SOCIETÀ ALPINA DELLE GIULIE SEZIONE DI DEL CLUB ALPINO ITALIANO

ATTI E MEMORIE

della Commissione Grotte “Eugenio Boegan”

Volume XLIII Volume del Cinquantenario (1961-2011)

PUBBLICATO A CURA DELLA GROTTA GIGANTE

TRIESTE 2011 TUTTI I DIRITTI RISERVATI

Direttore responsabile: Franco Cucchi. Direttore di redazione: Enrico Merlak Editrice: Società Alpina delle Giulie - Trieste Redazione: Commissione Grotte “E. Boegan”, via di Donota, 2 - 34121 Trieste, Italia e-mail: [email protected] Stampato presso Stella Arti Grafi che s.r.l. - Trieste Autorizzazione del Tribunale di Trieste n. 333 del 7-12-1966 Trieste 2011 PRESENTAZIONE DEL VOLUME DEL CINQUANTENARIO (1961-2011)

La Rivista di “Atti e Memorie” della Commissione Grotte E. Boegan di Trieste, Società Alpina delle Giulie, sezione del C.A.I., esce con frequenza regolare dal 1961, e compie cin- quant’anni. Tirata in diverse centinaia di copie, viene diffusa gratuitamente e spedita rego- larmente ai principali gruppi speleologici nazionali ed esteri, alle biblioteche, ai musei ed ai dipartimenti universitari che si occupano, direttamente o indirettamente, delle molteplici tematiche riguardanti il mondo della speleologia e della tutela delle aree carsiche. La Rivista pubblica articoli ad elevato contenuto scientifi co, regionali, nazionali ed inter- nazionali, risultati di studi e ricerche attinenti biologia, botanica, archeologia, paleontologia, storia e folclore, climatologia, geologia, litologia e mineralogia, carsismo ed idrogeologia, fi sica chimica, fi siologia e medicina speleologica, esplorazioni.

In questi cinquant’anni la Rivista è divenuta, grazie agli Autori ed alla costante cura da parte della redazione della CGEB, un valido riferimento per coloro che effettuano ricerche nelle varie discipline del grande mondo della speleologia. Importante supplemento di “Atti e Memorie” è rappresentato dagli “Indici ragionati”, validis- simo strumento di facilitazione alla conoscenza ed alla ricerca di dati. Gli “Indici”, che hanno cadenza decennale, aggiornano l’utenza sulla notevole mole di materiale prodotto nel corso degli anni, valorizzando così l’attività della CGEB. Questo supplemento permette ai ricerca- tori di orientarsi velocemente nelle mi- gliaia di pagine delle pubblicazioni con un veloce e facile riferimento agli indici di autori, elenchi e nomi cavità, dati di catasto, personalia, località, generi e specie botaniche e faunistiche, ecc.. I risultati dell’attività della CGEB trovano ampio spazio, oltre che su “Atti e Memorie”, anche su “Progressione”, oggi considerata tra le più diffuse nel mondo della speleologia italiana (ed estera), e sul “Bollettino della Stazione Meteoro- logica di Borgo Grotta Gigante”.

iii Moltissime sono inoltre le monografi e specifi che pubblicate dalla CGEB, alcune di queste di importante valore scientifi co e ricche di documentazione. Questo Volume, il XLIII, è il volume del cinquantenario (1961 – 2011) ed è dedicato a tutti coloro che ci hanno preceduto nelle esplorazioni, nei faticosi scavi, nelle sconosciute ricerche di archivio, nelle attività di soccorso e nelle indagini scientifi che, tutte attività queste che han- no permesso di consolidare una tradizione. È dedicato anche a coloro che hanno la comune passione per la conoscenza e il desiderio di lasciare una traccia nel territorio dell’avventura umana.

La Redazione

iv ATTI

CONSIGLIO DIRETTIVO ELETTO DALL’ASSEMBLEA ORDINARIA DEL 10.3.2008 Presidente Louis TORELLI Consiglieri Paolo TOFFANIN Franco BESENGHI Mario GHERBAZ Umberto MIKOLIC Enrico MERLAK Gianni CERGOL

INCARICHI CONFERITI DAL CONSIGLIO DIRETTIVO IL 7.4.2008 Vice Presidente Paolo TOFFANIN Segretario Franco BESENGHI ARCHIVI: Archivio fotografi co Umberto TOGNOLLI Archivio fotografi co (storico) Gianni SCRIGNA Archivio storico Pino GUIDI BIBLIOTECA: Bibliotecari Serena SENES

CATASTO: Catasto Grotte del Friuli Umberto MIKOLIC Catasto Grotte della Venezia Giulia Umberto MIKOLIC Catasto informatico Paolo TOFFANIN GROTTA GIGANTE: Direttore Alessio FABBRICATORE Assistente Fabio FORTI Direttore Museo Speleologico Franco CUCCHI Direttore Staz. Meteo Grotta Gigante Renato COLUCCI Pubblicazioni: ATTI E MEMORIE: Direttore Responsabile Franco CUCCHI Direttore di Redazione Enrico MERLAK PROGRESSIONE: Direttore Responsabile Franco CUCCHI Direttore di Redazione Louis TORELLI BOLLETTINO della STAZ. METEO DI BORGO GROTTA GIGANTE: Direttore di Redazione Renato COLUCCI Magazzino Redazione Franco CHERMAZ, Mario PRETE Magazzinieri Gianni CERGOL, Federico DEPONTE Responsabile Bivacco Spartaco SAVIO Responsabile Grotte custodite Edvino VATTA Responsabile Scuola di Speleologia Adriano LAMACCHIA Responsabile sito Internet Gianpaolo SCRIGNA

vii SOCI DELLA COMMISSIONE GROTTE “EUGENIO BOEGAN” AL 31 MARZO 2010

ALBERTI Antonio DUDA Sergio PEZZOLATO Paolo ALBERTI Giorgio DURNIK Fulvio POLLI Elio BALZARELLI Adriano FABBRICATORE Alessio PRELLI Roberto BAROCCHI Roberto FABI Massimiliano PRETE Mario BASSI Dario FAMEA Adriana PRIVILEGGI Mario BASSO Walter FEDEL Aldo RAGNO Adriano BATTISTON Mario FERESIN Fabio RAVALLI Riccardo BAXA Massimo FERLUGA Tullio RUSSIAN Pierpaolo BELLODI Marco FILIPAS Luciano RUSSO Luciano BENEDETTI Andrea FLORIT Franco SAVIO Spartaco BESENGHI Franco FOGAR Franco SCRIGNA Giampietro BESSI Fabio FORTI Fabio SENES Serena BIANCHETTI Mario FORTI Fulvio SGAI Claudio BOLE Guglielmo GALLI Mario SIRONICH Mauro BONE Natale GASPARO Fulvio SOLDÀ Roberta BORGHESI Roberto GERDOL Renato SOLLAZZI Guido BORGHI Stefano GHERBAZ Franco SQUASSINO Patrizia BOSCHIN Walter GHERBAZ Mario STENNER Elisabetta BRANDI Edgardo GHERBAZ Piero STICOTTI Marco BRESSAN Galliano GIORGINI Marco STOK Adriano CANDOTTI Paolo GLAVINA Maurizio SUSSAN Paolo CARINI Furio GODINA Mauro TIRALONGO Franco CARINI Giuliano GRILLO Barbara TIZIANEL Antonella CASALE Adelchi GRIO Giuliano TOFFANIN Paolo CERGOL Gianni GUIDI Giuseppe TOGNOLLI Umberto CHERMAZ Franco KLINGENDRATH Antonio TOLUSSO Alessandro COLOMBETTA Giorgio LAMACCHIA Adriano TORELLI Louis COMELLO Lucio LANDI Sabato TRIPPARI Mario CORAZZI Riccardo LUISA Luciano VASCOTTO Giampaolo COVA Mario MANCA Paolo VASSALLO Emanuela CREVATIN Davide MERLAK Enrico VATTA Edvino CUCCHI Franco MICHELINI Daniela VECCHIET Stelio DAGNELLO Tullio MIKOLICH Umberto VENCHI Fabio DALLE MULE Renato MOLIGNONI Daniele VITRI Paolo DE CURTIS Paolo Bruno OIO Bruno ZAGOLIN Angelo DEDENARO Claudio PADOVAN Elio ZANINI Giuliano DEPONTE Federico PEROTTI Giulio ZORN Alessandro DI GAETANO Marco PERTOLDI Giorgio ZORN Angelo DIQUAL Augusto PESTOTTI Fabio DOLCE Sergio PETRI Marco

viii MEMORIE Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 3-29 Trieste 2011

DAVIDE LENAZ(*) – ENRICO MERLAK(**)

LITOTIPI BAUXITICI DELL’ISOLA DI KRK (BAŠKA E STARA BAŠKA – CROAZIA)

ABSTRACT

BAUXITIC LAYERS IN THE KRK ISLAND (BAŠKA AND STARA BAŠKA – DALMATIA CROATIA)

Several bauxitic layers have been discovered in the southern part of the Krk Island (Northern Dalma- tia – Croatia) in the surroundings of Baška and Stara Baška. These are residual rocks, rather compact and with high density, rich in Al and Fe – oxyde and hydroxide. The study developed in the fi eld and in the laboratory in order to better understand the relationships between these rocks and the limestone, coprehending the karstic phenomena, occurring in these areas.

RIASSUNTO

Vengono descritti i litotipi bauxitici rinvenuti nel corso di una ricerca condotta nella parte meridionale dell’isola di Krk (Dalmazia settentrionale – Croazia) nelle località di Baška e Stara Baška. Si tratta di rocce residuali, spesso compatte e di elevato peso specifi co, ricche di ossidi ed idrossidi di alluminio e ferro. La ricerca è stata condotta sul campo ed in laboratorio, al fi ne di comprendere meglio i rapporti che intercorrono con le rocce calcaree incassanti e con il fenomeno carsico presente nell’area.

Premessa

È stata condotta una ricerca sistematica nella parte meridionale dell’isola di Krk (Croazia) tra le località di Baška e Stara Baška con lo scopo di individuare i siti bauxitici, la loro gia- citura, le caratteristiche litologiche, le relazioni con le rocce calcaree incassanti ed i possibili rapporti con le manifestazioni carsiche locali. Su questo terreno impervio il reperimento dei pochi giacimenti abbandonati e di affi ora- menti e resti bauxitici è talvolta condizionato dall’ambiente, in un territorio molto brullo, con affi oramenti calcarei che conferiscono al paesaggio una morfologia spesso uniforme.

(*) Dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Trieste, via Weiss 8, I-34127 Trieste; [email protected] (**) Commissione Grotte “E. Boegan”, Società Alpina della Giulie, C.A.I., via di Donota 2, I-34121; [email protected]

3 Nel corso della ricerca, estesa su circa 20 chilometri quadrati, sono stati visitati alcuni giacimenti già sfruttati in passato per l’estrazione (tre presso Stara Baška e uno presso Baška) e diversi siti minori interessati dalla presenza di queste rocce (fi g. 1). Attraverso campionamenti e raccolta sistematica e sulla base delle osservazioni compiute sui tagli lucidi eseguiti per ogni campione, sono stati selezionati una quindicina di litotipi bauxitici che sono di seguito descritti nel testo. Scopo principale della presente nota è quello di fornire ai ricercatori ed agli studiosi un quadro generale sulle bauxiti reperite in questo interessantissimo geosito, al fi ne di promuovere ulteriori ricerche che possano portare ad una migliore e più completa interpretazione di questo fenomeno complesso e tuttora enigmatico. La documentazione specifi ca su quest’area è piuttosto scarsa, mentre è disponibile una ricchissima bibliografi a sulla tematica specifi ca della bauxiti e delle terre rosse di Dalmazia, Istria e Balcani in genere, bibliografi a che è citata nel presente lavoro e di cui ci si può servire per collocare meglio il problema nel contesto generale. L’analisi dei fenomeni qui rilevati e documentati non è facile, così come non è facile de- terminare un quadro genetico ed evolutivo dei giacimenti bauxitici, soprattutto quando, come nell’area in esame, è diffi cile riassumere i rapporti tra caratteristiche litologiche e tettoniche dei calcari da una parte, e le diverse, svariate, caratteristiche litologiche delle bauxiti rinvenute. Ne consegue che il tutto è oggetto di discussione e rimane in attesa di soluzioni precise.

Caratteristiche generali delle bauxiti dell’area studiata

Le bauxiti dell’isola di Krk, nell’area tra Baška e Stara Baška, sono rocce residuali compatte, eterogenee, spesso molto dure e talvolta resistenti alla percussione. Hanno un peso specifi co variabile, a seconda dei litotipi, tra 2,0 e 2,7.

Località di rinvenimento dei litotipi bauxitici 4 Km

Fig. 1 – Carta fi sica dell’area oggetto della ricerca.

4 In corrispondenza degli affi oramenti non presentano tracce evidenti di stratifi cazione. Genericamente la composizione media delle bauxiti mediterranee è caratterizzata dalla presenza di diverse specie mineralogiche tra le quali prevalgono gli idrossidi di alluminio: ␥᎑ ␣᎑ boehmite AlO(OH), gibbsite Al(OH)3 e, in minore misura, diasporo AlO(OH). In quantità variabile gli idrossidi di alluminio sono presenti nella massa allo stato amorfo × come meta-idrossido e orto-idrossido o più genericamente come allumogel Al2O3 n H2O. Nella roccia la quantità complessiva di idrossidi di alluminio può indicativamente variare dal ␣᎑ 40% al 70%. Nelle bauxiti esaminate sono presenti l’ematite (Fe2O3) e la goethite ( FeOOH) (1) oltre alla fase amorfa dell’idrossido di ferro genericamente indicata come Fe(OH)3 . Queste rocce possono contenere, in misura diversa, quarzo e fi llosilicati (la caolinite è il silicato più frequentemente presente nelle bauxiti).

Possono essere presenti anche anatasio (TiO2), minerali di manganese, zircone, tormalina, rutilo e altri minerali pesanti. Rari sono i carbonati, la cui presenza nella bauxite è accidentale. Infatti nella comune mineralogia delle bauxiti non risulta presente la fase calcitica. Quando questa fase compare nelle analisi è riconducibile a frammenti di rocce calcaree e dolomitiche inserite nelle bauxiti vere e proprie.

Principali caratteristiche degli affi oramenti

Sotto l’aspetto geostratigrafi co e spaziale le bauxiti di Baška e Stara Baška sono rintraccia- bili in corrispondenza della parte terminale della successione cretacea, nei calcari paleocenici e nei primi metri dei calcari ad Alveoline e Nummuliti. Nell’area la presenza di concentrazioni bauxitiche è associata a sistemi di faglie e deformazioni tettoniche importanti. I quattro gia- cimenti visitati e parte degli altri affi oramenti bauxitici sono ubicati in prossimità di strutture di dislocazione che mettono talvolta in brusco contatto fl ysch e calcari (fi g. 2).

W fl ysch calcari mare giac. bauxitici E WSW ENE

Fig. 2 – Sezione geologica-strutturale indicativa dell’area (tra Stara Baška e Baška).

(1) La presenza costante di ossidi ed idrossidi di ferro nelle bauxiti è la causa principale della colorazione di queste rocce. Il colore rosso indica la presenza prevalente di ematite, il colore giallo la prevalenza di goethite, il tutto attraverso fasi intermedie. La formazione di questi (idr)ossidi avviene attraverso il rilascio, per degradazione, del ferro presente nei minerali originari, in un ambiente ben drenato e con basso pH, ovvero in ambiente che ha subìto la decalcifi cazione completa.

5 La superfi cie del territorio è costituita da una successione ininterrotta di affi oramenti calcarei estremamente fratturati e corrosi ma privi delle tipiche morfologie e delle strutture carsiche ben conosciute nel Carso Classico. Le doline sono scarse, pozzi, inghiottitoi, vasche di corrosione e campi solcati sono quasi o del tutto assenti. Sulla superfi cie si rinvengono spessori variabili di suolo, ma solamente in alcuni punti, tra Baška e Stara Baška, e sempre a quote elevate, sono visibili sacche di terra rossa di rilevante spessore. Nelle zone esposte a NE e ENE il suolo è scarsissimo a causa della bora. I ruscellamenti superfi ciali sono inesistenti, ad eccezione del fi ume Suha Rićina che nasce presso Verbenico, sotto il monte Hlam (446 m), e si sviluppa verso sud est, sul fl ysch e sui depositi alluvionali, per una decina di chilometri lungo la valle di Baška. Della circolazione idrica sotterranea non si sa praticamente nulla. Le principali risorgive, alcune delle quali ancora utilizzate, sono presenti all’altezza del paese di Batomalj, a contatto tra fl ysch e calcari, ad una altezza di un centinaio di metri. Una sorgente, ora abbandonata, è ubicata a nord di Baška, sopra il paese di Jurandvor. Esiste una fonte carsica a nord ovest di Draga Bašćanka, alimentata probabilmente dalla parte di altipiano che circonda il monte Obzova (568 m). Nell’altipiano calcareo vero e proprio, esteso complessivamente per una cinquantina di Kmq, sono individuabili solamente alcune fonti d’acqua con portate minime o irrisorie, salvo una sorgente, ubicata circa 2 chilometri ad est di Stara Baška ad una quota di circa 200 metri.

I litotipi classifi cati

Di seguito sono descritti i litotipi bauxitici rinvenuti nell’area tra i giacimenti a WNW di Stara Baška ed il giacimento rinvenuto a NE di Baška. Alcuni di questi litotipi sono stati estratti da quattro giacimenti abbandonati, altri litotipi sono stati estratti da affi oramenti sparsi, altri ancora rinvenuti e raccolti sul posto in prossimità di giacimenti ed affi oramenti (fi g. 3). Di tutti i litotipi è stata fatta una sezione lucida per una prima caratterizzazione di massima, alcuni sono stati sottoposti ad esame XRD delle polveri omogeneizzate per la determinazione delle principali fasi minerali. Di alcuni sono state eseguite le sezioni sottili per l’esame mi- croscopico in dettaglio. Le analisi difrattometriche sono state effettuate con un difrattometro Siemens (goniometro STOE D 500) usando la radiazione Cu K␣ monocromatizzata con un cristallo di grafi te.

Descrizione dei campioni

Campione 1 - Fig. 4 – Bauxite compatta colore rosso scuro tendente al marrone. Omogenea nella struttura con presenza di diffusi piccoli pisoliti di colore beige-chiaro e di dimensioni variabili da 0,1 mm a 5 mm. Peso specifi co 2,3. Scarsamente porosa, resistente alla percussione. Esistono nel territorio varietà più chiare. Raccolta in un giacimento a WNW di Stara Baška. Posizione: 14° 39’ 25” long. E – 44° 57’ 55” lat. N L’esame difrattometrico rivela la presenza di bohemite ed ematite in un rapporto di circa 3:1 ed altre fasi minori non bene determinabili.

Campione 2 - Fig. 5 – Bauxite compatta colore beige chiaro tendente al marrone chiaro. Struttura vermicolare. Sono presenti concentrazioni isolate di colore rosso. Peso specifi co 2,1. Molto porosa, fragile o poco resistente alla percussione.

6 Raccolta in un giacimento a NW di Stara Baška: Posizione: 14° 39’ 25” long. E – 44° 57’ 55” lat. N Simili litotipi sono stati individuati anche nell’area di Baška a qualche chilometro di distanza. Può essere defi nito quindi un litotipo comune. L’esame difrattometrico rivela la presenza di boehmite e goethite in un rapporto di circa 3:1 ed altre fasi minori non determinabili sia per la massa a struttura vermicolare che per le massa terrosa di colore rosso.

Campione 3 - Fig. 6 – Bauxite molto compatta con massa di fondo colore beige chiaro con venature e striature a struttura scistosa di colore rosso-viola. Peso specifi co 2,6. Non porosa, molto resistente alla percussione. Raccolta in un giacimento a NW di Stara Baška: Posizione: 14° 40’ 30” long. E – 44° 58’ 18” lat. N Simili bauxiti, con tessitura e colore leggermente diversi, sono state individuate anche nell’area di Baška a qualche chilometro di distanza (vedi campione 4 - fi g. 7). Può essere defi nito quindi un litotipo comune. L’esame difrattometrico rivela la presenza predominante di boehmite per circa il 90% e subor- dinatamente di goethite. Si tratta dunque di una roccia ad elevato contenuto di alluminio. In fi g. 8 e fi g. 9 sono riportati i particolari delle sezioni sottili del litotipo.

Campione 4 - Fig. 7 – Bauxite molto compatta con massa di fondo colore beige chiaro con venature, chiazze e striature ad andamento scistoso di colore rosso-viola. Differisce dal litotipo di cui al campione 3 in quanto le concentrazioni minerali rosso-viola sono distribuite nella massa in maniera eterogenea. Peso specifi co 2,6. Non porosa, molto resistente alla percussione. Raccolta in un giacimento a NW di Stara Baška: Posizione: 14° 40’ 30” long. E – 44° 58’ 22” lat. N

3 4

Fig. 3 – Affi oramento bauxitico in un giacimento a NW di Stara Baška (foto Laila Merlak). Base della foto 1,5 m. Fig. 4 – Bauxite compatta, omogenea di un giacimento a WNW di Stara Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 5 cm.

7 Campione 5 - Fig. 10 – Bauxite compatta caratterizzata da una struttura di tipo scistoso con variazioni di composizione che si manifestano in una tessitura ad andamento quasi plastico. Le colorazioni variano dal beige chiaro al marrone, passando per il rosso, e sono determinate da differenti composizioni che si ripetono nella massa. Peso specifi co 2,4. Poco porosa, molto resistente alla percussione. Raccolta in un giacimento a NW di Stara Baška: Posizione: 14° 40’ 30” long. E – 44° 58’ 20” lat. N Rara: non sono stati rintracciati altri esemplari. L’esame difrattometrico rivela: – per la parte beige chiaro: boehmite e goethite – per la parte marrone: boehmite e ematite. Sono presenti tracce di altre fasi minerali non bene determinabili. In fi g. 11 è riportato un particolare della sezione sottile del litotipo.

Campione 6 - Fig. 12 – Bauxite compatta caratterizzata da una struttura di tipo “conglome- rato”. Gli elementi presenti, diffusi nella massa di fondo colore beige, presentano colorazioni, strutture e dimensioni diverse. Nella stessa roccia la struttura a “conglomerato” sfuma in alcuni punti in una struttura omogenea, friabile, di colore beige chiaro. Peso specifi co 2,0. Porosa, poco resistente alla percussione. Raccolta in un affi oramento a SW di Baška: Posizione: 14° 45’ 18” long. E – 44° 57’ 28” lat. N. L’esame difrattometrico rivela: – per la parte omogenea beige chiaro: boehmite e goethite – per la parte con struttura a “conglomerato”(una media delle polveri omogeneizzate): boehmite e ematite. Nel difrattogramma sono presenti tracce di altre fasi minerali non ben determinabili.

Campione 7 - Fig. 13 – Bauxite compatta caratterizzata dalla presenza di strutture simili ad ovoidi o pisoliti, di colore rosso mattone e grigio, immerse in una pasta di fondo beige chiaro. Peso specifi co 2,1. Poco porosa, resistente alla percussione. Raccolta in un giacimento a NE di Baška: Posizione: 14° 45’ 40” long. E – 44° 58’ 40” lat. N. Non sono stati rintracciati altri esemplari. L’esame difrattometrico rivela: – per la pasta di fondo beige chiaro: boehmite, goethite, quarzo e diasporo – per la parte rosso-marrone: boehmite, goethite, quarzo e diasporo – per le parti grigio-chiaro: boehmite, goethite e diasporo.

Fig. 5 – Bauxite compatta a struttura vermicolare di un giacimento a NW di Stara Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 4 cm. Fig. 6 – Bauxite compatta, a struttura scistosa di un giacimento a NW di Stara Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 3 cm. Fig. 7 – Bauxite compatta, a struttura scistosa simile al litotipo di fi g. 6, di un giacimento presso Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 3,2 cm. Fig. 8 – Particolare di sezione sottile del litotipo di fi g. 6 (foto Rodolfo Riccamboni, Dip. Geoscienze, Trieste). Fig. 9 – Particolare di sezione sottile del litotipo di fi g. 6 (foto Rodolfo Riccamboni, Dip. Geoscienze, Trieste). Fig. 10 – Bauxite compatta, omogenea di un giacimento a WNW di Stara Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 4,5 cm.

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Fig. 11 – Particolare di sezione sottile del litotipo di fi g. 10 (foto Rodolfo Riccamboni, Dip. Geoscienze, Trieste). Fig. 12 – Conglomerato bauxitico raccolto a SW di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 2,7 cm. Fig. 13 – Bauxite compatta, con struttura ad ovoidi di un giacimento ad E di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 4,9 cm. Fig. 14 – Bauxite compatta, con struttura ad ovoidi di dimensioni molto variabili di un giacimento ad E di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 2,9 cm.

Campione 8 - Fig. 14 – Bauxite compatta, a struttura parzialmente cariata, caratterizzata dalla presenza di numerosi ovoidi o pisoliti di dimensioni molto variabili immersi in una pasta di fondo beige chiaro. Peso specifi co 2,1. Molto porosa, poco resistente alla percussione, in alcuni punti quasi fria- bile. Raccolta in un giacimento abbandonato a NE di Baška: Posizione: 14° 45’ 40” long. E – 44° 58’ 40” lat. N. Non sono stati rintracciati altri esemplari simili.

10 L’esame difrattometrico rivela: – per la pasta di fondo beige chiaro: boehmite, goethite, quarzo e diasporo – per la parte rosso-marrone: boehmite, goethite, quarzo e diasporo – per le parti grigio-chiaro: boehmite, goethite e diasporo.

Campione 9 - fi g. 15 – Bauxite compatta, a struttura parzialmente cariata, caratterizzata dalla presenza di numerosi ovoidi immersi in una pasta di fondo beige-scuro tendente al rosso. Peso specifi co 2,2. Porosa, resistente alla percussione. Raccolta in un giacimento a NE di Baška: Posizione: 14° 45’ 40” long. E – 44° 58’ 40” lat. N L’esame difrattometrico delle polveri omogeneizzate rivela boehmite e goethite. Sono presenti tracce di gibbsite.

Campione 10 - Fig. 16 – Bauxite oolitica, molto compatta e molto resistente alla percussione, priva di porosità. Peso specifi co 2,6. Raccolta in un giacimento a SSW di Baška: Posizione: 14° 45’ 15” long. E – 44° 57’ 18” lat. N Molto rara (unico esemplare rinvenuto). Si tratta di una roccia con ooliti di dimensioni variabili tra 0,5 mm e 5 mm. L’esame minera- lografi co al taglio lucido rivela la presenza di numerosi piccoli nuclei oolitici di accrescimento all’interno delle singole ooliti(2). In fi g. 17 è riportato un particolare delle ooliti presenti nel litotipo.

Campione 11 - fi g. 18 – Bauxite cariata. Compatta e resistente alla percussione, molto po- rosa. Peso specifi co 2,1. Raccolta in un giacimento a SSW di Baška: Posizione: 14° 45’ 40” long. E – 44° 58’ 40” lat. N Si tratta di una roccia molto cariata con variazioni di composizione che sfumano dal colore marrone al beige chiaro.

(2) Una bauxite oolitica (con clasti bauxitici e calcarei) è descritta da Venturini, Sartorio, Tentor e Tunis, 2008, in: Depositi bauxitici nel Cenomaniano-Santoniano del M. Sabotino (Gorizia, Italia nord-orienta- le): nuovi dati stratigrafi ci e implicazioni paleogeografi che inerenti il settore nord-orientale della piatta- forma Friulana. Boll. Soc. Geol. Ital., 127, 2: 439-452, un estratto del quale è ripetuto in “Paleocarsismo del Monte Sabotino”: 2009 - Geositi del Friuli-Venezia Giulia: 308-309. Questi litotipi del Sabotino sono completamente diversi dal litotipo dalmato, come verifi cato direttamente durante un rilevamento sul posto. Ooliti bauxitiche sono segnalate da Sandro Venturini et. al. nell’area del monte San Michele: Ven- turini S., Tentor M., Tunis G., 2008 – Episodi continentali e dulcicoli ed eventi biostratigrafi ci nella sezione Campaniano-Maastrichtiana di Cotici (M.te San Michele, Gorizia). Natura Nascosta, 36: 6-23. Queste ultime ooliti bauxitiche sono simili alle ooliti descritte da Šinkovec´ B. et al.,1994 e riguardanti le bauxiti piritizzate di Minjera (centro Istria). Anna Tentor segnala la presenza di piccole sacche di ooidi bauxitici presso il sentiero Rilke di Trieste: Tentor A., 2009 – Le stromatoliti del sentiero Rilke (Duino, Trieste). Natura Nascosta, 39: 19-25. In questo caso specifi co il litotipo illustrato dalla Tentor è simile alla bauxite pisolitica (oolitica) di Baška (camp. 10, fi g. 16).

11 Campione 12 - Fig. 19 – Bauxite parzialmen- te cariata. Compatta ma poco resistente alla percussione, molto porosa. Peso specifi co 2,2. Raccolta in un giacimento a WSW di Baška: Posizione: 14° 45’ 25” long. E – 44° 57’ 20” lat. N Si tratta di una roccia con variazioni mine- ralogiche che presentano andamenti scistosi e circonvoluzioni, che sfumano dal colore marrone al beige chiaro e rosa.

Campione 13 - Fig. 20 – Bauxite compatta, resistente alla percussione, abbastanza porosa 15 e relativamente friabile. Peso specifi co 2,3. Raccolta in un giacimento a SSW di Baška: Posizione: 14° 45’ 26” long. E – 44° 57’ 18” lat. N Si tratta di una roccia con variazioni mine- ralogiche che presentano andamenti scistosi, che sfumano dal colore marrone scuro al bei- ge chiaro. Sono presenti in seno alla massa degli ovoidi con numerosi centri interni di accrescimento.

Campione 14 - Fig. 21 – Bauxite molto compatta, resistente alla percussione, non po- rosa. Peso specifi co 2,6. Raccolta in un giacimento a WSW di Baška: 16 Posizione: 14° 45’ 40” long. E – 44° 58’ 40” lat. N Si tratta di una roccia costituita da frammenti allungati di colore marrone scuro immersi in una pasta di fondo beige. Sono presenti corpuscoli arrotondati di colore rosso violaceo.

Fig. 15 – Bauxite compatta, cariata, con struttura ad ovoidi di un giacimento ad E di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 3,5 cm. Fig. 16 – Bauxite oolitica raccolta a SW di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 1,6 cm. Fig. 17 – Particolare di sezione sottile del litotipo 17 di fi g. 16 (foto Rodolfo Riccamboni, Dip. Geo- scienze, Trieste).

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Fig. 18 – Bauxite cariata estratta a SSW di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 2,1 cm. Fig. 19 – Bauxite parzialmente cariata, con sfumature rosate, estratta a SSW di Baška (foto Enrico Mer- lak). Base della foto 2,4 cm. Fig. 20 – Bauxite a struttura scistosa, estratta a SSW di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 2,2 cm. Fig. 21 – Bauxite compatta con numerose strutture ovoidi allungate, estratta a WSW di Baška (foto Enrico Merlak). Base della foto 2,7 cm.

Descrizione di altri litotipi associabili alle bauxiti di Baška e Stara Baška

Nel corso della ricerca sono stati rinvenuti particolari litotipi e brecce calcaree che presen- tano caratteristiche petrografi che e strutturali tali da non essere classifi cabili come bauxiti. L’esame di tali campioni consente interessanti valutazioni sui rapporti tra i calcari incassan- ti, le deformazioni tettoniche e l’intrusione di materiale bauxitico nei sistemi di fratturazione delle rocce incassanti e negli stessi calcari. Per tale motivo sono litotipi considerabili indirettamente associati al fenomeno delle bauxiti e sono inseriti nell’elenco che segue:

13 Campione 15 - Fig. 22 – Breccia calcarea interessata da un cemento bauxitico rosso marrone. A E di Baška sopra Bunkuluca. Posizione: 14° 45’ 41” long. E – 44° 56’ 59” lat. N

Campione 16 - Fig. 23 – Calcare parzialmente brecciato, interessato da frequenti strutture sti- lolitiche e piccole cavità riempite da materiale argilloso-bauxitico. Il materiale di riempimento è sempre compatto, poco poroso. A S di Baška a metà strada dalla Punta Škuljica. Posizione: 14° 45’ 41” long. E – 44° 56’ 59” lat. N

Campione 17 - Fig. 24 – Calcare a foraminiferi, brecciato, simile al campione 16, interessato da fessurazioni intensamente mineralizzate con cristallizzazioni di colore giallo intenso. A E di Baška, sopra Bunkuluca. Posizione: 14° 47’ 22” long. E – 44° 58’ 12” lat. N

Campione 18 - Fig. 25 – Roccia argillosa compatta, molto porosa, poco resistente alla per- cussione, in alcuni punti friabile. A SW di Baška. Posizione: 14° 44’ 37” long. E – 44° 57’ 45” lat. N La reazione all’acido cloridico rivela un contenuto in carbonato di calcio. La tessitura è estre- mamente plastica con lineazioni di tipo sia stilolitico che scistoso in tutte le direzioni. Sono diffuse le differenziazioni minerali con colorazioni dal beige al nero in forma dendritica. La struttura fa supporre un abbondante contenuto di sostanze allo stato colloidale.

Campione 19 - Fig. 26 – Roccia argillosa compatta, nera (all’incisione il colore si rivela marrone scuro), molto porosa, poco resistente alla percussione, friabile; superfi cialmente ha l’aspetto di una breccia. Reagisce all’acido cloridrico. Il materiale legante è compatto, di colore grigio chiaro. Si tratta di un affi oramento di alcuni metri in corrispondenza di una grossa dislocazione tettonica sul bordo dell’altipiano ad W di Baška. Posizione: 14° 44’ 37” long. E – 44° 57’ 45” lat. N

Campione 20 - Fig. 27 – Affi oramento di calcare a Rudiste interessato da una intensa micro- fratturazione dalla quale emergono in superfi cie estrusioni di materiale rosso scuro-marrone composto essenzialmente da goethite. Nell’intera area si individuano al momento solamente due piccoli, limitati affi oramenti di questo tipo e simili tra loro: – presso la località di Baška – a est di Baška Entrambi gli affi oramenti sono ubicati in prossimità di un sistema di faglie. Posizione del campione della foto: 14° 48’ 00” long. E – 44° 57’ 50” lat. N

Fig. 22 – Breccia calcarea con cemento bauxitico (foto Enrico Merlak). Base della foto 3,8 cm. Fig. 23 – Calcare brecciato con strutture stilolitiche e cavità con riempimento bauxitico (foto Enrico Merlak). Base della foto 2,2 cm. Fig. 24 – Calcare a Rudiste con mineralizzazioni di colore giallo intenso, molto raro (foto Enrico Merlak). Base della foto 2,7 cm. Fig. 25 – Roccia argillosa compatta, con strutture scistose. Sono visibili anche strutture stilolitiche e dendriti, esemplare rarissimo (foto Enrico Merlak). Base della foto 4,3 cm. Fig. 26 – Roccia argillosa compatta nera intensamente fratturata (foto Enrico Merlak). Base della foto 4,5 cm. Fig. 27 – Estrusioni di minerale di ferro (goethite) e fi llosilicati in microfessure di calcare a Rudiste (foto Laila Merlak). Base della foto 3,3 cm. Queste estrusioni sono state osservate solamente in due punti limitatis- simi nella parte settentrionale del golfo di Baška, in corrispondenza di una zona di dislocazione tettonica.

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Fig. 28 – Breccia calcarea con cemento bauxitico interessata da numerose strutture ovoidi (foto Enrico Merlak). Base della foto 7,0 cm. Fig. 29 – Calcare intensamente mineralizzato con strutture ti tipo scistoso di colore violaceo intercalate da lineazioni scistose di cristallizzazioni (foto Laila Merlak). Base della foto 10,0 cm. Fig. 30 – Salita verso il monte Hlam, alla ricerca di affi oramenti (foto Laila Merlak). L’assenza di piste e sentieri rendono il percorso estremamente impegnativo. Fig. 31 – Relitto di cavità semi-sommersa presso la Punta Škuljica (foto Laila Merlak). È raggiungibile solo in natante con mare calmo.

Campione 21 - Fig. 28 – Breccia calcarea interessata da un cemento bauxitico rosso marrone. Si differenzia dal Campione 15 per la presenza diffusa di strutture di tipo pisolitico di notevoli dimensioni (anche superiori ai 2 cm). A E di Baška, sopra Bunkuluca. Posizione: 14° 47’ 22” long. E – 44° 58’ 12” lat. N

Campione 22 - Fig. 29 – Calcare a Rudiste interessato da diffuse strutture scistose rosso-vio- lacee intercalate da lineazioni cristallizzate, anche queste ad andamento scistoso. A S di Baška a metà strada dalla Punta Škuljica. Posizione: 14° 45’ 41” long. E – 44° 56’ 59” lat. N

16 Nelle fi gure da 35 a 50 sono riportati i tracciati RX - difrattometrici relativi ad alcuni dei più signifi cativi litotipi sopra descritti. Di alcuni litotipi sono state eseguite più difrattometrie di parti differenziate tra loro.

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Fig. 32 – Tratto di costa nel settore meridionale del Golfo di Baška. I primi strati della formazione del fl ysch tendono a rovesciarsi nel golfo. La copertura, tratto superiore discordante, è costituita da depositi alluvionali cementati provenienti da un paleofi ume di cui rimane oggi la testimonianza del bacino di Draga Bašćanska (foto Laila Merlak). Fig. 33 – Un ingresso della grotta Škuljica presso l’omonima punta, raggiungibile esclusivamente in natante, con mare calmo (foto Laila Merlak). Fig. 34 – Masse di ossidi di ferro (goethite) estrusi dalle fessurazioni dei calcari, nella parte terminale della successione carbonatica in corrispondenza di una grossa faglia nella parte meridionale del gol- 34 fo di Baška a circa 200 metri di quota (foto Laila Merlak).

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Fig. 35 – Difrattogramma: bauxite camp. 1 fi g. 4.

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Fig. 36 – Difrattogramma: bauxite camp. 2 fi g. 5.

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Fig. 37 – Difrattogramma: bauxite camp. 2 fi g. 5 (particolare di concentrazione rossa).

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Fig. 38 – Difrattogramma: bauxite camp. 3 fi g. 6.

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Fig. 39 – Difrattogramma: bauxite camp. 5 fi g. 11 parte rosso scura.

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Fig. 40 – Difrattogramma: bauxite camp. 5 fi g. 11 parte beige.

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Fig. 41 – Difrattogramma: conglomerato bauxitico camp. 6 fi g. 12. Parte gialla.

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Fig. 42 – Difrattogramma: conglomerato bauxitico camp. 6 fi g. 12. Media delle polveri omogeneizzate.

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Fig. 43 – Difrattogramma: bauxite camp. 7 fi g. 13. Particolare degli ovoidi rossi.

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Fig. 44 – Difrattogramma: bauxite camp. 7 fi g. 13. Particolare degli ovoidi grigi.

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Fig. 45 – Difrattogramma: bauxite camp. 7 fi g. 13. Particolare della pasta di fondo beige.

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Fig. 46 – Difrattogramma: bauxite camp. 8 fi g. 14. Particolare degli ovoidi rosso marrone.

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Fig. 47 – Difrattogramma: bauxite camp. 8 fi g. 14. Particolare della pasta di fondo beige.

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Fig. 48 – Difrattogramma: bauxite camp. 8 fi g. 14. Particolare degli ovoidi grigio chiaro-beige.

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Fig. 49 – Difrattogramma: bauxite camp. 9 fi g. 15. Media delle polveri omogeneizzate.

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Fig. 50 – Difrattogramma: bauxite camp. 20 fi g. 28. Estrusioni di goethite da microfessurazioni in affi o- ramenti di calcari a Rudiste.

25 Discussione

Dai punti di vista termodinamico e geochimico il problema della formazione delle bau- xiti risiede essenzialmente nelle relazioni che intercorrono negli equilibri tra fi llosilicati ed idrossidi di alluminio e ferro (Garrels M. R., Christ C. L., 1965 – Solutions, Minerals and Equilibria. Harper and Row, pp. 450 : 352-362). Per quanto riguarda i terreni carsici (calcari e dolomie) della Venezia Giulia, Istria e Dal- mazia centro-settentrionale ed aree balcaniche della ex Yugoslavia, le prime ricerche moderne del Novecento sull’argomento possono essere ricondotte a Tućan e a Kišpatić, primi a fornire dati analitici sul problema delle bauxiti e delle terre rosse. Nella letteratura scientifi ca gli specialisti che hanno operato successivamente e fi no ad oggi, si sono concentrati soprattutto sulla “Terra rossa”, la cui genesi viene imputata o al rimaneggiamento del suolo residuo di dissoluzione in situ dei calcari, oppure all’alterazione di sedimenti allumosilicatici di origini diverse (Bardossy, 1982). È stata quindi suggerita per bauxiti e terra rossa un’origine poligenica più complessa, evidenziando similitudini mine- ralogiche con i materiali delle sequenze torbiditiche del fl ysch. Al momento un convincente “modello pedagogico” per giustifi care i giacimenti di rocce bauxitiche compatte nei calcari dei territori citati non esiste, così come non esistono dei precisi criteri diagnostici. Una delle fonti a cui fare riferimento per i differenti campi di ricerca sulle bauxiti è sicu- ramente l’ICSOBA.(3) Nel caso in esame la documentazione specifi ca sull’area meridionale di Krk è scarsa, mentre è disponibile una ricca bibliografi a sulla tematica generale e specifi ca della bauxiti e delle terre rosse di Istria, Dalmazia e Balcani, bibliografi a che segue al testo. L’analisi del fenomeno, qui prospettato dagli autori attraverso lo studio e la presentazione di alcuni litotipi rinvenuti, è oggetto di discussione, soprattutto per quanto riguarda il quadro genetico ed evolutivo dei giacimenti e degli affi oramenti nel contesto della successione car- bonatica. Infatti l’isola di Krk, come tutte le isole della Dalmazia settentrionale, è un esempio di terreno carsico non isolato che è stato interessato da processi carsici, da intensa attività tettonica e da apporti di materiali esterni, già dal tardo terziario. L’origine di queste bauxiti estremamente eterogenee rimane enigmatica. Comunque l’inten- to principale del lavoro è stato quello di mettere a disposizione dati e descrizioni che possano indirizzare gli studiosi ad una migliore interpretazione. Resta il fatto che questa particolare area dell’isola di Krk può essere considerata un geosito di rilevanza regionale.

Ringraziamenti

Si ringrazia il personale del Dipartimento di Geoscienze e in particolare: Lorenzo Furlan per la preparazione delle sezioni sottili Romana Melis per la disponibilità e messa a punto del microscopio Rodolfo Riccamboni per le foto delle sezioni sottili Franco Cucchi e Francesco Princivalle per l’interessamento alla ricerca. Un grazie a Laila Merlak per la costanza nella ricerca sul diffi cile terreno.

(3) L’ICSOBA (International Committee for Study of Bauxite, Alumina & Aluminium) fu formato nel 1963 a Zagabria (Yugoslavia), con il preciso intento di costruire le basi per lo studio e lo sfruttamento razionale delle bauxiti (unico minerale utile fonte dell’alluminio). Nel corso dei successivi 47 anni la struttura è diventata un organismo di rilevanza mondiale ed è un punto di riferimento soprattutto per la bibliografi a.

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29 Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 31-39 Trieste 2011

PINO GUIDI(*)

GLI STUDI E LE RICERCHE SPELEOLOGICHE DI TULLIO TOMMASINI

RIASSUNTO

Viene brevemente analizzato il contributo dato agli studi speleologici da Tullio Tommasini (Trieste 1932-1979), attivo speleologo della Commissione Grotte che fra il 1950 ed il 1979 ha pubblicato 34 lavori di cui i due terzi usciti nell’ultimo decennio di vita. Il 74% dei lavori è di carattere scientifi co (meteorologia, idrologia, geologia) mentre il rimanente 26% degli scritti riveste un interesse più pret- tamente tecnico-descrittivo.

SUMMARY

The contribution by Tullio Tommasini, an active member speleologist of the “Commissione Grotte E. Boegan” – Trieste – Italy, who between 1959 and 1979 issued 34 articles out of which two thirds during the last decade of his life, is herein briefl y analized. The 74% of items are scientifi c articles (meteorology, hydrology and geology) and the remaining 26% concerns extremely interesting technical and descriptive writings.

Premessa

Il 4 gennaio 1979, moriva a seguito di un incidente stradale Tullio Tommasini(1). Nato a Trieste nel 1932, era entrato nella Commissione Grotte della S.A.G. nel 1948; veniva chiamato

(*) Commissione Grotte “E. Boegan”, Società Alpina delle Giulie, C.A.I., via di Donota 2 - 34121 Trieste; e-mail: [email protected]. (1) Ulteriori notizie su Tullio Tommasini si possono trovare in: C.F. (Finocchiaro C.), 1979: Il 4 gennaio 1979 …, Progressione 2: 1; C.F. (Finocchiaro C.), 1979: Tommasini Tullio, Boll. Staz. Met. di Borgo Grotta Gigante, Suppl. di Atti e Memorie CGEB, 1973: 1; Finocchiaro C., 1979: Relazione dell’attività della Commissione Grotte “E. Boegan” nell’anno 1978, Atti e Memorie CGEB, 18: 7-16; Guidi P., 1979: Tullio Tommasini, Alpi Giulie 73: 83-85; P.G. (Guidi P.), 1983: Grotta Tullio Tommasini, Progressione 10: 46; Guidi P., 1989: Anniversari, Progressione 22: 56; Guidi P., 1999: Tommasini Tullio, un presidente mancato, Progressione 41: 56; Guidi P., 2009: Tullio Tommasini, trent’anni di speleologia, Progressione 56: 163; Semeraro R., 1985: La rinascita della speleologia regionale, La Ricerca Scientifi ca, 1° aggiorna- mento dell’Enc. Monografi ca del Friuli Venezia Giulia, Udine 1985: 277-312. Alla sua memoria il Gruppo Grotte Carlo Debeljak ha voluto dedicare una bella grotta del Carso, la Grotta Tom, 5242 VG.

31 a far parte del Consiglio Direttivo della stessa nella seconda metà degli anni ’50 e nel 1970 ne veniva eletto Vicepresidente, incarico che manterrà sino alla morte. Attivo come esploratore e rilevatore, il maggior apporto alla Società lo ha dato nel campo della ricerca, con studi e indagini concretizzatisi in 34 pubblicazioni.

Le pubblicazioni

Nel corso del primo periodo di attività con la Commissione, cioè negli anni che intercor- rono fra il 1949 e il 1960, Tullio Tommasini pubblica soltanto tre lavori (1950, 1954, 1957), di cui due sono descrittivi di grotte (la Fovea Maledetta, 822 VG, e la Fossa del Noglar, 243 Fr) mentre il terzo, elaborato con Fabio Forti, è relativo alla strumentazione della Grotta Spe- rimentale “Costantino Doria” - 3875 VG, cavità lunga un centinaio di metri scoperta poco prima e attrezzata con scale fi sse e dotata di una complessa strumentazione atta a rilevare i più importanti dati meteo-climatici riscontrabili nella stessa: temperatura, umidità, pressione barometrica, stillicidio, evaporazione, ecc. Il decennio successivo lo vede autore, o coautore, di dodici pubblicazioni i cui temi toccano la meteorologia (cinque: 1961, 1967a, 1968b, 1969a, 1969b), l’idrologia (quattro: 1962, 1965a, 1967b, 1968a), la geologia (due: 1964a, 1966a) e le esplorazioni (1966b). Negli ultimi dieci anni il suo nome appare in testa a diciannove scritti, con una marcata preponderanza degli elaborati di meteorologia ipogea (tredici titoli: dal 1971 al 1976 e 1977a, 1977b, 1977c, 1978a, 1978b, 1979c), mentre i rimanenti sei sono dedicati alla seconda campa- gna di ricerca della Commissione Grotte in Iran, da lui voluta e diretta (1977a, 1977b, 1977c, 1978a, 1978b, 1979c). Alcuni lavori di idrologia (1965a, 1967b e 1968a) rivestono pure un interesse per la meteo- rologia; sono stati inseriti nel “gruppo esplorazioni” pure un compendio bibliografi co (1977b) e una raccolta di leggende (1979c).

Gli argomenti di ricerca

A) Esplorazioni, Descrizioni – Ancorché studioso attento e meticoloso, Tommasini non aveva mai perso il suo amore per la speleologia esplorativa. I suoi primi due lavori, pubblicati nel 1950 e nel 1954, quando aveva rispettivamente 18 e 22 anni, sono infatti dedicati alla descrizione di due grotte. Purtroppo quella esplorativa è stata un’attività a cui non aveva po- tuto dedicare tutto il tempo che avrebbe desiderato, impegnato come era dalla gestione delle stazioni di meteorologia ipogea (dal 1950 alla Grotta Gigante, n. 2 VG, dal 1957 alla Grotta C. Doria, n. 3975 VG e dal 1966 anche alla Grotta di Padriciano, n. 12 VG) e della stazione meteorologica allestita in superfi cie nel comprensorio turistico di Borgo Grotta Gigante nel 1967. Ciò nondimeno aveva trovato il modo di partecipare ad alcune delle spedizioni speleo- logiche organizzate dalla Commissione Grotte fuori regione. Mentre di alcune non ha lasciato traccia scritta (Calstelcivita 1952, 1953, Sciacca 1957, Alburno 1963, Calabria 1977), di altre ha relazionato, spesso con scritti redatti a più mani. I risultati della spedizione invernale in Puglia (dicembre 1956) sono presentati, a fi rma sua e di Marino Vianello, su un numero del 1965 di Rassegna Speleologica Italiana (1965b); le tredici pagine del lavoro contengono le descrizioni ed i rilievi delle quattordici cavità esplorate. Maggior attenzione ha invece dedicato Tommasini alla diffusione dei risultati della se- conda ricognizione speleologica in Iran, svoltasi nella primavera del 1977; a questo evento l’autore ha dedicato sei scritti, di cui tre essenzialmente informativi (1977c, 1978a e 1978b), una monografi a descrittiva e catastale (1977a), un primo saggio della bibliografi a speleologica

32 Fig. 1 – Tullio Tommasini du- rante una sosta nella spedizione speleologica condotta in Iran, 1977. (Archivio fotografi co CGEB)

dell’Iran (1977b) ed un contributo alla conoscenza del folklore delle grotte persiane (1979c). Tutti questi lavori, tranne uno, sono stati realizzati in collaborazione con gli altri partecipanti alla spedizione.

B) Geologia, Idrologia – Nei primi anni ’60 la stretta collaborazione con Fabio Forti, allora giovane studioso agli inizi del suo percorso di cultore del carsismo, porta Tullio Tommasini ad interessarsi oltre che alla meteorologia ipogea anche all’idrologia ed alla geologia del Carso triestino. In quest’ultimo settore la sua fi rma appare, a fi anco di quella del Forti, su due importanti monografi e illustranti il Carso del Monte Spaccato (1964) e una sezione geologica dettagliata del Carso triestino dal Monte Lanaro alla località Cedas (1966); a questo periodo appartengono pure i quattro lavori di idrologia carsica (1962, 1965a, 1967b e 1968a) di cui i primi due presentati assieme a Fabio Forti. I dati termometrici sulle risorgive del Timavo presentati nel 1965 sono stati poi oggetto di una approfondita analisi presentata da A. A. Cigna al decimo Congresso Nazionale di Speleologia svoltosi a Roma nel 1968(2). Alla fi ne degli anni ’60 la coppia Forti-Tommasini si divide. Mentre il primo, in stretto collegamento con l’Istituto di Geologia dell’Università di Trieste, si specializza in geomorfo- logia carsica, Tommasini si dedica sempre più allo studio del clima sotterraneo, con indagini condotte nelle tre grotte attrezzate dalla Commissione Grotte “E. Boegan” e divenute stazioni climatologiche sotterranee sperimentali. Successivamente, al fi ne di correlare i dati raccolti nelle stazioni ipogee al clima esterno, nel 1967 installa una centralina meteorologica all’esterno della Grotta Gigante, in prossimità quindi delle due principali stazioni sotterranee. Questa centralina meteo è tuttora attivamente in servizio ed i suoi dati sono costantemente utilizzati e regolarmente pubblicati su un bollettino.

C) Meteorologia. Il maggior contributo nel campo scientifi co Tommasini lo ha dato nella meteorologia, sia di superfi cie che sotterranea. Dei lavori pubblicati in questo settore nell’arco di poco più di vent’anni quattro sono stati dedicati all’illustrazione della strumentazione posta

(2) Cigna A. A., 1976: Considerazioni sulla correlazione tra la temperatura dell’acqua e dell’aria alle risorgenze del Timavo, Atti del X Congresso Nazionale di Speleologia, Roma sett. 1968, parte I, Chieti 1976: 208-220.

33 nella Grotta Doria (1957, 1961), della stazio- ne meteo esterna allestita nel comprensorio turistico della Grotta Gigante (1967a) e della varie stazioni — Grotta Gigante, Grotta Do- ria, Grotta di Padriciano, capannina meteo di Borgo Grotta Gigante — attivate dalla Commissione Grotte a cavallo degli anni ’50 e ’60 (1969a). Il numero più alto dei titoli — dieci lavori — è relativo alla presentazione dei dati raccolti in quest’ultima (1971b, 1972a, 1972b, 1973, 1974b, 1975, 1976, 1977d, 1978c, 1979b), nove pubblicati sul Bolletti- no della Stazione Meteorologica di Borgo Grotta Gigante ed uno negli Atti del Civico Museo di Storia Naturale di Trieste; cinque lavori contengono analisi e interpretazione degli stessi (1968b, 1969b, 1971a, 1974a, 1979a). Sui dati raccolti nella Grotta Costanti- no Doria è successivamente intervenuto lo studioso francese Jaques Choppy con due note pubblicate su questa Rivista nel 1981 e nel 1985(3). I lavori più signifi cativi del Tommasini Fig. 2 – Misure termometriche all’interno della grot- sono concentrati nell’ultimo decennio del- ta Costantino Doria (stazione psicrometrica n.1). Fine la sua vita e sono tutti attinenti alla clima- anni cinquanta. (Archivio fotografi co CGEB) tologia. Nello studio realizzato con Candotti (1968b) era stata presa in esame l’infl uenza delle variazioni climatiche esterne su quelle interne di una grotta di una certa profondità. A tal fi ne erano stati considerati i dati relativi a temperatura, umidità, tensione del vapore, stillici- dio e correnti d’aria raccolti in due cicli di ricerca (luglio 1968 e gennaio/febbraio 1969) nelle stazioni poste lungo l’asse della Grotta di Padriciano, 12 VG, da quota 368 (ingresso) a quota 188 (-180, Grande Caverna). È stato così possibile identifi care in precisi grafi ci lo smorzamento della temperatura con un corrispondente aumento dell’umidità nel primo tratto, mentre nella parte più interna i valori sono rimasti quasi costanti, con scarti ridottissimi fra i due cicli. Una breve nota, 1969b, pone a confronto i dati giornalieri di stillicidio, raccolti per oltre un anno (1951-1952) da una stalattite della Grotta Gigante, con quelli delle precipitazioni esterne registrate sull’altipiano carsico. Fra i dati emersi dall’analisi delle tabelle riportanti i valori giornalieri dello stillicidio (da un minimo di litri 0,63 ad un massimo di litri 284,20, e con una media di litri 13,18) spicca la presenza di “onde di piena”, che vengono riscontrate con un ritardo, rispetto l’evento piovoso, che oscilla fra le 10 e le 90 ore. I rapporti tra stillicidio e piovosità oscil- lano da un minimo di 0,53 per i mesi estivi ad un max di 8,92 per i mesi di gennaio-febbraio.

(3) Choppy J., 1981: Interprètation des mesures climatiques dans la grotte C. Doria (N. 3875 VG) publièes par S. Polli, Atti e Memorie della CGEB, 20 (1980): 21-53, Trieste 1981; Choppy J., 1985: Studi climatici: alcune proposte, Atti e Memorie della CGEB, 24 (1985): 49-51, Trieste 1985.

34 Fig. 3 – Grotta Costantino Doria, stazione ipogea sperimentale della CGEB ubicata sul Carso triestino.

Nel 1971 Tommasini presenta (1971a) i risultati di due anni (1969-1970) di mi- sure sistematiche sulle condizioni dell’aria eseguite nella Grotta Gigante mediante psicrometro ad aspirazione Assmann, con le stesse modalità di analoghi studi effet- tuati in due cicli precedenti (1951-1955 e 1958-1961). I dati rilevati confermano un ulteriore riscaldamento della cavità, con un accelerato livellamento delle escursioni an- nue della temperatura. La Grotta Gigante è stata oggetto di vari cicli di misurazioni sistematiche del suo clima (1955; 1958-1961; 1969-1979; 1973). I dati raccolti nei primi tre cicli, pubblicati da Tommasini e Silvio Polli (1972a), ave- vano messo in evidenza il cambiamento del microclima della grotta conseguente alla parziale chiusura (1958) dei due ingressi maggiori e quella completa del terzo. L’ulti- Fig.4 – Tullio Tommasini, fi ne anni cinquanta, al la- mo ciclo di misurazioni ha evidenziato che voro con uno psicrometro ad aspirazione “Assmann” gli aumenti di temperatura e di umidità ave- all’esterno di una cavità del Carso triestino. vano raggiunto un nuovo equilibrio; mentre (Archivio fotografi co CGEB)

35 per l’umidità il conseguimento di questo nuovo climax (99,3%) è avvenuto in pochi mesi, per la temperatura (11,53°C) sono stati necessari circa sei anni; l’escursione media annuale è di rispettivamente 0,9% e 0,38 °C. È diffi cile defi nire il valore o l’importanza degli scritti degli ultimi due gruppi. La pubbli- cazione dei dati raccolti dalla strumentazione posta nei vari centri di ricerca è stato il frutto di un intenso e diligente lavoro di copiatura, trascrizione e ottimizzazione dei valori raccolti manualmente, ogni giorno, e di quelli forniti da barografi , termografi , eliofanografi . Il lavoro di elaborazione dei dati su base decadica e mensile richiedeva, a quei tempi, moltissime ore, avendo a disposizione come supporto soltanto una calcolatrice elettrica Divisumma, il massimo che la tecnologia di quegli anni potesse fornire. Ma il pregio di un’opera non si giudica dalla fatica sostenuta per realizzarla, ma dalla congruità e dall’utilità della stessa: in questo caso i dati raccolti e pubblicati presentano un valore assoluto in quanto fotografano, con elementi certi e non più modifi cabili, la situazione climatica di una fascia temporale abbastanza ampia di un sito geografi camente ben defi nito. Le analisi, e conseguenti sintesi, di più serie di dati presuppongono in chi le conduce la capacità di correlare fra di loro elementi talvolta apparentemente senza alcun rapporto diret- to. Per questo motivo il prodotto fi nale, anche nel suo piccolo, è sempre una tesi che l’Autore propone al mondo scientifi co, un quid che offre l’opportunità di avanzare nel dominio della conoscenza ma aperto a discussioni che portino a conferme o a confutazioni, mentre i dati raccolti e pubblicati rimangono fi ssi nel tempo; Tullio Tommasini ha portato un concreto apporto in ambedue i settori.

Collaborazioni

Un terzo degli scritti di Tullio Tommasini è stato realizzato in collaborazione con altri auto- ri, tutti membri della Commissione Grotte. Fra questi spicca il carsologo Fabio Forti, amico con cui aveva iniziato l’attività speleologica e con il quale ha presentato i due studi sulla geologia del Carso, i risultati di due indagini sull’idrologia carsica, nonché una nota sulla strumentazione installata nel 1957 nella stazione di meteorologia ipogea della Grotta Doria. Dopo la metà degli anni ’60, la collaborazione si diversifi ca. Inizia con il contributo al catasto grotte della Puglia scritto con Marino Vianello (1965b), prosegue con la relazione su di una breve campagna di ricerche climatiche nella grotta di Padriciano, 12 VG, condotta con il giovane coautore Paolo Candotti (1968b) e con una monografi a su venti anni di pluviometria nella Grotta Gigante fi rmata assieme a Silvio Polli, suo maestro in questo settore di ricerca (1972a). Gli ultimi anni della sua vita di speleologo si concludono con una stretta collaborazione con Pino Guidi (cinque scritti) e Angelo Zorn, membri della Commissione Grotte che lo avevano accompagnato nella spedizione speleologica in Iran svoltasi fra marzo e aprile 1977.

Riviste

Tullio Tommasini era molto legato alla Società Alpina delle Giulie ed alla sua Commissione Grotte, struttura in cui era entrato sin da giovanissimo; per questo motivo la maggior parte delle schede bibliografi che fa riferimento alle riviste sociali della S.A.G., con una preponderanza su quella scientifi ca, gli “Atti e Memorie” della Commissione Grotte in cui sono apparsi, fra il 1961 ed il 1977, tredici lavori. Seguono il Bollettino della Stazione Meteorologica di Borgo Grotta Gigante, da lui fondato nel 1967, con dieci schede e quindi Alpi Giulie, rivista in cui aveva debuttato nel 1950, con quattro lavori. Anche gli “atti” del 6° Congresso Nazionale di

36 Speleologia, svoltosi a Trieste nel 1954 e organizzato dalla Società Alpina delle Giulie assie- me alla Società Adriatica di Scienze Naturali e al Gruppo Triestino Speleologi, contengono un suo lavoro; la circostanza che gli stessi siano stati pubblicati sul primo numero della terza serie di Grotte d’Italia fa sì che il suo nome appaia anche fra i collaboratori di questa storica rivista di speleologia. La sua collaborazione con testate diverse è stata quasi sempre legata alla presenza dei co- autori: Vianello lo ha portato, nel 1965, alla Rassegna Speleologica Italiana, Polli nel 1972 agli Atti del Civico Museo di Storia Naturale di Trieste, Guidi al Notiziario della Società Speleologica Italiana, a Mondo Archeologico e all’inglese The British Caver.

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– 1978b (con Guidi P.): Le ricerche speleologiche nell’Iran Nord Occidentale, Notiziario della SSI, s. 2, 9 (3): 35-38 [esplorazioni] – 1978c: Osservazioni meteoriche eseguite nel 1977, Boll. Staz. Met. di Borgo Grotta Gigante, Suppl. di Atti e Memorie CGEB, 1978: 1-20 [meteorologia] – 1979a: Dieci anni di osservazioni meteorologiche eseguite a Borgo Grotta Gigante sul Carso Triestino, Boll. Staz. Met. di Borgo Grotta Gigante, Suppl. di Atti e Memorie CGEB, 1979: 1-11 [meteorologia] – 1979b: Osservazioni meteoriche eseguite nel 1978, Boll. Staz. Met. di Borgo Grotta Gigante, Suppl. di Atti e Memorie CGEB, 1979: 1-20 [meteorologia] – 1979c: (con Guidi P.): Iranian caves and their Folklore, The British Caver, 72: 48-53 [esplorazioni]

39 Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 41-55 Trieste 2011

DANIELE TENZE(*), CARLA BRAITENBERG(*), ILDIKÒ NAGY(*), FRANCO CUCCHI(*)

DEFORMAZIONI INDOTTE DA FLUSSI IDRICI SOTTERRANEI NEL CARSO TRIESTINO

RIASSUNTO

Il Carso Classico è un vasto areale a carso maturo sviluppato in una potente idrostruttura, carat- terizzata da intensa e diffusa carsifi cazione anche ben al di sotto del livello del mare. La zona satura è potente ed estesa con una zona di oscillazione che verso monte raggiunge il centinaio di metri di spessore durante le piene importanti, come risulta dagli strumenti posizionati nell’Abisso di Trebiciano, circa 20 km in linea d’aria dalle sorgenti. Fra l’Abisso di Trebiciano e le foci, a circa 12 km da queste ultime, si apre la Grotta Gigante, all’interno della quale, dal 1960, è presente una stazione geodetica per la registrazione delle deformazioni crostali. Si analizzano le deformazioni indotte dalle variazioni di livello delle acque di fondo del Carso con- frontando i dati geodetici della Grotta Gigante con quelli idrologici dell’Abisso di Trebiciano. Analiz- zando i dati con campionamento giornaliero, si riconosce una correlazione fra il segnale clinometrico e le piene; i due segnali hanno sfasamento temporale massimo di un giorno. Il segnale clinometrico è un transiente, per cui il clinometro torna alla posizione iniziale successivamente al passaggio della piena ed ha un’orientazione caratteristica lungo la direttrice N150W-N30E. Il segnale clinometrico è proporzionale al livello raggiunto nell’Abisso di Trebiciano (100 nrad di inclinazione corrispondono a 9.7 m di incremento di livello). Le piene nell’Abisso di Trebiciano devono superare 23.2 m, per provocare il segnale clinometrico a Grotta Gigante.

ABSTRACT

CRUSTAL DEFORMATION DUE TO FLOODS OF THE UNDERGROUND TIMAVO RIVER

The Classical Karst is a vast area of a mature Karst system that has a well developed hydrostructure, characterized by a diffuse Karstifi cation that protrudes also below the sea level. The water saturated zone can reach up to 100 m of oscillation during high levels as has been demonstrated by the tide gauge installed in the Trebiciano Abyss, about 20 km distant from the springs. The area is characterized by a high number of natural cavities and by the complex underground fl ows of the Timavo river. The Timavo can be seen in some of the cavities, as for example the Trebiciano Abyss, which is equipped with instru- ments that measure the water level.

(*) Dipartimento di Geoscienze dell’Università degli Studi di Trieste, via Weiss 2, I-34100 Trieste.

41 From Trebiciano, moving 12 km towards the delta of the Timavo, the Grotta Gigante Cave is located, untouched by the course of the river. Inside the cave, since 1960 a tiltmeter station has recorded the crustal deformation continuously. The aim of this work is to determine whether the water level of the Timavo has an impact on the crustal deformation and the Karst system and to gain more information about the underground Timavo course, still partly unknown. For this purpose we analyze and compare the tilt data from Grotta Gigante cave with the hydrologic measurement from the Trebiciano Abyss. Analyzing the daily sampled data we fi nd a clear correlation between the hydrologically induced tilt signal and the high levels in the Trebiciano Abyss with a maximum phase shift of a day. The tilt signal has a characteristic orientation (N150W-N30E). The induced tilt is a transient, as the deformation returns to its state previous the hydrologic event. The relation between tilt amplitude and water level in Trebiciano Abyss is linear (100 nrad of inclination each 9.7 meters of level variation). There is a threshold value of 23.2 meters for the water level increase in the Trebiciano Abyss, below which no tilt signal is observed.

Introduzione

Oggetto di questo lavoro è l’analisi delle relazioni fra il regime delle acque sotterranee del Carso Classico ed il segnale clinometrico registrato dai pendoli orizzontali della Grotta Gigante (Marussi, 1960; Braitenberg e Zadro, 1999; Braitenberg, 1999). I pendoli della Grotta Gigante sono sensibilissimi strumenti atti ad osservare la componente di deformazione crostale data dalla deformazione di taglio e dalla inclinazione del suolo. La deformazione di taglio può essere osservata grazie alla particolare costruzione degli strumenti, che riescono a rilevare spostamenti relativi anche minimi fra l’attacco alto, fi ssato alla volta della grotta, e l’attacco basso, fi ssato sul fondo della grotta. I due attacchi, quello basso e quello alto, si muovono nello spazio seguendo la rotazione della grotta o le sue deformazioni. Le cause che possono provocare tali deformazioni sono molteplici e comprendono gli effetti del movimento della placca Adria, le oscillazioni libere, le maree terrestri, le onde sismiche, il carico delle maree marine dell’Adriatico, gli effetti termoelastici e i movimenti delle acque sotterranee. Gli studi eseguiti su oltre quarant’anni di registrazione clinometrica hanno portato a distinguere le diverse cause e a stimare in parte l’entità della loro infl uenza (e.g Zadro e Chiaruttini, 1975; Zadro e Braitenberg, 1999; Braitenberg e Zadro, 1999; Braitenberg, 1999; Brai- tenberg et al., 2001; Braitenberg et al., 2006). Nella presente nota si intende caratterizzare l’effetto delle acque e ribadire l’utilità dei pendoli installati nella Grotta Gigante nello studio dell’idrodinamica del Carso Classico. Le acque prese in considerazione sono quelle che alimentano il reticolo sotterraneo carsico, le cosiddette acque di fondo del fi ume Timavo (vedi Fig. 1).

Inquadramento

Il Carso Classico è un’area di 900 km² circa, che si estende a SE dell’Isonzo fi no a Postojna e a Škocjan. Nell’area sono presenti in gran numero e con notevoli dimensioni tutte le forme carsiche epigee ed ipogee, a tal punto da aver fatto dell’area il simbolo delle fenomenologie carsiche Nel settore del Carso italiano, un’area di circa 200 km², sono conosciute più di 3.500 cavità, alcune delle quali hanno sviluppo orizzontale e/o verticale notevole. Dal punto di vista strutturale l’unità morfocarsica appartiene alla piattaforma carbonatica carsico-friulana, propaggine settentrionale della placca Adria. L’intera piattaforma è costituita da una potente successione carbonatica triassica alla base, eocenica al tetto (spessore fi no a 2000 metri), sovrastata da un’altra, eocenica, in facies di fl ysch, entrambe disposte ad anticli- nale debolmente asimmetrica con asse NW-SE.

42 Spring Sinkhole Alluvial deposit Coastal Spring Cave with underground Cave with water reka flow Flysch Carbonates rocks

1 Škocjanske caves 8 Massimo cave 2 Kačna cave 9 Lindner cave 3 Kanjaducah cave 10 Sistiana quarry area 4 Stršinkni dolini cave 11 Colombi shaft Glinšč 5 Trebiciano abyss 12 Comarie cave ica St 6 Lazzaro Jerko cave 13 Jamiano cave ream 7 Opicina piezometer 14 Andrea cave A Lisert Springs E Pietrarossa lake B Moschenizze Springs F Doberdò lake C Timavo Springs G Aurisina Springs D Sardos Springs H Brestovica Aqueduct Rižana River

Fig. 1 – ll Carso Classico e i punti acqua monitorati dal DiGEO. Le frecce azzurre rappresentano l’anda- mento delle acque sotterranee. In rosso è segnata la Grotta Gigante, in viola l’Abisso di Trebiciano (da Cucchi et al., 2001).

Il fi anco sud-occidentale dell’anticlinale si affaccia sul golfo di Trieste determinando il margine dell’altopiano: una serie di sovrascorrimenti ad andamento NW-SE porta l’unità (la cosiddetta Unità di Comeno; Placer, 1981) a sovrastare la successione torbiditica. Nelle zone di Duino e Monte Grisa i termini carbonatici sono da molto inclinati a sub verticali o rovesciati, mentre all’interno dell’altopiano (dove tra l’altro sono ubicati la Grotta Gigante e l’Abisso di Trebiciano) hanno inclinazioni tra i 10° e 30° verso SW (vedi Fig. 2). Sul fronte di sovrascorrimento che Placer (1981) stima avere un rigetto orizzontale di circa 4 km, il Flysch ha un assetto complesso legato anche all’azione di faglie SW-NE che traslano tratti dei sovra- scorrimenti (Carulli e Cucchi, 1991; Bensi et al., 2009). All’interno dell’Unità di Comeno-Carso Classico si è sviluppato il reticolo del Timavo ipogeo. Il Timavo nasce con il nome sloveno di “Reka” al confi ne fra Slovenia e Croazia sulle pendici del monte M. Dletvo (Gabrovšek e Peric, 2006). Dopo aver percorso 40 chilometri su terreni silico-clastici si inabissa nell’area di Škocjan, nel maestoso complesso di gallerie sotterranee delle Škocjanske Jame, in territorio sloveno. Il percorso ipogeo dovrebbe avere indicativamente una lunghezza di 70-80 chilometri verso NW ma è sicuramente caratterizzato da uno sviluppo articolato, con frequenti variazioni di direzione di defl usso ed un complicato

43 reticolo secondario connesso alle vie d’acqua preferenziali; basti pensare che sul fondo del- l’Abisso di Trebiciano le acque scorrono da Sud a Nord e sul fondo della Grotta Meravigliosa di Lazzaro Jerko da Est verso Ovest (Cucchi et al., 2001). Gran parte della rete di cavità è oggi sotto il livello del mare: sicuramente da Trebiciano alle foci, probabilmente già prima, le gallerie principali sono in condizione di acqua in pressione sifonante.

Fig. 2 – Geologia e sezioni geologiche del Carso Triestino (da Cucchi e Zini, 2007). L’Abisso di Trebi- ciano è all’estremo NE della Sezione II.

La stazione geofi sica della Grotta Gigante

I pendoli orizzontali della Grotta Gigante sono stati installati in occasione dell’Anno In- ternazionale della Geofi sica nel 1959 da Antonio Marussi (Marussi, 1960) allo scopo di regi- strare tutte le deformazioni alle quali è sottoposto il substrato roccioso ed in particolare per lo studio delle maree terrestri. Per le loro grandi dimensioni e la estensione della serie temporale (la registrazione è continua dal 1964) i pendoli sono unici al mondo. I pendoli hanno una lunghezza di 95 metri e sono disposti in modo tale da sfruttare tutta la grandezza della cavità. Sono strumenti in grado di rilevare lo spostamento relativo orizzontale del punto di attacco superiore del pendolo rispetto al punto di attacco inferiore. La notevole lunghezza conferisce loro una grande stabilità ed un fattore di amplifi cazione naturale notevole. Rispetto a clinometri tradizionali di piccole dimensioni (base di osservazione dai decimetri a qualche metro) essi sono meno sensibili alle sorgenti di rumore, come pressione atmosferica e temperatura (e.g. Braitenberg, 1999; Braitenberg e Zadro, 2001; Braitenberg et al. 2004; 2005). Oltre ai

44 pendoli, nel 1997 è stata installata una coppia di clinometri tradizionali di dimensioni di 0,5 metri. La differenza costruttiva è che i pendoli hanno l’attacco superiore fi ssato alla volta della grotta, mentre i clinometri poggiano con tre punti sul terreno. Questa differenza costruttiva è molto importante nella interpretazione dei segnali clinometrici registrati, in quanto la direzio- ne del segnale può essere opposta nei due strumenti, a seconda del tipo di deformazione alla quale è sottoposta la grotta. Sia i pendoli che i clinometri sono pendoli a sospensione Zöllner (Braitenberg, 1999). Il principio di funzionamento viene chiamato “principio della porta da giardino”: la massa del pendolo è disposta su un’asta tenuta sospesa orizzontalmente da due fi li, uno superiore ed uno inferiore. Questi vincoli consentono all’asta di ruotare nel piano orizzontale attorno ad un’asse di rotazione virtuale che collega il punto di attacco superiore ed il punto inferiore. Le deformazioni o i movimenti agiscono sull’inclinazione dell’asse di rotazione virtuale. L’escursione dell’asta viene registrata con un angolo di diversi ordini di grandezza maggiore all’inclinazione dell’asse. Le due aste registrano rispettivamente la componente NS ed EW. Il movimento del pendolo viene registrato da un dispositivo ottico analogico che in- tercetta (con una campionatura di 30 campioni/sec) un fascio laser rifl esso da uno specchietto montato sull’asta del pendolo (Romeo, 2000). I dati acquisiti vengono registrati su un PC che consente un collegamento remoto.

La stazione idrogeologica dell’Abisso di Trebiciano

L’Abisso di Trebiciano, conosciuto fi n dal 1841, e la Grotta Meravigliosa di Lazzaro Jerko, scoperta nel 2000, sono le due sole cavità in territorio italiano in cui appaiono tratti signifi ca- tivi del reticolo del Timavo (Cucchi et al., 2001). L’abisso è gestito dalla Società Adriatica di Speleologia ed ospita alcuni strumenti di monitoraggio delle acque installati dal Dipartimento di Geoscienze. La cavità consiste in una serie di pozzi che dopo 270 metri circa dal piano campagna, consentono l’accesso alla Caverna Lindner, vasto ambiente sul cui fondo, alla profondità di 329 metri dal piano campagna e quindi a 12 metri sul livello medio del mare scorre un ramo del Timavo. Fra il sifone d’entrata e quello di uscita, un tratto di circa 200 metri, le acque del fi ume sotterraneo scorrono da NNW verso SSE. In prossimità del sifone d’uscita sono installati dal 1994 strumenti per la misura in continuo di livello, temperatura e conducibilità dell’acqua. Dal 1994 ad oggi si sono utilizzati strumenti via via più affi dabili e capaci; dal 2002 è ope- rativa una sonda CTD-Diver della Ejkelkamp che misura, oltre a temperatura e conducibilità, l’altezza della colonna d’acqua sovrastante dai valori di pressione tramite un sensore piezore- sistivo collegato ad un data-logger interno, con interfaccia ad infrarossi per lo scarico dei dati su personal computer (Casagrande et al., 2003; Cucchi et al. 1997; 1998;). La precisione nominale fornita da questi strumenti è dell’ordine del centimetro per misure comprese fra 0 e 30 m, appena superiore per quelle fra 30 e 100 m. La quota alla quale sono posizionati gli strumenti è di 11.7 m s.l.m. corrispondente all’incirca al livello in magra del fi ume.

Presentazione dei dati

Nella fi gura 3 sono rappresentate le serie temporali delle due componenti dei pendoli della Grotta Gigante dal 13 ottobre 1966 al 12 gennaio 2010. L’andamento a lungo periodo è costi- tuito da una funzione oscillatoria del periodo di 33 anni e da una deriva lineare. Si osserva una variazione annuale, che produce un massimo tilting verso NE, mediamente tra il 4 e 7 ottobre, e un tilting in direzione opposta verso SW, mediamente tra il 7 e 10 aprile. Nella fi gura 4 la causa del segnale annuale è una combinazione tra effetti termoelastici e carico dell’Adriatico.

45 Fig. 3 – Rappresentazione della registrazione a lungo periodo delle due componenti NS ed EW dei pendoli della Grotta Gigante dal 13 ottobre 1966 al 10 gennaio 2010. I dati originali sono stati ricampionati ad un intervallo giornaliero, previo fi ltraggio passa basso per evitare fenomeni di aliasing.

Fig. 4 – Inclinazione osservata nella Grotta Gigante (anni 1966- 2010). La variazione lineare risulta corrispondere ad una inclina- zione con direzione N57W con un tasso di 27 nrad/a (per det- tagli vedasi Braitenberg et al., 2006). Il grafi co rappresenta il tilting complessivo, dove la componente EW è riportata in ascisse e la componente NS in ordinata.

46 Fig. 5 – Oscillazioni del livello del fi ume Timavo misurate nell’Abisso di Trebiciano dal 21 giugno 1999 al 16 ottobre 2008. I valori sono stati uniformati riferendoli al livello mare; per gli anni precedenti il 2005 avevano una saturazione strumentale a +41.7 metri. In verde chiaro gli eventi isolati, in verde scuro gli eventi multipli.

Sovrapposti al segnale annuale ed all’oscillazione con periodo di 33 anni si osservano i segnali di breve periodo, di forma anche impulsiva, che sono oggetto di studio del presente lavoro. La fi gura 5 riporta le registrazioni del livello delle acque nell’Abisso di Trebiciano. Le sonde campionano i valori dei diversi parametri ogni mezz’ora. Dal momento che si è preso in considerazione un arco temporale di quasi dieci anni, per gestire meglio il database si è reputato suffi ciente ricampionare la sequenza con un valore unico al giorno, ottenuto mediando i dati disponibili. Per tutti gli eventi di piena, evidenziati in fi gura 5, per il confronto con il segnale del pen- dolo è stato scelto un intervallo temporale di una ventina di giorni a cavallo della piena. Nei due eventi di piena, avvenuti nel 2005 e nel 2006, gli strumenti di più recente installazione hanno potuto registrare l’intera escursione delle acque, rispettivamente pari a 52,51 m e 54,51 m. Nella fi gura sono evidenziati gli eventi di piena che hanno dato i segnali più evidenti sulle registrazioni dei pendoli. I tratti in verde chiaro rappresentano eventi isolati mentre quelli in verde scuro eventi multipli, piene susseguitesi in un breve arco di tempo; gli eventi di piena multipli non sono riportati in dettaglio ma i loro valori di ampiezza d’inclinazione del tilting e i rispettivi livelli di piena a Trebiciano, sono inclusi nella fi gura 10.

47 Il segnale del pendolo

Si sono analizzati in dettaglio i dati dei pendoli della Grotta Gigante e le osservazioni del livello di acqua nell’Abisso di Trebiciano. Il periodo analizzato va dal 21 giugno 1999 al 16 ottobre 2008. Al fi ne di isolare i segnali di deformazione causati dalle piene del Timavo, sono state applicate diverse operazioni di trattamento del segnale. Per rimuovere le componenti a lungo periodo è stata tolta una deriva polinomiale di secondo grado stabilizzando il segnale e riportando i valori sullo zero (fi g. 6-B); successivamente si è applicato un fi ltro di frequenza che elimina le periodicità maggiori di 300 giorni (fi g. 6-C e 6-D). Si sono poi eseguite le operazioni atte a ricavare i valori di direzione, velocità ed ampiezza del segnale clinometrico nei giorni interessati dalle piene. I valori di velocità e direzione riguardanti un intervallo temporale a cavallo della piena sono stati riportati in grafi co. Nella fi gura 8 sono riportati i risultati dell’evento di piena del 5 novembre 2002. Com’è ben visibile, il segnale complessivo determinato dalla piena si può suddividere in due fasi: segnale di andata e segnale di recupero (o di ritorno). Nella prima fase il segnale si orienta verso SW adottando una direzione di N150°W (giorno 4 e punto A nel grafi co della velocità c). La velocità nei punti di virata è minima e la direzione subisce un forte cambiamento (brusca discesa dal quarto al quinto giorno nel grafi co della direzione, tratto verde). Successivamente (seconda fase ed inizio del segnale di andata) la direzione rimane pressoché costante dal quinto al settimo giorno (tratto verde nei grafi ci di direzione e velocità) e la velocità aumenta progressivamente. Questa fase fi nisce al punto mas- simo di velocità raggiunta (punto B nel grafi co della velocità c). La terza fase (tratto viola), dal settimo al decimo giorno, è caratterizzata da una direzione pressoché costante ed uguale alla fase precedente. Essa si distingue per il progressivo rallentamento dovuto al superamento del livello massimo d’acqua e quindi alla fi ne dell’evento di piena. La direzione si mantiene costante fi nché (decimo/undicesimo giorno nel caso in esame) la velocità di spostamento è minima ed il segnale abbandona la direzione N150W (punto C nel grafi co della velocità c). La quarta ed ultima fase comincia dalla brusca variazione di direzione che determina la fi ne del segnale di andata. Nei segnali migliori come nell’esempio riportato, la direzione rimane quasi la stessa ma si ha il cambiamento di verso. Questa fase è chiamata anche segnale di ritorno o di recupero in quanto comporta il ritorno alle condizioni di partenza. Come si può vedere la velocità aumenta e la direzione poi viene gradualmente abbandonata per il fi nire dell’effetto delle acque. La traccia dell’inclinazione nel tempo (in alto e a destra in fi gura 8 d) consente di defi nire i valori di ampiezza del segnale idrologico. Il segnale spesso mette in luce una marcata differenza tra le escursioni in andata e in ritorno, il che comporta la necessità di evidenziarle entrambe. Nel grafi co 8 d la linea verde rappresenta l’ampiezza di escursione del segnale di andata, il tratto a punti verdi l’ampiezza di escursione del segnale di ritorno.

Il segnale del clinometro

Analizzato l’andamento del segnale dei pendoli nei giorni concomitanti gli eventi di piena registrati a Trebiciano sono stati selezionati otto eventi considerati rappresentativi in termini di direzioni assunte e tempi di reazione. Tali eventi sono raggruppati in un unico grafi co (fi - gura 9) che illustra l’andamento simile di tutti gli eventi, i due segnali di andata e ritorno e le rispettive pressoché simili direzioni assunte. Inoltre è possibile stimare gli anticipi ed i ritardi medi di reazione del sistema, nonché le ampiezze di escursione di oscillazione indotte dalle piene del sistema idrico sotterraneo. Le linee color senape tratteggiate evidenziano il campo di direzioni assunte dai segnali di andata che oscillano tra -135° e -174°, mentre quelle amaranto evidenziano il gap delle direzioni assunte dai segnali di ritorno che oscillano tra 25° e 58°.

48 Fig. 6 – Le diverse fasi del trattamento del segnale per isolare il segnale idrogeologico. A: registrazione originale. B: dati originali meno una deriva polinomiale. C: il segnale annuale ottenuto da successivo fi ltraggio con fi ltro passa alto, per eliminare le basse frequenze (Periodo > 400 d). D: il segnale utilizzato nello studio.

49 Fig. 7– Esempio di grafi co rappresentante il movimento di tilting. Nella fi gura l’asse delle ascisse corrisponde ai valori della componente Est-Ovest del pendolo, l’asse delle ordinate cor- risponde ai valori della componente Nord-Sud. Supponiamo che la registrazione assuma in due giorni successivi prima la posizione indicata con il numero 1 e successivamente la posizione 2. Defi niamo il vettore d’inclinazione che unisce i due punti 1 e 2, con le componenti ⌬x e ⌬y, che avrà una ampiezza ed una direzione. Defi niamo la direzione dell’inclinazione dal valore di azi- mut, pari all’angolo orario del vettore rispetto a nord. Il modulo del vettore è pari alla velocità dell’inclinazione calcolata in nrad per giorno.

Fig. 8 - Le rappresentazioni utilizzate in fase di studio degli eventi di piena. Tutti i grafi ci riguardano gli stessi giorni riguardanti l’evento di piena. In alto a sinistra (fi gura a) è riportato il livello dell’acqua nell’Abisso di Trebiciano, sotto (fi gure b e c) sono riportate la direzione e la velocità di inclinazione con il movimento composto di inclinazione. In d l’andamento dell’inclinazione effettiva del pendolo ottenuto dalle due componenti plottate insieme con evidenziati i tratti e le fasi del segnale indotti dalle piene, il segnale di andata e il segnale di ritorno. I grafi ci riguardano lo stesso intervallo temporale associato alla piena. Il giorno in cui si è raggiunto il punto massimo di livello è stato fatto coincidere con l’ottavo dei giorni considerati al fi ne di consentire una buona visualizzazione del fenomeno nei sette giorni precedenti. Per quanto riguarda il grafi co con il movimento di tilt, i giorni sono rappresentati dai numeri visibili in prossimità della curva; si è avuto cura di riportare i giorni salienti del segnale del pendolo: essi sono il giorno dell’inizio e della fi ne ed il punto di massima escursione del segnale.

50 Fig. 9 – Diagrammi riassuntivi del segnale di piena del Timavo e del relativo segnale di inclinazione osservato nella Grotta Gigante. Linea tratteggiata color senape: valori entro i quali si colloca la direzione del segnale di inclinazione generato dalla piena. Linea tratteggiata color amaranto: valori entro i quali si colloca la direzione del segnale di inclinazione generato dal recupero dalla piena. Curva nera: evento 1 novembre 2004, curva rossa 28 dicembre 2004, curva blu 8 maggio 2004, curva verde 24 ottobre 2002, curva verde scuro 5 novembre 2002, curva viola 1 gennaio 2004, curva giallo ocra 28 novembre 2005, curva marrone 3 gennaio 2006. Come in fi gura 8 I grafi ci a,b,c e d rappresentano rispettivamente: livello del Timavo registrato a Trebiciano, azimut di direzione assunta, velocità di inclinazione e tilt registrato dal pendolo. Sono riportati solamente gli eventi singoli.

La piena del 29 dicembre 2004, riportata in rosso, ha valori di tilting quasi doppi rispetto alle altre piene ee comporta stranamente un leggero anticipo del segnale clinometrico rispetto all’inizio della piena registrata nell’Abisso di Trebiciano. Nel grafi co delle direzioni si nota come la linea rossa raggiunga valori attorno -155° già il quarto giorno di analisi, due giorni prima dell’inizio della piena a Trebiciano. Sfasamenti fra segnale del pendolo e piena a Trebiciano sono tuttavia la costante, quando per sfasamento si intende il tempo fra l’ultimo giorno di livello normale delle acque e la dispo- sizione nel campo attorno al valore di 150° di direzione del segnale dei pendoli. Lo sfasamento è defi nito dal numero di giorni che intercorrono tra il segnale registrato dai pendoli, che si vuole imputare all’effetto delle acque, e l’effettivo innalzamento del Timavo nell’Abisso di Trebiciano. Tale sfasamento varia tra 1 e 2 giorni circa.

51 Analisi di regressione fra segnale clinometrico indotto e ampiezza della piena nell’Abisso di Trebiciano

È interessante porsi la domanda sulla relazione quantitativa dell’ampiezza del segnale cli- nometrico e l’escursione in metri delle piene osservate nell’Abisso di Trebiciano. A tale scopo si sono selezionati tutti gli eventi di piena che non hanno superato i livelli massimi e si sono determinati i valori delle ampiezze dei segnali di andata e di ritorno corrispondenti (fi gura 8). Nella fi gura 10 si osserva la relazione tra ampiezza del segnale clinometrico in nanoradianti e altezza dell’acqua del Timavo. I dodici eventi i cui livelli non hanno saturato le sonde, tra cui quelli del 2005 e del 2006 misurati in tutta l’oscillazione, sono rappresentati dalle croci nere. Le ampiezze considerate sono ottenute dalle medie tra le ampiezze del segnale di andata e di ritorno per ogni evento di piena. Per ogni punto è riportata una barra di errore rappresen- tante l’incertezza riguardo al valore di ampiezza. I cerchi rossi rappresentano gli eventi che hanno saturato lo strumento, eventi superiori ai 41.7 metri. La retta di regressione è pari a Y = 0.099 * X + 23.2, dove Y è il livello dell’acqua a Trebiciano in metri e X è l’escursione massima del segnale clinometrico in nanoradianti. Tale relazione, rappresentata dalla linea verde nella Figura 10, assegna un valore di 23.2 metri come minimo valore percettibile dai pendoli della Grotta Gigante che corrisponde a piene con un minimo di 12 metri di escursio- ne. Il coeffi ciente lineare equivale all’inclinazione di 100 nanoradianti per ogni 9,7 metri di variazione del livello dell’acqua misurata nell’Abisso di Trebiciano.

Discussione

Nel presente lavoro si è trovata una relazione quantitativa fra l’innalzamento delle acque sotterranee del Carso e le deformazioni misurate dal pendolo orizzontale della Grotta Gigante. Il segnale osservato dai pendoli ha una durata e una direzione tipica, le cui caratteristiche sono simili nel tempo. Il segnale indotto è un transiente e implica una deformazione temporanea della cavità (e con lei dell’idrostruttura carsica) che viene recuperata al termine del defl usso delle acque. La durata complessiva della deformazione è di circa 8 giorni. Allo stato attuale non è possibile fornire informazioni sulla profondità, sullo spessore e sulla localizzazione delle acque che generano il segnale di deformazione. La deformazione della grotta è un fenomeno complesso e richiede un’accurata modellazione che tenga conto della forma della grotta, della portata, della distanza e della posizione delle acque che ge- nerano il segnale. Recenti studi su deformazioni crostali osservate in zone carsifi cate della Francia hanno proposto come causa della deformazione il carico delle acque, il loro defl usso profondo o il riempimento temporaneo di vuoti (e.g. Rerolle et al.,2006; Jacob et al., 2010; Longuevergne et al., 2009). Resta il fatto che l’entità della deformazione generata dal solo carico è troppo esigua per spiegare le loro osservazioni, anche se la saturazione dell’epicarso comporta una deformazione signifi cativa (Jacob et al., 2010). Abbiamo stabilito che l’inizio del segnale di tilting indotto dalle piene e l’andamento del- l’acqua nell’Abisso di Trebiciano sono quasi coincidenti, con uno o due giorni di possibile sfasamento. Dato che l’analisi ha per il momento preso in considerazione un campionamento giornaliero, gli sfasamenti registrati rientrano nella incertezza posta dalla risoluzione temporale adottata. Il leggero anticipo del tilting del pendolo dovrà essere confermato dall’analisi dei dati orari. L’anticipo può essere legato all’effetto di altre acque in altri bacini. Le deformazioni indotte vengono registrate più chiaramente dai pendoli che non dai cli- nometri, fenomeno giustifi cato dalla estrema sensibilità del pendolo, fi ssato alla volta e alla base della grotta.

52 Fig. 10 – Relazione fra l’ampiez- za di inclinazione generata nella Grotta Gigante dalle piene os- servate nell’Abisso di Trebiciano. Crocette: eventi di piena che non hanno saturato la strumentazio- ne. Punti rossi: eventi di piena che hanno superato o raggiunto il livello di saturazione pari a 41.7 metri di livello dell’acqua. L’incertezza nella stima dell’am- piezza del segnale clinometrico è indicato dagli intervalli oriz- zontali. La retta verde indica la retta di regressione, che nella parte tratteggiata permette di stimare il livello delle piene oltre il livello di saturazione. I punti rappresentano eventi di piena isolati e multipli.

Conclusioni

Si è potuto riscontrare che a particolari periodi di piena del Timavo ipogeo si possono as- sociare caratteristiche deformazioni della Grotta Gigante individuate dalle misure dei pendoli orizzontali installati nella grotta stessa. Tali segnali consistono in un’inclinazione verso SW di ampiezza proporzionale all’entità della piena e nel successivo recupero dell’inclinazione. Quantifi cando tale relazione si può dire che la minima piena registrata nell’Abisso di Trebi- ciano apprezzabile dai pendoli della Grotta Gigante è di 23.2 metri (riferiti al livello medio marino) e che superato questo valore ad ogni variazione di livello dell’acqua di 9.7 metri i pendoli registrano un’inclinazione di 100 nanoradianti verso SW.

Ringraziamenti

Si ringraziano per l’aiuto nell’elaborazione dei dati la Dott.ssa Patrizia Mariani e per il recupero dei dati idrologici il dott. Walter Boschin e il dott. Luca Visintin. Si ringrazia l’Istituto Nazionale di Geofi sica e Vulcanologia (INGV) ed in particolare il dott. Gianni Romeo e il dott. Quintilio Taccetti per la collaborazione alla stazione geodetica della Grotta Gigante.

53 RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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55 atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” vol. 43 pp. 57-65 trieste 2011

Fulvio Gasparo(*)

Una nuova Harpactea cavernicola di Creta (Araneae, Dysderidae)

RIASSUNTO

Viene descritta Harpactea persephone n. sp. su di un singolo esemplare di sesso femminile, recente- mente rinvenuto nella grotta di Kournas (Spilaio tou Kourna), presso il villaggio omonimo (prefettura di Chania, Creta). La nuova specie, di grande taglia e caratterizzata da un’accentuata riduzione e depigmentazione oculare, si distingue da tutte le specie conosciute del genere Harpactea per la spinulazione straordina- riamente abbondante delle zampe, con spine presenti su tutti i segmenti, eccezion fatta per le coxe e le patelle anteriori e tutti i tarsi; in particolare un numero inconsueto di spine (circa 10) si riscontra sulle tibie ed i metatarsi del primo e secondo paio di zampe. Harpactea persephone n. sp. appartiene al gruppo rubicunda e, in base alla struttura della vulva, presenta evidenti affinità con H. catholica (Brignoli, 1984), specie troglofila raccolta anche in sede epigea, endemica del settore occidentale di Creta.

SUMMARY

A new cave-dwelling Harpactea from Crete (Araneae, Dysderidae) Harpactea persephone n. sp. is described on a single female specimen collected in the Kournas cave (Spilaio tou Kourna), Chania prefecture, Crete. The main diagnostic characters of the new species are: the large body size, a strong eye reduction and depigmentation and the very abundant leg spination: spines are present on all leg segments, except for the anterior coxae and patellae and all the tarsi; an absolutely high number of spines (about 10 on each segment) are located on the tibiae and metatarsi of the first and second pair of legs. Due to the above features, the new species is easily distinguished from all the congeners. Harpactea persephone n. sp. belongs to the rubicunda group and, according to the vulvar structure, appears to be related to H. catholica (Brignoli, 1984), a troglophilic species (often found outside caves) endemic for the western part of Crete.

(*) Commissione Grotte “Eugenio Boegan”, Società Alpina delle Giulie, C.A.I., Via Donota 2, I-34121 Trieste.

57 Premessa

I Dysderidae appartenenti alla sottofamiglia Harpacteinae di Creta sono ben conosciuti, in quanto oggetto di recenti revisioni ad opera di Chatzaki & Arnedo (2006), Deeleman- Reinhold (1993) e Gasparo (2004). I sei rappresentanti della sottofamiglia citata, tutti endemici, sono riferiti ai generi Har- pactea Bristowe, 1939, che conta a Creta tre specie, di cui due francamente epigee ed una raccolta sia in superficie sia in grotta,Minotauria Kulczyński, 1903, genere esclusivo di Cre- ta e Kassos, presente nel settore centro-orientale dell’isola con due specie cavernicole, una anoftalma e l’altra caratterizzata da una riduzione oculare variabile da stazione a stazione, e Stalagtia Kratochvíl, 1970, di cui è nota una sola specie epigea. Una nuova e del tutto inattesa specie troglobia del genere Harpactea, che viene descritta nella presente nota, è stata rinvenuta, in un unico esemplare di sesso femminile, nel corso di una recentissima visita ad una piccola grotta nella parte occidentale di Creta.

Materiali e metodi

Gli esemplari considerati in questa sede, uccisi e conservati in etanolo 75%, sono stati esaminati con uno stereomicroscopio Wild Heerbrugg M5 (6-50/100 ingrandimenti). Per l’assunzione delle misure è stato impiegato un reticolo micrometrico (tarato con un mi- crometro campione) inserito nell’oculare; le fotografie che corredano la descrizione sono state prese mediante una fotocamera Nikon Coolpix 4500, montata sul medesimo microscopio. Le vulve sono state rimosse dall’addome, assieme a un frammento di cute, con un taglio di poco esterno agli stigmi respiratori, pulite (per quanto possibile) meccanicamente e quindi esaminate e fotografate, previo allestimento di preparati temporanei su vetrino ed immersione degli organi in liquido schiarente (clorallattofenolo). Nella descrizione che segue vengono utilizzate le seguenti abbreviazioni: MA, MP, LP - occhi mediani anteriori, mediani posteriori, laterali posteriori; Fe, Pt, Tb, Mt, Ta - femore, patella, tibia, metatarso, tarso; d, pd, pl, rd, rl, pv, rv, v - dorsale, prodorsale, prolaterale, retro- dorsale, retrolaterale, proventrale, retroventrale, ventrale; TmI/IV - posizione del tricobotrio del metatarso del I/IV paio di zampe.

Harpactea persephone n. sp. (figg. 1-9)

Materiale tipico. Grecia, Creta, nomos Chania: a holotypus, Spilaio tou Kourna, n. 1094 del catasto speleologico greco, 24°17'08.8"E 35°19'15.0"N (WGS84), m 160, presso Kournas (comune di Georgioupoli), 8.9.2010, F. Gasparo leg. (coll. Museo Civico di Storia Naturale di Trieste).

Altro materiale esaminato. Resti di 2 esemplari non adulti, stessi dati dell’holotypus (coll. Gasparo, Trieste).

Derivatio nominis. Da Persefone, figura della mitologia greca, moglie diA de e regina degli inferi; epiteto usato come apposizione.

Diagnosi. Specie di grande taglia e di aspetto troglomorfo, con occhi vestigiali, piccoli e com- pletamente depigmentati, agevolmente distinguibile da tutte le specie congeneri per la spinula- zione straordinariamente abbondante delle zampe, che interessa tutti i segmenti, con eccezione

58 delle coxe e delle patelle anteriori e di tutti i tarsi, ed in particolare per il numero elevato (circa 10) di spine presenti sulle tibie ed i metatarsi del primo e secondo paio di zampe.

Descrizione. (a, b ignoto). Prosoma (fig. 1) di colore giallo-arancio, più scuro anteriormen- te ed ai bordi della regione toracica, allungato (rapporto lunghezza/larghezza pari a 1,38), finemente reticolato, appena rugoso presso gli occhi; regione cefalica con margine anteriore regolarmente curvato e bordi laterali leggermente convessi e debolmente convergenti in avanti; occhi (fig. 3) molto piccoli e depigmentati:MA uguali agli MP e di poco più grandi degli LP, MA separati fra di loro di una distanza pari a 5 volte il loro diametro, LP separati dagli MA di una distanza pari a 2,5 volte il diametro degli MA, LP separati dagli MP di una distanza pari a 4 volte il diametro degli MP, MP adiacenti; clipeo convesso, obliquo; regione toracica a contorno poligonale con bordo posteriore diritto, strie longitudinale e radiali sottili, di colore appena più scuro dei tegumenti circostanti, due aree molto debolmente incavate sono inoltre presenti fra il centro e gli angoli posteriori; pubescenza data da setoline molto rade dirette anteriormente (lateralmente presso gli angoli posteriori), più dense presso il bordo posteriore e nella regione cefalica, dove sono presenti alcune setole acuminate più lunghe. Cheliceri (figg. 4-5) di colore bruno arancio, forti, poco proiettati in avanti, se visti di lato bombati alla base e poi debolmente concavi; faccia anteriore leggermente rugosa e disseminata di setole acuminate, più lunghe e più fitte in posizione prodorsale, disposte secondo file longitudinali irregolari; faccia retrolaterale diritta e liscia nella metà prossimale, poi molto debolmente convessa e leggermente rugosa; faccia posteriore liscia con una doppia fila di setole proven- trali che raggiungono la base dell’artiglio ed alcune lunghe setole in posizione retrolaterale distale; incavo distale ornato da una frangia di peli ed armato di due denti anteriori prossimali adiacenti (il prossimale unito alla carena mediale e leggermente più piccolo del distale) e da due denti posteriori, di cui il prossimale, piccolo, situato all’altezza dell’interspazio fra i denti anteriori ed il distale, nettamente più grande, in posizione intermedia fra il dente anteriore distale ed il margine distale dell’incavo; artiglio corto e robusto. Sterno (fig. 2) giallo-arancio bordato di scuro, subellittico, più stretto posteriormente, reticolato (quasi liscio presso il mar- gine anteriore e debolmente vermicolato nelle depressioni intercoxali), villoso per la presenza di parecchie setole lunghe ed erette, più dense presso i bordi nella metà posteriore, margine anteriore tripartito, con settore labiale più largo di quelli maxillari. Labium (fig. 4) subrettan- golare, due volte più lungo che largo, con larghezza massima nel quarto prossimale, ed apice non sclerificato e debolmente incavato, occupato nella parte centrale da una fila di sei setoline; maxillae superanti il labium di metà della sua lunghezza, con il bordo esterno debolmente concavo nella parte centrale e quindi convesso ed il margine distale fortemente obliquo, non sclerificato e occupato da numerosissime setoline più lunghe ed arcuate distalmente presso l’apice. Zampe di colore giallo-arancio, le anteriori più scure, soprattutto in corrispondenza delle coxe e della base dei femori; pubescenza rada e corta; posizione Tm I 0,88, Tm IV 0,84; spinulazione molto abbondante, per la presenza di circa 416 spine distribuite su tutti i segmenti, con eccezione delle coxe e delle patelle del primo e secondo paio di zampe e tutti i tarsi (per il numero e la posizione delle spine sui diversi segmenti si veda la tab. 1). Palpo di colore giallo-arancio scuro; femore con numerose lunghe setole erette ed acuminate sulla faccia ventrale; patella, tibia e tarso con pubescenza più fitta sulla faccia prolaterale, dove sono presenti alcune setole spiniformi, dirette verso l’interno e in avanti. Addome ovale, biancastro, disseminato di peli bruni, arcuati e acuminati, coricati all’indietro, più densi posteriormente e più radi nella zona epigastrica, dove si riscontrano due piccole aree debolmente sclerificate di forma triangolare allungata, situate presso gli stigmi respiratori posteriori (fig. 6). Vulva (figg. 7-9) con diverticolo anteriore massiccio, fortemente sclerificato, la cui parte prossimale è conformata a cupola, molto svasata posteriormente, mentre la parte distale è costituita da una lamina subrettangolare, con margini laterali convessi e ispessiti e margine anteriore sottile e

59 d pd pl rd rl pv rv v totale Cx III – – – 1 – – – – 1 Cx IV – – – 1-3 – – – – 1-3 Fe I 4 – 9 5-7 – – – – 18-20 Fe II 4-5 5 2 1 – 1 – – 13-14 Fe III 5 5-6 2 5 2 1 – – 20-21 Fe IV 8-10 5-6 1 8 – 4-5 4-6 – 33-34 Pt III – 1 – – – – – – 1 Pt IV – 1 – – – – – – 1 Tb I – – – – – 4 4-5 – 8-9 Tb II – 1-2 – – – 4 4-5 – 10 Tb III – 3-5 3-4 3 – 2-3 2-4 – 16-17 Tb IV – 4-5 – 4 3 4-5 5 4 24-26 Mt I – – – – – 6 4-5 – 10-11 Mt II – – – – – 6 4 – 10 Mt III – 4 1-2 4 – 4 4 – 17-18 Mt IV – 5 – 4-5 – 5 4 – 18-19

Tab. 1 – Harpactea persephone n. sp.: numero e disposizione delle spine sulle zampe della a holotypus (Cx I-II, Pt I-II e Ta I-IV inermi). Il numero delle spine riportato nell’ultima colonna corrisponde al totale dei singoli segmenti e, nei casi di spinulazione asimmetrica, può pertanto differire dalla somma dei valori minimi e massimi riscontrati nelle diverse posizioni. diritto, sul quale si innesta una spermateca rotondeggiante sormontata da una cresta di altezza pari a circa una volta e mezza l’altezza della spermateca stessa; diverticolo posteriore dato da una barra trasversale sclerificata, regolarmente arcuata, con concavità anteriore, dalla quale si diparte un sacco membranoso di forma allungata.

Misure della a holotypus (in mm). Lunghezza totale 8,75, prosoma lungo 4,20 e largo 3,05, larghezza testa 1,90, larghezza regione oculare 0,50, altezza clipeo 0,21, chelicero 1,80, artiglio 0,93 circa (entrambi gli artigli presentano l’apice scheggiato), zampe e palpo (lato dorsale):

Fe Pt Tb Mt Ta totale I 4,40 2,53 3,90 3,78 0,83 15,44 II 4,14 2,37 3,70 3,67 0,80 14,68 III 3,42 1,58 2,80 3,54 0,73 12,07 IV 4,70 1,97 4,14 5,10 0,93 16,84 palpo 1,80 1,01 1,13 – 1,40 5,34

Distribuzione. Conosciuta solamente della località tipica.

60 Osservazioni sistematiche

In base ai caratteri di morfologia generale, ed in particolare per la spinulazione delle coxe e delle patelle delle zampe posteriori, Harpactea persephone n. sp. appartiene al gruppo rubi- cunda di Deeleman-Reinhold (1993), diffuso soprattutto nel Mediterraneo orientale. L’esame degli organi genitali femminili evidenzia chiare affinità tra la nuova specie e H. catholica (Brignoli, 1984), descritta su esemplari della grotta di Katholiko (Spilaio Katholikou o Spilaio Agiou Ioanni) (Brignoli, 1984) e successivamente raccolta in altre stazioni cavernicole ed epigee del settore occidentale di Creta (Chatzaki & Arnedo, 2006; Deeleman-Reinhold, 1993). Le vulve (figg. 9-10) esibiscono infatti la medesima struttura del diverticolo posteriore, dato da una barra trasversale fortemente arcuata, dal centro della quale si diparte un ampio sacco membranoso; lo stesso discorso vale per il diverticolo anteriore, ove le uniche differenze significative si riscontrano nelle dimensioni della parte distale, sulla quale si innesta la sper- mateca. Le due specie sono accomunate anche da una particolare spinulazione delle zampe, in quanto pre- sentano entrambe spine sulle tibie ed i metatarsi anteriori(), carattere inusuale nel genere Harpactea.

Nota biospeleologica

La grotta di Kournas si apre in località Keratides, lungo un versante collinare con vegeta- zione bassa e rada, non lontano dalla rotabile che collega il villaggio di Kournas con il lago omonimo. Scoperta casualmente all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso, la cavità è stata descritta da Platakis (1961), che ne ha fornito pure una planimetria piuttosto schematica. Si tratta di una successione di caverne abbondantemente concrezionate, a cui si accede scendendo un paio di salti di pochi metri, attrezzati con rozze scale di legno; l’ingresso, il cui

() Deeleman-Reinhold (1993) riporta per il suo materiale di H. catholica, raccolto in gran parte in grotte, 0-1 spine ventrali sulle tibie I-II e 1-3 spine ventrali sui metatarsi I-II. Chatzaki & Arnedo (2006), che hanno esaminato esclusivamente materiale epigeo della stessa specie, indicano 0 spine per la tibia I, 0-1 spine ventrali per la tibia II, 1 spina ventrale per il metatarso I e 1-2 spine ventrali per il metatarso II. Gli esemplari cavernicoli della mia collezione (3 aa della grotta di Katholiko e 1 a dell’Ellinospilios, nella penisola di Rodopi) presentano 0-1 (raramente 2) spine ventrali sulla tibia I, 0-2 spine ventrali sulla tibia II, 1-2 (in un caso fino a 4) spine ventrali sul metatarsoI e 2-3 (raramente 1-4) spine ventrali sul metatarso II; la spinulazione è dunque molto variabile, anche se tutti gli individui portano almeno 1 spina su una delle tibie anteriori e almeno 1 spina su entrambi i metatarsi anteriori. Vale la pena di segnalare che una terza Harpactea cavernicola — tuttora inedita, in quanto ne sono stati raccolti solo esemplari non adulti — della grotta di Zoodochos Pigi (Spilaio Zoodochou Pigis) a Santorini è pure caratterizzata da un’abbondante spinulazione delle zampe anteriori, con 4 spine ventrali sulla tibia I, 3 spine ventrali sulla tibia II, 0 spine sul metatarso I e 1-2 spine ventrali sul metatarso II. Anche questa specie presenta grandi dimensioni ed una depigmentazione oculare, con microftalmia meno accentuata che in H. persephone n. sp. (i dati sopra riportati sono riferiti ad una a subadulta, il cui prosoma misura mm 4,10x3,05, con una distanza fra gli occhi mediani anteriori pari al loro diametro). Deeleman-Reinhold (1993) ritiene che la presenza di spine ai metatarsi anteriori sia interpretabile come un adattamento alla vita in ambiente ipogeo. Va tuttavia ricordato che una simile spinulazione non si rileva nelle altre due specie troglobie del genere Harpactea, entrambe anoftalme, conosciute del Peloponneso (H. strinatii Brignoli, 1979) e del Portogallo meridionale (H. stalitoides Ribera, 1993), mentre il carattere si riscontra in H. loebli Brignoli, 1974, specie epigea delle Isole Ionie, che, secondo la descrizione originale, porta 2 spine prolaterali sulla tibia II (Brignoli, 1974).

61 perimetro è delimitato da un cordolo di cemento, è chiuso con una botola metallica. La lun- ghezza complessiva dei vani ipogei percorribili è di poco superiore ai 50 metri. Nonostante le piccole dimensioni, la cavità presenta caratteristiche ambientali (umidità elevata e condizioni di stabilità termica) molto favorevoli per l’insediamento della fauna caver- nicola e rappresenta una delle principali stazioni biospeleologiche dell’isola di Creta, località tipica degli isopodi Graeconiscus kournasensis Schmalfuss, Paragamian et Sfenthourakis, 2004, Trachelipus cavaticus Schmalfuss, Paragamian et Sfenthourakis, 2004, e Platano- sphaera kournasensis Schmalfuss, Paragamian et Sfenthourakis, 2004, dello pseudoscorpione Chthonius (Chthonius) minotaurus Henderickx, 1997 e del ragno Nesticus henderickxi Bos- selaers, 1998, quasi tutti noti esclusivamente di questa stazione. Le ricerche condotte dallo scrivente nella grotta di Kournas negli anni 2008 e 2010 hanno portato inoltre alla scoperta di un’ulteriore nuova specie di ragni, di prossima descrizione, appartenente al genere Tegenaria Latreille, 1804.

Ringraziamenti

Sono riconoscente al signor Ilias Kaniadakis, proprietario del fondo in cui si apre la grotta di Kournas, per il permesso di accedere alla cavità e di effettuarvi le ricerche faunistiche.

Bibliografia

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62 Figg. 1-5 – Harpactea persephone n. sp., a holotypus. 1: prosoma, visione dorsale; 2: idem, visione ventrale; 3: regione cefalica e occhi, visione dorsale (un po’ anteriore); 4: bordo anteriore dello sterno e pezzi boccali, visione ventrale, 5: chelicero sinistro, visione prolaterale-ventrale. Scala mm 1,0 (1-2), mm 0,5 (3-5).

63 Figg. 6-8 – Harpactea persephone n. sp., a holotypus. 6: zona epigastrica, visione ventrale; 7: vulva e stigmi respiratori, visione ventrale; 8: idem, visione dorsale. Scala mm 0,3.

64 Figg. 9-10 – Harpactea spp., vulva, visione dorsale. 9: H. persephone n. sp., a holotypus; 10: H. catholica (Brignoli, 1984), a topotypus (3.5.2001, leg. F. Gasparo). Scala mm 0,1.

65 Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 67-84 Trieste 2011

TREVOR SHAW(*) – ALENKA CˇUK(**)

IMAGES OF POSTOJNSKA JAMA (SLOVENIA) BEFORE 1914

SUMMARY

Images not only illustrate a written text : they can provide information not available elsewhere. The dates of such data, however, are uncertain as earlier pictures may be reproduced much later without comment. Beduzzi’s drawing of 1748 seems to be the earliest picture of Postojnska jama, Valvasor’s of 1689 being of Črna jama. Schaffenrath’s 1821 watercolours were the bases of lithographs in 1824 and en- gravings in 1830-32. Simple copies in cheap magazines provided publicity in 1837 and other artists worked in later decades. The fi rst photograph of the entrance was made in 1855 and in 1867 the fi rst underground photographs by Mariot appeared. Because such photography was diffi cult, demand was met by photographing paintings, including those by G. Rieger. From the 1890s photography in the cave became dominant.

RIASSUNTO

LE IMMAGINI DELLA GROTTA DI POSTUMIA (SLOVENIA) ANTECEDENTI AL 1914

È riconosciuto che le immagini non si limitano ad illustrare le località descritte da storici e scrittori, ma possono talvolta contenere preziose informazioni, non disponibili invece nella documentazione scritta fornendo indizi anche a distanza di molti anni. Nel passato in caso delle grotte, ed in questo caso specifi co le Grotte di Postumia, la realizzazione delle immagini sotterranee ha sempre rappresentato un problema. Per disegni e dipinti, nell’epoca che precedette la illuminazione elettrica, le diffi coltà maggiori erano costituite dal costruire la visione d’insieme di un ambiente e dal mettere in evidenza i dettagli. Con la nascita della fotografi a questo problema divenne sempre più risolvibile. Gli autori qui ci raccontano quella che è stata l’evoluzione nella rappresentazione delle immagini di grotta, siano esse dipinti, disegni, incisioni, illustrazioni per libri o fotografi e. Partendo dal disegno di Beduzzi (1748), che sembra essere la prima immagine disponibile delle Grotte di Postumia, gli autori citano le opere di Schaffenrath e di tutti gli artisti che si sono succeduti dal 1821 in poi non dimenticando il triestino Giuseppe Rieger, che intorno al 1860 produsse numerosi dipinti delle Grotte.

(*) Trevor Shaw, Karst Research Institute, Titov trg 2, SI-6230 Postojna (Slovenia) (**) Alenka Cˇ uk, Notranjski muzej, Ljubljanska cesta 10, SI-6230 Postojna (Slovenia)

67 Sono ben documentate le prime fotografi e, ad opera di Emil Mariot (1867) e Josef Martini (1873). L’articolo si conclude con una panoramica sull’attività degli artisti e dei fotografi che operarono sulle Grotte di Postumia fi no allo scoppio della prima guerra mondiale. Attraverso le immagini appare evidente come, nel tempo, l’illuminazione, gli atteggiamenti e gli ab- bigliamenti di guide e visitatori cambiano. Allo stesso modo cambiano gli utilizzi delle immagini stesse che da curiosità diventano materiale commerciale e di studio. Questo breve ma interessante articolo è solo il frammento di una più complessa ricerca, attualmente in corso da parte degli autori, riguardante le immagini di tutte le grotte slovene, seguendo un percorso cronologico. Questa ricerca uscirà in un libro presumibilmente nel 2013 e molti dati sono tuttora in fase di acquisizione.

POVZETEK

UPODOBITVE POSTOJNSKE JAME (SLOVENIJA) IZPRED LETA 1914

Najrazličnejše upodobitve — slike, risbe, gravure, knijžne ilustracje, razglednice ali fotografi je jam — vsebine o katerih pišejo različni strokovnjaki ne le dodatno ilustrirajo, z njihovo pomočjo lahko ra- ziskovalec pridobi tudi informacije, podatke, ki jih v pisnih virih ne bo našel. Če je pozoren opazovalec, lahko danes obiskovalec jame brez težav zazna tiste vsebine, ki ustvarjajo Postojnsko jamo edintsveno in posebno. Večino teh elementov najdemo tudi na starih upodobitvah jame. Vedno nove tehnike so omogočale različne načine predstavljanja in reproduciranja jamskih prizorov. Z njihovo pomočjo so kot posledica razvoja ostale dokumentirane tudi spremembe v jami. Poleg same turistične poti in tehničnih pridobitev — npr. osvetlijevanja jame, uvedbe železnice ali jamske pošte, lahko s pomočjo teh upodobitev sledimo spremembam oblačilne kulture, npr. uniform vodnikov in obiskovalcev. Upodobitve izpričujejo tudi velike spremembe, ki jih je v nekaj stoletjih doživel vhod v jamo. Najstarejša do sedaj znana upodivitev Postojnske jame je Beduzzijeva upodobitev Velikega doma iz leta 1748, medtem ko je Valvasorjeva risba Črne jame (1689) še starejša. Shaffenratovi akvarelj (1821) so služili kot osnova poznejšim litografi jam (1824) in gravuram (1830-1832). Preprostejše kopije v dostopnejših časopisih so zagotavlijale širšo publiciteto že od leta 1837 dalje, prav tako tudi dela številnih drugih avtorjev, ki so nastala v naslednjih desetletjih. Prva fotografi ja jamskega vhoda je iz leta 1855, leta 1867 pa je E. Mariot prvi uspešno fotografi ral notranjost jame. Od zadnjega desetletja 19. stoletja med upodobitvami prevladajo tiste, ki so nastale s pomočjo fotografskega aparata.

Introduction

Pictures not only illustrate the places that historians write about, they can also provide information not available from the written record. The peculiar environment of caves causes special problems in the making of pictures underground. For photographs it is clear that light is essential for the very process itself. For drawings and paintings too, before the days of electric illumination, it was diffi cult for the artist to see what it was he was representing as a whole – the overall view as well as the detail. Until the introduction of burning magnesium wire in 1864 (Howes, 1989) only large numbers of fl aming torches or even larger numbers of candles would make this possible. Even magnesium lighting was short-lived – long enough to plan a picture but not to make it. The smoke produced would soon obscure the very scene itself. The purpose of this paper is to trace the development of such pictures, whether they be paintings, drawings, individual engravings, book illustrations or photographs. New techniques made possible different ways of representing and reproducing cave scenes, and styles also changed with time.

68 Arrangement here is broadly chronological, a natural way not only of presenting chang- ing methods but also of showing any alterations in the cave itself. Physically the cave cannot change much, except by damage, but lighting, the dresses of guides and visitors, and especially the cave entrance and its approach do alter markedly over the centuries. This short study is part of on-going research into images of all Slovene caves before the “modern” period of the last 90 years or so. We intend to publish this as a book in 2013 and data is still being acquired. As space here is limited and pictures occupy a lot of space, those readily accessible elsewhere are usually omitted in favour of others that are less well known. Similarly the railway of 1872 and the underground post offi ce of 1899 have been the subject of special studies (Cˇuk, 2003; Shaw & Cˇuk, 2010) and so are not pictured here. A warning is necessary concerning the dates of information derived from images. As will be seen, some pictures of the 1870s were based upon originals of the 1820s, and others of the 1900s are reproductions of 1860s paintings. There may be other cases where earlier origins have not yet been detected.

Before 1818

Before the great (7 km) extensions of 1818 were discovered, the main cave of Postojna was quite small and of no great attraction. The great chamber with the river Pivka fl owing through it was impressive though and the cave was easily accessible, being only 1 km from the town of Postojna. The drawing by Carlo Beduzzi in 1748 of the great chamber (Fig. 1), made in the course of Nagel’s investigation for the Emperor, is probably the earliest picture of the cave. The then more attractive but more distant cave of Cˇrna jama, linked with the main cave only by the

Fig. 1 – Beduzzi’s drawing of Veliki dom (Nagel, 1748, f[43]).

69 underground river until the 1924 connecting tunnel was made, was the subject of a drawing by Valvasor published in 1689, although this is commonly mis-stated to be of Postojnska jama (Shaw, 2010). Beduzzi himself in 1748 also drew the large stalagmites there (Nagel, 1748), and Gruber (1781) published four pictures of Cˇrna jama as well as two of the main Postojna cave.

Schaffenrath in 1821

The civil engineer Alois Schaffenrath, who was later to become the engineer in charge of the cave development, made at least six watercolour paintings (now in Narodni muzej Slovenije, ) of the newly extended cave. Done in 1821, they formed the bases of nine lithographs which are signifi cantly different (Schaffenrath, 1824) and then of 17 copper engravings (Hohenwart, 1830, 1832). Some of the lithographs (Fig. 2) give a clear view of the oil lamps carried by guides and visitors, as well of their dress. His 1821 picture of the approach to the entrance (Fig. 3) is the earliest to show any detail. There are no buildings there and the line of trees must already have existed before 1818. Schaffenrath’s now classic pictures were the unacknowledged bases of many later illus- trations. As early as 1833 and 1835 Eduard Gurk produced two such watercolours, now in Wien, and many others followed, even as late as the 1870s. More important from the publicity point of view were simple engravings published in popular magazines of wide distribution.

Fig. 2 – Part of Tartarus in a lithograph by Schaffenrath [1824].

70 Fig. 3 – Schaffenrath’s picture showing the cave entrance an the top of a sloping avenue of trees (Hohenwart, 1830, 1, tav. [III]. The Pivka river sinks below it.

The Italian Cosmorama Pitto- rico (Anon., 1836, p. [257]) pub- lished a coarse woodcut based on Schaffenrath’s 1830 view of Kongresna dvorana (Sala di Bal- lo); and in 1837 both the English Penny Magazine (Anon., 1837a) and the German Heller-Magazin (Anon., 1837b) had similar pic- tures of the approach to the cave entrance. These are interesting for the fact that a small build- ing stands close to the entrance (Fig. 4) although there is none in later views, nor in Schaffen- rath’s picure. The line of trees may be taken from Schaffen- rath, though one wonders if they might include those recorded in the cave archives (Tschetsch, 1834) as being planted there by Luka Cˇeč, the discoverer of the Fig. 4 – Here a building is shown by the cave entrance (Anon., 1818 extensions. 1837b).

71 Artists of 1840s – 1860s

In May 1843 the distinguished American artist M.K. Kellogg made six drawings of the cave, one of which showed the approach without any building at the entrance. Then one of the fi ve lithographs (Fig. 5) drawn in the 1850s by the geography professor and cave explorer Adolf Schmidl (1854) again shows nothing by the entrance, though the trees do appear to have grown bigger. The bareness of the rest of the hillside is evident in all these pictures. Photographic evidence is more reliable than an artist’s representation which my be in part an interpretation or memory of what he saw. The earliest known photograph close to the cave entrance (Fig. 6) was made in October 1855 by Johann Bosch (1856) but as the view is restricted to the immediate vicinity of the river disappearing it cannot show whether or not there were any buildings. Travellers’ accounts, however, make no mention of any for many years to come. Strangely, though, a drawing made in August of the same year (Fig. 7) does show three structures not far from the cave, two of them quite substantial. Thomas Hall (1856), the art- ist, was a respected engineer whose report contains accurate facts about Austrian mines and railways. It seems at fi rst, therefore, to be evidence of the very fi rst buildings on the site. But no : the picture is an unacknowledged copy of the engraving (Hohenwart, 1830, 1832) of one of Schaffenrath’s pictures. This shows three buildings, vestiges of which can still be found, not close to the entrance but high above the road immediately north of the present Hotel Jama. These are marked on the manuscript plan by Fercher (1834) as “Florianeum”, the purpose of which is unknown. It is an early example of a misleading picture. No other entrance pictures have been traced until the 1870s.

Fig. 5 – Schmidl’s (1854) view of the cave approach.

72 Fig. 6 – A photograph taken in October 1855 by Bosch (1856) showing where the Pivka fl ows under the bridge and into the cave.

Fig. 7 – This drawing, made in 1855 by Hall (1856, tav. V), is based on Schaffenrath’s, reproduced here as fi g. 3.

73 Fig. 8 – This lithograph of Kalvarija (Adelsberger grotte, n.d.) is from a 1883 painting by Carl Hasch.

Fig. 9 – The Mummies, painted in 1872 by Giuseppe Rieger (Snyder collection in USA).

74 In contrast to all these successive entrance views, there are several engravings of the cave interior, in addition to those by Schaffenrath and Schmidl. One of these (Fig. 8), from a painting by Carl Hasch of Wien, was made some time between 1860 and 1883 (Adelsberger Grotte, n.d.). More important though, were the many paintings made by Giuseppe Rieger of Trieste. A set of 12 watercolours, now in Trieste, was the source of 12 lithographs issued as a booklet (Rieger, [1860]). He made many oil paintings also, including extra copies for sale, so several versions are known to exist. A typical one is reproduced as Fig. 9. As will be seen, many of his paintings were photographed and sold in that form.

The Earliest Photographs

Most important were the original photographs made in the cave in 1867 by Emil Mariot (1825-1891), a professional photographer from Graz. Not only were these the fi rst to be taken inside Postojnska jama, but only twice before (in 1865 and 1866) had any photographs been made underground in a cave. Mariot’s achievement was recognized by the Emperor who made him a Knight of the Order of Franz Joseph (Anon., 1891). Although text books and some obituaries state that these Postojna photographs were taken in 1868, the fi rst fi ve at least (Fig. 10) were made in the previous year, for the cave archives contain these fi ve prints together with Mariot’s letter of 24 May 1867 which accompanied them. Six other Postojnska jama photographs by him are known, as well as eight others prob- ably by him but without posi- tive identifi cation. These were made between 1868 and 1873. Interestingly, one of these (Fig. 11) was not taken in the cave at all but is a photograph of an earlier image. It had been published in 1832 as one of Schaffenrath’s engravings (Fig. 12). When Mariot copied this he modifi ed the negative by deleting the too prominent lights and also the people in the picture. Four years later, in 1873, the Czech engraver Jan Fig. 10 – One of the fi rst fi ve photographs made in the cave. The Lego then further modifi ed photographer, Mariot, sent this print to the cave management on this Mariot version and pub- 24 May 1867 (archives of Postojnska jama). lished it (Anon., 1873) as one of a series of small engravings (Fig. 13). It was this Lego version that was reproduced in the same year in a mineralogy book by Pokorny (1873) and also in one of the earliest “leporelli”, mass-produced folders of small pictures in the 1870s that were predecessors of picture postcards (Anon., [1873?]). Other, later, leporelli reproduced the Mariot version itself. So, we see that a picture of 1832 was still being published, in two different versions, more than 40 years later. The fact the Rieger paintings were afterwards sold as photographs has been mentioned. These were made by A. Scrinzi, who worked in Trieste from 1865 to 1873. Several such images have been positively identifi ed as being copies of Rieger paintings, while many others are in his style and so probably by him also.

75 Fig. 11 – A Mariot photograph of Schaffenrath’s engraving of Kalvarija, retouched to remove the lights and the people (Notranjski muzej).

Fig. 12 – The Schaffenrath engraving that Mariot used (Hohenwart, 1832, 3, tav [III].

76 None of the known Scrinzi cave photographs seen were taken underground but were all copies of paintings. At this stage, and into the 1870s, it seems that photographs had to suffi ce. Whether there was any commercial agreement between artist and photogra- pher is not known, although on such Scrinzi photograph is known with “RIEGER & G.” Printed on the back of the mount, suggesting that there was. Fig. 13 – Lego’s engraving, based on Mariot’s photograph (Anon., 1873).

1870s – 1880s

Between 1870 and 1880 many engravings by minor artists were used as illustrations, some of them derived from earlier images. Lego’s use in 1873 of a Mariot photograph has been mentioned already and D.A. Lancelot made an engraving in 1879 (Anon. 1879) from Scrinzi’s photograph of a painting by Rieger. The second photographer who was important for his pictures of the cave was Josef Martini (1837-1895) of Celje. He was given permission to work there in 1873, apparently the fi rst to be so authorized after Mariot in 1867, and his correspondence in the cave archives between 1873 and 1892 shows that he continued to operate there for a long period. Some 22 of his cave photographs are known to have been made and there are probably more. Some of the pictures, with human fi g- ures in, are evidently copies of paintings. Others are so heavily retouched that they look rather similar. Thirteen of these were afterward en- graved and used to illustrate his cave guide book of 1892. One of Martini’s undoubted photographs (Fig. 14), not dated but used about 1876 in Fig. 14 – The entrance in the 1870s. A photograph by Martini a leporello, shows the state of (Notranjski muzej). the entrance at that time. It is the fi rst such image known since the present large entrance was created. There are still no buildings of any sort, which is consistent with contemporary travellers having to arrange their visits in the town.

77 1890s

It was during the 1890s that photographs began to dominate views of the cave. At fi rst, many of these were reproduced for publication as engravings before half-tones became normal. By the end of the century photographic images were being used in large quantities on postcards as well as in magazine articles and books. Of all the photographers who worked in Postojnska jama the most prolifi c and hence the most infl uential was Max Šeber (1862-1944) of Postojna. He was himself a cave explorer, a member of the cave society Anthron and the publisher and printer of many of the guidebooks. He worked with both Kraus and Martel and his pictures appeared in their books as well as on a very large number of postcards. The earliest evidence of his underground photographs was in 1881 when “a well-dressed young man ... had for sale photographs of the principal hidden marvels” of the cave (Pancini, 1881).

1900s

The Ljubljana photographer Ivan Kotar (1865-1903) produced underground pictures for postcards, and the better-known Czech, František Krátký (1851-1924) made several stereo views of the cave. It is a Kotar photograph of 1903 (Fig. 15) that has the same wooden barrier across the entrance as in Martini’s picture, and next to it are two portable tables covered with what are probably for sale, just as they already were in 1881. By 1907 a Šeber photograph showing the same tables has also a wooden hut selling postcards (Fig. 16), (Anon., [1907], the earliest pictorial evidence of any sort of structure there, although the presence of the visitors’ book at the cave in 1897 (Edwardes, 1897) suggests that there must already have been something there by then.

Fig. 15 – The entrance in 1903. A photograph by J. Kotar (Notranjski muzej).

78 Fig. 16 – The entrance between 1903 and 1907. A photograph by M. Šeber (Anon., 1907).

Avgust Berthold (1880-1919) of Ljubljana made at least six photographs inside the cave in 1905, but is probably more important as the friend who inspired and helped the Slovene impressionist painter, , to produce the very large (2.17 m x 1.57 m) oil painting of 1906 which now hangs in Narodni muzej Slovenije in Ljubljana. An anonymous oil painting of the same period (Fig. 17) is in the Inštitut za raziskovanje krasa at Postojna, and photographs of four others, now lost, are in the Notranjski muzej there. 1909 was a year in which at least two photographers were active in the cave. Best known is Rudolf Bruner-Dvořak (1864-1921) of Praha who made 194 images of Slovene caves, 185 of them in Postojnska jama (Cˇuk & Uršicˇ, 2009). He is known to have been working there in August 1909 and he signed the visitors’ book on 22 October so his stay may have been quite long. His pictures illustrated a book (Perko, 1910) and appeared also as a long series of po- stcards. A major exhibition of his cave work was held in 2009. On 18 July 1909 Anton Schmidt, photographer and city architect of Wien, was one of four who signed in the visitors’ book “on the occasion of taking photographs of the cave”. Some prints in the Nationalbibliothek in Wien are catalogued as by “Otto Schmitt”, on what evidence is not known. Otto Schmidt (b. 1849) was indeed a photographer (Auer et al, 1983) but internal evidence indicates a date between 1906 and 1909 for these photographs so it is almost certain that they are in fact by Anton Schmidt. The outbreak of war in 1914 caused activity in the cave to cease, and it has the same effect on this paper.

79 Fig. 17 – Mala Kalvarija in Male jame. An oil painting of about 1900 by an unidentifi ed artist (Karst Research Institute).

80 REFERENCES

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Shaw T. R., & Cˇuk A., 2010 – The underground post offi ces in Postojnska jama, 1899-1945. Pp. 81-96 in Shaw T.R., 2010 – Aspects of the history of Slovene karst 1545-2008. Ljubljana, Založba ZRC, 306 pp.

Tschetsch L., 1834 – [receipt dated] 28. Marz, archives of Postojnska jama.

* * *

ESTRATTO DALLA LIBERA TRADUZIONE DEL TESTO DI “IMAGES OF POSTOJNSKA JAMA (SLOVENIA) BEFORE 1914” (A cura di Enrico Merlak, Commissione Grotte E. Boegan di Trieste)

È riconosciuto che le immagini non si limitano ad illustrare le località descritte da storici e scrittori, ma possono talvolta contenere preziose informazioni, non disponibili nella stessa documentazione scritta. Nel caso peculiare delle grotte, nel passato la realizzazione delle immagini sotterranee ha sempre rappresentato un problema. Come per le fotografi e, anche per disegni e dipinti, nell’epoca che precedette la illumina- zione elettrica, le diffi coltà maggiori erano rappresentate dal costruire la visione d’insieme di un ambiente e dal mettere in evidenza i dettagli. Prima dell’introduzione del fi lo incandescente al magnesio (Hoves C., 1989) l’illumina- zione completa di un ambiente avrebbe richiesto (e richiedeva) una grande quantità di candele e fi accole. La stessa illuminazione al magnesio durava tempi brevissimi: consentiva forse la pianifi cazione dell’immagine ma non era utile per la sua realizzazione completa. Il fumo prodotto, poi, peggiorava le cose. Gli autori Trevor Shaw e Alenka Čuk qui ci raccontano quella che è stata l’evoluzione nella rappresentazione delle immagini di grotta, siano esse dipinti, disegni, incisioni, illustrazioni per libri o fotografi e. Attraverso le immagini appare evidente come, nel tempo, l’illuminazione, gli atteggiamenti e gli abbigliamenti di guide e visitatori cambiano. Questo breve ma interessante studio costituisce parte di una più complessa ricerca, at- tualmente in corso da parte degli autori, riguardante le immagini di tutte le grotte slovene,

82 seguendo un percorso cronologico. Questa ricerca uscirà in un libro presumibilmente nel 2013 e molti dati sono tuttora in fase di acquisizione. La descrizione specifi ca inizia con il disegno di Carlo Beduzzi del 1748, disegno che probabilmente è la prima immagine in assoluto delle Grotte di Postumia. Già in precedenza il Valvasor, nel 1689, aveva illustrato la non distante Grotta Nera. Gli acquerelli di Schaffenrath del 1821 costituirono le basi per alcune litografi e del 1824 e per le incisioni del 1830-1832. Semplici copie di illustrazioni precedenti furono prodotte a scopi pubblicitari nel 1837 ed altri artisti lavorarono sulle grotte negli anni successivi. La prima fotografi a documentata dell’ingresso delle grotte risale al 1856 e sono del 1867 le prime fotografi e sotterranee ad opera del Mariot. Poiché, all’epoca, la fotografi a sotterranea costituiva un problema tecnico, spesso alcuni fotografi si limitavano a riprendere i dipinti esistenti Si deve attendere il 1890 perché la fotografi a sotterranea diventi la tecnica predominante.

Le illustrazioni anteriori al 1818

Prima della scoperta delle grandi sale sotterranee, le Grotte di Postumia erano poco co- nosciute e non costituivano una particolare attrazione. Oltre all’opera del Beduzzi sono qui ricordati Nagel (1748) e Gruber (1781).

L’opera di Schaffenrath (1821)

Alois Schaffenrath, ingegnere civile che operò anche nei lavori di allargamento delle grotte, produsse nel 1821 almeno sei dipinti con colori ad acqua, ora depositati nel Narodni muzej di Lubiana. Questi dipinti hanno costituito la base per la produzione successiva di nove litogra- fi e (Schaffenrath, 1924) e successivamente di diciassette incisioni in rame di Hohenwart (1930 e 1932). Alcune di queste opere furono riprese da altri che le collocarono, in modi diversi, nelle pubblicazioni e stampe varie dell’epoca (Cosmorama Pittorico, Penny Magazine, Heller Ma- gazine).

Artisti tra il 1840 ed il 1860

All’artista americano Kellog sono attribuiti sei disegni della grotta, uno dei quali poi uti- lizzato da Adolf Schmidl nelle sue pubblicazioni. La prima fotografi a conosciuta è quella dell’ingresso delle grotte e fu fatta da Johann Bosch nel 1856. È ricordata anche l’opera del viennese Carl Hasch. Importanti furono poi i quadri del triestino Giuseppe Rieger che produsse diversi opere ad olio. Dei lavori di questo artista esistono diverse copie, prodotte anche per usi commerciali.

Le più recenti fotografi e

Di notevole importanza sono le pellicole di Emil Mariot (1825-1891), fotografo professio- nista di Graz. Le sue foto del 1867 sono le prime scattate all’interno delle Grotte di Postumia

83 e tra le prime scattate in una grotta. Mariot doveva essere comunque un professionista di li- vello se si pensa che i suoi meriti furono riconosciuti dall’imperatore che lo nominò Cavaliere dell’Ordine di Francesco Giuseppe (Anon., 1891). A Mariot sono attribuite molte fotografi e scattate in più periodi. Alcune di queste fotografi e, modifi cate, furono inserite nel trattato “Illustrirte Naturgeschichte des Mineralreiches” di Pokorny (1873).

1870-1880

Molti artisti minori usarono nelle loro illustrazioni le immagini prodotte dei predecessori. Dopo Mariot, comunque, il fotografo più importante è stato sicuramente Josef Martini (1837-1895) di Celje. Martini operò nelle Grotte per un lungo periodo. Di lui si conoscono sicuramente almeno ventidue fotografi e.

1890

Durante questo decennio i fotografi divennero i principali illustratori delle Grotte di Po- stumia e già verso la fi ne del secolo molte fotografi e furono utilizzate in grande quantità per la produzione delle cartoline postali. Tra i fotografi che maggiormente operarono nelle Grotte gli autori citano Max Šeber (1862-1944) di Postumia. Era lui stesso esploratore e membro della società speleologica An- thron oltre che produttore di diverse guide. Collaborò con Kraus e Martel e le sue fotografi e compaiono nei loro libri.

1900

Con il nuovo secolo l’attività dei pubblicisti e dei fotografi si adegua alle nuove esigenze. Sono citati Ivan Kotar, František Krátký, Avgust Berthold, Rudolf Bruner – Dvorák (che illustrò un libro del Perko del 1910, Die Adelsberger Grotte in Wort und Bilt), e ancora Anton Schmidt, fotografo ed architetto viennese.

84 Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 85-101 Trieste 2011

MIRIS CASTELLO(*)

LE BRIOFITE DELL’AREA PRESSO LA GROTTA ERCOLE (31-6VG, CARSO TRIESTINO)

RIASSUNTO È stato effettuato uno studio sulla diversità briologica presso la Grotta Ercole (31-6VG), situata sul Carso triestino. Vengono riportate 36 specie di briofi te, di cui 29 specie di muschi e 7 specie di epatiche. Per ogni specie vengono indicati l’elemento corologico, la distribuzione nell’area e note ecologico-stazionali. Aspetti fl oristici, biogeografi ci e vegetazionali della componente briologica dell’area vengono discussi.

ABSTRACT

THE BRYOPHYTES OF THE ERCOLE CAVE AREA (31-6VG, TRIESTE KARST) The bryophyte diversity of the area near the “Grotta Ercole” (31-6VG), in the Trieste Karst (Italy) was investigated. 36 species of bryophytes (29 and 7 liverworts) are reported. For each species the chorological element and notes on ecology and distribution within the survey area are provided. Floristic, biogeographic and vegetational aspects of the bryophyte component of the area are discussed.

Introduzione

La conoscenza delle comunità vegetali crittogamiche ed in particolare delle briofi te delle cavità del Friuli Venezia Giulia è ancora molto lacunosa, nonostante la sensibile ripresa delle ricerche avvenuta a partire dagli anni ’90 (Sguazzin & Polli, 2001; Polli & Sguazzin, 2002; Tacchi, 2007). Le briofi te sono una componente fondamentale degli habitat legati alle cavità naturali, sia degli habitat prettamente cavernicoli che delle zone circostanti le cavità; gli studi di speleobota- nica però sono generalmente limitati alle piante vascolari, mentre le briofi te vengono raramente considerate. Eppure le briofi te, insieme ad alghe e cianobatteri, sono gli organismi vegetali più tipici degli ambienti ipogei: esse caratterizzano la zona delle imboccature e sono in grado di sopravvivere nelle zone all’interno delle grotte in cui la luce progressivamente si attenua. La scarsa conoscenza delle briofi te in campo speleobotanico rifl ette, in maniera accentuata, una ridotta attenzione a questo gruppo di organismi che si è delineata a livello nazionale ed

(*) Dipartimento di Scienze della Vita dell’Università degli Studi di Trieste, via Giorgeri 10, I-34127 Trieste; e mail: [email protected].

85 internazionale. Questa situazione critica è fortemente legata alla mancanza di specialisti ed alla notevole diffi coltà di identifi care le briofi te, sia in campo che in laboratorio. Per la zona del Carso triestino sono censite oltre 2500 cavità, delle quali c. 150 sono ritenute di interesse speleobotanico; numerosi studi sulla fl ora vascolare di diverse grotte del Carso sono stati realizzati negli ultimi decenni (Polli & Sguazzin, 2002). Per quanto riguarda le briofi te invece, gli studi recenti sono molto più limitati: vanno ricordati i lavori di Sauli (1972), Polli & Sguazzin (1998, 2002), Sguazzin (2000, 2005), Tacchi (2007). In questo lavoro vengono presentati i risultati di uno studio sulle briofi te dell’area della Grotta Ercole (31-6VG), una delle grotte più note e studiate del Carso triestino. Nonostante l’ampia letteratura riguardante la Grotta Ercole (Polli & Guidi, 1996), le conoscenze sulle briofi te sono limitate ad un elenco di 14 specie ritrovate da Polli & Sguazzin (2002) in uno studio sulle felci e briofi te di 8 cavità del Carso triestino. Scopo del presente lavoro è quello di contribuire alla conoscenza della diversità briologica delle cavità del Carso.

Area di indagine

La Grotta Ercole si apre nei pressi di Gabrovizza (232 m slm, comune di Sgonico), sul fondo di una dolina piuttosto profonda (24,55 m) a forma di imbuto, situata a NW dell’abi- tato, in prossimità della linea ferroviaria (Polli & Guidi, 1996). La particolare morfologia della dolina accentua il fenomeno dell’inversione termica, con una notevole escursione della temperatura tra orlo e fondo ed un cospicuo ristagno di aria fredda ed umida nel fondo della dolina, all’ingresso e all’interno della grotta (Polli & Guidi, 1996). La parte superiore della dolina, dall’orlo fi no all’ampio terrazzamento che si trova quasi a metà della dolina, è piuttosto larga. Subito sotto il terrazzamento, la dolina si restringe rapidamente ad imbuto: un ripido pendio franoso scende lungo il versante occidentale fi no alla grotta, mentre pareti rocciose verticali si innalzano quasi a ferro di cavallo al di sopra e ai lati dell’imboccatura, lungo i ver- santi settentrionale, orientale e meridionale. Nell’area della dolina la vegetazione dominante è di tipo arbustivo-arboreo: la vegetazione nella zona circostante la dolina è rappresentata dall’Ostrio querceto, la tipica boscaglia carsica, mentre nella parte superiore della dolina è presente un bosco in formazione, in cui spiccano il carpino bianco (Carpinus betulus) ed il nocciolo (Corylus avellana). Il notevole sviluppo di queste formazioni vegetali determina in tutta la dolina condizioni di notevole ombreggiamento durante la stagione vegetativa, con prevalenza di luce diffusa. L’ingresso della cavità si trova sul fondo della dolina alla base della parete rocciosa orientale, a quota 190 m, con coordinate WGS-84: latitudine 45.73092 N, longitudine 13.72658 E riferite alla Carta Tecnica Regionale (CTR 1:5.000) “Sgonico” – 110051. La grotta ha una profondità di 91 m, con un dislivello totale di 100 m ed uno sviluppo complessivo di 290 m, con andamento verticale ed orizzontale (dati tratti nel 2010 dal Catasto delle Grotte della Commissione Grotte E. Boegan). L’ingresso della grotta, caratterizzato da condizioni di scarsa luminosità dovute alla posizione sul fondo della dolina, è piuttosto ridotto sia in altezza (quasi altezza uomo) che larghezza (c. 5 m), ed è parzialmente ostruito al centro da un grande masso che costituisce una peculiarità della Grotta Ercole; all’interno della cavità l’intensità di luce si riduce rapidamente appena superato l’ingresso, a causa delle particolari caratteristiche dell’imboccatura. L’area considerata in questo studio comprende la zona esterna antistante la grotta, l’in- gresso ed i primi metri all’interno della cavità. Essa corrisponde alla parte bassa della dolina, a partire dai grandi massi presenti alla base del terrazzamento che si affaccia verso la grotta, scendendo lungo il pendio franoso fi no alla grotta, e comprende le pareti rocciose calcaree che si ergono intorno all’imboccatura.

86 Materiali e metodi

L’indagine è stata realizzata attraverso una serie di campionamenti effettuati nel luglio 2009, luglio ed ottobre 2010. Lo studio è stato effettuato utilizzando un campionamento fl oristico per habitat, che prevede la raccolta di tutte le specie presenti in tutti gli habitat e microhabitat individuabili nell’area di studio; questo metodo risulta estremamente effi cace per la valutazione della diversità complessiva delle briofi te di un’area. La raccolta dei campioni è stata effettuata sui diversi substrati e nelle diverse condizioni ambientali e microclimatiche presenti nella parte inferiore della dolina, all’ingresso e dentro la grotta. Il campionamento è stato effettuato su rocce, pareti, massi, pietre e suolo, ad un’altezza compresa tra 0 e 220 cm da terra. Le parti più alte delle pareti rocciose verticali non sono state rilevate direttamente a causa della man- canza di attrezzature adatte: si è proceduto però con un’osservazione a distanza delle specie più abbondanti e riconoscibili. I campioni sono stati raccolti in vari siti individuati lungo un transetto che inizia in corri- spondenza del margine della potente parete rocciosa settentrionale, a sinistra dell’imboccatura per chi scende, prosegue lungo le pareti del versante orientale scendendo fi no all’imboccatura, e risale lungo la parete rocciosa meridionale, a destra della grotta. Ulteriori siti di campio- namento sono stati individuati lungo un transetto che sale dall’imboccatura lungo il pendio franoso occidentale antistante la cavità, fi no alla base del terrazzamento situato circa a metà della dolina. In ogni sito di campionamento sono stati effettuati rilievi in corrispondenza dei diversi microhabitat presenti (es.: superfi ci orizzontali, verticali o zone basali delle rocce, parti alte o basse delle pareti verticali, nicchie o cornici, suolo); per ogni rilievo sono state raccolte tutte le specie presenti e sono state annotate le specie dominanti, frequenti o rare. I siti di campionamento considerati sono: – sito 1: pareti verticali e rocce calcaree poste nella parte dell’area di studio più alta e lontana dalla grotta, al margine della parete del versante settentrionale della dolina, a sinistra della grotta per chi scende, a c. 20 m dall’ingresso; – sito 2: rocce alla base della parete settentrionale, scendendo lungo il sentierino che porta alla grotta; – sito 3: pareti e rocce nell’angolo NE della dolina, formato dalle pareti settentrionale ed orien- tale, a c. 7 metri dall’ingresso, sulla sinistra per chi scende; sito ombroso, fresco ed umido, caratterizzato da 2 ampie fessure verticali della roccia, con zone di stillicidio e periodico scorrimento di acqua; alla base della parete sono presenti nicchie con accumulo di terra; campionamento effettuato anche al suolo (su terra e pietre) in prossimità della parete; – sito 4: parete verticale del versante orientale della dolina, a c. 3 m dall’imboccatura; sito relativamente luminoso (soprattutto nella parte alta della parete); – sito 5: zona dell’ingresso della grotta che si trova alla base della parete rocciosa orientale; su rocce verticali dei lati dell’ingresso e masso centrale del portale, nicchie alla base delle rocce; sito molto ombroso, fresco ed umido; – sito 6: parete del versante meridionale della dolina, a destra dell’ingresso per chi scende; – sito 7: parte bassa del pendio franoso sul versante occidentale della dolina, davanti all’im- boccatura; su rocce, massi e suolo (argilloso); sito molto fresco ed umido; – sito 8: parte alta del pendio franoso, sui versanti W e SW, a c. 15 m dall’ingresso; su pietre e suolo; sito piuttosto luminoso, ma sempre con prevalenza di luce indiretta in estate; – sito 9: grandi massi nella parte alta del pendio franoso occidentale, alla base del terrazza- mento situato a circa metà della dolina. Nel testo le indicazioni “destra” e “sinistra” si riferiscono alla posizione del sito rispetto all’imboccatura della grotta per chi scende. I campioni raccolti sono stati identifi cati in campo ed in laboratorio, attraverso l’osserva- zione delle caratteristiche morfo-anatomiche con lente d’ingrandimento, stereo microscopio

87 e sezioni di materiale fresco montate in acqua ed osservate al microscopio ottico. L’identifi - cazione è stata effettuata utilizzando i lavori di Cortini Pedrotti (2001, 2006), Smith (1990, 2004), Casas et al. (2003) e Atherton et al. (2010). Per ogni rilievo nei microhabitat dei diversi siti è stata compilata la lista delle specie pre- senti. I dati di tipo fl oristico (presenza/assenza) così ottenuti, insieme ad osservazioni fatte in campo, hanno permesso di defi nire la distribuzione e l’abbondanza delle specie presenti nell’area di studio e di avere indicazioni sulla loro ecologia. Questi dati sono stati utilizzati per delineare i principali aspetti della vegetazione briologica a livello fi sionomico. Nella lista fl oristica, organizzata secondo ordine alfabetico, per ogni taxon vengono ri- portati il gruppo corologico (distribuzione generale) secondo Düll (1983, 1984, 1985, 1992), il substrato di raccolta, note ecologico-stazionali, la frequenza nell’area di studio. La nomen- clatura segue Aleffi et al. (2008).

Le abbreviazioni adottate per i corotipi delle specie sono le seguenti: bor: boreale dealp: dealpino med: mediterraneo mont: montano n: nord s: sud subbor: subboreale subcont: subcontinentale submed: submediterraneo suboc: suboceanico temp: temperato w: ovest.

Le nuove segnalazioni per la Grotta Ercole rispetto a Polli & Sguazzin (2002) sono indicate con un asterisco (*). Le specie segnalate in Polli & Sguazzin (2002) non rinvenute nel presente lavoro sono indicate con un punto esclamativo (!).

LISTA FLORISTICA

Epatiche

* Conocephalum conicum (L.) Dumort. Subbor-mont. Nelle nicchie alla base delle rocce con accumulo di terra in prossimità dell’imboccatura (3); presso l’ingresso, al suolo alla base del masso centrale e delle rocce sul lato destro dell’ingresso, e nell’ampia nicchia al di sopra del portale su superfi ci orizzontali (5). La specie è presente nei siti più umidi, ombrosi e freschi dell’area, nella parte più bassa della dolina ed in corrispon- denza dell’ingresso della grotta, dove forma anche vaste colonie. Piuttosto rara.

* Jungermannia atrovirens Dumort. W.temp-mont. Su rocce e pareti, soprattutto su superfi ci verticali e in posizioni basse (1, 4, 5). Piuttosto rara complessivamente, diventa abbondante sulle rocce presso l’ingresso ed è una delle specie presenti nelle parti più interne dell’imboccatura.

88 * Lejeunea cavifolia (Ehrh.) Lindb. Suboc-mont. Su rocce, massi e pareti, soprattutto su superfi ci verticali o inclinate e alla base delle rocce, su pietre e al suolo, spesso epifi ta su altre briofi te (1, 2, 3, 4, 5, 7, 9). Comune; una delle specie che cresce abbondante all’ingresso della grotta e che riesce a spingersi nelle parti più interne dell’imboccatura.

* Lophocolea bidentata (L.) Dumort. W.temp. Su rocce, massi e pareti, soprattutto su superfi ci verticali o inclinate e alla base delle rocce, dalla parte alta dell’area di studio fi no all’imboccatura, spesso epifi ta su altre briofi te (1, 4, 5, 9). Comune, diventa molto abbondante presso l’imboccatura; una delle specie che riesce a spingersi più all’interno nella zona dell’ingresso.

* Metzgeria furcata (L.) Dumort. W.temp. Sulle pietre nella parte alta del pendio franoso che scende verso la cavità (8). Rara.

* Pellia endiviifolia (Dicks.) Dumort. S.temp. Su suolo e pietre nella parte bassa del pendio franoso davanti alla cavità (7). Rara.

* Plagiochila porellinoides (Torrey ex Nees) Lindenb. Subbor-mont. Sulla parete verticale a sinistra dell’imboccatura, in basso (4); su pietre e suolo nella parte bassa del pendio franoso (7); sui grandi massi calcarei nella parte alta del pendio franoso, dove è piuttosto comune (9). Piuttosto rara.

Muschi

Anomodon viticulosus (Hedw.) Hook. & Taylor Temp. Su pareti verticali, soprattutto in corrispondenza di cornici e sporgenze e nelle parti alte delle pareti (1, 2, 3, 4, 5, 6); su rocce, soprattutto nelle posizioni sommitali poco inclinate (1, 2, 9); sulle pietre al suolo del pendio franoso (7). Molto comune: è la specie più comune ed abbondante nell’area.

Brachythecium rutabulum (Hedw.) Schimp. Temp. Su rocce e massi, soprattutto nelle posizioni sommitali orizzontali (1, 2, 9) nella parte alta dell’area; su pietre al suolo nella parte bassa del pendio franoso (7). Piuttosto comune, si trova soprattutto nella parte alta dell’area.

* Campylophyllum calcareum (Crundw. & Nyholm) Hedenäs (sin.: Campylium calcareum Crundw. & Nyholm) Suboc. Su rocce in posizioni verticali, nella parte alta dell’area (1). Rara.

* Cirriphyllum crassinervium (Taylor) Loeske & M.Fleisch. (sin.: Eurhynchium crassinervium (Wils.) Schimp.)

89 Suboc (-mont). Su rocce e massi nella parte alta dell’area (2, 9) e piccole pietre al suolo in prossimità della grotta (3). Rara.

Ctenidium molluscum (Hedw.) Mitt. Temp. Su rocce e massi nella parte alta dell’area (1, 6, 9); su pietre lungo il pendio franoso (7, 8), so- prattutto nelle posizioni sommitali, orizzontali o poco inclinate. Comune: molto comune lungo il pendio franoso e nelle zone più lontane dell’imboccatura, in siti piuttosto luminosi.

* Encalypta streptocarpa Hedw. Subbor(-mont). Su massi e rocce nelle vicinanze della grotta, nella parte alta dell’area (1, 9). Rara.

* Eucladium verticillatum (With.) Bruch & Schimp. Submed (-mont). In nicchie alla base delle ampie fessure verticali nell’angolo formato dalle pareti rocciose a NE (a sinistra dell’ingresso), e su suolo e piccole pietre (3); all’imboccatura della grotta, sul masso centrale e sulle rocce dei lati, soprattutto in basso (5). Rara; si sviluppa nei siti più ombrosi ed umidi ed è una delle specie che cresce nella parte più interna dell’imboccatura.

* Eurhynchiastrum pulchellum (Hedw.) Ignatov & Huttunen var. pulchellum Subbor-mont Sui massi nelle vicinanze della grotta, nella parte alta dell’area (9). Rara.

Eurhynchium striatum (Hedw.) Schimp. Suboc. Su rocce nelle vicinanze della grotta, nella parte alta dell’area (1). Rara.

! Fissidens adianthoides Hedw. Subbor. Specie riportata da Polli & Sguazzin (2002), ma non trovata in questo campionamento.

Fissidens dubius P. Beauv. Temp-mont. Su rocce e pareti verticali, massi e pietre della frana, in posizioni orizzontali e verticali, dal- la parte alta dell’area fi no alla zona in prossimità dell’ingresso (1, 2, 3, 4, 6, 7, 8, 9). Molto comune.

* Fissidens taxifolius Hedw. subsp. taxifolius Temp. Nell’angolo formato dalle pareti rocciose a NE della dolina, a sinistra dell’imboccatura, sotto le ampie fessure verticali, alla base delle rocce in nicchia con accumulo di terra (3). Rara.

* Fissidens viridulus (Sw. ex anon.) Wahlenb. var. incurvus (Starke ex Röhl.) Waldh. Submed. Su terriccio accumulato sulle superfi ci orizzontali delle terrazzette della parete N, nelle vici- nanze della grotta, nella parte alta dell’area (1). Rara.

90 * Isopterygiopsis pulchella (Hedw.) Z.Iwats. Bor-mont. All’imboccatura della grotta, sui lati del masso centrale del portale (5); su pietre al suolo da- vanti all’imboccatura (7). Rara.

* Mnium stellare Hedw. Bor-mont. Sulle pareti, su superfi ci verticali, in fessure o alla base delle pareti in nicchie con accumulo di terra, nelle immediate vicinanze (4, 6) ed in corrispondenza dell’ingresso e dell’interno della grotta (5). Piuttosto rara: raccolta solo nella zona presso l’ingresso, dove però è relativamente comune. È l’unica briofi ta trovata all’interno della grotta: M. stellare si sviluppa formando ampie chiazze nella parte più illuminata della grotta, lungo il lato destro per chi scende, nelle parti basse delle rocce, spingendosi fi no a c. 3 metri dall’ingresso.

Neckera besseri (Lobarz.) Jur. (sin.: Homalia besseri Lobarz.) Subcont-mont. Su rocce e pareti, su superfi ci verticali, nelle vicinanze della grotta, in corrispondenza delle pareti N e E (1, 3, 4). Piuttosto rara.

Neckera complanata (Hedw.) Huebener Temp. Su pareti, rocce e massi, su superfi ci verticali, in tutta l’area di studio, compresa l’imboccatura (1, 2, 3, 4, 5, 9). Molto comune.

Neckera crispa Hedw. Temp-mont. Su pareti, rocce e massi, su superfi ci verticali, in tutta l’area di studio, compresa l’imboccatura (1, 2, 3, 4, 5, 6, 9). Molto comune.

* Oxyrrhynchium hians (Hedw.) Loeske Temp. Su suolo, pietre e massi lungo il pendio franoso (7, 8). Complessivamente piuttosto rara, diven- ta comune su suolo e pietre nella parte bassa del pendio franoso, umida ed ombrosa, davanti all’imboccatura.

Plagiomnium cuspidatum (Hedw.) T.J.Kop. Subbor. Su rocce e massi, su superfi ci orizzontali, nella parte alta dell’area (1, 9). Piuttosto rara.

Plagiomnium rostratum (Schrad.) T.J.Kop. Temp. Su rocce e massi, su superfi ci orizzontali ed inclinate (1, 2, 3, 9); su pietre e al suolo lungo il pendio franoso (7, 8). Molto comune.

Plagiomnium undulatum (Hedw.) T.J.Kop. Temp. Su pietre, massi e suolo lungo tutto il pendio franoso, dalla zona antistante l’imboccatura fi no ai grandi massi della parte più alta dell’area di studio (7, 8, 9); diventa più abbondante nella parte alta della frana (8, 9). Relativamente comune.

91 * Plasteurhynchium striatulum (Spruce) M. Fleisch. (sin.: Eurhynchium striatulum (Spruce) Bruch & al.) Submed-suboc-mont/dealp. Su pietre, massi, rocce e pareti, su superfi ci orizzontali e verticali, in tutta l’area (1, 2, 3, 4, 5, 7, 8, 9); è abbondante sulle rocce soprattutto in posizioni alte rispetto al suolo. Molto comune, è una delle specie più frequenti nell’area.

* Ptychostomum pallens (Sw.) J.R. Spence (sin.: Bryum pallens Sw., Bryum subelegans Kindb.) Bor. Su accumulo di terriccio sulle superfi ci orizzontali di terrazzette della parete N, nelle vicinanze della grotta, nella parte alta dell’area (1). Rara.

* Rhizomnium punctatum (Hedw.) T.J.Kop. N.suboc. Su suolo umido nella parte bassa della frana, davanti all’ingresso (7). Rara.

* Taxiphyllum wissgrillii (Garov.) Wijk & Margad. Suboc. Su suolo e piccole pietre al suolo, alla base dell’angolo NE della dolina formato dalle pareti rocciose a sinistra dell’ingresso (3) e nella parte bassa della frana davanti all’imboccatura (7); all’imboccatura, su suolo alla base delle rocce (5). Raccolta al suolo solo nei siti più umidi, freschi ed ombrosi dell’area, nella parte bassa della dolina, all’imboccatura e nelle sue imme- diate vicinanze. Piuttosto rara.

Thamnobryum alopecurum (Hedw.) Gangulee Suboc-submed. Alla base delle rocce e grandi massi nelle parti dell’area di studio più alte e lontane dalla grotta (2, 9); su pietre e suolo lungo tutto il pendio franoso (3, 7, 8); su pareti verticali, in posizioni basse, in prossimità della grotta (4); all’imboccatura, su pareti verticali (5). Nelle parti alte dell’area la specie è poco frequente e confi nata nelle posizioni più basse, umide ed ombrose delle rocce; diventa molto comune ed abbondante scendendo nella parte bassa della dolina. In prossimità della grotta ed all’imboccatura forma ampie popolazioni, che ricoprono le rocce dell’ingresso salendo fi no ad 1 metro e più da terra: gran parte del masso centrale del portale è coperto da questa specie. Una delle specie che crescono nella parte più interna dell’imboc- catura. Questa specie è stata erroneamente citata come Hylocomium splendens in Polli & Guidi (1996). Comune.

Thuidium assimile (Mitt.) A.Jaeger (sin.: Thuidium philibertii Limpr.) N.suboc-mont. Su massi, pietre e al suolo nella parte alta del pendio franoso (8, 9) in situazioni piuttosto luminose, dove risulta relativamente comune. Piuttosto rara.

* Tortella tortuosa (Hedw.) Limpr. var. tortuosa Bor-mont. Su rocce e pareti, su superfi ci orizzontali e verticali, nelle vicinanze (1, 3, 9) e all’ingresso (5). Piuttosto comune, ma non abbondante.

92 Aspetti fl oristici e biogeografi ci

In questo studio sono state raccolte 35 specie di briofi te, di cui 28 muschi e 7 epatiche. Polli & Sguazzin (2002) riportano per la Grotta Ercole 14 specie di briofi te, tutte appartenenti al gruppo dei muschi. Rispetto a tale lavoro quindi 15 specie di muschi e tutte le 7 specie di epa- tiche risultano nuove per l’area della Grotta Ercole; va però precisato che quasi tutte le nuove specie per la grotta compaiono nell’elenco delle specie rinvenute da Polli & Sguazzin (2002) presso altre cavità del Carso triestino. Una specie di muschio elencata da Polli & Sguazzin (2002) per la Grotta Ercole, Fissidens adianthoides, non è stata trovata in questo studio. Sulla base del presente lavoro la fl ora briologica presso la Grotta Ercole comprende com- plessivamente 36 specie, un numero di specie decisamente elevato, considerando che Polli & Sguazzin (2002) riportano complessivamente per 8 cavità del Carso triestino 62 specie, con un massimo di 24 specie per la grotta Lazzaro Jerko (2305/4737 VG). Va comunque sot- tolineato che la ricchezza in specie botaniche rilevata negli studi presso le grotte è fortemente infl uenzata dall’estensione dell’area di campionamento scelta all’esterno dell’imboccatura. Le specie segnalate per la Grotta Ercole, epilitiche ed epigee, rappresentano il 12,2% delle 296 specie attualmente note per la fl ora briologica del Carso triestino e goriziano (Tacchi, 2007), che comprende però anche specie con diversa ecologia (specie epifi te ed acquatiche). L’analisi dei corotipi delle 36 specie permette di delineare alcune caratteristiche della brio- fl ora della Grotta Ercole. La Tab. 1 riporta il numero e la frequenza percentuale delle specie suddivise nei principali gruppi corologici.

Elemento corologico n. specie frequenza%

bor 4 11.1 subbor 6 16.7 temp 14 38.9 suboc 8 22.2 submed-suboc 1 2.8 submed 2 5.6 subcont 1 2.8

Tab. 1 - Numero e frequenza percentuale delle specie di briofi te suddivise in base ai principali gruppi corologici.

Dall’analisi biogeografi ca risulta che la fl orula è caratterizzata dalla prevalenza delle specie con distribuzione di tipo temperato, che rappresentano più di 1/3 delle specie totali (38.9%; 10 specie di muschi e 4 epatiche). Esse sono particolarmente frequenti nei siti più distanti dalla grotta, nelle parti più alte dell’area di studio, dove costituiscono la metà o più delle specie rilevate, arrivando anche al 75% di frequenza in alcuni siti. A questa categoria appartengono le specie più comuni ed ampiamente diffuse nell’area di studio, quali Anomodon viticulosus, Brachythecium rutabulum, Fissidens dubius, Neckera complanata, N. crispa, Plagiomnium rostratum, Lophocolea bidentata. Segue la categoria delle specie a distribuzione suboceanica, che rappresentano il 22.2% del totale (7 muschi ed 1 epatica); con l’unione all’elemento submediterraneo-suboceanico (1 muschio), le specie a carattere suboceanico arrivano al 25% del totale. Si tratta di specie legate a condizioni di elevata e costante umidità atmosferica e scarse variazioni di temperatura, che si possono trovare sul Carso negli ambienti di dolina. A questo gruppo appartengono specie più abbondanti o presenti solo nella parte più bassa della dolina, presso l’ingresso della grotta

93 e lungo il pendio franoso occidentale, in situazioni microclimatiche umide, ombrose o non esposte direttamente al sole, su roccia e dove il suolo argilloso risulta più ricco d’acqua. Tra queste specie ricordiamo Thamnobryum alopecurum, Thuidium assimile, Taxiphyllum wis- sgrillii, Rhizomnium punctatum, Lejeunea cavifolia e Plasteurhynchium striatulum. L’altra categoria che caratterizza la fl orula dell’area è quella delle specie a distribuzione subboreale (16.7%; 4 muschi e 2 epatiche), tra cui Plagiomnium cuspidatum, Conocephalum conicum, Plagiochila porellinoides. L’affi ne categoria delle specie a distribuzione boreale comprende altre 4 specie di muschi (11.1%), tra cui Mnium stellare ed Isopterygiopsis pulchella. Le specie boreali e subboreali, con distribuzione tendenzialmente settentrionale, rappresentano quindi complessivamente il 27.8% del totale; si tratta di specie legate ad ambienti freschi, che sul Carso triestino si possono trovare nel fondo delle doline, soprattutto profonde e strette, dove l’aria fredda rimane intrappolata, o presso le grotte che offrono particolari condizioni microclimatiche. Nell’area di studio le specie appartenenti a questi gruppi si trovano soprat- tutto nei siti molti freschi, umidi ed ombreggiati: esse sono maggiormente presenti nella parte bassa della dolina, presso l’ingresso della grotta (dove si raggiunge la massima frequenza delle specie boreali (21.5%) e la minima frequenza delle specie temperate (36%), mentre le specie subboreali arrivano al 7%), oppure sui grandi massi ombreggiati nella parte alta del pendio franoso (dove si riscontra la massima frequenza delle specie subboreali, pari al 20%, ed il 5% di frequenza per le specie boreali). Altri corotipi rappresentati sono il corotipo submediterraneo (2 specie di muschi, 5.6%) e il subcontinentale (1 specie di muschio, 2.8%).

Aspetti della vegetazione a briofi te

L’area presso la Grotta Ercole è caratterizzata da un notevole sviluppo delle comunità di briofi te, favorite dalle particolari condizioni ambientali della dolina in cui si apre la grotta, una dolina dalla singolare morfologia, imbutiforme, piuttosto profonda, stretta ed ombreggiata (Polli & Guidi, 1996). Il presente lavoro è stato focalizzato sull’analisi della diversità briologica a livello fl oristico, mentre non è stato realizzato uno studio esaustivo della vegetazione. È comunque possibile delineare gli aspetti salienti della vegetazione briologica a livello della fi sionomia, sulla base delle specie raccolte nei diversi siti di campionamento e di osservazioni sulla loro abbondanza, considerando le diverse condizioni ecologiche di crescita e le specie dominanti nelle diverse situazioni ambientali. La parete rocciosa che forma il versante settentrionale della dolina, a sinistra dell’im- boccatura per chi scende, è caratterizzata da rocce fortemente inclinate e fessurate, mentre alla base della parete si trovano numerosi grandi massi calcarei. La parete, esposta a Sud ma piuttosto ombreggiata dalla vegetazione arborea circostante in estate, presenta numerose frat- ture, cornici, gradini ed irregolarità in cui si possono accumulare un po’ di terriccio ed acqua, mentre l’acqua meteorica riesce a scorrere senza avere un effetto dilavante: si realizzano così condizioni molto favorevoli per lo sviluppo delle briofi te. In particolare, le rocce e massi alla base della parete presentano un’estesa copertura di briofi te (siti 1, 2). Le posizioni sommitali orizzontali o poco inclinate, e le parti più alte delle superfi ci inclinate delle rocce sono domi- nate da Anomodon viticulosus che si alterna ad ampie zone di Plasteurhynchium striatulum, Plagiomnium rostratum e Brachythecium rutabulum; in alcune zone si sviluppano ampie chiaz- ze di Plagiomnium cuspidatum. Anomodon viticulosus, una delle specie più comuni nell’area di studio, è un muschio pleurocarpo robusto di medie dimensioni che ricopre ampie zone con caratteristici ciuffi o tappeti lassi e molto spessi, di colore variabile dal verde giallastro al bru- nastro, formati da fusticini lunghi fi no a 10 cm, con rami spesso incurvati verso il basso. Nelle

94 posizioni immediatamente sottostanti, sulle superfi ci verticali o inclinate delle rocce, diventa dominante Neckera complanata, che si alterna a Plagiomnium rostratum, Plasteurhynchium striatulum e Brachythecium rutabulum. N. complanata forma caratteristici ed ampi cespi lassi, di colore verde chiaro brillante, con rametti disposti a ventaglio; mescolata a questa specie si trova, molto più rara, la simile Neckera besseri. Al di sotto dei cespi di N. complanata si sviluppa spesso l’affi ne Neckera crispa, che mostra una preferenza per posizioni più ombrose ed asciutte; la specie forma ampie chiazze in cui i rami a ventaglio tendono ad incurvarsi in avanti rispetto al substrato e si distingue facilmente per le foglioline chiaramente ondulate trasversalmente. Sempre sulle superfi ci verticali delle rocce, soprattutto nelle parti più basse e vicine al suolo, sono comuni chiazze compatte di colore verde chiaro formate dalle minute epatiche Lejeunea cavifolia e Lophocolea bidentata, piantine delicate, poco appariscenti, che crescono prostrate al substrato oppure come epifi te su altre briofi te; con esse si trova comu- nemente Fissidens dubius, un muschio acrocarpo che forma ciuffi di fusticini eretti di colore verde chiaro che assomigliano a piccole felci. Piuttosto comune è anche Tortella tortuosa, un piccolo muschio acrocarpo che forma ciuffi verde-giallastri dalle caratteristiche foglioline molto sottili ed allungate, fortemente arricciate e contorte nel secco, fl essuose se umide. Nelle piccole depressioni delle rocce crescono Encalypta streptocarpa, Fissidens dubius, Tortella tortuosa e Lophocolea bidentata. Alla base delle rocce, in posizioni molto ombrose ed umide, compaiono i robusti ciuffi lassi, più o meno estesi, di Thamnobryum alopecurum, un muschio

Fig. 1 – La parete rocciosa lungo il versante settentrionale della dolina, sulla sinistra dell’ingresso per chi scende, in cui sono stati localizzati i siti di campionamento 1, 2 e 3, a partire dal margine della parete, in alto, scendendo fi no all’angolo in ombra (sito 3), sulla destra della fotografi a. (Foto Miris Castello)

95 pleurocarpo di colore verde scuro facilmente riconoscibile per i fusticini robusti, lunghi fi no a 15 cm, che si sollevano dal suolo sembrando piccoli alberi, grazie alle ramifi cazioni rag- gruppate in ciuffi nella parte superiore dei fusticini. Sulle superfi ci orizzontali di terrazzette presenti sulla parete rocciosa N, in posizioni ombreggiate dalle rocce sovrastanti, crescono su accumulo di terriccio le piccole specie acrocarpe Ptychostomum pallens, Tortella tortuo- sa, Fissidens dubius e F. viridulus var. incurvus, mentre sulle pareti verticali domina ancora Anomodon viticulosus. Scendendo verso la grotta, sulle rocce e pareti dei versanti settentrionale ed orientale (siti 2, 3, 4), si ripropone lo schema appena descritto, mentre la copertura delle briofi te au- menta: le parti alte delle rocce sono dominate da Anomodon viticulosus che si accompagna a Plasteurhynchium striatulum; procedendo verso il basso diventano molto frequenti Neckera complanata, Plagiomnium rostratum, Fissidens dubius e Lejeunea cavifolia, mentre Necke- ra crispa si sviluppa nelle posizioni più basse. Alla base delle rocce si trova Thamnobryum alopecurum, che diventa sempre più abbondante man mano che si scende verso il fondo della dolina, avvicinandosi all’ingresso della grotta. In corrispondenza dell’angolo formato dalle pareti rocciose N ed E, sempre sulla sinistra dell’ingresso (sito 3), si crea una situazione ombrosa, molto fresca ed umida, con stillicidio. Nelle zone alte delle pareti verticali prevale Anomodon viticulosus che si mescola a Plasteu- rhynchium striatulum; queste due specie sono presenti anche in basso, ma meno abbondanti. Subito sotto si sviluppano ampie chiazze di Neckera complanata, N. besseri e Fissidens dubius; continuando verso il basso diventa abbondante Neckera crispa. Alla base delle due grandi fessure verticali nella roccia che si trovano nell’angolo, nelle nicchie con accumulo di suolo argilloso, spicca un consistente gruppo di talli di Conocephalum conicum, un’epatica vistosa e facilmente riconoscibile per il grande tallo verde intenso, appiattito e dai margini lobati. Sempre nelle nicchie, su accumulo di suolo, si sviluppano minuti gruppi di Tortella tortuosa, Eucladium verticillatum e Fissidens dubius. Alla base della parete rocciosa, nelle nicchie della roccia con accumulo di suolo umido si trova Fissidens taxifolius, mentre sulle piccole pietre al suolo cresce Taxiphyllum wissgrillii: si tratta di due specie legate ad ambienti umidi ed ombrosi. Alla base della parete e sulle pietre al suolo lungo il ripido pendio che scende alla grotta è abbondante Thamnobryum alopecurum. L’imboccatura della grotta si apre alla base della parete rocciosa strapiombante del ver- sante orientale della dolina. La zona della parete a sinistra dell’imboccatura per chi scende (sito 4), presenta una notevole copertura a briofi te, favorite dalla presenza di numerosi anfratti, nicchie, ripiani e sporgenze della roccia. Nelle parti più alte dell’ampia parete al di sopra del- l’imboccatura, sulle sporgenze e cornici, domina Anomodon viticulosus. Più in basso, le zone al di sotto dei 2.5 m di altezza dal suolo sono ancora dominate dai tappettini di A. viticulosus, orlati in basso dai lassi cespi di Neckera complanata e N. besseri, che scendono dalle rocce formando piccoli festoni di colore verde-chiaro brillante; comune è anche Plasteurhynchium striatulum. Nelle parti basse della parete, larghi tappetini di Plasteurhynchium striatulum si mescolano a Fissidens dubius e Neckera crispa, mentre Anomodon viticulosus riduce la sua frequenza; diventano comuni le epatiche foliose Plagiochila porelloides, Jungermannia atrovirens, Lophocolea bidentata e Lejeunea cavifolia, che formano densi e delicati tappettini alla base delle altre briofi te. Le rocce alla base della parete sono ricoperte da Thamnobryum alopecurum; nelle nicchie, su accumulo di suolo, cresce Mnium stellare, un delicato muschio acrocarpo che forma chiazze più o meno dense di molli fusticini eretti, alti fi no a 5 cm, con foglioline ovate o ellittiche di colore verde chiaro. L’ingresso della grotta (sito 5), collocato sul fondo della dolina ed esposto a W, presenta condizioni ambientali fortemente ombrose, fresche ed umide. Nella grande nicchia situata al di sopra del portale, su superfi ci orizzontali, si sviluppa un esteso e vistoso gruppo di Cono- cephalum conicum. Sul lato sinistro (settentrionale) dell’imboccatura, in posizioni più elevate,

96 Fig. 2 – L’ingresso della Grotta Ercole, che si apre nel fondo di una dolina, alla base della parete rocciosa orientale, in estate. L’ingresso corrisponde al sito di campionamento 5, la parete verticale sulla destra al sito 6. Lungo il ripido pendio franoso che scende alla grotta sono stati individuati i siti di raccolta 7 (in basso, presso l’imboccatura) e 8 (in alto). (Foto Miris Castello)

si ripresentano dominanti, disposte in sequenza dall’alto verso il basso, Anomodon viticulosus, Neckera complanata e N. crispa; a queste si aggiunge qualche chiazza di Plasteurhynchium striatulum. Nelle parti basse delle rocce abbonda Thamnobryum alopecurum, che cresce con Mnium stellare, Eucladium verticillatum e le epatiche Lejeunea cavifolia, Lophocolea biden- tata, Jungermannia atrovirens: tutte queste specie mostrano il loro massimo sviluppo proprio in corrispondenza dell’imboccatura della grotta. Qui Thamnobryum alopecurum ricopre quasi completamente le parti basse delle rocce salendo da terra fi no ad oltre 1 m di altezza. Alla base delle rocce, nelle nicchie con accumulo di terra umida, cresce Mnium stellare, che si accom- pagna a Taxiphyllum wissgrilli, Thamnobryum alopecurum, Lejeunea cavifolia e Lophocolea bidentata. Il masso centrale che divide il portale è quasi completamente ricoperto sul lato rivolto verso il pendio franoso da un’ampia popolazione di Thamnobryum alopecurum, cui si aggiungono Lejeunea cavifolia e Lophocolea bidentata, Neckera crispa e, in basso, Mnium stellare, Eucladium verticillatum, Tortella tortuosa, Jungermannia atrovirens e Conocepha- lum conicum. Le specie che si spingono maggiormente verso l’interno della grotta sul lato sinistro e destro del masso centrale sono Neckera crispa, Thamnobryum alopecurum, Mnium stellare, Isopterygiopsis pulchella, e le epatiche Lejeunea cavifolia, Lophocolea bidentata e Jungermannia atrovirens, qui particolarmente abbondanti insieme a patine di alghe e cianofi cee. Le rocce del lato destro dell’ingresso presentano una scarsa copertura di briofi te, determinata soprattutto da Mnium stellare.

97 All’interno della grotta, la luce è molto scarsa e diminuisce rapidamente a causa della localizzazione e della particolare morfologia dell’imboccatura: le tipiche zone di vegetazione che si distinguono nelle cavità subiscono qui una drastica contrazione, e già nei primi metri dall’ingresso si hanno condizioni di quasi completa oscurità che impediscono lo sviluppo delle piante. Appena superato il portale, le briofi te scompaiono rapidamente: lungo il lato sinistro (settentrionale) della cavità, molto buio, non sono state trovate briofi te; lungo il lato destro (meridionale), dove la luce riesce a penetrare un po’, nelle posizioni basse delle pareti si sviluppa Mnium stellare, che riesce a penetrare fi no a c. 3 m dall’ingresso. All’esterno della grotta, a destra dell’ingresso, le pareti rocciose orientale e meridionale formano una profonda e lunga gola verticale esposta a NW, in cui l’ambiente si mantiene molto ombroso, umido e fresco: qui si sviluppano le stesse specie trovate all’imboccatura. Nella parte bassa delle pareti, le rocce sono completamente ricoperte da Thamnobryum alopecurum, che si accompagna a Mnium stellare, Eucladium verticillatum e Jungermannia atrovirens; sulle superfi ci orizzontali delle rocce dominano ampie colonie di Conocephalum conicum. La ripida parete rocciosa del versante meridionale della dolina, a destra dell’ingresso (sito 6) è praticamente inaccessibile a causa della notevole pendenza ed instabilità del terreno. La parete è esposta a N ed è costituita da superfi ci rocciose piuttosto uniformi, con scarse irregolarità, fessure e cornici, soprattutto nei primi metri di altezza dal suolo; l’inclinazione della parete in avanti, maggiore di 90°, riduce l’intercettazione e la disponibilità di acqua del sito. Tali condizioni spiegano la scarsa presenza di briofi te, limitata praticamente alle poche nicchie e fessure orizzontali della parete e alle zone dove c’è maggiore disponibilità di acqua: solo nelle parti sommitali della parete infatti la vegetazione è ben sviluppata ed è dominata da Anomodon viticulosus; nelle parti basali si sviluppano sparse chiazze di Anomodon viticulosus, Fissidens dubius, Neckera crispa e Ctenidium molluscum. Lungo il versante occidentale della dolina, un ripido pendio franoso scende alla grotta. Nella parte bassa del pendio (sito 7), immediatamente davanti all’ingresso della grotta, su pic- cole pietre al suolo crescono Taxiphyllum wissgrilli e Isopterygiopsis pulchella. In prossimità dell’imboccatura, su terra e pietre al suolo, sono molto comuni Thamnobryum alopecurum e Oxyrrhynchium hians. Spiccano inoltre, numerosi, gli alti ciuffi di colore verde chiaro di Plagiomnium undulatum, facilmente riconoscibile per i fusticini eretti, alti fi no a 15 cm, che portano foglie allungate a forma di lingua, chiaramente ondulate, lunghe fi no a 1.5 cm. Altre specie comuni sono Anomodon viticulosus, Brachythecium rutabulum, Ctenidium molluscum, Fissidens dubius, Plagiomnium rostratum, Plasteurhynchium striatulum. In questo sito sono stati inoltre raccolti al suolo Rhizomnium punctatum, Lejeunea cavifolia, Plagiochila porelli- noides e alcuni piccoli individui dell’epatica tallosa Pellia endiviifolia. Man mano che si risale il pendio Plagiomnium undulatum e Ctenidium molluscum diventano più frequenti, mentre si riduce la presenza di Thamnobryum alopecurum. Nella parte più alta del pendio franoso (sito 8), dove l’ambiente diventa più luminoso, meno fresco ed umido rispetto al fondo, Plagiomnium undulatum è molto comune, mentre Thamno- bryum alopecurum praticamente scompare. Qui crescono piuttosto abbondanti i tappettini di Thuidium assimile, una specie di muschio pleurocrapo riconoscibile per i fusticini regolarmente bi- o tri-pennati di colore verde brillante. Altre specie comuni sono Ctenidium molluscum, Fissidens dubius, Plagiomnium rostratum, Plagiochila porellinoides. I grandi massi che si trovano nella parte più alta del pendio occidentale, alla base dell’ampio terrazzamento situato a c. metà della dolina (sito 9), sono riccamente ricoperti dalle briofi te; essi si trovano in una posizione esposta ad E, molto ombreggiata in estate dalla sovrastante ve- getazione arborea. Sulle superfi ci orizzontali o poco inclinate dei massi, le specie dominanti o più comuni sono Ctenidium molluscum, Plagiomnium rostratum, P. cuspidatum, accompagnati da Anomodon viticulosus, Brachythecium rutabulum, Fissidens dubius, Plasteurhynchium striatulum, e le epatiche Lejeunea cavifolia, Plagiochila porelloides; le superfi ci verticali dei

98 massi sono dominate da Neckera complanata e N. crispa. Thamnobryum alopecurum è ancora presente, ma ricopre le posizioni ombrose alla base dei massi. Nella parte SW del sito, più lu- minosa, si sviluppano abbondanti chiazze di Thuidium assimile e Plagiomnium undulatum.

Discussione

L’area presso la Grotta Ercole presenta caratteristiche di notevole interesse dal punto della diversità delle briofi te: la particolare morfologia della dolina, lo sviluppo delle vegetazione arborea e la presenza di una grotta di ampie dimensioni determinano condizioni ecologiche molto favorevoli per la crescita delle briofi te e rapidi e notevoli cambiamenti ambientali che creano una vasta gamma di microhabitat colonizzati da molte specie diverse. L’area indagata, limitata alla parte bassa della dolina ed ai primi metri all’interno della grotta, presenta un’elevata ricchezza in specie, e risulta ospitare più della metà delle specie attualmente riportate presso varie cavità del Carso triestino (Polli & Sguazzin, 2002). Dal punto di vista biogeografi co, la briofl ora presso la Grotta Ercole risulta caratterizzata dalla prevalenza di specie a distribuzione temperata, suboceanica, e settentrionale (boreale e subboreale): questo si accorda con le condizioni ecologiche, fresche, umide ed ombrose del- l’area indagata, che si realizzano tipicamente in corrispondenza di voragini e del fondo di doline carsiche. In particolare, la zona dell’ingresso della grotta si distingue per l’elevata incidenza delle specie a distribuzione boreale, tipiche di ambienti molto freschi ed umidi. Le specie trovate negli ambienti prettamente di grotta sono poche e con sviluppo limitato praticamente all’imboccatura. La particolare morfologia della dolina, la localizzazione e le ridotte dimensioni dell’ingresso, parzialmente ostruito dal grande masso centrale, determi- nano condizioni di scarsa luminosità già in corrispondenza dell’imboccatura ed una rapida riduzione dell’intensità luminosa all’interno della grotta; la marcata scarsità di luce nella cavità ostacola la crescita delle specie vegetali e determina il rapido passaggio in pochi metri dalla zona di vegetazione “liminare” alla zona “oscura”. Nella zona dell’ingresso, umida, fresca ed ombrosa, le briofi te mostrano un notevole sviluppo: l’imboccatura è caratterizzata dalla crescita vigorosa di Thamnobryum alopecurum, che ricopre ampiamente le rocce ed il masso centrale dell’ingresso, e dalla particolare abbondanza di una serie di epatiche, che crescono insieme ad ampie patine di alghe e cianofi cee. Le altre specie di muschi maggiormente legate alla grotta sono Taxiphyllum wissgrillii, Isopterygiopsis pulchella e Mnium stellare, specie che mostra il massimo sviluppo nella zona dell’imboccatura e che è anche l’unica briofi ta raccolta all’interno della grotta. Dallo studio emergono alcuni aspetti conservazionistici rilevanti: va segnalata infatti la presenza di Neckera besseri e Thuidium assimile (= T. philibertii), entrambe specie conside- rate minacciate nella Lista Rossa delle Briofi te d’Italia (Cortini Pedrotti & Aleffi, 1992): le due specie formano popolamenti piuttosto ben sviluppati, seppur localizzati in particolari siti della dolina. L’attuale processo di rimboschimento spontaneo in atto sul Carso rappresenta un fattore favorevole per la conservazione delle specie dell’area presso la grotta, tutte legate a situazioni ombrose, fresche ed umide tipiche degli habitat forestali. Grazie all’elevata ricchezza in specie, il notevole sviluppo e varietà della vegetazione briologica e la presenza di entità a rischio di estinzione a livello nazionale, l’area della Grotta Ercole risulta un sito di valore per la conservazione della diversità delle briofi te del Carso.

99 Ringraziamenti

Vorrei ringraziare la dott.ssa Michela Tomasella per avermi introdotto nel campo della speleobotanica del Carso. Un particolare ringraziamento va al dott. Michele Codogno (Uni- versità di Trieste) per il supporto ed i preziosi consigli per le ricerche in briologia e l’aiuto nell’identifi cazione di alcuni campioni. Ringrazio il sig. Franco Bersan (Università di Trieste) e il dott. Luca Strazzaboschi per l’aiuto nel lavoro in campo. Lo studio è stato realizzato nell’ambito del “Progetto per il completamento della predi- sposizione del piano di gestione del SIC IT3340006 “Carso triestino e goriziano” e della ZPS IT3341002 “Aree carsiche della Venezia Giulia”, per l’effettuazione di attività preliminari alla sua adozione e per l’attuazione dei monitoraggi di cui all’art. 7 del DPR 357/97 e succ. mod. e int.” – “Integrazioni al Catasto grotte del sito SIC IT3340006 “Carso triestino e goriziano” e della ZPS IT3341002 “Aree carsiche della Venezia Giulia” “ (incaricato: dott. Fabio Stoch), del Servizio caccia, pesca e ambienti naturali – Direzione centrale risorse rurali, agroalimentari e forestali - Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, che conserva la proprietà dei dati.

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101 Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 103-115 Trieste 2011

FRANCESCO SGUAZZIN(*) – ELIO POLLI(**)

BRIOFITE NELL’ANTRO DI CASALI NERI (GROTTA SUL MONTE SAN MICHELE, 326/450 VG) CONTRIBUTO ALLA CONOSCENZA DELLA SPELEOFLORA DEL CARSO ISONTINO

RIASSUNTO Dopo una premessa sui vari aspetti (geomorfologici, climatici, vegetazionali e storici) dell’Antro di Casali Neri (Grotta sul Monte San Michele, 326/450 VG, Comune di Savogna, Carso isontino), vengono prese in considerazione le Briofi te presenti all’ingresso della cavità e nella dolina al fondo della quale si apre l’ipogeo. Per ciascuna delle 32 specie (7 epatiche e 25 muschi), rinvenute nel singolare ambiente cavernicolo, sono indicati il substrato, l’elemento corologico, la strategia di vita e le esigenze di luce, concordemente con precedenti osservazioni e ricerche effettuate in varie cavità del Carso triestino. Nel corso dell’indagine è apparso interessante il rinvenimento di Bryum moravicum (= B. laevipilum), muschio per il quale esisteva soltanto una segnalazione risalente peraltro all’inizio del secolo scorso. Continua con il presente contributo l’indagine sulla briofl ora delle cavità carsiche, sia di quelle pre- senti sull’altipiano triestino che di quelle che si aprono nel territorio isontino. Scopo essenziale di questa, e di future ricerche, è quello di fornire un quadro il più signifi cativo possibile sulla presenza e sull’identità, nella regione Friuli Venezia Giulia, delle Briofi te, gruppo di vegetali ancor poco osservato e studiato.

SUMMARY

BRYOPHYTES IN THE CASALI NERI CAVERN (CAVE ON THE MOUNT SAINT MICHAEL, 326/450 VG) – CONTRIBUTION TO THE KNOWLEDGE OF THE ISONZO KARST SPELAEOFLORA After a preliminary statement about the different aspects (geomorphologycal, climatic, vegetational and historical) of the Casali Neri Cavern (Cave on the Mount Saint Michael, 326/450 VG, Savogna, Isonzo Karst), the Bryophytes, present at the cavity entrance and at the end of the dolina where the hypogeum opens, are considered. The substratum, chorologycal element, life strategy and light exigency — ac- cording to former observations and researches in some cavities of the Trieste Karst — are pointed out for each of the 32 species (7 liverworts and 25 mosses) found in the singulare cave milieu.

(*) Gruppo di Lavoro per la Briologia della Società Botanica Italiana – Via Selvotta 61, I-33055 Muzzana del Turgnano (UD); e-mail: [email protected] (**) Commissione Grotte “E. Boegan”, Società Alpina della Giulie, C.A.I., via di Donota 2, I-34121; e-mail: [email protected]

103 During the research it seemed interesting the fi nding of Bryum moravicum (= B. laevipilum), a moss with only one recording in Friuli Venezia Giulia region, dated back at the beginning of the last century. The investigation on the Karst cavities Bryofl ora (both on Trieste plateau and on Isonzo territory) goes on with the present notes. The aim of this researches (and future ones) is to supply an as much as possible signifi cant outline of the presence and the identity, in Friuli Venezia Giulia region, of the Bryophytes, a plants group too sparely observed and studied.

POVZETEK

BRIOFITE V JAMI CASALI NERI (NA VRHU SVETEGA MIHAELA, 326/450 VG). PRISPEVEK K SPOZNAVANJU SPELEOFLORE NA POSOŠKEM KRASU

Po predgovoru o različnih vidikih opazovanja (geomorfološkega, klimatičnega, vegetacijskega in zgodovinskega), ki jih nudi jama Casali Neri (na Vrhu v občini Sovodnje na Posoškem krasu, 326/450 VG), je govora o briofi tih, ki se nahajajo ob vhodu v jamo in v dolini, ki vanjo vodi. Za vsako od 32 vrst (7 jetrenjakov in 25 mahov) tega habitata so naznačeni substrat, fi togeografska pripadnost, preživitvene strategije in potreba po svetlobi, v skladu s prejšnjimi raziskavami v raznih jamah tržaškega krasa. Med raziskovanjem je zbudilo posebno pozornost odkritje maha Bryum moravicum (ali B. laevipilum), za katerega je doslej obstajala le ena informacija iz začetka preteklega stoletja. Prispevek nadaljuje raziskavo briofl ore v kraških jamah, bodisi na tržaški planoti kot v Posočju. Glavni namen teh in bodočih raziskav je izdelava kolikor mogoče izčrpnega prikaza značilnosti briofi t, te doslej malo opazovane in preučene skupine rastlinstva, in njihove prisotnosti v Furlaniji Julijski Krajini.

Introduzione

L’Antro di Casali Neri (Grotta sul Monte San Michele, 326/450 VG), incluso nel Comune di Savogna (Provincia di Gorizia), è una cavità fossile, ad andamento sub orizzontale e costi- tuisce uno dei più singolari ipogei del Carso isontino. Il primo rilievo avvenne ad opera di Italo Gariboldi (SAG) ed è datato 15 maggio 1924. Successive revisioni ed aggiornamenti furono eseguiti da Adalberto Kozel (28.01.1964, Comm. Gr. “E. Boegan”) e da Silvestri e Lescovez (18.01.1970, Gr. Spel. “Bertarelli”). Il rilievo com- pleto della cavità lo si deve ad Igor Juren e Albano Marusig (26.01.1990, JKKK, “Talpe del Carso”). Riferendosi all’Elemento 088111 “San Michele del Carso” della CTR 1:5000 (1990), le coordinate geografi che dell’ipogeo sono: long. 13° 32' 54,10" E, lat. 45° 52' 44,10" N; q. ingresso 188 m, q. fondo 173,60 m. Quelle chilometriche sono invece: long. 2407282 E, lat. 5081543 N. La profondità complessiva è di 14,40 m e lo sviluppo di 55 m. Secondo la tradizione locale la grotta doveva però essere molto più estesa. Si riteneva infatti che, dopo un lungo percorso, l’ipogeo sboccasse all’aperto in un punto situato fra il cimitero e la chiesa di San Martino del Carso. Oltre al particolare interesse briofi tico, oggetto del presente contributo, l’Antro — conosciu- to anche come Grotta dell’Orco, Caverna-Ricovero degli Honved e, localmente, Pečina e Jama na hribu Sv. Mihaela — riveste pure una notevole importanza sotto quello bellico. Dall’inizio della Grande Guerra, e sino all’agosto 1916, sia la cavità principale sia la dolina che l’include (non molto distante allora dalla prima linea) furono adattate a dormitorio e ricovero delle truppe austro-ungariche. Per migliorare le condizioni di sicurezza e le capacità ricettive, oltre all’attuazione d’imponenti opere di sostegno murario, furono costruiti diversi baraccamenti e, all’interno della grotta, si realizzarono numerose ampie gradinate e vari ripiani. Il complesso,

104 a lavori ultimati, poteva ospi- tare 1200 soldati, la maggior parte dei quali appartenevano al 20° Honved, reggimento austro-ungarico costituito in prevalenza da soldati unghe- resi, con a capo il generale Geza Von Lukacich. Alla base della parete ed a sinistra dell’ingresso, un vano artifi ciale testimonia ancor oggi la posizione di un motore che forniva l’elettricità a tutto il complesso. Dopo la Sesta battaglia dell’Isonzo le truppe italiane occuparono la caverna e v’installarono un comando di artiglieria. Una targa, con la dicitura “29° Raggruppamen- to Assedio Colon. Hesse XXX VIII–MCMXVII (30.8.1917)” è visibile immediatamente a destra della gradinata d’acces- so alla dolina. Fig. 1 – Antro di Casali Neri (Grotta sul Monte San Michele – 326/450 Il complesso ipogeo è ar- VG). ticolato in due caverne. La prima ha le dimensioni di 25 x 25 x 10 m; la seconda, cui s’accede oltrepassando uno stipite attualmente privo della porta, è di proporzioni minori. Il muro, che ora ostruisce la cavità, è stato realizzato nel 1965 dal- l’Università di Trieste che, all’interno, sistemò alcuni sismografi . Al fondo dell’antro giace un deposito di sabbie e ghiaie quarzose, contenenti anche gra- nuli scuri costituiti da vari ossidi ed idrossidi di Al e Fe, fra cui la maghemite, con proprietà ferromagnetica, indicatrice d’ambienti ricchi d’acqua. Ogni anno nella cavità, illuminata artifi cialmente, viene organizzata a cura del Gruppo Speleologico L. V. Bertarelli una cerimonia religiosa.

Flora e vegetazione

La dolina che include l’Antro, con il diametro di una quarantina di metri, è inclusa nell’Area di Base 101/47 (Progetto Cartografi co Ehrendorfer & Hamann, 1965), Sezione N. 7 del Carso isontino e triestino (M. S. Michele, Codice 10147.1.2). Essa ospita una rigogliosa vegetazione, strettamente dipendente dall’accentuato fenomeno dell’inversione termica che si verifi ca nel sito. L’aria fredda notturna fl uisce al fondo e, a causa della sua maggiore densità, vi permane a lungo, non riuscendo a salire per il limitato riscaldamento diurno. Nel corso della visita effettuata il 17 giugno 2010, oltre a rilevare le specie botaniche, sono state eseguite misure termometriche in vari punti della dolina ed all’ingresso della cavità. Nella sottostante Tab. N. 1 sono riportati i rispettivi valori termici che evidenziano la notevole differenza di temperatura (-11,5 °C in 14 m di dislivello) fra l’ambiente esterno e l’imboccatura dell’ipogeo.

105 Tabella n. 1

Sito Ora (legale) Temperatura

Esterno, fra il margine della dolina e la carrareccia 10.00 21,6 °C Alla base della “Targa Hesse” 10.10 20,2 °C Sul sentiero d’accesso, in prossimità dei tigli 10.25 19,3 °C All’interno della nicchia 10.40 18,1 °C All’estremità del sentiero d’accesso 10.50 17,0 °C Dinanzi all’ingresso murato 11.00 14,3 °C Fra i due ingressi 11.03 13,8 °C Dinanzi all’ingresso, accanto all’inferriata 11.05 10,2 °C Alla base della porticina d’accesso 11.07 10,1 °C Esterno, fra il margine della dolina e la carrareccia 11.25 23,7° C

Nei mesi invernali, intorno a mezzogiorno, il sole penetra nella cavità attraverso una mar- cata apertura posta sopra all’entrata rischiarando la grande caverna. La vegetazione nella dolina, a causa della ridotta profondità e della modesta quota (scarsi 200 m d’altitudine), presenta soltanto alcuni dei componenti l’Asaro-Carpinetum betuli Lausi 64, accompagnati da varie specie umbrofi le: Arabis turrita, Asplenium trichomanes, Campa- nula trachelium/trachelium, Celtis australis (plantule), Geranium robertianum/robertianum, Geum urbanum, Glechoma hederacea, Hedera helix/helix, Hylotelephium telephium/maximum, Lamium montanum, Lamium orvala, Lathyrus niger/niger, Lathyrus vernus/vernus, Lonicera japonica, Mercurialis ovata, Polypodium vulgare, Rubus sp., Ruscus aculeatus, Sambucus nigra, Silene latifolia/alba, Silene nutans/nutans, Viola sp.. Fra le specie termofi le che si sviluppano sul margine esterno meridionale (Corno-Ligustretum Poldini 80, non Horvatič = Rubo ulmifolii- Ligustretum vulgare Poldini ass. nova) spiccano Acer campestre, Asparagus acutifolius, Asple- nium ceterach/ceterach, Clematis vitalba, Cornus sanguinea hungarica, Cotinus coggygria, Ficus carica, Fraxinus ornus/ornus, Laurus nobilis, Ligustrum vulgare, Melittis melissophyllum melissophyllum, Paliurus spina-christi, Rosa canina, Rubus ulmifolius, Viburnum lantana. Nello strato arboreo sono presenti alcuni notevoli esemplari di Tilia platyphyllos platyphyllos (1,97 m di circonferenza, misurata ad 1,30 m dal suolo il maggiore di essi), qualche Ostrya car- pinifolia (0,94 m la più vigorosa) ed un paio di ragguardevoli Fraxinus ornus/ornus (0,92 m). La presenza di Asplenium scolopendrium/scolopendrium conferisce all’ambiente un carat- tere di continentalità. La specie si sviluppa, in ridotti esemplari, sia sulla parete che incombe sull’ipogeo, a sinistra della porticina d’accesso, sia dopo la nicchia, sul sentiero prospiciente l’ingresso. Qui esiste un nucleo costituito da 8 fronde in buono stato vegetativo e, nell’imme- diato ambiente circostante, sono individuabili due ulteriori nuclei, però con poche fronde. La presenza di Asplenium scolopendrium/scolopendrium, nelle cavità del Carso goriziano, è piuttosto infrequente e limitata a poche stazioni, a differenza del territorio carsico triestino, in cui è attualmente presente in 52 ipogei. L’entità si sviluppa, in maniera più o meno rimar- chevole, nell’Abisso Bonetti (393/765 VG), nell’Antro di Colle Nero (427/749 VG), nel Pozzo della Spelea (Pozzo IV di S. Martino o Spelonca sotto Baredi, 418/755 VG), nella Grotta Due Piani (Grotta ad Est di S. Martino del Carso, 1166/4253 VG) e nell’Antro della Biscia Morta (1481/4266 VG).

106 Fig 2 – Antro di Casali Neri (326/450 VG). Rigogliosità della vegetazione al fondo della dolina, in pros- simità dell’ingresso. (Foto Elio Polli, 17.06.2010) Fig. 3 – Antro di Casali Neri (326/450 VG). La strapiombante parete colonizzata da lussureggiante ve- getazione. Quasi al centro si notano le fronde di una delle poche stazioni di Asplenium scolopendrium/ scolopendrium che si sviluppano nell’Antro. (Foto Elio Polli, 17.06.2010)

107 Fig. 4 – Asplenium scolopen- drium L./scolopendrium. Uno dei rari nuclei che colonizzano l’An- tro di Casali Neri (326/450 VG). La specie è peraltro infrequente nelle cavità del Carso isontino. (Foto Elio Polli, 17.06.2010)

Fig. 5 – Anomodon viticulosus (Hedw.) Hook & Taylor. Frequen- te sulle rocce alla base della doli- na. L’entità, temperata perenne, è da considerarsi da considerevol- mente sciafi la a moderatamente fotofi la. (Foto Elio Polli, 17.06.2010)

Briofi te raccolte nell’ambito dell’Antro di Casali Neri (326/450 VG, Carso Isontino)

Continua, con il presente contributo, l’indagine sulla briofl ora delle cavità carsiche. Lo scopo è di fornire un quadro il più signifi cativo possibile sulla presenza, nella nostra piccola regione, di un gruppo di vegetali (i muschi e le epatiche) che è stato fi nora abbastanza trascu- rato dai botanici. In bibliografi a sono riportati, tra gli altri, i principali lavori usciti nel secolo scorso sulle briofi te carsiche. Resta solo da aggiungere che, a partire dall’ultima decade del 1900, gli studi sulla fl ora briologica carsica si sono intensifi cati e che è recentemente uscita, a cura della ricercatrice Tacchi (2007), la prima check list sulla briofl ora carsica.

Metodi

La nomenclatura delle specie segue Aleffi, Tacchi & Cortini Pedrotti † (2008) sia per quanto riguarda le epatiche che per i muschi. Le indicazioni corologiche citate negli elenchi si attengono a Düll (1982, 1984,1985, 1992), mentre quelle ecologiche si rifanno a Dierssen (2001). La determinazione delle specie è stata effettuata attraverso i lavori di Cortini Pedrotti

108 (2001, 2005); Smith (1990, 2004); Frahm & Frey (2004); Frey, Frahm & Lobin (2006); Damsholt (2002); Paton (1999); Schumacker R. & VáŇa J. (2005). L’elenco comprende 32 specie (7 epatiche e 25 muschi). Di quasi tutte è conservato un campione nell’Erbario Briologico di F. Sguazzin, che ha provveduto alla determinazione.

ELENCO

Hepaticae

Frullania dilatata (L.) Dumort. Su legni marci davanti alla grotta. Specie temperata, perenne, da moderatamente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Lejeunea cavifolia (Ehrh.) Lindb. Su rocce alla base della dolina. Specie suboceanico-montana, perenne e con spore a vita lunga, da altamente sciafi la a consi- derevolmente sciafi la (meno di 1/50 della luce del giorno).

Lophocolea bidentata (L.) Dumort. Su tronchi di alberi davanti all’imboccatura dell’antro. Specie temperata, perenne competitiva, da considerevolmente sciafi la a moderatamente fo- tofi la.

Metzgeria furcata (L.) Dumort. Su tronchi di alberi davanti all’imboccatura dell’antro. Specie ovest temperata, perenne, da altamente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Porella platyphylla (L.) Pfeiff. Su un tiglio davanti all’antro. Specie ovest temperata, perenne stress tollerante, da altamente sciafi la a moderatamente fo- tofi la.

Radula complanata (L.) Dumort. Su tronchi di alberi davanti all’imboccatura dell’antro. Specie ovest temperata, perenne con spore a vita lunga, da moderatamente sciafi la a mode- ratamente fotofi la.

Radula lindbergiana Gottsche ex C. Hartm. Su legni marci davanti alla grotta. Specie ovest submediterranea-montana, perenne con spore a vita lunga, da considerevolmente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Musci

Amblystegium serpens (Hedw.) Schimp. Su rocce alla base della dolina. Specie temperata, perenne, da considerevolmente sciafi la a moderatamente fotofi la.

109 Anomodon attenuatus (Hedw.) Huebener Su un grosso tiglio e sul terreno davanti all’antro. Specie subcontinentale (-montana), perenne, da altamente a moderatamente sciafi la.

Anomodon longifolius (Schleich. ex Brid.) Hartm. Su rocce alla base della dolina. Specie boreale-montana, perenne, altamente sciafi la.

Anomodon rugelii (Müll. Hal.) Keissl. Su un grosso tiglio e sul terreno davanti all’antro. Specie nord subcontinentale-montana, perenne stress tollerante, considerevolmente sciafi la.

Anomodon viticulosus (Hedw.) Hook & Taylor Su rocce alla base della dolina. Specie temperata, perenne, da considerevolmente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Brachythecium rutabulum (Hedw.) Schimp. Sul terreno davanti all’antro. Specie temperata, colonizzatrice pioniera, da considerevolmente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Bryum moravicum Podp. (= Bryum fl accidum Brid.) Su tronchi di alberi davanti all’imboccatura dell’antro. Specie temperata, colonizzatrice, sciafi la.

Cirriphyllum crassinervium (Taylor) Loeske & M. Fleisch. Sulle rocce dell’imboccatura dell’antro. Specie suboceanico (-montana), perenne, sciafi la.

Ctenidium molluscum (Hedw.) Mitt. Sulle rocce davanti all’imboccatura dell’antro. Specie temperata, perenne competitiva, da moderatamente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Fissidens taxifolius Hedw. subsp. taxifolius Sulle rocce dell’imboccatura dell’antro. Specie temperata, colonizzatrice, da moderatamente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Hygroamblystegium varium (Hedw.) Mönk. [= Amblystegium varium (Hedw.) Lindb.] Su un tiglio davanti all’antro. Specie temperata, perenne, da moderatamente sciafi la a considerevolmente fotofi la.

Hypnum cupressiforme Hedw. var. cupressiforme Su legni marci davanti all’imboccatura dell’antro. Specie temperata, perenne stress tollerante, da moderatamente sciafi la a moderatamente fo- tofi la.

Hypnum cupressiforme Hedw. var. fi l i f o r m e Brid. Su tronchi di alberi davanti all’imboccatura dell’antro. Specie temperata, perenne stress tollerante, da moderatamente sciafi la a considerevolmente fotofi la.

110 Leptodon smithii (Hedw.) F. Weber & D. Mohr Su un tiglio davanti all’antro. Specie oceanica-mediterranea, perenne, da moderatamente ad altamente fotofi la.

Neckera besseri (Lobarz) Jur. (= Homalia sendtneriana B.S.& G.) Su legni marci davanti alla grotta. Specie subcontinentale-montana, perenne stress tollerante, sciafi la.

Neckera complanata (Hedw.) Huebener Su un grosso tiglio e sul terreno davanti all’antro. Specie temperata, perenne, da moderatamente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Orthotrichum lyellii Hook. & Taylor Su legni marci davanti alla grotta. Specie suboceanica-submediterranea, poche grandi spore a vita corta, da considerevolmente ad altamente fotofi la.

Oxyrrhynchium hians (Hedw.) Su rocce alla base della dolina. Specie temperata, colonizzatrice pioniera, da moderatamente sciafi la a considerevolmente fotofi la.

Plagiomnium cuspidatum (Hedw.) T. J. Kop. Sul terreno davanti all’antro. Specie subboreale, perenne competitiva, da considerevolmente a moderatamente sciafi la.

Plagiomnium undulatum (Hedw.) T. J. Kop. Sul terreno davanti all’antro. Specie temperata, perenne competitiva, da moderatamente ad altamente sciafi la.

Platygyrium repens (Brid.) Schimp. Su legni marci davanti alla grotta. Specie subcontinentale, perenne stress tollerante, moderatamente fotofi la.

Rhynchostegiella tenella (Dicks.) Limpr. var. tenella Sulle rocce dell’imboccatura della grotta. Specie submediterranea-suboceanica, perenne stress tollerante, da altamente sciafi la a mo- deratamente fotofi la.

Scorpiurium circinatum (Bruch) M. Fleisch. & Loeske Su rocce alla base della dolina. Specie oceanico-mediterranea, perenne, da considerevolmente sciafi la a moderatamente fotofi la.

Taxiphyllum wissgrillii (Garov.) Wijk & Margad. Su rocce alla base della dolina. Specie suboceanica, perenne stress tollerante, da altamente a moderatamente sciafi la.

Thamnobryum alopecurum (Hedw.) Gangulee Su rocce alla base della dolina. Specie suboceanico-submediterranea, perenne, da moderatamente sciafi la a considerevolmente sciafi la.

111 Conclusioni

La corologia delle 32 specie rinvenute nel sito esplorato mostra una netta prevalenza delle specie temperate (53,1%), che dominano sia fra le 7 epatiche che tra i 25 muschi elencati. Al secondo posto troviamo il gruppo oceanico-sub oceanico con un 28,1%, mentre le specie fredde (boreali-sub boreali) sono solamente 2, pari ad un 6,2%. Per quanto concerne le strategie di vita, sono in assoluta maggioranza le specie perenni (84%), con una presenza abbastanza signifi cativa di entità tolleranti lo stress (25%). Riguardo alla luce, 10 specie (solo muschi) rientrano nel gruppo delle nettamente sciafi le e 3 specie (sempre solo muschi) in quello delle fotofi le. La maggioranza (19 specie, pari al 59,4%) appartiene al gruppo più plastico, capace cioè di insediarsi sia in habitat più o meno sciafi li che più o meno fotofi li. Corologia, strategie di vita, adattamento alla disponibilità di luce sono in linea con prece- denti osservazioni in altre cavità del Carso triestino (cfr. per es. Sguazzin: 2004, 2005). Può essere considerato interessante il rinvenimento, in questa piccola stazione carsica, di Bryum moravicum (= B. laevipilum), muschio per il quale esisteva solo la vecchia segnalazione di Loitlesberger (1909) per i giardini di Gorizia (sub B. capillare var. fl a c c i d u m ).

Ringraziamenti

Desideriamo esprimere la nostra gratitudine alla signora Iva Sancin Birsa che, anche in quest’occasione, ha curato la traduzione del riassunto in lingua slovena.

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FABIO GEMITI(*)

ORIGINE E BILANCIO DEI CLORURI NELLE ACQUE DEL CARSO CLASSICO

RIASSUNTO

È stato fatto un bilancio quantitativo dello ione cloruro nelle acque in ingresso ed uscita del Carso Classico. Sono stati presi in considerazione gli apporti in cloruri delle acque piovane, delle acque di percolazione, dell’alto Timavo e dell’Isonzo, delle attività antropiche. Il contributo dei cloruri di origine antropica nei defl ussi idrici delle risorgive carsiche comprese tra Aurisina e il Lisert, con portata di 35,1 mc/s e concentrazione media di cloruri di 6,6 mg/l, è stato stimato in 1,7 mg/l. Tale apporto non è pertanto rilevante e non giustifi ca i valori relativamente elevati, mediamente 45 mg/l, delle acque sotterranee prelevate dall’acquedotto sloveno in località Klariči, nel Vallone di Brestovizza. In termini di concentrazione vi è un esubero di cloruri nei defl ussi pari a 2 mg/l. Questo eccesso di cloruri è proba- bilmente in relazione ad una contaminazione attuale o remota da parte di acque salmastre. La presenza di cloruri e degli altri sali di origine marina è stata infatti rilevata nelle acque di alcune sorgenti e cavità nei pressi della costa, nei pozzi del Lisert e nelle falde acquifere a contatto con i calcari della bassa pianura friulana tra S. Pier d’Isonzo e Monfalcone.

ABSTRACT

In this paper a quantitative evaluation of chloride ion in the waters entering and leaving the Clas- sical Karst is reported. The contributions of chloride in rain water, in percholation, in the high Ti- mavo and Isonzo water, and in anthropic activities has been considered. The contribution of anthropic origin chloride in the water runoff of the Karst springs situated between Aurisina and the Lisert, with capacity of 35,1 mc/s and an average concentration of chlorides of 6,6 mg/l, was evaluated at 1,7 mg/l. Such contribution is therefore not relevant and doesn’t justify the high values, average 45 mg/l, of the subterranean water drawn from the slovenian aqueduct at Klariči, in the Basovizza deep valley. As concentration is concerned, there is a chloride excess in the water runoff corresponding to 2 mg/l. This chloride excess is probably related to contamination, in present or distant times, caused by brackish water. The presence of chlorides and other salts of marine origin was in fact observed in the water of a few springs and hollows near the coast, in the wells of Lisert and on the aquifers in contact with the limestone of the low Friuli plain between St. Pier d’Isonzo and Monfalcone.

IZVLEČEK

Opravljena je bila kvantitativna bilanca iona klorida, ki vstopa in iztopa iz Klasičnega Krasa. Upošte- vani so bili doprinosi kloridov deževnice, vode, ki se preceja skozi površje, reke Reke, Soče, in človeških

(*) Chimico, Via Tedeschi 3, I-34123 Trieste, [email protected]

117 dejanosti. Doprinos kloridov, ki je posledica človeških dejanosti v izvirih med Nabrežino in Lisertom, ki imajo povprečen pretok 35,1 kubičnih metrov na sekundo in vsebujejio povprečno 6,6 mg/l klorida, je bil ocenjen na 1,7 mg/l. Ta doprinos ni pomemben in ne opravičuje sorazmerno visoke vsebine klorida, povprečno 45 mg/l, v podzemeljski vodi, ki jo zajema slovenski vodovod pri Klaričih pri Brestovici. Opa- zovanja kazejo, da znaša presežek kloridov v izvirih 2 mg/l. Ta presežek kloridov je verjetno posledica doprinosa, sedanjega ali iz preteklosti, slane vode. Prisotnost kloridov in drugih soli, ki se nahajajo v morski vodi, je opazna v nekaterih izvirih in jamah ob obali, v vrtinah pri Lisertu in v vodi, ki se nahaja na stiku med apnencem in podtalnico v spodnji Furlanski nižini med Tržičem in S.Pier d’Isonzo (Špeter).

1. INTRODUZIONE

1.1. Generalità sullo ione cloruro

I cloruri sono largamente diffusi in natura, generalmente sotto forma di sali di sodio (NaCl) e di potassio (KCl). Gli oceani, con 19.000 mg/l di Cl, contengono la maggiore quantità di cloruri presenti nell’ambiente. Le acque piovane presentano generalmente cloruri in quantità inferiori a 1 mg/l, valori più elevati si riscontrano in prossimità delle coste. Gli ioni cloruro si trovano solo in piccole quantità nelle rocce ignee, metamorfi che e carbo- natiche. In queste ultime il contenuto medio è di 305 mg/Kg (Matthess, 1982). Valori molto elevati si hanno invece nelle evaporiti e nelle esalazioni vulcaniche. Tracce dell’acqua marina originaria possono essere trattenute, per tempi geologici consi- derevoli, nei sedimenti con grana fi ne, come gessi e arenarie. Di conseguenza le acque che scorrono su queste formazioni possono arricchirsi di cloruri (Bianucci et al., 1985). Nelle acque naturali, i cloruri originati dalla dissoluzione delle rocce sono generalmente inferiori a 50 mg/l (Golden, 1970). Nelle acque potabili, la concentrazione massima ammis- sibile è di 250 mg/l, con valori superiori si avverte il gusto di salato. Gli ioni cloruro per la loro elevata solubilità ed il piccolo raggio ionico non vengono assor- biti dai materiali con cui la fase acquosa viene a contatto, per cui possono essere considerati un tracciante conservativo: la quantità che entra in un sistema deve essere eguale a quella che esce. Cloruri legati all’attività antropica sono dispersi nell’ambiente in vario modo: scarichi civili, zootecnici e industriali, salatura antigelo delle strade, percolati di discariche, concimazione dei terreni. Scaricano acque con elevato tenore di cloruri: cartiere che utilizzano il processo di sbian- ca con il cloro, fabbriche di cloro, di ipoclorito di sodio, di carbonato e bicarbonato di sodio, aziende galvaniche che utilizzano acido cloridrico per decappaggio, tutti gli impianti di ad- dolcimento dell’acqua mediante resine, prosciuttifi ci che salano le carni. La normativa italiana vigente prevede una concentrazione massima di cloruri allo scarico sul suolo di 200 mg/l e di 1200 mg/l in corsi d’acqua superfi ciali e in fognatura. Lo ione cloruro è essenziale per l’organismo umano e degli altri esseri viventi; attraversa facilmente le membrane cellulari e assicura una pressione osmotica, un bilancio idrico e un equilibrio acido-base appropriati. Il tenore di cloruri degli alimenti varia molto, le piante commestibili presentano general- mente una concentrazione inferiore a 0,5 mg/g, mentre la carne ed il pesce presentano concen- trazioni che arrivano fi no a 1,0 e 1,5 mg/g, rispettivamente. Senza aggiunte di sale nella dieta l’apporto degli alimenti sarebbe di soli 0,6 g/giorno/persona (sante de l’environnement et du milieu de travail, 1979). Secondo l’OMS il bisogno nutrizionale pro capite dovrebbe invece essere di 3 g/giorno di NaCl pari a 1,8 g/giorno di cloruri.

118 Questo defi cit viene compensato e superato di molto dalla salatura dei cibi, che può por- tare ad una assunzione fi no a 13 g/giorno. Il valore medio oscilla, a seconda dei paesi, tra 5 e 8 g/giorno. Poiché il 92% dei cloruri ingeriti sono escreti con le urine, nelle acque refl ue urbane l’ap- porto dei cloruri, derivante dal metabolismo umano, può essere stimato mediamente intorno a 6 g/giorno pro capite.

1.2. Impostazione del lavoro

Gli ioni cloruro, generalmente associati al sodio, sono presenti nelle acque sotterranee del Carso Classico (Carso triestino-goriziano e Carso sloveno) in quantità relativamente basse, generalmente inferiori ai 10 mg/l. Una anomalia è costituita dalle acque estratte dal sottosuolo nel vallone di Brestovizza (Slovenia), in località Klariči. I tre pozzi che alimentano l’acque- dotto (Kraški Vodovod Sežana), che fornisce l’acqua ai comuni del Carso sloveno, sono infatti caratterizzati da acque che contengono mediamente 45 mg/l di cloruri con punte di 64 mg/l. L’origine di questi cloruri è stata attribuita dai ricercatori sloveni (Doctor et al., 2000, 2006) ad un apporto signifi cativo di acque modifi cate da attività antropiche, però non vi è stato alcun approfondimento su quali attività umane potessero modifi care la composizione di una falda con una potenzialità di almeno 1 mc/s (Ministrstvo za Varstvo Okolja, 1992). Acque contenenti cloruri fi no a un massimo di 115 mg/l sono state individuate nel corso della terebrazione dei pozzi dell’acquedotto di Trieste (A.C.E.G.A., 1986), sia nel basamento calcareo che nelle falde immediatamente sovrastanti della bassa pianura friulana, tra S. Pier d’Isonzo (200 metri di profondità) e Monfalcone (50 metri di profondità). È noto inoltre (Bianucci et al., 1985) che acque sotterranee che fl uiscono su terreni di Flysh spesso contengono quantità relativamente elevate non solo di calcio e solfati ma anche di cloruri (fi no a 100 mg/l). Alla luce di quanto sopra si è deciso di approfondire l’argomento sull’origine dei cloruri nelle acque sotterranee del Carso Classico, utilizzando anche molti dati analitici inediti, tratti dagli archivi della ex azienda municipalizzata di Trieste (ACEGAT, poi ACEGA, ACEGAS, ACEGAS-APS), di seguito indicata per semplicità come ACEGAS. Sono stati analizzati gli apporti naturali (precipitazioni, dissoluzione dei calcari, percola- zione attraverso i sedimenti terrosi, infi ltrazioni di acque marine) e quelli di natura antropica (acque di scarico urbane, refl ui industriali, percolati di discarica, salatura antighiaccio delle strade). Altri apporti idrici alla falda carsica — e quindi di ioni cloruro — sono costituiti dai corsi d’acqua che si immettono direttamente nel sottosuolo carsico (in primis l’alto Timavo o Reka) o indirettamente, attraverso le alluvioni a contatto con la roccia calcarea (Isonzo e in subordine Vipacco). È stato successivamente analizzato il contenuto di cloruri in alcune acque di fondo carsiche raggiungibili attraverso cavità (Trebiciano, Lindner, Skilan) o estratte dal sottosuolo mediante trivellazioni, come nel caso dei pozzi di Brestovizza. Infi ne è stato sintetizzato il contenuto di cloruri di tutte le principali risorgenze carsiche, comprese tra Monfalcone e Aurisina e di alcune sorgenti e pozzi in terreno di Flysch. Alla luce di tutti i dati analitici acquisiti è stata fatto un bilancio dei cloruri e sono state formulate alcune ipotesi sull’origine dei cloruri presenti nelle acque dei pozzi di Klariči.

***

119 1. I CLORURI NELLE PRECIPITAZIONI

Il contenuto di cloruri nelle precipitazioni è generalmente associato agli aerosol marini e quindi è maggiore in prossimità della costa. La ricaduta degli aerosol marini può avvenire in forma secca (dry) o umida (wet). Le analisi effettuate nel passato in provincia di Trieste fanno riferimento al campione totale (bulk), risultante dalle deposizioni secche + umide. Secondo un’indagine svolta dal C.N.R. e da altri enti (Elli et al. 1998a, 1998b), nel periodo 1959-1960, il contenuto medio di cloruri nelle precipitazioni (bulk) rilevate a Basovizza è stato di 1,1 mg/l. Nello stesso periodo, a Trieste, la concentrazione media di cloruri rilevata presso l’Istituto Talassografi co, situato a 300 metri dal mare, è stata di 2,4 mg/l. Sempre a Trieste, nel periodo 1990-1993, la deposizione wet è stata di 1,1 mg/l . Sul contenuto di cloruri nei singoli eventi meteorici si hanno maggiori informazioni da indagini svolte da ACEGAS (dati inediti) nel periodo 26 gennaio-20 ottobre 1990, mediante analisi bulk delle piogge raccolte a S. Giovanni di Duino (a 1250 m dalla costa), e a Trieste nell’area del Broletto (a 500 m dalla costa), utilizzando la cromatografi a ionica. Un’altra fonte di dati è costituita dalle analisi svolte dalla stessa ACEGAS per conto di Hydrores su campioni raccolti a Monrupino nel periodo 21 maggio 1990-29 marzo 1992. Nella tabella 1 sono sintetizzati i risultati ottenuti.

Media Località Minimo Massimo Media Mediana ponderata S. Giovanni di Duino 0,2 7,6 1,8 1,2 1,3 Trieste, Broletto 0,2 17,3 2,4 1,5 0,9 Monrupino 0,4 16,9 2,6 1,3 1,6

Tab. 1 – I cloruri nelle precipitazioni (dati inediti ACEGAS).

Si fa presente che le concentrazioni più elevate fanno riferimento a basse quantità di pre- cipitazioni, che quindi incidono in maniera poco signifi cativa sulla ricaduta dei cloruri. Escludendo questi casi particolari, piuttosto rari, i valori più elevati di cloruri nelle preci- pitazioni sul Carso Triestino non superano generalmente i 6 mg/l. I campioni prelevati a S. Giovanni di Duino e a Trieste sono riferibili prevalentemente alle deposizioni umide, quelli di Monurupino comprendono anche le deposizioni secche e per questo motivo, probabilmente, i valori trovati in questa stazione più lontana dalla costa sono anche i più elevati. In defi nitiva possiamo dire che sul Carso triestino le deposizioni secche ed umide di cloruri ammontano a circa 1,5 mg/l, con riferimento alle precipitazioni (1200-1400 mm/anno).

2. I CLORURI NELLE ACQUE DI PERCOLAZIONE

L’acqua piovana che raggiunge il suolo subisce il fenomeno dell’evapotraspirazione, che percentualmente varia durante il corso dell’anno tra il 20% e l’80%. Le acque di percolazione, raccolte ad alcuni metri di profondità, avranno pertanto un contenuto di cloruri maggiore delle acque piovane. Un’altra fonte di arricchimento in cloruri delle acque di percolazione potrebbe essere rappresentata dalla dissoluzione dei calcari. Sul contenuto di cloruri nelle rocce carbonatiche abbiamo trovato dati discordanti.

120 Timeus (1912) nel suo studio “Ricerche sul Timavo inferiore” riporta il contenuto di cloruri in alcuni calcari (7 litotipi), espressamente analizzati: le quantità variano tra 1,5% e 2% in peso (dati elaborati dall’autore). Un calcare nummulitico presentava un valore del 5%. Il Timeus ha anche effettuato delle prove di irrorazione con acqua di pioggia degli stessi calcari fi nemente triturati (1 Kg di roccia con 1 l di acqua), ottenendo sull’eluato valori com- presi tra 3 e 12 mg/l. Secondo Dematteis (1995) che ha analizzato con moderne tecniche di laboratorio 50 cam- pioni di roccia calcarea delle catene alpine dell’Europa centrale e meridionale (tra cui 4 cam- pioni di roccia del Carso classico), i cloruri non sono mai presenti nei lisciviati dei calcari. Anche il laboratorio di analisi dell’ACEGAS non ha trovato tracce di cloruri (valori inferiori allo 0,1%) in un campione di calcare prelevato presso Fernetti e in un campione di dolomia prelevata a Samatorza (dati inediti dell’autore, analisi effettuate il 7.2.1975). Lo stesso laboratorio ha analizzato il 6.5.1974 l’acqua distillata fatta percolare attraverso 15 cm di terra rossa, prelevata presso la grotta BAC (49 VG): l’acqua è risultata priva di clo- ruri (concentrazione inferiore a 0,5 mg/l), mentre è risultata particolarmente ricca di calcio (37 mg/l) e di solfati (15 mg/l). Supponendo che il contenuto medio di cloruri nelle rocce carbonatiche sia di 305 mg/kg (secondo Horn e Adams 1966 e Hem 1970 in “The properties of ground water” di Matthess, 1982), un litro di acqua di infi ltrazione carsica che ha disciolto 250 mg di calcare (durezza calci- ca = 25 °F) ha un contenuto di cloruri derivante dalla dissoluzione carsica di soli 0,08 mg/l. Da Comin Chiaramonti et al. (1982) si rileva invece che per le rocce del Carso triestino il contenuto medio di Cl- è di circa 44 mg/Kg (con un minimo di 3 mg/Kg ed un massimo di 98 mg/Kg) e quindi ancora notevolmente inferiore a quello della media rilevata sul pianeta. In base ai dati sopra riportati si è pertanto assunto che la dissoluzione dei calcari da parte delle acque di infi ltrazione non comporti contributi signifi cativi di cloruri.

Per quanto riguarda il dato sperimentale sul contenuto in cloruri delle acque di percolazio- ne del Carso triestino (stillicidi o depositi d’acqua in vaschette) sono stati raccolti tutti i dati d’archivio ACEGAS relativi al periodo 1973-1999, alcuni dei quali oggetto di pubblicazioni (Gemiti & Merlak, 1977, 1999, 2000). I dati fanno riferimento ad una ventina di cavità ed a circa 40 punti di raccolta. Tutte le ac- que esaminate non presentano tracce evidenti di inquinamento antropico, né attuale, né remoto. I valori dei cloruri sono compresi tra 1 e 6 mg/l. Solo nell’acqua di percolazione dell’abisso Lazzaro Jerko, prelevata il giorno 24.11.1999, si è riscontrato un valore di 13 mg/l, chiaramente in relazione ad una contaminazione antropica remota (18 mg/l di nitrati). Il valore medio delle acque di percolazione è risultato di 2,9 mg/l, la mediana di 2,5 mg/l.

3. I CLORURI DI ORIGINE ANTROPICA VEICOLATI NEL SOTTOSUOLO CARSICO

Il Carso non è intensamente urbanizzato, soprattutto dalla parte slovena, né le attività artigianali e industriali sono particolarmente sviluppate. Per quanto riguarda il comparto agricolo, l’unica coltura di una certa importanza è quella della vite, che però non impiega fertilizzanti a base di cloruri. Fonti non trascurabili di cloruri nel sottosuolo possono essere alcune grandi discariche di rifi uti e soprattutto l’uso del sale per la manutenzione stradale durante gli episodi di inne- vamento. Poiché gli apporti antropici di cloruri sono stati chiamati in causa per giustifi care gli ele- vati tenori riscontrati nelle acque dei pozzi di Klariči, si è cercato di stimare — almeno come ordine di grandezza — questo tipo di apporto alle acque fl uenti nel sottosuolo.

121 3.1. I cloruri nelle acque refl ue domestiche e del terziario

Nelle acque di scarico urbane, oltre ai cloruri prodotti dal metabolismo umano, sono presenti anche i cloruri derivanti da processi di salatura in cucina e da altre attività domestiche, per cui si può valutare in circa 10 g/abitante/giorno i cloruri provenienti dalle attività civili, addotti in fognatura. In un liquame urbano di media forza (consumo d’acqua pro capite di 200 l/abitante/giorno) il contenuto di cloruri viene pertanto ad essere di 50 mg/l, al netto dei cloruri preesistenti nell’acqua consumata, in linea con i dati di letteratura (Masotti, 1999; Passino, 1995). Sul Carso sloveno vivono 22.500 persone (Ravbar, 2004), sul Carso triestino e goriziano circa 27.000. Per la parte italiana il valore è stato ricavato dai dati riportati da Wikipedia (Internet) per comuni e centri abitati del Carso. In totale, quindi, abitano sul Carso Classico circa 49.500 persone. Le acque refl ue, provenienti da case singole o aggregati abitativi, vengono veicolate nel sottosuolo, dopo trattamenti di depurazione piuttosto sommari. Una quota parte degli scarichi, corrispondente a circa 5000 persone (parte del comune di Duino Aurisina e dell’abitato di Opicina), viene invece inviata ad impianti di depurazione, situati in prossimità della costa, e successivamente smaltita a mare. Poiché i processi di depurazione non infl uiscono sulla concentrazione dei cloruri nei liqua- mi, ma addirittura li possono aumentare se sono presenti trattamenti di disinfezione con cloro o ipoclorito di sodio, si può concludere che fl uiscono giornalmente nel sottosuolo del Carso Classico 445 Kg di cloruri, cioè 162 t/a (tabella 3). A ciò vanno aggiunti i cloruri presenti originariamente nelle acque potabili distribuite, cioè 45 mg/l per la parte slovena e 15 mg/l per la parte italiana. Tenuto conto che la fornitura annua di acqua potabile sul Carso sloveno è di 1.300.000 mc (Ravbar, 2004) e sul Carso italiano può essere stimata in 2.400.000 mc, in base ai dati forniti da ACEGAS e dall’Acquedotto del Carso, si ricava un ulteriore apporto di 96 t/a (tabella 3). Sul Carso triestino sono insediati due grandi complessi scientifi ci: l’Area di ricerca di Pa- driciano e il Sincrotrone di Basovizza. Il numero di abitanti equivalenti (A.E.), stimato in base ai consumi d’acqua e alla composizione degli scarichi, è di circa 2500. Il contributo annuo di cloruri risulta di 9 t/a (tabella 3).

3.2. I cloruri nelle acque refl ue derivate da processi produttivi

Non ci risulta che esistano sul Carso attività artigianali o industriali che possano scaricare quantità rilevanti di cloruri. Vi sono però in territorio sloveno alcuni prosciuttifi ci che utiliz- zano molto NaCl per i processi di salatura delle carni. Il più grande si trova a Šepulje, vicino a Sežana, gli altri due, di dimensioni più ridotte, sono rispettivamente a Kobjeglava e Lokev (Kranic, 1997). Il prosciuttifi cio di Šepulje consuma una notevole quantità d’acqua, 70.500 mc/anno e la concentrazione dei cloruri nelle acque di scarico spesso supera il valore limite (Ravbar, 2006). Per i tre impianti complessivamente è stato ipotizzato, in base ai dati di alcune realtà italiane, uno scarico di cloruri pari a 100 t/a (tabella 3). Anche i rifi uti organici degli allevamenti zootecnici contengono cloruri che direttamente o indirettamente (tramite i processi di concimazione dei campi) vengono sversati nel sottosuolo. Allevamenti zootecnici di grandi dimensioni non esistono sul Carso, comunque si è cercato di dare una dimensione all’entità degli apporti di cloruri. Per l’allevamento del bestiame in territorio sloveno si sono utilizzati i dati riportati nella monografi a Kras (Kranic, 1997), relativi al 1991, includendo anche il numero di equini al- levati a Lipizza. Per quanto riguarda gli allevamenti di polli si è fatto riferimento al lavoro di Ravbar (2006).

122 Per quanto riguarda la parte italiana si sono riportati i dati relativi alla provincia di Trieste nel 2003, raccolti dall’Ispettorato Provinciale dell’Agricoltura, ipotizzando che l’allevamento del bestiame avvenga prevalentemente sul Carso. Il numero di capi di bestiame è stato poi trasformato in abitanti equivalenti, utilizzando i coeffi cienti di trasformazione utilizzati in letteratura (Barbiero et al., 1991). Il dato fi nale, di 45415 A.E., riportato nella tabella 2, è stato successivamente arrotondato a 50.000 per tener conto degli allevamenti che si svolgono nella zona carsica, in provincia di Gorizia. Non si è riusciti a trovare in letteratura valori puntuali sul contributo di cloruri nelle deie- zioni degli animali di allevamento, che comunque hanno un metabolismo dei cloruri molto simile a quello dell’uomo. In base ai dati disponibili si è ipotizzato in 2 g/giorno l’emissione di cloruri per ogni abitante equivalente. L’apporto complessivo di cloruri derivante dall’attività zootecnica risulterebbe pertanto di 37 t/a (tabella 3).

Carso sloveno Carso triestino A.E./capo Totale A.E. Capi n° Capi n° n° n° Bovini 2.170 829 8,2 24.592 Suini .650 610 2,0 2.520 Equini .400 420 8,1 6.642 Ovini e caprini .235 688 1,8 1.661 Pollame 50.000 0,2 10.000

Totale 45.415

Tab. 2 – Parco zootecnico sul Carso Classico.

3.3. I cloruri nei percolati di discarica

Sul Carso ci sono due grandi discariche di rifi uti solidi urbani: quella di Trebiciano e quella di Sežana. Quella non più attiva di Trebiciano servì la città di Trieste dal 1960 al 1973 ed in essa sono stati accumulati — senza alcuna impermeabilizzazione del terreno e quindi senza sistemi di raccolta del percolato — circa 800.000 t di rifi uti solidi urbani, di cui 650.000 t di materiali organici (Favretto & Tunis, 1976). La superfi cie carsica interessata dalla discarica è valutabile in 120.000 m2. La discarica di Sežana è stata aperta nel 1971 e fi no al 2006 ha ospitato 200.000 t di rifi uti (Kogovšek & PetriČ, 2007). Nel caso di una discarica con impermeabilizzazione del fondo e raccolta del percolato, è valutabile in 2000 mg/l il contenuto di cloruri presente nel percolato, sia in fase di acetogenesi che di metanogenesi, e nel 20% della pioggia caduta la quantità di percolato raccolto sul fondo (Christensen et al., 1993). Nel caso della discarica di Trebiciano, priva di qualsiasi imper- meabilizzazione, è possibile fare una valutazione di massima del carico di cloruri rilasciati mediamente durante l’anno: supposto una precipitazione annua di 1300 mm, una infi ltrazione effi cace del 50%, un contenuto di cloruri di 1000 mg/l nell’acqua di percolazione, si ricava che la quantità annua di cloruri infi ltratisi nel sottosuolo carsico ammonta a 78 t/anno. Per la discarica di Sežana, che ha accumulato un quarto dei rifi uti rispetto a Trebiciano, è stato ipo- tizzato un contributo di cloruri proporzionale. Complessivamente quindi per le due discariche è stato valutato in 100 t/a l’apporto di cloruri nel sottosuolo (tabella 3).

123 3.4. I cloruri provenienti dalla salatura antighiaccio delle strade

La salatura delle strade per favorire lo scioglimento della neve e per impedire la forma- zione di ghiaccio è una pratica abituale nei paesi nordici, che si sta diffondendo capillarmente sull’intera rete stradale carsica, oltre che su quella autostradale. Sul territorio carsico italiano vi è una complessa struttura di manutenzione delle strade, con numerose competenze: comuni, provincia, regione, ANAS. Da informazioni assunte presso le singole entità è valutabile in 530 t il sale sparso durante un episodio di neve (tre giorni). Conside- rato che vi sono mediamente tre episodi di neve nell’arco dell’anno, la quantità di sale utilizzato ammonta a 1590 t/a, valore confrontabile con il dato sloveno (Ravbar, 2006) di 740 t/anno. Il totale di 2330 t/a corrisponde ad una immissione di cloruri di 1413 t /a (supponendo che si tratti solo di NaCl), cioè risulta essere di un ordine di grandezza superiore a quella di tutte le altre fonti antropiche, precedentemente trattate, come risulta dal quadro complessivo riportato nella tabella 3.

Abitanti A.E. Cloruri Cloruri Cloruri Fonte di cloruri n° n° g/ab/giorno Kg/giorno t/a Acque refl ue civili 44.500 10 445 162 Area R. e Sincrotrone 2.500 10 25 9 Refl ui zootecnici 50.000 2 100 37 Cloruri all’origine(*) 96 Discariche RSU 100 Salatura strade 1.413 Scarichi industriali 100

Totale apporti 1.917

Tab. 3 – Apporto di cloruri di origine antropica sul Carso Classico. (*) Cloruri presenti nell’acqua potabile distribuita e poi scaricata nel sottosuolo.

3.5. Effetto dei cloruri di origine antropica sul contenuto di cloruri alle risorgive

Dall’esame della tabella 3, in cui sono stati sintetizzati i principali apporti di cloruri deri- vanti dagli insediamenti civili e produttivi situati sul Carso e dalle attività connesse, si possono fare le seguenti considerazioni. Tra tutti gli apporti di origine antropica, la salatura delle strade durante gli episodi nevosi è quello più rilevante, di un ordine di grandezza superiore agli altri. Si tratta di una forma di inquinamento che si concentra in pochi giorni dell’anno ed i cui effetti sulle acque sotterranee del Carso Classico non sono mai stati studiati. Gli scarichi urbani, limitatamente ai cloruri, non costituiscono invece una fonte di inqui- namento particolarmente rilevante, anche perchè piuttosto diffusi sul territorio carsico. Gli apporti puntuali, derivanti dalle due discariche e dal grosso prosciuttifi cio di Šepulje, potrebbero avere effetti rilevanti sulle acque sotterranee sottostanti. Il quantitativo stimato di 1917 t/a di cloruri comporta alle risorgive — tenendo conto di una portata media di 35,1 mc/s (Gemiti, 1984) — un defl usso di 60,8 g/s di cloruri e quindi una concentrazione di 1,7 mg/l .

124 Conseguenza diretta di quanto sopra riportato è che gli apporti antropici di cloruri sul Carso Classico non possono in alcun modo giustifi care gli elevati livelli (mediamente 45 mg/l) che caratterizzano l’acqua dei pozzi di Brestovizza, tenuto conto che la portata della falda è stata valutata in almeno 1 mc/s.

4. I CLORURI NEI CORSI D’ACQUA SUPERFICIALI CHE ALIMENTANO LA FALDA CARSICA

Tre grossi corpi idrici superfi ciali alimentano direttamente o indirettamente la falda carsica: si tratta dell’alto Timavo (Notranjska Reka) che si inabissa a S. Canziano, dell’Isonzo con le dispersioni della falda isontina nella piana di Gorizia in direzione del Carso, del Vipacco con le perdite di subalveo a partire da Bilje. Per altri due corsi d’acqua, di portata molto minore e che si inabissano nel sottosuolo carsico, sono stati accertati mediante prove di marcatura i collegamenti idrici con le sorgenti carsiche comprese tra Aurisina e S. Giovanni di Duino: si tratta del Sajevski potok e della Raša (HabiČ, 1989). Mentre il contributo medio dell’alto Timavo è ben defi nito, cioè di 8,26 mc/s per il periodo 1961-1990 (Kogovšek & PetriČ, 2007), quello dell’Isonzo è stato solo recentemente stimato da Doctor (2008) in 19,8 mc/s, utilizzando i traccianti naturali nell’acqua e impiegando mo- derne tecniche di calcolo. L’entità degli apporti del Vipacco è invece molto incerta. Per accertare la continuità idrica tra Vipacco e Timavo il Timeus (1910) nel 1908 immise nell’acqua del fi ume a Vrtoče 10 Kg di cloruro di litio. Dopo cinque giorni il litio venne riscontrato, tramite misure spettroscopiche, nelle acque dei laghi di Doberdò, Pietrarossa e Sablici, alle sorgenti Sardos e nel ramo del Timavo più meridionale. Probabilmente due sono le vie di penetrazione delle acque del Vipacco nel Carso: la prima diretta, attraverso le fessurazioni calcaree non intasate da materiali argillosi nel tratto Vrtoče- Rupa; la seconda indiretta, tramite la falda isontina, a valle di Gabria. L’elevatissima torbidità delle acque del Vipacco durante le piene e la limpidezza delle acque di Doberdò anche in questi periodi farebbero comunque escludere apporti signifi cativi per via diretta. Qui di seguito viene riportata più in dettaglio la situazione dei cloruri per i tre corsi d’acqua e si puntualizzano alcune caratteristiche idrologiche e idrochimiche dell’alto Timavo, l’unico dei tre corsi d’acqua che durante le piene infl uisce — in modo diretto e molto pesante — sulla qualità dell’acqua alle risorgive di S. Giovanni di Duino.

4.1. Alto Timavo

L’alto Timavo drena le acque di un bacino imbrifero che si sviluppa prevalentemente su terreni impermeabili di Flysh, però riceve anche il contributo di notevoli sorgenti carsiche come la Bistrica. Presenta un regime nettamente torrentizio, con piene che possono superare i 300 mc/s e magre di soli 0,2 mc/s. Con la realizzazione di due bacini di accumulo, che ali- mentano il fi ume durante il periodo di magra, la portata minima non scende più sotto 1 mc/s. La portata media annua è di 8,26 mc/s. Il comune più importante che insiste sul bacino dell’alto Timavo è Villa del Nevoso (Ilirska Bistrica) con quasi 15.000 abitanti. Oltre agli scarichi civili l’alto Timavo riceve scarichi industriali, localizzati prevalente- mente a Villa del Nevoso.Tra il 1966 e il 1990 il fi ume è stato pesantemente inquinato dagli scarichi provenienti da una fabbrica di acidi organici (TOK) che ha cessato la propria attività nel 1990.

125 Dalla consultazione dei dati di archivio del laboratorio di analisi dell’ACEGAS risultano i seguenti dati (tabella 4) sul contenuto di cloruri delle acque del fi ume prelevate immediata- mente a monte di S. Canziano o a Vreme.

Periodo di osservazione N° di campioni Minimo Massimo Mediana

25.11.82 – 2.10.90 14 4,0 10,5 8,1 14.11.90 – 25.5.2000 66 2,6 9,6 4,5

Tab. 4 – Contenuto di cloruri (in mg/l) delle acque dell’alto Timavo.

Secondo Kogovšek (2001) il contenuto di cloruri nelle acque prelevate immediatamente a monte di S. Canziano raggiungeva i 9 mg/l prima del 1990; negli anni successivi si è mantenuto mediamente al di sotto dei 5 mg/l.

4.2. Isonzo e Vipacco

L’Isonzo e il suo affl uente Vipacco sono stati oggetto di prelievi periodici e analisi da par- te di Gemiti & Licciardello (1977), per un totale di 35 campioni prelevati nel 1975. Altre analisi periodiche sono state condotte tra il 1985 e il 1987 da Cancian (1987), per un totale di 12 campionature. Analisi mensili sono state effettuate dal laboratorio di analisi dell’ACEGAS nel periodo 8.4.93 - 6.3.2000 su 83 campioni d’acqua. Successive indagini sono state condotte da Reisenhofer et al. (1998), con 6 campionature effettuate nel 1994. I risultati relativi al contenuto di cloruri sono riportati sinteticamente nella tab 12. I prelievi sull’Isonzo da parte di ACEGAS sono stati effettuati a monte della confl uenza del Vipacco, in corrispondenza del ponte autostradale. Quelli sul Vipacco in località Rupa. La sintesi dei risultati è riportata nella tabella 5.

Corso d’acqua Minimo Massimo Media Mediana

Isonzo 0,5 6,1 2,2 1,9 Vipacco 2,1 6,7 3,7 3,5

Tab. 5 – Contenuto di cloruri (in mg/l) delle acque dell’Isonzo e del Vipacco (analisi ACEGAS).

5. I CLORURI NELLE ACQUE DI FONDO DEL CARSO TRIESTINO E GORIZIANO

Le principali fi nestre sulle acque di fondo carsiche sono costituite da cavità profonde che raggiungono il corso sotterraneo del Timavo: quattro si trovano in territorio sloveno e preci- samente una cavità sul fondo della dolina Risnjak (nei pressi di Divača), la Kačna Jama tra Divača e Lokev, la grotta di Kanjaduce nei pressi di Sežana, l’abisso nella dolina Stršinkna nei pressi di Orlek. Due si trovano in territorio italiano: l’abisso di Trebiciano e l’abisso Lazzaro Jerko. Altre cavità naturali o pozzi artifi ciali che raggiungono acque di fondo sono in territorio italiano la grotta Skilan, vicino al confi ne di Lipizza, e la grotta Linder nei pressi di S. Pelagio. Cavità con acque sul fondo, ma vicinissime alle risorgive del Timavo, sono il pozzo 226 della Ferrovia ed il pozzo dei Colombi. Nel Carso Goriziano le cavità che raggiungono la falda

126 sono la grotta Andrea ad ovest di Jamiano, il pozzo di Jamiano a sud del paese e la grotta di Comarie in prossimità del confi ne, nel vallone di Brestovizza. Nei pressi di Monfalcone cavità con acqua sul fondo sono la Grotta ad est della stazione e il pozzo presso la 4512 VG . Nel vallone di Brestovizza troviamo la Dolenjca Jama e la Drča Jama ed i pozzi artifi ciali di Klariči: il B-4 ed altri tre pozzi vicini che alimentano il Kraški Vodovod. Altri pozzi dia- gnostici sono stati trivellati all’inizio degli anni ’80 nel vallone di Brestovizza: B-2, B-3, B-5, B-6, B-7, B-8 Nella fi g. 1 è riportato il posizionamento di cavità con acqua, pozzi e sorgenti nella zona che va da Sistiana a Monfalcone e comprende il lago di Doberdò e il vallone di Brestovizza. Sulla composizione delle acque del Timavo sotterraneo la più ampia documentazione disponibile è certamente quella relativa al corso d’acqua che scorre sul fondo di Trebiciano, alimentato prevalentemente dalle acque che si inabissano a S. Canziano, ma anche da acque di percolazione carsica. Nel periodo 16.2.92 - 23.1.2000 sono stati analizzati dal Laboratorio di Analisi della ACEGAS 20 campioni di acqua prelevata sul fondo dell’abisso di Trebiciano. I risultati, ri- portati nella tabella 6, sono molto simili a quelli riscontrati nello stesso periodo per l’acqua dell’alto Timavo.

Per le acque di fondo della grotta Skilan sono a disposizione (Gruppo Grotte C. Debeljak, 1994) solo tre analisi, con un livello medio di cloruri di 5,0 mg/l (tabella 6).

Per le acque di fondo della grotta Lindner sono disponibili per i cloruri cinque dati analitici, rispettivamente 7,5 – 2,2 – 2,5 –2,4 – 2,7 mg/l, relativi a campioni analizzati dal Laboratorio ACEGAS, i primi quattro nel 1974, il quinto nel 1982. La bassa concentrazione di cloruri, l’elevato tenore di calcio e il basso contenuto di magnesio fanno ritenere che l’acqua che si preleva sul fondo di questa cavità, il cui livello oscilla in concordanza con quello del Timavo alle risorgive, non sia l’acqua fl uente in una condotta idrica, ma bensì uno “strato di acqua di percolazione” che galleggia sopra l’acqua in pressione, in diretto collegamento con le risorgive del Timavo.

Per le acque raccolte sul fondo del pozzo 226 della Ferrovia sono disponibili 5 analisi ACE- GAS, effettuate nel periodo 1974-1991, con un valore medio di cloruri di 7,0 mg/l. Ricordiamo che nel 1909 il Timeus immise uranina nel laghetto sul fondo di questa cavità; il colorante uscì dopo 4 giorni, in seguito a forti precipitazioni, alle sorgenti Sardos e Moschenizze e soltanto in minime tracce, successivamente, alle risorgive del Timavo (Boegan, 1938).

Le acque di fondo della grotta Andrea, del pozzo di Jamiano e della grotta di Comarie sono state oggetto di 13 analisi, condotte mensilmente tra l’agosto 1985 e il settembre 1986 (Bordon et al., 1987), che hanno messo in evidenza caratteristiche sempre molto simili e analoghe a quelle del lago di Doberdò. Per l’acqua della grotta di Comarie sono disponibili anche 3 analisi effettuate da ACEGAS nel periodo 1974-1983.

La grotta ad est della Stazione di Monfalcone è profonda 18 metri e sul fondo si trova un piccolo e limpido specchio d’acqua. Tra il 1985 e il 1987 le acque di fondo sono state oggetto di analisi da parte di Cancian (1987) che ha messo in evidenza un contenuto anomalo di cloruri (24-37 mg/l) e valori elevati di solfati (15-22 mg/l), di potassio (1,4 mg/l) e di magnesio (10,5). Nell’acqua di fondo è stato rinvenuto il proteo, per cui sono da escludere rilevanti conta- minazioni antropiche.

127 Fig. 1 – Sorgenti, pozzi e cavità con acqua nella zona compresa tra Brestovizza (Slovenia), il lago di Doberdò, Monfalcone e la baia di Sistiana.

Legenda

1 Pozzo B-1, 2 Pozzo B-5, 3 Dolenjca Jama, 4 Drča Jama, 5 Pozzo B-2, 6 Pozzo B-3, 7 Pozzo B-4, 8 Grotta di Comarie, 9 Pozzo di Jamiano, 10 Grotta Andrea, 11 Sorgente N del lago di Doberdò, 12 Sorgenti ONO del lago di Doberdò, 13 Sorgenti del lago di Pietrarossa, 14 Grotta ad E della stazione di Monfalcone, 15 Terme di Monfalcone, 16 Sorgenti del Lisert, 17 Punto di prelievo corso del Sablici, 18 Sorgente Moschenizze N, 19 Punto di prelievo sorgenti Moschenizze S, 20 Pozzo 226 della Ferrovia, 21 Sorgenti Sardos, 22 Risorgive del Timavo, 23 pozzo presso ex Azienda Frigoriferi, 24 Grotta presso la Peschiera del Timavo, 25 Grotta presso il Villaggio del Pescatore, 26 Sorgente a mare (A) di Sistiana, 27 Sorgente B di Sistiana.

128 10,5 Media Magnesio ) * ( Media Calcio Media Cloruri Cloruri Massimo Cloruri Minimo N° campioni Acqua di fondo Acqua Pozzo 226Pozzo Pozzo di JamianoPozzo di Comarie diPozzo Comarie/ACEGAS 3 5 13 13 2,5 6,5 3,0 3,0 4,0 7,8 4,6 4,3 3,2 7,0 4,1 4,1 57 76 57 57 8 7 8,5 9 Grotta SkilanGrotta LindnerGrotta AndreaGrotta Grotta ad E della Staz.di Monfalcone 3 5 13 4,2 2,2 24 3,0 5,7 7,5 37 4,2 5,0 3,5 31 3,9 131 96 64 56 2 2 8 Abisso di Trebiciano 20 2,8 7,0 4,7 74 5 Tab. 6 – Contenuto di Cl,Tab. Ca, Mg (in mg/l) in alcune acque di carsiche. fondo (*) in regime(*) di magra e normale, in piena. 75

129 Dall’analisi dei risultati riportati nella tabella 6 possiamo distinguere alcune tipologie di acque di fondo: 1. Acque alimentate prevalentemente dalla percolazione carsica, con un contenuto di cloruri variabile tra 2 e 7 mg/l; contenuti molto elevati di calcio, superiori a 90 mg/l; bassi livelli di magnesio, intorno a 2 mg/l. Sono rappresentate dalle acque di fondo della Skilan e della Lindner. 2. Acque del corso sotterraneo del Timavo (abisso di Trebiciano), alimentate dall’alto Timavo e in subordine dalle acque carsiche di percolazione. La concentrazione di cloruri è simile alle acque della Reka, il contenuto di calcio è mediamente più basso, compreso tra 41 e 91 mg/l, a seconda prevalga la prima alimentazione (alto Timavo in piena) o la seconda (acque di percolazione). Il contenuto di magnesio è più elevato (mediamente 5 mg/l) rispetto alle acque carsiche. 3. Acque del tipo Sardos (pozzo 226), con valori più elevati di cloruri (media 7 mg/l) e di magnesio (7 mg/l). 4. Acque alimentate dall’Isonzo e dalla percolazione carsica (Grotta Andrea, pozzo di Ja- miano, pozzo di Comarie), con un contenuto di cloruri relativamente basso (4 mg/l), basso contenuto di calcio (57 mg/l), quantità di magnesio relativamente elevata (8,5 mg/l). 5. Acque probabilmente contaminate da apporti salmastri (Grotta ad E della stazione di Monfalcone).

6. I CLORURI NELLE ACQUE DEI POZZI DI KLARIČI (VALLONE DI BRESTOVIZZA - SLOVENIA)

Il Vallone di Brestovizza è un grande polje carsico che ha inizio in territorio italiano, nei pressi di Jamiano (vallone di Doberdò), ma si sviluppa prevalentemente in territorio sloveno, a quote molto basse rispetto allo zero marino, che vanno dai 20 metri in Italia ai 60 metri in loca- lità Brestovizza in monte (Gornja Brestovica). Dalla parte italiana vi sono delle piccole doline in cui il fondo raggiunge i 10-12 metri sul l.m.m., quindi molto vicino al livello della falda carsica che si trova a qualche metro sopra il livello del mare. Sono note fi n dalla prima guerra mondiale alcune cavità ove veniva attinta l’acqua come il pozzo di Jamiano e la grotta di Comarie. Anche dalla parte slovena erano note alcune cavità interessate dalla presenza di acqua sul fondo, quali la “Dolenjca Jama”, visitata ai tempi della I Guerra Mondiale, e la Drča Jama, esplorata nel 1974, situate ambedue nei pressi di Gornja Brestovica. La “Drča Jama” è stata esplorata dagli speleosub sloveni fi no alla profondità di 15 metri sotto il livello del mare (SkupšČina ObČine Sežana, 1987). La vicinanza della falda carsica alla superfi cie del terreno e la buona qualità dell’acqua riscontrata nelle due grotte, avevano interessato particolarmente gli amministratori del Co- mune di Sežana, alla ricerca di fonti di approvvigionamento idrico per gli abitanti della zona carsica slovena. Per questo motivo nel 1977 furono effettuati 8 sondaggi esplorativi nella valle di Brestovizza: cinque pozzi (da B-1 a B-5) interessavano il polje vero e proprio (quote del terreno comprese tra 16 e 64 metri), gli altri tre quote decisamente più elevate (Krivic, 1981). I pozzi B-4, B-3, B-2 sono stati perforati nei calcari grigio-scuri, i pozzi B-1 e B-5 nelle dolomie grigio-scure (cretaceo inferiore-cenomaniano). Tutti i pozzi sono stati spinti fi no a quote di varie decine di metri sotto lo zero marino. Dalle prove di pompatura effettuate (Krivic, 1983) il pozzo più produttivo risultò essere il B- 4, situato 900 m ad ovest dell’abitato di Klariči, vicino al confi ne di stato. In subordine, come produttività, risultò essere il B-2, situato 500 m a SE dello stesso abitato, e il B-5 (che interseca il canale idrico della “Drča Jama”), vicino all’abitato di Brestovizza in monte. Il pozzo B-3,

130 pur essendo vicino al B-2, risultò scarsamente produttivo, perché situato in un terreno poco carsifi cato, caratterizzato da fessure fi ni.

Il pozzo B-4 La quota del terreno in cui è stato fatta la trivellazione è di 16 m sul livello medio mare, il pozzo raggiunge la profondità di 52,5 m sotto il livello del medio mare (Doctor, 2008). È fi nestrato tra i 14 e 68 m di profondità e più di un metro della perforazione interseca una condotta carsica di grandi dimensioni. La quota dell’acqua nel pozzo varia tra 0,5 e 3,5 m sul livello medio mare. La prima prova di pompatura è stata fatta il giorno 7.3.1980. La potenzialità massima del pozzo è stata di 53 l/sec. Successivamente sono stati realizzati vicino al pozzo B-4 (pozzo diagnostico) tre pozzi di produzione in grado di estrarre più di 250 l/s di acqua con un abbassamento di livello di soli 0,5 m e successivamente fu realizzato l’intero sistema acquedottistico del Carso sloveno (1984). Dalle prove di pompatura effettuate la potenzialità massima dell’acquifero è valutabile in 1 mc/s. Il livello dell’acqua del pozzo B-4 risente della marea che si registra nel golfo di Trieste e la trasmissione delle onde di marea attraverso l’acquifero costiero carsico è stata oggetto di studio da parte di Krivic (1982). Vi è quindi una connessione idraulica tra le acque sotterra- nee in località Klariči e il mare, però prove di pompatura prolungate nel tempo ai tre pozzi di produzione (Doctor et al., 2006) non hanno rivelato intrusioni di acqua di mare.

Il pozzo B-3 Si trova ad una quota di 40 metri e raggiunge la profondità di 44,6 m sotto il livello del mare. Il livello dell’acqua varia solitamente nell’intervallo + 2/+3m; nell’agosto 1999 però l’acqua si trovava a -10 m rispetto allo zero marino (Doctor, 2008). Queste caratteristiche idrologiche indicano chiaramente che il pozzo attinge da un bacino di acqua alimentato localmente. Nonostante sia poco produttivo, la sua acqua è stata presa come riferimento di un’ali- mentazione solo e soltanto carsica dovuta ad acque di infi ltrazione meteorica (Doctor et al., 2006).

La composizione delle acque estratte dai pozzi del Vallone di Brestovizza Tutte le indagini geologiche e di qualità dell’acqua hanno avuto come riferimento il com- pianto dott. Krivic, che l’autore della presente nota ha conosciuto personalmente e con il quale ha avuto stretti contatti scientifi ci. Per questo motivo sono disponibili presso ACEGAS diversi reperti di analisi effettuate da Istituti sloveni sulle acque estratte dal pozzo B-4 e sull’acqua distribuita. Complessivamente è stata utilizzata la seguente documentazione: 1) N° 11 analisi relative a campioni prelevati nel periodo 1980-1981. 2) N° 7 analisi relative a campioni prelevati nel periodo 1991-1992. 3) N° 2 analisi relative a campioni prelevati e analizzati rispettivamente da Dematteis (1995) nel 1992 e da ACEGAS nel 1995. 4) Dati medi di temperatura, conducibilità, carbonio13, deuterio, mercurio, relativi alla cam- pagna di prelievi mensili svolta da Doctor et al. (2000) nel periodo 1998-1999 sulle acque dei pozzi B-4 e B-3. 5) Dati giornalieri di alcuni parametri chimico-fi sici e isotopici delle acque prelevate per conto di Doctor et al. (2006) al pozzo B-4 nei periodi 16.10.99-9.11.99 e 28.9.2000-7.11.2000, in corrispondenza ad alcuni episodi di piena.

131 6.1. Composizione delle acque del pozzo B-4

Sulla base dei dati disponibili è stato possibile sintetizzare nella tabella 7 il quadro analitico relativo al pozzo B-4.

Unità Parametro di misura Minimo Massimo Media Temperatura** °C 11,8 15,1 14,0 Calcio mg/l 45 90 78 Magnesio mg/l 6 13 10 Sodio mg/l 11 35 28 Potassio mg/l 1,1 2,2 1,7 Stronzio* mg/l 0,3 Bicarbonati mg/l 150 296 253 Cloruri mg/l 20 64 45 Nitrati mg/l 4 8 6 Solfati mg/l 10 22 17 Bromuri* mg/l 0,2 Silice* mg/l 3 Durezza totale °F 13,9 30,0 24,1 Durezza temporanea °F 12,3 24,3 20,8 Durezza permanente °F 1,6 5,0 3,4 Conducibilità calcolata a 25°C μS/cm 327 702 581 Tab. 7 – Caratteristiche chimico-fi siche delle acque del pozzo B-4. ** numero limitato di dati a disposizione. ** numero limitato di dati a disposizione per le minime e le massime.

Dall’esame della tabella 7 si possono fare le seguenti considerazioni. Non si conosce il reale campo di variabilità della temperatura, per la mancanza di un nu- mero di dati suffi ciente. Il valore medio di 14,0 °C, riportato da Doctor (2000), è nettamente superiore a quello di tutte le grandi sorgenti carsiche (Gemiti & Licciardello, 1977), che presentano valori medi compresi tra 11,8 °C (Moschenizze N e Timavo) e 12,5°C (Moschenizze S). Anche i valori massimi di queste sorgenti non superano generalmente i 13,0 °C . Solo le sorgenti di Aurisina, alimentate da acque meteoriche locali che interessano una zona carsica più calda, presentano una temperatura media di 13,0 °C ed una massima di 13,5 °C. È inoltre strano che la temperatura si mantenga così elevata nonostante i notevoli apporti di acque isontine, caratterizzate da temperature non superiori ai 12 °C. Poiché la temperatura non è un parametro conservativo e la temperatura della roccia contenitore aumenta con la profondità (mediamente di 1°C ogni 33 metri) si deduce che le acque emunte provengono prevalentemente da zone piuttosto profonde e con circolazione idrica piuttosto lenta. Tutti i parametri chimici presentano una grande variabilità, specialmente nel contenuto di

132 NaCl. Indubbiamente, come è stato evidenziato da Doctor et al. (2006), nel sottosuolo della zona di Klariči ci sono apporti di acque con composizione molto diverse: le acque dell’Isonzo, povere di sali, e quelle carsiche, caratterizzate da elevati valori di bicarbonato di calcio, spe- cialmente in periodi di forti precipitazioni. Vi è inoltre una terza componente caratterizzata da un elevato contenuto di cloruri. L’anomalia rispetto a tutte le altre acque carsiche esaminate è appunto il contenuto relati- vamente elevato di cloruri, di sodio, di bromuri. Tutti questi ioni sono presenti in grande quantità nell’acqua di mare, in acque salmastre fossili, in sali di origine marina inglobati in rocce del tipo marnoso-arenaceo. Un aumento di 100 mg/l di cloruri, causato da una contaminazione marina, comporta una notevole modifi ca- zione di una tipica acqua di percolazione carsica, come riportato nella tabella 8.

Acqua carsica Contaminazione Acqua carsica Incremento mg/l marina - mg/l contaminata %

Calcio 100 2,1 102 2 Magnesio 3 6,6 9,6 220 Sodio 3 55,6 58,6 1853 Potassio 0,5 2,0 2,5 400 Bicarbonati 150 150 Cloruri 5 100 105 2000 Nitrati 3 3 Solfati 10 14,0 24 140 Bromuri 0,02 0,35 0,37 1750 Silice 3 3

Tab. 8 – Modifi cazione della concentrazione ionica di un’acqua carsica per una contaminazione marina che porti ad un incremento di 100 mg/l di cloruri.

Gli ioni che subiscono incrementi percentuali dell’ordine delle migliaia di volte sono in ordine decrescente: cloruri, sodio, bromuri. Potassio, magnesio, solfati presentano invece incrementi di un ordine di grandezza inferiore. In defi nitiva ci sembra indubbio che l’acqua del pozzo B-4 presenti tutte le caratteristiche di una contaminazione da sali di origine marina, seppure in quantità limitate. Di conseguenza si può calcolare la sua composizione originaria, supponendo che la concentrazione di cloruri sia di 5 mg/l. Nella tabella 9 viene riportata la composizione ionica dell’acqua del pozzo B-4, dedotta la salinità, causata da sali di origine marina.

133 Unità Parametro di misura Minimo Massimo Media Temperatura °C 11,8 15,1 14,0 Calcio mg/l 45 89 77 Magnesio mg/l 5,0 9,1 7,3 Sodio mg/l 2,7 2,2 5,2 Potassio mg/l 0,8 1,0 0,9 Stronzio mg/l 0,3 Bicarbonati mg/l 150 296 253 Cloruri mg/l555 Nitrati mg/l 4 8 6 Solfati mg/l 7,9 18 11 Bromuri mg/l 0,0 Silice mg/l 3 Durezza totale °F 13,2 25,9 22,3 Durezza temporanea °F 12,3 24,2 20,7 Durezza permanente °F 0,9 1,7 1,6 Conducibilità calcolata a 25°C μS/cm 273 501 437

Tab. 9 – Caratteristiche chimico-fi siche dell’acqua del pozzo B-4, dedotto il contributo dei sali di origine marina.

6.2. Composizione delle acque del pozzo B-3

Le caratteristiche chimico – fi siche dell’acqua di questo pozzo, tratte dai lavori di Doctor et al. (2000, 2006) sono riportate in tabella 10.

Temp. Cond. Elett. Calcio Magnesio Cloruri Dur. totale Periodo °C μS/cm mg/l mg/l mg/l °F 1998 - 1999 13,4 494 1999 - 2000 560 108 2,6 3,7 28,1

Tab. 10 – Analisi dell’acqua del pozzo B-3.

La temperatura media di 13,4 °C risulta inferiore a quella del pozzo B-4 (14,0 °C). La conducibilità di 494 μs/cm a 25 °C è invece simile a quella del pozzo B-4, rilevata nello stesso periodo di tempo (490 μs/cm), però è in relazione ad una composizione salina diversa, caratterizzata da maggiori quantità di bicarbonato di calcio e bassi livelli di NaCl. Le acque di questo pozzo presentano livelli di mercurio decisamente più bassi, quantità minori di carbonio 13 e invece maggiori di deuterio e ossigeno 18. La sua composizione è stata assunta da Doctor et al. (2006) per il calcolo degli apporti idrici nel sottosuolo, come modello di un’acqua carsica di infi ltrazione meteorica.

134 6.3. Composizione delle acque del pozzo B-2

Il pozzo B-2 si trova a 200 m di distanza dal pozzo B-3, però in un terreno molto più car- sifi cato. Per questo pozzo sono disponibili 9 analisi, effettuate da istituti sloveni nel 1981 e sintetizzate nella tabella 11.

Parametro Un. misura Minimo Massimo Media Durezza totale °F 18,9 32,7 25,7 Durezza temporanea °F 16,6 28,9 23,1 Durezza permanente °F 1,1 3,8 2,6 Cloruri mg/l 8,2 12 10

Tab. 11 – Analisi dell’acqua del pozzo B-2.

La durezza delle sue acque (sali di calcio e magnesio) presenta un ampio campo di varia- bilità, probabilmente in relazione a diverse alimentazioni. La concentrazione dei cloruri si mantiene invece su valori più elevati del pozzo B-3 (alimentato da acque di infi ltrazione locali), ma decisamente più bassi del pozzo B-4.

In defi nitiva, e limitatamente ai dati disponibili, si può affermare che solo le acque estratte dal pozzo B-4 e dai tre pozzi produttivi di Klariči presentano valori di cloruri decisamente anomali rispetto alle acque sotterranee del Carso classico, precedentemente esaminate. Con- centrazioni elevate di cloruri sono state rilevate solo nelle acque di fondo della grotta ad est della stazione ferroviaria di Monfalcone e in alcune acque sotterranee, situate in prossimità del mare, e di cui si parlerà più diffusamente al punto 8.

7. I CLORURI NELLE ACQUE DELLE PRINCIPALI SORGENTI CARSICHE

Tutte le grandi sorgenti carsiche comprese tra Aurisina e il lago di Doberdò sono state oggetto di numerose indagini, non solo a scopo scientifi co, ma soprattutto per la loro impor- tanza nell’approvvigionamento idrico della città di Trieste. Ricordiamo in ordine di tempo le sorgenti di Aurisina, le sorgenti Sardos, le risorgive del Timavo, la sorgente Moschenizze N, il Sablici. Per questo motivo dagli archivi del laboratorio di analisi dell’ACEGAS è stato possibile recuperare una grande mole di dati sul contenuto di cloruri di tali acque. Nella tabella 12 sono sintetizzati tutti i dati ACEGAS e i risultati di campagne sistematiche di analisi effettuate nel 1975 da Gemiti & Licciardello (1977), nel 1985-1987 da Cancian (1987), nel 1994 da Reisenhofer et al.(1998). Da un confronto dei dati disponibili per ciascuna sorgente, che in certi casi coprono un arco di quasi 30 anni, si rilevano valori medi, massimi e minimi molto simili, per cui si è ritenuto opportuno sintetizzare questi risultati nella tabella 13.

135 N° Min. Max. Media Sorgente Periodo campioni Rif. Bibliogr. mg/l mg/l mg/l 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 6 14 10 Aurisina 1973-1988 23 ACEGAS 5 15 11 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 12 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 4,0 8,2 5,5 1976-1989 45 ACEGAS 2,8 8 6,0 Timavo 1990-2004 179 ACEGAS 2,9 11 6,7 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 6,2 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 3,7 10 6,7 1976-1989 43 ACEGAS 5 9 6,9 Sardos 1990-2004 179 ACEGAS 3,8 13 7,1 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 6,7 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 5,5 8,5 6,7 Moschenizze S 1985-1987 12 Cancian, 1987 6,5 13 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 7,3 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 2,5 4,5 3,5 Moschenizze N 1990-2004 179 ACEGAS 2,7 8,8 4,5 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 4,3 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 2,0 4,0 2,8 Doberdò 1985-1986 12 Cancian, 1987 3,4 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 3,5 1985-1987 12 Cancian, 1987 2,8 4,0 3,4 Pietrarossa 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 3,7 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 2,0 6,0 4,6 1985-1987 12 Cancian, 1987 4,3 7,3 Sablici 1990-2004 179 ACEGAS 2,8 8,8 4,8 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 4,6 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 i. 0,5 2,0 0,6 1993-2000 83 ACEGAS 0,5 6,1 2,2 Isonzo 1985-1987 12 Cancian, 1987 1,0 3,0 2,0 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 1,9 1975 35 Gemiti-Licciardello, 1977 0,7 4,5 2,4 Vipacco 1993-2000 83 ACEGAS 2,1 6,7 3,7 1994 6 Reisenhofer et al., 1998 3,9 Tab. 12 – Cloruri nelle acque delle principali sorgenti carsiche, dell’Isonzo e del Vipacco.

Sorgente Minimo Massimo Media Aurisina 5 15 11 Timavo 2,8 11 6,7 Sardos 3,7 13 7,1 Moschenizze S 5,5 13 7,0 Moschenizze N 2,5 8,8 4,5 Doberdò 2,0 4 3,5 Pietrarossa 2,8 4 3,5 Sablici (corso d’acqua) 2,0 8,8 4,8 Tab. 13 – Cloruri (in mg/l) nelle acque delle principali sorgenti carsiche.

136 Dall’esame di questi dati e facendo riferimento ai defl ussi calcolati da Gemiti (1984) alle risorgive carsiche comprese tra Aurisina e il Lisert:

Sablici + Lisert = 2,2 mc/s Moschenizze + Sardos = 2,4 mc/s Timavo = 30,2 mc/s Aurisina = 0,3 mc/s Defl usso totale = 35,1 mc/s

si possono fare le seguenti considerazioni.

Le sorgenti di Aurisina, con una portata relativamente modesta e valutabile in 0,3 mc/s, sono caratterizzate da un contenuto di cloruri decisamente più elevato, in relazione a più cause quali: – la vicinanza al mare, dal quale sono state separate mediante un bacino di contenimento che può avere minime infi ltrazioni salmastre; – il possibile contatto col Flysch, e quindi una cessione di sali di origine marina da parte della roccia; – un bacino imbrifero più vicino al mare e quindi alimentato da precipitazioni più ricche di cloruri; – una contaminazione remota da scarichi urbani rilevabile da un contenuto relativamente elevato di nitrati e di potassio.

Il Timavo, la principale sorgente carsica, con una portata media annua di 30,2 mc/s, pre- senta un valore medio di cloruri (6,7 mg/l) più elevato rispetto alle sue acque di alimentazione e cioè alto Timavo a S. Canziano (4,5 mg/l), acque di percolazione carsica (3 mg/l), acque dell’Isonzo (2,2 mg/l).

Sardos e Moschenizze S, con portata complessiva di 2,4 mc/s, presentano lo stesso livello di cloruri. Il valore medio di 7,1 mg/l è leggermente superiore a quello del Timavo (6,7 mg/l).

Doberdò (sorgente ONO), Pietrarossa (sorgenti) e Moschenizze N presentano valori medi di cloruri decisamente più bassi, compresi tra 3,5 e 4,5 mg/l

Il collettore Sablici, la cui acqua è sempre stata prelevata dai tecnici dell’ACEGAS im- mediatamente a monte della confl uenza con la sorgente Moschenizze N, presenta invece un valore medio di cloruri leggermente più elevato (4,8 mg/l).

8. I CLORURI IN CAVITÀ NATURALI, SORGENTI E POZZI VICINO AL MARE

Nel tratto di costa compreso tra il porto di S. Croce (Aurisina) e la piana del Lisert, viene a mancare la tamponatura di Flysh, per cui i calcari sono a diretto contatto con il mare. Di conseguenza vi sono numerose scaturigini carsiche, situate ad una quota prossima a quella del mare o completamente sommerse. Alcune di esse sono visibili in piena, quando le acque sono torbide. Prescindendo dalle sorgenti di Aurisina, che sono state imbrigliate a partire dal 1850, poco si conosce di queste sorgenti, sia dal punto di vista della portata che della composizione chimica e del loro insalinamento.

137 dedotta la salinità Composizione delle acque ABBCDEmedia per di Cl di marino 100 mg/l contributo ABBCDE 5.10.74 5.10.74 16.09.74 16.09.74 22.03.91 22.03.91 prelievo Data del Data : Grotta presso la pescheria al Villaggio del VG) Timavo (3948 del Pescatore. : Azienda Pozzo Frigoriferi presso l’ex (Villaggio del Pescatore), nei pressi del canale di raccolta delle acque del Timavo. : Grotta presso il Villaggio del Pescatore VG). (5842 : Sorgente a mare, alla base delle falesie, al limite camping del piazzale NO Caravella, dell’ex a Sistiana mare. irtm/7,6737, 77773,77,37 7 3,77,3 Nitratimg/l74,56 Magnesio mg/l 5,7 6,7 18,2 13 16 9,3 6,6 4,8 5,7 6,6 6,7 9,5 7,2 7 Dur. Tot. °FDur. Temp. °FDur. Perm.°F 29,4 25,4 29,1 4,0 26,2 29,8 21,3 2,9 33,7 27,5 8,4 37,6 23,9 24,1 6,2 18,8 13,7 5,3 29,0 25,4 28,6 26,2 24,1 30,6 21,2 34,4 27,4 3,6 23,0 23,8 18,8 2,4 28,3 23,8 2,9 3,2 10,6 4,3 4,5 Potassio mg/l 1,9 1,7 4 3,5 4,7 2,1 2,0 1,6 1,4 0,5 1,6 2,7 1,5 1,6 Bicarbonati mg/l 310 320 260 335 292 229 0,7 310 320 259 334 291 229 291 Regime piena piena magra magra normale normale Solfatimg/l2620433235171424181919211319 Silice mg/l 3,5 5,5 3,8 2,4 2,6 3,5 5,5 3,8 2,4 2,6 3,6 Sodio mg/l 12 13 110 62 77 21 55,6 4,8 5,0 12,7 9,2 22,5 3,2 10 lrrm/121001370555 5 Clorurimg/l182018010010337100555555 Calcio mg/l 108 105 89 113 124 81 2,1 108 105 86 111 122 80 102 : Sorgente situata alla base delle falesie, nel piazzale camping interno Caravella, dell’ex a Sistiana mare. D NOTE: B E C Tab. 14 – Composizione 14 di alcuneTab. acque carsiche prelevate in prossimità della costa. A

138 Due o tre sorgenti piuttosto cospicue sono note nella baia di Sistiana (Mosetti, 1989), al- tre si scaricano sotto la costiera di Duino, altre infi ne si trovano subito ad E del Villaggio del Pescatore, in località Cernizza, e sono state descritte da Cucchi & Forti (1983). A NO del canale Locavaz troviamo infi ne le sorgenti del Lisert, in numero di otto, che sgorgano da un fronte lungo circa mezzo chilometro, alla quota di 40-50 cm s.l.m. Sono ali- mentate dalla falda idrica dei laghi di Doberdò e Pietrarossa e la loro portata è stata stimata da Mosetti (41) in circa 100.000 mc/giorno. I calcari sotto Monfalcone e sotto la piana del Lisert sono intrisi d’acqua di piccole e dis- seminate vene e nella piana del Lisert, oltre alle Terme, vi sono pozzi ad uso industriale che attingono l’acqua dai calcari. Nella tabella 14 si riporta la composizione di alcune acque sotterranee prelevate e analizzate dal laboratorio di analisi dell’ACEGAS. Per alcune di queste, come è il caso della grotta presso la Peschiera del Timavo e la grotta presso il Villaggio del Pescatore, i dati sono già stati pub- blicati da Gemiti (1994); per le altre invece i dati sono inediti. Si tratta di due sorgenti: una è situata all’interno del piazzale dell’ex camping Caravella di Sistiana e scaturisce alla base delle falesie. È attiva solo in situazione di piena delle acque. L’altra è una sorgente a mare, sempre attiva, che fuoriesce dalle falesie, a NO dello stesso piazzale. La quinta acqua esaminata è stata prelevata da un pozzo che si trova presso la ex Azienda Frigoriferi, nelle immediate vicinanza del canale che raccoglie le acque del Timavo e le convoglia a mare. Dall’esame dei dati riportati in tabella si evidenzia che tutte le acque presentano un elevato contenuto di calcio e valori anomali di NaCl, in relazione ad una contaminazione diretta di acque marine. Ipotizzando un contenuto originario di 5 mg/l cloruri, è possibile risalire alla composizione originaria di dette acque, che risulta abbastanza simile per tutte le acque. La composizione media, riportata nella stessa tabella, è quella tipica di un’acqua di infi ltrazione carsica attraverso calcari non puri (con una certa componente dolomitica). Il contenuto di solfati è abbastanza elevato, forse in relazione ad una maggiore quantità di questo ione nelle precipitazioni (inquinamento da SO2 prodotto dalla centrale termoelettrica di Monfalcone).

9. ACQUE SOTTERRANEE NELLA PIANA DEL LISERT

Dal laboratorio di analisi dell’ACEGAS sono state analizzate per conto terzi le acque di cinque pozzi: uno raggiunge il calcare ad una profondità di 31 m, gli altri tre si spingono a maggiori profondità. Il quinto è profondo solo 7 metri. Nella tabella 15 viene riportata la temperatura e il contenuto in cloruri (in g/l) delle acque esaminate. Sono stati pure inseriti i dati relativi ad una polla d’acqua e alle sorgenti termali di Mon- falcone che un tempo venivano alla luce ai piedi del Monte di S. Antonio, colle calcareo che è stato spianato nel dopoguerra.

Profondità Temperatura Cloruri Data del prelievo Pozzo/sorgente m °C g/l 11.06.1991 Pozzo A 31 3,3 04.05.1999 Pozzo B 50 15,1 0,5 04.05.1999 Pozzo C 200 15,2 2,1 10.10.1981 Pozzo D (50?) 24,0 7,5 11.06.1991 Pozzo E 7 12,2 0,01 04.05.1999 Sorgente (polla) 0,2 30.06.1994 Terme 38 7,5 Tab. 15 – Composizione di alcune acque sotterranee della piana del Lisert.

139 Il contenuto di cloruri (espresso in g/l) di queste acque è estremamente variabile, in re- lazione alla complessa idrologia sotterranea della piana del Lisert, subordinata a molteplici fattori: diverse profondità a cui si trova il basamento calcareo, alimentazione non omogenea di acque dolci provenienti da monte, insalinamento marino.In corrispondenza delle terme di Monfalcone vi sono inoltre delle risalienze di acque profonde salmastre, caratterizzate da temperature decisamente elevate.

10. LA RISALITA DEL CUNEO SALINO IN PALEOALVEI O COMUNQUE ZONE DEPRESSE, COMPRESE TRA LE FOCI DEL TIMAVO E MONFALCONE

La valle di Moschenizze è una specie di fi ordo carsico che si incunea per quasi un chi- lometro tra il colle di Moschenizza (m 60) e il dosso Giulio (m 106). Probabilmente si tratta di un paleoalveo che un tempo drenava grandi quantità d’acqua provenienti dal solco del Vallone. Attualmente riceve il collettore del Sablici con le acque della sorgente Moschenizze N e le acque delle sorgenti Moschenizze S. Tutte queste acque sottopassano l’autostrada e si immettono nel canale Locavaz, che più a valle riceve le acque del Timavo e poi sbocca a mare. Dall’autostrada allo sbocco a mare il percorso è di circa 2400 m. La possibile risalita del cuneo salino nella valle di Moschenizze è stata oggetto di indagini da parte dell’ACEGAS allo scopo di verifi care la possibilità di un utilizzo a scopo potabile delle acque che vi confl uiscono. Nei primi anni ’70 i periodici inquinamenti del Timavo met- tevano infatti in crisi l’approvvigionamento idrico dell’intera provincia di Trieste e quindi si cercavano soluzioni alternative. Le indagini sono state condotte nel 1974 in diversi punti dello specchio d’acqua, a monte dell’autostrada, fi no allo scarico del collettore Sablici. In sintesi si può dire che solo per un metro e mezzo l’acqua mantiene la sua conducibilità originaria (K18 =330 μS/cm); però già a due metri di profondità, a seconda dei punti, la con- ducibilità varia tra 500 e 1000 μS/cm, più sotto supera anche di molto i 1000 μS/cm. Non si possiedono dati né sulla profondità del fondo, né sul valore dell’insalinamento delle acque in profondità. La possibilità di un insalinamento dalle acque attinte dalla stazione di pompaggio, rea- lizzata più tardi da ACEGAS alla confl uenza della sorgente Moschenizze N con il collettore Salici, è stata confermata sperimentalmente nei periodi di forti magre, quando l’attingimento dell’acqua era eccessivo. Le tre risorgive del Timavo scaricano le loro acque in un canale collettore che dopo un percorso di 600 metri si collega al canale Locavaz. Dalla confl uenza dei tre rami allo sbocco a mare le acque percorrono circa 1300 metri. Il cuneo salino probabilmente può risalire, in condizioni di magra, fi no allo stramazzo del 3° ramo. Durante le misure di portata effettuate al 3° ramo del Timavo (Gemiti, 1984) è risultato infatti che l’acqua dolce scorre per qualche metro sopra un’acqua ferma. La presenza di cloruri (100 mg/l) nelle acque del pozzo presso l’ex Azienda Frigoriferi (tabella 14) confermerebbe tale ipotesi.

Anche il canale Valentinis, che si incunea profondamente verso il centro di Monfalcone, è soggetto alla risalita del cuneo salino, nonostante riceva il cospicuo apporto delle acque dolci del Canale Dottori. La presenza di cloruri nelle acque di fondo della grotta ad est della stazione ferroviaria potrebbe essere causata da una contaminazione marina.

In defi nitiva il cuneo salino, attraverso questi varchi, potrebbe interessare canalizzazioni carsiche, poste sotto il livello del mare e idrologicamente poco attive e quindi contaminare

140 le acque più profonde della zona carsica più vicina al mare. Per diffusione la contaminazione potrebbe estendersi, in forma molto più attenuata, ad aree alquanto vaste e quindi interessare notevoli volumi d’acqua immagazzinati nelle canalizzazioni carsiche profonde.

11. IL CONTENUTO DI CLORURI DELLE FALDE PROFONDE DELLA PIANURA ISONTINA

Nel 1974 è stato dato l’avvio da parte dell’ACEGAS di Trieste ad uno studio idrologico di dettaglio (A.C.E.G.A.,1986) sulla potenzialità, alimentazione e possibilità di sfruttamento delle acque sotterranee della bassa pianura in sinistra del fi ume Isonzo. Venivano realizzati due pozzi geognostici di grande diametro: il pozzo di Cassegliano (S. Pier d’Isonzo), in corri- spondenza della Linea Nord, e il pozzo della Risaia (S. Canzian d’Isonzo), in corrispondenza della Linea Sud. Il pozzo di Cassegliano raggiungeva a 208 m di profondità dal piano campagna (16 m sul livello medio mare) il basamento calcareo. La perforazione veniva ulteriormente spinta nella roccia carsica, per una decina di metri, fi no ad incontrare una cavità carsica, con terra rossa. Le prove di pompatura, effettuate isolando la falda compresa tra 204 e 208 metri di profondità, fornivano un’acqua torbida e con un alto contenuto di ioni cloruro (115 mg/l). Questa falda veniva chiusa e si effettuarono successivamente le prove di pompatura e indagini idrochimiche sulla falda superiore (175-190 m). Anche questa falda presentava pra- ticamente la stessa tipologia di alimentazione, però in questo caso l’acqua si presentava lim- pida perché fi ltrata dalle ghiaie. La composizione media di quest’acqua e di quella originaria, dedotto il contributo salino (supponendo che derivi da un’acqua di mare con composizione eguale a quella del mare odierno) è riportata nella tabella 17.

Ca Mg Na K HCO Cl NO SO Br SiO K Acqua 3 3 4 2 25 mg/l mg/l mg/l mg/l mg/l mg/l mg/l mg/l mg/l mg/l μS/cm Tal quale 70 20 62 3,7 256 108 9,0 24 0,8 7,0 796 Dedotta salinità 68 13 4,7 1,6 255 5 9,0 10 0,4 7,0 437 Tab. 16 – Composizione dell’acqua profonda del pozzo di Cassegliano.

Si osserva che l’acqua originaria ha una composizione chimica diversa da quella tipica delle “acque isontine” per il maggior contenuto di calcio, magnesio e nitrati, inoltre il contenuto di os- sigeno 18 (δ ‰ di -7,5), è decisamente più elevato rispetto alle acque isontine (δ ‰ di -9,0). Anche l’acqua della falda immediatamente superiore (144-160 m) contiene cloruri, però in quantità inferiori (40 mg/l). Le acque delle altre falde sono invece caratterizzate da bassi livelli di cloruri e presentano le caratteristiche proprie di un’alimentazione da parte dell’Isonzo. Tutti gli altri 11 pozzi della Linea Nord, che però incontrano il basamento calcareo a profon- dità inferiori, intercettano falde con caratteristiche simili a quelle del pozzo di Cassegliano. Anche il pozzo della Risaia, situato più a sud e più vicino al mare, si spinge a profondità molto elevate (a -193 m rispetto allo zero marino), fi no alla roccia di base che in questo caso è il Flysh. I cloruri sono presenti nella falda più profonda in quantità nettamente più basse (26 mg/l) rispetto a Cassegliano. Il basamento calcareo che a Cassegliano si trova ad una quota assoluta di -192 m si alza progressivamente in direzione SE fi no a venire alla luce all’altezza di Monfalcone. Lungo tale direttrice vi sono alcuni pozzi che non raggiungono il basamento di fondo, ma però presen-

141 tano fi nestrature suffi cientemente profonde e tali da intercettare acque con tenori di cloruri piuttosto elevati. Il pozzo n° 1 dell’acquedotto di Monfalcone (davanti all’aeroporto) emunge l’acqua dalla falda a profondità di 31-42 m rispetto allo zero marino. L’acqua contiene 30 mg/l di cloruri. La falda del pozzo di Staranzano dell’ACEGAS, a profondità di 56-61 m rispetto allo zero marino, presenta acque con un contenuto di 40 mg/l di cloruri. Il pozzo del Silos di Monfalcone è profondo 33 m, il contenuto di cloruri è di 23 mg/l. In defi nitiva tutte le falde della bassa pianura in sinistra Isonzo che si trovano in prossimità al basamento calcareo contengono acque con un tenore anomalo di cloruri e ciò avviene fi no all’altezza di Monfalcone.

12. I CLORURI NELLE ACQUE SOTTERRANEE CHE SCORRONO SU TERRENI DI FLYSH

I colli marnoso-arenacei che circondano Trieste e sono addossati ai calcari del Carso sono sede di numerose vene d’acqua che in alcuni casi danno luogo a forme sorgentizie, ma che più spesso sono state raggiunte mediante lo scavo di pozzi in pietra, di grande diametro. Sono state anche realizzate delle gallerie drenanti, come nel 1750 per l’acquedotto Teresiano di S. Giovanni, che forniva mediamente 200 mc/giorno di acqua ad alcune fontane della città di Trieste. Le acque piovane che lentamente drenano il Flysh si arricchiscono in modo particolare di bicarbonati e solfati di calcio (Merlak, 1999). I tenori relativamente elevati di cloruri, sodio e potassio testimoniano la cessione all’acqua di residui marini inglobati nelle arenarie. Il rapporto ponderale solfati/cloruri si mantiene costantemente — anche di molto — superiore a 1. Carat- teristica di tutte le acque fl uenti su Flysh è inoltre il contenuto piuttosto elevato di silice. Nella tabella 17 viene riportata la composizione media delle acque del capofonte teresiano (gallerie drenanti superiori) e di due sorgenti in terreni di Flysh, la sorgente di S. Giuseppe della Chiusa e quella di S. Antonio in Bosco, vicino a Trieste.

N° Calcio Magnesio Cloruri Solfati Silice Sorgente Data campioni mg/l mg/l mg/l mg/l mg/l

Acquedotto Teresiano 1994-1995 13 154 13 23 200 10

S. Giuseppe della Chiusa 1972-1993 2 132 8 14 40 11

S. Antonio in Bosco 1972-1993 2 112 8 15 45 10

Tab. 17 – Composizione di acque drenanti il Flysch.

Il contenuto di cloruri di tutte e tre le acque è superiore a quello che caratterizza general- mente le acque carsiche ed è accompagnato da tenori molto elevati di solfati e di silice.

13. BILANCIO DEI CLORURI

La grande mole di dati raccolti sul contenuto dei cloruri nelle varie fasi che caratterizzano il ciclo delle acque sul Carso classico e cioè infi ltrazione e percolazione delle acque piovane nel sottosuolo, apporti alloctoni di corsi d’acqua esterni alla zona carsica, contaminazioni localizzate o diffuse derivanti da attività antropiche, movimento delle acque nel sottosuolo in direzione delle risorgive, possibilità di contaminazioni marine in prossimità della costa,

142 fuoriuscita delle acque in molteplici punti sorgentizi, è stata sintetizzata nella tabella 18. Essa riporta i valori medi di cloruri per le principali tipologie di acque esaminate.

APPORTI NEL SOTTOSUOLO Acque piovane 1,5 Acque di percolazione 3 Alto Timavo 4,5 Isonzo 2,2 Vipacco 3,5 Acque di fondo con alimentazione Carsica (Skilan,Lindner) 4 Alto Timavo + carsica (a Treb.) 4,5 Isonzo + carsica 3,5 Isonzo + carsica + componente X 45 Fuoriuscite (sorgenti) Timavo 6,7 Sardos e Moschenizze S 7,1 Doberdò, Pietrarossa 3,5 Moschenizze N, Sablici 4,7

Tab. 18 – Contenuto di cloruri (in mg/l) delle prin- cipali tipologie di acque esaminate.

Il contenuto medio di cloruri nelle acque di percolazione, pari a 3 mg/l, è congruo con quello riscontrato nelle precipitazioni (1,5 mg/l), tenuto conto dei fenomeni di evapotraspira- zione che, grosso modo, possono essere valutati nel 50%. Alimentano la falda carsica l’alto Timavo, con portata ben defi nita, l’Isonzo e il Vipacco. L’entità dell’apporto del Vipacco è ignota e comunque non molto elevata, per cui il suo contri- buto è stato inglobato in quello dell’Isonzo. Le acque dell’Isonzo presentano un contenuto di cloruri nettamente più basso (2,2 mg/l) di tutte le altre tipologie di acque esaminate. L’acqua di fondo carsica, che viene alla luce nella depressione di Doberdò, contiene un livello di cloruri un po’superiore a quello che ci si potrebbe aspettare (non più di 3 mg/l). Per le acque di fondo con alimentazione puramente carsica sono disponibili solo pochi dati e per di più relativi a due sole cavità (grotte Lindner e Skilan) per cui il valore di 4 mg/l presenta una certa incertezza. L’acqua campionata sul fondo dell’abisso di Trebiciano, dopo la chiusura della fabbrica di acidi organici a Villa del Nevoso, presenta un contenuto di cloruri praticamente eguale a quello dell’alto Timavo. Apporti di cloruri di origine antropica possono derivare da scarichi urbani e industriali, discariche, allevamenti zootecnici, e soprattutto dalla salatura delle strade nei giorni di neve. Questi apporti incrementerebbero di 1,7 mg/l i cloruri alle risorgive (punto 3.5). Eclatante, rispetto a tutte le altre acque, è invece il contenuto di cloruri — mediamente 45 mg/l —nelle acque dei pozzi di Klariči (Brestovizza). L’alimentazione di queste acque,

143 secondo Doctor et al. (2006), è triplice: Isonzo e acque carsiche, più una terza componente, defi nita come “anthropogenic component derived from epikarstic storage”. La composizione di questa componente è stata assunta da Doctor come simile a quella delle acque della grotta presso la Peschiera del Timavo, analizzate il 22.03.1991 (tabella 14). Per quanto riguarda le fuoriuscite, Sardos e Moschenizze S, con 7,1 mg/l, presentano i valori di cloruri più elevati, segue il Timavo con 6,7 mg/l e le sorgenti della zona di Doberdò con 3,5 mg/l. Le acque del collettore Sablici e quelle della sorgente Moschenizze N, che drenano la mag- gior parte delle acque del Carso goriziano, presentano valori di cloruri (4,7 mg/l) insolitamente più elevati di quelli che caratterizzano le sorgenti di Doberdò e Pietrarossa.

Tutti questi dati di concentrazione di cloruri, oltremodo signifi cativi perché rappresentano il risultato di innumerevoli analisi condotte per lunghi periodi di tempo, sono disponibili per un bilancio dei cloruri in entrata ed uscita dal Carso classico, purchè si conosca l’entità delle masse d’acqua in input ed output.

Per quanto riguarda le uscite si fa riferimento ai dati di Gemiti (1984), relativi ai defl ussi delle risorgive comprese tra Aurisina e il Lisert.

Per quanto riguarda gli affl ussi, sono certi da un punto di vista quantitativo solo quelli del- l’alto Timavo (8,26 mc/s); quelli delle acque di infi ltrazione carsica sono invece valutabili solo con notevole approssimazione, considerata l’incertezza nei valori da assegnare all’evapotraspi- razione e nell’esatta defi nizione della superfi cie del bacino carsico; quelli dell’Isonzo+Vipacco sono stati solo recentemente stimati da Doctor (2008) mediante l’analisi chimica ed isotopica delle acque. Se viene fi ssato il contributo dell’Isonzo, quello delle acque di infi ltrazione carsica viene dedotto automaticamente. Secondo Doctor (2008) il contributo dell’Isonzo sarebbe mediamente del 56,3% rispetto al totale delle fuoriuscite (35,1 mc/s), cioè di 19,8 mc/s. Ne consegue che l’apporto delle acque di infi ltrazione carsica risulterebbe di 7,1 mc/s, un valore decisamente troppo basso. Infatti supponendo una precipitazione media annua di 1400 mm su un bacino di 440 Km2 (Doctor, 2008) ed una evapotraspirazione del 50% (valore massimale), il contributo delle acque di infi l- trazione carsica dovrebbe essere di 9,8 mc/s. Per questo motivo, a titolo puramente indicativo, si è presa in considerazione una seconda ipotesi, cioè un contributo medio annuo dell’Isonzo (comprensivo del Vipacco) del 45%, pari a 15,8 mc/s. A questo apporto di acque isontine cor- risponde conseguentemente un affl usso di acque di infi ltrazione carsica di 11 mc/s. Nella tabella 19 sono riportati, per le due ipotesi, gli affl ussi e defl ussi delle acque in mc/s, la concentrazione dei cloruri in mg/l e i fl ussi di massa in g/s. Gli apporti antropici, espressi in g/s, sono quelli stimati al punto 3.5. Attraverso un foglio Excel è stato successivamente calcolata la concentrazione media dei cloruri in ingresso ed in uscita per tutte e due le ipotesi. La concentrazione media di cloruri nelle acque in output ammonta a 6,6 mg/l, superiore a quella in entrata (4,6 e 4,7 mg/l). L’eccesso di cloruri risulta di 2,0 e 1,9 mg/l, rispettivamente per le due ipotesi. Si tratta a prima vista di differenze minime, però un incremento di 2 mg/l di cloruri alle risorgive è superiore a quello derivante da tutti gli apporti antropici. Agli in- sediamenti umani sul Carso e alle attività collegate è infatti è imputabile, come riportato al punto 3.5, un aumento di cloruri alle risorgive di 1,7 mg/l. L’eccesso di cloruri nei defl ussi idrici corrisponde ad un ipotetico apporto di 0,7 mc/s di acque con 100 mg/l di cloruri. Naturalmente se la concentrazione di cloruri in questa “com- ponente X” fosse superiore, i quantitativi sarebbero proporzionalmente minori. Al limite, se detta componente fosse l’acqua di mare, la contaminazione sarebbe provocata da un’ingressione molto modesta, di 3,5 l/s.

144 g/s P x Cl mg/l Cloruri mc/s Portata % Contributo g/s P x Cl 6,6 6,6 4,6 4,7 mg/l Cloruri 1° ipotesi1° 2° ipotesi mc/s Portata % Contributo INPUT Sablici+Moschenizze N+LisertSablici+Moschenizze Sardos+Moschenizze S 2,2 4,7 2,4 10,3 7,1 17,0 2,2 4,7 10,3 2,4 7,1 17,0 Cloruri input calcolati Cloruri output Cloruri output-input 2,0 70,3 1,9 67,2 Isonzo + Vipacco 56,3 19,8 2,2 43,5 45 15,8 2,2 34,7 OUTPUT Totale inputTotale 35,1 162,7 35,1 165,9 Totale output 35,1 233,0 35,1 233,0 Timavo 30,2 6,7 202,3 30,2 6,7 202,3 Alto TimavoAlto Acque carsicheApporti antropici 8,3 7,1 4,5 3 37,2 21,2 60,8 8,3 11,1 4,5 37,2 3 33,1 60,8 Aurisina 0,3 11 3,3 0,3 11 3,3 Apporto acque con Cl 0,7 100 70,3 0,7 100 67,2 Tab. 19 – Bilancio 19 dei cloruriTab. delle acque in entrata ed uscita dal Carso.

145 CONCLUSIONI

La grande mole di dati sul contenuto dei cloruri nelle acque in ingresso ed uscita dal Carso Classico, la dettagliata valutazione di tutti i possibili apporti antropici di cloruri, e infi ne la stima del contributo dell’Isonzo alle risorgive carsiche fatta da Doctor, hanno reso possibile un bilancio di questo ione. Il risultato ottenuto mette in evidenza, per tutte e due le ipotesi fatte sull’entità degli apporti dell’Isonzo, un eccesso di cloruri alle risorgive di circa 2 mg/l, cioè una quantità superiore a quella di tutti gli apporti antropici sul Carso. Vi sono quindi altri input di cloruri, non certo di natura antropica, nel sottosuolo carsico. La causa più probabile è una modesta ingressione marina, però non vanno esclusi anche apporti di acque salmastre fossili, profonde. Anche la presenza di cloruri — e degli altri ioni presenti nell’acqua di mare — nelle acque carsiche profonde del Vallone di Brestovizza (fi no ad un massimo di 64 mg/l), nelle acque sul fondo della grotta ad est della stazione ferroviaria di Monfalcone, con una punta di 37 mg/l, e nella sorgente Nord del lago di Doberdò (mediamente 9 mg/l), depone a favore dell’ipotesi di un modesto, ma signifi cativo, insalinamento delle acque carsiche in prossimità della zona delle risorgive e sicuramente maggiore per le acque più profonde. Insalinamento di acque carsiche da apporti di mare sono stati accertati in alcune cavità e sorgenti in prossimità della costa. Contaminate da sali di origine marina sono inoltre tutte le acque emunte dai calcari presenti nella piana del Lisert, al di sotto delle alluvioni. Anche le falde idriche, a contatto con il basamento calcareo della pianura in sinistra Isonzo, tra S. Pier d’Isonzo e Monfalcone, sono interessate da acque contenenti cloruri, in concentrazioni variabili tra 25 e 115 mg/l. La concentrazione massima di 115 mg/l è stata accertata proprio nelle acque estratte dai calcari nel pozzo di Cassegliano (S. Pier d’Isonzo). Mediante la documentazione disponibile non è possibile accertare se la contaminazione di tutte le acque esaminate, ivi comprese tutte le acque carsiche che vengono alla luce nella zona compresa tra le foci del Timavo e Monfalcone, sia causata da apporti di acque marine attuali o fossili. In base a queste risultanze è possibile formulare un’altra ipotesi sulla terza componente delle acque estratte dai pozzi di Klariči. Una cosa è certa: non si tratta di contaminazione antropica di acque carsiche, ma di una contaminazione da sali di origine marina, o da parte del mare attuale o da acque salmastre fossili provenienti dai calcari profondi. Il rapporto ponderale solfati/cloruri, inferiore ad 1, non giustifi ca eventuali apporti di acque provenienti da zone di Flysch (valle del Vipacco).

RINGRAZIAMENTI

Un sentito ringraziamento al responsabile del laboratorio di analisi e controllo della ACEGAS-APS, Stefano Piselli, per aver messo a disposizione tutta la documentazione di archivio e per la lettura critica del testo. Sono particolarmente grato a Stojan Sancin che ha gentilmente curato la traduzione del riassunto in lingua slovena. Ringrazio Franco Cucchi e il Luca Zini per i consigli forniti e per aver curato la cartografi a. Infi ne un sentito ringraziamento all’amico Enrico Merlak che mi ha sollecitato e consigliato nella stesura di questa memoria.

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149 Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 151-168 Trieste 2011

STEFANO FURLANI(*)(**), FRANCO CUCCHI(**), SARA BIOLCHI(**)

MORFOLOGIE CARSICHE COSTIERE INTERTIDALI LUNGO LE COSTE DEL GOLFO DI TRIESTE

ABSTRACT

INTERTIDAL COASTAL KARST MORPHOLOGIES IN THE GULF OF TRIESTE New and published data collected along the coasts of the Gulf of Trieste allowed to defi ne the main forms and morphologies here outcropping. Hypothesis here presented to explain the genesis and development of coastal morphologies, as the submerged marine notch that outcrops along the whole Eastern Adriatic coast, are well-supported by fi eld surveyings. In particular, morphometric paramenters and limestone lowering rates, using the micro erosion meter and the traversing micro erosion meter, have been collected. Morphological and topographical features of the studied coast are closely related to the slope, the rock resistance and to the occuring of faults, joints and bedding. These factors, together with the vertical down- drop of the area do not allow the extensive and well-defi ned development of intertidal karst morphologies.

RIASSUNTO A partire dai dati raccolti in una serie di campagne di studio lungo le coste triestine e una serie di lavori pubblicati su riviste locali e internazionali è stato possibile fare una panoramica delle principali morfologie che affi orano lungo le coste carbonatiche del Golfo di Trieste. Le ipotesi qui presentate per spiegare la genesi e lo sviluppo delle morfologie costiere, in particolare dei solchi marini sommersi, sono suffragate da numerose osservazioni morfometriche e dallo studio sui tassi di consumazione dei calcari con il Micro Erosion Meter ed il Traversing Micro Erosion Meter. Le caratteristiche morfologiche e topografi che delle coste del golfo sono condizionate dalla pendenza del litorale, dalla relativa resistenza delle rocce carbonatiche e dalle condizioni strutturali dell’area, interessate da una generale subsidenza tettonica. La somma di queste condizioni non permettono lo sviluppo estensivo di morfologie carsiche costiere, in particolare quelle intertidali.

Introduzione

I calcari che affi orano lungo le coste presentano morfologie particolari legate, oltre alla litologia, anche alla variazione della marea, all’azione meccanica delle onde ed all’infl usso degli spruzzi. Sulle coste carbonatiche a picco (plunging cliffs), la morfologia più indicativa è rappresentata dal solco marino (notch), un incavo che si estende orizzontalmente lungo le

(*) Dipartimento di Geografi a “G. Morandini”, Università di Padova (**) Dipartimento di Geoscienze, Università di Trieste

151 pareti carbonatiche, mentre su quelle piane o digradanti sono tipiche le kamenitza (tidal pools) (Cucchi, 2009, Lundberg, 2009). Lo sviluppo di tali morfologie è legato ad un aumento dei tassi di consumazione dei calcari nella zona intertidale, causato dall’interazione fra processi marini e subaerei (De Waele & Furlani, 2012). Il settore occidentale del golfo di Trieste è costituito per circa il 50% da rocce carbonatiche. Morfologie carsiche sono presenti comunque anche su olistoliti calcarei e blocchi di crollo, che si trovano lungo la costa da Trieste a Sistiana. Il settore costiero della Cernizza è già stato indagato da Cucchi e Forti (1983), per studiare in dettaglio le numerose sorgenti di acqua dolce presenti nell’area. Il tratto compreso tra Canovella e Sistiana è stato invece studiato da Forti (1985), che ha riconosciuto molte morfologie tipiche del carsismo costiero, tra cui il sol- co marino. L’Autore ha inoltre descritto altre morfologie carsiche sulla superfi cie dei massi di crollo. Negli ultimi anni, l’attenzione si è concentrata soprattutto sui solchi marini, per la loro importanza negli studi sulle variazioni relative di livello marino. Antonioli et al. (2004, 2007) hanno messo in evidenza la presenza di un solco marino, in posizione sommersa lungo tutta la costa triestina, ed hanno osservato una sua tendenza ad approfondirsi procedendo da Miramare verso nord-ovest. La quota del solco infatti, recentemente misurata in dettaglio da Furlani et al. (2011a, b), va da circa -0.6 m a Miramare, a -1,1 a Marina di Aurisina, fi no a -1.6 m a Sistiana. Oltre, le profondità aumentano ulteriormente, fi no a raggiungere i -2.8 m a Duino. Scopo di questo lavoro è di fornire una panoramica delle morfologie presenti nella zona intertidale lungo la costa carbonatica del Golfo di Trieste all’interno del contesto strutturale dell’area.

Area di studio

Viene indagato il settore costiero del Carso Classico, che si sviluppa lungo il fi anco nordo- rientale del Golfo di Trieste (Figura 1). Il Carso Classico è costituito da una potente successione carbonatica, che va dall’Aptiano p.p. all’Eocene inferiore p.p., seguita dai depositi torbiditici dell’Eocene inferiore e medio. Da un punto di vista tettonico, la successione carbonatica tende a sovrascorrere sul Flysch in direzione SO (Carulli & Cucchi, 1991, Tirelli et al., 2005; Tirelli et al., 2008). Numerosi sono anche gli indizi di un tilting dell’area in direzione SE-NO, dedotto sia dalla topografi a che dai dati geofi sici (Braitenberg et al., 2005) e geomorfologici (Antonioli et al., 2007, 2009; Furlani et al., 2011a). Anche la scoperta di un affi oramento subacqueo di Flysch tra Sistiana e Duino (Furlani et al., 2009a) avvalora l’ipotesi di questo trend dell’area. Il settore costiero della Cernizza, dal Villaggio del Pescatore a Duino, è costituito da una costa digradante a media pendenza su calcari cretacici. Tra Duino e Sistiana invece il litorale è a picco sul mare, con direzione prevalentemente E-O. In questo tratto si alternano calcari appartenenti alle unità dei Calcari di Aurisina (Cenomaniano-Campaniano), della Formazione Liburnica (Campaniano-Thanetiano) e dei Calcari ad Alveoline e Nummuliti (Tanetiano-Ypresiano). Verso sud, tra Sistiana e Miramare, la costa si sviluppa in direzione NO-SE e segue grossomodo il thrust che porta i calcari della successione cretacico-terziaria a sovrascorrere su quella torbiditica eocenica del Flysch. Questo tratto di costa, in gran parte protetto con muri di protezione, è inte- ressato da falesie in Flysch, alla cui base si sviluppano modeste spiaggette con ghiaia e ciottoli di natura arenacea e carbonatica (Figura 1). Nel tratto di costa compreso tra la Costa dei Barbari e Canovella sono presenti, in abbondanza, massi di crollo, costituiti da calcari tardo-cretacici o brecce quaternarie. A Miramare sono presenti grossi olistoliti di calcare eocenico, messi a giorno dal veloce arretramento della componente fl yschioide in cui si trovano immersi. L’area di studio è caratterizzata dalla prevalenza di venti del primo quadrante, in particolare da Bora (Carrera et al., 1995). I venti sud-orientali (Scirocco) sono invece particolarmente importanti a causa del fetch (oltre 800 km). Le maree sono semi-diurne, con valori massimi

152 di sizigia di 0.86 m e marea di quadratura di 0.22 m (Dorigo, 1965; Polli, 1970). La conco- mitanza di mare di sizigia, sesse, venti sudorientali e bassa pressione atmosferica può causare l’aumento del livello del mare fi no a 1.60 m. L’altezza media signifi cativa delle onde durante l’anno è minore di 0.5 m (Dal Cin & Simeoni, 1994), mentre l’onda più alta in mare aperto, sia di Bora che di Scirocco, è di circa 5 m (Cavaleri et al., 1996). Lo Scirocco non genera onde che entrano direttamente nel Golfo di Trieste, ma che vengono rifratte a causa delle sue caratteristiche topografi che. La Bora abbassa il livello del mare, mentre i venti del terzo e quarto quadrante lo alzano. È lecito supporre che queste condizioni geografi che siano rimaste più o meno le stesse negli ultimi 5000 anni, in particolare per quanto riguarda la morfologia generale della costa, la direzione dei venti e l’intensità delle maree. Le temperature medie della colonna d’acqua variano tra 9°C e 11°C, con picchi di 24°C in agosto, mentre la salinità varia da 34 a 39 psu (boa oceanografi ca di Miramare). Presso le sorgenti costiere la temperatura può rimanere costante durante tutto l’anno, attorno ai 12°C (Cucchi & Forti, 1983), mentre la salinità varia da 0.5 psu a 5.5 psu, con un trend in aumento verso SE. Alte differenze di salinità, localizzate soprattutto nella parte settentrionale del golfo, sono state misurate in occasione delle piene dell’Isonzo e, in misura minore, del Timavo. La presenza di ghiaccio è molto rara ed interessa solamente le parti più riparate della costa.

Fig. 1 – Carta geologica della costa del Carso Triestino e dell’area urbana di Trieste (modifi cata da Tirelli et al., 2005 e Tirelli et al., 2008) e ubicazione dei solchi marini sommersi con le rispettive profondità. Nella carta è riportata anche l’ubicazione delle stazioni di misura MEM.

153 Materiali e metodi

L’analisi delle morfologie carsiche intertidali nella zona di studio è stata condotta sia in maniera qualitativa, per mettere in evidenza il tipo di morfologie presenti soprattutto nella zona intertidale, che quantitativa, per descrivere la loro forma e le loro dimensioni, in particolare dei solchi marini e dei loro tassi di evoluzione. La quota sul livello medio marino è stata misurata seguendo le indicazioni proposte da Antonioli et al. (2007) tenendo conto della quota misurata in loco e dei dati forniti dal ma- reografo di Trieste, che fa riferimento al livello medio mare di Genova 1942 (Gamboni, 1965; Stravisi & Purga, 2005). Le quote sono state misurate con un’autolivella (Salmoiraghi Ertel automatic level) o con un’asta metrica. I dati sono stati raccolti in momenti di mare tranquillo o poco agitato per limitare gli errori. Le misure sui tassi di consumazione sono state eseguite con il micro erosion meter (MEM), messo a punto dai ricercatori triestini negli anni ’70 sulla base di un progetto inglese (High e Hanna, 1970) o con il tra- versing micro erosion meter (TMEM), prototipo costruito tenendo conto delle indicazio- ni di Trudgill et al. (1981). Il TMEM (fi gura 2) è equi- paggiato con un comparatore elettronico millesimale diret- tamente interfacciato al com- puter portatile (Stephenson, 1997). Lo strumento consiste in un micrometro solidale con un telaio equipaggiato con tre supporti di forma apposita, che aderiscono a tre chiodi in titanio, due semisferici e uno piatto, infi ssi nella roccia. Il micrometro è fermamente Fig. 2 - Lo strumento TMEM utilizzato in questo lavoro. Il telaio è progettato in modo da consentire oltre 200 misure su un’area di fi ssato ai supporti, grazie alla circa 2 cm2. particolare combinazione supporti-chiodi. I supporti, che lungo le coste sono generalmente in titanio perché più resistente alla corrosione, vengono inseriti in tre fori opportunamente disposti nella roccia e fi ssati con cemento a presa rapida. Per ogni stazione MEM costiera è stato misurato anche l’indice di scabrezza utilizzando il pettine di Burton. I profi li sono stati confrontati con la scala JCR e rappresentano la media di tre profi li lungo i lati del triangolo che forma ogni singola stazione.

Risultati

Sulla base di considerazioni litostratigrafi che, geomorfologiche e idrogeologiche si ricono- scono, in un quadro unico di evoluzione geomorfologica della costa settentrionale del Golfo di Trieste, 6 tratti rappresentativi che, procedendo da SE verso NW, sono Miramare, Canovella, Aurisina Mare, Falesia di Duino, Duino, Cernizza (Figura 1 e Tabella 1). Nei siti di Miramare, Falesia di Duino e Cernizza sono attive anche stazioni di misura della consumazione (Cucchi et al., 2006; Furlani et al., 2009b).

154 Inclinaz. Sito Lat. Long. Unità litostratigrafi ca Forma Profondità costa Cernizza 45,77013 13,59311 90° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.30 m Duino (Castello Vecchio) 45,76996 13,60018 90° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.70 m Duino (Castello Vecchio) 45,76981 13,60028 90° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.80 m Duino (Castello Vecchio) 45,76987 13,60048 90° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.65 m Duino (Scoglio di Dante) 45,76953 13,60096 70° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.30 m Duino (Scoglio di Dante) 45,76956 13,60126 80° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.40 m Duino (Castello Nuovo) 45,76938 13,60211 80° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.20 m Duino (Castello Nuovo) 45,76942 13,60244 90° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.40 m Duino (Castello Nuovo) 45,76956 13,60279 90° Calcari di Aurisina Simmetrico -2.40 m Duino 45,76983 13,60393 60° Liburnico Roof notch -1.80 m Duino 45,76993 13,6046 60° Liburnico Roof notch -1.70 m Duino 45,76985 13,60512 60° Liburnico Roof notch -1.50 m Duino 45,76974 13,60582 60° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.70 m Duino 45,76963 13,60625 60° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.70 m Falesia di Duino 45,76964 13,60704 70° Liburnico Roof notch -1.60 m Falesia di Duino 45,7697 13,60767 70° Liburnico Roof notch -1.50 m Falesia di Duino 45,76955 13,60844 70° Liburnico Roof notch -1.60 m Falesia di Duino 45,76937 13,60883 60° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.60 m Falesia di Duino 45,76924 13,6094 60° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.50 m Falesia di Duino 45,76922 13,60974 90° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.60 m Falesia di Duino 45,76911 13,61722 90° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.40 m Falesia di Duino 45,7687 13,61775 90° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.30 m Falesia di Duino 45,7686 13,61792 90° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.25 m Falesia di Duino 45,7685 13,61847 90° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.25 m Falesia di Duino 45,76847 13,61869 90° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.10 m Falesia di Duino 45,76846 13,61889 80° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.10 m Falesia di Duino 45,76846 13,6192 90° Liburnico Roof notch -1.00 m Falesia di Duino 45,76834 13,61937 110° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.00 m Falesia di Duino 45,76825 13,62029 110° Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.00 m blocchi Aurisina mare 45,7527 13,6501 Calcari di Aurisina Simmetrico -1.20 m di crollo

blocchi Aurisina mare 45,7524 13,6504 Calcari di Aurisina Simmetrico -1.20 m di crollo

blocchi Canovella 45,7465 13,6598 Alveoline e Nummuliti Roof notch -1.10 m di crollo Miramare 45,7046 13,7109 olistoliti Alveoline e Nummuliti Roof notch -0.80 m Miramare 45,7017 13,7142 olistoliti Alveoline e Nummuliti Roof notch -0.70 m Miramare 45,7016 13,7152 olistoliti Alveoline e Nummuliti Roof notch -0.70 m Miramare 45,7011 13,7188 olistoliti Alveoline e Nummuliti Roof notch -0.60 m Tab. 1 (riorganizzata da Furlani et al., 2011a) – Caratteristiche dei solchi marini sommersi rilevati nel Golfo di Trieste con sito di rilevamento; coordinate WGS84; inclinazione del pendio in gradi; caratteri- stiche litostratigrafi che; età; forma del solco marino; profondità del solco in metri.

155 Miramare

In corrispondenza del promontorio del castello di Miramare, su una piattaforma costiera (shore platform) in Flysch (Figura 3a) poggiano olistoliti in calcari ad Alveoline e Nummuliti. Nei punti in cui i blocchi sono fronteggiati da una spiaggetta, i processi erosivi ed abrasivi rimuovono le forme dissolutive o biocorrosive. Quelli isolati in mare, sono interessati da modeste forme di biocorrosione, come gli alveoli prodotti dall’azione dissolutiva di Patella sp. che rendono più scabra la superfi cie (Figura 3b). Alcuni dei massi, di dimensione metrica, che si trovano nella zona sopratidale, sono completamente ricoperti da alveoli di circa 2 cm di diametro. Il solco marino è stato localizzato sui massi più esterni ad una profondità variabile da -0.60 m s.l.m. sugli olistoliti che si trovano verso sud, fi no a -0.80 m s.l.m. su quelli posti a nord del castello. La forma del solco marino è di tipo roof notch, descritto da Benac et al. (2004, 2008) nel Quarnaro (Golfo di Fiume, Croazia), ovvero con il tetto grossomodo piatto. Nel sito sono state posizionate sei stazioni MEM (Tabella 2) sui blocchi olistolitici (Figura 3c e 3d) e una su una piastra rimovibile saldata al molo del castello.

Scabrezza Giorni di Tasso medio di Sito Sigla Quota indice Inclinaz. Note Fonte esposizione consumazione JCR

Miramare MI1A 0,20 m s.l.m 940 0,299 mm/yr 10, 8, 6 82° distrutta Furlani et al., 2011a Miramare MI1B 0,20 m s.l.m 940 0,349 mm/yr 9, 4, 8 82° distrutta Furlani et al., 2011a Miramare MI2A 0,20 m s.l.m 2602 0,291 mm/yr 6, 12, 7 82° attiva questo lavoro Miramare MI2B 0,20 m s.l.m 2602 0,289 mm/yr 6, 5, 7 82° attiva questo lavoro Miramare MI4A 0,20 m s.l.m 2446 0,223 mm/yr 14, 14, 7 90° attiva questo lavoro Miramare MI4B 0,20 m s.l.m 2446 0,151 mm/yr 16, 13, 7 90° attiva questo lavoro Miramare MI3 0,10 m s.l.m 2589 0,725 mm/yr 6, 10, 2 5° attiva questo lavoro Falesia di Duino VP1A 0,70 m s.l.m 9671 0,039 mm/yr 11, 3, 19 47° attiva questo lavoro Falesia di Duino VP1B 0,70 m s.l.m 7884 0,008 mm/yr 20, 11, 20 47° attiva questo lavoro Falesia di Duino VP2 0,20 m s.l.m 2847 0,180 mm/yr / / distrutta Cucchi e Forti, 1986 Falesia di Duino VP3 -0,50 m s.l.m 2110 1,170 mm/yr / 85° attiva Furlani et al., 2011a Duino DM1 1,00 m s.l.m 178 0,021 mm/yr / / distrutta Cucchi e Forti, 1986 Duino DM2 1,60 m s.l.m 369 0,035 mm/yr 12, 16, 14 16.1° distrutta Cucchi e Forti, 1986 Duino DM3 2,30 m s.l.m 369 0,190 mm/yr / / distrutta Cucchi e Forti, 1986 Duino DM4 0,30 m s.l.m 250 0,102 mm/yr / / distrutta Cucchi e Forti, 1986 Duino DM5 1,00 m s.l.m 555 0,036 mm/yr 8, 8, 9 44.2° attiva questo lavoro Duino DM6 1,60 m s.l.m 250 0,015 mm/yr 12, 16, 14 16.1° attiva questo lavoro Duino DM7 2,05 m s.l.m 250 0,022 mm/yr 11, 11, 5 38.4° attiva questo lavoro

Tab. 2 (modifi cata da Furlani et al., 2011b) – Stazioni di misura della dissoluzione con micro erosion meter (MEM) e traversing micro erosion meter (TMEM) posizionate lungo la costa con sito; sigla singola stazione; quota sul livello del mare in metri; periodo di esposizione in giorni; abbassamento medio della superfi cie rocciosa in mm/anno; indice JCR di scabrezza della superfi cie indagata, inclinazione della stazione; note; fonte del dato. La misura è presa sui tre lati del triangolo che costituisce la stazione, in modo da non modifi care la superfi cie di misura

156 Fig. 3 – Miramare: a) la shore platform di Miramare durante una bassa marea. I blocchi sono gli olisto- liti di calcare ad Alveoline e Nummuliti, “relitti morfologici” dei processi di arretramento della falesia in facies di fl ysch; b) alveoli con Patella coerulea su un olistolite; c), d) stazioni MEM, MI2A e MI2B durante la bassa e l’alta marea; e) mareggiata. Alcuni blocchi evidenziano forme relative a processi di biocorrosione attivi in zone di marea diverse: si tratta di blocchi spostati dalla loro posizione originaria proprio nel corso di mareggiate.

157 Canovella

I calcari in questo tratto di costa sono rappresentati da blocchi di crollo di calcare ad Al- veoline e Nummuliti (Figura 4a), sui quali si osservano poche forme carsiche costiere (Figura 4b), dal momento che probabilmente sono rimasti esposti solo per alcune centinaia d’anni all’azione marina. Sono presenti microscannellature e cariature, localmente con fori e alveoli. Attorno al livello medio marino, in corrispondenza dei ciottoli di spiaggia, le forme sono molto arrotondate (Figura 4b). Il solco marino è stato localizzato ad una profondità di -1.10 m (Figura 4c).

Fig. 4 – Canovella: a) blocco di crollo di calcare ad Alveoline e Nummuliti: il colore marrone evidenzia una superfi cie sub-arrotondata da processi bioerosivi; b) sullo stesso masso sono evidenti morfologie carsiche legate all’azione del mare: alveoli, piccole scannellature, solco di abrasione; c) verso mare, il masso di dimensioni maggiori presenta un solco marino, con morfologia tipo roof notch, a -1.10 m di profondità.

158 Aurisina Mare

Ad Aurisina Mare sono presenti blocchi costituiti da brecce quaternarie e grandi blocchi di crollo provenienti dai calcari di Aurisina della soprastante falesia. Le forme carsiche sono simili a quelle osservate sui calcari, ma più diffuse, con grandi nicchie e fori, alcuni dei quali legati ai vuoti lasciati dai clasti. Lungo la spiaggia, alcuni massi di breccia sono stati erosi dall’azione meccanica del moto ondoso tanto da assumere una forma a fungo (Figura 5a). Morfologie a fungo sembrano presenti anche sul livello dell’antica linea di costa rappresentata dal solco sommerso. Quest’ultimo, in particolare, si trova sia su alcuni blocchi di calcare di Aurisina poggianti sulle brecce, che sulle brecce stesse. La loro quota è di -1.20 m. (Figura 5b).

Falesia di Duino

Il settore compreso tra il porticciolo di Sistiana e la spiaggia (pocket beach) al piede del castello nuovo di Duino è dominato da una falesia calcarea (in calcari di Aurisina, calcari liburnici, calcari ad Alveoline e Nummuliti) alta e a picco sul mare (plunging cliff) impostata su strati verticali (Figura 1). Le profondità del fondale al piede variano da meno di un metro a circa -4 m sotto la parete di Sistiana. Tutto il settore è interessato da un’alternanza continua fra pareti verticali e pareti sub-verticali, favorita da numerose discontinuità (Figura 6a). In corrispondenza delle discon- tinuità (che spesso sono faglie a limitato rigetto) e di piani di interstrato meno resistenti sono spesso presenti modeste cavità ed anfratti a sviluppo sia emerso che sommerso. Nonostante la loro origine subaerea, è evidente una rielaborazione da parte del mare, soprattutto in termini di morfologie superfi ciali, più che di allargamento vero e proprio. Sulla falesia, in corrispondenza delle faglie lungo le pareti e al largo, abbondano le sorgenti costiere (Accerboni e Mosetti, 1967). Sebbene la falesia sia quasi interamente a picco (Fi- gura 6c), in alcuni punti si possono osservare modeste basin pools (Fig. 6b), la cui morfologia è strettamente legata alle discontinuità; il permanere di acqua e la presenza di alghe porta ad una “rielaborazione” di tipo carsica. Non si tratta quindi di vere e proprie kamenitze, ma di forme complesse, condizionate dall’assetto strutturale (Figura 6d). Il solco marino, ben evidente lungo tutta la falesia, si trova ad una profondità che aumenta procedendo da SE verso NW, e va da -1.0 m presso il porticciolo a -1.6 m in corrispondenza della spiaggetta. Quando alla base della falesia, in posizione anche sommersa, sono presenti ciottoli o blocchi arrotondati, si riconosce anche un solco di abrasione, con le superfi ci levigate dall’azione abrasiva del materiale in carico alle onde. Nel sito sono stati misurati i valori di consumazione di 7 stazioni MEM (Tabella 2), posi- zionate su calcari ad Alveoline e Nummuliti e di 2 stazioni sulla falesia, a circa 70 m di quota (Tabella 4). I valori di consumazione sono molto variabili. Il valore più elevato è relativo alla stazione DM 3 con 0.19 mm/anno, quello minore alle stazioni DM2 e DM 5 con rispettivamente 0.035 mm/anno e 0.036 mm/anno.

Duino

Nell’area compresa tra il Castello nuovo e il porticciolo di Duino, le profondità al piede della falesia sono le più elevate (fi no a -7 m s.l.m.) fra quelle rinvenute nell’area di studio. An- che la profondità del solco marino aumenta fi no a raggiungere i -2.8 m s.l.m. sotto il castello vecchio (Figura 7a, tabella 2).

159 Fig. 5 – Aurisina Mare: a) morfologia a fungo su un blocco residuale di breccia legata all’azione abrasiva dei ciottoli di spiaggia durante le mareggiate; b) solco marino sommerso a -1.20 m di profondità impostato su un blocco di calcare di Aurisina che poggia sulla breccia. (Foto F. Andonioli)

160 Fig. 6 – Falesia di Duino: a) la falesia sottostante il Sentiero Rilke impostata su strati da subverticali a verticali. I calcari di Aurisina sono interessati da scannellature ed altre forme prettamente epigee che verso mare possono venir riprese dai processi costieri; b) piccolo terrazzo impostato in corrispondenza dell’intersezione fra più famiglie di discontinuità; c) particolare della zona intertidale su una parete verticale; d) kamenitza.

Nonostante nell’area affi orino calcari di Aurisina abbastanza carsifi cabili, le forme carsiche costiere e intertidali signifi cative (da millimetriche a metriche), a parte i solchi marini, sono piuttosto rare. In prossimità del porticciolo si rinviene una modesta cavità semisommersa che si sviluppa in corrispondenza di una discontinuità perpendicolare alla linea di costa. A occidente del porticciolo, la costa si abbassa e localmente sono presenti famiglie di di- scontinuità la cui geometria favorisce lo sviluppo di modesti ripiani sui quali si sviluppano pozze e piccole kamenitze (Figura 7b). Un ripiano (Figura 7b) si è sviluppato in corrispondenza dell’intersezione di due famiglie di discontinuità a circa 0.5 m s.l.m. ed è caratterizzato da una pozza riempita dal mare, sia in occasione delle maree di sizigia che dagli spruzzi. Nella pozza sono presenti abbondanti alghe, a testimonianza di una quasi continua permanenza dell’acqua all’interno. I sistemi di discontinuità subverticali creano modesti sistemi di canaloni (grikes), che nelle parti inferiori sono invasi dall’acqua e presentano morfologie carsiche rielaborate dall’azione del mare (Figura 7c).

161 Cernizza

Le caratteristiche del carsismo costiero di questa zona sono state descritte in maniera dettagliata da Cucchi e Forti (1983) che hanno rilevato anche la presenza di 17 sorgenti costiere che, a volte, fungono anche da inversac. Lungo il litorale affi orano calcari di Auri- sina molto fossiliferi, con tessitura prevalentemente sparitica. Le forme carsiche variano in funzione del prevalere, di volta in volta, dei diversi processi legati alla dissoluzione da acque dolci e acque salmastre, al carsismo sottocutaneo sul fondale marino, all’abrasione marina. Nella zona di bassa marea sizigiale sono presenti forme molto arrotondate per carsismo sot- tocutaneo, dovuto al saltuario ricoprimento da parte di materiale limoso-sabbioso e alla sua azione abrasiva. Nella zona intertidale e nella zona sopratidale i contorni delle morfologie (scannellature, pinnacoli, runnels, cariature) sono esasperati e presentano punte frastagliate e cariature da aerosol marino, da azione di cianobatteri o degli spruzzi. Le forme di corrosione carsica per acque piovane sono presenti solo al di fuori dell’azione diretta del mare, ma sono poco evidenti perché la vegetazione a macchia mediterranea è molto vicina al mare (Figura 7b). La costa è digradante, non particolarmente acclive, il fondale è poco profondo, per cui non è stato rilevato il solco sommerso.

Fig. 7 – Duino e Cernizza: a) Il solco sommerso a Duino (Foto F. Andonioli); b) alveoli sub-decimentrici riempiti da Mytilus galloprovincialis; c) scannellature e runnels; d) vasca di forma irregolare. I contorni spigolosi denunciano l’origine tettonica.

162 Nell’area si trovano 4 stazioni MEM. Una è stata distrutta durante una mareggiata (Tab. 2). L’inclinazione delle stazioni VP1 e VP2 è quella della costa (47°); la VP3 si trova a -0.5 m s.l.m ed è posizionata su una superfi cie sub verticale.

I solchi sommersi

La profondità e le caratteristiche morfometriche del solco marino, misurate in 35 siti sono riportate in tabella 1: i dati integrano ed in parte aggiornano quelli illustrati in precedenti lavori sui solchi sommersi, in particolare quelli dovuti ad Antonioli et al., (2004, 2007) e a Furlani et al. (2011a, b). I solchi più profondi sono stati individuati nel settore settentrionale del Golfo di Trieste, tra Duino e Sistiana, ad una quota variabile da -2.80 m a -1.0 m (Figura 7a). Nei pressi di Duino il solco incide i calcari cretacici di Aurisina, dal castello di Duino a Sistiana i calcari paleo- cenico/eocenici del Liburnico e quelli eocenici ad Alveoline e Nummuliti. A Duino la forma del notch è perfettamente simmetrica, verso Sistiana assume la forma a roof notch. A SE di Sistiana, i solchi sono a profondità decrescente e non interessano gli affi oramenti in posto ma olistoliti o blocchi di crollo al piede della falesia. In particolare, la profondità diminuisce dai -1.20 m di Aurisina Mare, ai -0.9 m di Canovella fi no ai -0.60 m di Miramare. L’ampiezza del solco è maggiore di 1 m, in accordo con la marea locale.

Dati MEM e TMEM

I tassi di consumazione raccolti lungo le coste del golfo indicano alti valori di consumazione in rapporto a quelli del carso interno (Tabella 3), con valori che variano da 0.145 mm/anno a 0.349 mm/anno, con un massimo nella stazione VP3, in cui la consumazione media è di 0.970 mm/anno. I valori di consumazione media comunque sembrano diminuire dal periodo 2004-2005 al 2005-2009. I dati raccolti da Furlani et al. (2010) su una piastra di calcare posizionata nella zona in- tertidale a Miramare, per studiare le variazioni di consumazione tra l’alta e la bassa marea, e quindi fornire indicazioni più precise sulla genesi del solco marino, indicano un’alta variabilità, in parte legata alle variazioni stagionali di crescita delle alghe (Tabella 4). Come riportano gli autori, anche se non è ben chiara la funzione bioprotettiva o bioerosiva di queste alghe (principalmente Enteromorpha e Ulva), la loro presenza impedisce di ottenere dati precisi con continuità.

Considerazioni

Le caratteristiche morfologiche della costa carbonatica che si affaccia sul Golfo di Trieste sono condizionate da numerosi fattori: pendenza del litorale, condizioni strutturali, caratte- ristiche tessiturali dei calcari e condizioni meteoclimatiche e idrologiche dell’area. Questi fattori, e in particolare l’assetto strutturale, per il quale mai la stratifi cazione in prossimità della costa è suborizzontale o poco inclinata, non consentono lo sviluppo estensivo di mor- fologie carsiche costiere. Sono estremamente rare le tide pools e i canaloni litorali (shore grykes), mentre sono presenti piccole forme, legate soprattutto all’azione degli organismi intertidali, come gli alveoli o i microalveoli (pits). In misura minore, dove la topografi a lo permette, si rinvengono anche pinnacoli (pinnacles) e scannellature, con morfologia irrego- lare a contorni aguzzi.

163 Stazione Quota Giorni di esposizione Anni Consumazione media BD 241 m s.l.m. 6812 18.7 0,021 mm/anno BEA 370 m s.l.m. 9514 26.1 0,014 mm/anno BEB 370 m s.l.m. 6586 18.0 0,014 mm/anno BR 440 m s.l.m. 7017 19.2 0,009 mm/anno CF1A 284 m s.l.m. 3523 9.7 0,023 mm/anno CF1B 284 m s.l.m. 3523 9.7 0,021 mm/anno CN1A 291 m s.l.m. 9474 26.0 0,017 mm/anno CN1B 291 m s.l.m. 6807 18.6 0,017 mm/anno CS1A 253 m s.l.m. 9527 26.1 0,020 mm/anno CS1B 253 m s.l.m. 6608 18.1 0,011 mm/anno CS2 251 m s.l.m. 6973 19.1 0,020 mm/anno CS3A 254 m s.l.m. 2773 7.6 0,028 mm/anno CS3B 254 m s.l.m. 2772 7.6 0,016 mm/anno CS4 253 m s.l.m. 2702 7.4 0,011 mm/anno CS5 253 m s.l.m. 2702 7.4 0,015 mm/anno DCA 419 m s.l.m. 2509 6.9 0,012 mm/anno DCB 419 m s.l.m. 2509 6.9 0,010 mm/anno DOA 229 m s.l.m. 9505 26.0 0,019 mm/anno DOB 229 m s.l.m. 6587 18.0 0,019 mm/anno DUA 76 m s.l.m. 8440 23.1 0,013 mm/anno DUB 76 m s.l.m. 6249 17.1 0,010 mm/anno GG1A 275 m s.l.m. 9583 26.3 0,022 mm/anno GG1B 275 m s.l.m. 6605 18.1 0,025 mm/anno GG1C 275 m s.l.m. 6006 16.5 0,022 mm/anno GG1D 275 m s.l.m. 6045 16.6 0,018 mm/anno GG1E 275 m s.l.m. 2738 7.5 0,023 mm/anno GG2A 276 m s.l.m. 6202 17.0 0,017 mm/anno GG2B 276 m s.l.m. 2777 7.6 0,009 mm/anno GG2Bbis 276 m s.l.m. 724 2.0 0,010 mm/anno GG3A 275 m s.l.m. 4033 11.0 0,022 mm/anno GG3B 275 m s.l.m. 3809 10.4 0,038 mm/anno GG3C 275 m s.l.m. 2547 7.0 0,017 mm/anno GG3D 275 m s.l.m. 2588 7.1 0,023 mm/anno GG3E 275 m s.l.m. 995 2.7 0,023 mm/anno GG3F 275 m s.l.m. 911 2.5 0,032 mm/anno GG4 275 m s.l.m. 911 2.5 0,020 mm/anno ML1A 522 m s.l.m. 9488 26.0 0,016 mm/anno ML1B 522 m s.l.m. 6198 17.0 0,016 mm/anno PO1A 115 m s.l.m. 2211 6.1 0,016 mm/anno PO1B 115 m s.l.m. 2211 6.1 0,010 mm/anno TB1 389 m s.l.m. 2160 5.9 0,016 mm/anno TB2 389 m s.l.m. 2160 5.9 0,015 mm/anno VA 253 m s.l.m. 9527 26.1 0,016 mm/anno VCA 390 m s.l.m. 6900 18.9 0,031 mm/anno VCB 390 m s.l.m. 3647 10.0 0,015 mm/anno Tab. 3 – Tabella riassuntiva, con le misure di abbassamento delle superfi ci calcaree nelle stazioni di misura sparse per il Carso Classico triestino assunte con micro erosion meter (MEM) e/o traversing micro erosion meter (TMEM), con: sigla stazione; quota affi oramento in m s.l.m.; giorni ed anni di esposizione; valore di consumazione media annua in mm. Per l’ubicazione delle stazioni si veda la Figura 1.

164 Periodo Variazione totale della superfi cie Stazione Quota di immersione topografi ca - nov.-07/gen.-10

MA 0,75 m s.l.m. 1 giorni/anno 0,100 mm/anno MB 0,50 m s.l.m. 10 giorni/anno 0,103 mm/anno MC 0,25 m s.l.m. 62 giorni/anno 0,084 mm/anno MD 0,0 m s.l.m. 159 giorni/anno 0,103 mm/anno ME -0,25 m s.l.m. 266 giorni/anno 0,100 mm/anno MF -0,50 m s.l.m. 335 giorni/anno 0,051 mm/anno MG -0,75 m s.l.m. 360 giorni/anno 0,056 mm/anno

Tab. 4 – Misure di consumazione nella stazione di Miramare con quota in metri s.l.m.; periodo com- plessivo di immersione; valori di consumazione assunti con traversing micro erosion meter (TMEM). Il periodo di immersione è stato calcolato sulla base dei dati mareografi ci forniti dal prof. Franco Stravisi del Dipartimento di Geoscienze di Trieste e rappresentano la somma totale dei giorni dell’anno in cui la stazione è sommersa.

In generale, le forme di carsismo costiero sono in larga misura inferiori al metro, ed assu- mono dimensioni metriche solo là dove interviene il condizionamento strutturale. La carenza di forme carsiche è legata a numerosi fattori, fra i quali i più importanti, nel complesso, sono la lentezza del fenomeno carsico rispetto all’attività erosiva del moto ondoso e la non prolungata esposizione dei calcari agli agenti corrosivi. Non per nulla, il solco marino a forma simmetrica è particolarmente sviluppato sui più carsifi cabili calcari cretacici della formazione di Aurisina che altrove. Analoghe considerazioni in merito al tempo di formazione possono estendersi anche ai numerosi blocchi calcarei presenti lungo la costa, la maggior parte dei quali è legata a crolli recenti. Nel caso degli olistoliti di Miramare, la carenza di forme carsiche va ricondotta al fatto che i massi erano inglobati nel Flysch: Furlani et al. (2009b) attribuiscono al Flysch costiero tassi di consumazione di almeno una decina di volte superiore a quelli dei calcari. A Miramare comunque un blocco oggi in posizione intertidale presenta forme alveolari riconducibili ad una intensa azione bio-corrosiva e non rinvenute nei massi vicini. Probabilmente gli alveoli di corrosione si sono formati a quote inferiori al medio mare e solo successivamente, per una grossa mareggiata, sono spostate alla quota attuale. Anche i blocchi di breccia quaternaria, ben consolidata ma poco carsifi cabile, presenti tra Canovella e Marina di Aurisina, sono interessati da forme legate più ai processi erosivi che a quelli carsici. Rare sono le zone in cui assetto strutturale e topografi a favoriscono la formazioni di piccole vasche dai contorni rettilinei ma irregolari. Si tratta di bacini la cui forma denuncia l’origine tettonica e uno sviluppo legato all’azione di corrosione marina simile a quanto avviene nelle tidal pool o nei basin pools (Lundberg, 2009). Queste forme sono osservabili alla base della falesia di Duino là dove gli strati, fortemente tettonizzati, non sono verticali e formano un piccolo sperone roccioso e in prossimità del porticciolo di Duino, dove la costa è strutturata su piani di strato inclinati di circa 45°. In questi piccoli bacini si ha anche l’azione biochimica degli organismi marini, che comunque sembra attiva da poco tempo. La notevole acclività della costa e le condizioni morfologiche e strutturali dell’area impe- discono lo sviluppo di estese morfologie carsiche costiere, ma hanno favorito la formazione di solchi marini lungo la falesia tra Duino e Sistiana, sugli olistoliti e sui blocchi di crollo tra Sistiana e Miramare.

165 L’ampiezza verticale del solco, compatibile con la locale variazione della marea, è te- stimonianza della sua origine intertidale, l’ampiezza orizzontale porta a valutare i tassi di consumazione lungo la costa circa 10 volte superiori a quelli del Carso Classico interno e variano dai decimi di millimetro al millimetro all’anno (Cucchi e Forti, 1986; Cucchi et al., 2006; Furlani et al., 2009b) vedi Tab. 1 e 4. Gli elevati tassi dipendono dalla presenza degli organismi intertidali (litofagia e/o decomposizione), dall’interazione acqua dolce / acqua di mare presso le numerose sorgenti costiere e dall’azione abrasiva dei materiali movimentati dal moto ondoso. A fronte della presenza di un solco marino sommerso ad una quota variabile tra -0.6 m a Miramare e -2.8 m a Duino, è assente lungo la riviera triestina il solco marino attuale. La quota del solco sembra maggiore dove anche la profondità del fondale è maggiore, il che potrebbe essere legato al movimento di tilting SE-NO dell’area. Furlani et al. (2011b) propongono due ipotesi per la formazione del solco sommerso legate entrambe alle condizioni strutturali e climatiche. Nella prima viene ipotizzato un periodo di relativa stabilità tettonica, durante il quale il solco si è formato ai tassi attuali di consumazione, seguito da un abbassamento repentino dell’area, forse di tipo co-sismico. L’altra ipotesi presuppone condizioni climatiche più miti di quelle attuali, quali quelle di età post-romana del solco (Faivre et al., 2011), la cui formazione potrebbe essere ascritta all’optimum climatico medioevale, con tassi di consumazione più elevati. La relativa carenza di forme carsiche costiere potrebbe quindi essere legata anche agli alti tassi di abbassamento tettonico (-0.77 mm/anno o ancor maggiori nella zona di Duino) a cui è soggetta l’area. Questi rapidi movimenti verticali rimuovono i calcari dall’azione dei processi della zona intertidale e non consentono la formazione di forme mature (1).

Ringraziamenti

Un ringraziamento particolare va a Roberto Odorico della Riserva Marina di Miramare per la disponibilità nelle operazioni di rilevamento costiero e subacqueo. Un grazie anche a tutti coloro che negli anni hanno contribuito alla raccolta delle misure di consumazione costiera, in particolare Fabio Forti, Anna Rossi, Daniela Codeglia, Martina Zaccariotto ed Enrico Zavagno.

(1) Si ricorda che lungo la vicina costa istriana si rinvengono forme tipiche del carso subaereo in posizione sommersa, quali i numerosi canaloni e le tidepools della costa istriana (Furlani et al., 2011b). Queste forme non sono evidenti nel Golfo di Trieste perché il fondale prossimo al litorale è in Flysch già a pochi metri di profondità (Furlani et al., 2009a).

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168 Atti e Memorie della Commissione Grotte “E. Boegan” Vol. 43 pp. 169-189 Trieste 2011

MANUELA MONTAGNARI KOKELJ(*) – CHIARA BOSCAROL(*) – ERIKA JURIŠEVIĆ(*)

NEOLITICO DEI VASI A COPPA/VLAŠKA (CARSO TRIESTINO, ITALIA NORD ORIENTALE): VECCHI DATI E NUOVI STUDI SULLA CERAMICA

RIASSUNTO Le revisioni sistematiche dei materiali provenienti da vecchi scavi effettuati in alcune delle princi- pali grotte del Carso triestino, condotte negli anni 1990-inizi 2000, avevano messo in evidenza alcune delle criticità dell’aspetto cronologico-culturale noto come Neolitico dei vasi a coppa o Gruppo Vlaška (Neolitico antico-medio). In particolare, proprio il vaso a coppa, l’elemento più comune, che presenta una relativa variabilità tipologica e dimensionale che può corrispondere a variazioni di funzionalità ma anche di codici di comunicazione simbolica o di inquadramento cronologico, non era mai stato analizzato a fondo. In questo contributo si presentano i risultati preliminari di uno studio recente che ha esaminato questa problematica usando un approccio prima tipologico-comparativo, poi matematico- statistico all’analisi dalla variabilità dei vasi a coppa.

ABSTRACT

Some problems of the cultural aspect known as Neolitico dei vasi a coppa or Gruppo Vlaška (Early-Mid- dle Neolithic) had emerged from the systematic re-examinations of materials coming from old excavations in some of the most important caves of the Trieste Karst, carried out from the early 1990s to the early 2000s. The vaso a coppa itself, the most typical element of this aspect, had never been studied in detail, and so was its typological and dimensional variability, which may indicate variations in its functions, or codes of symbolic communication, or chronological position. In this contribution we present the results of a recent study that has used a typological-comparative approach fi rst, and then a mathematical-sta- tistical one to examine these problems.

Premessa

In un articolo di oltre 10 anni fa venivano messe in evidenza alcune delle criticità del Neo- litico del Carso (fi g. 1) noto come Neolitico dei vasi a coppa o come Gruppo Vlaška, emerse dalle revisioni sistematiche dei materiali provenienti da vecchi scavi avviate nei primi anni

(*) Dipartimento di Storia e Culture dall’Antichità al Mondo Contemporaneo, Università degli Studi di Trieste, via Lazzaretto Vecchio 6, I-34123 Trieste, Italia. e-mail: [email protected], [email protected], [email protected]

169 1990, e all’epoca dell’articolo ancora in corso(1). In particolare, veniva notato che le differenze terminologiche nella defi nizione di questo aspetto cronologico-culturale rifl ettevano ben più sostanziali differenze contenutistiche, cioè che le componenti — specialmente quelle cerami- che — identifi cate come caratterizzanti non coincidevano da studioso a studioso. Un’analisi comparata approfondita delle diverse posizioni interpretative veniva considerata fondamentale ai fi ni di un riesame globale della problematica, ma veniva rinviata per dare spazio ai nuovi dati, e specifi camente a quelli riguardanti l’identifi cazione di un’associazione ricorrente di cinque elementi — dei quali il “vaso a coppa” è logicamente quello principale — a fronte di altri documentati solo occasionalmente, e della diversa incidenza percentuale di tali elementi, all’interno sia dell’associazione-tipo che della totalità dei vasi attribuibili al Neolitico nei diversi complessi.

Fig. 1 – Area geografi ca di riferimento

Allo stesso tempo venivano sottolineate questioni che avrebbero meritato ulteriori appro- fondimenti, in particolare la “funzionalità dei diversi tipi di recipienti e specialmente dei vasi a coppa, in rapporto alla variabilità tipologica e alla variabilità dimensionale (che fra l’altro sembra troppo ampia per giustifi care il mantenimento della classifi cazione attualmente in uso)” e “un aspetto messo già in luce ma fi nora scarsamente valutato in tutte le sue possibili implicazioni, ossia la sostanziale atipicità proprio dei vasi a coppa e la loro conseguente am- biguità sul piano culturale”. Ancora, in base all’osservazione che singoli esemplari di vasi che tipologicamente rientrano fra i vasi a coppa si distinguono, però, per una decorazione diversa nella tecnica esecutiva e/o nella sintassi ornamentale, veniva indicata la necessità di “studiare a fondo anche i rapporti interni al gruppo dei vasi a coppa fra ceramica decorata e non decorata, specialmente in termini di produzione locale vs. non locale”. Non era, e non è facile affrontare contemporaneamente le problematiche sollevate, anche

(1) Montagnari Kokelj 2002.

170 perché gli obiettivi ultimi — cioè la formulazione di ipotesi sostenibili in merito a funziona- lità dei diversi recipienti, produzione locale o esterna, affi nità tipologiche su scala territoriale variabile — presuppongono da un lato indagini archeometriche, e dunque coinvolgimenti in- terdisciplinari in più settori, dall’altro studi comparativi estesi arealmente. Ma presuppongono, innanzitutto, un riesame accurato della variabilità formale e dimensionale del vaso a coppa, e del rapporto fra questo e gli altri recipienti attualmente riconosciuti come rappresentativi del Neolitico carsico. Sul primo di questi aspetti si è focalizzato uno studio recente(2), di cui si presentano in questa sede i risultati considerati più interessanti, insieme a qualche conside- razione sulle relazioni fra le diverse componenti del Neolitico carsico.

Note sintetiche di storia degli studi

L’analisi comparata delle diverse interpretazioni del Neolitico del Carso triestino è in corso(3), ma pensiamo sia utile anticipare alcune osservazioni su quelle che forse hanno più infl uito sull’immagine di questa facies recepita nella letteratura italiana e straniera dagli anni 1960 c.. Costruzione di un’interpretazione di un dato aspetto culturale e circolazione della stessa sono, logicamente, due questioni interconnesse ma distinte, con parametri di analisi in parte diversi. Due elementi infl uiscono comunque su entrambe, la lingua in cui un contributo è stato scritto e la sede di pubblicazione. Ad esempio, lingue come lo sloveno e il croato e riviste di speleologia possono limitare la comprensione e l’accessibilità di un testo rispettivamente a chi non le conosce e a chi è estraneo agli ambienti speleologici, precludendo quindi a queste persone la conoscenza di dati potenzialmente essenziali. Ma i dati, la documentazione sui siti di ritrovamento e sui materiali, sono (o dovrebbero essere) importanti per uno studioso quanto le domande che egli si pone, le teorie e i modelli a cui fa riferimento, e le metodologie di indagine applicate(4). Queste componenti della ricerca possono nondimeno pesare in modo diverso, e rifl ettersi nelle pubblicazioni più o meno esplici- tamente. In genere, i dati e le metodologie sono dichiarati o più immediatamente individuabili, meglio nei lavori di analisi, meno bene in quelli di sintesi. Nella storia degli studi sulla preistoria del Carso triestino lavori di analisi e di sintesi ten- dono forse a bilanciarsi, ma le defi nizioni e le interpretazioni del Neolitico sono state proposte in genere all’interno di lavori di sintesi. Di seguito presentiamo brevemente i lavori che pensiamo siano stati più infl uenti, mettendo in evidenza soprattutto i dati relativi ai siti e ai materiali noti, eventualmente le tecniche di indagine messe in atto, e accennando soltanto a possibili rimandi a modelli teorici presenti nel testo o nella bibliografi a. Questo perché, sebbene teorie e modelli siano essenziali in uno studio e siano inscindibili dai dati noti e dalle tecniche usate, e come questi siano storicamente determinati e determinanti, attengono però alla sfera interpretativa, non a quella oggettuale. È invece l’oggetto, la ceramica, e specifi camente il cosiddetto vaso a coppa, che sta al centro del

(2) Si tratta della tesi di laurea triennale dal titolo Preistoria del Carso. Riesame crono-tipologico del Neolitico: il gruppo Vlaška discussa nell’a.a. 2009-2010 da Erika Jurišević, relatore Manuela Montagnari Kokelj, correlatore Chiara Boscarol. (3) Finora sono stati presi in esame soltanto alcuni testi di studiosi dei paesi dell’Europa orientale, speci- fi camente sloveni e croati, mentre non sono stati ancora considerati i testi a carattere divulgativo. (4) Su questa complementarità di elementi si veda, ad esempio, Renfrew, Bahn 2004: 21.

171 Fig. 2 – Neolitico carsico I A (fi g. 1, n. 1-7); I B (fi g. 1, n. 8-17); I in generale (fi g. 1, n. 18-21) (da Legnani 1968: tav. III).

nostro recente studio (v. supra), e lo sarà di conseguenza anche in questa sede, con l’obiettivo di individuare le differenze nella documentazione usata dai vari studiosi, e possibilmente le ragioni di tali differenze.

Nella Piccola Guida della Preistoria di Trieste, pubblicata nel 1968, Franco Legnani delineò l’evoluzione culturale del Carso dal Paleolitico all’età del Ferro(5), e propose una periodizzazione del Neolitico in Neolitico carsico I A–I B (fi g. 2) e II A–II B (fi g. 3). Per le diverse fasi individuò, relativamente alla ceramica, le seguenti componenti distintive: “Neolitico carsico I A: elemento caratteristico è il vaso a coppa con piccolo piede cavo e piccole prese a bugnetta, forate, a superfi cie levigata, lucida, di colore variante dal nero al bruno chiaro. Durante tale fase compaiono singoli elementi della cultura della ceramica impressa.

(5) La ricostruzione era stata anticipata da Legnani al VII Congresso Internazionale di Scienze Preisto- riche e Protostoriche.

172 Fig. 3 – Neolitico carsico II A (fi g. 2, n. 1-6); II B (fi g. 2, n. 11-13); II in generale (fi g. 2, n. 7-10, 14-25) (da Legnani 1968: tav. IV).

Neolitico carsico I B: è sempre presente in grande prevalenza il vaso a coppa a pic- colo piede cavo. Presso l’orlo compaiono elementi incisi prima della cottura, d’ordine geome- trico (triangoli, motivi a scacchiera od a rete con maglie aperte) o naturalistico (rami d’al- bero stilizzati). Durante tale fase sono pure presenti elementi propri del neolitico medio ita- liano … Stazioni tipiche: Grotta delle Gallerie in Val Rosandra, Caverna dei Ciclami presso Fernetti, Grotta Gigante (ingresso alto)”(6). “Neolitico carsico II A: prevalgono vasi a forma biconica senza collo comuni sia a Vincia che a Lengyel (Danubiano II del Childe). Sono pure presenti vasi a bocca quadrilobata … [e] gli stampi in ceramica con motivi geometrici (pintaderas) … Neolitico carsico II B: le forme dei vasi diventano più slanciate, maggiormente sviluppate in altezza, munite di basso collo cilindrico. Compare pure la ceramica dipinta ed incrostata di

(6) Legnani 1968: 28.

173 bianco in modo da formare dei motivi a zig zag verticale che mettono in luce il colore originario dell’impasto. Sono bene sviluppate le anse … Stazioni tipiche: Grotta delle Gallerie in Val Rosandra, Caverna dei Ciclami presso Fer- netti”(7). Legnani dichiarò, dunque, su quali dati costruì la sua interpretazione del Neolitico locale, anche se non sempre in modo esplicito. Ad esempio: – la grotta dei Ciclami sembra avere lo stesso peso delle grotte delle Gallerie e Gigante, ma in realtà, come si evince da altre parti del testo, rappresenta il sito di riferimento più importante. Gli scavi degli anni 1959-1962 nei Ciclami furono, infatti, condotti dallo stesso Legnani e da Stradi, che nel 1963 pubblicarono una sintesi stringata dei risultati. Lo studio include quattro sole tavole illustrative dell’intera sequenza Mesolitico-età del Ferro, comprendenti un centinaio c. di reperti disegnati schematicamente: nella revisione di questi stessi mate- riali effettuata c. 30 anni dopo i pezzi tipologicamente riconoscibili disegnati e pubblicati ammontano, invece, complessivamente a più di 700(8). I vasi e i frammenti di vasi attribuiti al Neolitico nella pubblicazione del 1963 sono 14 (in buona parte coincidenti con quelli inclusi nella Piccola Guida), a fronte di 272 pezzi della recente revisione. Da questi dati si deduce facilmente che le considerazioni fatte da Legnani si basavano sull’analisi condotta personalmente sull’intero complesso. – Legnani deve aver avuto accesso anche a materiali inediti recuperati da altri. Probabilmen- te quelli provenienti dall’ingresso alto della grotta Gigante, che furono scavati negli anni 1961-1962 ma pubblicati solo nel 1971(9), cioè dopo l’uscita della Piccola Guida. Quasi sicuramente quelli scavati da Stradi nella grotta delle Gallerie fra il 1950 e il 1956, rimasti inediti fi no al 1993: la conferma di questa ipotesi sarebbe data dall’inserimento fra i materiali illustrati attribuiti al Neolitico carsico I di due pezzi – tav. III/10 e tav. IV/ 12 – facilmente identifi cabili nella recente pubblicazione(10). – Nel caso dei materiali rinvenuti da Cannarella e Valles nella stessa grotta negli anni 1954-55 Legnani potrebbe aver avuto accesso ai materiali, ma anche no. Il dubbio nasce dal fatto che la pintadera illustrata in tav. IV/9 è una ricostruzione grafi ca del frammento ritrovato nel 1955 e presentato in fotografi a in un articolo di Valles suddiviso in tre parti, uscite fra il 1957 e il 1964(11): ma nessuna di queste parti è citata in bibliografi a da Legnani. – La bibliografi a della Piccola Guida è dichiaratamente “essenziale”, certo, ma questa non è l’unica esclusione che crea perplessità. È il caso, ad esempio, della mancata citazione dei lavori di Moser, quantomeno del suo Der Karst und seine Höhlen del 1899, da dove sono sicuramente tratti i disegni delle coppe “tipo Lubiana” (tarda età del Rame-Bronzo antico) della grotta del Pettirosso illustrati nella Piccola Guida in tav. V/11 e VI/16 (12). Dalla stessa

(7) Ibidem: 32. (8) Gilli, Montagnari Kokelj 1992. (9) Andreolotti, Stradi 1971; nel 1963 gli stessi studiosi avevano pubblicato i rinvenimenti di ossa umane e ceramica, molto probabilmente attribuibili all’età del bronzo, avvenuti nel cumulo detritico sul fondo della cavità. (10) Gilli, Montagnari Kokelj 1993: numeri 50 e 126. Questo articolo prende in esame pressoché tutti i ma- teriali rinvenuti nella grotta delle Gallerie nei numerosi interventi susseguitisi dalla fi ne dell’800 ad oggi. (11) Valles 1957, 1959, 1964: la foto compare nell’articolo del 1964 a pagina 16. Cfr. Gilli, Montagnari Kokelj 1993: n. 263. (12) = Moser 1899: tav. II/64 e fi g. 12 a pagina 64 rispettivamente.

174 grotta risulterebbero provenire i frammenti di ceramica impressa riprodotti in tav. III/5-6, ma questi non compaiono nella pubblicazione di Moser, mentre corrispondono esattamente ai numeri 11 e 6 della tav. 19 dell’articolo di Leben Stratigrafi ja in časovna uvrstitev jamskih najdb na Tržaškem Krasu, uscito nel 1967. Nemmeno questo articolo compare, però, in bibliografi a: una dimenticanza? o forse anche in questo caso Legnani avrebbe visto diretta- mente i materiali, che dovevano essere conservati al Museo di Postumia, in Slovenia? (13)

Un caso un po’ diverso è quello del rimando allo studio di Cannarella e Cremonesi del 1967 sulla grotta Azzurra, citato da Legnani soltanto in relazione al Mesolitico sebbene nel corso degli scavi fossero stati portati alla luce anche materiali neolitici e più recenti, inclusi dagli autori in pubblicazione. Tuttavia, nella parte di commento sui livelli post-mesolitici Cannarella e Cremonesi scrivevano: “La ceramica … è rappresentata da scarsi elementi in ogni singolo orizzonte culturale e ben poche sono le forme che è stato possibile ricostruire”(14): scarsità e frammentarietà potrebbero, dunque, spiegare il non inserimento nella Piccola Guida di ele- menti di evidente non facile identifi cazione tipologica. Identifi cazione che, ad un livello più generale, pur in condizioni non ottimali può essere fa- cilitata se i materiali hanno già un’identità riconosciuta: probabilmente da questo fatto deriva il riconoscimento da parte di Legnani di singoli elementi che rimandano ad aspetti culturali ben noti, come la Ceramica impressa (tav. III/ 4-6) o la Cultura dei vasi a bocca quadrata (tav. IV/5-6). All’opposto, l’inserimento nel Neolitico carsico I, pur senza un preciso riferimento culturale, di una ciotola carenata (tav. III/9) — un tipo di vaso che le recenti revisioni sistematiche dei ma- teriali provenienti da vecchi scavi hanno rintracciato in più depositi in grotta, sempre associato a vasi a coppa, ma globalmente presente con pochissimi esemplari — potrebbe avere una moti- vazione analoga a quella che pensiamo valga per il vaso a coppa. Nemmeno per il vaso a coppa, infatti, Legnani aveva proposto un preciso confronto tipologico-culturale, né con Danilo — che evidentemente conosceva, dato che aveva citato nella pubblicazione sulla grotta dei Ciclami(15) ma stranamente non ripreso nella Piccola Guida — né con altri aspetti culturali ritenuti coevi. Dai dati e dalle osservazioni precedenti si può dedurre che la sua ricostruzione della fi sio- nomia e dell’evoluzione del Neolitico sia derivata fondamentalmente dall’esame diretto dei materiali provenienti dalle cavità del Carso citate nel testo(16), e principalmente dai Ciclami, piuttosto che dalla ricerca di collegamenti con altre culture a cui agganciare quella locale(17). Un’operazione “dall’interno” dell’area in esame piuttosto che “dall’esterno”, che ha portato a

(13) Leben non citava, né nel testo né nelle didascalie delle tavole, la fonte bibliografi ca e il luogo di con- servazione dei reperti della grotta del Pettirosso, che però era quasi certamente il Museo di Postumia stando a quanto scriveva c. negli stessi anni Barfi eld, pur esprimendo seri dubbi sulla reale provenienza dei pezzi (1972: 187). Una conferma a questa supposizione viene dall’assenza di questi frammenti fra i materiali della collezione Moser conservati al Naturhistorisches Museum di e pubblicati da Barfi eld a fi ne anni 1990 (Barfield 1997-1998). (14) Cannarella, Cremonesi 1967: 298. (15) Legnani, Stradi 1963: 34. (16) Le grotte citate da Legnani non erano le sole note al tempo – cfr. ad esempio Cannarella 1962: 37-40 – ma è ipotizzabile che sia stata proprio la combinazione di esame diretto dei materiali e scarsità, frammenta- rietà, atipicità o identità non ancora riconosciuta degli stessi ad aver determinato la scelta dello studioso. (17) A questo proposito è interessante notare che Legnani sembrerebbe usare preferenzialmente il termine “età” dei vasi a coppa, mentre in seguito sarebbero stati usati piuttosto “cultura” o “gruppo culturale” (ad esempio, Bagolini, Biagi 1978-1981: 192).

175 risultati che nella loro essenza — centralità del vaso a coppa, presenza occasionale di altri tipi di vasi e manufatti ceramici(18) — sono tuttora solidi.

Una solidità sostanzialmente riconosciuta anche da Bernardo Bagolini e Paolo Biagi, che al- l’inizio degli anni 1980 scrivevano: “Non sono infatti subentrati negli ultimi anni validi elementi conoscitivi per modifi care o confermare lo schema proposto da Legnani che inquadrava il neoli- tico più antico del Carso Triestino nella Cultura dei vasi a coppa [defi nizione non coincidente con quella di Legnani, ma che avrà in seguito risonanza ben maggiore] caratterizzata da recipienti globosi tulipiformi a bocca ristretta e piede cavo, gli stessi che in seguito Barfi eld poneva come uno degli elementi caratteristici del suo Gruppo di Vlaška (Barfield L.H. 1969, 1972). Nel Carso il primo neolitico dei vasi a coppa, che avrà una lunga vita in questo territorio(19), si manifesta con tutti gli elementi caratteristici di una avvenuta piena neolitizzazione...”(20). Di seguito gli studiosi riconoscevano signifi cative affi nità di forma e decorazione fra i vasi a coppa del Carso e recipienti simili presenti nella tarda Ceramica impressa della costa adria- tica italiana(21), senza però procedere ad un’analisi comparativa puntuale: del resto, lo stesso vaso a coppa non viene analizzato né in termini di variabilità formale né di diversa presenza negli ormai numerosi contesti di rinvenimento. Curiosamente, fra questi non compare (né nel testo né in bibliografi a) proprio la grotta dei Ciclami, che contiene il numero più alto di vasi di questa tipologia rispetto a tutti i complessi coevi, e sulla quale Legnani aveva basato la sua interpretazione. Nel testo sono citate, invece, le grotte Lonza, Gallerie (scavi 1974-75), Ansa, Mitreo, Azzura, Pettirosso, Zingari, Gigante, Tartaruga e il riparo di Monrupino, ma soltanto per la presenza di singoli elementi che attesterebbero specifi ci contatti culturali: Ceramica impressa, Fiorano, Linearbandkeramik, Cultura dei vasi a bocca quadrata. In bibliografi a mancano riferimenti precisi per le grotte del Pettirosso, Gigante e Tarta- ruga(22), e manca qualsiasi rimando a Moser. Vengono, invece, ampiamente citati i lavori di

(18) È evidente che una conoscenza più precisa delle varie componenti ceramiche e della loro diversa incidenza sarebbe stata possibile soltanto molti anni dopo, grazie ad un consistente aumento di siti e ai lavori di revisione di complessi scavati ma rimasti inediti. Un solo esempio: la “ceramica dipinta ed incrostata di bianco” con motivi decorativi a zig zag verticale segnalata da Legnani fra le componenti del Neolitico carsico II B è di fatto rappresentata da un solo esemplare proveniente dalla Grotta delle Gallerie (Legnani 1968: tav. IV/12 = Gilli, Montagnari Kokelj 1993: fi g. 20/126). (19) Va sottolineato che, malgrado questa affermazione, gli studiosi non riprendono la periodizzazione proposta da Legnani, né ne propongono una nuova. (20) Bagolini, Biagi 1978-1981: 192-194. (21) Riprendendo questo riferimento nella relazione conclusiva del Convegno sulla Preistoria del Friuli- Venezia Giulia, 28-29 aprile 1981, dove Bagolini e Biagi avevano presentato il loro contributo, Radmilli sottolineava a proposito del vaso a coppa: “Questo elemento, come è noto, è comune a molte culture neolitiche che si sono affermate in Dalmazia e sulla costa adriatica della penisola italiana, le quali si sono succedute in un ampio arco di tempo, ma sempre precedute dalla corrente culturale della ceramica impressa” (Radmilli 1978-1981: 312). Questo ampliamento dei possibili confronti tipologici per il vaso a coppa rimanda a quella sostanziale atipicità e conseguente ambiguità sul piano culturale di cui si è detto nella parte introduttiva di questo testo. (22) Nel caso della grotta Tartaruga, in bibliografi a è citato l’articolo di Cremonesi relativo ai materiali mesolitici, ma non quello di Cannarella e Redivo sui livelli a ceramica: quest’ultimo, però, è pubblicato nello stesso volume di Atti della Società per la Preistoria e Protostoria della regione Friuli-Venezia Giulia (IV, 1978-81) che include gli Atti del Convegno sulla Preistoria del Friuli-Venezia Giulia, 28-29 aprile 1981 e quindi anche l’articolo di Bagolini e Biagi.

176 Barfi eld, inclusa la tesi di dottorato del 1969, inedita, da dove sono tratti i ben pochi materiali illustrati (13 reperti in totale). Quest’ultimo dato in particolare indurrebbe a pensare che gli autori non avessero preso in esame direttamente i materiali delle grotte citate, che si siano limitati alla consultazione della letteratura, forse perché il taglio che avevano voluto dare all’articolo era palesemente fi naliz- zato ad una sintesi delle possibili connessioni culturali su ampia scala geografi ca, piuttosto che ad un’analisi approfondita della realtà del Carso triestino (e del Friuli).

Anche l’articolo The fi rst neolithic cultures of Northern Italy di Lawrence H. Barfi eld, pubblicato nel 1972, è un lavoro di sintesi, derivante senza dubbio dalla tesi di dottorato di qualche anno prima(23), di cui mantiene il rigore analitico, pur in una presentazione concisa delle problematiche del Carso. Barfi eld, infatti, esplicitò sia i dati, cioè i siti e i materiali, su cui basava lo studio, sia l’approccio metodologico usato. I siti erano rappresentati da 9 grotte: Ciclami, Gallerie, Azzurra — nelle quali la fase del Neolitico in esame sarebbe documentata come orizzonte distinto nei livelli 8 e 7, in quelli più profondi e nel livello B2 rispettivamente —, Gialla, Muschio, Teresiana, na Dolech(24), Nugla e Vlaška, e da 1 sito all’aperto presso Zaule(25). I materiali provenienti da questi siti erano conservati in sedi diverse — Naturhistorisches Museum di Vienna, Museo di Postumia, Museo Civico di Storia ed Arte di Trieste e Istituto di Antropologia di Padova — ed erano stati tutti esaminati direttamente dallo studioso(26). Tuttavia, “as the majority of the fi nds are unstratifi ed and those from the stratifi ed deposits, so far published, are not numerous, the present exposée of the material culture is based princi- pally on fi nds with typological similarities with contemporary Middle Neolithic cultures”(27). Attraverso l’analisi tipologico-comparativa Barfi eld mise il Carso in relazione principalmente con la sfera di Danilo, ma nondimeno identifi cò “enough local features present to enable us to

(23) Tesi stranamente non citata in bibliografi a! (24) In realtà Muschio e na Dolech sono due dei vari nomi con cui è conosciuta la grotta VG 1096 (Guidi 1996: 164), come del resto avrebbe scritto in seguito lo stesso Barfi eld nell’articolo in cui presentò anali- ticamente i materiali conservati a Vienna (Barfield 1997-1998: 31). (25) Barfield 1972: 201, testo e nota 29. In questo elenco manca la grotta Gigante, sebbene all’epoca del lavoro di Barfi eld fosse già uscito l’articolo sui rinvenimenti nella caverna superiore che comprendeva- no anche materiali neolitici, e la grotta fosse citata da Legnani nelle Piccola guida (v. supra nel testo). Tuttavia, la bibliografi a dello studioso inglese non include la Piccola guida del 1968 (mentre è presente lo studio di Legnani e Stradi sulla grotta dei Ciclami del 1963), né alcun lavoro sul Carso successivo alla pubblicazione di Cannarella e Cremonesi del 1967 sulla grotta Azzurra: ammettendo la derivazione dell’articolo di Barfi eld dalla sua tesi di dottorato, conclusa nel 1969, e supponendo che la parte relativa al Carso fosse stata preparata entro il 1967, avremmo una spiegazione plausibile di queste assenze. Alla luce di questa ipotesi si spiegherebbe anche la mancata citazione del lavoro di Marzolini sulla grotta degli Zingari uscito nel 1971-72. Le indagini in questa cavità erano però iniziate già nel 1961 e i materiali rinvenuti erano stati depositati presso l’Associazione XXX Ottobre; anche le ricerche nelle grotte Lonza, Mitreo e Tartaruga (i cui risultati sarebbero stati pubblicati in buona parte negli anni 1970) avevano avuto inizio negli anni 1960, e i materiali erano stati conservati presso la locale Soprintendenza (Cannarella 1975-1977; www.units.it/criga): da questi dati si può dedurre che Barfi eld non ebbe occasione di vedere i complessi inediti collocati in queste sedi, che, infatti, non citò fra quelle visitate. (26) Ibidem: nota 30. In ogni caso, l’esame diretto dei materiali era evidentemente integrato dalla consul- tazione della bibliografi a relativa ai singoli complessi citata dall’autore in nota 29. (27) Ibidem: 201.

177 see that it has a character of its own” e conseguentemente propose “to call this the Vlaška group after the site where its debris were fi rst found”(28). A questa facies attribuì anche alcuni reperti collegabili alle culture di Fiorano e dei vasi a bocca quadrata (fase Finale-Quinzano), che riteneva coeve(29), ma segnalò che anche in questi casi i frammenti sono “similar but not identical”(30). I materiali messi in relazione con Danilo includono piatti/scodelle con orlo distinto, ciotole carenate più o meno profonde(31), boccali su piede, rhyta (vasi a quattro gambe), frammenti di ceramica dipinta, oltre ai recipienti di forma ovoide su piede — ossia i vasi a coppa — ri- conosciuti come i più comuni, presumibilmente su base quantitativa. Questi recipienti sono in genere decorati con triangoli campiti da linee parallele pendenti dall’orlo, resi ad incisione. Secondo Barfi eld, questo tipo di vaso è ben attestato in particolare nel livello 8 della grotta dei Ciclami e nei livelli più profondi della grotta delle Gallerie(32).

Qualche considerazione sul complesso ceramico del Neolitico dei vasi a coppa/Vlaška in base alle revisioni degli anni 1992-2002

Barfi eld si riferiva specifi camente agli scavi condotti da Cannarella e Valles nella grotta delle Gallerie negli anni 1954-55, la cui stratigrafi a, però, secondo lo stesso Cannarella non era del tutto attendibile(33). Più in generale, la recente revisione ha evidenziato che le molte indagini svolte in questa cavità hanno alterato la sequenza stratigrafi ca originaria, rendendo conseguentemente non più determinabile la posizione relativa dei materiali neolitici, abba- stanza numerosi e in alcuni casi speciali, perché documentati in Carso quasi esclusivamente in questo sito(34). Il riesame della grotta dei Ciclami ha confermato, invece, l’opinione di Barfi eld che i livelli profondi, 8 e 7, fossero sicuri, e che il taglio 8 documentasse bene la predominanza del vaso a coppa(35). Stranamente, Barfi eld non esaminò a fondo il taglio 7, e quindi nemmeno la tipologia

(28) Ibidem. (29) L’inquadramento cronologico di questi tre aspetti culturali italiani, così come di Danilo, nel Neolitico medio – proposto in questo articolo e nel volume Northern Italy before Rome pubblicato da Barfi eld un anno prima, nel 1971 – sarebbe stato modifi cato in seguito alla luce di nuovi dati (cfr. già Bagolini, Biagi 1978-1981, e più recentemente Bagolini, Pedrotti 1998). (30) Barfield 1972: 193. (31) La traduzione della terminologia inglese – meno ampia di quella italiana, quest’ultima fra l’altro scarsa- mente o non codifi cata – dà spesso adito a dubbi, specialmente nel caso del termine “bowl” traducibile sia con “scodella” che con “ciotola”. Per verifi care questa affermazione si possono confrontare, ad esempio, i lavori sul Carso di Barfi eld (da ultimo Barfield 1997-1998) con quelli di revisione degli anni 1990-inizi 2000, menzionati in Premessa (Montagnari Kokelj et alii 2002 e nota 3 dello stesso articolo), anche alla luce del tentativo di normalizzazione effettuato a fi ne anni 1990 (Banchieri et alii 1999). (32) Barfield 1972: 202. (33) Cannarella 1959: 124-125; Gilli, Montagnari Kokelj 1993: 159-160. (34) Gilli, Montagnari Kokelj 1993: in particolare 124-125 per l’elenco degli scavi e le questioni di stratigrafi a. (35) Gilli, Montagnari Kokelj 1992: 155. In precedenza anche Steffè De Piero aveva ritenuto attendibile la sequenza stratigrafi ca degli scavi Legnani-Stradi (Steffè De Piero 1978: 5), mentre Radmilli aveva espresso l’opinione contraria (Radmilli 1978-1981: 312).

178 dei vasi tendenzialmente biconici presenti in quel livello, che Legnani aveva indicato come tipici del suo Neolitico carsico II A. Del resto, né lo studioso inglese né Bagolini e Biagi avevano ripreso la periodizzazione in più fasi del Neolitico carsico anticipata già nel lavoro di Legnani e Stradi sui Ciclami e codifi cata nella Piccola Guida. Allo stato attuale degli studi possiamo dire che una scansione temporale all’interno del Neolitico dei vasi a coppa/Vlaška è sostenibile in base alla stratigrafi a dei Ciclami e alle dif- ferenze fra le tipologie di vasi presenti nei tagli 8 e 7, e avrebbe potuto trovare conferma nella situazione documentata da Marzolini nella grotta degli Zingari, se lo stato di conservazione dei materiali non lo avesse impedito. Marzolini, infatti, distinse all’interno del taglio 5 due diversi livelli a ceramiche, uno inferiore caratterizzato da “una concentrazione di vasi a coppa con fondo cavo”, e uno superiore con “recipienti di notevoli dimensioni, leggermente biconici, e vasi a coppa su piede cavo”, ma questa distinzione non risulta più recuperabile(36). Analogamente, l’attribuzione di vasi a bocca quadrata ad una fase avanzata del Neolitico è supportata dalla presenza di frammenti di vasi di questa tipologia nel taglio 7 dei Ciclami(37), non però altrettanto bene dai dati delle Gallerie, da dove provengono tre scodelle e alcuni altri frammenti(38), e ancor meno da quelli della grotta dell’Orso di Gabrovizza, unica altra grotta in cui sarebbe stata trovata ceramica simile(39). Ancora, l’attribuzione di pintadere alla stessa fase, evidentemente basata da Legnani sul rin- venimento di un esemplare negli scavi Cannarella-Valles alle Gallerie, è possibile ma non certa, non è suffragata dai dati relativi alle altre pintadere rinvenute nella stessa cavità(40) né certo da quelli della grotta Teresiana da dove proviene l’unico altro esemplare trovato in Carso.(41)

Le recenti revisioni hanno dimostrato quello che probabilmente Legnani, Bagolini e Biagi, Barfi eld avevano intuito, cioè che elementi come i vasi a bocca quadrata e le pintadere, rico- noscibili su base tipologico-comparativa come estranei al contesto locale, sono rappresentati da pochissimi pezzi. La stessa presenza limitata a singoli esemplari vale anche per altri elementi, più proble- matici per incertezza di provenienza (ceramica impressa) o per comparabilità (ad esempio Fiorano), che comunque dovrebbero rientrare nella prima fase del Neolitico locale, quella in cui il vaso a coppa è in assoluto il tipo più comune. Una presenza di poco più consistente, ma più diffusa, riguarda, invece, tre tipi di vasi — piatti/scodelle con orlo distinto, ciotole carenate più o meno profonde, rhyta (vasi a quattro gambe)(42) — ritrovati sempre in associazione con i vasi a coppa, e come questi correlabili con relativa sicurezza alla sfera di Danilo. Abbastanza numerose ma più ambigue sul piano comparativo sono, infi ne, le scodelle di vario tipo identifi cate negli studi recenti come la quinta componente stabile dell’associazione-tipo centrata sul vaso a coppa.

(36) Gilli, Montagnari Kokelj 1994-1995: 114. (37) Gilli, Montagnari Kokelj 1992: 154 (cfr. numeri 259-261). (38) Gilli, Montagnari Kokelj 1993: 184 (cfr. numeri 243, 306-307, 406-408). (39) Cfr. Gilli, Montagnari Kokelj 1992: 154. (40) Gilli, Montagnari Kokelj 1993: 169-175, 127-134, 189-191 (pintadere numeri 263, 33-35, 434-435). (41) Leben 1967: 71, tav. 23/17. (42) Cfr. nota 31 per i problemi di terminologia.

179 Il vaso a coppa: materiali, metodi e risultati degli studi più recenti

Tuttavia, come detto in premessa, proprio il vaso a coppa, il tipo in assoluto meglio rappre- sentato quantitativamente, non era stato mai oggetto di uno studio approfondito. Nella prima delle revisioni sistematiche avviate agli inizi degli anni 1990, quella relativa alla grotta dei Ciclami, erano state poste delle questioni di metodo ed erano state fatte delle scelte che sarebbero state mantenute con poche modifi che fi no all’ultima revisione pubblica- ta, quella della grotta Cotariova. Nell’introduzione del lavoro sui Ciclami si legge: “… scelta preliminare necessaria è stata quella relativa alla terminologia da usare nella descrizione dei reperti e alla tipologia cui rimandare. In assenza di un lessico d’uso generalizzato si è deciso di fare riferimento fondamentalmente alle proposte di M.A. Borrello (1984) (2). Per quanto concerne il secondo punto, mancano fi nora delle tipologie analitiche per i materiali ceramici del Carso triestino databili fra Neolitico e Bronzo antico, e forse solo la pubblicazione sistematica di complessi inquadrabili in queste fasi potrà contribuire a porne le basi.”(43) Date queste premesse, lo stesso vaso a coppa — pur nella consapevolezza che così era ormai noto in letteratura — era stato ridefi nito in base a parametri principalmente formali e denomi- nato recipiente profondo con pareti convesse e bocca ristretta. Questa denominazione era usata per “recipienti di grandi, medie e piccole dimensioni accomunati dalle stesse caratteristiche di impasto, trattamento delle superfi ci e forma. Presentano una certa variabilità nel grado di convessità delle pareti e nel grado di chiusura dell’imboccatura; alcuni esemplari sono piuttosto aperti [qui e di seguito nel testo sono indicati i pezzi esemplifi cativi dei diversi caratteri]. Hanno fondo a peduccio e prese a bugna forata verticalmente impostata sul ventre. Alcuni esemplari sono decorati con fasci di linee incise poco sotto l’orlo disposte a formare determinati motivi: geometrici o “naturalistici”. Qualche orlo è decorato a tacche impresse sul bordo.”(44) Questa descrizione riferita ai materiali della grotta dei Ciclami, e specifi camente a quelli del taglio 8, è stata in seguito integrata da una distinzione fra recipienti con orlo semplice e recipienti con breve orlo dritto o leggermente estrofl esso con ispessimento, messa in eviden- za dai materiali del taglio 5 degli Zingari(45), ma non è stata modifi cata. Tuttavia, la stessa descrizione contiene un preciso riferimento alla variabilità sia dimensionale che formale che le successive revisioni avrebbero confermato, rendendo così evidente una criticità del sistema di classifi cazione usato, che in qualche modo si sarebbe dovuto risolvere per migliorare lo “strumento per la normalizzazione della documentazione archeologica”(46) ma soprattutto per avvicinarsi a questioni fondamentali come la funzionalità dei diversi recipienti. Per affrontare il problema si è deciso recentemente di riprendere in esame tutti i vasi defi niti recipienti profondi a pareti convesse e bocca ristretta negli studi degli anni 1992-2002. Nel rie- same sono stati compresi i materiali delle revisioni pubblicate relative alle grotte Ciclami, Ansa, Gallerie, Zingari, Mitreo, Cotariova, Pettirosso, Teresiana e Muschio (47) e del riparo di Monrupi-

(43) Gilli, Montagnari Kokelj 1992: 67-68. Nella nota 2 si sottolineano i rischi di un approccio formale, in primo luogo la possibilità di inserire in uno stesso raggruppamento vasi simili per forma, appunto, ma diversi sul piano cronologico-culturale. (44) Ibidem: 68-69. (45) Gilli, Montagnari Kokelj 1994-1995: 68. (46) Montagnari Kokelj et alii 2002: cc. 40-41. Il § 3 del lavoro sulla grotta Cotariova affronta questioni di metodologia della ricerca ricollegabili a quelle trattate in questa sede. (47) Cfr. nota 24 per i diversi nomi di questa grotta.

180 Fig. 4 – Esemplari completi o completamente ricostruibili di vasi a coppa (disegni tratti da JuriševiĆ 2009-2010, riassemblati). no; delle tesi di laurea ancora inedite riguardanti Edera e Lonza; della vecchia pubblicazione sulla grotta della Tartaruga, perché la ceramica del livello D del deposito scavato, anche se probabil- mente sottorappresentata nelle tavole illustrative e fi nora non rivista, sembra documentare bene il complesso neolitico in esame; sono stati esclusi i materiali delle grotte Gigante e dell’Orso, perché sebbene buona parte di quelli inediti sia già stata disegnata non è stata ancora studiata(48). I vasi defi niti recipienti profondi a pareti convesse e bocca ristretta provenienti da questi contesti risultano essere 386, ma moltissimi sono frammenti che, in base al disegno attuale, non permettono buoni confronti di forma e dimensione. Si è quindi deciso di eliminare tem- poraneamente dal riesame un certo numero di pezzi, per recuperarli eventualmente in seguito. Una volta scartati i frammenti le cui dimensioni non raggiungono il 10% c. della superfi cie del vaso, il totale dei pezzi si è ridotto a 108. L’analisi è stata effettuata prescindendo dalla provenienza, per avere un campione almeno in parte statisticamente signifi cativo, ma obiettivo ultimo è logicamente la ricontestualizzazione dei vasi in ogni singolo complesso alla luce dei risultati acquisiti. Uno dei dati forse più signifi cativi emersi dal riesame riguarda il numero bassissimo di esemplari completi o completamente ricostruibili, soltanto 9, e la relativa variabilità degli stessi (fi g. 4). Una sessantina c. di altri pezzi è conservata fi sicamente o è ricostruibile grafi camente

(48) Per maggiori dettagli sul pregresso si rinvia a Montagnari Kokelj et alii 2002, nota 3, mentre nella tesi di Erika Jurišević citata in nota 2 sono spiegati analiticamente i passaggi del recente studio.

181 in una percentuale variabile fra il 50 e 80% c.: dal punto di vista tipologico questi pezzi, così come quelli meno ben conservati, sono per lo più rapportabili agli esemplari integri, ad ecce- zione di singoli vasi che già precedentemente erano stati riconosciuti come unica(49). Malgrado la relativa variabilità formale, sembra di cogliere l’esistenza di un “modello” di vaso a coppa, che poteva essere prodotto in dimensioni diverse e lasciato privo di decorazione o decorato con sintassi diverse: un buon esempio di varianti di tale “modello” è costituito da una serie di vasi abbastanza ben conservati provenienti dagli Zingari e dalle Gallerie (fi g. 5)(50). Un altro dato potenzialmente importante, ma da verifi care ulteriormente, riguarda la possi- bilità di una ri-attribuzione di un certo numero di pezzi (12 su 108) alla classe delle scodelle(51). Questa possibilità si basa sulla valutazione di parametri essenzialmente dimensionali, ossia una profondità del corpo del vaso in genere piuttosto ridotta ed un diametro all’imboccatura pari o di poco inferiore a quello alla massima espansione.

Fig. 5 – Esemplifi cazione del “modello” di vaso a coppa (da JuriševiĆ 2009-2010).

(49) In realtà il concetto di unicum andrebbe rivisto, quantomeno nel caso di alcuni esemplari di vasi a coppa che si differenziano solo per sintassi decorativa o per tecnica ornamentale, come risulta dal lavoro comparativo condotto da Erika Jurišević.

(50) JuriševiĆ 2009-2010: tav. VI a, dove sono presenti 1 vaso dalle Gallerie (Gilli, Montagnari Kokelj 1993: numero 43) e 4 dagli Zingari (Gilli, Montagnari Kokelj 1994-1995: numeri 49, 61-63).

(51) JuriševiĆ 2009-2010: tav. XV, XVI a, XVI b: alcuni di questi pezzi potrebbero forse rientrare meglio nella classe dei bicchieri.

182 Se la ri-attribuzione venisse confermata dall’esame di un campione statisticamente più si- gnifi cativo, essa potrebbe probabilmente comportare anche una variazione dell’incidenza delle diverse funzioni a cui erano destinati i vasi, quindi delle attività svolte nei diversi siti. Come ripetutamente detto, l’aspetto funzionale non può essere affrontato seriamente in assenza di analisi archeometriche che possano supportare le ipotesi di utilizzo avanzate tradizionalmente su basi empiriche. Tuttavia, dato che per consuetudine si attribuiscono a vasi profondi fi nalità di conservazione e/o cottura dei cibi, una domanda che nasce dall’osservazione dei vasi integri è se vasi profondi sostenuti da un piede di dimensioni spesso molto modeste rispetto a quelle del corpo possano assolvere pienamente ad una di queste due funzioni. Peraltro molti dei pie- di cavi rinvenuti staccati dal corpo del vaso a cui appartenevano in origine hanno forme più larghe e stabili, ma quanti di questi piedi avrebbero invece potuto sostenere vasi bassi e aperti, scodelle o simili, forme comunque destinate al consumo del cibo, liquido o solido, e non alla sua preparazione e/o conservazione?

Allo stato attuale delle ricerche nel Carso triestino non è affatto facile dare risposte a questi interrogativi, per i motivi appena indicati e perché il livello molto alto di frammenta- zione dei vasi rinvenuti in tutti i depositi costituisce un ostacolo importante, come più volte sottolineato. Dopo il recente riesame condotto su basi tipologico-comparative, di cui si è appena detto, nel tentativo di annullare l’effetto frammentazione abbiamo provato ad applicare un approccio matematico-statistico all’analisi dalla variabilità dei vasi a coppa, partendo da un esperimento di ricostruzione grafi ca “virtuale” del profi lo di vasi incompleti ma con diametro all’imboc- catura conservato o ricostruibile, operazione che consente di ricavare i parametri numerici necessari allo studio. Per testare la validità di questo approccio metodologico – che a nostra conoscenza potrebbe forse trovare un precedente in un lavoro del 1976 di Ericson e De Atley – abbiamo seleziona- to i recipienti profondi a pareti convesse e bocca ristretta presenti nel taglio 8 dei Ciclami, nello strato 8 del Mitreo e nel taglio 5 degli Zingari, cioè in livelli sicuramente attribuibili al Neolitico dei vasi a coppa/Vlaška, e quelli rinvenuti nella grotta delle Gallerie, sebbene non in contesto stratigrafi co, per l’eccezionalità del complesso, documentato anche dalla varietà e variabilità della ceramica . I pezzi selezionati sono complessivamente 168. Supponendo che complessivamente la va- riabilità sia comunque riportabile al “modello” del vaso a coppa, e che la forma di questo sia schematizzabile in un cerchio, abbiamo taglia- to il cerchio con linee orizzontali parallele che indicheranno il grado di chiusura/apertura e l’altezza dei diversi vasi una volta che i framen- ti saranno posizionati sul disegno (fi g. 6). Il po- sizionamento permette, dunque, la ricostruzio- ne grafi ca “virtuale” del profi lo di ogni singolo vaso (piede escluso quando non conservato) e la misurazione del diametro all’imboccatura e dell’altezza del vaso (dall’orlo al fondo, piede comunque escluso). Da queste misure è pos- sibile ricavare il rapporto diametro/altezza, e quindi attribuire il vaso ad uno dei “tipi” creati con lo schema grafi co. Ad ogni vaso è stato assegnato un parame- Fig. 6 – Schema creato per l’identifi cazione dei di- tro di “attendibilità”, basato sul rapporto fra versi tipi di vaso a coppa.

183 parte originale conservata e disegno ricostruttivo: si è scelto di introdurre questo parametro al fi ne di “pesare” statisticamente i vasi secondo il diverso grado di attendibilità. È stato infi ne creato un database ad hoc per la gestione dei dati dimensionali (diametro dell’orlo del vaso, altezza, rapporto diametro/altezza) e del grado di attendibilità della rico- struzione grafi ca; dei dati relativi agli “attributi”, ossia gli elementi che completano la forma- base di un vaso ma non la modifi cano nella sua essenzialità (rapporto forma-volume), mentre possono senz’altro modifi carla nella sua funzionalità, e forse in termini di comunicazione simbolica e di inquadramento cronologico: piede, elemento di presa (sui vasi a coppa in genere bugne non forate o a foro passante orizzontale o verticale), decorazione; dei dati anagrafi ci, cioè provenienza (nome grotta) e numero che il pezzo aveva nella pubblicazione usata per l’analisi (52). Prima di passare all’elaborazione di tutti questi dati si è deciso di adottare due criteri di distinzione: uno separa vasi grandi da vasi piccoli a seconda che l’altezza sia maggiore o mi- nore di 20 cm (piede escluso), l’altro è legato al parametro di attendibilità della ricostruzione e pone il limite fra vasi certi ed incerti al 30% di sicurezza.

Considerazioni conclusive

L’analisi dei dati condotta in base a queste premesse ha portato ad una serie di risultati visualizzabili facilmente negli istogrammi e nei grafi ci allegati. I risultati permettono di fare le seguenti osservazioni: – dal punto di vista della tipologia, i tipi maggiormente attestati sono D ed E, seguiti da C, i tipi B, F e G sono presenti ma in percentuale bassissima, gli altri tipi mancano del tutto (grafi co 1). Questi dati sembrerebbero confermare l’ipotesi di una variabilità formale non accentuata, e l’esistenza di un “modello” ripetuto a scala dimensionale variabile (tipi D,E e C). D’altra parte confermerebbero anche che i 9 pezzi che attualmente si inseriscono nei tipi F e G dovrebbero invece essere ri-attribuiti alla classe delle scodelle, e questo sarebbe coerente con quanto emerso dallo studio precedente condotto solo su basi tipologico-comparative (v. supra). – Se si considerano i risultati emersi dall’analisi del rapporto diametro/altezza, si osserva che per la maggior parte dei vasi a coppa tale rapporto è prossimo a 1 (grafi co 2): da ciò si può dedurre che nella riproduzione del “modello” le proporzioni fra i due parametri dimensionali venissero tendenzialmente rispettate per ottenere un vaso comunque profondo(53). – Quando si confrontano i dati riguardanti la presenza/assenza di attributi — piede, elemento di presa, decorazione — (grafi ci 3 e 4) si nota innanzitutto che il rapporto fra forme semplici e forme con attributi è variabile da contesto a contesto: le forme semplici sono nettamente prevalenti nelle grotte del Mitreo e dei Ciclami, mentre il rapporto si inverte in quelle degli Zingari e soprattutto delle Gallerie. Questi rapporti si mantengono se si considera la relazione fra vasi decorati e non decorati(54).

(52) Il database è on line sul sito www.units.it/criga. (53) Questo dato coincide con quello che defi nisce le forme profonde rispetto a quelle medie, basse e molto basse nell’articolo di Banchieri-Montagnari-Odetti-Pedrotti Il Neolitico dell’Italia settentrionale (Banchieri et alii 1999: 43). (54) Questo dato sembrerebbe smentire l’opinione di Legnani che il vaso a coppa fosse privo di decorazione nel Neolitico carsico I A ed eventualmente decorato nella fase successiva, ma il campione preso in esame in questo studio non è suffi ciente a considerare il risultato del tutto sicuro.

184 Grafi co 1 – Distribuzione dei vasi a coppa in base alla tipologia.

Grafi co 2 – Grafi co della distribuzione dei vasi a coppa in base al rapporto diametro/altezza.

185 Grafi co 3 – Distribuzione dei vasi a coppa nei 4 siti-campione in base alla presenza/assenza di attributi.

A nostro avviso il dato concernente la decorazione è più importante di quelli che riguar- dano la presenza/assenza di un piede o di un elemento di presa, perché la decorazione ha in genere un signifi cato culturale più che funzionale, quindi è maggiormente informativa in termini comparativi. D’altra parte, la decorazione è parte integrante della superfi cie del vaso, non elemento aggiunto come una presa/ansa, o parte che si può staccare facilmente, per la relativa fragilità del punto di attacco con il corpo, come un piede(55). Non è, dunque, un caso che la percentuale di conservazione dei piedi sia bassissima, sia a livello generale che nei singoli contesti.

– La prevalenza di vasi a coppa decorati nella grotta delle Gallerie tenderebbe a confermare il carattere molto speciale di questo complesso, già molte volte rilevato in base ad altri elementi attribuibili al Neolitico, diversi dai vasi a coppa. Tuttavia la mancanza di dati stratigrafi ci attendibili non permette di identifi care in modo certo tutte le componenti che avrebbero identifi cato la presenza neolitica in questa grotta, e quindi di metterne meglio in evidenza le peculiarità. Una verifi ca del rapporto fra vasi a coppa e altre componenti è, invece, possibile nel caso

(55) Sulla possibilità che i piedi non appartengano soltanto a vasi a coppa cfr. supra nel testo.

186 Grafi co 4 – Distribuzione complessiva dei vasi a coppa in base alla presenza/assenza di attributi.

degli Zingari, l’altro complesso in cui i vasi decorati prevalgono su quelli non decorati, e nel quale anche altri elementi segnalano delle specifi cità ancora da analizzare a fondo.

Quest’ultima osservazione in particolare rimanda a questioni più generali che riguardano gli sviluppi futuri degli studi sul Neolitico del Carso, e in particolare: – i risultati ottenuti applicando un approccio matematico-statistico allo studio della ceramica di alcuni contesti scelti in base a specifi che caratteristiche sono senz’altro promettenti, ma il campione è statisticamente appena suffi ciente: sarà quindi necessario estendere l’analisi a tutti gli altri complessi fi nora riesaminati in modo sistematico; – l’indagine non dovrà limitarsi alla ceramica, anche se questa è la classe di materiali quanti- tativamente meglio rappresentata, ma includere anche le altre classi, e dovrà essere condotta globalmente e per singolo sito, nel tentativo di comprendere sia le dinamiche di frequentazio- ne del territorio carsico nel Neolitico in generale, che l’uso specifi co di ciascuna grotta; – sebbene il recupero della vecchia documentazione stia dando esiti interessanti, sarebbe chiaramente auspicabile l’avvio di nuove indagini di campo mirate alla verifi ca delle ipotesi ancora aperte.

187 NOTA

In questo lavoro il contributo degli autori è sostanzialmente pari. Gli autori desiderano ringraziare vivamente Giusto Almerigogna (Soprintendenza archeo- logica del Friuli Venezia Giulia) e Ginevra Danielis (laureanda presso la Facoltà di Lettere e Filosofi a dell’Università degli Studi di Trieste) per la loro fondamentale collaborazione al recente esperimento di ricostruzione grafi ca “virtuale” del profi lo di vasi incompleti.

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189 INDICE

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