I Musei E Le Collezioni Demoetnoantropologiche Della Minoranza Slovena Nella Provincia Di Udine Un’Indagine Empirica

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I Musei E Le Collezioni Demoetnoantropologiche Della Minoranza Slovena Nella Provincia Di Udine Un’Indagine Empirica Laurea magistrale in Economia e gestione delle arti e delle attività culturali Tesi di Laurea I musei e le collezioni demoetnoantropologiche della minoranza slovena nella provincia di Udine Un’indagine empirica Relatore Prof. Michele Tamma Correlatore Prof. Elisa Bellato Laureando Lucija Tavčar Matricola 966070 Anno Accademico 2017/2018 0.0 Indice Laurea magistrale in Economia e gestione delle arti e delle attività culturali 1 0.0 Indice 2 1. I musei demoetnoantropologici della comunità slovena nella Provincia di Udine 4 1. 1 Introduzione 4 1. 2 La nuova museologia e lo sviluppo dei musei comunitari 9 1.3 I beni demoetnoantropologici e il loro significato per la comunità 12 1.4 I ruoli delle realtà museali 18 1.5 I musei per uno sviluppo economico locale sostenibile 21 2. Analisi della popolazione museale 26 2. 1. Metodologia 26 2.2 La diffusione dei musei sul territorio della Provincia di Udine 33 2.3 Il coinvolgimento dei musei nei progetti dedicati alle realtà museali demoetnoantrolopogiche 57 2.4 I Soggetti di gestione delle realtà museali 69 2. 5 Osservazione della popolazione dal punto di vista operativo 76 2.5 Il numero di abitanti, l'altitudine e le realtà museali: il ruolo resistenziale 87 3. I dossier dei musei demoetnoantropologici della comunità slovena 93 3.1 Dossier Lusevera/Bardo 93 3. 2 Collezioni Testimonianze della civiltà contadina Taipana e Prossenicco 102 3.3 Dossier Museo delle Genti della Val Resia / Muzeo tih rozajanskih judi 113 3. 4 Dossier Museo degli arrotini 126 3.5 Dossier Casa rurale del territorio 137 3.6 Dossier Museo storico Balus 143 3.7 Dossier sul Museo del Matajur / Muzej Varha Matajura 149 3.8 Dossier Casa Raccaro / Rakarjev hram 164 3. 9 Dossier Museo dei blumari e del paese / Muzej blumarjev in vasi 167 3. 10 Dossier Collezione di Elio Qualizza 171 3.11 Dossier Slovensko multimedialno okno SMO 177 3.12 Dossier Collezione Oddo Lesizza 188 "2 4. La popolazione come network museale 193 4.1. Perché parlare di rete? 193 4.2 Cosa è rete e cosa non lo è? 197 4.3 Rete come “valore di rete” 204 4. 4. Le funzioni 205 4. 6. Processi per il funzionamento delle reti 209 4. 7. Le relazioni tra le realtà museali nel nostro caso studio 213 4. 8. I meccanismi e processi di funzionamento del network informale 217 4. 9. Prospettive per il futuro 219 5. Conclusioni 221 6. Bibliografia 225 "3 1. I musei demoetnoantropologici della comunità slovena nella Provincia di Udine 1. 1 Introduzione La Regione Friuli Venezia Giulia deve la sua autonomia, ribadita dallo Statuto speciale nel 1963, alla presenza storica di minoranze sul suo territorio. Una di queste è la minoranza slovena, presente su tutta l’area confinante della Regione con la Slovenia. La comunità slovena in Italia si è creata in seguito ai due conflitti mondiali, «processi storici che hanno portato una parte del popolo sloveno a rimanere nel territorio dello stato confinante» (Brezigar, 2016, 24). Le conflittualità tra le diverse popolazioni che abitavano le aree oggi situate nel FVG sono aumentate agli inizi del Novecento, processo che è stato aggravato dalla «politica di snazionalizzazione attuata durante il ventennio fascista» e che «ha avuto notevoli ripercussioni sull’estensione territoriale, la consistenza numerica o l’influsso della comunità slovena sul territorio, imprimendosi profondamente nella memoria collettiva» delle popolazioni slovene (Brezigar, 2016, 25). La situazione non è migliorata nel dopoguerra quando la cortina di ferro ha interrotto i rapporti tra la comunità slovena rimasta in Italia e quella oltre confine, che viveva nella Federazione jugoslava. Da allora la minoranza slovena fu spesso considerata dalla maggioranza «come popolo appartenente al blocco sovietico anche quando la Federazione jugoslava entrò a far parte dei paesi non allineati», il che prolungò il rapporto problematico tra le due popolazioni per tutta la seconda metà del Novecento (Brezigar, 2016, 25). Sono stati gli avvenimenti succedutisi all’inizio del XXI secolo – l’ingresso della Slovenia nell’Unione Europea, l’introduzione della valuta comune, la creazione dell’area di Schengen e la caduta dei confini interni – a creare almeno a livello di percezione comune «uno spazio transfrontaliero unitario e comune», portando alla stabilizzazione dei rapporti internazionali tra Italia e Slovenia (Bufon, 2008, 9) e avvicinando le due comunità slovena e italiana (Brezigar, "4 2016, 27). Benché dal punto di vista linguistico e culturale trattasi di un’unica comunità minoritaria, dal punto di vista storico e sociale dobbiamo distinguere due realtà nell’ambito della stessa minoranza: tuttora la situazione della minoranza slovena presente nella Provincia di Udine è molto differente da quella che si trova nelle Province di Trieste e Gorizia. Nel presente lavoro ci si occuperà principalmente della prima. Le aree abitate dalle popolazioni slovenofone nella Provincia di Udine risultano tuttora disagiate: la popolazione vive infatti in zone montane con poche possibilità economiche ed ha subito in passato grossi cali demografici che sembrano oggi irrecuperabili. La comunità slovena della Provincia di Udine è stata formalmente riconosciuta dalla Repubblica italiana appena nel 2001, con la legge di tutela 38/20011, il “Za#!itni zakon”, che regola le norme per la tutela della minoranza slovena nella Regione a Statuto speciale del Friuli Venezia Giulia. Le implicazioni che il tardo riconoscimento ufficiale da parte dell’Italia e dunque anche il ritardo dell’inserimento dell’insegnamento (limitato) nella lingua madre nelle scuole portano con sé sono molteplici. É in questo contesto che a partire dagli anni ’70, e ancor più dal devastante terremoto del 1 Dopo ben 52 progetti di legge, l’indipendenza della Repubblica slovena nel 1991 e una prima legge nazionale, la 482/1999, sulle Norme in materia di di tutela delle minoranze linguistiche storiche approvata il 15 dicembre 1999, il 23 febbraio 2001 il parlamento della Repubblica italiana ha approvato la legge n. 38: Norme a tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli Venezia Giulia (Bajc, 2016, 38). La tutela giuridica si basa “sul principio territoriale” riferendosi ai 32 Comuni presenti nelle province di Udine, Gorizia e Trieste, dove la minoranza è presente tradizionalmente. Possono però richiedere di rientrarvi anche le frazioni «su richiesta di almeno il 15 per cento dei cittadini iscritti nelle liste elettorali o su proposta di un terzo dei consiglieri dei Comuni interessati, dal Comitato entro diciotto mesi dalla sua costituzione, ed approvata con decreto del Presidente della Repubblica» (art. 4, 38/2001). La legge 38/2001 definita anche “globale” «ricomprende le principali aree di tutela per l’uso pubblico della lingua slovena, a partire dal diritto a utilizzare nomi, cognomi, toponimi e denominazioni sloveni» (insegne, toponomastica, lignua scritta e orale nei rapporti con il pubblico, ecc.), «disposizioni relative alle scuole pubbliche con lingua d’insegnamento slovena e bilingui», «la restituzione di beni immobili di alto valore simbolico e culturale» confiscati durante il periodo fascista, «norme specifiche per l’area slovenofona nella provincia di Udine allo scopo di supportare le varianti linguistiche locali», «disposizioni in materia di istruzione musicale», «finanziamento pubblico delle organizzazioni e associazioni facenti capo alla comunità slovena», ecc. (Vidau, 2016: 55- 56). La legge prevede che la Regione FVG provveda «al sostegno delle attività e delle iniziative culturali, artistiche, sportive, ricreative, scientifiche, educative, informative e editoriali promosse e svolte da istituzioni ed associazioni della minoranza slovena» (art. 16, 38/2001). Non prevede però finanziamenti specifici per le realtà dei musei demoetnoantropologici. "5 ’76, le comunità paesane, realtà molto piccole, sparse in paesi dislocati e appartati, hanno iniziato a creare associazioni e musei, a collezionare ed esporre vecchi oggetti. Come se questa popolazione, che per la maggior parte non sapeva scrivere nella propria lingua madre nè aveva conoscenze delle proprie origini, intenzionalmente taciute dalla scuola, avesse tentato di salvare la propria identità dall’oblio attraverso gli oggetti. Oggetti che facevano parte della quotidianità fino al periodo tormentato delle guerre e che d’un tratto sono stati abbandonati dall’incedere della “modernità”. Parliamo di beni demoetnoantropologici, beni tangibili, ma intrinsecamente legati all’intangibilità e al territorio da cui sono nati, bene che racchiudono un enorme potenziale che spesso queste comunità non riescono a sfruttare. A livello globale e nazionale la tutela, la conservazione e la valorizzazione dei beni demoetnoantropologici sono stati oggetto di numerosi studi, soprattutto negli anni che hanno seguito la Convenzione UNESCO del 2003 per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale e la Convenzione di Faro del 2005; queste direttive offrono molti spunti per nuove possibilità museografiche nel settore. La nascita della Commissione Nazionale per i Beni demoetnoantropologici2 testimonia, seguendo le parole del ex Ministro dei Beni e delle Attività culturali Giulio Urbani, la crescita di un «interesse comune per questi beni che riguardano testimonianze culturali sia del passato che del presente e sono proiettati anche in una prospettiva futura» (Urbani, 2008, 7). Parliamo dunque di oggetti anche di poco valore economico, ma che sono portatori di significati culturali importanti ed unici, che devono però essere raccontati. E che richiedono per questo una
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