ORGANISMO UNITARIO DELL’AVVOCATURA ITALIANA

Ufficio stampa

Rassegna stampa

16 novembre 2006

Responsabile : Claudio Rao (tel. 06/32.21.805 – e-mail:[email protected])

1 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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SOMMARIO Pag. 3 DECRETO BERSANI: La giustizia chiude i battenti, ma il Guardasigilli diversamente dai suoi colleghi non chiede modifiche alla Finanziaria (mondo professionisti) Pag. 4 DECRETO BERSANI: Il patto di quota lite è contrario all'etica della professione di Maurizio de Tilla - Presidente della Federazione degli Ordini degli avvocati d'Europa (italia oggi) Pag. 5 DECRETO BERSANI: Gli avvocati sanno resistere alla lunga mano del potere di Titta Sgromo (il tempo) Pag. 6 DECRETO BERSANI: Ecco perché non sciopero: i (pochi) lati positivi di Bersani e la necessità di una riforma europea - di Maria Gualdini - Avvocato (diritto e giustizia) Pag. 8 PROFESSIONI: Legali in cerca di sponde (italia oggi) Pag.10 PROFESSIONI: Tutte le perplessità Oua sul ddl Mastella (italia oggi) Pag.11 PROFESSIONI: Riforma, le categorie al bis (italia oggi) Pag.12 PROFESSIONI: Mastella spazza via le tariffe forensi (italia oggi) Pag.13 PROFESSIONI: Le critiche del Cnf: la delega mette in crisi l'autonomia degli ordini (italia oggi) Pag.14 PROFESSIONI: Dopo Bersani una riforma fantoccio (italia oggi) Pag.16 INDULTO: Itog e i numeri dell'indulto (italia oggi) Pag.17 UFFICIO DEL PROCESSO: Ufficio del processo, si parte (italia oggi) Pag.18 UFFICIO DEL PROCESSO: Protocollo d'intesa tra il ministero della giustizia e le Oo.Ss sulla Progressione professionale ed economica del personale dell'amministrazione giudiziaria e sull'istituzione dell'ufficio per il processo (italia oggi) Pag.19 PROCESSO PENALE: A Roma le toghe inaugurano il bon ton per il processo penale - di Paolo Auriemma – Presidente Anm Roma (italia oggi) Pag.20 GIUDICI DI PACE: Mastella: sì al mandato permanente - di Francesco Cersosimo - Presidente Associazione nazionale giudici di pace (italia oggi) Pag.21 GIUDICI DI PACE: Indennità, paga l'economia (italia oggi) Pag.22 GIUDICI DI PACE:La lettera -di P. Valerio- Presidente Federmot (italia oggi) Pag.23 GIUDICI DI PACE: Il Csm studia la riforma delle piante organiche di G. Breveglieri – V.presidente Associazione Nazionale Giudici di Pace (italia oggi) Pag.25 ANTIMAFIA: Eletti i vertici dell'Antimafia (diritto e giustizia) Pag.26 EUROPA: Successioni Ue ad ampio raggio (italia oggi) Pag.28 INTERCETTAZIONI:Più potere al Garante e attività giudiziarie più protette (diritto e giustizia) Pag.29 CARCERI:Ruoli amministrativi, direttivi e dirigenziali: l'evoluzione (e le ombre) dell'amministrazione penitenziaria - di Luigi Morsello - Ispettore generale dell’amministrazione penitenziaria (diritto e giustizia) 16/11/2006

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MONDO PROFESSIONISTI

La Giustizia chiude i battenti ma il Guardasigilli diversamente dai suoi colleghi non chiede modifiche alla Finanziaria Il terzo giorno di sciopero degli avvocati, Michelina Grillo, presidente dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura Italiana, va all’attacco. “Sulla riforma delle Professioni – dice a MP - continuano i contrasti : formazione, qualità e specializzazioni sono obiettivi ancora assai lontani. Il cittadino non è garantito. Ci auguriamo che di fronte ai dati di adesione allo sciopero finalmente si scelga la strada del confronto. Purtroppo il tono delle continue esternazioni di Bersani non lascia spazio all’immaginazione circa lo scarso rispetto per una categoria che contribuisce in maniera rilevante al Pil e garantisce per ora alti livelli di occupazione. La polemica quotidiana e furiosa – aggiunge la Grillo - alimentata da dichiarazioni francamente discutibili sui professionisti e in particolare sugli Avvocati, sembra preordinata alla volontà di distogliere l’attenzione dell’opinione pubblica dai problemi reali della Giustizia: un settore che sta per chiudere i battenti. Nulla si dice sulle risorse insufficienti, nulla sulla procedura di infrazione avviata dall’Europa, nulla sulle scoperture di organico, nulla, insomma, che dia conto della volontà di assumere il ripristino di condizioni quantomeno accettabili di resa di Giustizia nel Paese come vera e convinta priorità. Lo scenario politico è talmente schizofrenico che il ministro di Giustizia, invece di chiedere con forza i fondi necessari per il suo ministero e garantire il servizio, com’è suo compito istituzionale, continua una virtuale trattativa sul suo progetto di riforma delle professioni, mentre migliaia di avvocati sull’intero territorio nazionale aderiscono in modo massiccio allo sciopero. La bozza presentata da Mastella è, allo stato – denuncia il presidente dell’Oua - un buco nell’acqua, come dimostrano le reazioni negative di tutti i professionisti da un lato e del Ministero dello Sviluppo dall’altro. Nonostante il ministro sia stato ben attento a non coinvolgere mai quei professionisti, in prima fila gli avvocati, con i quali le divergenze sono state più marcate in questi mesi, i nodi sono comunque venuti al pettine. Il dirigismo, come le bugie, ha le gambe corte e va poco lontano, come si sarebbe potuto capire già dopo la grande manifestazione dei professionisti del 12 ottobre. Il risultato – ha continuato la Grillo - è una proposta per alcuni aspetti vaga, per altri pericolosa. Su tariffe, accesso, pubblicità, società miste e ruolo degli ordini i problemi rimangono tutti sul tavolo. Le chiacchiere e le rassicurazioni di facciata servono a poco: l’orientamento prevalente nella maggioranza è che si deleghi tutto al governo, anziché avviare un vero confronto, a partire dal Parlamento, con tutte le categorie interessate, e discutere senza ideologismi con chi ha promosso scioperi che hanno avuto grandi adesioni e manifestazioni con grandi partecipazione di massa. Crediamo che questa sia la strada sbagliata, che invece bisogna ripartire dalla concertazione: la voglia di dialogo è sempre più forte anche in ampi settori della maggioranza, come testimoniano anche le dichiarazioni del presidente della commissione Giustizia Pino Pisicchio. Se i referenti istituzionali non avranno orecchie, gli avvocati italiani dialogheranno a tutto campo con i politici volonterosi per costruire un progetto moderno di professione e di giustizia, nell’interesse del Paese”. Luigi Berliri

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ITALIA OGGI

il punto

Il patto di quota lite è contrario all'etica della professione di Maurizio de Tilla - Presidente della Federazione degli Ordini degli avvocati d'Europa Ho molta stima per il consigliere Raffaello Sestini, ma stavolta (si veda Italia Oggi di ieri) non ha centrato né l'argomento né l'obiettivo. Non si può liquidare con poche parole il varo della legge Bersani senza dialogo, senza concertazione e con il netto rifiuto di ascoltare le ragioni contrarie dei professionisti italiani. Nei congressi internazionali forensi ho potuto constatare che in tutti i paesi del mondo (tranne quelli a regime dittatoriale) le riforme sulle professioni sono state realizzate dopo un lungo periodo di consultazione e, in massima parte, recependo le istanze delle categorie professionali. Rifiutato il dialogo, devo purtroppo ribadire che l'articolo 2 della legge Bersani non contribuisce certamente, come dice Sestini, a ´riportare il mondo delle professioni a standard qualitativi adeguati'. Anzi, ne aggrava il profilo deontologico. Non ha infatti nulla a che vedere con tale obiettivo l'abolizione del patto di quota lite. Devo appena ricordare che dall'Europa viene un messaggio diametralmente opposto. In Francia il regolamento interno nazionale, pubblicato dal Consiglio nazionale dell'Ordine degli avvocati nel novembre del 2005, ha precisato che ´è vietato all'avvocato di fissare i suoi onorari tramite un pactum de quota litis'. Secondo l'ordinamento francese non si possono richiedere onorari fissati esclusivamente con riferimento al risultato ottenuto. In Austria il divieto della quota litis si trova non solo nel codice civile ma anche nel regolamento degli avvocati. Nei Paesi Bassi il ministro della giustizia si è dichiarato contrario all'eliminazione del divieto del patto di quota lite. In Germania si ritiene che la quota litis si avvicina molto a quella che a volte si definisce come l'acquisizione dell'oggetto della lite da parte dell'avvocato, ossia redemptio lite. In Germania permane quindi il divieto del patto di quota lite. Con decisione del 20 giugno 2003 il Consiglio di disciplina della Sassonia ha condannato un avvocato per violazione del divieto legale perché aveva concordato un patto di quota lite con un cliente residente negli Usa. Si ritiene inoltre che un'abolizione del divieto del patto, con la conseguenza dell'ammissione di patti del tipo ´no win, no fee', porterebbe a un pericolo per il sistema del gratuito patrocinio. Perché lo stato dovrebbe garantire il gratuito patrocinio e di conseguenza la retribuzione dell'avvocato se gli avvocati aprono un mercato in cui il cliente deve pagare il suo avvocato solo in caso di successo? E poi, siccome il risultato si conosce solo a fine causa, l'avvocato, il cui mandato viene interrotto prima che si arrivi a una soluzione definitiva, normalmente non può pretendere alcun onorario. Secondo l'ordinamento inglese il patto di quota lite ha una portata limitata. Quello che è certo è che l'applicazione, anche se isolata, del patto di quota lite ha determinato una serie di abusi e di catastrofi finanziarie che si potevano prevedere, abbassando così la reputazione degli avvocati inglesi. La diffusa presenza (e comunque limitazione) in Europa del divieto va individuata nell'esigenza di garantire la necessaria neutralità del difensore rispetto alle sorti della lite, impedendo il sorgere di qualsivoglia conflitto di interessi. In altri termini, si vuole evitare che l'avvocato faccia del suo ministero uno strumento di speculazione a danno del cliente. Su tale questione (che non è minimamente trattata nella proposta Mastella) e su quella dei minimi tariffari inderogabili lo stimato consigliere Raffaello Sestini, nel redigere insieme ad altri il testo della Bersani, avrebbe fatto bene ad ascoltare prima le rappresentanze istituzionali e associative degli avvocati. (riproduzione riservata) 16/11/2006

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IL TEMPO

Gli avvocati sanno resistere alla lunga mano del potere di Titta Sgromo

LA TRISTEZZA induce spesso alla rassegnazione,ma quando il comportamento degli uomini, politici in particolare, travalica qualsivoglia limite di sopportazione, subentra l'indignazione. È da quando, clandestinamente e di notte, il Governo Prodi ha approvato il Decreto Bersani sulle liberalizzazioni che gli Avvocati tutti protestano, questa settimana astenendosi dalle udienze nel tentativo di indurre il Governo a comprendere che la funzione pubblica del difensore, garantita dall'art. 24 della Costituzione, non può essere mortificata da provvedimenti che hanno l'unico scopo di tutelare interessi di Banche, Compagnie di Assicurazione, grandi società e Cooperative di vario,colore tendente al rosso. Dopo la manifestazione di Piazza Venezia contro il decreto delle false liberalizzazioni,il Ministro di Giustizia ha ricevuto i rappresentanti dell' avvocatura promettendo un intervento immediato sulla Legge quadro per il riordino delle professioni. n risultato è stato la bozza del disegno di legge delega pubblicata sul “favorito" Sole 24 Ore del 9/11/06. La bozza è stata esaminata e discussa nell'ambito del Comitato dei 'Delegati alla Cassa Forense e da parte delle Unioni dei vari Distretti di Corte d'Appello. Il pur frettoloso esame ha provocato l'indignazione dell'Avvocatura: niente di quanto promesso dal Ministro è contenuto nella bozza che, viceversa, contiene norme invasive tendenti a sottrarre agli ordini territoriali la giurisdizione domestica, per devolverla a commissioni estranee al sistema ordinistico. Udite udite è prevista finanche la possibilità che il Ministro di giustizia o un suo delegato,sostituisca il titolare dell'azione disciplinare. L'autonomia e l'indipendenza dell'avvocatura non è mortificata, è morta e sepolta. Duole dover constatare l'esistenza, nell'ambito della rappresentanza istituzionale dell'avvocatura, di avvocati, per fortuna assai pochi, che spendono le loro capacità porgendo l'altra guancia al nemico nel momento decisivo della lotta. Nella bozza non vi è, contrariamente a quanto promesso, alcun cenno alle tariffe al minimo né al promesso divieto del patto di quota lite, a riprova che l'intervento bersaniano l'ha fatta ancora una volta da padrone. Infine, il manifesto ulivista che vedo dalle finestre del mio studio e che recita: «Un po' di fatica novità e coraggio torna il futuro», la dice lunga sull'arroganza e la protervia del potere, la fatica è certamente un invito a lavorare rivolto a chi lucra uno stipendio elargito senza controlli di merito, non certo ai professionisti che se non lavorano non producono alcun reddito. La novità è sotto gli occhi di tutti: il controllo capillare della vita dei cittadini e l'inasprimento fiscale a tutti i livelli. Il futuro esiste solo se riferito al trascorrere del tempo. Che dire del coraggio, agli italiani non è mai mancato; se così è, serve un atto di coraggio vero, tale da restituire agli stessi il potere di essere artefici del proprio destino.

16/11/2006 5 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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DIRITTO E GIUSTIZIA Ecco perché non sciopero: i (pochi) lati positivi di Bersani e la necessità di una riforma europea di Maria Gualdini - Avvocato Questa settimana, di nuovo, una parte dell’avvocatura si asterrà dalle udienze per protestare contro le liberalizzazioni contenute nel decreto Bersani, convertito con la legge 248/06, ed i tagli perpetrati in danno della giustizia. Da neo-avvocato, che non aderisce all’astensione proclamata, vorrei porre alcune riflessioni: analizzando il problema principale che anima questa protesta, ovvero l’abolizione delle tariffe fisse o minime, è d’uopo ricordare che la legge di conversione del decreto Bersani ha mantenuto in vigore le tariffe minime quali parametri per la liquidazione degli onorari giudiziali e di gratuito patrocinio, accogliendo le aspettative di chi temeva un pregiudizio economico derivato da una situazione d’incertezza. Detto questo, non si comprende a che serve ora questa difesa ad oltranza delle tariffe minime, posto che gli unici ambiti esclusi sono quelli stragiudiziali, quali la conciliazione e la consulenza, materie che non sono d’esclusiva riserva degli avvocati, se non con un’arroccata preservazione dello status quo. L’idea che ci si voglia sottrarre al confronto leale con il concorrente per mantenere intatta la propria posizione, non è così amena. Lo stesso Consiglio nazionale forense, in sede dell’ultima modifica al codice deontologico, entrato in vigore il 27 gennaio 2006, aveva vagliato tra le varie proposte quella di stabilire il principio della derogabilità delle tariffe minime, a comprova che qualcuno all’interno della massima istituzione forense ebbe, in tempi non sospetti, un’analoga percezione del problema. All’accusa di mercificazione dell’attività forense, si rileva che nessuno sarebbe così sconsiderato da praticare tariffe che non fossero in grado di coprire i costi di gestione, pertanto se così non fosse, saremmo di fronte ad un falso problema destinato a risolversi in poco tempo, con un ritorno di fatto ai tariffari previgenti. L’eventualità per l’avvocato di concordare con il cliente la parametrazione degli onorari al tipo di risultato raggiunto richiede, per la sua efficacia, la forma scritta, condizione questa che permetterà ai Consigli Ordine avvocati di verificare la corretta applicazione. A chi si oppone adducendo che l’avvocato diventa parte in causa, si ricorda che alcuni abusi si sono verificati proprio stante il precedente regime tariffario. Sul fronte della pubblicità non dovrebbe esservi nulla di nuovo, posto che essa è disciplinata ampiamente nella nuova formulazione degli articoli 17 e 17bis del codice deontologico, laddove si stabilisce la possibilità di indicare, a titolo di pubblicità informativa, le specializzazioni professionali acquisite nel massimo di tre; l’unica novità attiene alla circostanza di poter indicare il prezzo praticato, prassi consolidata nella maggior parte dei paesi europei. Nelle ipotesi di violazione sovverrebbe la normativa nazionale in tema di pubblicità ingannevole di cui alla legge 287/90, oltre all’efficacia sanzionataria dei Consigli degli Ordini Avvocati nell’esercizio del controllo della deontologia dei propri iscritti. Sulla questione del socio di capitale non paiono esservi opposizioni eclatanti a condizione che questo mantenga una posizione di minoranza all’interno del consiglio d’amministrazione della società, in modo da non ledere l’autonomia e l’indipendenza del libero professionista. La previsione del socio di capitale, da una parte, potrebbe permettere a soggetti in possesso di risorse economiche di investire su giovani professionisti promettenti, e dall’altra di essere una valida soluzione in caso d’avvicendamento o di passaggio del timone dal titolare dello studio (dominus) al suo successore. Questa protesta è percepita dai cittadini come una difesa corporativistica in danno degli stessi, con un gravissimo nocumento d’immagine per l’intera avvocatura, incapace, proprio lei che 6 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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dovrebbe utilizzare meglio di tutti l’arma della argomentazione, di avanzare una proposta unanime che possa traghettarla nel prossimo futuro. Come ribadire che tutto questo si scontra con anni di pareri negativi della nostra Autorithy per la Concorrenza ed il Mercato, mai ascoltati, e che nella relazione del 18 novembre 2005 quest’ultima, stanca di parlare ad una platea sorda, nel denunciare nei servizi professionali una miriade di lacci e laccioli, si vedeva costretta ad intimare che vi avrebbe comunque ovviato, ricorrendo alla disapplicazione della normativa interna incompatibile con il diritto comunitario? Che dire poi dei due procedimenti pendenti dinanzi alla Corte di Giustizia europea, uno afferente le tariffe minime giudiziali e l’altro quelle stragiudiziali, per i quali l’avvocato Generale M. Poiares Maduro nel Febbraio di quest’anno ha chiesto la condanna dell’Italia per la violazione della disciplina comunitaria? E come la mettiamo con il Parlamento europeo che nell’ottobre di quest’anno ha votato la relazione di Jan Ehler con 354 voti favorevoli, 62 contrari e 9 astensioni, sollecitando il superamento dell’obbligatorietà di tariffe fisse o minime, del divieto di contrattare compensi nei servizi professionali, nonché l’eliminazione di tutti gli ostacoli ingiustificati? La difesa fondata sulla supposta eccezione d’anticostituzionalità del decreto Bersani sollevata da più parti, muovendo l’obiezione della mancata concertazione e dell’assenza dei requisiti di necessità e d’urgenza, risulta, alla luce di queste lapalissiane violazioni della normativa comunitaria, sterile ed anacronistica, se non fosse opportuno qui segnalare che un’associazione forense oppositrice è arrivata persino a propugnare pubblicamente al governo, alcune settimane or sono, l’utilizzo del medesimo strumento avversato onde introdurre, con la decretazione d’urgenza, la preselezione informatica agli esami scritti avvocato per porre rimedio, a suo dire, all’elevato numero degli aspiranti candidati. Non si può contemporaneamente attaccare, sotto il profilo di legittimità costituzionale, lo strumento legislativo del decreto legge, quale quello denominato “Bersani” incidente su alcuni aspetti dell’esercizio della professione forense, e poi proporlo come medicina per una delle storture previste dalla stessa legge professionale, quasi fosse un abito da indossare secondo le proprie convenienze, ben sapendo che si sta violando l’aspettativa legittima di coloro che hanno studiato secondo certi canoni e con determinate prerogative, e che non possono quindi vedersi cambiate le carte all’ultimo giro. Con ciò non si vuole nascondere che esista un problema relativo ad un aumento esponenziale degli iscritti, ma non pare condivisibile la soluzione prospettava, che vuole riversare la responsabilità di scelte legislative sbagliate sul soggetto più debole, il praticante, precludendogli l’accesso in un momento in cui la chiusura dello studio gli arrecherebbe un danno ulteriore rappresentato dalla perdita di chance lavorative. Non c’è nulla di peggio che togliere ad una persona l’illusione di un lavoro dopo avergliela offerta. Da ultimo si assiste con estrema sofferenza all’agonia del sistema giustizia, determinato dalla grave penuria di mezzi economici che attanaglia l’efficienza e la qualità della funzione giurisdizionale. Protestare contro la carenza di risorse economiche ed umane degli uffici giudiziari, mettendo in atto uno sciopero bianco, non fa che accentuare una problematica già esistente, aggravando i pregiudizi dei cittadini, ma non la risolve. Sarebbe opportuno che l’avvocatura, con un forte senso di responsabilità, smettesse di agitare la bandiera della protesta, lasciando da parte le prese di posizioni meramente ideologiche, per avviare un dialogo costruttivo sia con il governo sia con gli altri componenti l’avvocatura stessa, passando ad una fase di proposizione responsabile, confidando nella forza del dialogo, mezzo di difesa cui un avvocato non dovrebbe mai rinunciare.

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ITALIA OGGI

Gli avvocati cercano assist nel governo tra Di Pietro e Melandri e nelle carriere

Legali in cerca di sponde

Un piano per evitare lo sciopero di dicembre

Pronto il «piano per la giustizia" con il quale gli avvocati sperano di far cambiare rotta al governo sulle liberalizzazioni. Con lo sciopero delle toghe contro il decreto Bersani e i tagli alla giustizia ancora in corso in tutti i tribunali della Penisola; e forti di astensioni che in molti uffici giudizi ari hanno sfiorato il 90%, i rappresentanti dell'avvocatura pensano già al dopo sciopero. E hanno elaborato un pacchetto di proposte che, se acoolto in tutto o in parte dal governo, potrebbero farli desistere dalla lotta che va avanti ormai da mesi, e che contempla anche un'ulteriore astensione dall'11 al 16 dicembre. Ma attenzione: i mediatori che stanno lavorando in queste ore per ricucire lo strappo con gli avvocati non sono soltanto il vituperato ministro dello sviluppo Pierluigi Bersani, padre della legge che ha liberalizzato tariffe e pubblicità mandando su tutte le furie gli avvocati prima dell'estate, o il guardasigilli, , che ha appena presentato un disegno di legge di riforma professionale orientato alla stessa filosofia liberalizzatrice (questa volta degli ordini). Gli avvocati considerano il ddl Mastella ..la fase due" della stangata già inflitta loro da Bersani, e sono sul piede di guerra soprattutto perché il guardasigilli ha annunciato di voler portare il ddl al prossimo consiglio dei ministri, chiudendo definitivamente la porta alla discussione con i loro rappresentanti. E se i due odiati liberalizzatori per il momento fanno orecchie da mercante, ecco allora che spuntano nuovi interlocutori ai quali i legali affidano le loro proposte, da Bonino alla Melandri, passando per Di Pietro. «Abbiamo avviato contatti in questi giorni con vari esponenti del governo e della maggioranza che al contrario del ministro della giustizia sono molto attenti alle nostre ragioni, come ,ministro per il commercio internazionale e le politiche europee, , ministro delle infrastrutture, e Giuseppe Pisicchio, presidente della commissione giustizia della camera", spiega Michelina Grillo, presidente dell'Oua, l'Organismo unitario dell'avvocatura. «No iabbiamo Tracciato un progetto di riforma, e se il ministro Mastella non vuol sentirlo, lo discuteremo con chi invece ha più a cuore le sorti della giustizia italiana», chiarisce Grillo. Il “piano giustizia» degli avvocati poggia su tre cardini: riportare la riforma delle professioni dentro un percorso parlamentare, e abbandonare dunque lo strumento della delega utilizzato da Mastella (contestato dall'Oua anche nel merito, si veda box sotto); dedicare una sessione straordinaria delle camere alla giustizia, in modo da affrontare in maniera organica i vari provvedimenti bloccati o contestati, dall'ordinamento giudiziario a quello professionale; introdurre un emendamento alla Finanziaria per stanziare più fondi al sistema giudiziario, data la condizione limite nella quale si trova la maggior parte dei tribunali italiani, che ormai mancano delle risorse necessarie a comprare anche la carta per le fotocopie o la benzina per le macchine d'ufficio. Non chiediamo la luna", continua Grillo, «ma solo che la giustizia in questo paese ridiventi una priorità. Facciamo come hanno fatto in Spagna, dove i tribunali erano messi peggio dei nostri: hanno riportato la giustizia al primo posto dell'agenda politica e parlamentare, e nel giro di pochi anni hanno creato un sistema giudiziario tra i più all'avanguardia d'Europa". E mentre l'Oua tesse le sue fila per far arrivare il pacchetto pro-giustizia sui banchi del governo, anche attraverso canali diversi da via Arenula (<

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riforma delle professioni bipartisan, che reca la firma del senatore Ds Guido Calvi e altri. «La proposta per noi centrale, e che a mio parere potrebbe risolvere buona parte dei problemi aperti dal decreto Bersani, è l'istituzione degli albi di specialità degli avvocati, ovvero di elenchi nei quali gli avvocati si iscriveranno con la propria specializzazione in una branca del diritto”, spiega Dominioni. E non si tratterebbe solo di iscriversi a un nuovo albo, ma di affrontare un percorso di formazione e tirocinio specialistici, e di un esame ad hoc (ulteriore rispetto all'esame di abilitazione alla professione),alla fine del quale le competenze dell'avvocato in un particolare ramo del diritto sarebbero comprovate. «Ecco un sistema per dare pubblicità alle specializzazioni dei legali senza dover ricorrere a un far west di spot e annunci a pagamento», continua Dominioni, «spero che la nostra proposta possa superare il problema creato dalla legge Bersani e mettere per una volta ordine nel delicato tema delle specializzazioni della professione forense. Quanto ai giovani dell'Aiga, capitanati da Walter Militi, coerentemente con la fascia d'età rappresentata si sono rivolti a , ministro per le politiche giovanili, che il prossimo venerdì interverrà a Roma alloro congresso. «La nostra battaglia non è per proteggere un ceto professionale, ma per assicurare uno sviluppo armonico del paese, per ora impedito soprattutto da una distribuzione dei giovani nei vari settori produttivi. Assolutamente squilibrata, e questo il ministro Melandri sembra averlo capito prima e più di tanti altri”, spiega Militi. «L'Italia investe malissimo in orientamento e formazione, con il risultato che il 50%dei diplomati di area tecnico-scientifica sceglie facoltà umanistiche, e che mentre alcuni settori produttivi. Come quelli scientifici mancano di risorse, altri come la professione legale sono fin troppo saturi”,insiste il presidente dell'Aiga; secondo il quale, comunque, il ddl Mastella non è tutto da buttare. «È positivo che per la prima volta si possa parlare di una riforma organica del sistema professionale”, sottolinea Militi, «se poi riusciamo a discutere col ministro i contenuti, soprattutto per quanto riguarda l'avviamento dei giovani, allora potrebbe venir fuori un buon lavoro».

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ITALIA OGGI

Tutte le perplessità Oua sul ddl Mastella

PRIVATIZZAZIONE DELLA PROFESSIONE. Rispetto alla bozza diffusa nel mese di ottobre, il testo Mastella si sposterebbe nella direzione, ispirata dalla c.d. legge Bersani, della piena assimilazione dei professionisti agli imprenditori, e del sostanziale svuotamento degli ordini dalle prerogative che li caratterizzano. A riprova della tesi della «aziendalizzazione», l'Oua ricorda che dall'articolo 2 è sparita l'esclusione dell'attività professionale dalla disciplina dell'imprenditore (articoli 2082 e seguenti del codice civile).Sempre l'articolo 2 prevede inoltre «l'istituzione di un organismo pubblico cui demandare funzioni di coordinamento» in merito alla tutela dei consumatori e degli interessi pubblici, al rispetto delle regole deontologiche e alla responsabilità del professionista. Una norma che per gli avvocati è un «esproprio» delle funzioni più qualificanti degli ordini, e un assoggettamento dei professionisti al controllo diretto di un organo statale. PUBBLICITÀ E TARIFFE. Lo stesso articolo del ddl riprende!le previsioni della legge Bersani che dà il via libera alla pubblicità dei servizi professionali, ed elimina la previsione (era nella prima bozza) di specifici «limiti per determinate attività professionali da inserirsi nel codice deontologico».Secondo l'Oua si abbandona così l'ottica della salvaguardia della specificità della pubblicità informativa in settori professionali particolarmente delicati come quello forense, aprendo la strada ad asimmetrie informative e scompensi nell'accesso ai servizi professionali ben più gravi di quelli ai quali si vorrebbe porre rimedio. La stessa disposizione elimina, infine, le eccezioni alla libera determinazione consensuale del corrispettivo, che contemplavano per esempio la fissazione di compensi minimi per ipotesi particolari. Una liberalizzazione completa che andrebbe a vantaggio solo dei soggetti in grado di imporre il proprio potere contrattuale, con ulteriore aggravamento degli squilibri già esistenti nel mercato del lavoro. TIROCINIO ED ESAME. L'Oua non condivide la previsione di forme di tirocinio alternative alla pratica presso lo studio professionale, che il ddl individua nella frequenza di specifici corsi di specializzazione (art.3) Il tirocinio presso lo studio professionale o presso un'avvocatura pubblica non può essere sostituito interamente da altre attività formative, spiega l'organismo .unitario. Che protesta anche contro la mancata previsione della necessaria «anzianità di iscrizione adeguata» del dominus, non essendo realisticamente immaginabile che un neo-iscritto sia in grado di garantire una formazione professionale idonea. Agli avvocati non va giù, infine, la riduzione a meno della metà dei membri designati dagli ordini professionali nelle commissioni d'esame forense, previsione che contribuirebbe a compromettere l'autonomia degli ordini e la terzietà dei commissari. ORDINI E ASSOCIAZIONI. La delega prevede la «riorganizzazione degli ordini e degli albi» senza però suggerire soluzioni concrete, né garantire la salvaguardia degli ordini e delle loro funzioni pubblicistiche. Problematica anche la disciplina delle associazioni tra professionisti, per esempio in tema di codici etici obbligatori delle associazioni in presenza di codici deontologici degli Ordini, di riconoscimento delle specializzazioni e di ambiti funzionali di attività. SOCIETÀ TRA PROFESSIONISTI. La disciplina disegnata dal ddl (sì alle società multi-professionali, oggetto esclusivo, tipo societario distinto da quelli del codice civile,possibilità di partecipazione, tranne che per le attività riservate, di soggetti non professionisti e soltanto per prestazioni tecniche, svolgimento della prestazione da parte del socio in possesso dei necessari requisiti designato dall'utente, incompatibilità della partecipazione a una società con la partecipazione ad altra società, assoggettamento anche della società al regime disciplinare), secondo gli avvocati è generica e confusa, soprattutto riguardo ai limiti di partecipazione alla compagine sociale di soggetti non professionisti. Non prevede, poi, un'adeguata gamma di soluzioni (ad esempio società di capitali, associazioni temporanee) in funzione delle singole fattispecie. 16/11/2006 10 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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Altro giro di consultazione prima dell'invio della bozza definitiva a palazzo Chigi

Riforma, le categorie al bis

Ordini e associazioni saranno risentiti da Mastella

Il ministro Clemente Mastella e il suo sottosegretario Luigi Scotti chiameranno nuovamente i professionisti. Dopo le richieste di modifica inviate fra lunedì e martedì da ordini e associazioni, infatti, si rende necessario un nuovo incontro. Quest'ultimo, fra l'altro, richiesto soprattutto da Raffaele Sirica, presidente del Cup (il comitato degli ordini). La notizia arriva da ambienti vicini al ministero della giustizia a margine di ´uno dei tanti incontri' che a via Arenula si stanno tenendo sulla riforma. Ieri, per esempio, si sono incontrati i tecnici della giustizia e dell'università. Quanto alla polemica avviata dal capo del legislativo del Miur, Paolo Narciso, per non aver coinvolto il ministero guidato da nella stesura del progetto di legge delega sulle professioni, si fa sapere che ´la riforma non è un problema di uno o dell'altro ministero, ma del governo. Quindi di volta in volta si stanno sentendo tutte le amministrazioni nonché tutti gli altri soggetti coinvolti al fine di recepire i singoli contributi'. In questo contesto saranno risentite tutte le categorie professionali prima del licenziamento della bozza definitiva. Il ministero della giustizia cerca, così, di smorzare i torni di un dibattito che con il passare dei giorni si va facendo sempre più infiammato. Anche all'interno dello stesso esecutivo. Nell'ultima bozza messa a punto dallo staff di Mastella, non a caso, è sparito qualsiasi riferimento alle tariffe minime per le attività di evidenza pubblica. Un successo del ministro per lo sviluppo economico, Pierluigi Bersani, che a difesa delle sue idee ha portato dal guardasigilli la relazione Ehler approvata all'unanimità dal parlamento Ue il 12 ottobre che chiede uno stop alle tariffe minime obbligatorie. E se per gli altri ministeri coinvolti (lavoro, salute, economia) tutto procede bene, stando alle informazioni raccolte da Italia Oggi, il ministro per le politiche giovanili vorrebbe intervenire nel dibattito. Non a caso Giovanna Melandri la scorsa settimana ha incontrato a Milano alcuni presidenti dei sindacati dei giovani professionisti (come quello dei commercialisti). Assicurano, però, dal mingiustizia che la bozza è aperta ancora ai contributi per un paio di settimane. In questo contesto oggi o al massimo domani dovrebbero arrivare anche le richieste di correzione dei commercialisti. Che nelle ultime settimane stanno cercando in tutti i modi di far sentire la loro voce sul tema del riconoscimento di associazioni come i tributaristi e metter in guardia il legislatore sulle possibili future sovrapposizioni nello svolgimento delle attività. Ignazio Marino

16/11/2006 11 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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ITALIA OGGI Ecco che cosa prevede per gli avvocati la bozza di delega di riforma delle professioni del minGiustizia

Mastella spazza via le tariffe forensi

Ignorata la liquidazione giudiziale dei compensi dei legali

È difficile in poche righe analizzare l'impatto della bozza Mastella di legge quadro di riforma delle libere professioni, presentata ai rappresentanti delle professioni dallo stesso ministro Clemente Mastella giovedì scorso, su quella forense. Un primo rilievo riguarda la provenienza della proposta. Per gli avvocati è certamente più opportuno che del tema si occupi il guardasigilli piuttosto che il ministro Bersani; tuttavia è innegabile che l'impulso delle attività produttive sia rinvenibile tra le molte pieghe di questo testo. Non solo per quello che la bozza dice, ma forse ancor più per quello che non dice: manca infatti un esplicito riconoscimento del carattere peculiare delle attività professionali, la cui libertà di esercizio va ricondotta alla protezione costituzionale del diritto al lavoro, piuttosto che a quella del diritto di iniziativa economica (si veda altro articolo a pagina 39). L'assenza di una definizione della professione si accompagna con l'assenza, forse ancor più grave, per gli avvocati e per i loro organismi rappresentativi, di una definizione degli ordini. L'ordine professionale, secondo l'art. 4, lett. h, risulterebbe articolato ´in organi nazionali e locali'. Se a ciò aggiungiamo i poteri di indirizzo e coordinamento assegnati al livello nazionale, il rischio è quello di cancellare i caratteri di autonomia che da sempre connotano la tradizione degli ordini forensi italiani. Difficile dire se si tratti di un disegno intenzionale. Pur nella vaghezza circa la natura e la collocazione ordinamentale, l'ordine professionale che il testo immagina è (ancora) un ente di autogoverno della categoria, con organi direttivi eletti dagli iscritti, ma svolge soprattutto ´compiti di tutela degli utenti' (art. 4, lett. c). In questo senso il testo recepisce il precipitato del lungo dibattito nazionale sul tema, registrando il largo consenso (anche dentro le categorie, e tra gli avvocati in particolare) circa la necessaria accentuazione del profilo pubblicistico. Anche le funzioni più direttamente rivolte agli iscritti (quali attività di formazione e aggiornamento obbligatorio, ma financo l'adozione dei codici deontologici) sono in realtà collegate all'obiettivo finale di garantire la qualità della prestazione professionale. Così anche il disciplinare, che dovrà esercitarsi da organi diversi da quelli di gestione, ma (paradossalmente!)rappresentativi. Sul fronte interno, cioè per ciò che concerne le attività rivolte alla stessa categoria, accanto a compiti fumosi, quali la ´promozione di modelli organizzativi adeguati allo sviluppo tecnologico del contesto socio-economico', si segnalano: ´l'adozione di iniziative rivolte ad agevolare, anche mediante borse di studio, l'ingresso nella professione di giovani meritevoli... l'erogazione di contributi per l'iniziale avvio' (art. 4, lett. l). Sarebbe stato auspicabile affiancare all'impegno economico degli ordini stessi, espressamente previsto dalla norma, anche un impegno del bilancio pubblico in tal senso, come accade per moltissimi altri settori dell'economia. In ogni caso, sul fronte ordinistico in genere, e su quello degli ordini forensi in particolare, da questo impianto può derivare nel complesso un rafforzamento degli ordini stessi e del loro radicamento sociale: purché sia chiarito l'aspetto di sistema sopra enunciato, in ordine alla soggettività degli ordini quali enti pubblici associativi preposti in condizioni di autonomia alla cura dell'interesse pubblico al corretto esercizio della professione. Ancora: per l'accesso, allo stato attuale il testo non parrebbe consentire di porre vincoli di predeterminazione numerica all'ingresso nelle scuole forensi, che molti, tra gli avvocati, vorrebbero diventassero gradualmente il canale necessario di ingresso nella professione. Sulla pubblicità addirittura si rafforzano le aperture del dl Bersani, che quantomeno rinviava a possibili limiti dei codici deontologici. Soprattutto l'obiettivo pare essere quello di poter pubblicizzare i costi della prestazione. Tanto è vero che le tariffe scompaiono totalmente dall'orizzonte, perfino come criterio tendenziale. Tema caldissimo per gli avvocati, che hanno sempre eccepito la reale impossibilità, specie nel giudiziale, di conoscere in anticipo tempi e svolgimento concreto delle procedure. La questione della liquidazione giudiziale dei compensi per gli avvocati è del tutto ignorata. La lacuna è talmente grave da far pensare che non sia intenzionale. Altre novità, peraltro da tempo condivise dall'avvocatura, l'assicurazione obbligatoria e l'obbligo di un equo compenso per il tirocinante. Il tirocinio, oltre che all'estero, e nelle scuole degli ordini, potrebbe essere iniziato anche nell'ultimo anno di giurisprudenza (sull'onda, forse, di quanto previsto nel dlgs 139/2005 per dottori commercialisti ed esperti contabili). (riproduzione riservata) Giuseppe Colavitti 16/11/2006 12 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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ITALIA OGGI Le critiche del Cnf: la delega mette in crisi l'autonomia degli ordini

Tra le prime rappresentanze che hanno fatto pervenire osservazioni al ministro spicca senz'altro il Consiglio nazionale forense. L'istituzione presieduta da Guido Alpa ha inviato a Mastella una serie corposa di rilievi, non senza aver ribadito, per l'ennesima volta, la preferenza degli avvocati per un percorso di riforma autonomo, ritenuto l'unico in grado di salvaguardare la specificità della professione forense, e riconoscere il ruolo essenziale svolto nell'amministrazione della giustizia. Le osservazioni degli avvocati riguardano anche la tecnica normativa usata: forte preoccupazione è stata espressa per la previsione di regolamenti delegati (ex art. 17, comma 2, legge 400/1988) per il necessario coordinamento con gli ordinamenti professionali vigenti. Il rischio è quello di una delegificazione massiccia degli ordinamenti professionali, che in futuro potrebbero essere regolati da atti del governo e non più da fonti primarie. Sempre sul piano sistematico e generale, il Cnf contesta quella sorta di nuova Authority prevista dall'art. 2, comma 1, lett. a): l'istituzione di un organismo pubblico cui demandare funzioni di coordinamento di attività come quella di assicurare la responsabilità civile del professionista per i danni causati nell'esercizio della professione è previsione incostituzionale, che incide sul diritto al giudice naturale. La responsabilità del professionista è infatti ovviamente oggetto di giurisdizione ordinaria. Dello stesso tono il rilievo sulla mancanza di una definizione della natura giuridica e dei caratteri dell'ordine professionale, che rischia di pregiudicare l'autonomia degli ordini locali (vedi l'altro articolo nella pagina). Il Cnf ha anche rilevato che la bozza Mastella non reca alcun riferimento alle tariffe e alla loro procedura di adozione. Esse sembrano pertanto scomparire del tutto, perfino come mero criterio di riferimento generico, in assenza di accordo esplicito tra professionista e cliente. Che cosa accadrà per la liquidazione giudiziale? Tutto sarà rimesso alla discrezionalità del magistrato? C'è da augurarsi che si tratti di una mera dimenticanza. Il Cnf invita a recuperare la formulazione prevista da una versione precedente del testo, dove, fatto salvo il principio generale della determinazione consensuale del corrispettivo, vi era il riferimento a corrispettivi massimi delle prestazioni professionali, ma anche a corrispettivi minimi da applicarsi per le prestazioni oggetto di riserva di competenza, in modo che tali corrispettivi fossero circoscritti al costo della prestazione, comprensivo delle spese e del compenso del professionista. A proposito dell'esame di abilitazione, il Cnf eccepisce che il ministro sembra essere andato ben oltre la stessa giurisprudenza comunitaria,: l'art. 3, comma 1, lett. b) prevede che i membri delle commissioni d'esame appartenenti agli ordini ´o' designati da questi debbano essere meno della metà. Non sarebbe più ammissibile il sistema odierno, nel quale la commissione è composta da 5 membri, di cui due magistrati, un professore e due avvocati, se l'accademico, come è frequente, fosse anche avvocato, anche se non indicato dall'ordine. Forse ancor più grave il rilievo sul codice deontologico: qui il ministro ha commesso una vera e propria invasione di campo, disconoscendo la piena autonomia degli ordini al riguardo, prevedendo un contenuto necessario del codice deontologico, nonché demandando ai successivi decreti delegati perfino la determinazione delle procedure di adozione. Infine, dopo aver richiamato l'esigenza di garantire la propria giurisdizione speciale, e la inammissibilità di soci non professionisti nelle stp, il Cnf ha puntato l'indice sul tema delle associazioni di professionisti iscritti in albi. Una loro valenza pubblica o ´parapubblica' minerebbe indebitamente il principio di unitarietà della professione forense, con la creazione di una sorta di ´albi separati', e genererebbe oltretutto grave confusione nel pubblico. Anche per il riconoscimento delle altre associazioni professionali, il Cnf ha ribadito la propria contrarietà, motivata dall'esigenza di protezione dell'affidamento pubblico, richiedendo il mantenimento di una linea di confine chiara con le attività dei professionisti iscritti in albi, nell'interesse del mercato alla trasparenza. (riproduzione riservata) 16/11/2006 13 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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ITALIA OGGI Intervista a Italia Oggi del presidente di An che il 12 ottobre partecipò alla marcia dei 50 mila Dopo Bersani una riforma fantoccio Fini: con le bombe di luglio, inutile Mastella sulle professioni

Sulle professioni il governo non ha le idee sbagliate, non le ha proprio. Non ci possono essere altri giudizi per un esecutivo che, in forza di uno spirito vendicativo, vuol smantellare gli ordini. Così, se nella passata legislatura attraverso Pierluigi Mantini (responsabile professioni Margherita) il centrosinistra aveva dato la disponibilità ad appoggiare la riforma, oggi il centrodestra non pare abbia voglia di ricambiare la cortesia. E Gianfranco Fini, presidente di Alleanza nazionale, anticipa a ItaliaOggi che in parlamento la battaglia sarà dura. Dato che An si farà portavoce alla camera e al senato delle richieste dei professionisti. I quali mai come in questo momento vedono all'orizzonte addensarsi nuvole sempre più nere, presagio di tempesta. Ecco perché, in questa intervista, Fini anticipa dall'opposizione l'unica soluzione possibile per valorizzare le professioni in un momento drammatico per loro: ´l'intervento delle regioni'. Domanda. Presidente Fini, questo governo ha una maggioranza risicata e sulle professioni sta facendo molto. Voi avevate i numeri, però, tutte le vostre riforme in materia (classi di laurea per esempio) non sono andate in porto. Come mai? Risposta. È vero, il governo Prodi ha fatto moltoÉ ma molto danno ai professionisti che mai prima d'ora erano scesi in piazza per difendersi dagli attacchi del governo e la protesta, va sottolineato, ha coinvolto tutti senza distinzioni politiche. Quanto poi alle classi di laurea, l'eredità che ci ha lasciato la sinistra con la riforma delle università e le inutili lauree triennali, di fatto ha creato un ginepraio inestricabile dal quale abbiamo tentato di uscire non sempre, è bene riconoscerlo, con buoni risultati. Ma abbiamo tante attenuanti e i professionisti lo sanno. D. Fra l'altro An ha avuto esponenti molto attivi (Siliquini al Miur e Lo Presti come responsabile delle professioni). Forse ci sono state delle gelosie all'interno della Cdl. R. Alleanza nazionale ha sempre tenuto alta l'attenzione sulle professioni italiane e siamo stati i principali animatori del dibattito sulla riforma che, purtroppo, non è andata in porto, non tanto per divisione politiche interne alla Cdl, quanto piuttosto per alcune resistenze corporative che oggi alla luce dell'esperienza sofferta per colpa del centrosinistra fanno rimpiangere il mancato via libera al progetto di riforma della Casa delle libertà. D. Non neghi però che qualche gelosia fra l'allora ministro Castelli e il suo sottosegretario Vietti c'è stata. Tanto da far naufragare una delle bozze di riforma più apprezzateÉ R. Non parlerei di gelosie piuttosto si è trattato di qualche divergenza di vedute tra personaggi di ´carattere' come Vietti e Castelli, ma ripeto, la ´bozza Vietti' era pronta per essere varata anche come maxiemendamento al ddl sulla competitività. Poi non se ne fece nulla perché qualcuno dal mondo delle professioni contestò qualche delega in più o altri dettagli che convinsero il presidente Pera ad espungere l'emendamento dal decreto. D. Adesso, Mastella ha preso parte dei contenuti della bozza Vietti e ci ha fatto un suo disegno di legge delega. Il centrosinistra sta forse mettendo il cappello sul vostro lavoro?

14 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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R. Se Mastella adotterà come base il testo Vietti farà una cosa corretta. Sarà un riconoscimento alla bontà del lavoro fatto dalla Cdl. Non si tratta di mettere il cappello da qualche parte dal momento che abbiamo tutti l'interesse a mettere ordine in un settore che è regolato da leggi in alcuni casi vecchie di 80 anni. E poi i professionisti italiani non sono così sprovveduti da non saper riconoscere meriti e demeriti delle forze politiche. D. A proposito, cosa ne pensa del progetto Mastella? R. Attendo di leggerlo nella stesura definitiva. Sempre che nel governo non scoppi qualche lite fra ministri che vogliono accaparrarsi la competenza. Vedi il battibecco fra Mastella e Mussi. Poi se la riforma sarà gestita come viene gestita in questo momento la Finanziaria, alloraÉ Ma mi chiedo di quale riforma si discuterà se i capisaldi di qualsiasi progetto sulle professioni (tariffe, pubblicità, associazioni, società) sono stati bombardati dal decreto Bersani. D. Cosa manca a quel ddl delega? R. Ad esempio: come risolverà il problema della competenza concorrente delle regioni in materia di professioni? Noi un'idea ce l'abbiamo. In Sicilia il 24 novembre terremo un Forum con i professionisti siciliani (si veda altro pezzo in pagina, ndr), per concertare con loro una risposta al decreto Bersani, nel senso non della sua abrogazione o modifica, perché questo non è possibile, ma nella direzione di una difesa più intensa dell'autonomia e della libertà delle professioni che poi è difesa della qualità del servizio che i professionisti offrono ai cittadini e alla nazione in tutti i campi. Penso ad esempio ad un pacchetto di norme in grado di valorizzare le professioni. D. Come vi comporterete in parlamento: appoggio o ostruzionismo? Non va dimenticato che Mantini (La Margherita) nella passata legislatura il suo appoggio a nome del centrosinistra ve l'aveva sempre datoÉ R. Intanto ci consulteremo con i destinatari della riforma e proporremo le modifiche che riterremo utili o che ci verranno suggerite dai diretti interessati senza prestare acquiescenza a sollecitazioni corporative. D. Questo governo, secondo lei, vuol smantellare gli ordini? E premiare le associazioni? R. Questo governo non ha idee e basta! Sicuramente è animato da spirito vendicativo o nel migliore dei casi da indifferenza verso chi non appartiene al blocco sociale di riferimento della sinistra estrema demagogica e populista. Comunque penso che lo voglia fare. D. Il copione sembra ripetersi: quando si parla di professioni l'opposizione sta sempre con le categorie a criticare il governo di turno. Voi non fate eccezione. Durante la manifestazione del 12 ottobre lei era in prima fila. Dimostra così che la riforma attira i politici solo per i votiÉ R. Non mi pare che nella scorsa legislatura le voci di critica contro il governo del centrodestra fossero così elevate come lo sono oggi. Noi con i professionisti ci siamo sempre confrontati, abbiamo dialogato a lungo, e forse per questo, dopo avere tessuto una buona trama al momento di indossare il vestito ci siamo accorti che il tempo era scaduto. La nostra storia, la storia di Alleanza nazionale dimostra comunque che con i professionisti italiani i legami sono stati sempre leali e forti al di là della caccia al voto. Noi riteniamo infatti che le libere professioni nel nostro paese rappresentino un pilastro fondamentale per la difesa della libertà e dello sviluppo. (riproduzione riservata) Ignazio Marino 16/11/2006 15 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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Itog e i numeri dell'indulto

Dodicimila. No, pardon, 24 mila. Pardon ancora: 17 mila. L'indulto dà i numeri sugli effetti sui beneficiari e succede il parapiglia in parlamento. È quello che è accaduto martedì scorso (si veda ItaliaOggi di ieri), quando il ministero della giustizia ha inviato tre diverse missive alla commissione giustizia del senato. Tutti hanno gridato allo scandalo per le mancate corrette stime che il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aveva reso note sull'impatto della legge, quando era ancora in discussione, ma sarebbe bastato leggere ItaliaOggi per avere il quadro esatto della situazione sin da subito. Già a luglio 2006 Itog aveva stimato l'effetto sulla carceri di 22.500 detenuti che avrebbero ritrovato la libertà sin da subito e nel corso dei primi mesi di applicazione della legge. Cioè già 10 mila in più rispetto alle iniziali stime ministeriali. E l'ultimo aggiornamento, data 2 novembre scorso, parlava esattamente di 24.256. Un comunicato ufficiale del Dap ha chiarito l'arcano: 17.449 persone sarebbero fuoriuscite dagli istituti di pena perché beneficiarie immediate del beneficio. A questa cifra si aggiungono le 7.178 persone che erano in custodia cautelare, in epoca coincidente al trimestre di applicazione dell'indulto, che hanno ricevuto la revoca della custodia cautelare. Totale: 24.678. Appunto.

16/11/2006

16 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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Il sottosegretario Li Gotti illustra i prossimi passi dopo la firma del protocollo

Ufficio del processo, si parte

Ufficio del processo si parte. Martedì si inizierà a discutere con i sindacati e con gli altri uffici del ministero, soprattutto l'Ursia, del modulo organizzativo e si comincerà a definire il profilo delle sedi di sperimentazione: tre tribunali di media grandezza. Il protocollo di intesa fra ministero della giustizia e sindacati è stato appena approvato (la firma è avvenuta giovedì scorso) ma il sottosegretario con le delega al personale che ha condotto il tavolo di trattativa con i sindacati lavora alla realizzazione concreta del progetto che, nella dialettica con i sindacati, ha subito qualche correzione. E che adesso necessita di un nuovo sforzo di inventiva. Domanda. L'Ugl, l'Unione generale del lavoro, non ha firmato il protocollo ritenendo che sia un accordo a perdere fatto di sole chiacchiere... Risposta. Sbaglia a non avere fiducia nel progetto. Ma alla domanda provocatoria sul se avrebbero condiviso l'iniziativa una volta portata a termine mi hanno risposto di sì. Si ricrederanno. D. In effetti, nel campo della giustizia sono stati tanti i progetti annunciati e che poi alla prova dei fatti arrancano. Anche il processo telematico è ancora in fase sperimentale in neanche sette sedi. R. Secondo le aspettative, il processo on-line sarà una realtà in tutte le sedi tra due anni. E il ministero sta lavorando con grande sinergia. Adesso ci metteremo al lavoro per organizzare le cancellerie e le segreterie secondo il nuovo modello. C'è la volontà di tutti di realizzarlo. D. Parliamo di risorse. Ci sono? R. Poiché l'ufficio del processo è un modello organizzativo è a costo zero. La ricollocazione del personale può contare sui fondi ad hoc già disponibili, che copriranno l'80% delle necessità. D. Quali i vantaggi per gli utenti? R. Risparmio di tempo nel processo, senz'altro. E anche meno costi, almeno tutti quelli legati alla carta. D. Chi controllerà che gli uffici giudiziari si adeguino al nuovo modello organizzativo? R. Seguiremo l'evolversi a livello centrale. Anche l'ispettorato ci darà una mano. D. Nel senso che ci saranno ispezioni in questo senso? R. L'ufficio sta rivedendo la sua missione puntando anche al controllo della buona organizzazione degli uffici. D. Sempre in tema di organizzazione degli uffici, quale altro versante state seguendo? R. Abbiamo avviato un tavolo anche con i dirigenti amministrativi.

Claudia Morelli 16/11/2006

17 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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Italia Oggi pubblica il Protocollo d'intesa tra il ministero della giustizia e le Oo.Ss sulla Progressione professionale ed economica del personale dell'amministrazione giudiziaria e sull'istituzione dell'ufficio per il processo La parte pubblica e le organizzazioni sindacali rappresentative dei lavoratori dell'amministrazione giudiziaria, dopo ampia e approfondita discussione nelle riunioni congiunte del 10/10 e del 7 e 9/11/2006:

- considerato che per la piena attuazione dei principi costituzionali contenuti nell'art. 111 Cost. occorre procedere a una riorganizzazione del lavoro del personale dell'amministrazione, in vista di una sua migliore efficienza, della valorizzazione delle professionalità dei lavoratori, di un'articolazione dell'organizzazone degli uffici che consenta una maggiore sinergia tra le rispettive competenze, il pieno utilizzo delle risorse informatiche e telematiche, la razionalizzazione delle attività;

- osservato che le numerose riforme che hanno interessato in passato il servizio giustizia non hanno appropriatamente tenuto conto dell'organizzazione degli uffici e delle esigenze dei lavoratori della giustizia, quale fattore centrale e motore del servizio per i cittadini;

- rilevato che l'attuale situazione normativa di blocco delle assunzioni non consente di ricorrere in tempi brevi alle pur necessarie assunzioni dall'esterno;

- osservato che il personale dell'amministrazione giudiziaria non ha visto realizzate le procedure di riqualificazione che hanno interessato il personale del comparto ministeri e degli altri dipartimenti del ministero della giustizia;

CONVENGONO QUANTO SEGUE:

1. È necessario attivare procedure di progressione professionale semplicate e accelerate, che coinvolgano tutto il personale dell'amministrazione giudiziaria, finalizzate al progetto di riforma dell'oreganizzazione del lavoro, attraverso l'utilizzo congiunto e contestuale degli strumenti legislativi, in particolare per il passaggio tra le aree, e contrattuale.

2. L'amministrazione si impegna a persentare entro 90 giorni dalla sottoscrizione, richiedendone l'assegnazione in sede deliberante o comunque curandone il percorso preferenziale, un disegno di legge che contenga: a) la rideterminazione delle dotazioni organiche in modo conferente alla progressione professionale del personale della giustizia, indispensabile e prodromica all'istituzione dell'ufficio per il processo, quale unità organizzativa diretta all'attuazione concreta dei principi costituzionali del giusto processo e della sua ragionevole durata, del miglioramento del servizio e delle condizioni lavorative; b) il reperimento delle risorse necessarie alla copertura finanziaria del passaggio del personale tra le aree e per la successiva realizzazione della riforma; c) la possibilità di utilizzo, non organico e senza oneri di spesa, nell'ufficio per il processo di tirocinanti; d) le modifiche normative per migliorare l'efficienza del servizio, per esempio in materia di notifiche, esecuzioni, e altre attività anche attualmente di competenza dei magistrati.

3. Le parti dichiarano di proseguire il tavolo negoziale diretto a: a) definire i criteri per la progressione del personale con valutazione in base a criteri oggettivi, quali il titolo di studio e l'esperienza professionale; b) ridefinire le mansioni di ciascuna posizione professionale anche in relazione all'istituendo ufficio per il processo; c) verificare l'utilizzo ai fini della progressione professionale del personale, Fua anche al fine di reperire risorse per il suo arricchimento; e) monitorare periodicamente il processo legislativo e organizzativo avviato, anche al fine di realizzare la contestualità delle procedure di progressione e di garantire la stabilità nello stesso ufficio o sede.

16/11/2006 18 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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A Roma le toghe inaugurano il bon ton per il processo penale di Paolo Auriemma – Presidente Anm Roma

A fronte di una situazione che a Roma vede quotidianamente oltre cinquanta udienze celebrarsi in contemporanea, i penalisti romani, magistrati e avvocati, hanno compreso che si doveva operare, per quanto nelle loro possibilità, per renderne più snella la gestione e facilitare i rispettivi ruoli e il reale accesso alla giustizia dei cittadini. In quest'ottica e in un contesto operativo ove lo sforzo dei magistrati ha comportato una diminuzione dei procedimenti pendenti con la pronunzia, nell'anno 2005, di 26.823 sentenze per rito monocratico e 1.344 per quello collegiale in un anno, a fronte di 26.863 rinvii a giudizio, con esercizio dell'azione penale, sono state elaborate regole che, nel rispetto delle norme del codice di procedura, incidessero positivamente sulla trattazione dei processi. Volontà di rendere maggiormente esplicite le prassi operative restituendo ordine e dignità al processo. Si pensi solo alla possibilità di aver la certezza, ove citati come testimoni, di recarsi a un'ora certa in udienza nella sicurezza di esser sentiti e di non dover mai più tornare. Occorreva, innanzi tutto, prendere atto che la gran mole dei processi portati in udienza poteva esser trattata solo in parte: le mancate notifiche, per esempio, dovute spesso alla carenza di personale a ciò adibito comportano certamente una necessità di una pragmatica razionalizzazione del lavoro. E così si è prevista, disciplinandola, una prassi già praticata da gran parte dei giudici: quella della creazione di un'udienza di prima comparizione di smistamento ove saranno controllate le regolarità delle citazioni in udienza dell'imputato, del difensore e delle parti offese. Ma non si è sottovalutata la possibilità che il privato intervenuto in prima udienza possa, compatibilmente alla situazione, esser ascoltato immediatamente ed evitare di tornare: da qui l'indicazione (poiché di questo si tratta e mai di regole da doversi applicare obbligatoriamente) che potrà esser sentito ove portatore di handicap, in stato di gravidanza o di allattamento, ultrasettantenne, o se documenta di provenire da regione diversa dal Lazio e in ogni caso quando l'imputato è detenuto. Non viene neanche ignorato l'aspetto sostanziale e la parte interessata deporrà ove il giudice lo ritenga assolutamente necessario in relazione agli interessi della parte civile costituita che possano essere seriamente pregiudicati anche da un breve rinvio in relazione alla prescrizione del reato. E ancora altro elemento che prevedibilmente renderà

16/11/2006

19 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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Il ministro guardasigilli si è impegnato a cambiare le regole in commissione giustizia alla camera

Mastella: sì al mandato permanente

A fine mese si riunisce il tavolo tecnico sullo status dei gdp di Francesco Cersosimo - Presidente Associazione nazionale giudici di pace

È previsto per fine mese l'incontro programmato al ministero di giustizia per portare avanti i lavori del tavolo tecnico. Da quanto si è appreso saranno portati avanti i temi della rinnovabilità dell'incarico per i gdp ed incominceranno le discussioni sulla competenza, sia per valore che per materia . Come si ricorderà in merito alla permanenza nell'incarico tendenzialmente come i giudici tributari si sono avuti già due incontri. Nell'ultimo, richiesto ed ottenuto solo dall'Angdp, che non ha inteso interrompere le trattative, tenutosi il 18 ottobre u.s., si è definitivamente acquisita la volontà politica di procedere in tal senso.Ora occorre che il ministero indichi lo strumento legislativo di attuazione, essendo stato verificata la impossibilità di procedere con la finanziaria, in quanto materia non omogenea di spesa. La soddisfazione espressa per avere ottenuto tale impegno, anche in presenza di manifestazioni di astensione dal lavoro e di interruzione di trattative, non può non lasciare il campo ad una forte presa di coscienza da parte dei nostri interlocutori, che debbano poter recepire che tale atto sarà prodromico agli ulteriori , che ben potranno confluire nelle discussioni allorché si verterà di status giuridico ed economico . Che tale sia l'intento del governo, ed in particolare del Ministro Mastella , è stato verificato a distanza di poco tempo dalla riunione del 18 ottobre u.s , allorché questi ha esposto in commissione giustizia della camera il programma del suo dicastero. Per la prima volta un ministro di giustizia ha incluso i giudici di pace tra i soggetti di attenzione . Senza rifugiarsi in generiche affermazioni, ha avanzato per i gdp prospettive di stabilità ´tendenzialmente come i giudici tributari'. Ha parlato di aumento di competenza e di dislocazione geografica migliore . Si veda a tal proposito il sito ufficiale ministeriale www.giustizia.it ed il nostro www.magistraturadipace.it È poco ? A me sembra un impegno politico solenne, un punto di non ritorno da cui non si potrà prescindere. Da questi eventi si dovranno prendere le mosse per una sistemazione globale dei gdp. Rompere il muro del contingente, della onorarietà e quindi della provvisorietà, tanto cara a molti ambienti del sistema giustizia, non è stato facile. Siamo convinti che non demorderanno facilmente. Tuttavia avranno contro il buon senso e la professionalità accumulata con milioni di provvedimenti che hanno impedito al pianeta giustizia di sprofondare. Perché no ? Anche l'abnegazione di tanti magistrati di pace, consapevoli del ruolo e del lavoro che essi espletano al servizio dei cittadini. Anche se in questi tempi dobbiamo segnalare diversi scricchiolii, tendenti a trasportare tra i giudici di pace metodi di confronto e di attività non consoni alla funzione costituzionale che ricopriamo. Siamo consapevoli comunque che la stragrande maggioranza di chi riveste l'incarico di giudice, pur in presenza di gravi torti subiti in occasione dello stop alle anticipazioni degli stipendi, abbia saputo dare risposte adeguate, con nervi saldi e senza demagogia, a chi si proponeva di interrompere il processo virtuoso con il ministero, faticosamente aperto dopo anni di assoluta ignoranza e peggioramenti dei nostri problemi . 16/11/2006

20 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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Il governo risponde a un'interrogazione parlamentare sulla legge Bersani

Indennità, paga l'economia

Gli stipendi ai giudici di pace saranno garantiti

Indennità dei giudici di pace pagate, a partire dal 1° gennaio prossimo, attraverso le procedure di spesa amministrate dalle direzioni del ministero dell'economia e aumento del numero dei funzionari delegati per il pagamento delle altre spese di giustizia. È in questo modo che il ministero della giustizia si sta attrezzando per superare l'impasse derivato dal decreto legge Visco-Bersani (223/06 convertito nella legge 248/2006), che all'articolo 21 ha introdotto nuove modalità di pagamento delle spese di giustizia (tra cui quelle per le intercettazioni) secondo le ordinarie procedure di contabilità generale dello stato (cioè tramite i funzionari delegati) al posto del sistema basato sulle anticipazioni da parte degli uffici postali. Il sistema delle anticipazioni postali resta in essere, specifica la legge, solo per le spese di notifica nei procedimenti penali e per gli atti di notifica e di espropriazione forzata nei procedimenti civili quando i relativi oneri sono a carico dello stato. Il sistema ha dato luogo a ritardi e intoppi che hanno messo a soqquadro gli uffici e messo in allarme i giudici di pace. I passi per regolarizzare il nuovo meccanismo sono stati illustrati in una risposta a una interrogazione parlamentare, presentata da Enrico Costa di Fi (n 5-00368), formalizzata in commissione dal sottosegretario Luigi Li Gotti. Nell'interrogazione si è messo in risalto che le scelta del governo ha portato a una serie di debiti da parte degli uffici giudiziari anche nei confronti dei professionisti, per incarichi conferiti nel corso dei processi, circostanza che in qualche caso ha avuto conseguenze drammatiche. In particolare, Costa ha chiesto al mingiustizia la situazione debitoria di via Arenula e il numero esatto dei creditori. A questa domanda l'amministrazione non è stata in grado di rispondere visto che non esiste un archivio centrale relativo al numero degli incarichi da retribuire e all'ammontare dei crediti per il motivo che le liquidazioni vengono disposte autonomamente da ogni ufficio giudiziario, sia esso tribunale o procura della repubblica, senza alcuna comunicazione al ministero. Ma sul sistema di pagamento Li Gotti ha rassicurato che l'esecutivo sta organizzandosi per il prossimo futuro. ´Si fa presente che, per quanto riguarda il pagamento dei compensi da corrispondere alla magistratura onoraria, si stanno assumendo provvedimenti per far sì che, a partire dal 1° gennaio 2007, i medesimi vengano eseguiti attraverso procedure di spesa amministrate dalle direzioni del ministero dell'economia e delle finanze. Invece, per il pagamento delle restanti spese di giustizia, si osserva che si sta provvedendo a individuare nuovi funzionari delegati in modo da meglio supportare le attività di pagamento, che al momento vengono svolte con sofferenza dai funzionari distrettuali', così si legge nella risposta. (riproduzione riservata) Claudia Morelli 16/11/2006

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La lettera di Paolo Valerio - Presidente Federmot

Nel nuovo Consiglio superiore della magistratura insediatosi la scorsa estate si respira aria nuova per i giudici onorari di tribunale (Got) e per i viceprocuratori onorari (Vpo). A fine agosto il presidente dell'ottava commissione, Cosimo Maria Ferri, eletto nelle fila di Magistratura indipendente, aveva sorpreso i magistrati onorari preannunciando importanti novità per la categoria. Martedì è giunta la conferma; durante un'audizione al Csm, la Federmot ha appreso che a palazzo dei Marescialli si sta valutando l'opportunità di reinserire i Got nei collegi giudicanti. Ma potrebbero esserci anche altre novità rispetto alle vecchie circolari. Nella scorsa consiliatura, infatti, il Csm aveva compresso le competenze dei giudici onorari, costringendo i presidenti dei tribunali a riversare centinaia di migliaia di procedimenti civili e penali sui già saturi ruoli dei magistrati togati. La proposta della Federmot è invece di utilizzare i Got per alleggerire il peso dell'arretrato giudiziario, destinato ad aumentare nei prossimi mesi a causa dell'imminente pensionamento di diverse centinaia di magistrati togati. Il consigliere Roberto Maria Carrelli Palombi Di Montrone, intervenuto in rappresentanza del gruppo associativo Unicost, ha evidenziando che i Vpo hanno ormai la rappresentanza esclusiva della procura della repubblica in tutte le udienze monocratiche e stanno assumendo un ruolo di crescente rilievo nelle indagini preliminari per i reati di competenza dei giudici di pace. Per esempio presso il tribunale di Roma, dove il procuratore capo ha affidato le indagini per tali reati esclusivamente ai pm onorari, sono stati definiti con l'esercizio dell'azione penale o con la richiesta di archiviazione 47 mila procedimenti penali sui 50 mila iscritti a ruolo dal 2 gennaio 2002 a oggi. Ma il Csm ha mostrato particolare attenzione anche per la tormentata questione dei pagamenti spettanti ai Got e ai Vpo: a causa del decreto Bersani, le retribuzioni di questi magistrati onorari sono bloccate da mesi alla firma dei funzionari delegati e il consigliere laico Ugo Bergamo (Udc) ritiene che su questa questione il Csm debba valutare l'opportunità di aprire una pratica a tutela dei magistrati onorari di tribunale. Intanto Got e Vpo, in aperta polemica con la scelta del governo Prodi di bloccare le spese di giustizia e di decurtare gli stipendi dei magistrati togati, hanno proclamato l'astensione dalle udienze civili e penali dal 4 al 7 dicembre: protestano in particolare contro l'inerzia del parlamento, il blocco delle retribuzioni e il mancato pagamento del secondo gettone giornaliero, previsto per legge ma corrisposto solo saltuariamente. (riproduzione riservata)

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Il 7 novembre la VIII commissione ha audito i vertici dell'Angdp sulla rimodulazione della presenza degli uffici nel territorio

Il Csm studia la riforma delle piante organiche di Giovanni Breveglieri - Vice presidente Associazione Nazionale Giudici di Pace

Il 7/11/06 la delegazione dell'Associazione Nazionale Gdp composta dal vicepresidente Breveglieri e dai presidenti distrettuali Summa (Na) e Blasi(Roma), su mandato del presidente Cersosimo, si è recata al Csm su richiesta del presidente dell'VIII commissione per esprimere una opinione in ordine alla rideterminazione della pianta organica e degli uffici dei gdp sul territorio. Com'è noto la situazione attuale presenta un'inidonea distribuzione dei giudici di pace sul territorio con sovrabbondanza in certe sedi e carenza in altre. La finalità perseguita dall'incontro: 1) Maggiore mobilità del personale giudicante; 2) maggiore mobilità del personale amministrativo; 3) opportunità di meglio dispiegare il personale presso i Tribunali. L'Associazione Gdp , contraria alla chiusura indiscriminata di sedi periferiche, ha manifestato disponibilità ad operare al fine di favorire una miglior distribuzione e razionalizzazione del lavoro, con accorpamenti senza soppressioni di uffici . L'Ass. ha relazionato al Csm che su questo tema già si è ricercato la collaborazione dell'Anci nazionale ( dal primo contatto è scaturita la disponibile ad operare per il progetto anche utilizzando le sue sedi periferiche regionali). Con l'Anci si è ipotizzato il coinvolgimento congiunto di tutte le amministrazioni locali al fine di organizzare un tavolo a cui invitare i sindaci dei comuni interessati che congiuntamente all'Associazione Gdp ritrovino una soluzione, relativamente al personale amministrativo. Dalla prima idea si è giunti a ritenere che sarebbe di aiuto coinvolgere anche le Unione dei piccoli Comuni che già operano per problemi analoghi e che riguardano piccoli comuni collegati fra loro. L'ipotesi di intervento su piccoli uffici in termine di piccolo carico di iscrizioni verte sulla duplice ipotesi o di accorpamento o di presenza di un giudice itinerante è finalizzata al recupero di centinaia di impiegati amministrativi da dispiegare reimmettendoli nell'organico dei tribunali con un notevole risparmio sulle spese a carico del ministero. L'ipotesi da sottoporre ai comuni ricalca a grandi linee la soluzione che è stata praticata in precedenza con i giudici conciliatori; tale soluzione prevede il farsi carico e la messa a disposizione, da parte della amministrazione Locale in cui esiste l' Ufficio Giudiziario, sia dei locali idonei alle udienze che del personale amministrativo, il ministero potrebbe essere coinvolto attraverso il riconoscimento di un contributo sulle spese del personale amministrativo.

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L'associazione suggerisce l' istituzione della figura di un giudice di pace itinerante e retribuito con migliori indennità ; per tali sedi occorrerà predisporre che nel loro complesso siano idonee a garantire un lavoro professionale continuativo al giudice assegnato all'ufficio giudiziario. Il principale guadagno qualitativo della figura professionale itinerante su più uffici, consisterà nel continuare a garantire il servizio di una giustizia di prossimità . È stato quindi suggerito di ipotizzare una presenza, in termini di numero di presenze giornaliere, differenziata a secondo del carico di iscrizioni annue per ufficio. Seguiranno altri incontri di concerto con ministero, Csm ed avvocatura. Successivamente sono stati affrontati i temi dell'organizzazione degli uffici e la nostra delegazione ha evidenziato i gravi problemi amministrativi che attanagliano gli uffici giudiziari: -Carenza di personale adeguato ai compiti; -Carenze strutturali, in molte sedi di grandi città, che non consentono di esercitare la funzione compiutamente; -Carenza di materiale di cancelleria e di idonei stanziamenti per l'aggiornamento del giudice; -Sul tema della carenza di professionalità riscontrata nelle sentenze di alcuni giudici di pace, l'associazione ha fatto presente l'impegno di tutta la struttura associativa, attraverso una presenza costante nelle commissioni per la formazione permanente, in tali commissioni (a differenza degli altri onorari presenti) i nostri rappresentanti sempre si sono distinti con proposte sia collaborative che organizzative volte a fornire proposte ed idee formative. È stato fatto presente come la carenza organizzativa non ci compete derivando essenzialmente da decisioni su cui non abbiamo facoltà di intervenire . Si è auspicato da parte del Csm una maggior integrazione con i Consigli Giudiziari delle rispettive Corti di Appello allo scopo di essere fulcro e dispensatore di materiale, nonché distributore di esperienze formative. Allo stato attuale esistono commissioni in certi distretti di Corte di appello, che si sono particolarmente distinti per creatività ed efficienza mentre altre realtà sono ancora ferme alla fase costitutiva nonostante siano già trascorsi due anni dalla fase istitutiva. Si è confermata la mancanza di dialogo presso molti tribunali fra i presidenti ed i giudici di pace coordinatori , nonostante il fatto che il presidente risulta incaricato della funzione di controllo dell'attività dei Giudici di Pace del suo circondario. L'audizione incontro comunque non può ritenersi soddisfacente e ci auguriamo che quanto esposto dall'Angdp sia tenuto in considerazione . In ogni caso è intenzione della presidenza ricercare i contatti con l'Anci e con le regioni che sul piano organizzativo devono dare attuazione all'art.116 cst .

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DIRITTO E GIUSTIZIA Eletti i vertici dell'Antimafia Con 33 voti a favore su 48 presenti, Francesco Forgione (Rc) è il nuovo presidente della commissione parlamentare Antimafia. Vicepresidenti sono Giuseppe Lumia (Ulivo, già presidente della bicamerale durante la XIII legislatura) e Mario Tassone (Udc), segretari Antonio Gentile (Fi) e Tommaso Pellegrino (Verdi). Francesco Forgione è nato a Catanzaro nel 1960, giornalista professionista, è stato eletto alla Camera con Rifondazione comunista nella circoscrizione della Sicilia orientale; già dal 1982, da dirigente del Pci in Calabria, è impegnato a denunciare la presenza di imprese legate alla mafia crotonese nella costruzione della base militare degli F16 a Isola di Capo Rizzuto. Nel 1996 è eletto deputato all’Assemblea regionale siciliana dove fino al 2006 riveste l’incarico di capogruppo di Rifondazione e dove lavora alla commissione regionale antimafia. In questi anni redige il Testo unico della legge Antimafia, antiracket e antiusura, così come è sua la legge sulla trasparenza nella Pa che viene approvata all’unanimità dal parlamento siciliano. Sino ad un mese fa è stato direttore responsabile di Telejato, la tv antimadia di Partinico, animata da alcuni compagni di Peppino Impastato. Tra le priorità del neo presidente, sulla scia dell’esperienza maturata in Sicilia «giungere in tempi brevi all’approvazione di un testo unico di norme antimafia, antiracket, antiusura e antiriciclaggio», prendendo spunto dal lavoro già svolto dalle commissioni Fiandaca e Grosso. «Occorre adeguare la strumentazione di contrasto ai nuovi livelli economico- finanziari della globalizzazione criminale – ha detto Forgione – alla capacità di inserimento delle mafie nelle pieghe della società e delle istituzioni, per colpire, confiscare e riconsegnare alla società ricchezza e patrimoni dei mafiosi». Perchè la mafia, ha aggiunto il neo presidente, non conosce schieramenti politici ma solo l’accumulazione della ricchezza e del potere. «Bisogna anche adeguare la legislazione per aggredire la zona grigia di quella borghesia mafiosa della quale spesso parla il Procuratore Grasso – ha aggiunto – questo lavoro potrebbe impegnare, assieme alla commissione antimafia, anche le commissioni Giustizia e Affari istituzionali del Parlamento». Per l’azione di contrasto serve quindi unità, partendo dalla consapevolezza «che occorre ricostruire un’etica pubblica condivisa e una riforma economica e morale della società». Sono 50 i componenti della commissione, equamente suddivisi tra deputati e senatori. La maggioranza è così composta. L’Ulivo ha 16 componenti, di cui otto provenienti dalla Camera (Michele Bordo, Maria Fortuna Incostante, Giuseppe Lumia, Maino Marchi, Antonio Rotondo, Giovanni Burtone, Maria Grazia Laganà Fortugno e Riccardo Villari) e otto dal Senato (Massimo Brutti, Guido Calvi, Costantino Garraffa, Nuccio Iovene, Rosa Villecco Calipari, Giovanni Procacci, Benedetto Adragna e Aniello Palumbo); tre i commissari di Rifondazione tra i quali ovviamente il presidente proveniente dalla Camera e i due senatori Giuseppe Di Lello e Maria Celeste Nardini; Tommaso Pellegrino dei Verdi (Camera); Orazio Licandro e Maria Agostina Pellegatta per il Pdci; Vito Li Causi per l’Udeur, Giuseppe Astore e Aniello Formisano per l’Italia dei valori; Giacomo Mancini per la Rosa nel pugno. Per l’opposizione: Forza Italia ha dieci commissari, cinque dalla Camera (Alfredo Vito, Jole Santelli, Luigi Vitali, Ida D’Ippolito e Filippo Misuraca) e cinque dal Senato (Carlo Vizzini, Antonio Gentile, Francesco Nitto Palma, Franco Malvano ed Emmidio Novi); An ha sei componenti, tre di Montecitorio (Angela Napoli, Nicola Bono, Marcello Taglialatela) e tre di Palazzo Madama (Eupredio Curto, Franco Mugnai e Nicola Buccico); tre componenti per l’Udc, Mario Tassone, Mario Baccini e Salvatore Ruggeri; Roberto Castelli per la Lega, Carmelo Lo Monte e Giovanni Pistorio per il gruppo misto e Paolo Cirino Pomicino per la nuova Dc.

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Inviate alla Commissione europea le osservazioni del Mingiustizia sul Libro verde di marzo

Successioni Ue ad ampio raggio

L'armonizzazione dovrebbe essere estesa a tutte le questioni

Prosegue il cammino della cooperazione giudiziaria europea in materia di successioni. La Commissione europea ha fissato per il prossimo 30 novembre a Bruxelles un'audizione pubblica cui possono partecipare tutti i cittadini dell'Unione, e che segue i commenti alla proposta di Libro verde formulata nel marzo dello scorso anno. Due i contributi ufficiali al testo in via di perfezionamento che sono arrivati all'Ue dal nostro paese. Il primo è quello del ministero della giustizia, in rappresentanza dell'Italia quale stato membro, mentre il secondo è firmato dalla Società italiana degli studiosi del diritto civile. Entrambi i pareri concordano sul fatto che l'Unione europea dovrebbe produrre regole in materia di testamenti e successioni di carattere generale, che non si limitino alla determinazione degli eredi e dei loro diritti, ma che abbraccino anche gli aspetti della liquidazione e della suddivisione dell'asse ereditario, nonché le tutele cautelari in vista del riconoscimento dei diritti successori. Lo stesso può dirsi per il criterio di collegamento utilizzabile per determinare la legge applicabile, che è indicato dalla cittadinanza del de cuius. In dettaglio, invece, mentre per la Società di studiosi di diritto civile può essere anche lasciata al testatore la possibilità di indicare come legge applicabile al proprio testamento quella dello stato in cui ha il domicilio, secondo il ministero di giustizia quest'ultima possibilità non sarebbe ammissibile, perché contraria alla libertà di testare. Il ministero precisa, infatti, che nell'ordinamento italiano non sono ammessi né i testamenti congiuntivi, né i patti successori, considerati contrari all'ordine pubblico e limitativi della libertà di testare garantita dall'ordinamento. Gli studiosi di diritto civile, poi, suggeriscono alla Commissione di risolvere il problema dell'eventuale incompatibilità delle leggi applicabili alle successioni dei commorienti, stabilendo una regola unitaria, ragionevolmente la presunzione di commorienza. In merito al consentire o meno al coniuge la scelta della legge applicabile al suo regime matrimoniale per disciplinare la sua successione, sia il ministero sia la Società di studiosi concordano nel negare questa facoltà, precisando che il regime patrimoniale familiare e il diritto delle successioni non dovrebbero interferire uno con l'altro. Nel caso in cui, inoltre, la norma applicabile in caso di conflitto di norme non riconosca l'istituto della legittima o ne definisca la portata in modo diverso, i pareri italiani concordano nella necessità di preservarne l'applicazione, sempre nel caso che tale istituto sia riconosciuto dalla legge di residenza o domicilio del legittimario pretermesso. Non è necessario secondo gli esperti italiani, invece, adottare norme particolari in caso di conflitto di leggi in materia di trust. Secondo il ministero di giustizia si potrebbe ipotizzare l'applicazione della legge dello stato in cui il trust deve essere eseguito, mentre la Società degli studiosi auspica una disciplina uniforme del trust con l'approntamento di regole comuni a tutti gli stati comunitari.

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Sulla regola sul conflitto che occorrerebbe adottare per determinare la legge applicabile alle questioni preliminari agli effetti della successione, mentre gli studiosi indicano la cittadinanza del de cuius, gli esperti del ministero indicano come proposta la norma secondo la quale il giudice della successione conosce incidenter tantum le questioni preliminari agli effetti della successione. Pareri italiani diversi, invece, per quel che riguarda l'arrivo a un foro unico in materia di successione. Molto più possibilisti gli studiosi, che lo indicano nel tribunale dello stato la cui legge disciplina la successione. Meno i ministeriali, che lo ritengono di difficile realizzabilità, sottolineando, comunque, come in caso di raggiungimento di un accordo sul tema, dovrebbe essere adottato quale criterio unico generale quello della legge nazionale del defunto. Molto decisi in senso negativo i pareri italiani sull'eventualità di prevedere per gli eredi la possibilità di adire il tribunale di uno stato membro diverso da quello designato da un'eventuale norma principale sul conflitto di competenza. Quest'ipotesi, infatti, violerebbe il principio della precostituzione del giudice naturale. Per i testi integrali delle proposte visitare il sito internet http://ec.europa.eu/justice_home/news/consulting_public/successions/news_contributions_successions_ en.htm. (riproduzione riservata) Paolo Bozzacchi

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DIRITTO E GIUSTIZIA Intercettazioni, più potere al Garante e attività giudiziarie più protette

Dalle “reticenze” della Telecom, all’audizione dei rappresentanti di Sismi e Sisde, per passare ai dirigenti del ministero della Giustizia fino al procuratore Armando Spataro: dove si è verificato il corto circuito che ha portato alla pubblicazione di tante informazioni private? Sulla scia del dibattito scatenato da pubblicazioni (a volta anche indiscrete) di intercettazioni telefoniche, il 4 luglio scorso, la commissione Giustizia del Senato, chiedeva al presidente di Palazzo Madama di poter effettuare una approfondita analisi sul fenomeno, acquisendo più elementi possibili. Martedì scorso, 14 novembre, l’ex magistrato Felice Casson (Ulivo), ha presentato la sua proposta di documento conclusivo che adesso dovrà passare il vaglio della II commissione. Riassunte nel documento tutte le audizioni svolte dal 13 luglio al 19 ottobre, partendo dal presidente dell’Autorità garante per la protezione dei dati personali Francesco Pizzetti per concludere con il presidente di Telecom Italia Guido Rossi.

I rappresentanti di Telecom sono stati ascoltati più di una volta dalla commissione «a causa delle perplessità – scrive Casson – suscitate in vari commissari dalla lettura del verbale delle loro audizioni, che appariva in chiaro contrasto con le più recenti notizie di stampa relative alle indagini intraprese dalla magistratura milanese». Tra l’altro, aggiunge ancora Casson, «durante l’audizione del 26 luglio erano state formulate riserve di trasmissione di atti alla Commissione, riserve e promesse rimaste inevase». Nonostante la successiva audizione di Rossi, sottolinea Casson, sono rimaste ad esempio senza risposta domande e richieste di chiarimento riguardanti il rapporto e l’esito (anche parziali) degli accertamenti sinora svolti da Kpmg advisory Spa (società alla quale Telecom si è rivolta per la mappatura e verifica dello stato di sicurezza delle attività connesse alle prestazioni obbligatorie, nonchè dei database relativi ai dati di traffico e delle connesse applicazioni) sui sistemi “Radar” (rilevamento antifrode con data mining su radiomobile) e “giustizia”, oppure le perplessità relative alla persistenza di 132 porte di accesso ai sistemi Telecom che presiedono alla conservazione dei dati di traffico, infine i motivi per cui erano stati creati illecitamente dei dossier su circa 150 dipendenti Telecom, il 90 per cento dei quali appartenenti a due aree sensibili come gli addetti a rapporti con l’autorità giudiziaria o alla rete. Finite le audizioni, la commissione è rimasta in attesa degli atti e delle notizie mancanti ed espressamente richieste: «Attesa risultata vana – scrive Casson – nonostante i rinnovati solleciti telefonici».

In considerazione di tutto il lavoro svolto dalla commissione, Casson propone di rivedere innanzitutto il ruolo del Garante, studiando in sede legislativa altri poteri cautelari e sanzionatori oltre al blocco delle attività di trattamento dei dati sensibili per le società di gestione di telefonia. Consentire all’autorità un intervento equo ed efficace, permettendogli anche un intervento più concreto nei confronti di disfunzioni ed inefficienze commesse da uffici di polizia giudiziaria o della procura. Le attività di magistratura e polizia giudiziaria, inoltre, dovrebbero essere molto più “protette”, restringendo la possibilità di accedere a dati riservati; si potrebbe ad esempio concentrare i centri d’ascolto presso le sole procure distrettuali, riducendo il numero degli addetti ai centri stessi, adottare rigide misure di sicurezza tanto per la sala d’ascolto che per la sala server e ridurre drasticamente il numero (attualmente sono decine di migliaia) di coloro che sono abilitati ad accedere al sistema informativo per l’ottenimento di dati sensibili. Dal punto di vista legislativo, visto che ci sono già disegni di legge in materia all’esame del Parlamento, Casson segnala due punti in particolare da introdurre: la necessità di imporre al magistrato, al momento del deposito, la scelta processuale tra le intercettazioni da utilizzare e quelle che invece non ritiene utili, con la conseguente distruzione di queste ultime e l’approfondimento degli strumenti per rendere effettiva e rispettata questa decisione «anche perchè – scrive Casson – una analoga norma tuttora vigente viene ampiamente e costantemente disattesa». Sempre da un punto di vista normativo, secondo l’ex magistrato «va affrontata la questione attinente ai sistemi (telefoni satellitari o software tipo Skype) che creano difficoltà o impossibilità di controllo» perchè si è in presenza di un vuoto normativo. Infine obbligare le società di gestione che trattano dati sensibili a collaborare e a consentire agli organismi pubblici di poter effettuare qualsiasi controllo. Evitando così situazioni come quella verificatasi con la Telecom che ha negato dati e informazioni ad una commissione parlamentare. (p.a.) 16/11/2006 28 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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DIRITTO E GIUSTIZIA

Ruoli amministrativi, direttivi e dirigenziali: l'evoluzione (e le ombre) dell'amministrazione penitenziaria di Luigi Morsello - Ispettore generale dell’amministrazione penitenziaria

L’A. è stato un funzionario direttivo dell’Amministrazione Penitenziaria dal 1° febbraio 1967 al 31 gennaio 2005, conseguendo la promozione ad Ispettore Generale del Ruolo ad Esaurimento nell’anno 1984. Con il 1° febbraio 2005 tale ruolo ha cessato di esistere per essere stato l’A. l’ultimo funzionario presente in esso. Non è mai asceso l’A. ai ruoli dirigenziali, ma non ne è rammaricato, affatto. Non potendo essere la maglia rosa perché il sistema non era ispirato al merito, era preferibile essere la maglia nera. Ma non per impegno, che non ha mai fatto difetto, solo per ‘carriera’, che non è stata mai perseguita. Il fatto di non essere inserito in un meccanismo di potere costituiva, tuttavia, un vantaggio, quello di essere fuori della mischia ed in un osservatorio privilegiato. In tale lasso l’A. ha diretto numerosi ed importanti istituti penitenziari, mettendo in funzione due nuove carceri: Busto Arsizio nel 1984, Pavia nel 1992 e rimettendo in funzione Lecco, chiuso per un quadriennio per ristrutturazioni (compito disimpegnato in 45 giorni, per poi accedere alla pensione, direttamente). Quindi, chi scrive ha vissuto tutte le stagioni dell’Amministrazione penitenziaria, non da protagonista né da spettatore passivo, ma da osservatore attivo che ha fatto (o almeno ha cercato di fare) tutto il proprio dovere fino in fondo ed anche oltre, dibattendosi fra mille difficoltà e pericoli, compreso il famigerato ed un po’ dimenticato ‘decennio degli anni di piombo’. Come già sostenuto in altro lavoro, lo spartiacque del Pubblico Impiego va individuato nell’anno 1972, in cui fu varata la norma delegata, istituiva dei ruoli dirigenziali. Gli attuali vertici amministrativi dell’Amministrazione Penitenziaria sono entrati in servizio quasi tutti dopo il 1972, sopravvive del periodo precedente solo un Dirigente Generale-Provveditore Regionale, che è prossimo al pensionamento per limi di età (67 anni). Una norma transitoria della legge istitutiva della dirigenza consentiva, anzi stimolava i funzionari direttivi apicali di tutto il pubblico impiego ad andare in pensione con un ‘bonus’ di 7 anni di maggiorazione dell’anzianità di servizio, ai fini della pensione e della buonuscita, ed altre migliorie. Nell’A.P. vi fu una vera ecatombe, che provocò l’uscita di scena della maggior parte dei funzionari direttivi apicali, o che lo sarebbero divenuti in un lasso, previsto dalla normativa in argomento. Andarono via quasi tutti. È paradossale, ma chi varò quella riforma siede ancora in Senato, alla bella età di 87 anni. Ciò costituì un danno un ‘vulnus’ irrecuperabile, perché un’intera generazione di funzionari direttivi scomparve d’incanto, senza alcuna transizione, consegnando il testimone alle nuove generazioni, fra le quali l’A. (che è uscito di scena il 1° febbraio 2005) era uno dei più giovani, con appena sei anni di servizio e purtuttavia dirigeva già un istituto di pena (una casa di reclusione) fin dal gennaio 1970. L’attuale Vice Capo del Dipartimento non era ancora in servizio nel 1972. Quale era la natura del danno provocato da queste modifiche ordinamentali ? È presto detto: non fu consentita la formazione sul campo delle generazioni assunte dopo il 1972, mediate la trasmissione ed il perpetuarsi delle esperienze fatte ed accumulate dai direttori più anziani. Questa formazione era all’epoca, soprattutto, pratica. I corsi di formazione presso la Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione, che si tenevano a Caserta, della dura di tre mesi, non venivano quasi mai fatti: l’A. non lo ha frequentato perché non istituito per i vincitori di quel concorso. In tal caso il danno fu duplice, perchè non consentì di acquisire questo punteggio. Il direttore titolare, dotato di grande esperienza, insegnava al giovane vice-direttore il mestiere, con la pratica, assegnandolo ai vari settori dell’amministrazione di un carcere. 29 Via G.G. Belli, 27 – 00193 Roma – Tel. 06.32.18.983 – 06.32.21.805 – Fax 06.32.19.431 www.oua.it - e-mail: [email protected][email protected]

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L’A. fece appena in tempo ad avere un modello, inimitabile, nell’Ispettore Distrettuale dell’epoca, che reggeva due regioni, Toscana ed Umbria e che il 30 giugno 1973 fu collocato in pensione, obbligato a ciò dalla prospettiva dello ‘scivolo’ di sette anni più sopra menzionato, cui non era ragionevole resistere. Era stato il più giovane Ispettore Distrettuale dell’epoca, conseguendo il grado di Ispettore Generale ad appena 54 anni.. Era divenuto Ispettore Generale mediante ben due concorsi di sbarramento, con prove scritte ed orali, poi cancellate dall’ordinamento degli impiegati civili dello Stato con la riforma del 1970. Merita che se ne citi il nome: il dr. Leo De Santis. Queste due date (il 1970 ed il 1972) sono le due date più nefaste, almeno per l’Amministrazione Penitenziaria, quelle in cui scomparvero le promozioni vere per merito (concorsi per esami, scritti ed orali, per posti definiti messi a concorso) e presero campo le promozioni facili, quelle in cui, sempre per posti definiti messi a concorso, si utilizzavano il criterio dello scrutinio per merito comparativo e a quello per merito assoluto (anzianità di servizio). Non esisteva sistema peggiore, accedettero ai ruoli dirigenziali anche non laureati già in servizio. Solo in epoca recente tale accesso è stato inibito: oggi entrano ai ruoli dirigenziali solo funzionari e concorrenti in possesso di specifiche lauree. Rari sono stati i concorsi veri, quelli classici con esami scritti ed orali per l’accesso alla funzione di Primo Dirigente, mentre prendeva piede il sistema del corso-concorso, articolato con uno scrutinio per titoli per l’accesso ai posti messi a concorso e la frequenza del successivo corso di formazione, che si teneva presso l’Istituto Superiore dell’Amministrazione Penitenziaria, per quella amministrazione. Naturalmente, la critica riguarda il comportamento del legislatore, non l’amministrazione che ha applicato quella legislazione, anche se è legittimo pensare che ne fosse l’ispiratrice. L’A. non ha mai presentato partecipato a corsi-concorsi né a concorsi, anche perché il lavoro di direttore per chi lo vuole fare per davvero era, oggi è ancor più e fin troppo impegnativo e perché nei corsi-concorso la differenza era data, prevalentemente, dai titoli per pubblicazione di lavori come il presente e dagli incarichi di missione. Dove trovava il tempo un direttore, specie egli anni del terrorismo? Ma non solo. I titoli acquisiti duravano un decennio, dopodiché non erano più utilizzabili ed il funzionario che non produceva lavori pubblicati e non era più inviato in missione, fatalmente ed inesorabilmente indietreggiava negli scrutini successivi, era conseguentemente emarginato, soprattutto con riguardo all’accesso alla dirigenza, in incarichi direttivi in istituti medio - piccoli. Dopo il decennio degli anni di piombo (1972/1982), la classe direttiva penitenziaria era sempre più formata da funzionari inesperti, brillavano soprattutto coloro i quali erano allocati, per virtù propria od altrui, in nicchie prive di rischi professionali e al riparo da attentati. Non solo. Iniziava il deprecabile fenomeno della “deresponsabilizzazione” (la c.d. “fuga dalle responsabilità”) dei ruoli direttivi, del rifiuto di adottare decisioni che comportavano responsabilità, pur essendo le stesse di natura istituzionale. Si sono registrati casi di funzionari direttivi che, con 13-14 anni di servizio alle spalle, ancora non erano direttori titolari e nemmeno reggenti della direzione di un carcere. Massima ed esasperata era l’attenzione a non correre rischi di nessun genere, per non compromettere la ’carriera’, un termine che l’A. nel contenuto che è dato oggi al termine disprezza profondamente. È stato dato di registrare carriere fulminee, di Primi Dirigenti transitati direttamente alla funzione di Dirigente Generale, senza passare per la funzione intermedia di Dirigente Superiore. Particolarmente drammatica, in termini di acquisizione di professionalità – fatte salve rare e luminose eccezioni - , era la situazione dei direttori degli istituti penitenziari ‘monstrum’, quelli giganteschi per strutture e/o per capienza. Lì si è trattato di esercitare capacità ed abilità funambolesche, una specie di carosello motociclistico ad ostacoli, in cui vince chi ha l’abilità di non far cadere nessun ostacolo e di farlo nel più breve tempo possibile. Particolare abilità si dispiegava nella frequentazione di televisioni locali e, talvolta, nazionali. Molte sono le carriere motivate dal trionfo dell’effimero. Di recente confidava un Provveditore Regionale che suoi direttori di istituto, con dieci e più anni di servizio,

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erano per lui un vero problema e l’interessato a sua volta era in servizio dalla fine degli anni ‘70. Tutto quanto precede si viene affermando perché, a giudizio di chi scrive, il male dei ruoli direttivo e dirigenziale dell’Amministrazione penitenziaria (ma si ritiene che anche altre amministrazioni abbiano patito e patiscono ancora oggi lo stesso problema) sia la diretta conseguenza di una legislazione dissennata, che ha azzerato il merito lasciando il posto all’ingresso del più sfrenato carrierismo. La conseguenza, inevitabile, è lo scadimento, generalizzato, della professionalità e la diminuzione dell’impegno professionale ai minimi storici, fenomeno che fino a ieri era nascosto dietro la cortina fumogena del sovraffollamento delle carceri e della impossibilità di dare corso ad un qualsivoglia, pur minimo, trattamento penitenziario, impegno che la stragrande maggioranza dei direttori delega all’educatore, by-passando disinvoltamente la norma che fa carico al direttore la responsabilità di presiedere il gruppo di Osservazione e Trattamento. Un dato, efficace, viene dal confronto fra i detenuti ammessi al lavoro all’esterno in un carcere piccolo come quello della Casa Circondariale di Lodi, che con una presenza complessiva di detenuti che non raggiungeva le 80 unità, delle quali la metà in esecuzione di pena detentiva definitivamente irrogata, che è arrivata ad avere fino a dieci detenuti al lavoro all’esterno su quaranta (un quarto delle presenze), contro le pochissime unità di istituti con 300, 400, 800, 2.000 detenuti: meno di dieci unità. Il dato è significativo, perché l’ammissione al lavoro all’esterno è una misura trattamentale diversa dalle misure alternative alla detenzione, che sono altra cosa e sono adottate mediante un procedimento giurisdizionale di concessione. Si cita, uno per tutti, la semilibertà concessa ad Angelo Izzo, che uccide ancora, questa volta due donne, madre e figlia. La vicenda è nota, com’è noto il rimpallo di responsabilità fra autorità amministrativa e magistratura di sorveglianza. Nel caso del lavoro all’esterno si tratta di una modalità di effettuazione del lavoro dei detenuti, un provvedimento amministrativo adottato dal direttore del carcere, operativo solo dopo il controllo del magistrato di sorveglianza. Si comprende, quindi, la riluttanza dei direttori, a adottare questo provvedimento: sono direttamente responsabili, in prima persona. Bene, tutti questi guasti hanno radici ed origine antiche, si è già detto in precedenza. Qual è, quale dovrebbe essere (ed in realtà non lo è) la funzione del direttore del carcere è un argomento già trattato, si può rintracciarlo agevolmente (Diritto & Giustizi@ - 5.10.2005). Quali sono i compiti degli Uffici dell’Esecuzione Penale Esterna, che sono rimasti a secco, senza più affidati e pochissimi semiliberi, lo si può leggere agevolmente negli arretrati (Diritto & Giustizi@ - 7.9.2006). Le connotazioni dell’ammissione al lavoro all’esterno sono leggibili anch’esse fra gli arretrati (Diritto & Giustizi@ - 25.10.2005). L’A. si è occupato, in vari articoli della legge di riforma della dirigenza penitenziaria, la c.d. “legge Meduri”, per la cui eventuale lettura (trattandosi di numerosi interventi) si rinvia ad una ricerca sul motore di Diritto & Giustizi@ - sezione giornaliera, impostando le generalità dell’A. stesso. Si citano questi riferimenti, perché si vuole evidenziare che, ancora una volta, il legislatore, questa tornata del centro-destra, è ricorso alle promozioni indiscriminate, questa volta mediante “cooptazione”, con ciò incrementando il fenomeno che si è tentato, si spera con successo, di descrivere: la totale assenza, sia pure in regime transitorio, del merito, di criteri certi di selezione, di preponderanza assoluta della discrezionalità dell’Amministrazione Penitenziaria. Adesso, con l’indulto ormai a regime e con la scarcerazione di circa 25.000 detenuti, è tempo di riordino, di riassetto, di attuazione delle norme dell’Ordinamento Penitenziari in ordine alla classificazione dei detenuti negli istituti e fra i vari istituti di ogni Provveditorato. È caduto ogni impedimento. Non c’è più alibi di sorta. “o mente che scrivesti, qui si parrà la tua nobilitate” (Dante Alighieri, Inferno, canto II).

16/11/2006

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