Socialismo E Combattentismo: La Lega Proletaria. 1918-1922

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Socialismo E Combattentismo: La Lega Proletaria. 1918-1922 « Italia contemporanea » dicembre 1980, fase. 141 Socialismo e combattentismo: la Lega proletaria. 1918-1922 La storiografia italiana di questo secondo dopoguerra ha in più di una occasione fatto giustizia delle interpretazioni agiografiche e propagandistiche del regime fascista sul movimento combattentistico, senza tuttavia riuscire a liberarsi com­ pletamente dall’ipoteca di una visione riduttiva, concentrata sull’analisi della componente « nazionale » dell’organizzazione dei reduci *. L’indubbio progresso registrato dagli studi con la pubblicazione del ricco volume di G. Sabbatucci1 2 ha giustamente rivalutato la presenza all’interno delle organizzazioni nazionali di una forte ma minoritaria componente democratica di contro all’appiattimento delle analisi tradizionali tutte tese a riscontrare nel « movimento » un serbatoio di for­ ze proto e filo-fasciste. Tutti questi studi hanno comunque rivolto la propria analisi alle vicende politi­ co-istituzionali dei gruppi dirigenti, alla loro scarsa coesione politica ed ideologi­ ca e alla conseguente rapida caduta della parabola organizzativa; limitata atten­ zione è stata invece dedicata alla massa degli iscritti, alla composizione sociale, al rapporto con la società civile in generale e con i diversi partiti politici in partico­ lare, ai rapporti tra base e gruppi dirigenti e tra le varie organizzazioni di ispira­ zione combattentistica. Pur sottolineando l’accentuato antisocialismo dei pro­ grammi e dell’attività in generale, non se ne è mai, a mio modo di vedere, tenta­ to di ricollegare le espressioni più palesi all’indagine della composizione per ca­ tegorie professionali; in altri termini non se ne è colto il vizio d’origine, Tesser 1 Troppo ampia per qui ricordarla la produzione in epoca fascista, ricca soprattutto di memorie: è comunque significativo ricordare come la storiografia democratica del secondo do­ poguerra abbia fatto oggetto di riflessione il movimento combattentistico alla ricerca di prece­ denti storici per esperimenti politici in corso: tipico l’intervento di leo valiani, Un incuna­ bolo del Partito d’azione nell’altro dopoguerra, in ID ., Dall’antifascismo alla Resistenza, M ilano, Feltrinelli, 1959, pp. 24-38), o per vantare, di contro alla conclamata fascististizzazione del- l’Anc, i meriti antifascisti di alcuni dirigenti della prima ora (cfr. ad esempio, Livio pivano, La ventisettesima legislatura. L’opposizione in aula, Alessandria, 1974; arturo codigno- la, I combattenti di Assisi, Modena, STEM, 1965; e Ettore viola, Combattenti e Mus­ solini dopo il congresso di Assisi, Firenze, L’Impronta, 1975). Anche il panorama internazio­ nale della storiografia sul combattentismo conferma la attenzione e la sottolineatura delle vi­ cende di singoli movimenti nazional-governativi (cfr. il quadro fornito da The War Generation. Vétérans of thè First World War, edited by Stephen R. Ward, Port Washington, New York - London, 1975); lo stesso pregevole e monumentale contributo di Antoine prost, Les Anciens Combattants e la société française (1914-1939), 3 v., Paris, Presse de la Fondation nationale des Sciences politiques, 1977, pur così ricco di spunti e di indicazioni metodologiche non riesce ad allargare la propria ricerca alle forti organizzazioni combattentistiche della sinistra operaia francese. 2 v. Giovanni sabbatucci, I combattenti nel primo dopoguerra, Bari, Laterza, 1974. 6 Gianni Isola cioè un « compositum » sociale di elementi provenienti da diverse categorie e pertanto con interessi obiettivamente divergenti, nè se ne è ricollegata la presenza al dato sociale più importante espresso dalla guerra mondiale: 1’« ingresso delle masse » sulla scena politica3. Eppure non mancano nella pubblicistica contemporanea tentativi di analisi e sug­ gerimenti di metodo molto precisi in proposito e suscettibili, se sviluppati, di for­ nire un quadro molto ampio e certo più ricco di questo singolare fenomeno: mi riferisco alle intelligenti osservazioni di Camillo Bellieni e di Ruggero Grieco4, ma anche e soprattutto alle affermazioni gramsciane, espresse in ripetute occasioni, sul ruolo del movimento combattentistico. Analizzando ad esempio le tre grandi componenti del « movimento corporativo » delle campagne all’indomani delle elezioni del novembre 1919, Gramsci indicava: « I Sindacati cattolici di contadini: essi stanno ai lavoratori della terra confederati nello stesso rapporto degli operai dell’Unione sindacale agli operai confederati: masse di ele­ menti proletari che introducono nel sindacalismo principi estranei e contraddittori (la religione — la vaga e caotica aspirazione libertaria). Leghe di contadini e Camere del lavoro sparse qua e là in tutta l’Italia, ma specialmente nell’Italia meridionale e nelle isole; esse sono una caratteristica della mancanza di coe­ sione dell’apparato economico e politico nazionale: sono nate per la spinta individuale e vivacchiano alla giornata esaurendo la loro attività in movimenti caotici e senza indi­ rizzo permanente concreto. Leghe proletarie dei mutilati e dei reduci di guerra, associazioni libere dei reduci ed ex-combattenti: rappresentano il primo grandioso tentativo di organizzare le masse con­ tadine » 5. Indicazione che anche la storiografia del movimento operaio italiano non ha colto e sviluppato forse per la pesante ipoteca del giudizio taschiano sul rapporto Psi-ex combattenti6, tanto da cancellare quasi totalmente dalla sua memoria e da quella dei suoi militanti la esistenza e le vicende della Lega proletaria mutilati invalidi reduci orfani e vedove di guerra, che costituiscono l’oggetto di questa ricerca. Ciò ha impedito che a tutt’oggi si potesse dare un quadro organico delle vicende 3 Per una analisi complessiva della questione v. Alberto caracciolo, L’ingresso delle masse sulla scena europea, in 11 trauma dell’intervento-. 1914/1919, Firenze, Vallecchi, 1968, pp. 7-26. ■* Cfr. camillo bellieni, L’associazione dei combattenti. Appunti per una storia del­ l’ultimo quinquennio, in « L a Critica politica», 5 (1924), n. 7, pp. 301-15; e buggero grieco, Il movimento dell’Italia Libera, in « Prometeo », 1 (1924), n. 1 ora in ID., Scritti scelti, a cura di enzo modica, prefazione di Giorgio amendola, v. 1, Roma, Editori R iuniti, 1966, pp. 56-64. 5 Cfr. Antonio Gra m sci, Il problema del potere, in «L’Ordine nuovo», 1919, n. 28, p. 215, ora in ID., L’Ordine nuovo 1919-1920, Torino, Einaudi, 1955, p. 57 (La sottolineatura è mia). Già in precedenza Gramsci aveva richiamato l’attenzione del movimento operaio sul­ l’esigenza di adeguare mentalità e strutture per favorire il processo di trasformazione delle grandi masse popolari avviato dalla guerra, pochi giorni dopo la fondazione della Lega pro­ letaria: « Una coscienza nuova di classe è sorta: e non solo nell’officina, ma anche in trincea, che offre tante condizioni di vita simili a quelle dell’officina. Questa coscienza è elementare: la consapevolezza dottrinaria non l’ha ancora formata. E’ materia grezza non ancora model­ lata. L’artefice deve essere la nostra dottrina. Il movimento politico proletario deve assorbire questa massa: deve disciplinarla, deve aiutarla a diventare consapevole dei propri bisogni materiali c spirituali, deve educare i singoli individui che la compongono a solidarizzare permanente- mente e organicamente tra loro, deve diffondere nelle coscienze individuali la persuasione netta, precisa, razionalmente acquistata, che solo nell’organizzazione politica ed economica è la via della salute individuale e sociale, che la disciplina e la solidarietà nei limiti del partito socialista e della confederazione sono doveri imprenscindibili, sono i doveri di chi si afferma fautore della democrazia sociale. (Cfr. A. gram sci, Il dovere di essere forti, in «Avanti! », 25 novem bre 1918, ora in ID., Scritti giovanili 1914-1918, Torino, Einaudi, 1958, p. 339). 6 v. angelo tasca, Nascita e avvento del fascismo. L ’Italia dal 1918 al 1922, con una premessa di Renzo de felice, v. 1, Bari, Laterza, 165, pp. 157 e segg. Socialismo e combattentismo 7 del combattentismo in Italia, che se ne cogliessero le espressioni molteplici e di diverso orientamento politico ed ideale. Sarebbe bastata una più attenta riflessio­ ne non solo sulla composizione sociale dell’esercito italiano nella prima guerra mondiale e sull’estensione dei programmi di assistenza governativa ai reduci da un lato, ma anche sui limiti e sulle pregiudiziali politiche delle associazioni « nazionali » più conosciute dall’altro, per comprendere come gran parte degli italiani coinvolti nel conflitto sarebbero non solo rimasti esclusi dalle provvidenze stabilite per i reduci, ma anzi avrebbero assistito senza reagire alla creazione di una nuova ca­ tegoria di privilegiati « per meriti di guerra », come quella che il mito del combat­ tente sembrava proporsi di costituire 7. Se è certo indiscutibile la sottovalutazione da parte del Psi del combattentismo, da ascriversi alle insufficienze e alle debo­ lezze del massimalismo imperante di cui la storiografia ha già chiaramente enu­ cleato i limiti8, è altrettanto indiscutibile che la contrapposizione artificiosa fra movimento operaio e reduci mostra la corda ad una analisi che, al di fuori delle polemiche del tempo e delle strumentalizzazioni propagandistiche immediatamen­ te successive, si proponga di comprendere Patteggiamento dei socialisti e del mo­ vimento operaio verso la guerra e i suoi protagonisti da un lato e dall’altro il ruolo storico del Psi prima del Pcd’I poi negli anni cruciali del biennio rosso e della progressiva affermazione del regime
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