli at- METODI tori locali, imprenditori e istituzioni locali, incontri sul campo, presso le aziende. Nello specifico l’analisi desk ha previsto una ricerca bibliografica sulle principali caratteristiche storico-produttive del prodotto. Sono stati approfonditi gli aspetti caratteristici così come rilevati da ricerche pubblicate e nel contempo sono state rilevate anche informazioni e gli strumenti più recenti utilizzando, quali fonti, quelle presenti sul web: articoli on line, blog, siti istituzionali e commerciali. La ricerca on desk ha permesso anche di selezionare gruppi di potenziali soggetti con competenze in materia, i cd “testimoni privilegiati”: dai ricercatori ai soggetti territoriali coinvolti, a livello tecnico oltre che economico, nella filiera di pro- duzione del prodotto. Anche l’indagine sul valore identitario del prodotto è stata condotta attraverso un’analisi documentale, storiografica e dei mass media, e alcune interviste a te- stimoni privilegiati. L’analisi on desk, infine, ha ricompreso anche una parte dell’analisi di marketing ed è stata finalizzata alla rilevazione di informazioni utili ad analizzare la visibilità sul mercato dei tre prodotti oggetto di indagine, i canali di sbocco e i prezzi di vendita.

L’analisi di campo resta il metodo di ricerca più utilizzato nelle analisi di tipo qualitativo in quanto permette di vagliare con maggiore attendibilità i risultati dell’indagine grazie al confronto diretto con gli interessati e permette maggiore profondità e articolazione rispetto ai semplici questionari. A tal fine, oltre al focus group sono state condotte delle interviste dirette con i produttori. Accanto all’analisi qualitativa è stata realizzata una analisi quantita- tiva di sostenibilità economica (Raccolta e analisi dei dati volti a valutare: Redditività; Costi di produzione; Sostenibilità sociale). La sostenibilità economica è fondata sulla ricostruzio- ne dei bilanci semplificati, dei bilanci analitici e sulle analisi dei canali commerciali, anche al fine di verificare come si distribuiscono i consumi a livello locale ed extralocale. L’analisi di marketing è stata svolta attraverso interviste a rivenditori locali, specializzati e della GDO e con questionari volti alla costruzione dell’indicatore di fiducia sulle aspettative di vendita dei prodotti oggetto di analisi. La somministrazione di interviste semi-strutturate rivolte a testimoni privilegiati (produttori e operatori del commercio) è stata utilizzata, anche, per l’analisi del consumo e la definizione dell’indicatore di clima di fiducia sulla vendita dei prodotti. Accanto alla ricerca sociale è stata condotta l’analisi delle performance economi- che, più nel dettaglio sono state valutate la redditività aziendale, i costi di produzione e la sostenibilità ambientale e sociale di un gruppo di aziende produttrici dei prodotti indagati (Provola delle Madonie, Olio delle Colline teatine, Pane di Monreale).

La metodologia utilizzata è quella del case study (Creswell, Maietta, 2002; Laws et al., 2003; Yin, 2002), approccio ampiamente impiegato per studio in Economia Agraria e So- ciologia Rurale (Ventura, Milone, 2004; Van der Ploeg, 2008; Giarè, Caggiano, Vignali,

169 2009). Tale metodologia rappresenta infatti uno strumento utile nell’analisi di fenomeni in atto o applicazioni pratiche; inoltre essendo una descrizione della realtà, permette di riflettere e individuare le proprie conclusioni sul caso. La mancanza di robustezza statistica viene compensata dal dettaglio delle informazioni raccolte che possono far capire appro- fonditamente i processi decisionali e i fattori che contribuiscono al successo o insuccesso nella produzione di prodotti di nicchia. Ciò permette di replicare/adattare i risultati ad altri contesti produttivi.

RISULTATI Le analisi sin qui realizzate inducono ad affermare che i tre prodotti indagati sono, innega- bilmente classificabili come prodotti di qualità, con potenzialità ancora molto spiccate e un valore territoriale forte, sebbene con molti chiaroscuri legati a diversi fattori, primi fra tutti la filiera di produzione e il mercato. Analizzandoli singolarmente emergono delle specificità proprie.

In particolare la Provola rappresenta una opportunità vantaggiosa per il suo territorio in quanto ne simbolizza il nome da cui origina. Molto forti sono le implicazioni ambientali del prodotto o meglio il legame con l’ambiente di produzione, la biodiversità locale e dunque i benefici che il prodotto trae e restituisce al sistema agricolo di produzione. La Provola resta l’espressione di una relazione strettissima tra territorio e produzione, di cui beneficia anche la società e l’economia locale.

L’Olio delle colline teatine è molto diffuso nell’area e da alcuni ha conquistato la DOP (Denominazione Origine Protetta), una certificazione europea prestigiosa che ne attesta la qualità e il legame con il territorio. Una serie di vicissitudini di ordine organizzativo ma anche legale hanno limitato molto l’attività del Consorzio di tutela della DOP che ad oggi è una realtà “sulla carta”. Anche per questo si rileva una forte commistione tra olio Dop e olio Evo con medesime caratteristiche qualitative di alto livello, assimilabili a quelle previste dal disciplinare di certificazione DOP ma senza certificazione. La domanda del consumatore (locale) è infatti indirizzata soprattutto verso l’olio extra vergine (senza certificazione DOP), che può essere acquistato ad un prezzo sensibilmente inferiore. Il prodotto ha grandi poten- zialità per territorio, sia in forma non certificata che con certificazione DOP se si considera che la Provincia di Chieti rappresenta oltre il 50% della produzione di EVO abruzzese. Anche in questo caso si rileva l’assenza di una vera filiera strutturata a livello locale con politiche commerciali comuni e le iniziative di promozione vengono gestite gestita dal sin- golo imprenditore. L’indagine sull’olio delle Colline Teatine dimostra che il mantenimento della produzione locale, se correttamente sfruttato, è in grado di mantenere un’agricoltura sostenibile in termini di impatto socioeconomico e può essere un elemento fondamentale nelle strategie di sviluppo delle aree protette.

Il Pane di Monreale è molto affermato sul territorio e forte ne è il legame. Nel tempo però ha perso e sta perdendo il legame con le materie prime e si rileva un utilizzo del nome per produzioni extralocali che hanno una distribuzione regionale e spesso non seguono circuiti commerciali convenzionali (molto diffusa la vendita autorganizzata). Di fatto sono pochi i panifici locali che seguono una metodica tradizionale (dalla scelta delle materie prime ai processi di lavorazione e panificazione) e questo dato compromette seriamente la possibilità di tramandare la produzione del Pane di Monreale. Si rileva l’assenza di una vera filiera strutturata a livello locale (grano-rimacina-Pane di Monreale). È possibile tuttavia rilevare la presenza di una «filiera auto-definita» dove alcuni agricoltori scelgono di cedere il proprio grano duro a molini che lavorano o realizzano una linea di semola rimacinata con grani di provenienza esclusivamente regionale, alcuni molini «scelgono» di lavorare o realizzare una linea di semola rimacinata, partendo da grani di provenienza esclusivamente regionale, e, in linea di massima, il panificatore «cerca» solo semola rimacinata di grano prodotti in Sicilia,

170 in alcuni casi anche i c.d. «grani antichi/grani locali». Per rivitalizzare il prodotto, che ha una elevata sostenibilità anche dal punto di vista economico e sociale servirebbe una ade- guata politica di valorizzazione capace di mettere insieme i soggetti più attivi e interessati al rilancio del prodotto e dei relativi mercati.

Tra i prodotti analizzati si rilevano differenze in termini di traiettorie di valorizzazione e svi- DISCUSSIONE luppo. Problematiche differenti infatti, ostacolano o comunque frenano le potenzialità dei prodotti sia nell’accesso ai mercati sia nell’organizzazione della produzione. Per la Provola delle Madonie i dati evidenziano la mancanza nell’area di produzione di una dimensione di sistema e di soggetti capaci di catalizzare o di rappresentare una vera leadership per la produzione e la standardizzazione della produzione. Un disciplinare c’è ma non rappresenta un modello di riferimento condiviso e riconosciuto, sebbene le aziende più importanti dal punto di vista produttivo e di mercato lo utilizzano e assumono come paradigma. Le azien- de intervistate denunciano la presenza di un mercato parallelo, sommerso, che comunque è in grado di produrre e raggiungere i mercati senza garanzie di qualità né di rispetto delle indicazioni del Disciplinare (né con altre garanzie dal punto di vista igienico sanitario). Questo fattore, secondo gli intervistati, incide anche sul prodotto a disposizione del con- sumatore non tanto locale (di fatto fidelizzato alle aziende storiche o con produzione con- solidata) quanto del mercato regionale e nazionale che si trova a offrire prodotti con una grande variabilità dal punto di vista del prezzo, della garanzia di qualità, delle caratteristiche organolettiche.

Diverso è il caso dell’Olio delle colline Teatine che, pur avendo un disciplinare di produzio- ne DOP, riconosciuto e certificato, non trova ampi spazi sul mercato: le aziende olivicole e i frantoi producono olio Evo di qualità mediamente elevata, seguendo in sintesi ciò che con- templa il disciplinare ma non lo certificano DOP. Non vi è un Consorzio di tutela capace di impostare e portare avanti strategie di valorizzazione o commerciali. La vendita, grazie agli alti standard qualitativi, è assicurata e con buoni profitti, pur non completando il percorso di certificazione, tanto è elevata la reputazione dell’olio locale e la fiducia dei consumatori nei produttori ai quali sono da tempo fidelizzati. Ne deriva che le potenzialità di mercato sono molto alte ma non vi è la volontà dei soggetti produttori di investire e definire nuove strategie per raggiungere target di consumatori diversi e di più alto profilo.

Ancora differente è il caso del Pane di Monreale che invece sconta la “genericità” della sua tradizione produttiva non decodificata in disciplinati condivisi e riconosciuti, tradizione (e prodotto) che è seriamente minacciata di scomparsa. Diversi produttori utilizzano materie prime locali ma differenziate tra loro, e una tradizione di tecniche di lavorazione tramanda- te oralmente. Questa confusione presta il fianco a tanti tentativi di imitazione che sfrutta il sound e la fama del prodotto per una produzione che non assicura tracciabilità né qualità nelle materie prime e nelle tecniche utilizzate. Anche in questo, caso l’esistenza di un mer- cato fuori dai tradizionali circuiti commerciali, compromette il mercato tradizionale e l’at- tività dei pochi panificatori che ancora restano fedeli alla tradizione e all’utilizzo di materie prime strettamente locali, minacciando anche la perdita dell’identità del prodotto ormai quasi esclusivamente legato ai panificatori che la conservano.

Il lavoro descritto ha permesso l’approfondimento dell’analisi sui tre prodotti tradizionali locali molto diversi tra loro per territori, tradizioni, percorsi di valorizzazione, organizza- zione di filiera, sistemi locali. Nonostante le evidenti differenze su ciascuna delle variabili evidenziate, sono possibili delle riflessioni comuni che possono essere declinate su tutti e tre i prodotti. Innanzitutto si tratta di produzioni che hanno una elevata sostenibilità nelle quattro dimensioni che la riguardano, ovvero economica, ambientale, sociale e nutrizionale. Il pane, per il suo procedimento di cottura a legna, e la provola, in quanto prodotto zootec-

171 nico, presentano dei limiti di sostenibilità ambientale ma non capaci di intaccare la stessa. Sono possibili però dei margini di miglioramento delle performance ambientali così come viene messo in evidenza nell’analisi specifica condotta dall’università di Palermo.

Nei tre casi di riferimento il mantenimento delle produzioni è legato anche agli elementi paesaggistici di pregio dell’area: il paesaggio a prato-pascolo delle Madonie dove trovano nutrimento, per lunghi periodi dell’anno, le vacche che producono Provola; le superfici olivetate caratteristiche del paesaggio alle pendici della Majella; gli estesi campi di grano del paesaggio rurale monrealese che delimitano il paesaggio tipico della Sicilia occidentale. E’ chiaro come il mantenimento delle produzioni locali in tutti e tre i casi condizione for- temente il mantenimento (e la cura) del paesaggio che nell’immaginario di tutti è legato a quelle zone e che le contraddistingue e costituisce un elemento di pregio e valorizzazione anche per il settore turistico. La bellezza del diversificato paesaggio è, infatti, un importante elemento di attrazione delle aree rurali italiane.

Nei casi esaminati, come emerge dalle analisi, si riscontra una sostenibilità a tutto tondo della produzione. Si tratta del resto di produzioni sostenibili per definizione in quanto si sono affermate, consolidate e tramandate nel tempo. Sono potenzialmente tutte “fonti” di sviluppo per le aziende e per il territorio perché capaci di innescare circuiti di valorizzazione locale, rinomate e ampiamente conosciute dal mercato e dal consumatore, locale e non, sono parole potenziali “attrattori” per il territorio di cui veicolano il nome. Tutti e tre, con intensità diversa, però sono minacciati dalla “contaminazione” con prodotti simili e non originali in quanto mancano di una vera politica di investimento in tutela e valorizzazione.

Nonostante gli strumenti, oggi sempre più definiti e stringenti - sulla certificazione, trac- ciabilità, tutela del prodotto e della produzione, identificazione delle materie prime e dei processi produttivi – al fine di garantire sempre maggiori tutele alla produzione, al made in Italy, al consumatore, i tre prodotti analizzati risultano, con gradi differenziati, seriamente minacciati di scomparsa o comunque importante rarefazione. In un panorama normativo e politico attento alla valorizzazione di cultivar e razze locali, alla difesa di filiere locali ca- paci di garantire reddito e sviluppo a comunità rurali, all’attenzione dei consumatori verso produzioni artigianali differenziate e non omologate, è necessaria una maggiore presa di coscienza da parte di imprenditori e istituzioni locali per una strenua difesa delle produzioni indagate. Che parte dalla reale organizzazione di una filiera capace di affermarsi sui mercati, veicolando prodotto e territorio.

L’analisi ha dimostrato la rilevante presenza dei prodotti a livello locale, ne ha verificato la sostenibilità ambientale, economica e sociale, ne ha rilevato la grande importanza dal punto di vista culturale come elemento di identità territoriale. In tutti e tre i casi si tratta di pro- dotti con grandissime potenzialità, riconosciuti tra i Prodotti Agroalimentari tradizionali e, nel caso dell’Olio, una DOP, che meriterebbero una maggiore attenzione in termini di strategie di valorizzazione e di ricerca di strategie di mercato comuni. La collaborazione tra soggetti pubblici e forze produttive locali, una regia comune, sono fattori essenziali per dare concreta attuazione alle strategie di valorizzazione dei territori rurali, caratterizzati da emergenze (e grandi patrimoni) naturali, ambientali e culturali che si esprimono in produzioni tradizionali di qualità. E come ampiamente dimostrato dalle recenti tendenze, i patrimoni naturali e le tradizioni culturali ed enogastronomiche rappresentano, oggi più che mai, elementi strategici per avviare o consolidare lo sviluppo delle tante aree rurali che compongono il “bel Paese”.

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INEA. 2013. L’agricoltura in Abruzzo. Caratteristiche strutturali e risultati aziendali

Legambiente e FederParchi. 2008. Atlante dei prodotti tipici dei parchi italiani, Slow Food in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente e della tutela del territorio

Slow Food. 2008. Itinerari nei gusti della Provincia di Chieti, Slow Food Editore

Touring Club Italiano. 2015. Abruzzo, itinerari del gusto, Touring Editore

175 LA LIFE CYCLE ASSESSMENT APPLICATA AL SETTORE AGRO- ALIMENTARE: IL CASO STUDIO DI TRE PRODOTTI SICILIANI Cellura M., Cusenza M.A., Gulotta T.M., Longo S. Dipartimento di Ingegneria, Università degli Studi di Palermo

INTRODUZIONE Il settore agro – alimentare rappresenta uno dei settori economici più significativi a livello europeo in termini di impatti ambientali e di consumo di risorse. Esso è responsabile di circa il 5,3% del consumo finale di energia delle industrie europee, di circa l’1,8% del consumo di acqua, e di circa il 20-30% degli impatti ambientali (Tukker et al., 2006). La quantità di energia necessaria per coltivare, trasformare, confezionare e distribuire i prodotti ai consumatori ha rappresentato, nel 2013, una quota pari al 26% del consumo di energia finale europeo, di cui circa un terzo è causato dalla coltivazione e dall’allevamento del be- stiame. Inoltre, nel 2010, le emissioni di gas a effetto serra connesse al settore sono state pari

a circa 10 GtCO2eq, rappresentando un quinto delle emissioni globali (Monforti-Ferrario et al., 2015).

Pertanto, quello agro – alimentare è stato identificato come uno dei settori prioritari a livello europeo su cui intervenire per l’attuazione di strategie di produzione e consumo sostenibili (European Commission, 2008) e di economia circolare. L’Unione Europea ha individuato delle possibili azioni per la riduzione degli impatti energetico – ambientali del settore, alcune delle quali di seguito elencate:

• Applicazione di metodologie di analisi delle prestazioni dei prodotti alimentari lungo il loro intero ciclo di vita, con particolare riferimento alla metodologia Life Cycle As- sessment (LCA). • Diffusione di strumenti di comunicazione ai consumatori degli elementi di preferibilità ambientale dei prodotti alimentari, attraverso dei sistemi di etichettatura. • Valorizzazione dei prodotti provenienti dalla “filiera corta”, favorendo i mercati locali e riducendo, quindi, la distanza fra consumatore finale e produttore e limitando il nu- mero delle intermediazioni. • Promozione del consumo di prodotti ortofrutticoli stagionali, che oltre ad avere in media proprietà organolettiche migliori sono caratterizzati da minori impatti legati al trasporto o alla gestione di serre o di frigoriferi.

OBIETTIVI • L’obiettivo principale del lavoro è la valutazione degli impatti energetico-ambientali e della “carbon footprint” di tre tipologie di prodotti presi come modelli sperimentali coltivati in aree di interesse naturalistico: provola delle Madonie, pane di Monreale e olio monovarietale siciliano (Figura 1), in un’ottica di ciclo di vita. Gli obiettivi specifici sono i seguenti:

• Applicazione della metodologia LCA per la valutazione delle prestazioni energetico- ambientali dei tre prodotti sopra citati.

• Identificazione delle fasi del ciclo di vita responsabili dei maggiori impatti energetico- ambientali per ogni singolo prodotto esaminato.

176 • Definizione di possibili interventi di miglioramento delle prestazioni energetico-am- bientali dei prodotti in esame.

Figura 1. I prodotti esaminati

Provola delle Madonie Pane di Monreale Olio monovarietale siciliano

L’analisi è stata effettuata tramite la metodologia LCA in accordo agli standard ISO 14040 MATERIALI (ISO 14040, 2006) e ISO 14044 (ISO 14044, 2006). Tale metodologia permette di identi- ficare e valutare gli impatti energetici ed ambientali di un prodotto/servizio nei diversi stadi E METODI del suo ciclo di vita, dalle fasi di approvvigionamento delle materie prime, realizzazione e distribuzione a quelle di uso e dismissione, mediante la quantificazione dei consumi di energia e materie prime, dei rifiuti prodotti e degli impatti generati sull’ambiente. La LCA consente, inoltre, di identificare le criticità di un processo e di elaborare soluzioni alterna- tive capaci di migliorare la qualità ambientale complessiva del prodotto/servizio, fornendo altresì una base informativa scientifica per la comunicazione esterna e l’informazione dei consumatori (Ardente et al., 2008).

Le unità funzionali (U.F.) scelte nello studio, intese come i parametri a cui riferire tutti gli elementi che compongono il bilancio ambientale di ciascun sistema in esame, sono le seguenti:

• 1 kg di provola delle Madonie (U.F.1); • 1 kg di pane di Monreale cotto in forno a metano (U.F.2) o a legna (U.F.3); • 1 litro di olio monovarietale siciliano confezionato in latta di alluminio (U.F. 4) o in bottiglia di vetro (U.F. 5). L’analisi ha incluso le seguenti fasi del ciclo di vita:

• Provola delle Madonie: allevamento delle vacche, approvvigionamento delle materie prime impiegate nel sistema in esame, produzione del latte, produzione della provola, trasporto del prodotto finito presso i consumatori finali; • Pane di Monreale: approvvigionamento delle materie prime (inclusa la produzione di grano e farina), impasto, formatura, cottura e trattamento dei rifiuti di processo; • Olio monovarietale siciliano: coltivazione degli uliveti, raccolta delle olive e trasporto al frantoio, estrazione dell’olio, approvvigionamento delle materie prime e degli imballag- gi, confezionamento del prodotto e trasporto presso gli utenti finali. Per ciascun prodotto esaminato è stata effettuata un’analisi particolareggiata della filiera produttiva al fine di individuare tutti i sotto-processi che la costituiscono e di effettuare 177 una raccolta di dati energetico-ambientali riguardanti i consumi di risorse, i materiali uti- lizzati e le emissioni prodotte. La raccolta dati è stata eseguita tramite indagini di campo, divulgazione di questionari e ricerche bibliografiche. Non sono state valutate le fasi d’uso e di smaltimento a fine vita dei prodotti poiché esse sono strettamente correlate al compor- tamento del consumatore.

I dati raccolti sono stati elaborati al fine di valutare l’eco-profilo energetico-ambientale dei prodotti in esame. I risultati ottenuti sono stati sintetizzati in specifici indici prestazionali relativi ai consumi di risorse ed agli impatti ambientali ed hanno consentito di stimare le prestazioni energetico-ambientali dei prodotti e di individuare le fasi del ciclo di vita re- sponsabili dei maggiori impatti.

Le categorie di impatto selezionate per la valutazione delle prestazioni energetico – am- bientali sono: consumo di energia primaria (GER), carbon footprint (CF) o effetto serra potenziale (GWP), assottigliamento dello strato di ozono (ODP), tossicità umana – effetti cancerogeni (HT – ec), tossicità umana – effetti non cancerogeni (HT – enc), particolato atmosferico (PM), radiazioni ionizzanti – effetti sulla salute umana (IR – HH), radiazioni ionizzanti – effetti sull’ambiente (IR – E), formazione di ossidanti fotochimici (POFP), acidificazione potenziale (AP), eutrofizzazione terrestre (T – EU), eutrofizzazione in acque dolci (F – EU), eutrofizzazione in acqua marina (M – EU), ecotossicità in acque dolci (F – E), uso del suolo (LU), consumo della risorsa acqua (WRD), consumo di risorse minerali, fossili e rinnovabili (ARD).

La stima del consumo di energia primaria è stata effettuata impiegando il metodo Cumu- lative Energy Demand (CED) (Frischknecht et al, 2007; Prè, 2012) mentre gli impatti ambientali sono stati stimati attraverso l’impiego degli indicatori del metodo ILCD 2011 Midpoint (European Commission, 2012).

RISULTATI IMPATTI ENERGETICO-AMBIENTALI DELLA PROVOLA DELLE MADONIE L’impatto sul consumo di energia primaria connesso al ciclo di vita di 1 kg di provola delle Madonie (U.F. 1), riportato in Tabella 1, è pari a 53,12 MJ, di cui l’88% è rappresentato da energia non rinnovabile (GER-NR).

Tabella 1. GER di 1 kg di Provola delle Madonie (U.F. 1)

GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Allevamento bestiame 4,31E+01 6,29E+00 4,93E+01 Mungitura e trasporto latte 3,02E-02 2,72E-03 3,29E-02 Refrigerazione 2,66E-01 2,39E-02 2,90E-01 Caseificazione 1,75E+00 1,10E-03 1,75E+00 Essiccazione 6,86E-04 1,74E-04 8,61E-04 Taglio 1,65E-03 1,48E-04 1,79E-03 Mescolatura 7,72E-01 6,54E-04 7,72E-01 Riposo in acqua 3,43E-03 8,71E-04 4,30E-03 Riposo in salamoia e disidratazione naturale 1,20E-02 9,77E-04 1,30E-02 Distribuzione 8,93E-01 1,50E-02 9,08E-01 Totale 4,68E+01 6,33E+00 5,31E+01

178 La fase responsabile dei maggiori impatti energetici è rappresentata dall’allevamento del be- stiame, con un contributo pari al 93%. Per un’analisi più dettagliata del processo produttivo della provola in Figura 2 è rappresentata l’incidenza delle fasi del ciclo di vita sul consumo complessivo di energia primaria escludendo il contributo relativo all’allevamento. Dall’a- nalisi dei dati emerge che, su un consumo totale di energia primaria pari a 3,77 MJ, le fasi responsabili del maggiore impatto sono: la caseificazione (46,4%), la distribuzione (24%), la mescolatura (20,5%) e la refrigerazione (7,7%). Le altre fasi del ciclo di vita hanno un impatto trascurabile.

Figura 2. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita della provola delle Madonie sul GER, esclusa la fase di allevamento del bestiame

Gli impatti ambientali connessi all’intero ciclo di vita della provola sono sintetizzati in Ta- bella 2. La fase di allevamento del bestiame è responsabile del maggiore impatto per tutte le categorie ambientali esaminate, con un’incidenza variabile dal 94,9% (POFP) al 99,9% (LU).

L’analisi dettagliata del ciclo produttivo della provola, escludendo la fase di allevamento del bestiame, ha evidenziato che la fase di caseificazione contribuisce a circa il 48,6% dell’im- patto sulla CF. Seguono le fasi di distribuzione, mescolatura e refrigerazione con contributi pari al 21,9%, al 21,4% e al 6,9%, rispettivamente (Figura 3).

In Figura 4 è mostrata l’incidenza delle fasi del ciclo produttivo della provola nelle categorie di impatto ambientale indagate, qualora non si consideri l’impatto relativo alla fase dell’al- levamento del bestiame. Si osserva che le fasi di distribuzione, caseificazione e refrigerazione sono responsabili del maggiore impatto in quasi tutte le categorie ambientali. In dettaglio, la fase di distribuzione incide con percentuali variabili tra il 22,3% (HT-nce) e l’88,6% (ARD); l’impatto della fase di refrigerazione varia dal 4% (POFP) al 49,2% (WRD); l’im- patto della fase di caseificazione varia tra lo 0,4% (LU) e il 47,4% (HT-nce). La fase di mescolatura presenta impatti variabili tra lo 0,6% (ODP) e il 21% (HT-nce), l’impatto della fase di mungitura e trasporto del latte varia dallo 0,5% (ARD) al 5,6% (WRD), la fase di riposo in salamoia e disidratazione naturale incide con percentuali variabili tra lo 0,2% (T-EU e POFP) e il 5,5% (F-EU). Le fasi di taglio e di essicazione presentano un impatto

179 minore dello 0,5% in tutte le categorie ambientali analizzate. La fase di riposo in acqua presenta contributi pari al 2,2% nel LU, al 2% nella HT-ce, all’1,6% nel WRD e inferiori all’1% in tutte le altre categorie di impatto.

Tabella 2. Impatti ambientali riferiti al ciclo di vita di 1 kg di provola delle Madonie (U.F. 1)

Categoria d’impatto Unità Totale

CF (GWP) kg CO2eq 7,26E+00

ODP kg CFC-11eq 4,29E-07 HT-ce CTUh 4,34E-07 HT-nce CTUh 4,52E-06

PM kg PM2.5eq 3,27E-03

IR-HH kg U235eq 4,68E-01 IR-E (interim) CTUe 1,41E-06

POFP kg NMVOCeq 2,24E-02

+ AP molc H eq 8,15E-02

T-EU molc Neq 3,45E-01

F-EU kg Peq 2,47E-03

M-EU kg Neq 1,55E-01 F-E CTUe 4,69E+01

LU kg Cdeficit 1,53E+03

3 WRD m watereq 1,12E+00

ARD kg Sbeq 7,62E-05

Figura 3. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita della provola delle Madonie sulla CF, esclusa la fase di allevamento del bestiame

180 Figura 4. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita della provola delle Madonie sulle categorie di impatto esaminate, esclusa la fase di allevamento del bestiame

100%

80%

60%

40%

20%

0% ODP HT-ec HT-nce PM IR-HH IR-E POFP AP T-EU F-EU M-EU F-E LU WRD ARD

Mungitura e Trasporto Latte Refrigerazione Caseificazione Essiccazione Taglio Mescolatura Riposo in acqua Rip. in salamoia e disidr. naturale Distribuzione

IMPATTI ENERGETICO-AMBIENTALI DEL PANE DI MONREALE

Processo di produzione del frumento In Tabella 3 è riportato l’impatto sul GER connesso alla fase di produzione di 1 kg di fru- mento, pari a 7,58 MJ.

Tabella 3. GER di 1 kg di frumento

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Aratura 4,73E-01 1,82E-03 4,75E-01 Prima erpicatura 1,34E-01 5,21E-04 1,35E-01 Concimazione di fondo 1,65E+00 6,27E-02 1,71E+00 Semina 3,99E-01 1,06E+00 1,46E+00 Seconda erpicatura 9,67E-02 3,77E-04 9,71E-02 Diserbo 1,54E-01 2,35E-03 1,56E-01 Concimazione di copertura 2,73E+00 3,40E-02 2,76E+00 Raccolta 5,21E-01 2,03E-03 5,23E-01 Trasporto 1,12E-01 1,39E-03 1,13E-01 Conservazione, selezione e 1,40E-01 1,08E-02 1,51E-01 confezionamento Totale 6,41E+00 1,17E+00 7,58E+00

181 Dall’analisi dell’incidenza delle varie fasi del ciclo di vita sull’impatto complessivo (Figura 5) è emerso che le fasi responsabili del maggiore impatto sono la concimazione di copertura, la concimazione di fondo e la semina, con percentuali pari, rispettivamente, al 36,4%, al 22,6% e al 19,2%.

Figura 5. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita del frumento sul GER

In Tabella 4 sono riportati gli impatti ambientali connessi alla produzione di 1 kg di fru- mento, mentre nella Figura 6 è mostrata la loro incidenza sull’impatto totale nelle categorie ambientali indagate.

La produzione di 1 kg di grano duro causa l’emissione di 4,55E-01 kg CO2eq, la concima- zione di copertura e la concimazione di fondo sono i processi responsabili del maggiore impatto, con percentuali pari, rispettivamente, al 30,5% e al 25,3%. La fase di aratura pre- senta un impatto variabile tra lo 0,1% (F-EU) e il 16,7% (POFP). La fase di concimazione di fondo è responsabile dell’impatto più elevato in molte delle categorie ambientali esami- nate; in dettaglio, questa fase ha un’incidenza pari al 96% sulla F-EU, al 61,2% sull’ARD, al 58,4% sull’AP, al 54,4% sull’IR-HH, al 53,8% sull’HT-ce, al 49,8% sull’IR-E e al 48% sul WRD; l’incidenza più bassa, pari al 7,4% si ha sulla F-E. I processi di prima e di seconda erpicatura presentano un impatto pari, rispettivamente, al 4,7% e al 3,4% sul POFP. La fase di semina incide con percentuali variabili tra l’1,2% (F-EU) e il 48% (M-EU). Il processo di diserbo rappresenta una percentuale pari al 15,2% dell’impatto sull’ODP e inferiore al 4% in tutte le altre categorie di impatto ambientale indagate. La concimazione di copertura incide con percentuali variabili tra l’1,9% (F-EU) e il 37,4% (ODP). La fase di trasporto allo stoccaggio presenta un’incidenza pari al 3,8% sull’ADR; infine, la fase di conservazio- ne, selezione e confezionamento è responsabile dell’impatto più elevato sulla F-E (85,3%) e sulla HT-nce (60%).

182 Tabella 4. Impatti ambientali di 1 kg di frumento

Categoria d’impatto Unità Totale

CF (GWP) kg CO2eq 4,55E-01

ODP kg CFC-11eq 5,62E-08 HT-ce CTUh 2,73E-08 HT-nce CTUh 2,53E-07

PM kg PM2.5eq 5,56E-04

IR-HH kg U235eq 4,60E-02 IR-E CTUe 1,29E-07

POFP kg NMVOCeq 2,56E-03

+ AP molc H eq 5,81E-03

T-EU molc Neq 1,18E-02

F-EU kg Peq 1,25E-03

M-EU kg Neq 1,74E-03 F-E CTUe 1,31E+01

3 WRD m watereq 9,87E-02

ARD kg Sbeq 6,58E-06

Figura 6. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita del frumento sugli impatti ambientali

100%

90%

80%

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0% GWP ODP HT-ec HT-nce PM IR-HH IR-E POFP AP T-EU F-EU M-EU F-E WRD ARD

Aratura Prima erpicatura Concimazione di fondo Semina Seconda erpicatura Diserbo Concimazione di copertura Raccolta Trasporto allo stoccaggio Conservazione, selezione e confezionamento

Processo di produzione della farina Nella Tabella 5 si riporta l’impatto sul GER associato al processo di produzione di 1 kg di farina, pari a 11,8 MJ e principalmente imputabile (circa l’86%) alla fase di selezione. Allo scopo di analizzare con un maggiore dettaglio l’incidenza sul GER di tutte le fasi del

183 processo di produzione della farina, in Figura 7 sono stati riportati i risultati di un’analisi di dominanza effettuata escludendo la fase di selezione. Le fasi di confezionamento e di macinazione sono i processi che presentano l’impatto più elevato, pari 50% e al 29,7%, rispettivamente.

Tabella 5. GER di 1 kg di farina

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Selezione 8,55E+00 1,56E+00 1,01E+01 Pulitura e spietramento 2,21E-02 1,74E-03 2,39E-02 Spazzolamento 1,65E-02 1,24E-03 1,78E-02 Condizionamento 8,54E-04 9,58E-05 9,50E-04 Asciugatura 1,12E-01 1,00E-02 1,22E-01 Macinazione 4,46E-01 4,01E-02 4,86E-01 Cernitura 2,21E-02 1,74E-03 2,39E-02 Confezionamento 3,03E-01 5,18E-01 8,20E-01 Trasporto frumento 1,40E-01 2,76E-03 1,43E-01 Totale 9,62E+00 2,14E+00 1,18E+01

Figura 7. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita della farina sul GER, esclusa la fase di selezione

In Tabella 6 sono riportati gli impatti ambientali connessi alla produzione di 1 kg di farina. Il processo di selezione è responsabile del maggiore impatto in tutte le categorie ambien- tali indagate, la sua incidenza varia dal 69,5% (WRD) al 98,8% (F-EU). Un’analisi più dettagliata del ciclo produttivo della farina è stata effettuata escludendo la fase di selezione (Figura 8). La fase di pulitura e spietramento presenta un’incidenza variabile dall’1,2% (ARD) al 31,4% (F-E), quella di spazzolamento tra l’1% (ARD) e il 31,4% (F-E). La fase di bagnatura presenta un impatto trascurabile in tutte le categorie esaminate. Le fasi di asciugatura e macinazione incidono, rispettivamente, con percentuali variabili tra lo 0,7%

184 e il 2,6% (F-E) e il 13,5% e il 53,8% (WRD), la fase di cernitura tra l’1,2% (ARD) e il 31,4% (F-E), la fase di confezionamento tra l’1,8% (F-E) e il 54,3% (PM). Il trasporto del frumento dal silo di stoccaggio all’impianto di molitura ha un’incidenza compresa tra lo 0,7% (F-E) e il 36,9% (ARD).

Tabella 6. Impatti ambientali di 1 kg di farina

Categoria d’impatto Unità Totale

CF (GWP) kg CO2eq 6,92E-01

ODP kg CFC-11eq 8,17E-08 HT-ce CTUh 4,06E-08 HT-nce CTUh 4,10E-07

PM kg PM2.5eq 7,85E-04

IR-HH kg U235eq 7,59E-02 IR-E CTUe 2,19E-07

POFP kg NMVOCeq 3,69E-03

+ AP molc H eq 8,14E-03

T-EU molc Neq 1,66E-02

F-EU kg Peq 1,68E-03

M-EU kg Neq 2,48E-03 F-E CTUe 2,23E+01

3 WRD m watereq 1,90E-01

ARD kg Sbeq 9,41E-06

Figura 8. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita della farina sugli impatti ambientali, esclusa la fase di selezione

100%

90%

80%

70%

60%

50%

40%

30%

20%

10%

0%

Pulit. e spietra m. Spazzolamento Bagnatura Asciugatura Macinazione Cernitura Confezionamento Trasp. Frumento

185 Processo di produzione del pane In Tabella 7 e in Figura 9 sono riportanti gli impatti sul GER per la produzione del pane nel caso di cottura in forno a metano, mentre in Tabella 8 e in Figura 10 sono riportati gli impatti nel caso di cottura in forno a legna. La produzione di 1 kg di pane con cottura in forno a metano causa il consumo di 34,4 MJ di energia primaria mentre la cottura in forno a legna di 18,7 MJ. Nel primo caso (forno a metano) l’impatto più elevato è causato dal processo di cottura (68,5%), mentre nel secondo caso (forno a legna) l’impatto maggiore è causato dalla fase di impasto (circa 49%), che include al suo interno gli impatti connessi alla produzione del frumento e della farina, seguita dalla fase di cottura (circa 45%).

Tabella 7. GER di 1 kg di produzione del pane con forno a metano (U.F. 2)

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Impasto 7,22E+00 1,89E+00 9,11E+00 Conservazione del lievito in 4,98E-02 4,48E-03 5,43E-02 cella frigorifera Formatura 1,04E+00 2,77E-01 1,32E+00 Cottura 2,35E+01 8,23E-02 2,35E+01 Trasporto materie prime 2,87E-01 7,52E-03 2,94E-01 Fine vita rifiuti di processo 4,63E-02 2,09E-03 4,84E-02 Totale 3,21E+01 2,27E+00 3,44E+01

Figura 9. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita del pane prodotto con forno a metano sul GER

Trasporto Fine vita materie prime rifiuti di Conservazione 0.9% processo lievito in cella 0.1% frigorifera 0.2% Impasto 26.5%

Cottura 68.5%

Formatura 3.8%

186 Tabella 8. GER di 1 kg di produzione del pane con forno a legna (U.F. 3)

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Impasto 7,30E+00 1,92E+00 9,22E+00 Formatura 4,75E-01 1,26E-01 6,01E-01 Cottura 2,26E-01 8,11E+00 8,34E+00 Trasporto materie prime 4,81E-01 1,17E-02 4,93E-01 Fine vita rifiuti di processo 2,30E-02 1,06E-03 2,41E-02 Totale 8,51E+00 1,02E+01 1,87E+01

Figura 10. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita del pane prodotto con forno a legna sul GER

In Tabella 9 e Figura 11 sono riportati gli impatti per la produzione del pane cotto in forno a metano, mentre in Tabella 10 e Figura 12 sono riportati gli impatti nel caso di cottura in forno a legna.

Con riferimento alla cottura in forno a metano, le fasi di impasto e di cottura sono re- sponsabili dei maggiori impatti in tutte le categorie ambientali considerate. In dettaglio, la fase di impasto incide con percentuali variabili tra il 21% (ODP) e l’84% (F-EU), la fase di cottura tra il 2,4% (F-EU) e il 74,8% (ODP). L’incidenza della fase di formatura varia tra il 3,1% (ODP) e il 12,5% (F-E). Le fasi di conservazione del lievito in cella frigorifera e di trasporto delle materie prime hanno un’incidenza inferiore al 5% in tutte le categorie di impatto ambientale; infine, il trattamento dei rifiuti di processo incide con percentuali variabili tra lo 0,1% (ODP e M-EU) e il 38,3% (F-E).

Per la cottura in forno a legna l’impasto incide con percentuali tra il 16,5% (PM) e il 91,5% (F-EU), la fase di cottura tra l’1,7% (F-E) e l’82% (PM). L’incidenza della fase di formatura varia tra l’1,1% (PM) e il 6,1% (F-EU), quella della fase di trasporto delle materie prime tra lo 0,4% (PM) e l’8,3% (ARD). Il trattamento dei rifiuti di processo ha un’incidenza che varia tra lo 0,02% (PM) e il 23,5% (F-E).

187 Tabella 9. Impatti ambientali connessi alla produzione di 1 kg di pane – cottura in forno a metano

Conserv. lie- Categoria Trasporto ma- Tratt. rifiuti Unità Impasto Formatura Cottura vito in cella Totale d’impatto terie prime di processo frig.

CF (GWP) kg CO2eq 5,14E-01 7,44E-02 1,39E+00 3,24E-03 1,69E-02 6,07E-02 2,05E+00

ODP kg CFC-11eq 5,99E-08 8,76E-09 2,14E-07 2,84E-10 2,40E-09 3,83E-10 2,85E-07 HT-ce CTUh 3,02E-08 4,37E-09 1,44E-08 1,39E-10 1,04E-09 2,42E-09 5,25E-08 HT-nce CTUh 2,95E-07 4,34E-08 3,58E-08 5,74E-10 5,57E-09 1,60E-07 5,41E-07

PM kg PM2.5eq 5,74E-04 8,48E-05 7,15E-05 1,22E-06 9,16E-06 1,53E-06 7,42E-04

IR-HH kg U235eq 6,12E-02 8,55E-03 2,99E-02 5,88E-04 3,60E-03 1,04E-03 1,05E-01 IR-E CTUe 1,78E-07 2,47E-08 9,22E-08 1,89E-09 1,10E-08 3,14E-09 3,11E-07

POFP kg NMVOCeq 2,69E-03 3,95E-04 1,43E-03 8,49E-06 9,75E-05 4,31E-05 4,66E-03

+ AP molc H eq 5,88E-03 8,65E-04 1,47E-03 1,90E-05 8,46E-05 1,81E-05 8,34E-03

T-EU molc Neq 1,20E-02 1,77E-03 3,46E-03 2,88E-05 3,07E-04 6,00E-05 1,76E-02

F-EU kg Peq 1,19E-03 1,77E-04 4,62E-05 9,31E-07 3,56E-06 1,50E-06 1,42E-03

M-EU kg Neq 1,77E-03 2,63E-04 3,23E-04 2,73E-06 2,82E-05 2,10E-04 2,60E-03 F-E CTUe 1,58E+01 2,35E+00 7,48E-01 1,41E-02 1,38E-01 1,18E+01 3,09E+01

3 WRD m watereq 1,60E-01 2,13E-02 5,49E-02 3,49E-03 7,38E-03 1,94E-03 2,49E-01

ARD kg Sbeq 6,96E-06 1,01E-06 1,49E-06 1,40E-08 4,39E-07 2,55E-08 9,94E-06

Figura 11. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita del pane prodotto con forno a metano sugli impatti ambientali

100%

80%

60%

40%

20%

0%

Impasto Formatura Cottura Conservazione lievito in cella frigorifera Trasp. mat. prime Trattamento rifiuti di processo

188 Tabella 10. Impatti ambientali connessi alla produzione di 1 kg di pane – cottura in forno a legna

Trasporto Tratt. Categoria Unità Impasto Formatura Cottura materie rifiuti di Totale d’impatto prime processo

CF (GWP) kg CO2eq 5,20E-01 3,40E-02 3,22E-02 2,83E-02 3,14E-02 6,46E-01

ODP kg CFC-11eq 6,07E-08 4,00E-09 1,40E-09 4,15E-09 1,89E-10 7,04E-08 HT-ce CTUh 3,06E-08 2,00E-09 4,58E-09 1,73E-09 1,12E-09 4,00E-08 HT-nce CTUh 2,99E-07 1,98E-08 2,14E-07 8,12E-09 7,42E-08 6,16E-07

PM kg PM2.5eq 5,82E-04 3,87E-05 2,90E-03 1,50E-05 7,62E-07 3,53E-03

IR-HH kg U235eq 6,16E-02 3,90E-03 3,37E-03 5,56E-03 5,28E-04 7,50E-02 IR-E CTUe 1,79E-07 1,13E-08 1,02E-08 1,70E-08 1,60E-09 2,19E-07

POFP kg NMVOCeq 2,73E-03 1,81E-04 1,61E-03 1,94E-04 2,20E-05 4,73E-03

+ AP molc H eq 5,96E-03 3,96E-04 1,19E-03 1,61E-04 9,07E-06 7,72E-03

T-EU molc Neq 1,22E-02 8,09E-04 6,49E-03 6,44E-04 2,97E-05 2,01E-02

F-EU kg Peq 1,21E-03 8,10E-05 2,50E-05 5,06E-06 7,04E-07 1,32E-03

M-EU kg Neq 1,80E-03 1,20E-04 5,79E-04 5,90E-05 1,06E-04 2,66E-03 F-E CTUe 1,61E+01 1,07E+00 4,06E-01 1,95E-01 5,45E+00 2,32E+01

3 WRD m watereq 1,60E-01 9,71E-03 1,37E-02 1,13E-02 9,85E-04 1,96E-01

ARD kg Sbeq 7,04E-06 4,61E-07 7,45E-07 7,51E-07 1,26E-08 9,01E-06

Figura 12. Incidenza delle diverse fasi del ciclo di vita del pane prodotto con forno a legna sugli impatti ambientali

100%

80%

60%

40%

20%

0%

Impasto Formatura Cottura Trasporto materie prime Trattamento rifiuti di processo

189 IMPATTI ENERGETICO-AMBIENTALI DELL’OLIO MONOVARIETALE SICILIANO Nelle Tabelle 11 e 12 sono riassunti, rispettivamente, gli impatti sul GER connessi alla produzione di 1 litro di olio extravergine di oliva confezionato in latta di alluminio (U.F.4) e in bottiglia di vetro (U.F.5).

Tabella 11. GER di 1 litro di olio di oliva in latta di alluminio (U.F. 4)

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Coltivazione 8,29 0,04 8,33 Produzione olio 128,67 11,58 140,26 Trasporto olio in azienda e confez. in 19,24 4,09 23,32 latta di alluminio Distribuzione olio all’utenza 3,71 0,05 3,75 Totale 159,91 15,76 175,67

Tabella 12. GER di 1 litro di olio di oliva in bottiglia di vetro (U.F. 5)

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Coltivazione 8,29 0,04 8,33 Produzione olio 128,67 11,58 140,26 Trasporto olio in azienda e confez. In bot- 3,96 0,59 4,55 tiglia di vetro Distribuzione olio all’utenza 4,89 0,06 4,95 Totale 145,81 12,27 158,09

Dallo studio è emerso che la produzione di 1 litro di olio extravergine di oliva confezionato in latta di alluminio causa il consumo di 175,67 MJ di energia primaria di cui il 91% è costituito da energia non rinnovabile, mentre se si considera il confezionamento in bottiglia di vetro si ha un consumo di energia primaria pari a 158,09 MJ di cui il 92,2% costituito da energia non rinnovabile. L’utilizzo della bottiglia in vetro consente pertanto di ridurre di circa il 10% l’impatto sul GER.

Per quanto riguarda l’incidenza delle varie fasi del processo in esame sul GER (Figura 13 e Figura 14) si osserva che, in entrambi i casi, i maggiori impatti sono imputabili alla fase di produzione dell’olio (79,8% per l’U.F.4 e 88,7% per l’U.F.5); segue la fase di coltivazione con un’incidenza pari 4,7% nel caso di olio confezionato in latta di alluminio e al 5,3% per l’olio confezionato in bottiglia di vetro. Le fasi di trasporto dell’olio in azienda e confezio- namento e di distribuzione dell’olio all’utenza hanno, rispettivamente, un’incidenza pari al 13,3% e al 2,1% in riferimento all’U.F.4 e pari 2,9% e 3,1% in riferimento all’U.F.5.

190 Figura 13. GER di 1 litro di olio di oliva in latta di alluminio (U.F. 4) GER (MJ)

GER-NR GER-R

Figura 14. GER di 1 litro di olio di oliva in bottiglia di vetro (U.F. 5) GER (MJ)

GER-NR GER-R

La Tabella 13 e la Figura 15 riportano l’impatto sul GER, suddiviso in GER-NR e GER-R, associato ai diversi processi della fase di coltivazione. Dall’analisi dei dati si evince che la fase di fresatura è responsabile del maggior impatto sul GER pari al 58,9% del totale, seguono la fase di raccolta e di potatura con una percentuale pari al 25,6% e 7,7%, rispettivamente.

191 Tabella 13. GER di 1 litro di olio di oliva – Fase di coltivazione

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Potatura 0,64 0 0,64 Fresatura 4,91 0 4,91 Concimazione 0,4 0,04 0,44 Irrigazione 0 0 0 Raccolta olive 2,13 0 2,13 Trasporto olive 0,21 0,004 0,21 Totale 8,29 0,04 8,33

Il GER-R è imputabile esclusivamente alle fasi di concimazione e trasporto delle olive. Le altre fasi, che hanno come unico input il diesel utilizzato nelle macchine agricole, hanno un impatto nullo sul GER-R. Infine, la fase di irrigazione, che è effettuata esclusivamente con acqua piovana, non contribuisce all’impatto sul consumo energetico.

Figura 15. GER di 1 litro di olio di oliva – Fase di coltivazione GER (MJ)

GER-NR GER-R

Nella Tabella 14 e nella Figura 16 è mostrato l’impatto sul GER associato alla fase di pro- duzione dell’olio extravergine d'oliva. Dall’analisi dei dati emerge che la fase che presenta il maggior impatto è la quella di gramolatura, con un’incidenza pari al 47,2%; seguono la fase di frangitura (24,7%) e di estrazione (13,3%).

192 Tabella 14. GER di 1 litro di olio di oliva – Fase di produzione dell’olio

Fase del processo GER-NR (MJ) GER (MJ) Totale (MJ)

Defoliazione 2,36 0,21 2,57 Lavaggio 3,56 0,32 3,88 Frangitura 31,72 2,86 34,58 Gramolatura 60,78 5,47 66,25 Estrazione 17,06 1,54 18,6 Separazione 13,2 1,19 14,39 Totale 128,68 11,59 140,27

Figura 16. GER di 1 litro di olio di oliva – Fase di produzione dell’olio GER (MJ)

GER-NR GER-R

Nelle Tabelle 15 e 16 è riportato il GER connesso al trasporto in azienda e alla fase di con- fezionamento. Da un’analisi dei dati si evince che il confezionamento in latta di alluminio causa un impatto sul GER pari a 23,32 MJ, mentre il confezionamento in bottiglia di vetro pari a 4,52 MJ. Inoltre, il confezionamento incide sul GER associato alla fase in esame per il 99,9% nel caso di confezionamento in latta di alluminio e per il 99,3% nel caso di con- fezionamento in bottiglia di vetro.

Nelle Tabelle 17 e 18 si riportano gli impatti ambientali associati all’U.F.4 e all’U.F.5, ri- spettivamente.

193 Tabella 15. GER di 1 litro di olio di oliva in latta di alluminio – Fase di trasporto dell’olio in azienda e confezionamento

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Trasporto in azienda 3,15E-02 6,07E-04 3,21E-02 Confezionamento in latta d’alluminio 1,92E+01 4,08E+00 2,33E+01 Totale 1,92E+01 4,09E+00 2,33E+01

Tabella 16. GER di 1 litro di olio di oliva in bottiglia di vetro – Fase di trasporto dell’olio in azienda e confezionamento

Fase del processo GER-NR (MJ) GER-R (MJ) Totale (MJ)

Trasporto in azienda 3,15E-02 6,07E-04 3,21E-02 Confezionamento in bottiglia in vetro 3,93E+00 5,92E-01 4,52E+00 Totale 3,96E+00 5,90E-01 4,55E+00

Tabella 17. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva in latta di alluminio

Trasporto olio Categoria Produzione in azienda e Distribuzione Unità Totale Coltivazione d’impatto olio confeziona- olio all’utenza mento

CF (GWP) kg CO2eq 1,08E+01 7,76E-01 8,38E+00 1,47E+00 2,21E-01

ODP kg CFC-11eq 8,98E-07 3,84E-08 7,35E-07 8,95E-08 3,57E-08 HT-ce CTUh 7,94E-07 1,59E-08 3,58E-07 4,06E-07 1,38E-08 HT-nce CTUh 2,01E-06 2,93E-08 1,48E-06 4,53E-07 4,04E-08

PM kg PM2.5eq 4,75E-03 7,08E-04 3,15E-03 7,88E-04 1,02E-04

IR-HH kBq U235eq 1,96E+00 4,00E-02 1,52E+00 3,79E-01 2,01E-02 IR-E CTUe 6,30E-06 2,16E-07 4,89E-06 1,13E-06 6,13E-08

POFP kg NMVOCeq 3,47E-02 7,53E-03 2,19E-02 3,14E-03 2,13E-03

AP molc H+eq 6,63E-02 7,69E-03 4,91E-02 7,89E-03 1,67E-03

T-EU molc Neq 1,30E-01 3,71E-02 7,45E-02 1,07E-02 7,82E-03

F-EU kg Peq 3,09E-03 2,17E-05 2,41E-03 6,42E-04 2,12E-05

M-EU kg Neq 1,14E-02 2,55E-03 7,06E-03 1,05E-03 7,14E-04 F-E CTUe 5,60E+01 6,18E-01 3,64E+01 1,81E+01 9,14E-01

LU kg Cdeficit 1,15E+01 4,01E-01 9,08E+00 1,48E+00 5,16E-01

3 WRD m watereq 1,55E+01 1,56E-01 9,02E+00 6,28E+00 4,36E-02

ARD kg Sbeq 5,88E-05 3,24E-06 3,62E-05 1,10E-05 8,42E-06

194 Tabella 18. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva in bottiglia di vetro

Trasporto Distribuzio- Categoria Produzione olio in azien- Unità Totale Coltivazione ne olio all’u- d’impatto olio da e confe- tenza zionamento

CF (GWP) kg CO2eq 9,69E+00 7,76E-01 8,38E+00 2,48E-01 2,92E-01

ODP kg CFC-11eq 8,44E-07 3,84E-08 7,35E-07 2,37E-08 4,70E-08 HT-ce CTUh 4,04E-07 1,59E-08 3,58E-07 1,11E-08 1,82E-08 HT-nce CTUh 1,61E-06 2,94E-08 1,48E-06 4,64E-08 5,33E-08

PM kg PM2.5eq 4,08E-03 7,08E-04 3,15E-03 8,86E-05 1,35E-04

IR-HH kBq U235eq 1,62E+00 4,00E-02 1,52E+00 3,32E-02 2,66E-02 IR-E CTUe 5,27E-06 2,16E-07 4,89E-06 8,14E-08 8,09E-08

POFP kg NMVOCeq 3,32E-02 7,53E-03 2,19E-02 9,19E-04 2,81E-03

AP molc H+eq 6,03E-02 7,69E-03 4,91E-02 1,36E-03 2,20E-03

T-EU molc Neq 1,25E-01 3,71E-02 7,45E-02 3,45E-03 1,03E-02

F-EU kg Peq 2,54E-03 2,17E-05 2,41E-03 8,14E-05 2,80E-05

M-EU kg Neq 1,09E-02 2,55E-03 7,06E-03 3,16E-04 9,43E-04 F-E CTUe 3,95E+01 6,18E-01 3,64E+01 1,28E+00 1,21E+00

LU kg Cdeficit 1,06E+01 4,01E-01 9,08E+00 4,29E-01 6,81E-01

3 WRD m watereq 9,29E+00 1,56E-01 9,02E+00 5,66E-02 5,76E-02

ARD kg Sbeq 5,27E-05 3,24E-06 3,62E-05 2,20E-06 1,11E-05

Dall’analisi dei dati si evince che la produzione dell’olio extravergine d’oliva causa un im- patto sul GWP (CF) di circa 10,8 kg CO2eq nel caso dell’U.F.4 e di circa 9,7 kg CO2eq nel caso dell’U.F.5. Il confezionamento in latta di alluminio causa un impatto maggiore dell’11,88% rispetto al confezionamento in bottiglia di vetro.

La fase del ciclo di vita responsabile del maggiore impatto su questa categoria ambientale è in entrambi i casi la fase di produzione dell’olio, con un’incidenza pari al 77,2% nel caso dell’U.F.4 e all’86,4% nel caso dell’U.F.5 (Figure 17 e 18). In riferimento all’U.F.4 la fase di coltivazione presenta un’incidenza sul GWP (CF) pari al 7,2%, la fase di trasporto in azien- da e il confezionamento pari al 13,6% e la fase di distribuzione pari al 2,0%. In riferimento all’U.F.5 la fase di coltivazione ha un’incidenza sul GWP (CF) pari all’8,0%, la fase di tra- sporto in azienda e il confezionamento pari al 2,6% e la fase di distribuzione pari al 3,0%.

195 Figura 17. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva confezionato in latta di alluminio (U.F.4)

Figura 18. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva confezionato in bottiglia di vetro (U.F.5)

196 Figura 19. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva confezionato in latta di alluminio (U.F.4)

100%

80%

60%

40%

20%

0% GWP ODP HT-ce HT-nce PM IR-HH IR-E POFP AP T-EU F-EU M-EU F-E LU WRD ARD

Coltivazione Produzione olio Trasp. olio in azienda e confez. in alluminio Distribuzione olio all'utenza

Figura 20. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva confezionato in bottiglia di vetro (U.F.5)

100%

80%

60%

40%

20%

0% GWP ODP HT-ce HT-nce PM IR-HH IR-E POFP AP T-EU F-EU M-EU F-E LU WRD ARD

Coltivazione Produzione olio Trasp. olio in azienda e confez. in vetro Distribuzione olio all'utenza

Analizzando i dati riportati nelle Tabelle 17 e 18 e le Figure 19 e 20 si evince che la fase di produzione dell’olio è responsabile del maggiore impatto in tutte le categorie ambientali considerate per entrambe le U.F., seguita dalla fase di coltivazione.

Considerando l’U.F.4, la fase di coltivazione presenta un impatto variabile tra il 2,0% (HT- ce) e il 28,5% (T-EU); la fase di produzione tra il 45,1% (HT-ce) e l’81,8% (ODP); la fase di trasporto dell’olio in azienda e del confezionamento in latta di alluminio tra l’8,2% (T-EU) e il 51,1% (HT-ce), la fase di distribuzione tra lo 0,3% (WRD) e il 14,3% (ARD). Considerando l’U.F.5, la fase di coltivazione presenta un impatto variabile tra lo 0,9%

197 (F-EU) e il 29,6% (T-EU); la fase di produzione dell’olio tra il 59,5% (T-EU) e il 97,1% (WRD); la fase di trasporto dell’olio in azienda e confezionamento in bottiglia di vetro tra lo 0,6% (WRD) e il 4,2% (ARD); la fase di distribuzione tra lo 0,6% (WRD) e il 21,1% (ARD).

Confrontando gli impatti connessi alle due diverse tipologie di imballaggio si evidenza che il confezionamento in latta di alluminio causa un aumento degli impatti ambientali per tutte le categorie considerate, con una percentuale variabile tra il 4,6% (POFP) e il 66,9% (WRD) (Tabella 19).

Tabella 19. Confronto degli impatti ambientali per le due U.F. esaminate

Categoria Variazione % Unità di misura U.F.4 U.F.5 d’impatto (U.F.4-U.F.5)/U.F.5

GWP (CF) kg CO2eq 1,08E+01 9,69E+00 11,9%

ODP kg CFC-11eq 8,98E-07 8,44E-07 6,4% HT-ce CTUh 7,94E-07 4,04E-07 96,7% HT-nce CTUh 2,01E-06 1,61E-06 24,6%

PM kg PM2.5eq 4,75E-03 4,08E-03 16,3%

IR-HH kBq U235eq 1,96E+00 1,62E+00 20,9% IR-E CTUe 6,30E-06 5,27E-06 19,6%

POFP kg NMVOCeq 3,47E-02 3,32E-02 4,6%

AP molc H+eq 6,63E-02 6,03E-02 10,0%

T-EU molc Neq 1,30E-01 1,25E-01 3,8%

F-EU kg Peq 3,09E-03 2,54E-03 21,8%

M-EU kg Neq 1,14E-02 1,09E-02 4,7% F-E CTUe 5,60E+01 3,95E+01 41,9%

LU kg Cdeficit 1,15E+01 1,06E+01 8,4%

3 WRD m watereq 1,55E+01 9,29E+00 66,9%

ARD kg Sbeq 5,88E-05 5,27E-05 11,5%

In Tabella 20 e in Figura 21 si riporta l’impatto connesso alle attività svolte nella fase agrico- la. Dall’analisi dei dati si evidenzia che la fase di fresatura è responsabile del maggiore impat- to in tutte le categorie ambientali considerate ad eccezione del WRD in cui è l’irrigazione a causare l’impatto maggiore (71,9%). Per quanto riguarda il GWP (CF) le fasi che causano il maggiore impatto sono la fresatura e la concimazione, con percentuali pari al 41,9% e al 32,7%, rispettivamente.

In Tabella 21 e in Figura 22 è mostrato l’impatto connesso alla fase di produzione dell’olio di oliva. Si osserva che la fase di gramolatura è responsabile del maggiore impatto; essa inci- de per circa il 47% su tutte le categorie ambientali considerate; seguono le fasi di frangitura, estrazione e separazione che incidono, rispettivamente, con percentuali pari a circa il 25%, 13% e 10% in tutte le categorie ambientali esaminate.

198 Tabella 20. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva – Fase di coltivazione

Categoria Raccolta Trasporto Unità Totale Potatura Fresatura Concimaz. Irrigazione d’impatto olive olive

GWP (CF) kg CO2eq 7,76E-01 4,24E-02 3,26E-01 2,54E-01 0 1,42E-01 1,26E-02

ODP kg CFC-11eq 3,84E-08 2,76E-09 2,12E-08 3,29E-09 0 9,22E-09 1,91E-09 HT-ce CTUh 1,59E-08 1,01E-09 7,74E-09 3,03E-09 0 3,37E-09 7,83E-10 HT-nce CTUh 2,93E-08 1,79E-09 1,37E-08 5,23E-09 0 5,96E-09 2,67E-09

PM kg PM2.5eq 7,08E-04 5,28E-05 4,06E-04 6,81E-05 0 1,76E-04 5,32E-06

IR-HH kBq U235eq 4,00E-02 2,44E-03 1,87E-02 8,88E-03 0 8,14E-03 1,86E-03 IR-E CTUe 2,16E-07 1,53E-08 1,17E-07 2,69E-08 0 5,10E-08 5,66E-09

POFP kg NMVOCeq 7,53E-03 5,75E-04 4,42E-03 5,25E-04 0 1,92E-03 9,39E-05

AP molc H+eq 7,69E-03 4,19E-04 3,21E-03 2,59E-03 0 1,40E-03 7,66E-05

T-EU molc Neq 3,71E-02 2,07E-03 1,59E-02 1,18E-02 0 6,92E-03 3,35E-04

F-EU kg Peq 2,17E-05 1,38E-06 1,06E-05 3,74E-06 0 4,61E-06 1,38E-06

M-EU kg Neq 2,55E-03 1,89E-04 1,45E-03 2,42E-04 0 6,32E-04 3,06E-05 F-E CTUe 6,18E-01 3,79E-02 2,91E-01 1,06E-01 0 1,27E-01 5,61E-02

LU kg Cdeficit 4,01E-01 2,49E-02 1,91E-01 7,11E-02 0 8,32E-02 3,07E-02

3 WRD m watereq 1,56E-01 1,94E-03 1,49E-02 1,67E-02 1,12E-01 6,49E-03 3,76E-03

ARD kg Sbeq 3,24E-06 2,18E-07 1,67E-06 2,03E-07 0 7,27E-07 4,21E-07

Figura 21. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva – Fase di coltivazione 100%

80%

60%

40%

20%

0% GWP ODP HT-ce HT-nce PM IR-HH IR-E POFP AP T-EU F-EU M-EU F-E LU WRD ARD

Potatura Fresatura Concimazione Irriga zione Ra ccolta olive Trasporto olive

199 Tabella 21. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva – Fase di produzione dell’olio

Categoria Defolia- Lavag- Frangi- Gramo- Estrazio- Separa- Unità Totale d’impatto zione gio tura latura ne zione

GWP (CF) kg CO2eq 8,38E+00 1,54E-01 2,31E-01 2,06E+00 3,96E+00 1,11E+00 8,59E-01

ODP kg CFC-11eq 7,35E-07 1,35E-08 2,03E-08 1,81E-07 3,47E-07 9,74E-08 7,54E-08 HT-ce CTUh 3,58E-07 6,58E-09 9,95E-09 8,83E-08 1,69E-07 4,76E-08 3,68E-08 HT-nce CTUh 1,48E-06 2,73E-08 4,11E-08 3,66E-07 7,01E-07 1,97E-07 1,52E-07

PM kg PM2.5eq 3,15E-03 5,79E-05 8,71E-05 7,77E-04 1,49E-03 4,18E-04 3,23E-04

IR-HH kBq U235eq 1,52E+00 2,79E-02 4,22E-02 3,75E-01 7,18E-01 2,02E-01 1,56E-01 IR-E CTUe 4,89E-06 8,98E-08 1,36E-07 1,21E-06 2,31E-06 6,49E-07 5,01E-07

POFP kg NMVOCeq 2,20E-02 4,03E-04 6,06E-04 5,41E-03 1,04E-02 2,91E-03 2,25E-03

AP molc H+eq 4,91E-02 9,01E-04 1,35E-03 1,21E-02 2,32E-02 6,50E-03 5,03E-03

T-EU molc Neq 7,45E-02 1,37E-03 2,06E-03 1,84E-02 3,52E-02 9,88E-03 7,65E-03

F-EU kg Peq 2,41E-03 4,42E-05 6,68E-05 5,93E-04 1,14E-03 3,20E-04 2,47E-04

M-EU kg Neq 7,06E-03 1,30E-04 1,95E-04 1,74E-03 3,33E-03 9,35E-04 7,24E-04 F-E CTUe 3,64E+01 6,69E-01 1,01E+00 8,97E+00 1,72E+01 4,83E+00 3,73E+00

LU kg Cdeficit 9,08E+00 1,67E-01 2,53E-01 2,24E+00 4,29E+00 1,21E+00 9,31E-01

3 WRD m watereq 9,02E+00 1,66E-01 2,49E-01 2,22E+00 4,26E+00 1,20E+00 9,25E-01

ARD kg Sbeq 3,62E-05 6,65E-07 1,00E-06 8,92E-06 1,71E-05 4,80E-06 3,71E-06

Figura 22. Impatti ambientali di 1 litro di olio di oliva – Fase di produzione dell’olio 100%

80%

60%

40%

20%

0% GWP ODP HT-ce HT-nce PM IR-HH IR-E POFP AP T-EU F-EU M-EU F-E LU WRD ARD

Defolia zione La va ggio Frangitura Gramolatura Estrazione Separazione

200 Nel presente paragrafo si riporta una sintesi dei risultati per ciascun prodotto esaminato, SINTESI DEI al fine di identificare le fasi del ciclo di vita responsabili dei maggiori impatti energetico- ambientali. RISULTATI

PROVOLA DELLE MADONIE L’U.F. 1 (1 kg di provola delle Madonie) causa un impatto sul GER di 53,12 MJ, di cui l’88% è rappresentato da energia non rinnovabile. Per quanto riguarda l’incidenza delle varie fasi del ciclo di vita sul GER, la fase responsabile dei maggiori impatti è quella relativa all’allevamento del bestiame con un contributo pari al 93%.

Per un’analisi più dettagliata del processo di produzione della provola, è stata stimata l’inci- denza delle fasi del ciclo di vita sul consumo complessivo escludendo il contributo relativo all’allevamento. Dall’analisi dei dati emerge che, su un consumo totale di energia primaria pari a 3,77 MJ, le fasi responsabili del maggiore impatto sono la caseificazione (46,4%), la distribuzione (24%) e la mescolatura (20,5%).

Con riferimento agli impatti ambientali, la fase di allevamento è responsabile del maggiore impatto in tutte le categorie esaminate, con un’incidenza variabile dal 94,9% (POFP) al 99,9% (LU). Escludendo la fase di allevamento, si osserva che le fasi di distribuzione, casei- ficazione e refrigerazione sono responsabili del maggiore impatto in quasi tutte le categorie ambientali. In dettaglio, la fase di distribuzione incide con percentuali variabili tra il 21,9% (CF) e l’88,6% (ARD); l’impatto della fase di refrigerazione varia dal 4% (POFP) al 49,2% (WRD); l’impatto della fase di caseificazione varia tra lo 0,4% (LU) e il 48,6% (CF).

PANE DI MONREALE Gli impatti energetico – ambientali connessi al ciclo di vita del pane di Monreale prodotto con lievito naturale conservato a temperatura ambiente e cotto in forno a legna sono stati comparati con quelli connessi al pane prodotto con lievito naturale conservato a tempera- tura controllata in cella frigorifera e cotto in forno a metano, al fine di valutare se l’innova- zione tecnologica di processo (uso di cella frigorifera e forno a metano) può consentire di ridurre gli impatti energetico-ambientali del prodotto.

L’analisi ha mostrato che 1 kg di pane con cottura in forno a metano causa il consumo di 34,4 MJ di energia primaria mentre quello con cottura in forno a legna di 18,7 MJ. Nel primo caso l’impatto più elevato è causato dal processo di cottura (68,5%), mentre nel se- condo l’impatto è principalmente imputabile alla fase di impasto (circa 49%), che include al suo interno gli impatti connessi alla produzione del frumento e della farina, seguita dalla fase di cottura (circa 45%).

Con riferimento agli impatti ambientali, considerando il pane cotto in forno a legna si ha un impatto minore rispetto a quello cotto in forno a metano in tutte le categorie ambientali ad accezione della HT-nce, della PM, della POFP, della T-EU e della M-EU.

Nel processo di produzione con forno a metano le fasi di impasto e di cottura sono re- sponsabili dei maggiori impatti in tutte le categorie ambientali considerate. In dettaglio, la fase di impasto incide con percentuali variabili tra il 21% (ODP) e l’84% (F-EU), la fase di cottura tra il 2,4% (F-EU) e il 74,8% (ODP). L’incidenza della fase di formatura varia tra il 3,1% (ODP) e il 12,5% (F-E). Le fasi di conservazione del lievito in cella frigorifera e di trasporto delle materie prime hanno un’incidenza inferiore al 5% in tutte le categorie di impatto ambientale; infine, il trattamento dei rifiuti di processo incide con percentuali variabili tra lo 0,1% (ODP e M-EU) e il 38,3% (F-E).

201 Nel caso in cui il pane sia cotto in forno a legna la fase di impasto incide con percentuali variabili tra il 16,5% (PM) e il 91,5% (F-EU), mentre la fase di cottura tra l’1,7% (F-E) e l’82% (PM). L’incidenza della fase di formatura varia tra l’1,1% (PM) e il 6,1% (F-EU), quella della fase di trasporto delle materie prime tra lo 0,4% (PM) e l’8,3% (ARD), e infine, il trattamento dei rifiuti di processo tra lo 0,02% (PM) e 23,5% (F-E).

OLIO MONOVARIETALE SICILIANO Dallo studio è emerso che 1 litro di olio extravergine di oliva biologico confezionato in latta di alluminio (U.F. 4) causa il consumo di 175,67 MJ di energia primaria di cui il 91% è costituito da energia proveniente da fonte non rinnovabile, mentre se si considera il confe- zionamento in bottiglia di vetro (U.F. 5) si ha un consumo di energia primaria pari a 158,09 MJ di cui il 92,2% da fonte non rinnovabile. L’utilizzo della bottiglia in vetro consente pertanto di ridurre di circa il 10% l’impatto energetico.

Per quanto riguarda l’incidenza delle varie fasi su tale impatto si osserva che, in entrambi i casi, gli impatti maggiori sono imputabili alla fase di produzione dell’olio (79,8% per l’U.F.4 e 88,7% per l’U.F.5); segue la fase di coltivazione con un’incidenza pari 4,7% per il confezionamento in latta di alluminio e pari al 5,3% per il confezionamento in bottiglia di vetro. Le fasi di distribuzione dell’olio in azienda e confezionamento e di distribuzione dell’olio all’utenza hanno, rispettivamente, un’incidenza pari al 13,3% e al 2,1% in riferi- mento all’U.F.4 e pari 2,9% e 3,1% in riferimento all’U.F.5.

Con riferimento alla coltivazione, la fase di fresatura è responsabile del maggiore impatto sul GER pari al 58,9% del totale, seguono la fase di raccolta e di potatura con una percen- tuale pari al 25,6% e 7,7%, rispettivamente.

Dall’analisi dei dati relativi alla produzione dell’olio emerge che la fase che presenta il mag- gior impatto è la quella di gramolatura, con un’incidenza pari al 47,2%; seguono la fase di frangitura (24,7%) e di estrazione (13,3%).

Il ciclo di vita dell’olio extravergine d’oliva causa un impatto sulla CF di 10,844 kg CO2eq nel caso dell’U.F.4 e 9,692 kg CO2eq nel caso dell’U.F.5, l’utilizzo del confezionamento in latta di alluminio causa un impatto maggiore dell’11,88% rispetto al confezionamento in bottiglia di vetro. La fase del ciclo di vita responsabile del maggiore impatto su questa cate- goria ambientale è, in entrambi i casi, la fase di produzione dell’olio, con un’incidenza pari al 77,2% nel caso dell’U.F.4 e all’86,4% nel caso dell’U.F.5. In riferimento all’U.F.4 la fase di coltivazione presenta un’incidenza sulla CF pari al 7,2%, la fase di trasporto in azienda e il confezionamento pari al 13,6% e la fase di distribuzione pari al 2,0%. In riferimento all’U.F.5 la fase di coltivazione ha un’incidenza sulla CF pari all’8,0%, la fase di trasporto in azienda e il confezionamento pari al 2,6% e la fase di distribuzione pari al 3,0%.

Analizzando i dati relativi agli impatti ambientali si evince che essi sono causati principal- mente dalla produzione dell’olio per entrambe le unità funzionali. In dettaglio, conside- rando l’U.F.4, la fase di coltivazione presenta un impatto variabile tra il 2,0% (HT-ce) e il 28,5% (T-EU); la fase di produzione tra il 45,1% (HT-ce) e l’81,8% (ODP); la fase di tra- sporto dell’olio in azienda e del confezionamento in alluminio tra l’8,2% (T-EU) e il 51,1% (HT-ce), la fase di distribuzione tra lo 0,3% (WRD) e il 14,3% (ARD). Considerando l’U.F.5, la fase di coltivazione presenta un impatto variabile tra lo 0,9% (F-EU) e il 29,6% (T-EU); la fase di produzione dell’olio tra il 59,5% (T-EU) e il 97,1% (WRD); la fase di trasporto dell’olio in azienda e confezionamento in bottiglia di vetro tra lo 0,6% (WRD) e il 4,2% (ARD); la fase di distribuzione tra lo 0,6% (WRD) e il 21,1% (ARD).

202 Confrontando gli impatti connessi alle due diverse tipologie di imballaggio è emerso che il ricorso al confezionamento in latta di alluminio causa l’aumento dell’impatto in tutte le ca- tegorie considerate; la percentuale di aumento varia tra il 4,6% (POFP) e il 66,9% (WRD).

Nello studio sono stati stimati gli impatti energetico-ambientali e la CF connessi al ciclo di CONCLUSIONI vita di tre prodotti: la provola delle Madonie, il pane di Monreale e un olio monovarietale siciliano.

I risultati ottenuti hanno consentito di identificare gli hot-spots energetico-ambientali e di definire possibili soluzioni qualitative di riduzione dei sopra citati impatti. In dettaglio:

• Provola delle Madonie: considerata l’elevata incidenza della fase di allevamento connes- sa, in particolare, alla coltivazione dei prodotti agricoli utilizzati nella produzione dei mangimi, la riduzione degli impatti energetico-ambientali causati dal prodotto potreb- be essere conseguita adottando pratiche agricole più sostenibili a supporto della produ- zione anzidetta. Inoltre, una riduzione degli impatti connessi al processo di produzione potrebbe essere ottenuta tramite l’utilizzo di elettricità prodotta con fonti energetiche rinnovabili. Infine, considerata l’incidenza sugli impatti della distribuzione del pro- dotto, si rileva l’importanza dell’utilizzo, da parte dei consumatori finali, di prodotti agroalimentari locali a chilometro zero, dove per prodotti a chilometro zero sono da intendere prodotti venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione.

• Pane di Monreale: con riferimento alla fase di produzione del frumento, la riduzione degli impatti energetico-ambientali potrebbe essere conseguita utilizzando biocombu- stibili come carburanti delle macchine agricole e utilizzando concimi organici in so- stituzione di quelli chimici. Nella fase di produzione della farina, considerata l’elevata incidenza del processo di selezione dovuta al consumo di elettricità delle macchine utilizzate, una riduzione dell’impatto potrebbe essere conseguita utilizzando energia elettrica da fonte rinnovabile e acquistando macchinari nuovi, caratterizzati da un’effi- cienza energetica più elevata. Infine, si rileva come per la maggior parte delle categorie di impatto esaminate l’attuazione di alcune innovazioni di processo, quali la conser- vazione del lievito naturale in cella frigorifera e la cottura in forno a metano, non consentono di ottenere un miglioramento delle prestazioni energetico-ambientali del prodotto in esame, che risulta caratterizzato da minori impatti se prodotto con tecni- che tradizionali (conservazione del lievito a temperatura ambiente e cottura in forno a legna). Fanno eccezione i soli indicatori di tossicità e di eco-tossicità (HT-nce, PM, POFP, T-EU e M-EU) per i quali si riscontra un peggioramento delle eco-prestazioni.

• Olio monovarietale siciliano: considerata l’elevata incidenza della fase di produzione dell’olio sul totale degli impatti, principalmente causato dal consumo di elettricità, una riduzione degli impatti energetico-ambientali potrebbe essere ottenuta utilizzan- do energia elettrica da fonte rinnovabile, generata in situ in sostituzione dell’energia elettrica proveniente dalla rete. Inoltre, dall’analisi comparativa dei due imballaggi è emerso che il ricorso al confezionamento in latta di alluminio determina un maggiore impatto in tutte le categorie energetico-ambientali considerate. In dettaglio, il confe- zionamento in latta di alluminio determina impatti energetico-ambientali maggiori rispetto a quello in vetro, con percentuali variabili dal 4% (HT-ce) al 50% (POFP). Pertanto, il confezionamento in bottiglia di vetro rappresenta una soluzione efficace per la riduzione degli impatti energetico-ambientali dell’unità funzionale.

203 BIBLIOGRAFIA Ardente F., Beccali G., Cellura M., Longo S., Marvuglia A. 2008. Requisiti di qualità dei dati negli studi di life cycle assessment (LCA) e nelle dichiara- zioni ambientali di prodotto (DAP). Atti 8° Congresso Nazionale Ciriaf, Perugia 4-5 aprile.

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204 IL LEGAME TRA PRODUZIONI, TERRITORIO E ECONOMIA LOCA- LE NELL’AREA DEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA

Monteleone A., Verrascina M., Zanetti B., Dara Guccione G., Papaleo A., Giampaolo A. CREA Centro di ricerca Politiche e Bio-economia

La forte e differenziata vocazione agricola dell’Italia ha come diretta conseguenza un consi- INTRODUZIONE stente patrimonio di produzioni e tradizioni produttive alimentari che rivestono una grande importanza dal punto di vista socioeconomico. La grande rilevanza che i prodotti hanno per l’economia locale li rende un polo d’attrazione per il territorio nel quale essi sono prodotti, tanto da rappresentare, in diversi casi, un elemento di richiamo secondo soltanto agli aspetti artistici e culturali. Se alcuni di questi prodotti godono già di una fama che va ben oltre i confini regionali e nazionali, per altri la mancanza di un’adeguata valorizzazione rischia di lasciare risorse inespresse, conosciute solo a livello strettamente locale, che meritano una più ampia e consistente notorietà. Le dinamiche di sviluppo di produzioni locali di nicchia sono cresciute considerevolmente negli ultimi vent’anni, sotto la spinta di cambiamenti nei con- sumi e nei mercati ma anche perchè sostenuti da politiche di valorizzazione e tutela. Mentre fino a pochi anni fa tali produzioni occupavano una porzione trascurabile del mercato ali- mentare, limitato principalmente alle zone montane, oggi si è affermata una consapevolezza del valore del rapporto intercorrente fra identità territoriale, razza o varietà locale e sapere locale che influenza i consumi alimentari. La biodiversità agricola rappresenta oggi un va- lore riconosciuto al sistema economico produttivo italiano. Per comprendere le dinamiche tra conservazione della biodiversità agricola e delle tradizioni alimentari locali, consumi e popolazione locale è stata individuata un’area territoriale di indagine ricadente nel Parco Nazionale della Majella (Abruzzo). La presenza di tali produzioni è particolarmente marcata in aree che hanno potuto conservare particolari ecosistemi produttivi grazie alla presenza di Parchi naturali, le cui politiche conservative hanno permesso di mantenere colture antiche e caratterizzate da pratiche produttive sostenibili. Le aree rurali sottoposte a regime di tutela rappresentano infatti un interessante “luogo” di indagine in quanto, per la loro particolare vocazione, incarnano più di altre il nuovo paradigma di sviluppo territoriale (e agricolo) attento alla sostenibilità economica, ambientale e sociale.

Comprendere la relazione tra le determinanti socio-economiche, lo stato della biodiversità OBIETTIVO agricola ed i conseguenti impatti e ricadute sociali è l’obiettivo generale della ricerca. A tal fine si è avviata la ricognizione per ricostruire tipologie, produzioni e canali di commercia- lizzazione di specifici prodotti locali. L’interazione tra attività agricole, mercati locali, scelte di consumo della popolazione sono gli elementi che l’analisi ha inteso indagare in quan- to hanno implicazioni dirette sul mantenimento della biodiversità agricola (cultivar, razze autoctone, tradizioni locali). Nello specifico l’indagine conoscitiva ha inteso determinare l’influenza delle dinamiche del commercio locale e del consumo sul mantenimento della biodiversità locale, sulle abitudini alimentari e sulla salute della popolazione di uno specifi- co territorio rurale. L’attività di ricerca ha mirato anche a comprendere qual è l’importanza dei prodotti locali nell’alimentazione di coloro che vivono nelle aree analizzate e quali fat- tori abbiano determinato dinamiche di conservazione/abbandono dei consumi a favore di altri prodotti non di origine locale.

L’analisi ha previsto la realizzazione, per l’area territoriale indagata - il Parco della Majella -, della mappatura dei prodotti tipici locali e delle tradizioni produttive locali tracciati attra- verso diverse fonti documentali. Un focus particolare è stato dedicato ad un’area campione

205 (cosiddetto areale ristretto) selezionata secondo criteri scientifici per la sua estrema margi- nalità e lontananza da circuiti commerciali “globalizzati”.

Per la ricostruzione delle dinamiche commerciali dei prodotti tipici dell’area e dei consumi a livello locale si è proceduto con la realizzazione di interviste con testimoni privilegiati (Sindaci dei Comuni, GAL, Operatori economici, Commercianti, …) finalizzati a rico- struire il patrimonio produttivo locale, rilevare la conoscenza dei prodotti oggetto di analisi e la relativa importanza a livello locale e di interviste a consumatori e residenti nell’area finalizzata a rilevare la conoscenza dei prodotti oggetto di analisi e la percezione del legame prodotto-territorio. In particolare, sono stati realizzati dei questionari per i consumatori molto dettagliati e finalizzati a comprendere le abitudini di consumo e di acquisto della popolazione locale. Questo approfondimento è stato realizzato sugli stessi individui che hanno partecipato all’analisi, su base volontaria, condotta dal CREA Alimenti e Nutrizione. Il questionario sulle abitudini alimentari è stato, infatti, integrato con altre domande volte a rilevare il livello di conoscenza delle produzioni locali, le motivazione della scelta delle produzioni locali nelle scelte di acquisto, i mercati di riferimento della popolazione locale.

Al fine di comprendere le dinamiche economiche dei prodotti locali dell’area territoriale oggetto di studio, la ricerca ha visto la realizzazione di un’analisi dei prodotti su base territo- riale (aziende produttrici, dimensione produttiva, dimensione commerciale, mercati locali e extra locali) e di una rilevazione e analisi dei mercati. Questo tipo di analisi è stata condotta a livello dell’area Parco e con un maggior livello di approfondimento nell’areale ristretto. In particolare, si è proceduto alla mappatura degli esercizi commerciali dell’agroalimentare e alla ricostruzione delle forme di commercio (vendita diretta, e-commerce, dettaglio, ambu- lanti, mercati settimanali, ecc.) presenti nell’area e a disposizione della popolazione locale. Sono state realizzate interviste con gli esercenti al fine di ricostruire la catena di approvvigio- namento dei punti vendita locali ed è stata ricostruita l’evoluzione del mercato dell’offerta locale. Concentrandosi sull’areale ristretto sono state ricostruite le principali abitudini di acquisto e di consumo sulla base di interviste a testimoni privilegiati e a gestori/titolari dei punti vendita locale.

MATERIALI E L’attività di ricerca, ampia e articolata su dimensioni socio-economiche, ha richiesto un approccio metodologico misto che ha alternato metodologie economiche volte a ricostruire METODI il sistema produttivo locale attraverso l’utilizzo di dati statistici, analisi di campo, e approcci più spiccatamente sociali tesi ad utilizzare metodi di rilevazione sociale e interviste a im- prenditori, popolazione locale, testimoni privilegiati.

La selezione delle aree oggetto di studio è avvenuta incrociando dati statistici territoriali e caratteristiche socio-economiche delle aree rurali italiane al fine di circoscrivere l’analisi a territori a forte ruralità e sostenibilità ambientale, con una marcata presenza di relative pro- duzioni caratterizzanti le diete delle popolazioni locali. Per la selezione di queste aree sono stati utilizzati i criteri della zonizzazione proposta all’interno del Piano Strategico Nazionale (PSN) che individua quattro macro-tipologie di aree: A. urbane e periurbane; rurali ad agricoltura intensiva; C. rurali intermedie; D. rurali con problemi complessivi di sviluppo. Per gli obiettivi e le specificità della ricerca, l’analisi si è concentrata sulle “Aree Rurali In- termedie - C” e “Aree a problemi complessivi di sviluppo - D” che sono caratterizzate da un maggior grado di marginalità e più incisiva è la presenza di aree sottoposte a vincoli di protezione che le rendano maggiormente sostenibili.

Al termine dell’analisi dei dati (Istat - Censimento popolazione 2011 e Censimento Agri- coltura 2010) e delle risultanze della zonizzazione come sopra descritta, è stata scelta l’area

206 del Parco Nazionale della Majella (Abruzzo). Il Parco della Majella rappresenta, infatti, un’area caratterizzata da produzioni identitarie, con un’agricoltura che produce produzioni di qualità, e al suo interno operano soggetti che hanno avviato una programmazione orien- tata a organizzare e valorizzare le micro filiere produttive.

Figura 1 Mappa zonizzazione aree rurali da PSN 2007-13

Il Parco Nazionale della Majella copre una superficie di poco meno di 73mila ettari, con livelli di altitudine compresi tra i 250 e i 2800 m. s.l.m. Complessivamente nell’area Parco, sono residenti poco più di 88.000 abitanti con tassi di spopolamento lievemente ridotti rispetto ad altre aree interne nazionali (-2% nel confronto tra censimenti) segno di una leggera vitalità socioeconomica dell’area.

La complessità geo-morfologica e paesaggistica dell’area della Majella fa si che nelle valli l’agricoltura è caratterizzata dalla presenza di vigneti e orti, nelle aree collinari dall’olivo mentre negli altipiani superiori si alternano prati da foraggio con quelli da pascolo. La pastorizia, che per secoli ha rappresentato la principale attività delle aree interne, ha de- terminato l’affermazione delle praterie secondarie, soprattutto nelle zone pedemontane e quelle esposte a mezzogiorno. L’agricoltura praticata nell’area della Majella si distingue net- tamente tra quella delle aree montane e quella delle aree collinari e di fondovalle. La prima ha caratteristiche di agricoltura marginale e di sussistenza, la seconda di un’agricoltura più produttiva, caratterizzata da due produzioni prevalenti (uva e olivo) o dalla presenza di allevamenti anche intensivi.

Nel Parco della Majella sono presenti numerosi prodotti tra quelli certificati secondo la disciplina comunitaria, (DOP e IGP) e quelli “tradizionali” disciplinati dall’elenco Mipaaf, ma anche prodotti comunemente definiti “tipici” riconosciuti da marchi commerciali quali ad esempio Slow Food o Parks.

I prodotti hanno forme diverse di riconoscimento di qualità/tradizionalità e in molti casi ri- entrano in più elenchi e regimi di riconoscimento. Si tratta di prodotti in diversi casi molto rari ma molto presenti nella memoria “collettiva” della gente del posto, segno inconfutabile 207 del fatto che rappresentino un fattore d’identità territoriale. Sebbene anche la frutta (mele e pere) abbia un posto di rilievo, salumi e ortaggi, sono le categorie più presenti, in linea con la vocazione produttiva dell’area, caratterizzata da un’agricoltura estensiva con un’impor- tante presenza di orti familiari luogo di coltivazioni di specie e cultivar locali.

La tabella evidenzia come l’area della Majella sia dunque ricca di varietà vegetali che sono censite da fonti diverse, comprese ricerche di matrice marcatamente locale-territoriale. Ne- gli ultimi anni si registra nell’area una crescente attenzione verso la riscoperta e valorizza- zione delle tradizioni produttive ed enogastronomiche locali e verso azioni di tutela delle cultivar locali e delle produzioni che stavano lentamente scomparendo.

Per rispondere agli obiettivi di ricerca si è scelto di selezionare all’interno del Parco un’area più circoscritta, capace di rappresentare un aggregato con caratteristiche socioeconomiche, culturali, demografiche e orografiche, più similari. In particolare, per la scelta dell’areale ristretto sono state prese in considerazione anche altre caratteristiche, in larga parte rilevate attraverso l’analisi dei dati del censimento della popolazione e dell’agricoltura. Sulla base di ciò la selezione dell’areale è avvenuta utilizzando criteri di campionatura che hanno consen- tito di isolare e distinguere un’area “marginale per definizione”, al fine di rendere massimiz- zante e contrapposto il confronto tra area urbana e area rurale marginale così come previsto nella domanda di ricerca. I criteri di campionatura adottati per l’individuazione dell’area hanno preso in considerazione:

• la localizzazione dei Comuni (all’interno dell’area Parco);

• la definizione di zona altimetrica (montagna1);

• la popolazione residente (< di 3500 abitanti);

• i tassi di spopolamento (> 5% nel confronto tra gli ultimi due censimenti ISTAT);

• la presenza cospicua di popolazione anziana (> 30% sull’universo di popolazione locale); la presenza dei comuni all’interno della classificazione Aree interne così come identifi- cate dal Mise come comuni periferici o ultra periferici.

I Comuni selezionati sono: Gamberale, Pennapiedimonte, Pizzoferrato, Lama dei Peligni, Montenerodomo.

1 L’Istat fornisce le seguenti definizioni: Zona altimetrica di collina: Il territorio caratterizzato dalla presenza di diffuse masse rilevate aventi altitudini, di regola, inferiori a 600 metri nell’Italia settentrionale e 700 metri nell’Italia centro-meridionale ed insulare. Eventuali aree di limitata estensione aventi differenti caratteristiche, intercluse, si considerano comprese nella zona di collina. Zona altimetrica di montagna: Il territorio caratterizzato dalla presenza di notevoli masse rilevate aventi altitudini, di norma, non inferiori a 600 metri nell’Italia settentrionale e 700 metri nell’Italia centro-meridionale e insulare. […]. Le aree intercluse fra le masse rilevate, costituite da valli, altipiani ed analoghe configurazioni del suolo, s’intendono comprese nella zona di montagna. Zona altimetrica di pianura: Il territorio basso e pianeggiante caratterizzato dall’assenza di masse rilevate. Si consi- derano nella zona di pianura anche le propaggini di territorio che nei punti più discosti dal mare si elevino ad altitudine, di regola, non superiore ai 300 metri, purché presentino nell’insieme e senza soluzione di continuità, inclinazione tra- scurabile rispetto al corpo della zona di pianura. Si escludono dalla pianura i fondovalle aperti ad essa oltre l’apice delle conoidi fluviali ancorché appiattite e si escludono, altresì, le strisce litoranee pianeggianti di modesta estensione. Even- tuali rilievi montagnosi o collinari, interclusi nella superficie pianeggiante e di estensione trascurabile, si considerano compresi nella zona di pianura. 208 Tabella 1. Prodotti tipici dell’area del Parco nazionale della Majella

Tipo di zone di produzione Nome prodotto c ategoria R iconoscimento Anno in Abruzzo riconoscimento e/o C ertificazione Formaggi e prodotti Majella, Gran Sasso C aciofiore aquilano A ltre fonti 2000 lattiero caseari Formaggi e prodotti Majella, Gran Sasso Cacioricotta aquilano A ltre fonti 2000 lattiero caseari Formaggi e prodotti Majella, Gran Sasso C anes trato di C as tel del Monte P AT - Tradizionale 2000 lattiero caseari Formaggi e prodotti Majella P ecorino della Majella A ltre fonti / lattiero caseari Formaggi e prodotti Majella C ac iotta frentana A ltre fonti / lattiero caseari S alumi - Carni fresche e Majella, Gran Sasso P orc hetta abruz z es e P AT - Tradizionale 2000 loro preparazione S alumi - Carni fresche e Majella S als icciotto di P ennapiedimonte P AT - Tradizionale 2000 loro preparazione S alumi - Carni fresche e Majella, Gran Sasso S als iccia di fegato P AT - Tradizionale 2000 loro preparazione S alumi - Carni fresche e Majella Salsicciotto frentano P residio S low food / loro preparazione S alumi - Carni fresche e Majella, Gran Sasso S als iccia di fegato P AT - Tradizionale 2000 loro preparazione Majella Broccolo riccio Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella, Gran Sasso Fagioli a olio Ortaggi e legumi P AT - Tradizionale 2000 Majella, Gran Sasso Fagioli a pane Ortaggi e legumi P AT - Tradizionale 2000 Majella Fagiolo "S ocere e Nore" Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Fagiolo a Caffè Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Fagiolo aquilano Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Fagiolo B orlotto Antico Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Fagiolo C annellino Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Fagiolo Gentile, Minutillo o Monachelle Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Fagiolo Quaranta giorni Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Fagiolo Tondino Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Pomodoro a pera Ortaggi e legumi P AT - Tradizionale / Majella Mezza Fava, Fava Nostra Ortaggi e legumi A ltre fonti (P a rks ) / Majella Patata di montagna del medio Sangro Ortaggi e legumi A ltre fonti Majella Peperone dolce di Altino Ortaggi e legumi P residio S low food 2009 O rtofrutta olive da ta vola Majella, Gran Sasso Farro d'Abruzzo P AT - Tradizionale 2000 e conserve O rtofrutta olive da ta vola Majella Tartufi d'Abruzzo P AT - Tradizionale 2000 e conserve O rtofrutta olive da ta vola Majella, Gran Sasso Aglio rosso di Sulmona P AT - Tradizionale 2000 e conserve Majella Grano tenero Carosella Riso pasta e cereali A ltre fonti (P a rks ) / Majella, Gran Sasso Grano tenero Solina Riso pasta e cereali P AT - Tradizionale / Majella S egale S ecina Riso pasta e cereali A ltre fonti (P a rks ) / Majella Mela Gelata F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Mela L imoncella, Meloncella, Mela limone F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Mela Mangione F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Mela Paradiso F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Mela Piana, Mela Casolana, o Mela di Altino F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Mela R os a F rutta A ltre fonti / Majella Mela Piana, Mela Casolana, o Mela di Altino F rutta A ltre fonti (P a rks ) Majella Mela Tinella F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Pera "De vièrne" F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Pera Campanella F rutta A ltre fonti / Majella Pera San Giovanni F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Pera S an Domenico F rutta A ltre fonti / Majella Pera Trentatré Once F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Pesca Pomo di R enzo F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella Pesca Testa "R osce" F rutta A ltre fonti (P a rks ) / Majella, Gran Sasso Montepulciano d'Abruzzo V ini DOC 1968 Majella, Gran Sasso Trebbiano d'Abruzzo V ini DOC 1972 Majella Valle P eligna V ini IG T 1995 Majella Terre di Chieti V ini IG T 1995 Majella C olline di Teatine V ini IG T 1995 Majella, Gran Sasso Colline Pescaresi V ini IG T 1995

Majella C olline teatine Olio extravergine di oliva DOP 1997

Majella Olio agrumato Olio extravergine di oliva P AT - Tradizionale 2000

Majella, Gran Sasso Olio E VO delle valli aquilane Olio extravergine di oliva P AT - Tradizionale 2000

Majella Aprutino Pescarese Olio extravergine di oliva DOP 1996

P a s te e prodotti de lla Majella S fogliatella di L ama P AT - Tradizionale 2000 panetteria e pasticceria

P a s te e prodotti de lla Majella S ise delle monache di Guardiagrele P AT - Tradizionale 2000 panetteria e pasticceria

P a s te e prodotti de lla Majella Torrone di Guardiagrele P AT - Tradizionale 2000 panetteria e pasticceria

P a s te e prodotti de lla Majella V ino c otto A ltre fonti / panetteria e pasticceria

P a s te e prodotti de lla Majella Confetto di Sulmona P AT - Tradizionale 2000 panetteria e pasticceria

P a s te e prodotti de lla Majella B oc c onotto di C as tel F rentano A ltre fonti / panetteria e pasticceria

P a s te e prodotti de lla Majella P ane C appelli P AT - Tradizionale 2000 panetteria e pasticceria

P a s te e prodotti de lla Majella Torrone tenero al cioccolato di Sulmona P AT - Tradizionale 2000 panetteria e pasticceria 209 Gli indicatori demografici e socioeconomici dei Comuni dell’areale ristretto testimonia- no ampiamente una fortissima caratterizzazione di isolamento geografico. L’analisi delle componenti demo-strutturali denota una caratterizzazione di area depressa con Comuni di piccolissime dimensioni e tassi di spopolamento importanti soprattutto con riferimento al basso numero di popolazione residente. La lettura dei dati rilevati dall’ISTAT, pone in evidenza che nel 2010 poco più della metà della superficie agricola totale (SAT) nell’areale oggetto di studio è destinata a fini agricoli e, in particolare, prevalentemente a prati perma- nenti e pascoli. Tale destinazione, che trova la sua giustificazione nell’orografia del territorio ha favorito l’orientamento zootecnico delle aziende agricole locali; circa un terzo della SAT, invece, è area boschiva annessa alle aziende agricole. La restante parte della superficie agri- cola utilizzata (SAU) è destinata alla produzione di coltivazioni agricole quali, ad esempio, cereali e ortive e alle coltivazioni legnose quali viti, olivi e alberi da frutta. L’analisi dei dati relativi alla SAU pone in evidenza, nel corso del decennio 2000-2010, un incremento della stessa pari a circa il 27% cui si affianca una generalizzata riduzione del numero di aziende. Questo trend di crescita della dimensione media aziendale fa si che l’agricoltura nel Parco continui a mantenere la sua importanza e vitalità anche nelle zone più marginali dove le condizioni climatiche e produttive avvantaggiano una produzione prevalentemente esten- siva e quindi più sostenibile. Sebbene si tratti di numeri di piccole dimensioni, occorre sottolineare l’importanza del fenomeno che tenta di porre un freno all’abbandono delle terre di montagna.

L’orientamento produttivo delle imprese agricole locali è prevalentemente rivolto alle col- tivazioni permanenti (47%), in particolare olivo e vite, alla produzione di cereali e orticole (27%) e all’allevamento zootecnico (17%).

Tra gli attori protagonisti di questo processo di riscoperta e rivitalizzaqzione del tessuto produttivo locale se ne possono citare diversi a partire dall’Ente Parco e dall’ARSSA ai quali si affianca il GAL Majella Verde operativo nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale (PSR) della Regione Abruzzo. Le istituzioni pubbliche stanno portando avanti, da diversi anni, alcune iniziative che hanno in comune lo sviluppo e la rivitalizzazione dell’economia agricola e agroalimentare locale attraverso la riscoperta e il recupero di antiche tradizioni colturali che hanno trovato l’interesse di un numero crescente di agricoltori, segno di un rinnovato interesse su la tradizione produttiva locale. Queste iniziative favoriscono al con- tempo la costruzione di legame stabile con il settore turistico sempre più attento al consumo consapevole e alla riscoperta di identità, storia, natura e tradizioni dell’area che si visita.

RISULTATI La dieta di una popolazione è generalmente condizionata dalle tradizioni produttive locali e da come queste si relazionano con il sistema di distribuzione alimentare. Negli ultimi decenni si è assistito a una forte evoluzione della distribuzione alimentare che se da un lato ha dato la possibilità ai produttori locali di vendere anche e soprattutto fuori dal proprio territorio di origine, dall’altro ha contribuito alla riduzione della presenza dei piccoli punti vendita e al subentro della grande distribuzione, con conseguente ampliamento della gam- ma dei prodotti disponibili che hanno condizionato le tradizionali abitudini alimentari. Comprendere le relazioni esistenti tra il comparto produttivo e il commercio locale e la composizione della domanda di consumo è stato l’oggetto di una indagine sulla popolazio- ne locale realizzata attraverso questionari. Il questionario aveva una doppia finalità: da un lato censire le attività produttive e gli esercizi commerciali agroalimentari attivi sul territorio e dall’altro effettuare l’analisi della catena di approvvigionamento degli alimenti venduti a livello locale. In particolare, l’analisi è stata concentrata sull’offerta e sulle relative modalità di approvvigionamento dei prodotti cosiddetti “freschi” tra i quali ortofrutta, latte e carni e relativi trasformati, farine, pasta, prodotti da forno e uova.

210 Il questionario, così strutturato, è stato somministrato ai rivenditori degli esercizi commer- ciali e dei punti vendita diretta dei prodotti agroalimentari presenti nei comuni oggetto di indagine allo scopo di realizzare una ricognizione della provenienza di produzione quest’ul- timi e della tipologia distributiva; lo stesso questionario ha inoltre costituito la traccia di riferimento per un’intervista, condotta a testimoni privilegiati quali i sindaci dei cinque Comuni e gli animatori del GAL di riferimento per il territorio, realizzata nell’intento di raccogliere ulteriori informazioni utili a completare l’analisi dell’offerta dei prodotti agro- alimentari a livello locale. In questo modo è stato possibile trarre le prime considerazioni di tipo qualitativo, quindi non statisticamente confrontabili, sulle “abitudini” alimentari nonché sulla provenienza stessa degli alimenti, ovvero se principalmente prodotti a livello locale o prevenienti da aree limitrofe o provenienti dalla GDO.

Le informazioni relative al comparto agricolo dell’areale raccolte tramite l’indagine condot- ta sul territorio hanno in gran parte confermato i risultati dell’analisi dei dati censuari. La struttura produttiva agricola dei cinque Comuni montani, infatti, si basa principalmente sulle piccole imprese e sugli orti familiari. Grazie al ricorso ai fondi europei del Programma di Sviluppo Rurale della Regione Abruzzo (PSR) e all’attività di informazione e animazione svolta sul territorio da parte del GAL Majella Verde, la vocazione agricola dell’areale ha re- gistrato negli ultimi anni un incremento, anche se minimo, di nuove aziende e l’espansione della superficie agricola utilizzata in alcuni Comuni dell’areale con una più spiccata voca- zione agricola. Sebbene si tratti di numeri di piccole dimensioni occorre sottolineare l’im- portanza del fenomeno che tenta di porre un freno all’abbandono delle terre di montagna. In pochi casi, ma molto significativi, giovani imprenditori locali hanno deciso di investire per la creazione di una propria azienda agricola diversificando l’attività con trasformazione e ricettività.

Tuttavia, è ancora, e soprattutto, la popolazione “matura” a presentare una forte dipendenza nei confronti dell’attività agricola; la famiglia tipo nell’areale oggetto di studio è tendenzial- mente rappresentata da un impiegato in fabbrica (Val di Sangro o pastifici di Fara San Mar- tino) e uno nell’azienda agricola di famiglia. In genere quest’ultima è seguita dalle donne che curano anche la trasformazione dei prodotti, la ricettività e la ristorazione.

Le principali produzioni agroalimentari dell’areale sono ricondotte in particolare:

• alla carne. Bovini, suini, ovini sono i principali allevamenti dell’areale. Negli ultimi tempi si aggiunge anche la fauna selvatica (in particolare il cinghiale) anche se, per quest’ultima, non si tratta di un vero e proprio “allevamento” e “mercato” ma piuttosto di un consumo legato ai periodi dell’anno in cui ne è consentita la caccia. La carne prodotta è macellata per la vendita oppure trasformata in insaccati. Per gli ovini di razza appenninica il consumo si concentrata nel periodo di Pasqua, Ferragosto e Natale;

• al latte (prevalentemente bovino). La quantità prodotta è destinata in gran parte alla trasformazione in formaggi quali la caciotta fresca e stagionalizzata e la scamorza. Si tratta comunque di produzioni di piccole quantità;

• alla frutta. La varietà produttiva è piuttosto limitata: la produzione, infatti, si concentra prevalentemente su mele e noci, produzioni tipiche delle aree di montagna;

• agli ortaggi. La produzione locale è prevalentemente destinata all’autoconsumo. Tra gli ortaggi spicca la coltivazione della patata rossa2;

2 La patata rossa della zona è un PAT (Prodotto Agroalimentare Tradizionale) che si caratterizza per una maggiore durata determi- nata dalla “cavatura” tardiva dal terreno

211 • i funghi. La raccolta avviene in maniera spontanea da parte degli abitanti locali e la vendita non è tracciabile;

• il tartufo nero e bianco. Negli ultimi anni è cresciuto considerevolmente il mercato dei Tartufi e sono presenti nell’areale anche piccole imprese artigianali per la trasformazio- ne a cui i “cercatori” conferiscono il prodotto locale. Anche in questo caso, come per i funghi, la vendita del tartufo non è tracciabile;

• le leguminose e le produzioni cerealicole. La loro produzione è destinata per lo più all’alimentazione del bestiame allevato e all’autoconsumo. Le coltivazioni attualmente sono in forte calo e quasi compromesse a causa della crescita sproporzionata della po- polazione di cinghiali, capace di distruggere le coltivazioni ad es. di mais.

• Le informazioni raccolte attraverso la somministrazione del questionario ai rivenditori locali hanno consentito di elaborare un quadro dei principali punti vendita dei prodotti agroalimentari locali dell’areale ristretto che sono riconducibili alle seguenti tipologie;

• punti vendita delle aziende agricole;

• aziende agricole;

• esercizi commerciali di generi agroalimentari più o meno specializzati;

• mercato settimanale a cui partecipano i produttori locali e delle aree limitrofe (durante il periodo estivo si registra una maggiore offerta di prodotti);

• media distribuzione locale (supermercato);

• ambulanti della Val di Sangro ma anche del vicino Molise.

Dall’indagine sui canali dell’offerta dei prodotti agroalimentari emerge che i punti vendita delle aziende agricole costituiscono il principale luogo di vendita e acquisto dei prodotti lo- cali e anche la tipologia di esercizio commerciale più diffusa in alcuni dei comuni indagati. I punti vendita delle aziende agricole sono in genere costituiti da piccoli locali che in alcuni casi sono annessi alle stesse mentre altri, invece, sono dei veri e propri esercizi commerciali locati nel centro abitativo all’interno dei quali le produzioni aziendali sono poste in vendita direttamente dal produttore senza alcun intermediario (vendita diretta). In gran parte si tratta di punti vendita di prodotti provenienti da aziende a orientamento prevalentemente zootecnico che allevano bovini e suini e che trasformano al loro interno la carne e il latte; solo in alcuni casi a questi orientamenti di allevamento si aggiungono anche quelli avicolo e ovino.

Analoghi canali di approvvigionamento sono utilizzati anche dai supermercati dove è pos- sibile trovare soprattutto prodotti di marca e di grande distribuzione. Tuttavia, è probabile, in particolare nel reparto della gastronomia, trovare uno spazio dedicato ai prodotti del territorio in gran parte riconducibili a formaggi e latticini provenienti da comuni di zone limitrofe e in parte interni al comprensorio oggetto di analisi. La vicinanza del confine molisano porta nell’area prodotti caseari extraregionali. Sono soprattutto i formaggi freschi delle aziende agricole di Montenerodomo a trovare spazi di mercato presso punti vendita diversi da quelli delle aziende agricole produttrici. Ad ogni modo si tratta di un’offerta molto contenuta e ciò è da ricondurre alla limitata quantità dei prodotti offerta che porta i produttori a prediligere la vendita diretta e/o a collocare le loro produzioni in pochi punti vendita esterni alla propria azienda. Per questo motivo l’approvvigionamento dei derivati del latte e degli insaccati da parte dei supermercati è effettuato da aziende agricole di terri-

212 tori esterni all’area oggetto di studio.

L’analisi dell’approvvigionamento condotta sui panifici mette in evidenza una produzione e offerta di pane ottenuta con farine prevalentemente prodotte in aree esterne a quella og- getto d’indagine; ad esempio, il panificio di Pennapiedimonte utilizza per la panificazione farine provenienti esclusivamente dall’Emilia Romagna. In alcuni casi, nei panifici /punti vendita è possibile trovare l’offerta prodotti diversi da quelli da forno quali ad esempio salu- mi, latticini e miele la cui provenienza non è locale. In linea generale, la maggior parte dei trasformati proviene da forniture effettuate dal grossista del settore di Lanciano.

Le macellerie vendono prevalentemente carne di vitello e di maiale provenienti per lo più da aziende zootecniche di comuni limitrofi al Parco della Majella3 e in alcuni casi anche di altre Regioni. La trasformazione della carne in insaccati è operata dalla macelleria seguendo le ricette tradizionali utilizzando il salnitro. Nei locali è possibile acquistare anche formaggi che provengono da aree limitrofe, insaccati aquilani, legumi locali mentre le uova e il polla- me, in genere, sono acquistati attraverso la grande distribuzione.

Nei punti vendita di ortofrutta la verdura offerta è in prevalenza proveniente da produzioni locali mentre la frutta da località limitrofe al Parco. Questo è dovuto in gran parte all’altitu- dine che caratterizza la localizzazione dei cinque Comuni che non consente una produzione frutticola, sia in termini di quantità che di varietà, spendibile sul mercato. Dal punto di vi- sta del consumo, le mele locali sono per lo più acquistate da persone di età matura e anziane a un prezzo basso rispetto alle mele di grande distribuzione (es. Melinda) che sono richieste dalla popolazione più giovane e pagate ad un prezzo più alto.

Gli agrumi e altri tipi di frutta vengono acquistati da produttori fuori regione in un ingrosso di Perano. Nel punti vendita di ortofrutta è possibile acquistare conserve di frutta e marmel- late di produttori locali, miele locale, farine e legumi di produzione locale.

Interessante segnalare un unico caso, a Lama dei Peligni, di un negozio di gastronomia in cui si possono trovare esclusivamente prodotti locali. Lama dei Peligni rispetto agli altri comuni dell’areale ha infatti una vocazione maggiormente turistica e si trova su una via di transito anche per la popolazione locale. Il punto vendita specializzato si trova infatti sulla strada provinciale e concentra in un unico spazio prodotti delle aziende della zona: dalla pa- sta artigianale ai salumi, ai formaggi, ai mieli locali, comprese conserve, olio e vino. I prezzi sono certamente più alti di quelli dei negozi locali non specializzati, ma si tratta di prodotti di pregio e contraddistinti dall’artigianalità oltre che dalla qualità.

Perifericità e marginalità sono caratteristiche comuni dei Comuni indagati ma restituiscono DISCUSSIONE l’idea di concetti plurimi, che celano al loro interno differenze sostanziali sia sulle caratte- ristiche “agricole” dell’area, sia sulle caratteristiche di consumo e acquisto. In particolare si possono distinguere all’interno dell’areale due zone nettamente distinte. La prima, con una discreta presenza di aziende agricole di carattere imprenditoriale, anche di recente co- stituzione – che comprende i comuni di Montenerodomo, Pizzoferrato e Gamberale – ac- comunata da una morfologia e connotazioni socioculturali simili; la seconda zona – che comprende i comuni di Lama dei Peligni e Pennapiedimonte – ha caratteristiche agricole molto più stemperate ovvero, il legame con le attività agricole in termini “imprenditoriali” si è progressivamente perduto nel tempo e non conosce una ripresa come accade nei comuni

3 La vendita di carne prodotta nei comuni oggetto di indagine avviene per lo più presso le aziende. 213 del primo gruppo. Si tratta di un dato quantomeno interessante e singolare rispetto all’idea di partenza della ricerca ovvero di indagare aree rurali con una forte dipendenza dall’agri- coltura, seppure marginale e di sussistenza come e nella gran parte dei casi l’agricoltura di montagna. In altre parole sembra che questi ultimi due comuni abbiano una maggiore simi- litudine, anche dal punto di vista dell’analisi sui consumi e sulle abitudini di acquisto, con le consuetudini dei comuni piu “urbani” e dunque una più spiccata contaminazione con produzioni di massa, della GDO o globalizzati. Nel primo gruppo di comuni, quelli a più spiccata “evidenza” e presenza di attività agricole, vi è un discreto sistema di aziende agri- cole che possiamo affermare, produce quasi un effetto di sostituzione rispetto agli esercizi commerciali al dettaglio, supplendo in maniera importante alla distribuzione di produzioni fresche (carne, uova, salumi, verdura). Questo dato riguarda sia la popolazione locale sia i turisti che, specie nei mesi estivi, popolano l’area. In questi comuni, come negli altri tra quelli indagati, vi è comunque un discreto mantenimento di consumi di prodotti locali con forti contaminazioni delle produzioni delle aree limitrofe (ortaggi, formaggi, carne, uova, vino, olio), sia regionali che extraregionali (Molise).

Negli anni si assiste al crollo degli esercizi commerciali al dettaglio, ma resiste la vendita a Km zero, ovvero direttamente in azienda. Questo consente di affermare che, soprattutto in questi territori, vi è un discreto mantenimento della biodiversità agricola locale (in termini di cultivar e specie allevate) cosi come di tecniche e pratiche agricole e produttive radicate nell’area. Laddove infatti c’è richiesta e consumo di prodotti autoctoni vi è garanzia del mantenimento e della valorizzazione della biodiversità locale che trova un “mercato” di sbocco, locale ed extralocale. Quello che emerge, però, è che non vi è una consapevolezza diffusa presso la popolazione dell’importanza del consumo locale, ovvero bassa è la per- cezione dell’importanza di valorizzare la biodiversità autoctona (che può essere utilizzata anche come potenziale di sviluppo per la produzione agricola e per il territorio nel suo complesso). In parte le azioni di sviluppo, animazione e comunicazione di alcuni soggetti locali (GAL, Parco, ARSSA) accrescono questa percezione ma ancora molta strada c’è da percorrere per avere una consapevolezza diffusa.

L’indagine sull’offerta e i canali di distribuzione delle produzioni agroalimentari nei Comu- ni oggetto dell’indagine pone in evidenza, seppure, anche in questo caso, con differenzia- zioni tra Comune e Comune, da un lato la vocazione agricola, e in particolare zootecnica, del territorio che quindi e in grado di offrire alcuni prodotti (carne, latte e formaggi) alla popolazione residente e dall’altro un sistema di approvvigionamento di prodotti locali ab- bastanza limitato.

Il forte calo demografico registrato negli ultimi decenni ha determinato una progressiva riduzione di tutti gli esercizi commerciali tra cui anche quelli dei prodotti agroalimentari. I Comuni più popolati, come Montenerodomo, Pizzoferrato e Lama dei Peligni presentano un sistema di esercizi commerciali in grado di consentire l’approvvigionamento dei princi- pali prodotti agroalimentari (pane, carne, ortofrutta).

Tuttavia, per la limitata possibilità di scelta ma anche per la comodità di chi svolge il pro- prio impiego fuori dal Comune di residenza, il rifornimento alimentare è comunque in larga parte effettuato presso la GDO presente nei centri abitati al di fuori dell’areale quali, per citarne alcuni, Piane d’Archi, Casoli o Lanciano. A Pennapiedimonte, ad esempio, la presenza di un solo punto vendita di prodotti agroalimentari nel centro abitato induce gli abitanti a cercare il rifornimento, in particolare di prodotti freschi, nella vicina Guardia- grele.

Si tratta quindi di un’offerta di prodotti agroalimentari locali “limitata”, in termini sia di quantità sia di varietà, da parte di imprese agricole di piccola dimensione e a conduzione

214 familiare che riesce in qualche modo a soddisfare l’autoconsumo e solo in parte il consu- mo all’interno del Comune in cui opera. Pertanto, ai fini dello studio dell’influenza delle dinamiche del commercio locale e del consumo sul mantenimento della biodiversità locale e sulle abitudini alimentari, l’indagine pone in evidenza, come già esplicitato, un discreto consumo di prodotti autoctoni (ortaggi, uova, formaggi, carne, ecc.) “contaminato” dall’ac- quisizione e consumo di prodotti provenienti da aree limitrofe (formaggi, carni, olio, vino, latticini) e dalla grande distribuzione che trova sul territorio punti vendita “variegati” ov- vero piccoli supermarket che vendono i prodotti piu noti senza grande spazio dedicato alla vendita di prodotti locali.

Per prodotti quali olio o salumi l’affezione al prodotto locale è espresso ed esplicito nella ricerca e nell’acquisto da parte del consumatore locale. Si tratta di prodotti più conosciuti e sui quali vi è stata nel tempo una maggiore considerazione, comprese campagne di va- lorizzazione e di sensibilizzazione da parte di enti, soggetti e istituzioni locali. Questo ad esempio il caso dei fagioli, delle patate o dei salumi che gli abitanti locali consumano abi- tualmente e ai quali sono fortemente legati.

Dalle analisi condotte emergono due diversi approcci al consumo da parte della popola- CONCLUSIONI zione locale, la cui deteminante è costituita dall’età anagrafica e dal legame quotidiano di una fascia di popolazione locale con altri centri del circondario, più grandi. La popolazione locale più anziana, che abita in maniera più intensa e completa i luoghi oggetto di indagine e non ha una grande “frequentazione” con i comuni di valle, ha una spiccata attenzione al prodotto locale che va letta come “abitudine” più che come scelta consapevole, al consumo di alcuni prodotti, che fanno parte della tradizione e del ricordo. La popolazione anziana però, fa ricorso, quasi indistintamente, anche al prodotto “standardizzato”, della distribu- zione organizzata e di grandi marche, nel consumo quotidiano. Non vi è dunque una decisa ricerca e convinzione nel consumo dei prodotti freschi strettamente locali. La popolazione più giovane, che ha rapporti costanti con i centri di valle (si sposta per lavoro) ha consumi più globalizzati, ma cerca il prodotto locale sul proprio territorio. La spesa prevalente si fa soprattutto nei grandi centri di distribuzione alimentare dei comuni in cui lavorano, a valle, ma presenta una “affezione” e una conoscenza più esplicita e convinta al prodotto locale, che riconosce come element di identità.

Passando all’analisi della produzione, viene rilevato da parte delle aziende agricole del terri- torio un discreto apporto alla tutela della biodiversità locale nei confronti, in particolare, di alcune cultivar quali la patata rossa, il mais, il grano tenero le varietà di olive. Tuttavia, non è chiaro quanto questa attenzione sia il frutto di una scelta imprenditoriale “consapevole” o di una tradizione tramandata di generazione in generazione. Ad ogni modo, certo è che la conduzione non intensiva delle produzioni e degli allevamenti favorisce la conservazione e l’integrità del paesaggio salvaguardandone la biodiversità locale.

Infine, la catena di approvvigionamento locale mostra che gli esercizi commerciali detta- glianti non hanno un forte legame con i produttori locali. La vendita diretta nelle aziende agricole che interessa soprattutto Pizzoferrato e Montenerodomo, raggiunge prevalente- mente le famiglie e non la distribuzione locale che acquista, escludendo poche eccezioni, direttamente da centri di ingrosso presenti nelle valli circostanti. Ne deriva che il consumo locale, se ci riferiamo ai 5 comuni indagati, non può dirsi nè esclusivo nè prevalente ma fortemente contaminato dai prodotti “standardizzati”. Il potere di penetrazione dei prodotti “globali” è infatti ramificato e in grado di raggiungere la popolazione che vive in piccoli cen- tri di montagna che, pur conservando ancora saldamente tradizioni produttive e prodotti locali, sta perdendo la consapevolezza dei propri tesori, la memoria e la produzione degli

215 stessi. Politiche di valorizzazione e di sensibilizzazione verso le tipicità avviate a livello Eu, nazionale, regionale, locale, riescono solo in parte ad arginare questa progressiva perdita. La minaccia dell’erosione dei patrimoni vegetali, animali e delle tradizioni locali, della monta- gna, delle aree rurali più marginali, è concreta e sempre più forte e necessita di interventi, sostegni e strategie e integrate di sviluppo.

BIBLIOGRAFIA INEA. 2005. L’agricoltura nella Rete Ecologica Nazionale, ed. Le Balze INEA. 2013. L’agricoltura in Abruzzo. Caratteristiche strutturali e risultati aziendali

ARSSA Abruzzo. 2006. Guida ai prodotti tradizionali d’Abruzzo, Carsa Edizioni

Touring Club Italiano. 2015. Abruzzo, itinerari del gusto, Touring Editore

Slow Food. 2008. Itinerari nei gusti della Provincia di Chieti, Slow Food Editor

216 VALUTAZIONE DELLO STATO DI NUTRIZIONE E STILE DI VITA IN COMUNI RURALI DEL PARCO NAZIONALE DELLA MAJELLA

Polito A., Intorre F., Ciarapica D., Barnaba L., Azzini E., Maiani F., Maiani G., Foddai M.S., Venneria E., Raguzzini A., Palomba L., Zaccaria M. CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

La globalizzazione, lo sviluppo industriale l’aumento della popolazione e l’urbanizzazione INTRODUZIONE hanno nel corso degli anni profondamente mutato la produzione ed il consumo del cibo tanto da influenzare non solo l’ecosistema, ma anche l’alimentazione dell’uomo. La pro- fonda trasformazione che il settore primario ha subito negli ultimi decenni non ha riguar- dato solo aspetti ambientali, produttivi e di mercato, ma ha comportato un cambiamento altrettanto profondo nelle abitudini alimentari, anche in virtù del suo stretto legame con l’industria agroalimentare in un contesto di globalizzazione. Il processo di urbanizzazione e modernizzazione dello stile di vita ha avuto effetti profondi sulle popolazioni.

Lo sviluppo economico, l’aumento del potere d’acquisto dei consumatori, i progressi re- gistrati nei metodi di produzione degli alimenti e i cambiamenti intervenuti nella com- mercializzazione dei prodotti alimentari hanno modificato negli ultimi decenni in modo radicale la situazione alimentare dei paesi occidentali dove “una situazione di abbondanza” ha portato alla virtuale scomparsa di molte delle carenze nutrizionali riscontrabili meno di un secolo fa. D’altro canto registra ora una grande prevalenza di malattie non trasmissibili, come cancro, malattie cardiovascolari, diabete, certe allergie e osteoporosi, dovute all’inte- razione di molteplici fattori genetici, ambientali e legati agli stili di vita (tra cui il fumo, i modelli di alimentazione e la mancanza di attività fisica). Diversi studi suggeriscono che l’alimentazione è importante per conservare la salute e prevenire molte di queste malattie.

Le abitudini alimentari e l’assunzione di alimenti dipendono dalle scelte individuali (in- fluenze culturali, preferenze alimentari), nonché da fattori socio-economici e ambientali (economicità e disponibilità di alimenti, qualità e sicurezza dei prodotti, ecc.).

D’altro canto, negli ultimi anni, e stato descritto anche l’incremento di consumi di alimenti ad alto potere calorico e la riduzione dell’attività fisica nelle aree rurali di tutto il mondo. Questo potrebbe essere il motivo per cui l’obesità e le complicazioni ad essa annesse sono sempre maggiormente riportate nelle comunità rurali sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo (Popkin 2001, Liebman et al. 2003). In questo contesto, i paesi del bacino del Mediterraneo, come l’Italia stanno perdendo in maniera crescente i vantaggi apportati dalla dieta mediterranea (Laurenzi et al. 1989).

Studi recenti hanno inoltre descritto consumi ridotti di frutta e verdura nelle aree rurali associati con l’impossibilita di permettersi pasti equilibrati anche a causa di una maggiore distanza dal supermercato più vicino (Dean et al. 2011). Tali mutate abitudini alimentari sembrano convergere verso una omogeneizzazione di stili alimentari.

Se da un lato la relazione tra le determinanti socio-economiche, lo stato della biodiversità agricola ed i conseguenti impatti ambientali sono tematiche che, nel corso del tempo, sono state oggetto di numerosi studi, dall’altro l’attenzione dedicata alle ricadute sociali, soprat- tutto in termini di nutrizione e salute del consumatore, è più recente.

È aumentata la disponibilità di carboidrati raffinati e grassi, portando ad una semplifica- zione della dieta in cui la maggior parte dei macro e micronutrienti è fornita da un numero

217 ristretto di specie coltivate e allevate. D’altra parte è noto che il regolare e continuativo con- sumo di alimenti con un corretto ed equilibrato contenuto di sostanze “nutrizionali” come vitamine, (ad es. i folati), acidi grassi polinsaturi PUFA (omega-6 e omega-3) e sostanze “non nutrizionali” come i flavonoidi, composti polifenolici, antociani e lignani, possono prevenire l’insorgenza di malattie di tipo cronico-degenerativo come il cancro e le malattie cardiovascolari.

Mentre numerosi studi di letteratura descrivono gli effetti del consumo di alimenti o della supplementazione di singoli nutrienti sui fattori di rischio/protezione nei confronti di ma- lattie cronico-degenerative (Venneria et al. 2014, Intorre et al. 2012, Azzini et al. 2010), gli studi che riportano valutazioni delle diete globali associate a cambiamenti dello stile di vita e nelle abitudini alimentari sono scarsi.

È noto che il panorama italiano agrario di numerose aree rurali è fortemente caratterizzato da produzioni di nicchia legate alle tradizioni socio-culturali locali (Azzini et al. 2012). La presenza di tali produzioni è particolarmente marcata in aree che hanno potuto conserva- re particolari ecosistemi produttivi grazie alla presenza di Parchi naturali, le cui politiche conservative hanno permesso di mantenere colture antiche e caratterizzate da pratiche pro- duttive sostenibili. I prodotti agro-alimentari locali rappresentano la tradizione del territo- rio testimoniando le radici culturali delle popolazioni. In tale ottica potrebbero costituire un’ottima base della dieta intesa nella sua globalità, ipotizzando migliori proprietà nutrizio- nali di tali prodotti.

D’altra parte, nel corso degli ultimi anni la forte evoluzione della distribuzione alimentare ha portato, da una parte i produttori locali a vendere anche e soprattutto fuori dal proprio territorio di origine o comunque a chi offra condizioni migliori; dall’altra, alla diminuzione dei piccoli punti vendita e al subentro della grande distribuzione, con conseguente amplia- mento della gamma dei prodotti disponibili e quindi ad un generale condizionamento delle tradizionali abitudini alimentari.

In tale progetto si propone quindi un’azione trasversale con l’obiettivo di verificare le pos- sibili relazioni tra l’evoluzione delle produzioni alimentari, lo stato di conservazione della biodiversità e la qualità dell’alimentazione (food safety) in specifiche aree nazionali indi- viduate nelle linee di ricerca del progetto. Lo studio è stato condotto nel Parco Nazionale della Majella ed articolato in due linee di ricerca.

Una linea di ricerca, condotta dal Centro di ricerca Politiche e Bio-economia, è stata rivolta ad analizzare le dinamiche socio-economiche di tali prodotti prima di tutto in termini di sostenibilità economica della produzione (anche in termini di presenza sul territorio), al fine di comprendere il loro impatto sui sistemi produttivi e socioeconomici locali.

L’altra linea di ricerca, condotta dal Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione, si è focalizzata sulla analisi di come e in che misura la globalizzazione abbia cambiato gli stili di vita e le abitudini alimentari; sono stati valutati dieta, stile di vita e stato di nutrizione in un gruppo di popolazione residente in un’area rurale del Parco Nazionale della Majella.

Di seguito sono riportati i risultati dell’indagine nutrizionale, mentre i risultati relativi all’indagine economica sono riportati nel capitolo precedente (Monteleone et al “Produzio- ni locali, tradizioni, e vitalità dei territori rurali del Parco Nazionale della Majella”).

OBIETTIVO Obiettivo di questo studio è stata la valutazione di abitudini alimentari, stile di vita e stato di nutrizione di un gruppo di popolazione residente in aree rurali e il confronto con un

218 gruppo di popolazione residente in aree urbane, al fine di vedere se e in che misura la per- dita della biodiversità così come la globalizzazione abbiano cambiato tali aspetti in questo tipo di contesto.

RECLUTAMENTO E SELEZIONE DEI SOGGETTI MATERIALI E Lo studio è stato condotto su 380 adulti e anziani (18-85 anni) di ambo i sessi: 198 volon- tari rurali (61 uomini e 137 donne) e 182 urbani (75 uomini e 107 donne). Per quanto METODI riguarda il contesto rurale, sono stati selezionati 5 comuni del Parco Nazionale della Ma- jella, in provincia di Chieti (Montenerodomo, Pizzoferrato, Gamberale, Lama dei Peligni e Pennapiedimonte) aventi spiccate caratteristiche di ruralità e già oggetto dell’indagine economica. La metodologia di selezione delle aree oggetto di studio è descritta nel capitolo precedente (Monteleone et al “Produzioni locali, tradizioni, e vitalità dei territori rurali del Parco Nazionale della Majella”). Il campionamento dei volontari è stato effettuato con metodo probabilistico dalle liste comunali dei residenti. I risultati ottenuti sulle popolazioni residenti nei comuni del Parco Nazionale della Majella sono comparati con i dati presenti in letteratura e con quelli rilevati su un gruppo di popolazione residente in aree urbane ad alta e media intensità abitativa (Pescara e Roma).

I volontari, a seguito di anamnesi dettagliata remota e prossima sono stati selezionati sulla base dell’assenza di patologie potenzialmente interferenti con i parametri oggetto di studio, assenza di infezioni virali accertate, di allergie ed intolleranze alimentari. Sono stati esclusi i soggetti non rispondenti a tali criteri e tra i soggetti reclutati una elevata percentuale di volontari uomini non ha aderito allo studio. La numerosità campionaria è risultata propor- zionale al numero dei residenti nei vari comuni.

Ai volontari arruolati sono stati somministrati questionari atti a raccogliere informazioni sullo stato di salute, lo stile di vita e l’attività fisica; inoltre sono sottoposti al rilevamen- to dei consumi e delle abitudini alimentari e delle misure antropometriche e ad analisi biochimico-cliniche.

Lo studio è stato condotto in accordo alla Dichiarazione di Helsinki sulla pratica da utiliz- zare in studi che coinvolgono soggetti umani. Tutti i soggetti hanno dato il loro consenso informato prima di iniziare lo studio ed i dati personali sono stati trattati in accordo alle regole nazionali per la registrazione ed il trattamento dei dati.

VALUTAZIONE DELLO STILE DI VITA E STATO DI SALUTE Il questionario di stile di vita è stato utilizzato al fine di avere informazioni su variabili socio-demografiche, livello di istruzione e situazione lavorativa, fumo, consumo di alcool e abitudini alimentari. Inoltre una sezione del questionario era dedicata all’acquisto e al consumo di prodotti tipici. Informazioni sullo stato di salute sono state raccolte mediante il questionario SF-36, strumento sintetico che consente di valutare la percezione soggettiva sulla qualità della vita in riferimento a concetti legati a livelli di attività e benessere (Apolo- ne e Mosconi, 1998). Il questionario è costituto da otto scale (attività fisica, ruolo e salute fisica, dolore, salute in generale, vitalità, attività sociali, ruolo e stato emotivo, salute men- tale), ciascuna delle quali è costituita da domande a quesito multiplo. Tanto più è elevato il punteggio ottenuto nelle differenti scale maggiore è lo stato di benessere dell’individuo. Il significato attribuito ai punteggi per la misura di ciascuno degli otto concetti di salute è riportato in Tabella 1. I punteggi ottenuti nelle otto scale possono essere sintetizzati in soli due indici, uno relativo alla Salute Fisica (CFT) dato dalle scale Attività Fisica (AF), Ruolo e salute Fisica (RF), Dolore Fisico (DF) e Salute in Generale (SG) e il secondo a quella 219 mentale (CMT) dato dalle scale Vitalità (VT), Attività Sociali (AS), Ruolo e Stato Emotivo (RE) e Salute Mentale (SM); anche in questo caso più alto è il punteggio, migliore è il livello di salute percepita.

Tabella 1. Interpretazione delle scale del questionario SF-36

Significato dei punteggi Minimo Massimo Attività fisica (AF) Estremamente limitato nell’esercizio di tutte le Esercita tutti i tipi di attività comprese le più attività fisiche, compreso fare il bagno o vestirsi impegnative senza alcuna limitazione dovu- a causa della salute ta alla salute Ruolo e Salute fisica (RF) Problemi con il lavoro o verso altre attività Nessun problema con il lavoro o con altre quotidiane a causa della salute fisica attività quotidiane a causa della salute fisica Dolore Fisico (DF) Dolore molto forte ed estremamente limi- Nessun dolore né limitazione dovuta al do- tante lore Salute in Generale (SG) Valuta la salute personale come ridotta e ri- Valuta la salute personale come eccellente tiene che peggiori Vitalità (VT) Si sente sempre stanco e sfinito Si sente sempre brillante e pieno di energie Attività Sociali (AS) Gravi e frequenti interferenze con le norma- Esercita le normali attività sociali senza alcuna li attività sociali dovute a problemi fisici o interferenza dovuta a problemi fisici o emotivi emotivi Ruolo e Stato Emotivo (RE) Difficoltà con il lavoro o altre attività quoti- Nessuna difficoltà con il lavoro o altre atti- diane a causa di problemi emotivi vità quotidiane a causa di problemi emotivi Salute Mentale (SM) Sensazioni di nervosismo e depressione per Si sente in pace, felice e calmo per tutto il tutto il tempo tempo

Modificato da Apolone e Mosconi, 1998

VALUTAZIONE DELL’ATTIVITÀ FISICA L’attività fisica è stata valutata somministrando la versione ridotta del questionario inter- nazionale IPAQ, che valuta il tempo dedicato all’attività fisica nei 7 giorni precedenti la compilazione e che permette si classificare l’attività fisica in tre livelli (leggera, moderata, pesante) (IPAQ, 2005).

RILEVAMENTO DELLE MISURE ANTROPOMETRICHE Sono stati rilevati peso e statura in accordo alle procedure standard (Lohman et al., 1988). Dal rapporto tra peso e statura è stato calcolato l’Indice di Massa Corporea (IMC, kg/m²). I soggetti, in accordo ai valori soglia proposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (WHO, 1995, 2000) sono stati classificati come: sottopeso (IMC<18,5 kg/m²), normope- so (IMC=18,5-24,9 kg/m²), sovrappeso (IMC=25-29,9 kg/m²) e obesi (IMC≥30 kg/m²). Inoltre, sono state rilevate le misure delle circonferenze braccio, vita e fianchi con nastro in materiale anaelastico millimetrato flessibile, approssimazione 0.1 cm. La circonferenza vita da sola o in rapporto alla circonferenza fianchi è stata utilizzata quale indice della distribu- zione del tessuto adiposo sottocutaneo e dell’obesità viscerale, indicatori di rischio cardio- vascolare, classificando i soggetti in base a quanto riportato in letteratura (WHO, 1998). Infine, sono state rilevate le pliche cutanee: bicipitale, tricipitale, subscapolare, soprailiaca. Le pliche sono state misurate sul lato non dominante del corpo, con plicometro Holtain, tarato per pressione di 10 g/mm², approssimazione 0.2 mm. Lo spessore delle pliche è stato

220 utilizzato per la predizione del grasso corporeo secondo le formule di Durnin e Womersley (1974). Dall’insieme delle misure antropometriche (IMC e circonferenza vita) è stato va- lutato il rischio cardiovascolare in accordo alla Tabella 2. Tutte le misure antropometriche sono state rilevate da un singolo osservatore che ha precedentemente svolto un training rivolto ad assicurare la standardizzazione dei siti e delle tecniche di misurazione.

Tabella 2. Definizione del rischio cardiovascolare

IMC kg/m2 Classe di peso Circonferenza vita

Uomini < 102 cm Uomini ≥ 102 cm Donne < 88 cm Donne ≥ 88 cm Rischio relativo

<18.5 Sottopeso 18.5-24.9 Normopeso aumentato 25.0-29.9 Sovrappeso aumentato alto 30.0-34.9 Obesità I grado alto molto alto 35.0-39.9 Obesità II grado molto alto molto alto >39.9 Obesità III grado altissimo altissimo

ANALISI BIOCHIMICO-CLINICHE Oltre all’emocromo, sono stati valutati il quadro lipidemico (colesterolo totale, HDL- colesterolo, LDL-colesterolo e trigliceridi), glicemico (glicemia, insulina, emoglobina gli- cosilata) e alcuni parametri di interesse nutrizionale. I livelli di colesterolo totale, HDL- colesterolo, LDL-colesterolo e trigliceridi sono stati determinati mediante kit commerciali spettrofotometrici che sfruttano un metodo enzimatico colorimetrico, così come i livelli cir- colanti di glucosio (Sentinel Diagnostics). I livelli di insulina sono stati misurati con meto- do ELISA utilizzando kits commerciali (Human Elisa Kit abcam). L’emoglobina glicosilata, usata principalmente per identificare la concentrazione plasmatica media del glucosio per un lungo periodo di tempo, è stata misurata attraverso cromatografia HPLC. La misura di alcuni dei parametri sopra riportati ha permesso di valutare la presenza di sindrome meta- bolica nei soggetti oggetto di studio, definita in accordo ai criteri definiti dall’International Diabetes Federation (2006). La valutazione dell’insulino-resistenza stimata (HOMA-IR) è stata effettuata calcolando l’indice HOMA-IR moltiplicando l’insulina plasmatica a digiu- no (mU/L) mediante glucosio plasmatico a digiuno (mg /dL) e dividendosi per la costante 405 (Wallace et al. 2004).

La capacità antiossidante totale (TAC) è stata valutata mediante la valutazione del pote- re riducente (FRAP, Ferric Reducing Antioxidant Power) (Benzie et al., 1996), mentre la misurazione dei gruppi tiolici attraverso test spettrofotometrico (Hu 1994). I livelli di vitamina C sono stati determinati utilizzando un sistema HPLC dotato di un rilevatore coulometrico (modello ESA 580; Chelmsford, MA, USA) previa estrazione utilizzando il metodo descritto da Margolis et al. (1997).

RILEVAMENTO DELLE ABITUDINI E DEI CONSUMI ALIMENTARI La valutazione delle abitudini alimentari è stata effettuata mediante la somministrazione di un questionario semi-quantitativo di frequenza preparato ad hoc, suddiviso nei principali gruppi di alimenti. I consumi alimentari sono stati rilevati mediante un diario alimentare su tre giorni, due feriali ed un festivo. La composizione in energia, macro e micronutrienti della dieta è stata ricavata utilizzando le tabelle di composizione degli alimenti (INRAN, 2000). 221 ANALISI STATISTICA L’analisi statistica è stata eseguita con il programma Statistica 8 per Windows della StatSoft®(StatSoft, Italia srl). I risultati sono presentati come valori medi ± deviazione stan- dard o come prevalenze (%). I dati sono stati inizialmente testati per verificare la normalità della distribuzione utilizzando il test di Shapiro-Wilk. L’analisi della varianza, il T-test per campioni indipendenti o il Mann Whitney U Test sono stati applicati per il confronto tra i differenti contesti, mentre il test del χ2 è stato utilizzato per valutare le differenze tra le prevalenze. E’ stato utilizzato un significato statistico pari a p<0.05.

RISULTATI Nelle tabelle seguenti sono riportati i risultati di carattere descrittivo sia per singoli comuni che per le due aree rurale ed urbana.

Le caratteristiche fisiche ed i dati di alcune variabili di composizione corporea e rischio metabolico (massa magra e massa grassa, circonferenza vita e fianchi) del campione totale suddiviso per centro sono riportate in Tabella 3.

L’IMC medio indica la presenza di uno stato di sovrappeso in tutti i centri esaminati. Non emergono differenze significative tra i volontari residenti nei cinque comuni rurali, mentre si osserva un IMC medio significativamente maggiore nei volontari rurali rispetto agli ur- bani (28.3±5.2 kg/m2 vs 26.4±4.0 kg/m2, P<0.000); le donne presentano un IMC maggiore rispetto agli uomini (P<0.000). Se si confrontano le categorie di IMC (Figura 1), i risultati non evidenziano differenze significative tra i cinque comuni rurali, la prevalenza di sovrap- peso varia dal 29% nel comune di Montenerodomo al 44% nel comune di Gamberale e la condizione di obesità varia dal 18% nel comune di Lama dei Peligni al 41% nel comune di Montenerodomo. Si osserva una maggiore percentuale di soggetti con condizione di so- vrappeso e obesità nell’ambiente rurale rispetto a quello urbano (P<0.0000).

In accordo alla Tabella 2, associando i valori di IMC alla circonferenza vita nessun soggetto normopeso presenta rischio cardiovascolare che risulta, invece, essere aumentato (73%) e alto (26%) nei soggetti in sovrappeso e molto alto o addirittura altissimo in tutti i soggetti obesi (dati non mostrati).

222 Tabella 3. Caratteristiche fisiche e composizione corporea dei volontari per centro ed area (media±d.s.) MON PIZ GAM LdP PEN P* C S CxS N 34 68 27 36 38 Peso (kg) 74.4±16.1 74.6±13.5 69.2±11.9 68.3±12.4 72.8±14.9 n.s 0.000 n.s Statura (cm) 161.3±7.8 160.9±8.4 157.8±10.1 160.2±7.8 159.5±9.0 n.s 0.000 n.s IMC (kg/m2) 28.6±5.6 28.9±5.1 27.8±4.2 26.7±4.9 28.7±5.8 n.s n.s n.s

Massa Grassa (kg) 25.8±9.6 25.8±8.0 23.7±6.0 24.9±7.9 27.4±8.3 n.s. 0.006 n.s. Massa Grassa (%) 33.9±7.3a,c 34.4±7.7a,c 34.3±6.4c,d 36.2±7.9c,d 37.8±7.5b,d 0.04 0.000 n.s. Massa Magra (kg) 48.7±9.5a,c,d 48.8±9.6c 45.4±9.1d,c 43.4±8.7b,d 44.5±9.0d 0.001 0.000 n.s. Rurali Urbani N 198 182 Peso (kg) 72.6±14.0 70.9±12.9 n.s 0.000 n.s Statura (cm) 160.2±8.5 163.9±9.1 0.01 0.000 n.s. IMC (kg/m2) 28.3±5.2 26.4±4.0 0.000 0.000 n.s.

Massa Grassa (kg) 25.7±8.1 23.9±6.5 n.s 0.000 n.s Massa Grassa (%) 35.2±7.5 33.7±7.0 n.s 0.000 n.s Massa Magra (kg) 46.8±9.5 47.0±9.7 n.s 0.000 n.s

MON= Montenerodomo; PIZ= Pizzoferrato; GAM= Gamberale; LdP= Lama dei Peligni; PEN= Pennapiedimonte Analisi statistica: *P= ANOVA: C=differenze tra centri, S= differenze tra sessi; CxS =interazione centro x sesso Lettere diverse sulla stessa riga indicano differenze statisticamente significative (P<0.05)

Figura 1. Distribuzione del campione nelle classi di Indice di massa corporea (sottopeso, normopeso, sovrappeso ed obesità) distinto per centro ed area

223 Nella Tabella 4 sono riportati lo stato civile ed il grado di istruzione del campione esami- nato. Dal momento che non si sono riscontrate differenze significative tra i sessi, i risultati sono riportati per il campione totale. Il 45.3% dei volontari rurali ha una istruzione secon- daria (vs 38.3% urbani), mentre il 48.3% dei volontari urbani è laureato (vs il 9.9% dei ru- rali). Tra i differenti comuni dell’area rurale la più alta prevalenza di volontari laureati è nel comune di Lama dei Peligni (20.0%), mentre la più bassa nei comuni di Gamberale (0%) e Pennapiedimonte (5.0%). Nei comuni rurali i volontari sono prevalentemente coniugati (62.0% vs 30.9% degli urbani).

Tabella 4. Stato civile e grado di istruzione dei volontari per centro ed area (%)

MON PIZ GAM LdP PEN P* Rurali Urbani P* Stato civile

Celibe/nubile 22.6 42.9 22.2 10.7 15.8 26.2 19.6 Coniugato 67.7 46.0 59.3 78.6 73.7 0.03 62.0 30.9 0.04 Separato / divorziato 3.2 3.2 0 0 5.3 2.7 8.9 Vedovo 6.5 7.9 18.5 10.7 5.3 9.1 10.6 Istruzione

Nessuna 3.2 - - - - 0.5 - Licenza elementare 9.7 4.6 25.9 30.0 23.7 16.2 0.6 Licenza media 19.4 39.4 33.3 13.33 23.7 0.008 28.1 12.2 0.000 Diploma 54.8 45.5 40.7 36.7 47.4 45.3 38.9 Laurea 12.9 10.6 - 20.0 5.3 9.9 48.3 MON= Montenerodomo; PIZ= Pizzoferrato; GAM= Gamberale; LdP= Lama dei Peligni; PEN= Pennapiedimonte Analisi statistica: *P X2 test

L’analisi della qualità della vita stimata mediante il questionario SF-36 non evidenzia dif- ferenze significative tra i vari centri o tra le due aree rurale ed urbana per tutte le scale esaminate (Tabella 5). I risultati evidenziano una buona percezione della qualità della vita, con valori medi nelle varie scale in linea con la media della popolazione italiana presa come riferimento. Emergono alcune differenze tra uomini e donne, gli uomini sopportano meno il dolore fisico (DF), ma hanno punteggi maggiori per quel che riguarda la vitalità (VT), riferiscono di non avere difficoltà con il lavoro e le altre attività quotidiane a causa di problemi emotivi (RE), nella salute mentale (SM) ed in genere nella componente fisica in totale (CFT).

L’attività fisica è stata approfondita mediante specifico questionario (IPAQ) ed i risultati sono illustrati nella Figura 2. Emergono differenze significative tra i vari comuni rurali (P<0.003) con la maggiore percentuale di volontari “attivi” nei comuni di Gamberale e Pennapiedimonte e la più alta percentuale di sedentari nel comune di Montenerodomo. Tra le aree rurali ed urbane la percentuale di soggetti volontari sedentari è simile (circa il 25%), mentre emerge una differenza tra la percentuale di volontari moderatamente attivi, maggio- ri nell’area urbana e quella dei volontari“attivi”, maggiore nell’area rurale.

224 Tabella 5. Punteggi medi delle variabili della qualità della vita (questionario SF36) della popolazione studiata (media±ds)

MON PIZ GAM LdP PEN P* C S CxS AF 82.9±21.9 85.2±18.8 75.4±24.7 86.9±13.7 82.8±21.1 n.s. n.s n.s RF 74.2±37.4 81.8±28.9 68.5±41.9 75.0±40.3 70.9±38.4 n.s n.s n.s DF 68.3±21.4 73.4±25.4 64.0±31.7 72.2±27.0 66.3±29.4 n.s n.s n.s SG 65.0±15.1 63.0±17.4 57.3±22.5 66.9±15.0 61.6±17.5 n.s n.s n.s VT 59.8±15.3 60.4±18.7 56.7±16.9 67.6±13.0 61.9±18.3 n.s 0.004 n.s AS 76.6±20.0 74.6±22.7 80.1±21.9 81.5±16.2 79.4±20.7 n.s n.s n.s RE 71.0±41.0 76.3±32.9 75.6±40.6 78.6±32.9 82.8±33.5 n.s 0.004 n.s SM 70.1±16.3 68.0±18.9 60.7±17.2 68.9±15.5 69.4±18.7 n.s n.s n.s CFT 47.9±8.7 49.9±7.8 45.8±11.8 49.5±9.9 46.9±9.7 n.s n.s n.s CMT 48.1±9.0 46.1±10.4 46.4±8.8 48.7±9.3 49.3±10.2 n.s n.s n.s Rurali Urbani AF 83.3 ±20.1 90.1±12.0 0.05 n.s n.s RF 75.5±36.0 82.8±29.9 n.s n.s n.s DF 69.7±26.8 71.2±24.7 n.s 0.004 n.s SG 62.7±17.6 65.3±17.0 n.s n.s n.s VT 61.1±17.2 62.2±17.4 n.s 0.000 n.s AS 77.7±20.9 76.5±22.7 n.s n.s n.s RE 76.8±35.5 79.2±32.1 n.s 0.006 n.s SM 67.7±17.8 69.2±15.9 n.s 0.002 n.s CFT 48.4±9.3 50.5±7.6 n.s 0.001 n.s CMT 47.5±9.8 47.2±9.4 n.s. n.s n.s

MON= Montenerodomo; PIZ= Pizzoferrato; GAM= Gamberale; LdP= Lama dei Peligni; PEN= Pennapiedimonte Analisi statistica: *P= ANOVA: C=differenze tra centri, S= differenze tra sessi; CxS =interazione centro x sesso AF=attività fisica; RF= ruolo e salute fisica; DF = dolore fisico; SG= salute in generale; VT= vitalità; AS= attività sociali; RE= ruolo e stato emotivo; SM= salute mentale; CFT= componente fisica totale; CMT= componente mentale totale

Figura 2. Categorie di Attività fisica dei volontari (%) suddivisi per centro ed area

%

225 Nelle tabelle 6 e 7 sono riportati i risultati dei consumi alimentari. Per quanto riguarda i consumi di energia, macronutrienti, fibra ed alcool (Tabella 6) l’analisi delle dieta gior- naliera conferma un eccessivo apporto di lipidi (circa il 38% dell’energia totale) superiore alle raccomandazioni (20-35%) (SINU, 2012) in tutti i comuni dell’area rurale ed anche tra i volontari urbani senza differenze significative tra i vari centri. Il più basso apporto di lipidi si riscontra nel comune di Gamberale (35.3±3.6% energia totale). Le donne hanno un apporto di lipidi superiore agli uomini (P=0.01). I carboidrati disponibili si attestano in un intervallo di consumi tra 45.2-50.3% ovvero prossimi al limite inferiore di quelli rac- comandati (45-60%), con una percentuale maggiore nel comune di Gamberale (50.3±4.8 % Energia totale, P< 0.01). E’ importante sottolineare che tali percentuali sono simili a quelle riscontrate nella popolazione italiana dall’ultima indagine sui consumi alimentari INRAN-SCAI, che ha evidenziato in media il 36% delle calorie derivanti dai lipidi e il 45% dai carboidrati disponibili (Sette et al., 2011). Il consumo di fibra è notevolmente inferiore rispetto agli obiettivi nutrizionali riportati nei LARN (25g/die) (SINU, 2012) in tutti i co- muni ed aree studiate, il più alto consumo di fibra è stato riscontrato nel comune di Lama dei Peligni (18.9±7.7 g/die P<0.000) e tra i volontari urbani (16.4±7.6 g/die P<0.004). Il consumo di alcol è maggiore negli uomini che nelle donne (P<0.0000) e in linea con la popolazione italiana, non emergono differenze significative tra i comuni dell’area rurale, mentre un consumo moderatamente inferiore è osservato tra volontari residenti in area ur- bana (p<0.05) con una interazione anche con il sesso (p<0.01). In Tabella 7 sono riportati i valori medi, la deviazione standard e la mediana dei consumi individuali per gruppi di alimenti. Valori di mediana inferiori alla media indicano che la maggior parte dei volontari consuma una quantità giornaliera inferiore alla media. Un valore mediano uguale a 0, come ad esempio per i legumi nei comuni di Lama dei Peligni e Pennapiedimonte, sta ad indicare che oltre il 50% degli individui coinvolti non ha consumato legumi nei giorni dell’indagine. Emergono moderate differenze tra i vari centri con un consumo medio di frutta e verdura superiore ai 400 g/die. Nel comune di Montenerodomo si evidenzia un maggiore consumo giornaliero di carne e derivati (131±63g/die) ed il minor consumo di prodotti della pesca (32±40 g/die). In genere il consumo di prodotti della pesca risulta essere circa la metà di quello della carne e derivati.

226 Tabella 6. Consumi di macronutrienti, fibra ed alcool dei volontari per centro ed area (media ± d.s.) MON PIZ GAM LdP PEN P* C S CxS Energia kcal/die 1890±391 1812±394 1839±363 1920±498 1792±426 n.s. 0.03 n.s. Proteine g/die 77.0±16.9 70.1±16.6 69.9±16.2 68.7±20.4 67.5±17.3 n.s. 0.01 n.s. % energia 16.4±2.4 15.6±2.5 15.3±2.5 14.6±4.2 15.2±2.7 n.s. n.s. n.s. Lipidi g/die 79.8±16.8 76.5±18.2 72.2±16.6 80.6±24.9 77.3±25.4 n.s. n.s. n.s. % energia 38.4±5.5 38.4±6.5 35.3±3.6 37.9±8.1 38.5±7.3 n.s. 0.01 0.003 Carboidrati g/die 215.3±53.3 209.5±61.4 230.5±46.7 234.3±78.2 213.4±55.5 n.s. n.s. n.s. % energia 45.2±5.1a,c 45.8±7.4a,c 50.3±4.8b,d 48.5±9.1c,d 48.0±7.0c,d 0.01 n.s. n.s. Alcool g/die 8.1±12.0 8.2±11.7 6.4±8.5 6.0±13.8 3.6±10.7 n.s. 0.000 n.s. Fibra g/die 12.6±3.7a 13.0±4.3a,b 15.1±3.6a 18.9±7.7b 15.2±6.8a 0.000 n.s. n.s.

Rurali Urbani Energia kcal/die 1840±410 1878±481 n.s. 0.004 n.s. Proteine g/die 70.6±17.4 73.3±23.3 n.s. 0.007 n.s. % energia 15.5±2.8 15.8±4.2 n.s n.s n.s Lipidi g/die 77.2±20.4 78.6±25.7 n.s. n.s. n.s. % energia 37.9±6.4 37.5±7.0 n.s. 0.01 n.s. Carboidrati g/die 217.7±59.9 223.0±68.6 n.s. 0.007 n.s. % energia 47.2±7.1 47.6±7.9 n.s. n.s. n.s. Alcool g/die 6.7±11.5 6.2±11.3 0.05 0.000 0.01 Fibra g/die 14.5±5.6 16.4±7.6 0.004 n.s. n.s.

MON= Montenerodomo; PIZ= Pizzoferrato; GAM= Gamberale; LdP= Lama dei Peligni; PEN= Pennapiedimonte Analisi statistica: *P= ANOVA: C=differenze tra centri, S= differenze tra sessi; CxS =interazione centro x sesso Lettere diverse sulla stessa riga indicano differenze statisticamente significative (P<0.05)

227 Tabella 7. Consumo medio giornaliero pro-capite di alimenti dei volontari per centro ed area (media ± d.s., (mediana)) MON PIZ GAM LdP PEN P* g/die C S CxS 215±60 208±70 229±56 187±106 204±90 Cereali e derivati 0.008 0.01 0.05 (216) (206) (216) (192) (189) 29±43 16±26 18±31 37±58 25±54 Legumi 0.01 0.01 0.01 (10) (5) (10) (0) (0) 210±82 259±101 229±87 279±152 230±138 Ortaggi 0.04 0.005 n.s. (202) (241) (246) (250) (215) 227±116° 187±130° 225±99° 273±191a,c 334±226 b,c Frutta n.s. 0.001 0.01 (201) (169) (250) (280) (306) 131±63 114±54 100±58 91±84 77±67 Carne e derivati 0.05 0.05 0.01 (121) (104) (98) (100 ) (57) 32±40 39±43 39±45 13±40 27±61 Prodotti della pesca n.s. n.s. n.s. (16) (28) (37) (0) (45) 128±94 164±114 161±63 167±129 172±119 Latte e derivati 0.01 0.01 0.01 (111) (171) (165) (200) (168) 40±13 43±14 44±13 40±21 42±21 Olii e grassi 0.01 0.002 0.02 (42) (42) (39) (42) (41) 14±15 8±10 11±17 8±19 7±15 Uova n.s. n.s. n.s. (16) (3) (3) (0) (0) 104±164 96±136 84±139 57±134 36±107 Alcolici n.s. 0.01 0.05 (9) (6) (37) (0) (0) 42±35 37±29 33±30 48±51 32±36 Dolci 0.05 0.000 0.05 (34) (29) (25) (27) (19) 28±48 34±84 22±35 14±77 13±47 Analcolici 0.02 0.001 0.006 (0) (0) (0) (0) (0) 8±35 2±18 3±10 20±42 11±34 Miscellanea n.s. n.s. n.s. (0) (0) (0) (0) (0) Rurali Urbani 209±77 201±82 Cereali e derivati 0.02 0.02 0.003 (205) (200) 23±42 25±43 Legumi 0.002 0.001 0.005 (5) (0) 244±114 265±144 Ortaggi 0.001 0.001 0.002 (232) (252) 240±165 250±190 Frutta 0.001 0.001 0.001 (207) (215) 105±65 99±81 Carne e derivati 0.004 0.01 0.004 (100) (100) 32±47 47±68 Prodotti della pesca 0.01 0.001 0.001 (13) (15) 159±108 156±1115 Latte e derivati 0.000 0.003 0.005 (162) (154) 42±16 39±17 Olii e grassi 0.004 0.000 0.001 (42) (39) 9±15 11±26 Uova 0.004 0.004 0.000 (0) (0) 79±137 62±108 Alcolici 0.01 0.05 0.01 (0) (0) 38±35 52±50 Dolci 0.02 0.002 0.002 (26) (40) 24±66 27±85 Analcolici 0.000 0.000 0.000 (0) (0) 7±28 17±40 Miscellanea 0.01 0.002 0.003 (0) (0) MON= Montenerodomo; PIZ= Pizzoferrato; GAM= Gamberale; LdP= Lama dei Peligni; PEN= Pennapiedimonte Analisi statistica: *P= ANOVA: C=differenze tra centri, S= differenze tra sessi; CxS =interazione centro x sesso Lettere diverse sulla stessa riga indicano differenze statisticamente significative (P<0.05)

228 In Tabella 8 sono riportati i parametri relativi al quadro lipidemico, glicemico e alcuni parametri nutrizionali dei volontari divisi per centro ed area. Relativamente al quadro li- pidemico, sebbene risultino delle differenze significative tra i valori riscontrati nei diversi centri rurali, tutti i parametri studiati risultano nei cut-off points di normalità (colesterolo totale <200 mg/dl; LDL colesterolo <130 mg/dl; trigliceridi <250 mg/dl.), presumibilmen- te anche per l’effetto dell’assunzione di farmaci specifici. I parametri del quadro glicemico evidenziano la presenza di sindrome da insulino-resistenza (HOMA IR >2.1) in tutti i cen- tri, eccetto a Montenerodomo (HOMA IR = 1.7). L’analisi dei dati relativi all’assunzione dei farmaci indica che gran parte dei soggetti residenti in area rurale assume farmaci per il controllo dell’assetto lipidemico e non per il controllo della glicemia. La presenza di sindro- me metabolica, in accordo alla definizione dell’International Diabetes Federation (2006), è stata riscontrata nel 49% dei soggetti residenti in area rurale e nel 40% di quelli residenti in area urbana. Tra i comuni dell’area rurale la più alta prevalenza di sindrome metabolica è osservata nel comune di Pennapiedimonte (64%) e la più bassa nel comune di Gamberale (32%) (dati non mostrati). Per quanto riguarda lo stato antiossidante emergono differenze tra i vari centri per tutti i parametri esaminati (vitamina C, gruppi SH, acido urico e FRAP), differenze che potrebbero essere associate ad una diversa qualità della dieta. E’ necessario sottolineare che l’organismo produce tutta una serie di sostanze circolanti, finalizzate ad altre funzioni biologiche che tuttavia possiedono una marcata attività antiossidante e con- temporaneamente utilizza molti composti di origine alimentare, di tipo vitaminico e non, dotati di azione antiossidante, che si caratterizzano per il diverso meccanismo d’azione, per la specificità dei siti d’intervento e per l’effetto sinergico globale da essi esplicato. Per tale ragione è stato misurato il FRAP quale misura di capacità antiossidante totale. E’ da sottoli- neare che i risultati esposti riguardanti il profilo ematochimico sono di carattere prettamen- te descrittivo. Un’analisi più approfondita dei risultati permetterà di valutare l’associazione tra qualità della dieta e parametri biochimici di interesse nutrizionale considerando anche la presenza di elementi che potrebbero essere confondenti (vedi farmaci) e studiare l’eventuale esposizione al rischio di patologie derivanti dall’associazione tra dieta e stile di vita.

229 Tabella 8. Quadro lipidemico, quadro glicemico FRAP, vitamina C, Acido Urico e gruppi SH dei volonta- ri divisi per centro (media ±d.s.) MON PIZ GAM LdP PEN P* C S CxS Colesterolo totale (mg/dl) 171.0±38.9 179.8±32.7 185.0±32.4 175.5±34.1 181.9±34.4 n.s. n.s. n.s. HDL colesterolo (mg/dl) 51.6±8.7a,c 56.9±13.3c 64.6±24 b,c 46.3±8.3a 44.6±10.5a 0.000 0.000 n.s. LDL colesterolo (mg/dl) 93.6±38b,c 94.2±30a,c 96.5±27b,c 104.9±32b,c 113.2±29b 0.008 n.s. 0.008 Trigliceridi (mg/dl) 128.9±53.0 143.7±81.8 119.3±78.0 108.5±50.8 133.8±80.3 n.s. 0.001 0.05 Colesterolo totale / 3.4±0.85 3.3±0.73 3.1±0.90 3.9±0.98 4.3±1.2 0.000 0.007 n.s. HDL colesterolo 3.4±0.85 3.3±0.73 3.1±0.90 3.9±0.98 4.3±1.2 0.000 0.007 n.s.

Glucosio (mg/dl) 101.7±12.2 103.9±22.1 107.3±18.0 105.6±22.7 109.9±18.1 n.s. 0.04 n.s. Hb glicosilata (%) 5.58±0.37 5.56±0.46 5.74±0.48 5.71±0.69 5.78±0.54 n.s. n.s. n.s. Insulina (mU/l) 6.7±4.5a 9.6±4.3 a,c 9.9±8.3a,c 13.8 ±16.8b,c 9.7±4.3a,c 0.000 0.02 0.001 HOMA IR 1.7±1.3 a 2.6±1.7a,c 2.7±2.5a,c 3.8±4.9b,c 2.7±1.6a,c 0.000 0.001 0.001

FRAP (μmol/l) 842±129a 814±166a 846±176a,d 990±185b,c 938±156c,d 0.000 0.000 n.s. Vitamina C (mg/dl) 0.74±0.2a 1.27±0.3b 1.10±0.3b,c 1.06±0.3c,d 0.84±0.3 a,d 0.000 n.s. n.s. Acido Urico (mg/dl) 6.1±0.8a 5.6±0.8b,c 5.2±0.9b 6.1±0.6a,b,c 5.8±0.6 a,c 0.01 0.000 n.s. SH (μmol/l) 556±75a,b 522±99a 510±69a 528±61a 604±95b 0.005 0.001 0.03

Rurali Urbani 0.05 n.s. Colesterolo totale (mg/dl) 178.9±34.1 180.6±32.0 n.s. 0.05 n.s. HDL colesterolo (mg/dl) 53.2±15.1 53.8±13.9 n.s. 0.000 n.s. LDL colesterolo (mg/dl) 99.6±31.6 111.8±35.2 0.000 n.s. n.s. Trigliceridi (mg/dl) 131.3±73.3 111.5±66.9 0.002 0.000 n.s. Colesterolo totale / HDL colesterolo 3.9±0.99 3.4±0.91 n.s. 0.000 0.05 n.s. Glucosio (mg/dl) 105.4±19.5 100.3±16.7 0.005 0.002 n.s. Hb glicosilata (%) 5.6±0.53 5.5±0.45 0.009 n.s. n.s. Insulina (mU/l) 9.7.0±7.9 8.9±5.8 n.s. n.s. n.s. HOMA IR 2.6±2.4 2.3±2.3 n.s. 0.01 n.s.

FRAP (μmol/l) 871±173 845±140 0.004 0.000 n.s. Vitamina C (mg/dl) 1.05±0.37 1.10±0.40 n.s. 0.000 n.s. Acido Urico (mg/dl) 5.7±0.8 5.5±0.5 0.000 0.000 0.03 SH (μmol/l) 543±92 549±131 n.s. 0.000 n.s. MON= Montenerodomo; PIZ= Pizzoferrato; GAM= Gamberale; LdP= Lama dei Peligni; PEN= Pennapiedimonte Analisi statistica: *P= ANOVA: C=differenze tra centri, S= differenze tra sessi; CxS =interazione centro x sesso Lettere diverse sulla stessa riga indicano differenze statisticamente significative (P<0.05)

230 Lo studio prevedeva la valutazione delle interazioni tra dieta, stile di vita e stato di nutri- DISCUSSIONE E zione di un gruppo di popolazione residente in un’area rurale del Parco Nazionale della Majella, successivamente paragonato con un gruppo di popolazione residente in aree urba- CONCLUSIONI ne. Gli studi che si riferiscono alla valutazione di eventuali differenze tra ambiente urbano e rurale in Italia sono scarsi e quelli presenti in letteratura sono svolti prevalentemente nei paesi extraeuropei e prendono in analisi specifiche fasce di età (Wojtyła et al., 2011; Dean e Sharkey, 2011; Ismailov e Leatherdale, 2010; Torres et al., 2014).

I risultati ottenuti evidenziano nel contesto rurale una maggiore prevalenza di sovrappeso e obesità rispetto a quello urbano. La percentuale dei volontari rurali in sovrappeso o obesi (72%) è molto elevata, circa il doppio rispetto a quella riportata nell’indagine PASSI sia per quanto riguarda l’Italia (42.0%) che l’Abruzzo (42.7%). A tale riguardo è da sottolineare che tale differenza potrebbe essere dovuta al fatto che nell’indagine PASSI i dati relativi a peso e statura sono auto riferiti e raccolti tramite interviste telefoniche, mentre nel cam- pione analizzato in questo lavoro le misure antropometriche sono state rilevate mediante procedure standardizzate. E’ stato, infatti, dimostrato che nel caso di dati riportati si tende a sottostimare il peso e a sovrastimare la statura con conseguente sottostima dell’IMC e quindi della prevalenza del sovrappeso e dell’obesità (Ciarapica et al., 2010). Parallelamente alla maggiore prevalenza di sovrappeso e obesità si osserva anche una maggiore percentuale di soggetti a rischio cardiovascolare (43.9% vs 27.8%) e con sindrome metabolica (48.6% vs 40.0%).

L’analisi di alcuni fattori di rischio evidenzia modeste differenze tra i comuni esaminati con un’aderenza alla dieta mediterranea medio-bassa, con un buon apporto medio di frutta e verdura, ma un consumo elevato di lipidi. La percentuale di energia derivante dai lipidi totali è maggiore delle raccomandazioni riportate nei LARN (SINU, 2012) (circa il 38.0% vs 20-35%), mentre i carboidrati si attestano intorno al limite minore (circa il 47.0% vs 45- 60%). Non emergono differenze significative tra soggetti residenti in aree rurali e quelli re- sidenti in aree urbane. Si conferma il trend che si osserva nella popolazione generale italiana (Sette et al., 2011). Sebbene sia necessaria un’analisi dei risultati più specifica e approfondita al fine di evidenziare interrelazione causali tra i vari fattori esaminati, i risultati ottenuti per- mettono di ipotizzare che anche le popolazioni rurali risentano dei cambiamenti associati alla globalizzazione che portano all’omogeneizzazione degli stili alimentari.

L’indagine economica, i cui risultati sono riportati nel capitolo precedente, ha evidenziato differenze tra i Comuni analizzati. In alcuni di essi vi è una forte tenuta dell’agricoltura e dunque sia delle produzioni locali che nel mantenimento di biodiversità. Infatti, laddove c’è richiesta e consumo di prodotti autoctoni vi è garanzia del mantenimento e della valo- rizzazione della biodiversità locale che trova un “mercato” di sbocco, locale ed extra-locale. In queste aree le aziende agricole rappresentano un effetto sostituzione rispetto alle piccole attività commerciali (di fatto sparite o comunque sensibilmente ridotte rispetto al passato) e ciò comporta anche un freno al dilagare di consumi di prodotti non locali. In altri Comuni, invece, si registra un completo abbandono delle attività produttive con forti contaminazio- ni non solo delle produzioni delle aree limitrofe, ma soprattutto con i prodotti della GDO che comunque hanno raggiunto anche zone molto periferiche. Il potere di penetrazione dei prodotti “globali” è infatti ramificato e in grado di raggiungere la popolazione che vive in piccoli centri di montagna che, pur conservando ancora saldamente tradizioni produttive e prodotti locali, sta perdendo la consapevolezza dei propri tesori, la memoria e la produ- zione degli stessi. Politiche di valorizzazione e di sensibilizzazione verso le tipicità avviate a livello europeo, nazionale, regionale, locale (GAL, Parco, ARSSA), riescono solo in parte ad arginare questa progressiva perdita. La minaccia dell’erosione dei patrimoni vegetali, animali e delle tradizioni locali, della montagna, delle aree rurali più marginali, è concreta e

231 sempre più forte. Tutto questo si riflette inevitabilmente sulle scelte del consumatore. Sono soprattutto i più giovani ad avere consumi più “globalizzati” ed emerge che non vi è una consapevolezza dell’importanza del consumo di prodotti locali e la percezione dell’impor- tanza di valorizzare la biodiversità autoctona è molto bassa. Mediamente, anche gli esercizi commerciali dettaglianti non hanno un forte legame con i produttori locali.

In conclusione i risultati riportati evidenziano nella popolazione rurale un’elevata prevalen- za di sovrappeso e obesità anche a fronte di una discreta attività fisica e un più moderato intake alimentare di lipidi, e carboidrati rispetto al segmento urbano. Sebbene i risultati presentati in questo lavoro siano solo descrittivi è possibile ipotizzare che anche le popola- zioni rurali risentano dei cambiamenti associati alla globalizzazione che portano all’omo- geneizzazione degli stili alimentari. I risultati dell’indagine nutrizionale e socio-economica rafforzano la necessità di azioni congiunte tra i vari attori istituzionali finalizzate ad una maggiore divulgazione territoriale dell’importanza sia di una sana e corretta alimentazio- ne per il mantenimento di un buono stato di salute sia della necessità del mantenimento della biodiversità dei prodotti locali. I prodotti locali dovrebbero essere considerati come plus per lo sviluppo rurale in aree sostenibili, per poter incrementare l’offerta sui mercati nazionali e internazionali ed essere utilizzati come potenziale di sviluppo per la produzione agricola e per il territorio nel suo complesso, al fine di migliorare reddittività e competitività dei produttori locali e delle piccole e medie imprese migliorando la qualità della vita e della dieta della popolazione locale.

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234 STUDIO IN “VITRO” E IN “VIVO” DI UNA DIETA ARRICCHITA CON ALIMENTI A BASE DI GRANO SOLINA DI DERIVAZIONE ABRUZZESE Merendino N.1, D’Aquino M.2, Costantini L.1, Molinari R.1. 1Laboratorio di Nutrizione Cellulare e Molecolare, Dipartimento di Scienze Ecologiche e Biologiche (DEB) dell’Università degli Studi delle Tuscia di Viterbo; 2CCREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione È sempre più accreditato nel campo medico-scientifico il ruolo svolto dalla dieta nella INTRODUZIONE prevenzione e/o nel trattamento d’importanti patologie. Questo aspetto ha stimolato, sia da parte dei ricercatori che dell’industria alimentare, l’individuazione di alimenti e/o singoli nutrienti ad attività “Funzionale”, che possano, cioè, contribuire positivamente e significativamente al miglioramento dello stato nutrizionale e di salute dell’uomo attraverso un’azione preventiva o curativa verso alcune importanti patologie croniche quali tumori o malattie cardio-vascolari (Ortega, 2006). Così ad esempio, la presenza negli alimenti di fibra solubile, come inulina e oligofruttosio, o quella di antiossidanti, come vitamina E o composti fenolici, sembra avere un effetto protettivo sulla salute dell’uomo funzionando ri- spettivamente come prebiotici e come agenti preventivi verso la formazione di radicali liberi (Merendino et al., 2014). In quest’ottica la ricerca nel settore agroalimentare sta portando a sviluppare e a rivalutare alcuni alimenti che sono tipici della Dieta mediterranea. Quest’ul- tima è un modello alimentare nutrizionale ispirato alle abitudini alimentari tradizionali di quei Paesi Europei che si affacciano nell’area del Mediterraneo, in particolare Italia, Grecia, Marocco e Spagna. La dieta Mediterranea, infatti, oltre ad assicurare all’organismo una giusta quantità di energia e un corretto apporto di nutrienti, sembra anche prevenire la comparsa delle cosiddette “malattie del benessere”, quali obesità, ipertensione, diabete e, in generale, l’insorgenza della sindrome metabolica. Inoltre la dieta Mediterranea deve essere intesa quale modello di dieta sostenibile. Infatti essa, oltre il valore culturale e il saper man- giare, deve essere anche considerata e valorizzata come sistema sostenibile per l’ambiente, richiamando noi uomini a rivisitare quelle abitudini alimentari che hanno una particolare attenzione per l’ecosistema. La dieta mediterranea, infatti, implica un risparmio del 54% in termini di impronta ecologica e del 59% in termini di emissione di CO2 ( Center for food and nutrition, 2009). Il cibo impatta sull’ambiente con modalità differenti e relative al ciclo di vita del cibo stesso. In particolare, l’impatto si verifica a livello di:

• produzione agricola

• trasformazione

• magazzinaggio

• trasporto

• preparazione

In uno studio condotto in Svezia nel 1997 (Uhlin, 1997), è stato stimato come il 20% di tutta l’energia consumata nel Paese sia connessa alla catena di produzione e consumo di cibo. In sintesi, il cibo ha un impatto rilevante sulle emissioni di CO2, responsabili del cambiamento climatico, e sul consumo di risorse naturali che rende maggiormente critica la capacità della Terra di rigenerarle. In quest’ottica, si è analizzato e stimato l’impatto in termini di CO2 emessa e di impronta ecologica richiesta da due tipologie di dieta oggi prevalenti nel mondo occidentale: la dieta nordamericana e la dieta mediterranea. La dieta nordamericana, che qualifica con forza il modello alimentare presente negli USA, è carat-

235 terizzata da un consumo prevalente di carne e da un crescente consumo di dolci e alimenti contenenti alte concentrazioni di zuccheri e grassi, quindi ad alto contenuto calorico. In sintesi, un individuo che si nutre seguendo la dieta nordamericana ha, ogni giorno, un’im- pronta ecologica di 26,8 m² e immette nell’atmosfera circa 5,4 kg di CO2. Un individuo che si nutre seguendo la dieta mediterranea, ha ogni giorno, un’impronta ecologica di 12,3 m² e immette nell’atmosfera circa 2,2 kg di CO2. I risultati evidenziano come, a parità di quantità e composizione di cibo, la dieta nordamericana abbia un impatto significativamen- te maggiore rispetto a quella mediterranea. L’assunzione, infatti, di 100 calorie con la dieta nordamericana ha un’impronta ecologica superiore di circa il 58% rispetto all’assunzione di

100 calorie con la dieta mediterranea. In termini di Carbon Footprint (emissioni di CO2), invece, 100 calorie assunte attraverso l’adozione della dieta nordamericana generano emis- sioni di CO2 superiori all’80% rispetto all’adozione della dieta mediterranea (Barilla Center for food and nutrition, 2010).

Al di là dell’etichetta “Dieta Mediterranea”, che diventerebbe solo oggetto di scambio e marketing, questo modello alimentare vuole recuperare quei modi, quel patrimonio e quel- lo stile di vita mediterranea propri dell’uomo che condivide il cibo secondo i costumi e gli usi tipici del suo territorio.

La dieta mediterranea è non solo modello alimentare di qualità, ricco e sano, ma anche una risorsa culturale per lo sviluppo sostenibile del Mediterraneo, parte integrante del patrimo- nio sociale, storico, economico, artistico e paesaggistico dei popoli che abitano quest’area. E, proprio per questo motivo, Spagna, Italia, Grecia e Marocco hanno ottenuto dall’UNE- SCO il riconoscimento della dieta mediterranea quale “Patrimonio culturale immateriale dell’umanità”, già riconosciuta da OMS e FAO. Essa rappresenta, quindi, uno stile di vita importante sia come patrimonio artistico transnazionale comune a tutta l’area sia come espressione di ciascuna delle singole comunità che la compongono, incorporandone saperi, sapori, prodotti alimentari e coltivazioni. Tanto si parla di dieta mediterranea come un modello che soddisfa le esigenze di ogni organismo umano ma risulta impensabile quindi, attuare una dieta di questo genere a livello mondiale.

Il nostro primo piatto nazionale, la pasta, continua a essere la base della nuova piramide ali- mentare (Figura 1); la piramide alimentare, stilata dalla Food Guide Piramide, è stata diffusa negli Stati Uniti a partire dal 1992 dalla Human Nutrition Information Service dell’ USDA (United States Departement of agricolture), essa prende come riferimento la dieta mediterra- nea e visualizza, appunto, su una piramide, i concetti fondamentali per una sana alimenta- zione, partendo dal presupposto che molte malattie, cosiddette della “civilizzazione”, sono legate anche ad una cattiva alimentazione. L’idea nutrizionale di questa piramide è quella di visualizzare le proporzioni di cibi che contribuiscono allo schema alimentare di una dieta sana ed equilibrata. Concepita come modello alimentare per la popolazione adulta in gene- rale, la piramide deve essere modificata per adattarsi alle esigenze dei bambini, delle donne in gravidanza ed altri gruppi particolari di persone (Bach-Faig et al., 2011). La piramide si fonda su cinque messaggi base:

• varietà del cibo;

• stagionalità;

• moderazione;

• migliore tecnica di cottura;

• presenza ogni giorno di alimenti appartenenti ai 7 gruppi fondamentali.

236 La piramide alimentare si propone come schema visivo per educare le persone ad alimen- tarsi correttamente e colpisce per l’immediatezza della comunicazione. Essa si è affermata, infatti, in tutto il mondo come modello per un’alimentazione sana ed equilibrata. Ogni cul- tura (asiatica, mediterranea, americana) presenta, in realtà, peculiarità specifiche facilmente adattabili allo schema alimentare della piramide.

Figura 1. Piramide alimentare (Bach-Faig et al., 2011).

Tornando a parlare della pasta, alimento simbolo della dieta mediterranea, ma ormai di casa nelle cucine dei cinque continenti, in questi ultimi anni ha avuto la capacità di superare confini culturali e geografici innescando nuove tendenze di consumo. Rappresenta così, se mangiata in quantità moderate, un ottimo veicolo per assumere ingredienti che mostra- no effetti benefici sulla salute umana; coinvolgendo altri cereali minori, spesso purtroppo poco valutati, come: orzo, avena, farro e grano saraceno (pur non essendo un cereale). Già sul mercato troviamo paste preparate con materie prime non tradizionali, per il momento acquistate quasi esclusivamente da consumatori di nicchia che mostrano sintomi di intolle- ranza (reazione a un determinato alimento che può riguardare ogni componente degli alimenti: protidi, glucidi, additivi etc.), un esempio è dato dal morbo celiaco, intolleranza permanente al glutine: il glutine è un complesso proteico a consistenza elastica presente in alcuni cereali, in particolare: frumento, segale, orzo e miglio. Il glutine si forma quando le proteine: glu- tenina e gliadina si combinano con l’acqua. L’intolleranza alla frazione proteica del glutine, gliadina chiamata prolamina è l’origine del morbo celiaco (intesa come malattia del ventre). Questa frazione proteica eserciterebbe, infatti, una certa tossicità verso la mucosa intestinale causandone l’infiammazione, in quanto, essendo molecole antigeniche e presenti sulla su- perficie delle cellule intestinali, verrebbero riconosciute come no-self dal sistema immunita-

237 rio come se non appartenessero all’organismo e scatenerebbero la formazione di anticorpi e fenomeni autoimmuni. L’unica cura per evitare la comparsa dei sintomi è rappresentata da una dieta priva di alimenti che contengono glutine. Uno di questi prodotti potrebbe essere riconosciuto nel grano saraceno, anche se con difficoltà può essere considerato tipico delle zone mediterranee a cui il nostro Paese appartiene. Se da un lato, però, le linee per una sana alimentazione si sono per lo più indirizzate alla dieta mediterranea con prodotti tipici di questa area geografica, si sente la necessità di studiare alimenti che abbiano caratteristiche e tradizioni diverse; questo anche favorito oltre che da aspetti salutistici, anche di rivalutazio- ne dei prodotti tipici regionali (Bonafaccia, 2000).

Questa esigenza viene anche dalla considerazione che il consumo in quantità sempre mag- giore di pane, pasta, pizza ed altri cibi contenenti glutine in tutto il mondo ha portato negli ultimi anni ad un incremento significativo della frequenza delle reazioni avverse al glutine con un range sempre più ampio di manifestazioni. Fra i fattori che hanno condi- zionato questo incremento di intolleranza al glutine un ruolo di primo piano va attribuito alla selezione, per ragioni più tecnologiche che nutrizionali, di varianti di grano con più alto contenuto in peptidi tossici, coinvolti nella composizione del glutine. Le proteine del glutine sono scarsamente digerite nello stomaco umano e giungono a contatto con la pa- rete intestinale ancora intatte o in frammenti di grosse dimensioni in grado di scatenare reazioni avverse di varia natura. Negli ultimi anni l’ingestione del glutine è stata legata ad una serie di disturbi clinici. Questi disturbi rappresentano un fenomeno epidemiologi- camente rilevante con una prevalenza stimata globale di circa il 5% (Catassi et al., 2013; Inomata, 2009; Volta et al., 2014; Buscarini et al., 2014). La malattia celiaca, l’allergia al grano e la sensibilità al glutine (non-celiac gluten sensitivity, NCGS) rappresentano diversi disturbi legati al glutine. In queste patologie possono essere osservate manifestazioni clini- che simili, ma ci sono peculiarità patogenetiche coinvolte nel loro sviluppo. La celiachia e l’allergia al grano sono stati ampiamente studiati, mentre la sensibilità al glutine non celiaca è una patologia dal punto di vista clinico relativamente nuova e strettamente correlata ad altre patologie gastrointestinali; questi soggetti sono rimasti per anni in un vero e proprio limbo, venendo spesso scambiati per pazienti affetti da sindrome dell’intestino irritabile o con problematiche di tipo psichiatrico. La diagnosi della malattia celiaca e dell’allergia al frumento si basa su una combinazione di dati provenienti dalla storia clinica del paziente e test specifici tra cui sierologia e biopsie duodenali nel caso della malattia celiaca (reazio- ne autoimmune cellula T-mediata viene innescata da peptidi del glutine) (Rubio-Tapia e Murray, 2010); l’allergia al frumento rappresenta un altro tipo di reazione immunologica avversa alle proteine contenute nel grano e nei cereali correlati, in questa patologia gli an- ticorpi immunoglobulina E (IgE) mediano la risposta infiammatoria a diversi proteine al- lergeniche [inibitore alfa-amilasi / tripsina, Proteina di trasferimento lipidico non specifico (nsLTP), gliadine, glutenine ad alto peso molecolare (Ludvigsson et al., 2013). La NCGS è ancora principalmente una diagnosi di esclusione, i pazienti affetti da NCGS di solito riferiscono un’ampia gamma di sintomi intestinali e extraintestinali che sorgono poco dopo l’ingestione di alimenti contenenti glutine ma in assenza di sintomi tipici delle due prece- denti patologie come la produzione di anticorpi e l’atrofia dei villi. Sebbene i meccanismi patogenetici che portano all’insorgenza di NGCS siano ben lontani dall’essere chiaramente compresi, l’opinione comune è che non sia un processo autoimmune e allergico (Aziz et al., 2014). La sintomatologia clinica di NCGS include sintomi gastrointestinali, come il dolore e il gonfiore addominale, alterata evacuazione intestinale, a livello sistemico sintomi quali stanchezza, mal di testa, dolore alle ossa o alle articolazioni, disturbi dell’umore e ma- nifestazioni cutanee (ad es. Eczema o eruzione cutanea) (Sapone et al., 2012). I sintomi di solito sono strettamente associati al consumo di glutine e scompaiono dopo l’eliminazione dalla dieta di quest’ultimo. Contrariamente alla celiachia e alle allergie al grano, non ci sono chiari criteri serologici o istopatologici per confermare la diagnosi di NCGS; gli anticorpi

238 TTG, EMA e IgA, sono sempre negativi in NCGS, tuttavia è stata rilevata la presenza di IgG antigliadina nel 50% dei pazienti, mentre IgA antigliadina raramente (7%) (Volta et al., 2012). Per quanto riguarda i danni intestinali, in alcuni casi si è verificato un aumento del numero dei linfociti infiltranti l’epitelio (Sapone et al., 2012); inoltre si è notato che la frequenza di NCGS è superiore nei parenti di primo grado dei pazienti celiaci e i genotipi HLA-DQ2 e DQ8 sono presenti nel 50%dei pazienti NCGS (Carroccio et al., 2012). Ad oggi l’NCGS è principalmente una “diagnosi di esclusione” ed è spesso associata alla sindro- me dell’intestino irritabile (IBS) data l’evidente sovrapposizione dei sintomi (Verdu et al., 2009). Inoltre, è stato osservato che in entrambe le patologie i pazienti migliorano dopo la riduzione dietetica di FODMAP (fermentable, oligo-, di-, monosaccharides, and polyols) (Shepherd et al., 2014) e che i pazienti IBS, in particolare quelli con il sottotipo IBS-D (diarrea), beneficiano di una dieta senza glutine (Vazquez-Roque et al., 2013). Le recenti prove sull’efficacia di una dieta a basso contenuto di FODMAPs in questo sottogruppo di pazienti suggerisce l’ipotesi che alcuni componenti del grano diverse dal glutine possano essere responsabili dell’instaurarsi dei sintomi (Shepherd et al., 2008; Gibson e Shepherd, 2010). Infatti, oligosaccaridi come i fruttani, contenuti in grano e cereali correlati, sono in grado di esercitare un effetto osmotico nell’intestino e aumentare la produzione di gas in seguito a fermentazione ad opera dei batteri (Gibson e Shepherd 2012; Muray et al., 2014). Altre proteine vegetali contenute nel grano, come lecine, agglutinine e amilossitossina ini- bitori, possono avere un ruolo nello sviluppo dei sintomi dopo l’ingestione dei cereali In- nescando la risposta immunitaria innata (Junker et al., 2012; Dalla Pellegrina et al., 2009).

A seguito delle considerazioni fatte precedentemente, negli ultimi anni la ricerca scientifica ha rivolto la propria attenzione allo studio di cereali antichi; questi cereali hanno subito meno manipolazioni da parte dell’uomo e quindi presentano meno allergeni e risultano essere più digeribili e con contenuti più elevanti di antiossidanti rispetto ai grani moderni (Merendino et al., 2006). In particolare la Solina (Triticum aestivum L. subsp. vulgare Host.) è un grano tenero molto antico, molto rustico e adatto alla coltivazione in terre mar- ginali di montagna, citato in documenti che risalgono al 500 d.C.; viene coltivata in tutte le aree montane dell’Abruzzo, ha una bassa resa per ettaro, ma resiste a condizioni limite, poiché sopporta sia il freddo che la siccità e viene considerato, dalla tradizione contadina, come il migliore cereale per la panificazione, per la produzione di dolci tipici e la prepara- zione di paste tradizionali fatte a mano. Inoltre molti produttori suggeriscono che la Solina sia preziosa perché è una varietà di frumento a basso tenore di allergeni, con meno glutine e di diversa qualità, più digeribile. Tuttavia, nonostante queste importanti qualità, una vera e propria caratterizzazione nutrizionale non è stata mai fatta, almeno da un primo esame della letteratura scientifica nazionale e internazionale. Se si considera che diversi studi sui grani antichi dimostrano che essi contengono molte fibre idrosolubili come ad esempio β - gluca- ni (in un range di 3.2 – 18.0 g/Kg,) e un glutine meno allergenico (Benedetti et al., 2012) uno studio più approfondito su questo cereale sembra essere particolarmente interessante.

L’obiettivo principale del lavoro è stata la caratterizzazione chimica del grano antico Solina e la valutazione degli effetti biologici in “vitro“ e in “vivo“, ed in particolare:

• determinare la presenza di fibre come i β glucani; • determinare il contenuto di glutine; • determinare il contenuto in polifenoli; • determinare la capacità antiossidante sia in “vitro” che in “vivo”; • determinare l’immunogenicità sia in “vitro” che in “vivo”;

239 MATERIALI E Il grano Solina è stato fornito da due diverse aziende agricole situate in paesi diversi della provincia dell’Aquila. Il grano è stato utilizzato per produrre sia la farina integrale che quella METODI raffinata. Come controllo è stato utilizzato un grano tenero commerciale. Un grammo di sostanza è stata mescolata con 50 ml di metanolo 80% e messa in agitazione per otto ore a temperatura ambiente, al fine di estrarre dalla matrice i composti bioattivi. I campioni (estratti in triplicato) sono stati centrifugati a 10000 RPM per 10 min e il supernatante recuperato aliquotato e conservato a -80°C fino al momento delle analisi. Il contenuto in polifenoli totali è stato determinato con il metodo di Folin-Ciocalteau (Sin- gleoton e Rossi, 1965) e i risultati sono stati espressi come milligrammi di acido gallico equivalenti per grammo di sostanza (mg GAE/g). La capacità antiossidante dei campioni è stata analizzata mediante il test FRAP (Benzie e Strain, 1999) e i risultati sono stati espressi come μM Fe equivalenti/ g.

L’analisi dei beta-glucani nei campioni è stata eseguita secondo le linee guida del metodo standard ICC n°166 utilizzando il Kit Mixed-Linkage beta-Glucan (Megazyme, Ireland); i risultati sono stati espressi come g/100g.

L’estrazione delle proteine dai campioni di farina è stata eseguita impiegando, in sequenza, solventi differenti, in modo di ottenere frazioni diverse, che sulla base della solubilità pos- sono essere distinte in proteine solubili (albumine e globuline, solubili in soluzioni saline); e prolamine (gliadine e glutenine) (Valeri et al, 2015). Ciascun campione di farina è stato estratto prima in acqua distillata, in rapporto 1:5 (p/v), successivamente in agitazione per 30 minuti a temperatura ambiente. L’estratto così ottenuto è stato centrifugato a 7000 rpm per 5 minuti e il supernatante limpido è stato stoccato a -20 °C. La frazione è costituita dalle albumine. Il pellet ottenuto dopo l’estrazione delle albumine è stato estratto con una soluzione di NaCl 0.5 M in rapporto 1:4 (p/v), in agitazione per 30 min a temperatura ambiente. La sospensione è stata quindi centrifugata a 3500 rpm per 5 minuti è costituita dalle globuline. Il pellet è stato nuovamente estratto con isopropanolo 50% in agitazine per 30 minuti e poi centrifugato a 3500 rpm per 5 minuti. Il surnatante recuperato rappresenta la frazione delle gliadine. Il pellet è stato infine estratto con isopropanolo 50% e DTT 1% per estrarre le glutenine. La frazione delle gliadine è stata successivamente sottoposta a dige- stione a 37°C con pepsina (Sigma) a pH 2 per 2 ore e successivamente con tripsina (Sigma) pH 8 per 4 ore per portare alla formazione dei peptidi tra cui quello immunogenico; infine gli enzimi sono stati disattivati portando il pH a 7. Una frazione di gliadine commerciale (Sigma) è stata sottoposta allo stesso processo di digestione. Tutti i campioni digeriti sono stati liofilizzati e conservati a -20°C fino al momento dell’utilizzo, quando sono stati riso- spesi in terreno di coltura. La quantificazione del glutine presente nelle materie prime è stata effettuata utilizzando il kit Glutine Elisa kit (ASTORI, Italia).

Dopo aver valutato le qualità del grano Solina e dei prodotti da esso derivato in termini di capacità antiossidante, contenuto di polifenoli, beta glucani e glutine, successivamente abbiamo valutato gli effetti in vitro di questi prodotti utilizzando come modello cellule dell’epitelio intestinale.

Il modello di assorbimento intestinale basato sulle cellule Caco-2, isolate da un adenocar- cinoma colon-rettale umano, è un sistema in vitro ben caratterizzato che rende possibile studiare la tossicità orale di tutte quelle sostanze che vengono ingerite intenzionalmente o accidentalmente, definire il loro meccanismo di trasporto attraverso la barriera intestinale, e quindi determinare la biodisponibilità delle stesse nel sangue e nei tessuti. Le cellule, durante il processo di crescita in vitro, si polarizzano e differenziano formando un epitelio continuo (mono-strato) con giunzioni strette funzionali e microvilli a livello apicale. Il

240 mono-strato separa il modello in due comparti ben distinti: uno apicale, corrispondente al lume intestinale in vivo e uno baso-laterale che corrisponde al comparto della circolazione sanguigna e linfatica dell’organismo. Per questo motivo il modello di assorbimento con le Caco-2 può fornire informazioni sul comportamento delle cellule intestinali in vivo in ri- sposta alle sostanze somministrate oralmente. La possibilità di coltivare le cellule Caco-2 in condizioni sperimentali che ne alterano la permeabilità e la funzionalità inducendo un mo- dello di stress (es. in presenza glutine) rende il modello adatto a mimare in vitro situazioni di perdita di omeostasi della barriera intestinale. Le cellule Caco-2 (5x104 cellule/pozzetto) sono state messe in coltura in piastre con pozzetti che permettono la crescita in multistrato e dopo aver raggiunto la confluenza sono state lasciate differenziare per 21 giorni, cambiando il terreno di coltura ogni 2 giorni (DMEM).

Le gliadine digerite sono state utilizzate per il trattamento in vitro delle cellule Caco 2 per valutare la risposta infiammatoria (produzione di citochine). Come controlli sono stati uti- lizzati la gliadina purificata e digerita, acquistata dalla Sigma, e il peptide immunogenico P31-43. Le cellule sono state esposte a una concentrazione di 1mg/ml di gliadina commer- ciale o estratta dai campioni digerita o con 50 mg/ml (Capozzi et al., 2013) del peptide per 24 ore, trascorso il tempo di incubazione è stato recuperato il sopranatante utilizzato per l’analisi delle citochine pro-infiammatorie (TNF-alfa, IL6, IL8, Bosterbio, CA, USA) e delle prostaglandine E (PGE, Cayman Chemical, Mi, USA).

Per gli studi sui ratti in una prima fase è stata messa a punto e prodotta una pasta arricchita con grano Solina nelle varietà precedentemente descritte. Successivamente è stata formulata una dieta in modo che gli animali sperimentali abbiano una quantità giornaliera di circa 10 mg/kg di pasta. Per lo studio è stato utilizzato un modello sperimentale che prevedeva l’uso di ratti del tipo Zucker fatty (fa/fa), definiti ratti pesanti, affetti da sindrome metabolica (insulino resistenza, dislipidemia e obesità genetica) e di ratti Zucker (fa/+), definiti leggeri (lean rats), usati come controllo.

• I ratti sono stati divisi in quattro gruppi sperimentali di dieci ratti ciascuno così strut- turati:

• Il primo gruppo, definito CH, costituito da ratti controllo (ratti leggeri, fa/+), a cui veniva inserita nella dieta la pasta commerciale integrale.

• Il secondo gruppo, definito CO, costituito da ratti controllo (ratti leggeri fa/+), a cui veniva inserita nella dieta la pasta fatta con grano Solina integrale in quanto più ricca di antiossidanti.

• Il terzo gruppo, definito PH, costituito da ratti pesanti (fa/fa), a cui veniva data la pasta commerciale integrale.

• Il quarto gruppo, definito PO, costituito da ratti pesanti (fa/fa), a cui veniva inserita nella dieta la pasta fatta con grano Solina integrale.

Tutti i gruppi sono stati alimentati per sei settimane con una dieta ricca in grassi (Tabella 1). Gli animali avevano libero accesso a cibo e bevande e sono stati pesati settimanalmente. La somministrazione di pasta è stata interrotta due giorni prima del termine del periodo sperimentale al fine di studiare gli effetti a lungo termine (effetti cioè dovuti all’assunzione cronica). Inoltre i ratti sono stati posti a digiuno circa 12 ore prima del sacrificio al fine di uniformare le valutazioni dei livelli serici di parametri biologici. Allo scadere delle sei setti- mane i ratti sono stati sacrificati e prelevato loro il sangue da cui è stato separato il plasma. Sul plasma sono state eseguite una serie di analisi per determinare il profilo lipidico, lo stato ossidativo e lo stato infiammatorio. Per quanto riguarda il profilo lipidico sono stati deter-

241 minati i livelli di colesterolo totale, HDL, LDL + VLDL e trigliceridi; in riferimento allo stato infiammatorio sono stati inoltre determinati i livelli di proteina C reattiva e, tramite test ELISA, il TNF-gamma e IL-6. Per analizzare infine lo stato ossidativo sul plasma sono stati effettuati i test FRAP ed Orac.

Analisi statistica Tutti i risultati sono stati espressi come media ± deviazione standard (DS) di tre determinazioni e sono stati analizzati mediante analisi della varianza (ANOVA) segui- ta da Student t-test. Sono state considerate significative le differenze di P ≤ 0.05.

Tabella 1. Composizione della dieta utilizzata per la sperimentazione animale

g/kg diet

Casein 190 DL-methionine 3 Corn Starch 215 Maltodextrin 75 Sucrose 290 Cellulose 30 Butter fat 44,2 Corn oil 118 Mineral mixture 40 Vitamin mixture 11 Energy (Kcal/g) 4,41 Protein (% energy) 16,8 Carbohydrate (% energy) 51,4 Fat (% energy) 31,8

RISULTATI Sui campioni di farina raffinata e integrale di grano Solina e sulla farina raffinata com- merciale sono state condotte analisi per determinare il contenuto di beta-glucani, glutine, polifenoli e capacità antiossidante. Come si può notare dalla Tabella 2 le due farine di grano Solina integrale presentano una capacità antiossidante più elevata rispetto a quella delle corrispettive raffinate e lo stesso andamento si può osservare anche per il contenuto in beta glucani, risultati dovuti alla presenza di fibre presenti nei campioni integrali. Le due farine raffinate di grano Solina non hanno una capacità antiossidante significativamente diversa a quella della farina commerciale né un contenuto in beta glucani maggiore

L’analisi dei polifenoli totali mostra che le due farine integrali di Solina hanno una concen- trazione significativamente più alta rispetto alle farine raffinate, mentre non ci sono diffe- renze tra queste ultime e la farina commerciale. Le gliadine estratte dai vari campioni e la gliadina commerciale e sottoposte a digestione con pepsina e tripsina (PT-gliad) sono state utilizzate per trattare le cellule Caco2, come controllo è stato il peptite purificato P31-43.

242 Tabella 2. Analisi della capacità antiossidante totale (FRAP), del contenuto di polifenoli, glutine e beta -glucani nei campioni di farina Solina. Fe2+eq: equivalenti; GAE: acido gallico equivalenti. I risultati sono espressi come media ± d.s di tre diverse estrazioni. Valori in colonna con lettere diverse sono statisticamente significativi per p≤0,05.

FRAP Polifenoli Glutine b-glucani mM Fe2+eq mg/g GAE mg/g g/100g

Solina1 243,5 ± 3,5c 5,6 ± 0,2b 6,6 ± 0,2a 0,11 ± 0,03b Solina2 237,0 ± 4,8c 5,8 ± 0,1b 6,8 ± 0,5a 0,15 ± 0,05b Solina Int 1 983,1 ± 9,2a 7,6 ± 0,2a 7,2 ± 0,5a 0,38 ± 0,02a Solina Int 2 933,5 ± 8,7b 7,2 ± 0,3a 6,2 ± 0,3a 0,41 ± 0,02a

Farina tenera comm. 234,2 ± 3,8c 5,4 ± 0,5bb 6,8 ± 0,4a 0,10 ± 0,01b

Come evidenziato in Tabella 3 la quantità di IL8 prodotta nelle cellule trattate con la glia- dina estratta dai campioni di Solina non differisce significativamente da quella prodotta dalle cellule trattate con gliadina commerciale e con quella della farina commerciale. È in- teressante notare come il trattamento con le diverse gliadine porti ad una produzione della citochina infiammatoria paragonabile a quella indotta dal peptide P31-43, confermando che il grano Solina contiene delle gliadine con lo stesso potere immunogenico di quello delle gliadine del grano moderno. Le analisi condotte per determinare la produzione di altre citochine infiammatorie (IL6, TNf-alfa) e della PGE confermano i risultati precedenti.

Riguardo agli studi in “vivo” su ratti alimentati con pasta preparata con farina Solina anche in questo caso non sembrano esserci differenze significative dei parametri analizzati. In particolare le analisi della crescita (Figura 2), le analisi infiammatorie (Tabella 4), le analisi lipidemiche (Tabella 5) non mostrano differenze significative all’interno dello stesso gruppo di animali. Mentre per lo stato ossidativo sembra esserci un leggero incremento nei ratti alimentati con la pasta contenente la farina Solina (Tabella 6). L’analisi del contenuto di glutine non ha mostrato differenze significative tra le varie matrici.

Tabella 3. Analisi della citochine prodotte dalle cellule Caco2 dopo stimolazione per 24 h con le gliadine estratte dai vari campioni di farina Solina e sottoposte a digestione. I risultati sono espressi come media ± d.s di tre diversi esperimenti. Valori in colonna con lettere diverse sono statisticamente significativi per p≤0,05. Ctr cellule incubate con il solo terreno

IL8 pg/ml TNF-a pg/ml IL6 pg/ml PGE pg/ml Ctr 30,1 ± 1,7a 4,2 ± 1,7 8,2 ± 1,0a 6,5 ± 1,5a Solina1 66,4 ± 5,3b 13,8 ± 2,1b 18,1 ± 1,2b 12,5 ± 2,5b Solina2 68,2 ± 4,2b 15,0 ± 1,5b 19,2 ± 0,9b 15,9 ± 1,6b Solina Int 1 77,2 ± 3,8b 9,2 ± 3,1b 17,9 ± 1,0b 9,7 ± 2,8b Solina Int 2 73,6 ± 4,3b 15,2 ± 1,8b 18,0 ± 1,1b 14,6 ± 2,1b Farina tenera comm 69,9 ± 2,5b 8,6 ± 2,3b 18,2 ± 1,0b 18,4 ± 2,8b Gliadina 71,2 ± 1,7b 9,1 ± 2,1b 18,1 ± 0,9b 13,1 ± 1,3b Peptide 73,2 ± 2,1b 10,1 ± 1,2b 17,8 ± 1,2b 14,1 ± 1,1b

243 Figura 2. Accrescimento dei ratti in 6 settimane di dieta iperlipidemica

Tabella 4. Concentrazione plasmatica delle citochine

Ratti CH Ratti CO Ratti PH Ratti PO

CRP (mg/ml) 330.6±46.1 368.0 ±45.2 417±54 400 ±37.2 TNF alfa (pg/ml) 55.9 ± 10 59.5 ±4,00 56.8 ±4.5 40.5 ±3.1 IL-6 (pg/ml) 57.3 ±6 49 ± 2,7 69,5 ±2,1 49±2,5

Tabella 5. Concentrazione plasmatica dei lipidi

Ratti CH Ratti CO Ratti PH Ratti PO

Trigliceridi (mg/dl) 56.9±6.7 54.6±1.8 642.2±15 638.7±29.0 Colesterolo Totale (mg/dl) 86.0±11.0 75.3±14.5 168.2±14.2 131.2±20.2 HDL (mg/dl) 26.2±3.1 25.3±5.0 99.1±9.3 76.1±10.0 LDL/VLDL (mg/dl) 54.3±4.3 35.6±3.2 49.5±6.7 35.2±7.1

Tabella 6. Capacità antiossidante plasmatica

Ratti CH Ratti CO Ratti PH Ratti PO

FRAP (mM Fe2+equivalenti) 276.9±21.1 331.3±16.0 565.3±38.8 957.2±34.5*

DISCUSSIONE Gli alimenti sono quei prodotti di origine vegetale o animale adatti a essere consumati dall’uomo con lo scopo fondamentale di fornire all’organismo l’energia e i principi nutritivi necessari al suo sviluppo e mantenimento. Gli alimenti contengono numerosi composti chimici con diverse proprietà nutritive (proteine, grassi, carboidrati, vitamine, minerali) ed anche composti privi di capacità nutritive dirette, come le fibre alimentari e componenti minori ad attività antiossidante. Gli alimenti possono contenere allo stato naturale anche dei composti con effetti antinutritivi (come gli inibitori della tripsina presenti nei legumi crudi) o addirittura tossici, come i glicosidi cianogenetici, i fattori del favismo e tossine di diversa origine. Possono infine ritrovarsi negli alimenti alcuni composti indesiderati, derivanti dalla contaminazioni chimica o biologica, i quali possono però essere eliminati o ridotti con diversi trattamenti. L’assenza o comunque una concentrazione assai bassa di tali

244 sostanze indesiderate (al di sotto delle concentrazioni max ammissibili) è un prerequisito fondamentale per la sicurezza d’uso di un alimento. Inoltre gli alimenti possono recare delle reazioni avverse che sono sia di tipo immunologico che di tipo non immunologico queste sono note con il temine di intolleranze alimentari.

Le intolleranze alimentari possono essere più o meno gravi per il nostro organismo e, tra le tante esistenti, una particolarmente importante è un intolleranza permanente a proteine specifiche che si formano nei cereali note come prolammine. Questa patologia può avve- nire in determinati tipi di individui geneticamente predisposti a questa patologia. Questa intolleranza se trascurata, può portare a cronicizzare una risposata infiammatoria intestinale che si può trasformare in patologie cronico-degenerative come i tumori al colon retto. Ol- tre il morbo celiaco, più recentemente, sta emergendo un’altra intolleranza meno grave e meno definita della precedente nota come sensibilità al glutine. Queste intolleranze, come già menzionato precedentemente, non devono assolutamente essere sottovalutate tuttavia, negli ultimi anni c’è un errato passa parola mediatico dove si sostiene che queste proteine possano essere dannose non solo per le persone sensibili ma per tutta la popolazione e per questo alimenti senza glutine stanno aumentando la loro vendita su tutto il territorio nazionale. Proprio per l’interesse commerciale e nutrizionale la ricerca scientifica sta appro- fondendo la questione della sensibilità al glutine e, negli ultimi anni, ha posto la propria attenzione allo studio di cereali antichi; questi cereali hanno subito meno manipolazioni da parte dell’uomo e quindi sembrano presentare meno allergeni e inoltre alcuni ricercatori hanno ipotizzato che essi siano più digeribili e con contenuti più elevanti di antiossidanti rispetto ai grani moderni.

La Solina (Triticum aestivum L. subsp. vulgare Host.) è un grano tenero molto antico, molto rustico e adatto alla coltivazione in terre marginali di montagna, viene coltivata in tutte le aree montane dell’Abruzzo, ha una bassa resa per ettaro, ma resiste a condizioni limite, poi- ché sopporta sia il freddo che la siccità e viene considerato, dalla tradizione contadina, come il migliore cereale per la panificazione, per la produzione di dolci tipici e la preparazione di paste tradizionali fatte a mano e a basso contenuto di glutine.

Le analisi condotte dal nostro gruppo di ricerca sono state mirate a determinare le caratteri- stiche chimico-nutrizionali del grano Solina proveniente da due diversi paesi della provincia dell’Aquila. Per questo sono stati eseguiti esperimenti sia in vitro che in vivo, per individuare il contenuto in polifenoli, il loro effetto sulla risposta infiammatoria e lipidemia. I risultati hanno dimostrato che:

1. il contenuto di glutine è paragonabile a quello di un grano tenero moderno.

2. il contenuto in polifenoli non differisce in maniera significativa con quello del grano commerciale.

Inoltre le analisi condotte per verificare l’immunogenicità del glutine del grano Solina han- no messo in evidenza, sia con esperimenti in “vivo” che in “vitro”, che tale grano contiene delle gliadine in grado di indurre una risposta infiammatoria paragonabile a quella indotta da un grano moderno. Riguardo invece al potere antiossidante la pasta contente la farina Solina può invece migliorare lo stato ossidativo plasmatico nei ratti Zucher che sono ratti predisposti alla sindrome metabolica. Infine riguardo al quadro lipidemico, i nostri risultati dimostrano che il grano solina esso non ha influenza in maniera significativa con quello del grano commerciale.

245 CONCLUSIONI In conclusione, il grano Solina rappresenta una preziosa cultivar di frumento tradizionale italiano con proprietà antiossidanti dimostrate e paragonabili a quelle di un grano moder- no. Tuttavia i ratti alimentati con la pasta prodotta con il grano Solina mostrano un leggero miglioramento del potere antiossidante plasmatico. Il glutine presente nel grano Solina risulta immunogenico nella stessa maniera del grano commerciale e quindi il grano Solina mostra le medesime caratteristiche del grano comune per quanto riguarda le persone con sensibilità al glutine; Tuttavia essendo un grano che resiste a condizioni ambientali limite e che non richiede l’uso intensivo di diserbanti e concimazioni, contribuisce fortemente alla protezione e alla conservazione del suolo e della Biodiversità.

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248 ALLEGATO SCHEDE DI PRODOTTO

249

PANE DI MONREALE

IMPRONTA ENERGETICO-AMBIENTALE, SOSTENIBILITA’ SOCIO-ECONOMICA, CARATTERIZZAZIONE CHIMICA E NUTRIZIONALE

Schede riassuntive dei principali risultati presentati al Seminario “Il pane di Monreale tra sostenibilità e territorio” Monreale 25 maggio 2017

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Progetto “Biodiversità, Territorio e Nutrizione: la sostenibilità dell’agro-alimentare Italiano” TERRAVITA”, finanziato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (D.M. 25870/7303/2011 del 2/12/2011)

Coordinatore Scientifico del Progetto: Angela Polito (da febbraio 2014; Giuseppe Maiani da dicembre 2011 a gennaio 2014), CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata o trasmessa in nessun modo o forma, sia essa elettronica, elettrostatica, fotocopie, ciclostile etc., senza permesso scritto dell’editore.

2 Impronta energetico-ambientale

Il Prodotto Impatti energetico – ambientali Il Pane di Monreale è prodotto esclusivamente con Gli impatti energetico – ambientali connessi al farina di semola di grano duro, acqua, sale, lievito prodotto sono stati stimati applicando la madre e sesamo. La cottura avviene in forno a metodologia Life Cycle Assessment in accordo legna a 300 °C. alle norme della serie ISO 14040. L’analisi ha Il Pane di Monreale è riconoscibile dalla crosta incluso le seguenti fasi del ciclo di vita: bruna esterna croccante e spessa cosparsa di approvvigionamento materie prime, inclusa la sesamo e dalla mollica di colore giallo intenso con produzione di grano e farina, impasto, formatura, alveoli regolari. cottura e trattamento rifiuti di processo. I risultati È disponibile in differenti forme: pagnotta tonda, dell’analisi sono riportati in tabella. I processi di pagnotta “pizziata”, filone liscio lungo e filone a impasto e cottura sono i principali responsabili scaletta ed è prodotto in formati da ¼, ½ e 1 kg. degli impatti totali, come mostrato in figura.

Il pane di Monreale è inserito nella lista dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani. Impatti energetico – ambientali dell’U.F. (1 kg di pane) Categoria d’impatto Totale Pane di Monreale Consumo di energia primaria (GER) (MJ) 1,87E+01

Carbon Footprint (CF) (kg CO2eq) 6,46E-01

Assottigliamento strato d’ozono (ODP) (kg CFC-11eq) 7,04E-08 Tossicità umana (eff. cancerogeni) (HT – ec) (CTUh) 4,00E-08 Tossicità umana (eff. non cancerogeni) (HT– enc) (CTUh) 6,16E-07

Particolato atmosferico (PM) (kg PM2.5eq) 3,53E-03

Radiazioni ionizzanti (salute umana) (IR – hh) (kg U235eq) 7,50E-02 Radiazioni ionizzanti (ambiente) (IR – e) (CTUe) 2,19E-07

Formazione ossidanti fotochimici (POFP) (kg NMVOCeq) 4,73E-03 + Acidificazione potenziale (AP) (mol H eq) 7,72E-03

Eutrofizzazione terrestre (T – EU) (mol Neq) 2,01E-02 Eutrofizzazione acque dolci (F – EU) (kg Peq) 1,32E-03

Eutrofizzazione marina (M – EU) (kg Neq) 2,66E-03 Ecotossicità acque dolci (F –E) (CTUe) 2,32E+01

Uso del suolo (LU) (kg Cdeficit) 12,7E+00 3 Riduzione della risorsa acqua (WRD) (m watereq) 1,96E-01

Il territorio Cons. risorse minerali, fossili e rinnovabili (ARD) (kg Sbeq) 9,01E-06

Monreale è un comune della provincia di Palermo, il suo territorio si estende per 529,2 km2 e si trova

ai margini meridionali della Conca d’Oro; è parzialmente attraversato dal Fiume Oreto e al suo Incidenza delle varie fasi del ciclo di vita sugli impatti interno ricade parte della Riserva naturale orientata Bosco della Ficuzza, Rocca Busambra, Bosco del Cappelliere e Gorgo del Drago. Il clima è di tipo Mediterraneo. La città di Monreale è situata a 310 m s.l.m., alle falde del Monte Caputo (670 m). Il paesaggio agricolo è caratterizzato dalla produzione di agrumi e ortaggi.

Contatti Maurizio Cellura ([email protected]), Sonia Longo ([email protected]) Dipartimento di Energia, Ingegneria dell’Informazione e Modelli Matematici (DEIM) - Università degli Studi di Palermo

3 Sostenibilità socio-economica

Sostenibilità economica Costo di produzione (€/kg di pane) Per valutare la sostenibilità del Pane di Monreale è Voci di costo COSTI (€/kg di pane) stata effettuata l’analisi del costo di produzione di Costi totali 1,24 un campione di aziende che cuociono il pane Materie prime 0,41 esclusivamente nel forno a legna. Manodopera 0,27 Nel calcolo del costo sono state incluse le voci Energia 0,18 riferite alle materie prime (rimacina di grano duro, Ammortamenti 0,01 lievito, acqua, sale, sesamo), alla manodopera Spese generali 0,37 (salari e oneri), all’energia (legna), agli ammortamenti (macchine e fabbricati) e alle spese Sostenibilità sociale-territoriale generali (manutenzione macchine e fabbricati, Il Pane di Monreale è un prodotto identitario che utenze, materiali per la vendita, cancelleria e evoca già all’interno del proprio nome il territorio posta, spese amministrazione e commercialista, a cui appartiene e la tradizione del pane di casa. consulente, imposte, associazioni, spese varie). Le materie prime utilizzate derivano in maggior Ripartizione voci di costo (%) parte, anche per tradizione, dal territorio siciliano. In particolare è possibile ricostruire una filiera a partire dalla produzione del grano, attraverso la molitura locale fino ad arrivare alla produzione del pane con aggiunta di acqua, sale, sesamo e lievito madre, quest’ultimo è caratteristico di ogni panettiere la cui composizione è differente per ogni produttore. Da non dimenticare anche il legame che esiste con la filiera legno essendo il pane cotto, in questo gruppo di aziende, esclusivamente a legna.

La principale voce che incide sul costo totale è Dal Grano al Pane quella delle materie prime, seguita dalle spese generali e quelle di manodopera I risultati mostrano che il prodotto ha una discreta sostenibilità economica in quanto risulta avere un costo pari a circa 1,24 euro/kg (al lordo della remunerazione del panettiere) a fronte di un Il pane riveste un’importante valore sociale: è prezzo di vendita medio di 2 euro/kg. La fortemente identitario per la popolazione locale, sostenibilità economica totale diventa buona se più che per il territorio, il consumatore identifica considerata nell’ambito dell’attività globale la tradizione. Margini alti di valorizzazione e dell’impresa che produce congiuntamente al pane, sviluppo del mercato. altri prodotti da forno salati e dolci.

Contatti Milena Verrascina ([email protected]), Patrizia Borsotto ([email protected]), Simona Cristiano ([email protected]), Giovanni Dara Guccione ([email protected]), Antonio Papaleo ([email protected]) Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia

4 Caratterizzazione chimica e nutrizionale

Composizione Chimica Carboidrati e Fibra (Valori medi per 100 g di prodotto) (% sul totale) Kcal 253; Kj 1059

4,7 7,6 7,4 4,2 1,6 1,1

34,0 50,2 87,2 1,8

Proteine Ceneri Acqua Zuccheri Solubili Amido Resistente Grassi Carboidrati Fibra Amido Disponibile Frazione non Disponibile

In questo studio sono state valutate le caratteristiche chimiche e nutrizionali di pane ottenuto da semola rimacinata di frumento duro molita a cilindri e lievitata con pasta madre. Sono pervenuti quattro pani in forma di filoni che avevano un peso compreso tra 200 g e i 250 g. Su ciascun pane sono state effettuate le determinazioni analitiche d’interesse.

Indici di Colore (valori assoluti) Carotenoidi (µg/100 grammi di prodotto)

MOLLICA CROSTA Zeaxantina 0,5

75,0 55,0 35,0 Luteina 15,0 26,0 -5,0 L a b

Nei campioni di pane analizzati era presente fibra, in percentuale non trascurabile, e luteina, un carotenoide tipico del frumento duro, che agisce come filtro per la luce e come protettivo dei vasi sanguigni. Le fibre insolubili, tipiche dei cereali, riducono l’assorbimento del glucosio e del colesterolo e costituiscono un ottimo rimedio contro la stipsi. Dal punto di vista energetico, in 100 g di pane il 78% delle calorie totali è fornito dall’amido, il 12% dalle proteine, il 6% dai lipidi e il 3% dagli zuccheri solubili.

Contatti Rita Acquistucci ([email protected]), Valentina Melini, Vincenzo Galli, Luigi Bartoli, Salvatore Tusa ([email protected]) Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria – Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

5 Considerazioni conclusive

Il pane di Monreale è un prodotto agroalimentare tradizionale della regione Sicilia, conosciuto anche come “u pani ri murriali”.

Nello studio sono stati stimati gli impatti energetico-ambientali e la carbon footprint connessi al ciclo di vita del pane di Monreale. I risultati ottenuti hanno consentito di identificare gli hot-spots energetico- ambientali e di definire possibili soluzioni qualitative di riduzione dei sopra citati impatti. Con riferimento alla fase di produzione del frumento, la riduzione degli impatti energetico – ambientali potrebbe essere conseguita utilizzando biocombustibili come carburanti delle macchine agricole e utilizzando concimi organici in sostituzione di quelli chimici. Nella fase di produzione della farina, considerata l’elevata incidenza del processo di selezione dovuta al consumo di elettricità delle macchine utilizzate, una riduzione dell’impatto potrebbe essere conseguita utilizzando energia elettrica da fonte rinnovabile e acquistando macchinari nuovi, caratterizzati da un’efficienza energetica più elevata. Infine, si rileva come per la maggior parte delle categorie di impatto esaminate l’attuazione di alcune innovazioni di processo, quali la conservazione del lievito naturale in cella frigorifera e la cottura in forno a metano, non consentono di ottenere un miglioramento delle prestazioni energetico-ambientali del prodotto in esame, che risulta caratterizzato da minori impatti se prodotto con tecniche tradizionali (conservazione del lievito a temperatura ambiente e cottura in forno a legna). Fanno eccezione i soli indicatori di tossicità e di eco- tossicità per i quali si riscontra un peggioramento delle eco-prestazioni.

Sotto l’aspetto della sostenibilità economica il Pane di Monreale sconta la “genericità” della sua tradizione produttiva non decodificata in disciplinati condivisi e riconosciuti, tradizione (e prodotto) che è seriamente minacciata di scomparsa. Diversi produttori utilizzano materie prime locali, ma differenziate tra loro, e una tradizione di tecniche di lavorazione tramandate oralmente. Questa confusione presta il fianco a tanti tentativi di imitazione che sfrutta il sound e la fama del prodotto per una produzione che non assicura tracciabilità né qualità nelle materie prime e nelle tecniche utilizzate. Anche in questo, caso l’esistenza di un mercato fuori dai tradizionali circuiti commerciali, compromette il mercato tradizionale e l’attività dei pochi panificatori che ancora restano fedeli alla tradizione e all’utilizzo di materie prime strettamente locali, minacciando anche la perdita dell’identità del prodotto ormai quasi esclusivamente legato ai panificatori che la conservano.

I pani ottenuti utilizzando il lievito madre presentavano un volume superiore a quello del pane prodotto con lievito compresso e questo indipendentemente dalle caratteristiche della semola utilizzata. Dal punto i vista della caratterizzazione chimica i pani analizzati sono risultati piuttosto simili sia per quanto concerne le proteine (11,5% sul campione secco (ss)) che i grassi (intorno al 2,8 % sul s.s.). Il contenuto in glucidi, inclusa la fibra, costituiva l’80% circa dei nutrienti anche se un significativo incremento della fibra è stato osservato nel campione di pane ottenuto dallo sfarinato macinato a pietra. Tutti i campioni presentavano un basso contenuto in amido resistente e in zuccheri liberi ed un contenuto in amido digeribile compreso tra il 75% e l’85% calcolato sul contenuto totale di amido.

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PROVOLA DELLE MADONIE

IMPRONTA ENERGETICO-AMBIENTALE, SOSTENIBILITA’ SOCIO-ECONOMICA, CARATTERIZZAZIONE CHIMICA E NUTRIZIONALE

Schede riassuntive dei principali risultati presentati al Seminario “La Provola delle Madonie tra sostenibilità e territorio” Castelbuono (Palermo) 21 Giugno 2017

Progetto “Biodiversità, Territorio e Nutrizione: la sostenibilità dell’agro-alimentare Italiano” TERRAVITA”, finanziato dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali (D.M. 25870/7303/2011 del 2/12/2011)

Coordinatore Scientifico del Progetto: Angela Polito (da febbraio 2014; Giuseppe Maiani da dicembre 2011 a gennaio 2014), CREA Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

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2 Impronta energetico-ambientale

Prodotto Impatti energetico – ambientali La Provola delle Madonie è un formaggio vaccino Gli impatti energetico – ambientali connessi al a pasta filata, presenta una forma a pera di peso prodotto sono stati stimati applicando la variabile tra 1 – 1,2 kg. È un formaggio grasso a metodologia Life Cycle Assessment in accordo breve stagionatura, è compatto e tenero e presenta alla norma ISO 14040. L’analisi ha incluso le una crosta liscia e sottile di color giallo paglierino. seguenti fasi del ciclo di vita: allevamento delle È prodotta utilizzando latte intero, caglio ovino, vacche, produzione e trasporto del latte, sale e salgemma. Il latte crudo è prodotto da produzione della provola, trasporto del prodotto vacche di razza bruna e meticcia, alimentate con finito presso i consumatori finali. I risultati pascolo naturale e coltivato. La Provola delle dell’analisi sono riportati in tabella. Madonie è un prodotto del Presidio “Slow Food” ed è inserita nell’elenco dei Prodotti Impatti energetico – ambientali dell’U.F. Agroalimentari Tradizionali. Categoria d’impatto Totale Consumo di energia primaria (GER) (MJ) 5,31E+01 Provola delle Madonie Carbon Footprint (CF) (kg CO2eq) 7,26E+00 Assottigliamento strato d’ozono (ODP) (kg CFC-11eq) 4,29E-07 Tossicità umana (eff. cancerogeni) (HT – ec) (CTUh) 4,34E-07 Tossicità umana (eff. non cancerogeni) (HT– enc) (CTUh) 4,52E-06

Particolato atmosferico (PM) (kg PM2.5eq) 3,27E-03

Radiazioni ionizzanti (salute umana) (IR – hh) (kg U235eq) 4,68E-01 Radiazioni ionizzanti (ambiente) (IR – e) (CTUe) 1,41E-06

Formazione ossidanti foto-chimici (POFP) (kg NMVOCeq) 2,24E-02 + Acidificazione potenziale (AP) (mol H eq) 8,15E-02

Eutrofizzazione terrestre (T – EU) (mol Neq) 3,45E-01 Eutrofizzazione acque dolci (F – EU) (kg Peq) 2,47E-03 Il territorio Eutrofizzazione marina (M – EU) (kg Neq) 1,55E-01 La zona di produzione della Provola delle Ecotossicità acque dolci (F –E) (CTUe) 4,69E+01 Uso del suolo (LU) (kg C ) 1,53E+03 Madonie è, come il nome stesso suggerisce, quella deficit Riduzione delle risorse d’acqua (WRD) (m3 water ) 1,12E+00 delle Madonie, che si estende in diversi comuni eq Cons. risorse minerali, fossili e rinnovabili (ARD) (kg Sbeq) 7,62E-05 della Provincia di Palermo, di cui una parte rientra nel Parco Regionale delle Madonie. Il territorio Il grafico mostra l’elevata incidenza del processo delle Madonie è caratterizzato dai bacini imbriferi di allevamento del bestiame sugli impatti totali. del Salso e dell’Imera settentrionale. L’altimetria prevalente è collinare montuosa con picchi di oltre Incidenza delle varie fasi del ciclo di vita sugli impatti 1.800 – 2000 ms.l.m. nel massiccio madonita. Il patrimonio boschivo dell’area conta oltre 5.000 ettari. La coltura del grano e dell'ulivo caratterizza il paesaggio agrario. Il pascolo, invece, si estende su tutto il territorio. In questo comprensorio l'agricoltura e l'allevamento sono attività di antica tradizione che hanno contribuito alla caratterizzazione del paesaggio e della cultura endemica della zona.

Contatti Maurizio Cellura ([email protected]), Sonia Longo ([email protected]) Dipartimento di Energia, Ingegneria dell’Informazione e Modelli Matematici (DEIM) - Università degli Studi di Palermo.

3 SostenibilitàProvola delle socio Madonie-economica

Sostenibilità economica

Annoverato tra gli oltre 4.600 Prodotti Gli agricoltori ottengono un certo margine Agroalimentari tradizionali (PAT) la Provola delle economico, ancor più rilevante se consideriamo il Madonie rappresenta un prodotto di artigianato costo netto (cioè il costo totale al netto dei costi gastronomico locale, la cui sostenibilità per il lavoro familiare e gli interessi sul capitale). economica è legata alla sua valorizzazione La principale voce che incide sul costo totale è commerciale. quella delle materie prime, seguita dalle spese Per valutare la sostenibilità della Provola è stata generali e quelle di manodopera. effettuata l’analisi della redditività aziendale e del Costo di produzione (€/kg di Provola) costo di produzione del formaggio di un campione €/Kg 1 2 3 Media di aziende che lo producono in modo tradizionale Ricavo 7,5 6,5 10,5 7,5 a partire dal latte crudo vaccino e piccole quantità di latte di pecora e capra, caglio e sale seguendo il Costo 5,7 5,4 9,5 5,7 disciplinare regionale o quello Slow Food. Costo netto 3,8 5,2 7,6 3,8 L’analisi dei bilanci aziendali rileva una differente Sostenibilità sociale-territoriale ripartizione del reddito totale aziendale che Il valore identitario della Provola delle Madonie è dipende dalla struttura organizzativa e produttiva innegabile per il territorio di riferimento e questo stessa: in tutte le tre aziende la voce di costo elemento contribuisce alla sostenibilità di un principale è rappresentata dagli acquisti di beni e prodotto locale di nicchia, rappresentando un servizi alla produzione (costi specifici) e la parte punto di forza sia per la continuità della sua delle entrate che rimane nell'azienda agricola produzione sia per la sua vendibilità e, più in (RO), rappresenta più del 20% -30%. generale, la sua valorizzazione. Come in un Ripartizione del reddito (%) circuito virtuoso la produzione di Provola alimenta la sostenibilità della produzione, investendo la dimensione economica, quella ambientale e quella sociale. Emerge anche una nota positiva legata alla gestione aziendale che si caratterizza per la presenza di giovani e donne altamente professionalizzati, con una spiccata apertura all’innovazione aziendale e alla competitività nel rispetto dei valori di sostenibilità cui la moderna agricoltura guarda. Inoltre, il valore generato dalla produzione non è meramente economico ma assume forti L’analisi dei costi di produzione ha messo in luce connotazioni sociali in quanto trova il suo che le aziende che si sono dotate di certificazione presupposto nel rapporto di fiducia e biologica e/o che rispettano il disciplinare del comunicazione tra produttore e consumatore, in presidio Slow Food riescono a farsi riconoscere da grado di generare un riconoscimento di qualità e al parte del consumatore un valore aggiunto, e contempo una condivisione di saperi e di valori. questo si riscontra anche sulla formazione del prezzo che risulta dunque più remunerativo per i produttori che intraprendono questa strada. Contatti Milena Verrascina ([email protected]), Patrizia Borsotto ([email protected]), Simona Cristiano ([email protected]), Giovanni Dara Guccione ([email protected]), Antonio Papaleo ([email protected] ) Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria - Centro di ricerca Politiche e Bioeconomia

4 Caratterizzazione chimica e nutrizionale

Valori medi per 100g di prodotto MACRONUTRIENTI

SALI MINERALI E VITAMINE LIPOSOLUBILI

VALUTAZIONE NUTRIZIONALE PER PORZIONE (50g) Coperture % di alcuni fabbisogni giornalieri* (LARN 2014)

vitamina A vitamina E Provola delle Madonie Calcio Fosforo (uomo) (donna) (uomo) (donna) fresca 41,3 42,1 4,4 5,1 1,2 1,3 4 mesi 48,6 49,2 3,1 3,6 1,0 1,1 16 mesi 52,7 57,8 6,6 7,7 1,3 1,4 *Assunzione raccomandata giornaliera per Calcio, Fosforo per adulto sano (18-59 anni) e per la Vitamina A *Assunzione adeguata per la Vitamina E

 Obiettivo nutrizionale per la prevenzione (soprattutto di malattie cardiovascolari) è ridurre il consumo di colesterolo ad un valore <300mg/die, pertanto con una porzione di Provola fresca si assume in media il 14,5 % il 16,4% con una porzione di Provola stagionata 4 mesi e il 18,6% con una porzione di Provola stagionata 16 mesi.

Contatti Pamela Manzi ([email protected]), Maria Mattera, Maria Gabriella Di Costanzo, Alessandra Durazzo, Mena Ritota, Stefano Nicoli Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria - Centro di ricerca Alimenti e Nutrizione

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Considerazioni conclusive

Nello studio sono stati stimati gli impatti energetico-ambientali e la carbon footprint connessi al ciclo di vita della Provola delle Madonie. I risultati ottenuti hanno consentito di identificare gli hot-spots energetico- ambientali e di definire possibili soluzioni qualitative di riduzione dei sopra citati impatti. Considerata l’elevata incidenza della fase di allevamento connessa, in particolare, alla coltivazione dei prodotti agricoli utilizzati nella produzione dei mangimi, la riduzione degli impatti energetico – ambientali causati dal prodotto potrebbe essere conseguita adottando pratiche agricole più sostenibili a supporto della produzione anzidetta. Inoltre, una riduzione degli impatti connessi al processo di produzione potrebbe essere ottenuta tramite l’utilizzo di elettricità prodotta con fonti energetiche rinnovabili. Infine, considerata l’incidenza sugli impatti della distribuzione del prodotto, si rileva l’importanza dell’utilizzo, da parte dei consumatori finali, di prodotti agroalimentari locali a chilometro zero, dove per prodotti a chilometro zero sono da intendere prodotti venduti o somministrati nelle vicinanze del luogo di produzione.

Sotto l’aspetto della sostenibilità economica i dati evidenziano la mancanza nell’area di produzione di una dimensione di sistema e di soggetti capaci di catalizzare o di rappresentare una vera leadership per la produzione e la standardizzazione della produzione. Un disciplinare c’è ma non rappresenta un modello di riferimento condiviso e riconosciuto, sebbene le aziende più importanti dal punto di vista produttivo e di mercato lo utilizzano e assumono come paradigma. Le aziende intervistate denunciano la presenza di un mercato parallelo, sommerso, che comunque è in grado di produrre e raggiungere i mercati senza garanzie di qualità né di rispetto delle indicazioni del Disciplinare (né con altre garanzie dal punto di vista igienico sanitario). Questo fattore, secondo gli intervistati, incide anche sul prodotto a disposizione del consumatore non tanto locale (di fatto fidelizzato alle aziende storiche o con produzione consolidata) quanto del mercato regionale e nazionale che si trova a offrire prodotti con una grande variabilità dal punto di vista del prezzo, della garanzia di qualità, delle caratteristiche organolettiche.

Dal punto di vista nutrizionale le Provole delle Madonie, studiate nell'ambito del progetto TERRAVITA, hanno mostrato un'ampia variabilità, caratteristica questa che conferma la non standardizzazione del prodotto. Formaggio legato alla tradizione, ottenuto da animali che pascolano per molti mesi l’anno a partire da latte vaccino crudo, è una chiara testimonianza di biodiversità legata a molti fattori tra cui la stagione di raccolta del latte e le differenze nelle essenze foraggere che caratterizzano i pascoli. Le caratteristiche nutrizionali distintive sono un elevato contenuto in sali minerali: in particolare in un adulto sano, una porzione di 50g di formaggio garantisce la copertura del fabbisogno giornaliero di calcio da un minimo di 41% ad un massimo del 53% e quella di fosforo dal 42% al 58%. Ciò garantisce un rapporto calcio/fosforo ottimale in grado di favorire la biodisponibilità di questi due elementi. E' però necessario ricordare che il contenuto in sale dei prodotti freschi e semi-stagionati (4 mesi) apporta in media il 20% della quantità massima consigliata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (5g/die). Inoltre, per quanto riguarda il colesterolo, la percentuale di assunzione giornaliera con una porzione Provola delle Madonie (50g) varia dal 15% al 19% rispettivamente per il prodotto fresco e quello stagionato (16 mesi), considerando come Obiettivo nutrizionale per la prevenzione un valore di colesterolo <300mg/die in un adulto sano (LARN, 2014).

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7 PROGETTO TERRAVITA

Consiglio per la ricerca in agricoltura e l’analisi dell’economia agraria INDAGINE MULTIDISCIPLINARE DEI LEGAMI TRA TERRITORIO, BIODIVERSITÀ, NUTRIZIONE E LA SOSTENIBILITÀ DELL’AGRO-ALIMENTARE ITALIANO RAPPORTO DI RICERCA

a cura di Angela Polito e Federica Intorre