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IIIlll disegno del nacque in Francia nel 1951 grazie alla matita e alla genialità dell’allora quarantaduenne ar chitetto civile del Comune di Pa- rigi, Jean-Jacqu es Herbulot (che anni dopo conse- guirà anche la laurea in architettura navale). Il progetto della barca gli fu commissionato dal direttore della famosa scuola di vela francese dei Glénans, Philippe Viannay, che cercava una piccola deriva, leggera e “di iniziazione” alla vela, in grado di favorire l’acquisizione della sensibilità marinara nei giovani allievi del centro bretone. Questa barca avrebbe dovuto possedere delle doti a prima vista inconciliabili: sarebbe dovuta essere allo stesso tempo semplice e completa, stabile e vivace, avere delle reazioni “schiette” senza esigere da parte del suo equipaggio particolari doti acrobatiche, dare ottime garanzie di sicurezza senza penalizzarne la manovrabilità e infine, ma soprat- tutto, essere il meno costosa possibile, pur essendo una barca “vera”. Il prototipo in compensato marino fu costruito da Herbulot nell’apparta- mento di Viannay e siccome una volta ultimato non passava dalla porta, fu fatto uscire dalla finestra. ______Enrico Pluda – V come Vaurien

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Le prime prove in mare furono non senza difficoltà, ma incoraggianti, per cui fu deciso di approntare un secondo esemplare da presentare al pubblico. Il debutto ufficiale sul mercato avvenne l’anno successivo al Salone Nautico di Parigi: il successo fu immediato grazie alla perfetta rispondenza del frutto del progetto, caratterizzato da spiccate qualità marinare e da grande semplici- tà ed economicità, alle richieste della committenza, che di fatto coincidevano anche con quelle del grande pubblico. Il suo primo nome, “L’Embroche” (da “em- brocher”, infilzare), mutò subito in quello at- tuale che, al contrario di quanto si crede co- munemente, non deriva però dal basso costo, ma da quello del cane del direttore dei Glé- nans, “Vaurien” appunto, un esemplare che doveva essere tanto amato quanto vivace; “vaurien” infatti in francese significa mascalzone, briccone. (Nella foto a destra Gualtiero e Ducasse, i miei due “mascalzoni”). L’assonanza con “il vaut rien” (non vale niente) era comunque quanto mai azzeccata se si considera che all’epoca la barca completa costava 55.000 vecchi franchi francesi (oggi poco più di 900 euro): “come due comuni biciclette” recitava lo slogan promozionale di questa rivoluzionaria de- riva che farà conoscere la vela a migliaia di francesi. Bei tempi! Un’altra credenza sbagliata ritiene che il Vaurien fosse stato concepito da Herbulot per rispondere ai criteri costruttivi artigianali in voga ai quei tempi. In realtà la costruzione ama- toriale era allora vietata e, sin dai primi lotti, il Vaurien fu realizzato professionalmente, in serie e con criteri produttivi industriali, gli unici capaci di rispondere con efficacia al successo ottenuto. Grazie all’utilizzo di intelaiature di montaggio industriali (erroneamen- te definite stampi), che consentirono ai cantieri di ottenere delle forme più performanti e leggere, il Vaurien fu commercializzato non a prezzi concorren- ziali, ma addirittura senza concorrenza.

______Enrico Pluda – V come Vaurien

Capitolo 1 – Storia – Pagina 9 ______L’idea rivoluzionaria del Vaurien era basata sul fatto che il fasciame non posava su di una struttura, ma era esso stesso struttura. Le parti erano tutte incollate e i chiodi servivano solo a tenerle insieme per il tempo necessario all’essiccamento. Secondo le specifiche di pro- getto, la barca doveva potere es- sere agevolmente trasportata sul tetto di una utilitaria. E così av- venne. La prima serie fu avviata nel 1953 dal cantiere bretone “Costan- tini”: le oltre 200 unità furono ven- dute nel giro di un anno. Questo strepitoso successo spinse Herbulot a fondare una sociètà per commercializzare e promuovere la sua creatura. Fu così che Herbulot e soci concessero le licenze costruttive a un gran numero di cantieri sparsi in tutta la Francia col risultato che le vendi- te andarono alle stelle e i prezzi divennero ancora più competitivi. Ripeto, bei tempi! Le barche erano equipaggiate con le vele del velaio “Le Rose”, anch’esso bretone, che per il Vaurien intraprese, per la prima volta in Francia, una produ- zione in serie con il pre-taglio e lo stoccaggio dei ferzi e la relativa cucitura a macchina dei semilavorati. Il 1° gennaio 1954 navigavano in Francia 222 Vaurien; il 15 agosto dello stesso anno erano già 400. Nel 1959 ne furono venduti solo in Francia 1.100 esemplari e ne naviga- vano 4.500 in tutta Europa. Un’altra dimostrazione della concezione in- dustriale del Vaurien è la sua lunghezza di 4,08 metri: il valore deriva dal taglio ottimiz- zato di due soli fogli di compensato marino di okoumé del Gabon (al 15% di umidità ha un peso specifico variante tra i 400 ed i 500 kg/m3) della lunghezza di 4,10 metri con uno spessore di 6 millimetri, il formato massimo disponibile nell’immediato dopoguerra. Con il materiale avanzato dai tagli delle fiancate era possibile completare il resto dello scafo, men- tre timone e deriva erano realizzati in massel- lo di mogano. In quegli anni la vendita dei Vaurien avve- niva perfino in alcuni grandi magazzini cittadi- ______Enrico Pluda – V come Vaurien

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ni, ma la sua rapida diffusione fu dovuta soprattutto al massiccio utilizzo nelle scuole di vela di mezza Europa, dai Glénans al Centro Velico di Caprera: la sua sezione a spigolo non solo è robusta, ma consente anche riparazioni facili e ve- loci in caso di grossi danni alle fiancate causate dai velisti “ai primi bordi”. Per i francesi il Vaurien rap- presentò per la nautica quello che la “2 cavalli” rappresentò per l’industria automobilistica e il “Velosolex” per quella moto- ciclistica. Skipper famosi in tutto il mondo, come ad esempio Éric Tabarly, hanno iniziato la loro gloriosa carriera marinara a bordo di un Vaurien. Il Vaurien fu considerato da subito come una barca “mini- malista” e, nonostante l’evolu- zione, per quanto lenta e fati- cosa, che ha avuto in mezzo secolo di storia, lo è purtroppo ancora oggi. In realtà, a parte qualche regolazione, come ad esempio i carrelli delle scotte di randa e fiocco, di fondamentale non gli manca proprio niente rispetto a scafi di ben più grandi di- mensioni, ivi compreso lo spinnaker che fu introdotto nel 1965 (con grandi tentennamenti sulla dimensione: prima 10, poi 6,5, poi 8 per molti anni, fino alle misure attuali di 8,4 m2), ma ammesso ai Campionati del Mondo e Italiani solo a partire dal 1975. Al Vaurien non manca nulla, dunque, e non ha nulla di più rispetto, ad e- sempio, agli IMS o addirittura alle barche di Coppa America: trapezi e terraz- ze, grazie al cielo, non sono mai stati consentiti. Nel dicembre del 1962 (il Salone di Genova era solo alla sua seconda edi- zione) venne promossa a classe internazionale dall’IYRU (International Yacht Racing Union, l’ex ISAF, la federazione internazionale della vela) ma, nono- stante rimase per molti anni la deriva più diffusa al mondo, non diventerà mai olimpica (e il 470 non era ancora nato). Nello stesso anno la F.I.V. (Federazione Italiana Vela) inserì il Vaurien tra le classi riconosciute e organizzò il primo Campionato Italiano. ______Enrico Pluda – V come Vaurien

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Fino a quel momento i pochi esemplari presenti in Italia erano tutti di produzione straniera. Fu un maestro d’ascia toscano, Luciano Gavazzi, che di fatto introdusse e diffuse il Vaurien in Italia. Nel 1962 consegnò le prime cinque bar- che “made in ” prodotte nel suo piccolo cantiere di Castiglioncello in provincia di Li- vorno, con i numeri velici da 9602 a 9606. La foto a destra è quella del varo del pri- mo Vaurien Gavazzi, di proprietà dell’Ing. Migone di Genova, il 6 gennaio 1962. Il prezzo al pubblico era imposto dalla ASVaurien: 199.000 lire in inverno e 209.000 in estate; per le vele in Dacron al posto di quelle standard di cotone era ri- chiesto un supplemento di 10.000 lire; un “FJ” costava il doppio, una “S” il triplo. In quell’anno il cantiere to- scano ne produsse trenta e non riuscì a soddisfare tutte le ri- chieste; l’anno successivo furono cinquanta e l’anno dopo ancora, cento. Dalle abili mani di Gavazzi, di cui riportiamo a fine capitolo un articolo dell’epoca e la prima pubblicità italiana del Vaurien, usciranno oltre 1.000 splendidi esem- plari che approderanno sulle coste di tutta Europa. Nel 1963, visto il successo del Vaurien, la F.I.V. abolì la deriva nazionale “V” che era nata anni prima come classe per gli allievi.

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Nel 1965 furono autorizzate le riserve di galleggiamento applicate sotto le panche e l’anno successivo, dopo l’avvento degli alberi in alluminio (prima e- rano prevalentemente prodotti in legno di a- bete del Nord), fu ap- provata la produzione dello scafo in fibra di vetro che renderà la barca assai più presta- zionale anche se anco- ra nel 1978 la rivista “Voiles & Voiliers”, al termine di una prova comparativa fra quat- tro Vaurien prodotti da quattro diversi cantieri (vedi foto sopra), scrisse quanto segue: “Un Vaurien in legno resta competitivo più a lungo rispetto a uno in plastica e il suo centro di gravità è più basso”. Invece è proprio grazie all’uso della vetroresina che gli scafi, pur mantenendo lo stesso peso minimo di 95 kg, saranno pro- dotti con stampo e contro- stampo e diventeranno così cas- sonati e stagni: in questo modo il Vaurien sarà di assai più sem- plice manutenzione e soprattutto più rigido, più sicuro e più facile da raddrizzare e da svuotare in caso di scuffia. Negli anni ‘70 venne ampliata anche la filosofia costruttiva sottoforma di kit, con l’apertura all’assemblaggio amatoriale, che fu considerato un atout impor- tante per un ulteriore sviluppo della classe: si trattava in pratica non di costruir- si in casa lo scafo (che non è stato mai previsto), ma di terminarlo, di verniciar- lo, di attrezzarlo e di armarlo dopo averlo ricevuto grezzo dal cantiere. In Italia il Vaurien venne inserito dalla F.I.V. tra le classi di interesse fede- rale e raggiunse nel 1977 il suo massimo livello di diffusione con un Campio- nato Italiano che vide oltre 100 equipaggi iscritti. Nel 1975 i Vaurien nel mondo erano 33.000 di cui 20.000 in Francia, so- prattutto in Bretagna; i cantieri francesi ne costruivano 600 all’anno: si può proprio dire che il Vaurien “battezzò” la Francia… e l’Europa.

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Pochi anni dopo fu eletto dai francesi “Barca a Vela degli anni ‘80”… che sarà però destinata a sparire quasi del tutto dalle acque d’oltralpe a partire dai successivi anni ‘90.

Il numero 1 fu battezzato col nome “Le Mousse” (da non confondere con la deriva tipo “Mousse”) ed è tuttora conservato in Francia nel Museo della Ma- rina “Amerami” al Palais de Chaillot a Parigi. I Vaurien prodotti nel mondo sono a oggi quasi 36.300: il ”Mascalzone” re- siste soprattutto in Italia, Spagna, Portogallo e Paesi Bassi. Per meglio inquadrare storicamente il Vaurien, si elencano di seguito gli anni di nascita di altre classi famose: Star, 1911; , 1931; FD, 1952; FJ, 1955; 420, 1959; 470, 1963.

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Il papà del Vaurien, che disegnò un centinaio di altre barche di tutte le di- mensioni, molte delle quali a spigolo e alcune di successo come il Caravelle, il Corsaire, il Mousquetaire, ha partecipato a quattro Olimpiadi (fu quarto nel 1932 e sesto nel 1936 con la Star) ed è morto nel 1997 senza potere vedere gli ultimi sviluppi della sua creatura più fortunata e longeva col nuovo piano velico introdotto nel maggio del 2008.

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