Massimiliano Parente
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INGEGNI Massimiliano Parente PARENTE DI NESSUNO Alberto Gaffi editore in Roma © 2006 Gaffi - Copyleft L’autore Massimiliano Parente e l’Alberto Gaffi editore in Roma consentono la riproduzione parziale o totale del testo, la sua diffusione per via telematica, purché non per scopi commerciali e a condizione che questa stessa dicitura sia riprodotta. Via della Guglia, 69/b 00186 - Roma www.gaffi.it A nessuno Stessa cosa vale per la scrittura: posso spiegarla ricorrendo a una nomenclatura criticistica o ingegneristica, e non avrò ancora detto niente sull'essenza - tutt'al più, molto sull'inessenza, dicendo come per tanti campi del sapere, che cosa non è. Chi non è scrittore non sa che farsene delle teorie sulla scrittura, chi lo è non ne ha bisogno. Uno scrittore vero è allo stesso tempo il teorico più qualificato nel suo campo, non ha bisogno di articolare i problemi inerenti alla propria arte: li individua arandoli, e basta. Scrivere un romanzo è l'unica possibile teoria dello scrivere. Tutto il resto riguarda o il leggere o è gettone di presenza. Aldo Busi Non sempre sono della mia opinione. Paul Valéry PARENTE DI NESSUNO INTRODUZIONE Questo libro raccoglie due anni di miei articoli scritti per il Domeni- cale, perché, essendo uno scrittore e non un giornalista, credendo nel romanzo e non nelle opinioni, ho trovato utile raccogliere questi scritti polemici facendone, come Musil, delle pagine postume pubblicate in vita; perché disprezzo le opinioni, persino le mie, e l'unico modo per neutralizzarle è dargli la forma solida di un libro; e perché le parole di uno scrittore sono sempre eterne, nel bene e nel male, e perché lavo- rare per un giornale ti obbliga a pensare giornalisticamente, mentre alla fine, nella ragione e nel torto, condivido un pensiero di Walter Siti, tratto da un suo bellissimo libro, secondo cui, appunto, "è inutile per- dere tempo a discutere con gente che, cent'anni al massimo, sarà mor- ta. Discutere è un'ossessione necrofila". 3 12 aprile 2003. “La signorina Gentilin dell'omonima cartoleria” è l'ultimo romanzo di Aldo Busi, sono settanta pagine scarse ma per il respiro narrativo trattasi di romanzo, non c'è dubbio, edito da Monda- dori, la casa editrice di sinistra di Rifkin e D'Alema (per fortuna non ancora di Baricco e di Cerami). Uscito ormai da qualche mese, le recensioni scarseggiano. Eppure è un'altra delle ormai innumerevoli costole di cui è formato l'inarrestabile corpus narrativo del “più grande scrittore italiano vivente”, come lui stesso ha provveduto anzitempo a autodefinirsi, non senza fondate ragioni, se solo lo si leggesse, e lo si leggesse sapendo beccare i libri giusti, dimenticarsi di quelli sbagliati, e soprattutto dimenticarsi della faccia pubblica dell'autore. Si legge ancora Busi? Perché è diventata impresa ardua difendere Busi, per chi lo ama e per chi amandolo lo odia, dal suo peggior nemico, Busi stes- so. Eppure ogni volta ci proviamo, almeno taluni di noi ci provano, con la portinaia, un tassista, un giornalista, gli amici, i nemici, le zie, i cugi- ni, i conoscenti, gli sconosciuti, una volta mi sono lasciato andare con uno scettico Giampiero Mughini, e Mughini, incuriosito e fidandosi, è andato a comprarsi l'ultimo Busi, e l'ultimo Busi, per la verità, era dav- vero brutto (“Nudo di madre”), poco si attagliava ai miei sperticatissi- mi elogi dove mettevo senza esitazione, nella gerarchia della lettera- tura italiana contemporanea, la Vita Standard busiana accanto al Pasticciaccio gaddiano. Invece, riprovandoci, bisognerebbe avere il coraggio e la voglia di dirla tutta, o quasi, tanto dello scrittore ora anche girotondino coffera- tiano quanto della sua cialtroneria da avanspettacolo. Per esempio, questa signorina Gentilin sbarcata in libreria e ignorata dalla critica è una cartolaia di Pieve di Lombardia che si accinge a chiudere il suo negozietto dopo avervi trascorso una vita, un negozietto fin troppo all'antica, dove non si trovano “né playstation né zainetti fosforescen- ti, né puffi né pongo né tinte istantanee per zazzere punkabbestia” ma solo semplici quaderni vecchio stampo, a righe e quadretti, matite Giotto, invenduti specchi di plastica dal manico troppo lungo, e poco altro. Tra il poco altro, però, una vita, una storia, un buco nero per lo scrittore capace di annullarvisi dentro, una solitudine simile a un buio vivo e pochi fili da tirare per venire a capo non solo della signorina Gentilin, ma del nulla di ognuno di noi. Il tema di Busi è l'umano trop- po umano, il quasi umano, il mai umano, l'aspirazione disillusa a degli 5 uomini finalmente umani. Così la signorina Gentilin sembra, alla fine, la più viva tra i morti-vivi di cui è fatto il mondo. Una signorina dalla sciarpetta di lana frusta capace di sognare, nel sogno sognato dallo scrittore, di essere l'unica rimasta sulla Terra. “Non concepirei niente, nessuna arte, nessuna scienza, nessun passatempo, men che meno un figlio neppure se potessi farlo in provetta con seme congelato”. Una condizione definitiva in cui, giorno dopo giorno, smettere di parlare e anche di pensare, perché “non ci sarebbe più interlocutore nemmeno ideale, riuscirei a smettere di pensare alla mia lingua madre, e lenta- mente smetterei di pensare del tutto nel senso che ci è proprio”. Da lì in poi Busi, scrittore senza Dio, scioglie e reimpasta il bolo di una sto- ria minima (mai minimalista), e svolgendo questo bandolo esile tesse la trama balzacchiana di un piccolo romanzo o giallo passionale di provincia. Minuscola tresca paesana, bella triangolazione sentimental- speculativa tra una appariscente direttrice didattica in tacchi a spillo, un maestro di nome Fagiolone, la Gentilin e, fuori o fin troppo dentro, va da sé, l'io narrante, lo scrittore, che si riflette e si immedesima nella protagonista. C'è sempre più, in Busi, l'esigenza di una immediatezza linguistica fresca e dolorosa con cui congiungere l'estetica della paro- la alla parola popolare, alla conquista, si capisce, di un'ultima parola davvero ultima, verso una religiosità laica, un'esistenza eroica senza religione né feticci, spietata ma morale, nichilistica ma vitale, che scandaglia nell'animo umano la straordinarietà della banalità, e il baratro dietro le pupille di ciascuno. Purtroppo si parla e si parlerà di Baricco & Company e di chi non vale neppure cinque righe della signorina Gentilin, povera zitella sola che dovrà esistere malgrado gli sbrodolamenti dell'autore. In nome di una fede e di un principio letterario (semplificando: solo i grandi scrit- tori possono permettersi di fare i buffoni), Busi ha deciso di abdicare a un'autorevolezza che gli spettava di diritto e anche di rovescio (quello di chi se l'aspettava); tenuto conto che è l'autore di capolavori indi- scussi quali Seminario sulla Gioventù, Vita Standard di un venditore provvisorio di collant, la Delfina Bizantina, Sodomie in corpo 11, Ven- dita Galline Km 2, Cazzi & Canguri (leggeteli tutti, almeno questi), per citarne solo alcuni. Romanzi che hanno dato all'italiano scritto una nuova lingua, e all'italiano lettore una nuova etica civile e politica a cui appellarsi, una nuova igiene mentale da coltivare, dove etica e 6 estetica sono la stessa cosa. Gliene siamo grati, e quanto al cabaret di contorno sappiamo la storia di Wilde a passeggio col girasole all'oc- chiello e di Baudelaire con i capelli tinti di verde e l'aragosta al guinza- glio, e sappiamo pure: nella storia restano le opere, e di quanto resta intorno, le opinioni e i lustrini dell'auto-Re, chi se ne frega. E però, contando sull'importanza dei suoi romanzi, Aldo Busi, negli ultimi anni, ha invaso le librerie di manuali per il perfetto qualsiasi cosa, prendendo dall'editore centocinquanta milioni di anticipo cadau- no con i quali, oltre a vivere, sfama e alleva famiglie di zingari e barbo- ni in appartamenti milanesi come fantasmi del passato cui dover ren- dere qualcosa del suo presente di benestante, un riscatto in sussisten- za materiale, senza neanche voler sapere chi sono, cosa fanno, gli basta sapere cosa non è lui oggi rispetto al proprio fantasma di ex-sen- zatetto non ancora famoso scrittore. Manuale del perfetto gentilomo, della perfetta gentildonna, della perfetta mamma, del perfetto papà, del perfetto single, del perfetto tut- to. Gli esegeti di Busi, proprio perché adorano Busi, si annoiano a mor- te. Sembra uno chef di prim'ordine che ti rifila gli scarti e le frattaglie dopo averti sfamato a sazietà con ogni delizia, mentre i non lettori occasionali comprano i manuali e si fermano lì, e Busi, ah sì!, è quello del manuale-del-perfetto-questo, oppure, peggio, l'hanno visto in tele- visione. L'equivoco televisivo capita anche a Umberto Eco, d'accordo, chissà dove stanno i milioni di lettori de Il Pendolo di Foucault, se ce ne fossero sarebbe in testa alle classifiche anche Fratelli d'Italia. Solo che Aldo Busi è uno scrittore show-man, mai engagé da nessuno, che va al Costanzo Show (ci andava, non c'è andato più, c'è tornato, ora non ci andrà più, la tivù gli fa schifo, ci va se è strapagato, ci va se libe- ro di dire ciò che vuole, più o meno sempre le stesse cose da Pierino massmediologico) e si lamenta se, in Germania o in Francia, quando parla uno scrittore parla un pezzo autorevole della coscienza naziona- le mentre in Italia parla un pirla qualsiasi. Ed ecco perché lui, per sfida, va in televisione con tacchi a spillo e veletta o viceversa, nella variante seria in giacca e cravatta, da vent'anni fa la checca e le battute scon- ce, non si schioda da lì, il cazzo e il culo, il culo e il cazzo, chi tromba e chi non tromba, e a morte i preti e il cattolicesimo, senza rendersi conto di incarnare il cliché dell'omosessualità che fa più comodo all'e- terosessualità ideologica da lui tanto disprezzata, e difatti gli eteroses- 7 suali lo amano e gli omosessuali lo odiano, mentre ai non sessuali è del tutto indifferente, e ai preti fa comodo come il diavolo all'acqua- santa.