Le Città Di D'annunzio. Erbe, Parole, Pietre
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Le città di d’Annunzio. Erbe, parole, pietre. 2016 Venerdì 21 ottobre 2016 - ore 9.30 PAOLA SORGE Francavilla evocata da Gabriele d’Annunzio nelle lettere, negli scritti giornalistici e nel Libro segreto GIACOMO D’ANGELO La “piccola patria” dalle Novelle al Libro segreto GIOVANNI ISGRÒ La Venezia filmica di Gabriele d’Annunzio ELENA LEDDA D’Annunzio e Brescia: un poeta imaginifico e una città silente e munifica ANTONIO ZOLLINO D’Annunzio a Carrara: la buccina del cavatore e del “Tritone” alcionio Venerdì 21 ottobre 2016 - ore 16.00 LORENZO BRACCESI Dal rudere al monumento. L’ideologia delle pietre ne Le città del silenzio MARIA TERESA IMBRIANI D’Annunzio, la Napoli post-desanctisiana e la coscienza della letteratura Sabato 22 ottobre 2016 - ore 9.30 MARIA ROSA GIACON La Venezia di d’Annunzio: erbe, parole, pietre ed acque nella Città del “Fuoco” MARIO CIMINI Le “città morte” di d’Annunzio RAFFAELE GIANNANTONIO D’Annunzio nelle Città 129 Francavilla evocata da Gabriele d’Annunzio nelle lettere, negli scritti giornalistici e nel Libro segreto Paola Sorge “Qui è l’aria dove maturano i capolavori”, esclama il giovane d’Annunzio quando a Francavilla, nell’estate del 1888, si chiude in convento e scrive il suo primo romanzo; è un convento, come si sa, molto particolare, dove la religione professata è quella dell’Arte con l’A maiuscola, dove al posto dei frati operano giovani di talento pieni di vita, alla continua ricerca di nuove espressioni creative. Nell’ultimo decennio dell’Ottocento, Francavilla a mare, con i suoi otto chilometri di arenile, è un centro balneare alla moda: la buona società abruzzese è attirata dalla vasta spiaggia, dalle colline cosparse di ulivi dove vanno sorgendo ville di lusso, dalle feste organizzate al Club “La Sirena”, nonché dalla fama crescente di Francesco Paolo Michetti, che si è affermato giovanissimo grazie “alla più felice, alla più bella e alla più corrotta disposizione artistica”; il pubblico rimane strabiliato di fronte alle pennellate fresche e vigorose, al gioco audace dei colori e dei chiaroscuri, al ritmo che pervade ogni scena dandole un soffio di vita. D’Annunzio non si stancherà mai di ammirare e di descrivere in toni esaltati le più celebri tele michettiane ma anche la magnetica personalità del pittore venerato sin da quando, appena diciottenne, ha appreso da lui tecniche e segreti d’artista; da quando ha cominciato a osservare la realtà che lo circonda con i suoi occhi, con gli occhi di un incomparabile Maestro, un po’ mago e un po’ sognatore. Per il giovanissimo poeta Francavilla è Michetti, è il paradiso dove poter mettere in pratica i suoi insegnamenti e realizzare così i suoi sogni. Al pittore appartiene, dal 1883, il Convento cinquecentesco degli Zoccolanti, situato sulla sommità di una piccola collina solcata da stretti sentieri che i francavillesi chiamano “ruelle” e trasformato in incantevole dimora-studio in cui le antiche celle dei frati restano intatte nel loro candore. Michetti le ha destinate ai suoi amici artisti che ogni estate vengono a vivere, e a lavorare da lui. Francesco Paolo Tosti arriva da Londra con le sue nuove romanze, Costantino Barbella, scultore di Chieti, crea statuine in bronzo e in creta,Vittorio Pepe, musicista di Pescara, compone deliziose gavotte per le nobildonne abruzzesi e d’Annunzio, nel luglio dell’88 scrive Il Piacere che inizia il 26 luglio e porterà a termine a dicembre. “Devo resistere usque ad finem, con spirito lucido e resistenza fisica”, ripete il poeta agli amici che, secondo l’unica regola vigente al convento, si riuniscono ogni sera a cena sulla bella terrazza coperta da un pergolato che guarda verso la campagna. È questo un periodo magico per il futuro Vate che, lontano dalla famiglia, dai creditori, dalle preoccupazioni della vita romana, si può dedicare interamente alla creazione letteraria. A Francavilla scriverà nel ’91 l’Innocente; nel ’94 terminerà Il Trionfo della Morte. Nelle brevi pause che si concede, d’Annunzio scrive all’amante, Elvira Natalia Leoni, incontrata a Roma nell’aprile dell’anno precedente, lettere a dir poco appassionate, 130 in cui fa rivivere la sua donna evocandone continuamente il fascino fatto di pallore e languore, di vibrazioni, di gesti, di movenze. Con lo stesso appassionato entusiasmo ci descrive una Francavilla che oggi non esiste più, incantevole e incantata, ritratta in ogni sua angolazione, in ogni stagione, in ogni ora del giorno e della notte. Luogo fatato che diventa parte integrante di una delle storie d’amore più intense e intriganti di fin du siècle. E che entra idealmente non solo nella realtà ma anche nella fiction, visto che tanti passi suggeriti al poeta dalla splendida natura che circonda Francavilla, verranno poi trasposti nei suoi primi, celebri romanzi. In un primo tempo d’Annunzio abita nel “castello incantato”, l’ampio atelier del pittore costruito sulla sabbia: è un eccentrico cubo di tufo dalle mura grezze alleggerite da finestre oblunghe e tonde, che sarà raso al suolo durante l’ultima guerra. Il poeta vive e scrive in una stanza rallegrata da un pastello di Michetti e scaldata da tappeti, coperte e cuscini che si è fatto mandare da Roma. Così la descrive a Barbarella nella lettera del 14 luglio 1888: … Ho teso alle pareti le tende e i tappeti. La stanza è larga; dà sopra una terrazza che si protende sul mare e ha una finestra lunga e ampia che s’apre su un quadro meraviglioso di colli e di paesi biancheggianti per la salita. Ora sono solo nel castello. Il castello incantato è un edifizio nel quale tutta la strana fantasia di quel grandissimo artista che è il Michetti, è profusa. È un’opera curiosa. È quasi inabitabile tanto è diversa da tutte le forme architettoniche fin qui praticate. La prova migliore è che lo stesso possessore non ci abita e lo lascia in balìa dei colombi e dei falchetti. Truci delitti, spaventose tragedie avvengono alla sommità del castello, tra i santi e candidi uccelli di Dio e i feroci ghermitori! Io andrò definitivamente nel mio nuovo retiro lunedì. E incomincerò la gran fatica, in solitudine. Jeri, quando terminai di fare il tappezziere, mi distesi sul divano, con il capo appoggiato al cuscino magico, e sognai lungamente. Fra le tende verdi, sbattute dal vento, appariva il mare azzurro, popolato di vele rosse: tutto il violento colore del Canto Novo…1 Francavilla il poeta la vede simile a una città moresca. Così scrive il 21 dello stesso mese, alle otto di mattina: …Jersera mi addormentai per la prima volta in questa dolce stanza, tra mormorii misteriosi che escivan da’ tappeti e da’ cuscini. Rimasi prima, a lungo, alla finestra. La notte era di una tranquillità senza fine. Il mare si muoveva a pena; alcune paranze apparivano e scomparivano come ombre fuggevoli. Francavilla, tutta bianca su la collina, tra i grandi alberi, faceva pensare a una città moresca. La luna spandeva dalla faccia una magia profonda, in cui tutte le cose languivano e sospiravano…2 Qualche giorno prima l’ha descritta al crepuscolo, durante una lenta passeggiata a cavallo: …Il cavallo andava quasi sempre al passo, sbuffando di tratto in tratto e scuotendo il collo. Io mi perdeva nei sogni,nelle speranze, nelle visioni. Dalle siepi saliva un profumo singolare di fiori che non si vedevano. Le colline diventavano violette e transparenti nell’ombra, sul cielo di perla. Il mare appariva d’un verde chiarissimo, ancor luminoso, come sazio di luce. Lungo i fossati scintillavano le lucciole. Gli stagni qua e là riflettevano il cielo, come specchi pallidi, con non so che di roseo fluttuante sopra, come un velo vago. Quando ho attraversata la pineta, mi son sentito inebriare dal profumo resinoso. I pini erano immobili; si moltiplicavano intorno agili ed eretti come le canne di un organo…3 131 Se è facile credere a d’Annunzio quando, con incredibile immodestia, annuncia capolavori ancora non realizzati, più arduo è prestargli fede quando dichiara alla sua Barbarella di lavorare al convento senza sosta e distrazione alcuna; sei mesi di vita ascetica di d’Annunzio, che tra l’altro si trova in mezzo a un’allegra compagnia di amici, sono quasi inimmaginabili. Ma tant’è, la tabella di marcia contenuta nella lettera a Barbara del 25 luglio è in effetti piuttosto dura. Le giornate che il poeta trascorre al convento sono cadenzate da severi orari di lavoro: …Lavoro molto; e profondamente. Mi levo la mattina alle 6 e 1/2 . Alle sette mi metto al tavolino e rimango là fino alle undici. Alle undici mi faccio il bagno nel mare e sto poi al sole, nudo, fino alle 12 e 1/ 2: è la mia più grande voluttà. Alle 12 e 1/2 faccio colazione, una colazione rapida e leggera, sul tavolino medesimo delle carte. Fumo una sigaretta, prendo il thè; e alle due mi rimetto alla fatica, fino alle sette. Alle sette mi vesto e vado su al Convento, per il pranzo. La sera passeggio per la riva, in compagnia, o solo. E vado a letto non mai dopo le undici, a meno che non mi attragga troppo la bellezza della notte o non mi tormenti troppo il pensiero di te… Jersera camminai solo, lungo la riva del mare. Le luna era ancora bassa, un poco vermiglia. Tutto il lembo delle acque, presso al lido, scintillava mirabilmente. Alcune barche erano ancorate e gittavano un’ombra transparente e azzurra su la sabbia umida che pareva cosparsa di diamanti fini. Non incontrai nessuno. La tua anima era meco, ed io ebbi con la tua anima lunghi e dolci colloquii, lungo la riva del mare…4 Sono tante le descrizioni che, come questa, fanno delle lettere a Barbara dei piccoli capolavori e di Francavilla una città di sogno, con il suo mare che “sorride”.