I Valori Della Costituzione

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I Valori Della Costituzione GIUSEPPE DOSSETTI I valori della Costituzione Prefazione di Francesco Paolo Casavola Nella sede dell’Istituto Napoli 2005 copertina 2 ISTITUTO ITALIANO PER GLI STUDI FILOSOFICI QUADERNI DEL TRENTENNALE 1975-2005 5 1 2 GIUSEPPE DOSSETTI I valori della Costituzione Prefazione di Francesco Paolo Casavola Nella sede dell’Istituto Napoli 2005 3 A cura di Antonio Gargano, Segretario generale dell’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici © Istituto Italiano per gli Studi Filosofici Palazzo Serra di Cassano Napoli - Via Monte di Dio, 14 4 INDICE Prefazione di Francesco Paolo Casavola 7 Francesco Paolo Casavola, Dossetti costituente 11 Giuseppe Dossetti, I valori della Costituzione 19 Giuseppe Dossetti, La Costituzione: princípi da custodire e istituti da riformare 41 Giornate di studio su diritto, giustizia e formazione della coscienza civile 55 5 PREFAZIONE Il 20 maggio 1995 Giuseppe Dossetti venne a Napoli e pronun- ciò due discorsi, che qui si ripresentano. Non conosco testi piú lucidi di questi sulla odierna condizione politica del nostro Paese. Nel primo si denuncia l’assenza di un patriottismo della Costituzione, che è altra cosa dal patriottismo nazionalistico. La Costituzione come legge superiore, pietra ango- lare di tutta la legalità che regge l’unità nazionale, e non mito e ideologia di una parte politica come si vuole leggere nel binomio Costituzione e Resistenza. Nel patriottismo della Costituzione non trovano posto, invece, né il conflitto né la negoziazione tra parti politiche. Quella divi- sione tra i cittadini, sciaguratamente e costantemente rinfocolata nel dibattito partitico e malignamente enfatizzata dai media, è il segno della fragilità della nostra democrazia che non è stata costruita nel rispetto della legalità costituzionale. Considerare la costituzione del 1948 un ferro vecchio, numerare come per già fondata una fantomatica Seconda Repubblica, passare al metodo elettorale maggioritario senza prevedere garanzie rafforzate per la minoranza in modo da evitare la dittatura della maggioranza, con- durre il sedicente federalismo verso due esiti paradossali, di com- promissione dell’eguaglianza dei cittadini e quindi dell’unità sostanziale della Repubblica, e di instaurazione di un centralismo regionale a danno dei Comuni, perorare a favore di un presiden- zialismo populista, che mortifica il Parlamento e gli organi di garanzia e il potere neutro del Capo dello Stato, in nome di una 7 sovranità popolare manipolata mediaticamente, e interpretata come fondamento di un potere assoluto, sono tutti sintomi di quell’assenza di patriottismo costituzionale che è il male storico degli italiani. La storia degli italiani è stata un perpetuo conflitto tra guelfi e ghibellini, reazionari e rivoluzionari, conservatori e innovatori, borbonici e sabaudi, governativi e sovversivi, fascisti e antifascisti, comunisti e anticomunisti, laicisti e clericali. Se la democrazia è colloquio tra i cittadini, se i cittadini non devono dividersi in eserciti permanenti pronti a scontrarsi, ma essere giu- dici sereni dei governanti e degli aspiranti governanti, nelle perso- ne, nelle realizzazioni e programmi, ebbene la via è quella indica- ta da Dossetti, di una Costituzione che sia obbedita come legge superiore, sottratta sia al conflitto sia alla contrattazione tra le parti. Purtroppo, pochi anni dopo questi ultimi discorsi di Dossetti, le cronache registrano trattative e disegni di riforme costituzionali ottenute mediante pretese e ricatti reciproci tra le parti politiche per interessi di parte, all’interno di una stessa coali- zione. Dossetti elenca e analizza i mutamenti di mezzo secolo della vita italiana e internazionale. È tutt’altro che un difensore dello status quo. Anzi espone un quadro organico di riforme costituzionali, da ottenersi non ad opera di una improbabile Assemblea costituente, ma attraverso un attivo potere di revisione. Per molte materie che invece sono applicazione della Costituzione egli sollecita una atti- vazione del legislatore ordinario. In primo luogo Dossetti mette in guardia dal rischio di una degenerazione populista e autoritaria della nostra democrazia, cui sembrano consentire, oltre i diretti fautori e beneficiari, sia il «benestare di poteri occulti», sia la «tolleranza di alti accredita- menti etici». Ma chiarissime sono le linee del suo modello rifor- matore: superamento del bicameralismo perfetto; Primo Ministro eletto dalle Camere e confermato dal Capo dello Stato; sfiducia 8 costruttiva dell’Assemblea che lo ha investito e che designa il nuovo Primo Ministro; nomina dei Ministri da parte del Primo Ministro; ma soprattutto incompatibilità tra incarico di governo e mandato parlamentare (come è in Francia), il che ripristinerebbe lo Stato di diritto, almeno nella separazione tra potere esecutivo e potere legislativo; infine indipendenza delle pubbliche ammini- strazioni dal potere politico, cui spetta funzione di indirizzo, senza condizionamento della responsabile autonomia delle amministra- zioni nella realizzazione dell’indirizzo. Siamo lontani dallo scorgere la proiezione di questo modello sul confuso orizzonte delle riforme in itinere. Ma forse dei moniti di Dossetti dovremmo far memoria non come di un’utopia. FRANCESCO PAOLO CASAVOLA 9 FRANCESCO PAOLO CASAVOLA DOSSETTI COSTITUENTE Suscita sempre una eco emotiva la lettura dei documenti dell’Assemblea costituente quando la si accompagna inevitabil- mente con la sovrimpressione nella memoria degli scarni sintagmi del testo definitivo della Carta costituzionale. Sembra di ascoltare le voci, ora pacate ora concitate, dei tanti dialoganti nelle sotto- commissioni dei 75 che usano la forza delle loro diverse retoriche, ottocentesche e novecentesche, per modellare con le idee delle loro diverse culture una costruzione che deve essere accettata e condivisa e durare nel tempo. Se poi la lettura cade sui contributi di un solo costituente e que- sto ha incarnato una biografia cosí singolare da essere uscito a 39 anni dalla vita politica per entrare di lí a tre anni in quella sacer- dotale, ed è una intelligenza di politico, di giurista e di uomo di fede che ha riempito la immaginazione di piú generazioni di italia- ni giovani di età e di speranze, allora c’è di piú che una esplora- zione del passato. Gli interventi di Giuseppe Dossetti sono una voce fuori campo che illustra non solo quella che fu insieme meditazione e lotta per la Carta della Repubblica, ma anche premonizione del futuro che quella Carta avrebbe incontrato nei decenni della vita storica del Paese. Dossetti fu tra i pochi che pensarono ad una forma di governo presidenziale e non parlamentare. La tirannofobia, il timore che si replicasse una dittatura, da cui si era appena usciti, convinse i piú a costruire o meglio a ricostruire un parlamentarismo classico. Egli voleva un esecutivo autorevole ed efficiente. Temeva l’inefficienza 11 delle alleanze eterogenee. Nel 1948, dopo le elezioni che diedero una cosí larga maggioranza di consensi alla Democrazia Cristiana, avrebbe desiderato un’assunzione di responsabilità di governo da parte del solo partito vincitore. Ma De Gasperi oppose l’opportu- nità di non lasciare fuori da quella responsabilità i partiti della tra- dizione risorgimentale. Proporzionalista convinto perché solo una legge elettorale proporzionale consente una rappresentanza equi- librata di tutte le forze politiche presenti nel Paese, era però istin- tivamente ostile a fughe di responsabilità entro lo schermo delle coalizioni, quasi presentisse la instabilità dei governi, la debolezza delle maggioranze, le degenerazioni paralizzanti del consociativi- smo e prima ancora la costante negoziazione compromissoria tra forze portatrici di interessi incompatibili. Capí che il collegio uninominale per le elezioni senatoriali, se non fosse stato introdotto il quorum del 65%, avrebbe favorito il mediocre notabilato locale senza il crivello selettivo e formatore dei partiti. Ebbe chiara la visione che il nuovo Stato avrebbe dovuto porsi su piú solide basi giuridiche, ad esempio rivendicando la sovrani- tà all’ordinamento e dunque all’intero edificio costituito e non a quell’entità-popolo, che sembra cosí alta e solenne, ma che si ridu- ce poi al solo corpo elettorale. Voleva il diritto di resistenza, «il piú sacro dei diritti e il piú imperioso dei doveri», com’era scritto nella Costituzione francese del 1946. Ma il diritto di resistenza non passò nella nostra Costituzione. Si preferí renderlo superfluo, facendo cadere l’ipotesi «Qualora il governo violi le libertà ed i diritti garantiti dalla Costituzione ...». Dossetti giudicò con realismo: i vecchi popolari ch’erano i piú nella seconda commissione fecero «una democrazia parlamentare ad oltranza». E tutto «il supergarantismo ... era sempre voluto nella supposizione che i comunisti raggiungessero la maggioranza 12 e che quindi convenisse uno Stato debole» (Dossetti, La ricerca costituente, Il Mulino 1994, pag. 45). Quanto ai partiti, noi sappiamo con il senno di poi, sulla base dell’esperienza, ch’essi sarebbero stati, e non certo il Parlamento, gli unici attori extracostituzionali della politica reale. Quando si pensò di riconoscere loro attribuzioni di carattere costituzionale se avessero raccolto almeno cinquecentomila voti nelle elezioni, Dossetti, valutando gli inconvenienti di quella pro- posta Basso, chiarí quanto fondamentale fosse nella Costituzione la rilevanza o la irrilevanza giuridica dei partiti. Ma i partiti restarono associazioni private assorbendo senza controlli ogni potere reale e dando vita ad una Costituzione mate- riale
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