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Galleria | Almeno in Due 2282-0876

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| Almeno in due Donne nel cinema italiano a cura di Lucia Cardone, Giovanna Maina, Chiara Tognolotti Galleria 2282-0876 n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: Introduzione di Lucia Cardone, Giovanna Maina, Chiara Tognolotti

A guidare questo nuovo percorso alla ricerca delle donne del cinema italiano è una eco, Essere due (1994). Da lì e dunque da un testo che disegna il mondo a partire dalla differenza sessuale in azione e che risuona fin dal titolo, di Luce Irigaray, e precisamente del suo - poin continuo tratteggiato dialogo come con monosessuato, l’altro da sé, è quasi tratto fosse il filo abitato di un pensiero da un (dal) che soggetto vorremmo unico. ritessere all’internoNegli ultimi della anni produzione anche in filmica Italia comincianoe audiovisiva a prenderenazionale, corpo uno scenario altre narrazioni, per lungo storie tem diverse che, mutando la prospettiva, aprendosi alla concretezza delle pratiche (il fare) e misurandosi con la molteplicità delle esistenze (le vite), lasciano intravedere un paesag- presenza delle donne. Guardando a questo panorama nuovo, che per molti versi è ancora incertogio cinematografico e lacunoso, ci più accorgiamo ampio, in chetensione per esistere e in divenire, e porsi un come paesaggio soggetto vivificato è essenziale, dalla per le donne, essere almeno due, ossia fare leva sulle energie e le risorse della relazione complicità, o semplicemente di vicinanza, ancor prima che il femminismo ne riconoscesse ilfemminile. potenziale Difatti, rivoluzionario, il reciproco sono affidamento, tratti ritornanti le varie nei tattiche vissuti edi strategie molte donne, di sostegno, comprese di quelle che si sono trovate a confrontarsi con uno spazio, quello del cinema, plasmato dallo sguardo maschile. Così, nell’esplorazione del panorama audiovisivo nazionale abbiamo voluto mettere a tema proprio questi legami fra donne - intrecciando e in parte forzando femminili. il filoStudiare di Irigaray le donne - per cercandone indagare le almenofantasiose due e a volte invisibili potenzialità delle relazioni- muni e abitudini di pensiero sottilmente misogine che hanno informato, e ancora in parte informano, le narrazioni correnti. Ci riferiamo significa anzi tutto invero all’idea scardinare che le peggiori alcuni luoghi nemiche co delle donne siano le donne stesse; ed anche al convincimento che sia il talento e la genia- lità di una singola a fare la differenza, consentendole di affermarsi da sé sola nel mondo maschile. Certo, la storia delle donne nel cinema si può raccontare anche in questi termi- ni, mettendo al centro l’antagonismo e la contrapposizione fra soggetti. Ma questa è una storia che non ci interessa giacché riduce le pratiche e le esistenze concrete alla antica dialettica servo-padrone e tralascia l’essenziale, ossia manca di mettere in luce le oppor- tunità di mutamento prodotte (o anche soltanto promesse) dall’ingresso delle donne, in-

Abbiamo dunque chiesto alle autrici di immaginare dei ritratti (almeno) doppi, di co- glieretese come le registe, soggettività le attrici, nuova e, nel e plurale, loro insieme, nel quadro le fautrici della produzione del cinema filmicaitaliano, (e comprese nel mondo). le personagge, in relazione fra loro, almeno due, appunto. Così, in apertura, Giulia Fanara segrete, distanti ma vicine nel dare corpo ai percorsi imprevisti che la libertà femminile disegnatiene insieme sugli schermiMonica Vitti italiani. e Valeria Nella Brunistessa Tedeschi sezione, inRelazioni una fitta simboliche rete di assonanze in cerca di e sérime, si … con amore, Fabia (Maria Teresa Camoglio, 1993) e Poesia che mi guardi (Marina Spada, 2009). Segnati en- intrecciano biografie e autobiografie femminili negli studi di caso di forme narrative e poetiche differenti, le esistenze di due letterate del Novecento, Grazia trambi da un desiderio di restituzione, questi film elaborano e rielaborano, attraverso Cardone, Maina, Tognolotti n. 8, luglio-dicembre 2016

Deledda e Antonia Pozzi, attraverso le invenzioni delle due registe, che per raccontarle Nello sguardo dell’altra, finisconofra Gabriella per Rosalevaraccontare e Danielaanche se Morelli, stesse. rendendoLa sezione conto successiva, di una collaborazione lunga e fruttuosa,mette a tema mentre il legame Stefania fra Riminidonne raccontanello spazio l’incontro del set: di Luisa Costanza Cutzu Quatriglio affronta eil Nadasodalizio Ma- Il mio cuore umano (Costanza Quatriglio, 2009). Cristina Colet, invece, narra il rapporto contra- lanima,stato fra individuando nello e spazio , relazionale che dell’affidamento forse non sono riusciteil nodo nevralgico a cogliere appienodi il guadagno dell’essere due. Eppure quella burrascosa relazione fra prime donne sembra

- lechiedere esistenze. indagini Alla ricchezzaulteriori, lontanedel groviglio dall’eco relazionale morbosa deiguarda rotocalchi infatti d’epocala sezione e più seguente, attente Genealogieal reciproco in riconoscimento, divenire, che esplora che spesso i dintorni si trova dello altrove, schermo nel e dispiegarsi comincia a più delineare intimo unodel - caela Veronesi, che propone un viaggio nel cinema femminile contemporaneo attraver- sosguardo le relazioni nuovo, fra capace attrici di etenere registe; insieme di Farah donne Polato, di generazioni che ci avvicina differenti: all’idea è ildi caso tessitura, di Mi inseguendo, dentro e fuori dal carcere, il nastro morbido della pellicola che sa ricucire strappi esistenziali apparentemente irrimediabili; e di Cristina Gamberi, che esamina la Essere due: l’avventura delle personagge radice genealogica dei film di Alina Marazzi. La quarta sezione, stereotipi di genere., sposta l’attenzione sul piano finzionale, affrontando le relazioni agite sulloCosì schermo Simona da Busni figure rintraccia femminili in fuori Un garibaldino dagli schemi, al capaciconvento di forzare(Vittorio le Deconvenzioni Sica, 1942) e gli la forza dirompente del legame fra donne, in una delle sue rare occorrenze melodrammati- che; l’analisi di Il sole negli occhi (Antonio Pietrangeli, 1953), poi, evidenzia l’apparire nello scenario del cinema italiano del secondo dopoguerra di un soggetto imprevisto, plurale e solidale, vale a dire la comunità delle domestiche, le amiche della protagonista, Celestina, con le personagge di , diverse per età, provenienza e stili di vita e unite dalla loroche la acrobatica sostengono leggerezza nella sua e scelta gioia didi vivere. vita; e Ciinfine sono Rosamaria poi le Sorellanze Salvatore laboriose chiude che la puntegsezione- giano il focus dedicato al cinema di Rohrwacher, all’interno del quale Francesca Brignoli, -

IlariaLa sezioneDe Pascalis Rappresentazioni e Mariapaola ePierini relazioni indagano i film e le collaborazioni fra donne – so relle e non solo – che hanno riscosso non piccola eco nella produzione contemporanea. si colloca invece ai margini del film, al confine Mariagraziafra fruizione Fanchie consumo: si occupa Martina delle Federico spettatrici, propone e in particolare una lettura delle dei trailer bambine, e del che loro al modo cine- madi narrare non sono le relazionimai sole. femminili,La sesta sezione, semplificandole Essere molte: sovente i collettivi nel segno, offre del un conflitto; rilancio mentre sia nel

Sabinenumero Reiff, – da pionieredue a molte delle – nuovesia nello immagini; sporgersi Giulia oltre Simi il cinema, tesse la nei storia territori delle del donne video, nell’un della- dergroundsperimentazione degli anni e della Sessanta computer e Settanta; grafica. mentreCosì Sandra Lorenza Lischi Fruci racconta e Sarah-Hélèna di Flavia AlmanVan Put e guardano alla recente esperienza del collettivo Le ragazze del porno. A chiudere questo viaggio nel cinema italiano ci sono due dialoghi, curati da Stefania Rimini e da Elena Marcheschi, nei quali prendono parola Costanza Quatriglio ed Eleonora inManca. una ricerca Si tratta di disé un che rilancio si realizza ulteriore, nell’incontro di un intreccio - reale e disimbolico voci che -illumina con l’altra. i confini e gli sconfinamenti possibili dal cinema al video, dalla fotografia alla tessitura delle immagini, 2 Introduzione n. 8, luglio-dicembre 2016

Per sua natura incompleto e in continuo, vitale, divenire, questo nuovo racconto delle

- previstidonne nel di cinema quelle donneitaliano che, è punteggiato in vari modi, da si molti sono vuoti, accompagnate da zone più e si oscure accompagnano e non ancora nel lavoroindagate, per e il da cinema altre risuonano, assai promettenti, ormai nelle che nostre paiono orecchie appena con sfiorate. un ritmo Eppure misterioso i passi e im in- sieme familiare, come il ronzare dell’apiario di cui scrive Pierini, che ci affascina e ancora ci sfugge. Proprio per questo continueremo a raccontarlo.

Testi di Francesca Brignoli, Simona Busni, Lucia Cardone, Cristina Colet, Luisa Cutzu, Ilaria De Pascalis, Giulia Fanara, Mariagrazia Fanchi, Martina Federico, Lorenza Fruci, Cristina Gamberi, Sandra Lischi, Giovanna Maina, Elena Marcheschi, Mariapaola Pierini, Farah Polato, Stefania Rimini, Ro- samaria Salvatore, Giulia Simi, Chiara Tognolotti, Sarah-Hèléna van Put, Micaela Veronesi.

3 1. Relazioni simboliche in cerca di sé Galleria | Almeno in due 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 1.1. Le perturbanti: Monica, Valeria e le altre tra la messa in scena del malessere e la ricerca della felicità di Giulia Fanara

Monica, Valeria e le loro personagge. Cinema d’autore e cinema di attrici. Attrici autrici, dalla regia alla scrittura. Figlie che hanno saputo confrontarsi con l’‘ombra’ delle madri - spazima che che spesso appartengono non sanno al perturbante,essere madri. aperti, Donne come alla finestra,direbbe Lacan,come neiall’irruzione melodrammi del Reahol- le,lywoodiani, su una scena ma che,qui lescrive finestre Graziella si schiudono Berto (2002), su paesaggi separa inconsueti, il soggetto sudal scenari proprio di desiderio alterità, lasciando sorgere la beanza di uno sguardo stupito di fronte a un mondo che è il luogo - parsa [fig. 1]; Vittoria, ancora di spalle, contempla il fungo dell’Eur, fuori della modernità dell’Altro. Claudia, di spalle, apre la finestra a Lisca Bianca sul mistero dell’amica scom - e della minaccia atomica ma anche di una libertà tutta da esplorare, mentre[fig. la finestrella2] fanella slittare vecchia dalla casa presenza di Piero, del forse mimo, abitata tanto da cara fantasmi, ad Antonioni, è un’ulteriore a quella figura unheimlich di raddoppia del sosia emento alla dimensione – la fugace fantasticacomparsa didi moltaun volto letteratura femminile femminile nella finestra (l’eco di di fronte un gotico che –rimane che ci Il Castello in Svezia [R. Vadim, 1963] o in Il mistero di Oberwald [M. Antonioni, 1980] o, ancora, Un castello in Italia [V. Bruni Tedeschi, 2013] dove il passato è il vissuto dell’attrice-autrice);in film come Giuliana guarda dalla camera di Corrado la notte nella quale fuggirà quando è «riuscita a essere una moglie infedele» (Il deserto rosso, M. Antonioni, 1964); Lisa decrea il suo mondo dalle sbarre della prigione perché possa esserci per lei una ‘se- conda volta’ [fig. 3]; Carmen osserva con agire protettivo e amoroso gli uomini a cui è legata dalle vetrine del bar in cui lavora [fig. 4]; Angela scopre il suono di un violino che la allontanerà dalla esattezza rassicurante dei numeri ma solo dopo aver conosciuto Sara e il suo per ora non rimediabile dolore (La parola amore esiste, M. Calopresti, 1998); Carla, ma solo per caso, il ‘suo’ teatro (Il capitale umano, P. Virzì, 2013); Beatrice il ritorno sperato di Donatella quando la cura nasce dalla relazione (La pazza gioia, P. Virzì, 2016). Finestre dispiega un nuovo sentire sia pure segnato dall’incertezza e al di là dei quali si delineano, comeche non scrivono sono più Treder figure e Chiti, che imprigionanospazi di libertà il e desiderio di divenire. ma Se passaggi nel volume attraverso curato da i qualiTreder, si Chiti, Farnetti (2002), al quale il titolo del nostro saggio si ispira, oggetto dell’analisi è il rovesciamento simbolico del concetto freudiano operato dalle scritture femminili, dove il forme inaudite di rappresentazione di sé e del proprio desiderio, il perturbante che due perturbante appare quale occasione ‘imprevista’ per tentare quelle che Farnetti definisce- dell’angoscia,attrici come Monica generando Vitti piuttosto,e Valeria Bruni come Tedeschi,scrive ancora più volte Farnetti, avvicinate gentilezza, dalla compassione, critica, iscri affetti,vono nei amore film che e persino le vedono il sorriso. protagoniste non si conclude appunto nel consueto paradigma Gli intrecci tra femminile e sofferenza mentale, tra erotismo e follia sono parte di una lunga storia di scritture (normative e non) e di rappresentazioni. Immagini sopravviventi di un atlante warburghiano che Didi-Huberman ha risfogliato dall’immagine di Ninfa alle isteriche di Charcot alle Histoire(s) godardiane (1988-1998). Così il trauma della guerra

5 Giulia Fanara n. 8, luglio-dicembre 2016 emerge in Rossellini come in Resnais e in Godard attraverso lo sguardo non morto-non vivo dei sopravvissuti, sguardo che De Baecque ritrova nelle pazienti di Europa ’51 (R. Rossellini, 1952) che Ingrid/Irene, forse santa come Weil, in una visione insostenibile quanto quella della fabbrica («Ho creduto di vedere dei condannati») si appresta a soc- correre, come, poi, nelle degenti dell’ospedale di Hiroshima mon amour (A. Resnais, 1959). Uno stesso cammino di alterità unisce le protagoniste di Rossellini e quelle di Antonioni (il risveglio di Karin sulla cima dello Stromboli [1950] e quello di Claudia nel capan- Viaggio in Italia [R. Rosselli- ni, 1951] e quello di L’avventura), ma affette queste ultime noda diun Lisca ulteriore Bianca, trauma, il finale quello di che si innesca in un’Italia antonioniana tradurrebbero il trauma dell’autore-sog- gettoalle soglie maschile del boom. attraverso, Se le donnecome dicevadei film Pasolini, della tetralogia la visio- ne nevrotica delle protagoniste (che egli sostituirebbe L’avventura di Michelangelo Antonioni, 1960 della soggettiva libera indiretta), questa netta demarca- fig. 1 nel film zionecon la di sua gender «visione che lidelirante abita, questo di estetismo» affermare, – ècome la forma scri- ve Vighi (2006) sulla scorta di Lacan, che il rapporto ses- suale non esiste, non fa i conti con i desideri delle donne e con le potenze delle interpreti, con le loro capacità anche corporee di esplorare i possibili, comunicando alle spet- - lo del ‘familiare’, appunto, e della casa) diventato troppo stretto.tatrici il Quibisogno lo scambio di varcare con i l’altraconfini è diancora un mondo accennato, (quel cercato e spesso destinato a naufragare o a trovare in lei L’eclisse di Michelangelo Antonioni, 1962 una perturbante sosia di se stessa [fig. 5] - fig. 2 Monica Vitti nel film ta di Anna che Claudia indossa in L’avventura Anni di piombo :(M. dalla von camicet Trotta, L’eclisse –. quanto piùNel esplicito momento lo scambio in cui l’irromperein della modernità tro- 1981)va nel –corpo alla passante femminile bionda il luogo del difinale una dinuova narrazione traumatica, Vitti, a Ravenna, può divenire un colore (come afferma nel suo Sette sottane) e le sue lacrime, come Ger- trud

(C.T. Dreyer, 1964), ma, anche come Anna – soggetto L’avventura La seconda volta di imprevisto, la definisce Lucia Cardone (2014) tornando a Mimmo Calopresti, 1995 Carla Lonzi – in «finire nella giunta» o, come fig. 3 nel film puòscrive anche Vighi, allargare nell’inconscio le braccia del film,per volare e poi in atterrando un altro film nel reame(quando della Grifi commedia. cerca nel cinemaL’attrice la «della presenza solitudine del reale), e dell’a ma- lienazione» acquista la forza del riso di Medusa. Negli anni d’oro della commedia, promotrice, come scrive Canova, del cambiamento che investe la società italiana e luogo di formazione di una nuova identità nazionale (di cui irride le aree di arretratezza) e di inedite identità di genere, e La buca di Daniele Ciprì, 2014 fig. 4 Valeria Bruni Tedeschi nel film ancora negli anni Settanta e Ottanta Vitti riprende il filo 6 Le perturbanti n. 8, luglio-dicembre 2016 nella cronologia del miracolo italiano, come Le dritte [M. della comicità (si pensi a un film del 1958, anno d’inizio o di impulsive popolane, di sciantose e di ragazze con la pistola,Amendola]) di personaggi vestendo istorici panni travoltidi raffinate da amorose donne borghesi passio-

‘chiave di tutto’ dalle braccia venate d’azzurro e il pro- fumoni. In questodi cannella, percorso le amiche, le altre inon suoi sono stessi assenti: ruoli, lale madre prese di posizione (il voto a favore del divorzio annunciato su Grand Hotel). Relazioni incompiute, specchianti, interrot- te o favoleggiate (da La notte [M. Antonioni, 1961], in cui Valentina e Lidia nel loro breve incontro parlano incom- prensibili a Giovanni, a, appunto, Il deserto rosso, dove il ritorno al femminile e alla natura è possibile solo in una L’avventura

fig. 5 e Monica Vitti nel film una Ravenna post-industriale, colorata, come scrive Giu- lianafiaba, Bruno, in una dalleconfigurazione emozioni della spaziale protagonista) opposta a quando quella di il nuovo movimento delle donne non c’è ancora e il simbo- lico materno è ancora da scoprire. Lisa, che come tante altre dalla nuova sinistra è passata alla lotta armata, in La seconda volta esprime forse la necessità di questo pas- saggio, dove la casa è la cella e le amiche compagne di prigione. Gli anni di piombo sembrano lontani, ma è stata la paura del terrorismo a spingere i genitori altolocati di Bruni Tedeschi a emigrare in Francia negli anni della sua La balia di Marco Bellocchio, 1999 fig. 6 Valeria Bruni Tedeschi nel film infanzia.Nel cinema Lisa edella Valeria: contemporaneità le due facce della la relazione medaglia tra infine don- neriappacificate è, come afferma (si ricordi Muraro il caso (2011), Marina il circolo Petrella). della media- zione dove la vita può essere creata e ricreata. Se Giuliana di Il deserto rosso sirene il rapporto mancato con il suo bambino, Vittoria di La balia (M. Bellocchio,affidava 1999)alla favola riuscirà e alla a tenernevocalità tradelle le braccia uno quando il confronto con Annetta e con la sua identità la porterà lontano da suo marito (e dai discorsi Un castello in Italia di Valeria Bruni Tedeschi, 2013 [fig. fig. 7 Valeria Bruni Tedeschi e Marisa Borini nel film 6]. Proprio Bruni Tedeschi sceglierà di coinvolgere attiva- della psichiatria), da casa, da suo figlio e dalla balia che è Un castello in Italia dando inizio alla tardiva carrie- ramente di attrice la madre di quest’ultima biologica in quella[fig. 7] sorta. Ancora, di autobiografia come quelle - soddisfatte, prigioniere del matrimonio o di una casa di curadi Vitti, in unfigure mondo del dominatomalessere, dal spesso godimento donne e borghesi dal denaro, in le personagge di Bruni Tedeschi guardano alla commedia

(La parola amore esiste) o come Beatrice e Donatella, in fugae non dalla vogliono comunità morire terapeutica, di tristezza: alla come ricerca, Angela semplice e Sara- mente, della felicità . La pazza gioia di Paolo Virzì, 2016 [fig. 8] fig. 8 Valeria Bruni Tedeschi e nel film 7 Giulia Fanara n. 8, luglio-dicembre 2016

Bibliografia (a cura di), La perturbante. Das Unheimliche nella scrittura delle donne, Perugia, Morlacchi, 2003. E. Chiti, M., Freud, Farnetti, Heidegger: U. Treder lo spaesamento, Milano, Bompiani, 2002. L. , Tre lezioni sulla differenza sessuale e altri scritti, Napoli, Orthotes, 2011. G. Berto, Traumatic Encounters in Italian Cinema. Locating the Cinematic Inconscious, Bristol, Intel- lect,Muraro 2006. F. Vighi , ‘Il soggetto imprevisto e la tetralogia dei sentimenti di Michelangelo Antonioni’, in (a cura di), Sguardi differenti. Studi di cinema in onore di Lorenzo Cuccu, Pisa, ETS,L. Cardone 2014, pp. 139-150. L. Cardone,, Atlante S. Lischi delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema [2002], trad. it. di M. Nadotti, Milano, Mondadori, 2006. G. Bruno

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 1.2. Essere due. L’invenzione dell’altra per dire di sé …con amore, Fabia di Maria Teresa Camoglio, 1993 di Lucia Cardone

Una giovane donna di voraci e disordinate letture, quasi un’autodidatta, nata e cresciu- ta in un villaggio remoto, si immagina e si fa scrittrice, sottraendosi ai copioni destinati da tempi immemori al suo sesso e affermandosi con insospettabile forza nel panorama letterario internazionale. Raccontata così, ridotta all’osso, la parabola di Grazia Deledda - narrasomiglia la sua straordinariamente vita e, diversamente a quella dalle diintrepide una Emily inglesi, o Charlotte persino Brontë, sul versante e ai miei letterario occhi ap mi pare come uno splendido e promettente soggetto cinematografico. Eppure nessun film qualipare cheè prudente la figura stare e le opere alla larga. della Occorre scrittrice attendere nuorese …consiano amore, state tramandate Fabia (1993), attraverso esordio alla un regiafiltro di unaminorità, giovane accompagnate autrice sarda, da Maria un sapore Teresa di Camoglio, inservibili per anticaglie poter vedere folcloristiche sugli schermi dalle la storia di Deledda, traslata in un racconto di donne distanti nel tempo ma vicine nello Cosima (1937), - verbiospazio ambivalente,simbolico della giacché relazione da un femminile. lato autorizza Il film letture è liberamente nel senso tratto di un da cauto allontana- romanzomento dal autobiografico, testo letterario, pubblicato ridotto a puro postumo, pretesto, di Grazia che Camoglio Deledda. modernizza ‘Liberamente’ e stravolge; è un av dall’altro lato, ed è questa la mia proposta, suggerisce di una rielaborazione ampia nel segno della libertà femminile, di una autonomia piena ma non dimentica della - mente pervaso dalla sua matrice letteraria, coniugata al presente e declinata a partire da sésua in origine. un racconto Così prende che, attraverso forma un la testo vocazione filmico artistica del tutto e personalele vicissitudini e, al contempo, di Fabia, intreccia intima le biografie di Cosima, della scrittrice e della stessa regista. Figlie straniere

La narrativa deleddiana, nella cornice di un regionalismo apparentemente immobile, sviluppa in realtà tematiche che chiamano in causa non l’isola, ma il mondo, declinan- do costantemente, pur nella varietà delle trame, la dialettica fra individuo e collettività, fra le leggi di una comunità arcaica e «le spinte individualistiche della società moderna» (Sanna 2010). Cosima - me sociali che, semplicemente,non fa eccezione non la consideranoe addirittura neppure rilancia laun portata soggetto. di questoLa sua conflitto,protago- nista,scegliendo perseguendo la figura ilinedita sogno didella una letteratura, giovane donna sente che di esserecontrappone straniera, il suo di desiderio appartenere a nor «a un mondo diverso» (Deledda 1971 [1937], p. 696) rispetto a quello in cui si trova a vivere. E sono i caratteri della scrittura a marcarne la disonorevole estraneità. Fabia, molti anni dopo, vive la medesima condizione di estraneità. Ad attrarla e a ren- derla diversa non sono le lettere ma le pietre, gli oggetti di scarto, i pezzi di vecchie la- È la materia grezza offerta dalla realtà che lei, come Cosima, è capace di guardare in modo originale, impre- vatrici, «la monnezza», come la definisce sconsolatamente la madre. 9 Lucia Cardone n. 8, luglio-dicembre 2016 visto, trasformandola in scultura, rilievo, arte. Il contesto

- deisione, primi giacché anni la Novanta sua differenza appare è mutato acuita daie più modi aperto, bruschi, ma ladalla protagonista diretta contestazione del film eccede dei comunque ruoli di genere nella trasgrese da una sottile ambiguità sessuale [fig. 1]. Fabia si ribella violen- temente al fratello e ai doveri domestici, non si riconosce duri («Se ti schiarisci i capelli, la faccia un po’ meno dura tinella viene», Chiesa, le suggerisce rifiuta la scuola;con affettuosa ha sguardo ironia e lineamenti il fratello Matteo), indossa pantaloni e camicie di foggia maschile, ed è insensibile alle chimere dell’amore romantico che in- cantano le sue coetanee. …con amore, Fabia di Maria Tere- sa Camoglio, 1993 Lontane nel tempo e nei sembianti, Fabia e Cosima si fig. 1 Una scena di stare al proprio posto, «che escono dalle convenzioni e rivelano invero vicinissime: sono donne che non sanno - producono […] effetti di sconcerto rispetto alle figure artistica,della femminilità che genera codificata» incomprensioni (Setti 2014). e fraintendimenti, Per entram be, il conflitto col circostante muove dall’immaginazione le hanno partorite, sono le prime a sentirle estranee, in- comprensibili.a partire dal rapporto Figura taciturna con le loro e opaca,madri: laloro, madre che puretrat- teggiata da Deledda ha un volto severo e melanconico, …con amore, Fabia di Maria Tere- sembra abitata da una tristezza misteriosa, dovuta forse sa Camoglio, 1993 al «ricordo di un amore fantastico» (p. 718), vagheggiato fig. 2 Una scena di ma mai veramente vissuto. La vita le ha riservato indi- - tremens,cibili dolori: e la la preoccupazione morte della figlia per Enza, Cosima, del cosìmarito, diversa la ro e sfuggente,vina di Santus, «con certeil figlio idee alcolizzato in testa […] e affettotutte quelle da delirium scritte, quei cattivi libri […] non troverà mai da maritarsi cristia- namente» (pp. 796-797). Gli stessi affanni gravano sul- la madre di Fabia, muta e chiusa di fronte alle tragedie dell’esistenza e alla cinepresa di Camoglio, che la ritrae in frequenti primi piani a capo chino, dolente, persa nel …con amore, Fabia di Maria Tere- ricamo interminabile di una tovaglia di corredo, «Chissà sa Camoglio, 1993 fig. 3 Una scena di lepoi giovani per chi», a immaginare si chiede Fabia. per Nelse stesse film come una vitanel romanzo, differente, a separare madri e figlie è la vocazione artistica, che porta coraggiofino ad allora il proprio impensata, desiderio, e impensabile scegliendo per di lasciarele loro madri. il pa- eseMa èe diproprio andare quando nel mondo, le figlie che si i nodirisolvono problematici ad agire della con relazione materna si sciolgono. Difatti Cosima decide di scrivere ‘davvero’ per lenire il dolore della madre (Pia- no 2010). Quasi per caso ha origliato l’amaro sfogo della …con amore, Fabia di Maria Tere- - sa Camoglio, 1993 fig. 4 Una scena di donna,10 silenziosa con tutti e generosa di confidenti paro Essere due n. 8, luglio-dicembre 2016 che a Cosima viene «l’idea di muoversi, di uscire dal ristretto ambiente della piccola città, ele andare col vecchio in cerca servo di Elia, fortuna. e ha Perora darecontezza consolazione del suo profondo alla madre» sconforto: (Deledda è in 1971 quel momento[1937], p. 799). radice materna passa per il fare artistico. Lungo tutta la pellicola la macchina da pre- sa Forseinquadra in maniera il volto enigmaticopiù esplicita, della anche madre, nel film il capo di Camoglio abbassato il ricongiungimentosul lavoro d’ago [fig. con 2] la, e soprattutto lo stupore, l’autentico sbigottimento dei suoi occhi quando guarda Fabia, [fig. 3]. Non compren-

èspiando naturalmente le sue mani in ansia alle preseper la colragazza, fil di ferro, dal momento coi sassi, checon hail gesso smesso di studiare e non si de l’accanimento di sua figlia su quella che per lei resta materia inerte, insignificante; ed si è decisa a partecipare al bando per giovani artisti promosso dall’Accademia romana, Camogliosa cosa voglia introduce fare della una sequenzasua vita. Ma breve, verso quasi la fine onirica, del racconto, nella quale quando la madre, la protagonista silenziosa-

- rezzamente, le scopre sculture chi di è, Fabia.o meglio Il dinamismo chi vuole essere, della macchina sua figlia. da La presa camera segue riprende il suo damovimento vicino la emano da distanza della donna ravvicinata, che, accompagnata in un esercizio dai suoni di sguardo del basso visivamente e del flauto, partecipe, tocca e forseregistra acca il misterioso e affascinante susseguirsi delle forme. Nella seconda e ultima inquadratura, la donna afferra la strana testa scolpita da Fabia, una sorta di inquietante ritratto che quello della madre. Solleva la scultura davanti al suo viso e, nella simmetria di un quadro perfettamenteraffigura, insieme, bilanciato come due [fig. facce 4], sidella specchia medesima in quel moneta, suo doppio il profilo di delgesso; fratello qui, Matteomi pare, e - nell’enigma di quella strana forma riconosce la parte più segreta di se stessa, e soprattut to riconosce sua figlia, riuscendo finalmente a vederla per l’artista che desidera diventare. L’invenzione dell’altra

«chiamandola narrativa» (Heilbrun 1990 [1988]). Così viene al mondo Cosima, quasi Gra- zia,Ci che sono non vari è semplicemente modi per scrivere un alterla vita ego di unadella donna: scrittrice, Deledda ma l’invenzione sceglie di raccontare di una seconda la sua se stessa che le consente di narrare, della sua vita reale, ciò che ritiene narrabile, o meglio ciò che le sembra essenziale «per la costruzione della sua soggettività» (Bracchi 2010).

Questa seconda se stessa – segnata dal talento e dalla precoce vocazione letteraria, nata- scersinella cornice pienamente. mitica, A quasi ben vedere, magica nédella poteva Sardegna essere – èdiversamente, per lei «l’altra Deledda necessaria» è ancora (Bracchi im- mersa2010), infigura una culturachiave del che paradigma ammette il autobiografico racconto della chevita le intellettuale, permette di artistica narrarsi (o e comunricono- que attinente alla sfera pubblica) delle donne soltanto se narrata in termini di anomalia, di «casi eccezionali, scelti dal fato o toccati dalla fortuna» (Heilbrun 1990 [1988]). Perciò, imponevano,con Cosima, folgorata omette lafin ‘normalità’ dalla fanciullezza della sua dal esistenza desiderio borghese, di diventare l’ordinario scrittrice, ménage disposta di a trasgredire i divieti che il suo sesso, la classe sociale e l’appartenenza geografica le Insomma, tornando al gioco di parole proposto poco sopra, potremmo dire che Deledda signora perbene, moglie di un impiegato del Ministero delle Finanze, e madre di due figli. trae ‘liberamente’ questo romanzo dalla sua biografia, declinando, lei per prima, la ricca 11 Lucia Cardone n. 8, luglio-dicembre 2016 ambiguità dell’avverbio nel senso della libertà femminile. E prolungando idealmente lo mette al mondo Fabia, per poter scrivere attraverso il cinema la vita di una donna diversa, stesso gesto, molti anni più tardi, Maria Teresa Camoglio rilancia l’intuizione deleddiana e Per la giovane autrice, migrata in Germania con una borsa di studio in regia cinematogra- imprevista e, almeno in una certa misura, per poter narrare la sua esperienza biografica. con l’isola natia. Ma anche una scoperta di sé e delle sue radici, giacché anche lei, per ri- fica, leggere e portare sullo schermo Deledda è una sorta di ritorno e di riconciliazione Berlino ho iniziato a leggere testi e romanzi sardi che conoscevo, ma non avevo letto, e che forseuscire restando a raccontare sull’isola la Sardegna, non avrei ha letto» dovuto (riportato lasciarla in e Venier guardarla 2015). da Nélontano: appare «arrivata casuale la a scelta di girare il suo primo lungometraggio in Sardegna, che rappresenta forse il tentati- vo di ricucire lo strappo con la terra madre, il trauma di un distacco non compiutamente elaborato.Quando Ricorda sono andataancora viala regista: ero appena diventata un’insegnante di ruolo all’Istituto d’Arte, avevo un posto sicuro e, nella generale opinione altrui, vivevo una tipica si- tuazione in cui tutti mi prendevano per pazza, la “folle” che lascia un destino certo per uno incerto (riportato in Venier 2015).

Così la sua Fabia nasce nella discendenza di Cosima, ed è per l’autrice l’altra necessaria, storia di una giovane donna che, suscitando scandalo, lascia la sua casa e il suo mondo per cercareuna figura di inventarsifinzionale un’esistenzacapace di innescare al di fuori il deiracconto copioni di prestabiliti. sé, di portare Anche sullo così schermo la libertà la femminile, attraverso la concretezza della relazione simbolica, compie il suo tragitto e diventa genealogia.

Bibliografia , Cosima o l’altra necessaria del paradigma autobiografico, in M. Farnetti (a cura di), Chi ha paura di Grazia Deledda? Traduzione - Ricezione - Comparazione, Albano Laziale (Roma), Iaco- C.belli Bracchi editore, 2010, pp. 145-161. , Intervista, in M. Venier, Nuovo cinema deleddiano: … con amore, Fabia di Maria Te- resa Camoglio, tesi di laurea discussa all’Università di Sassari il 27 ottobre 2015, relatrice Lucia M.T.Cardone, Camoglio correlatore Marco Manotta. , Cosima [1937], in Romanzi e novelle, a cura di N. Sapegno, Milano, Mondadori, 1971. C.G. , Scrivere la vita di una donna [1988], trad. it. di K. Bagnoli, Milano, La Tartaruga G.edizioni, Deledda 1990. Heilbrun, Onora la madre. Autorità femminile nella narrativa di Grazia Deledda, Milano, Rosen- berg & Sellier, 1998. M.G. Piano, Il dramma del Desiderio nella narrativa deleddiana, in (a cura di), Chi ha paura di Grazia Deledda?, pp. 182-192. M.G. Piano, Grazia Deledda fra Isola e mondo, in (a curaM. di), Farnetti Chi ha paura di Grazia De- ledda?, pp. 193-215. S. Sanna, ‘Personaggia, personagge’, Altre modernitàM. Farnetti, 12, novembre 2014, p. 205.

N. Setti

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 1.3. I luoghi della poesia. Antonia Pozzi nel film di Marina Spada Poesia che mi guardi di Chiara Tognolotti

Poesia che mi guardi l’interpellazione segnala la presenza forte - Subito, fino dal titolo, in di un altro – di un’altra – da sé: la poesia si staglia fuori dall’io che scrive e lo osserva, for- se complice, forse con distacco, certo da lontano: da una distanza che non si può riempire ma solo osservare. Si disegna allora un luogo: che è della mente, giacché unisce due cro- radossonologie incompatibili, temporale e avvicinano quella senza Antonia tempo alla della sua poesia poesia e quellacome anche finita loperché sguardo mortale di Marina della Spadapoeta; (ema il che nostro) si fa anchea lei. Cercherò reale nelle di immaginiesplorare delquesti film, luoghi che nel evanescenti montaggio erisolvono concretissimi il pa

Marina Spada che con generosità ha voluto condividerle. insieme attraverso alcune immagini tratte dai quaderni di lavorazione del film: ringrazio

Stanze vuote stanze vuote. Nessuna attrice le presta le proprie sembianze; la vediamo soltanto fare Nel film Antonia è soprattutto una mancanza: una voce senza corpo che si muovePoesia in che mi guardi [figg. 1 e 2] la camera passeggia lungo i corridoi vuoti e le aule spopolate e asettichecapolino qua del liceoe là dalle Manzoni fotografie frequentato e dai film da Antonia.di famiglia. Sentiamo In una sequenzache lei ha camminatocentrale di lungo

Canto della mia nuditàquei muri, guardato da quelle finestre, scritto su quelle lavagne; e che ora però non c’è più, non possiamo vederla né ascoltarla. Una voce fuori campo legge la sua : languore della mia capigliatura allaGuardami: tensione sono snella nuda. del Dall’inquieto mio piede, io sono tutta una magrezza acerba inguainata in un color d’avorio. [...] Oggi, m’inarco nuda, nel nitore del bagno bianco e m’inarcherò nuda domani sopra un letto, se qualcuno mi prenderà. E un giorno nuda, sola, stesa supina sotto troppa terra, starò, quando la morte avrà chiamato.

- da Illavora punto proprio qui è il susentimento quell’assenza della e precarietà su quel vuoto, dell’essere: evocando quando per non scrive mostrare, Antonia dicendo sente e perprefigura nascondere. nella pienezza del corpo e del desiderio il suo non essere più, e così Marina Spa Chiara Tognolotti n. 8, luglio-dicembre 2016

Luoghi nel tempo

E poi Milano [figg. 3 e 4] -

. Il film si apre con una se- matirie di dalleinquadrature architetture, fisse ledella rime città dei lombarda, colori, le oggi,geometrie vista delledall’alto: strade, piazza dei delbinari, Duomo, dei palazzi.la torre Velasca,Maria (Elena gli spazi Ghiau rit-

Antonia, trasparente alter ego di Spada) cammina per le strade,rov, nel percorre racconto le una piazze cineasta del centro, che prepara guida lungo un film i viali su della periferia alla ricerca dei luoghi di Antonia e li os- serva, dalla strada, da una casa di fronte, dall’auto, dal zona altoborghese di piazza della Conciliazione; il liceo Manzonitreno: il palazzodove studiava; di via Mascheronile periferie dovedi via abitava, dei Cinque nella- cento e piazzale Corvetto, che fotografava e frequenta- va per portare aiuto alle famiglie povere; la biblioteca braidense, dove studiava con le amiche Elvira e Lucia; le montagne di Pasturo in Valsassina, il luogo dell’anima; il prato dell’abbazia di Chiaravalle, dove passeggiava in - vorazione di Poesia che mi guardi di Marina Spada, bicicletta e dove si uccise il 2 dicembre del 1938. A vivere 2009fig. 1 Le aule del liceo Manzoni. Dai quaderni di la quegli spazi tuttavia non è Antonia, ma Maria/Marina; di lei non è quello della poeta, ma quello di un’altra che cercae lo sguardo quello diche lei dai («cerco vetri dovedella può finestra essersi osserva posato la il casa suo sguardo», recita la voce di Maria). delloCamminare spazio aperto e guardare della città nei comepanni segno di un’altra, di uscita dunque: dagli spazicome consuetise lei fosse e modalitàlì. Come se.di ribellione.Camminare: È ilappropriarsi gesto della flâneuse che non impone il suo segno a un luogo ma lo esplora con il suo passo cauto, alla ricerca di un’identità nuova, come ha notato Laura Di Bianco in un bel saggio su Spada (2013). In Poesia che mi guardi quel movimento non può che essere metaforico. Antonia si muove den- momento, con le sue parole. Il gesto degli H5N1, poeti tro la città riconfigurandone i tratti, anche se per un solo nel contagio febbrile della poesia, dissemina le parole dellaurbani poeta che affiggonocome Nebbia versi in suiForza muri, cani di (M. notte, Spada, credendo 2002) scriveva sul muro le sue poesie per riuscire a insinuarsi in uno spazio urbano e tagliarlo a sua misura; e il tram - sporta nelle strade e nell’oggi. In quest’immagine [fig. 5] chesulle percorre cui fiancate le vie sono e le inscritti piazze fendendolei versi di Antonia con il passoli tra - lieve e tagliente insieme della poesia, lo spazio diventa vorazione di Poesia che mi guardi di Marina Spada, tempo in un passaggio ardito che in qualche modo rove- 2009fig. 2 Le aule del liceo Manzoni. Dai quaderni di la

14 Poesia che mi guardi n. 8, luglio-dicembre 2016 Antonia Pozzi nel film di Marina Spada lontana. Se la protagonista di Come l’ombra (M. Spada, 2006)scia l’assenza sceglie indi unascomparire, presenza, come più forte suggeriscono proprio perché i ver-

(«Come vuole l’ombra staccarsi dal corpo/come vuole la carnesi struggenti sgravarsi di dall’anima/così Achmatova che io danno adesso il voglio titolo alessere film può esserci, non vuole essere dimenticata e torna dentro scordata»), Antonia, che non c’è più e che nel film non per le strade e contro il cielo azzurro di Milano segna un passaggiole immagini di a tempo suo modo, in cui con il passatodolce fermezza: non si appiattisce quel tram o si dissolve nel presente ma ieri si staglia dentro oggi come se la camera lo guardasse in profondità di campo, nitido in fondo all’inquadratura; ed è nel rapporto tra i - indue una fuochi genealogia dell’immagine femminile – un che io echiama, un tu – che che chiede il film trouna rispostava il suo sensoe che, comesoprattutto, filo rosso trova tra Antonia,una presenza Marina forte e noi, al poco a poco. centro dell’assenza: e il vuoto delle stanze si riempie a Poe- sia che mi guardi di Marina Spada, 2009 Discendenza femminile fig. 3 Vedute milanesi. Dai quaderni di lavorazione di

Dunque la prima relazione a due è certo quella tra -

SpadaAntonia traccia e Marina. un racconto Senza voler di sé cadere che risuona in equivalenze in quello fidi nanche banali mi pare di poter dire che in questo film- nia/Maria/Marina segnala senza indugio una vicinanza [fig.Antonia. 6] All’inizio del film la voce fuori campo di Anto non sentirmi estranea, per darmi un motivo nel mondo», : «Le mie parole sono le immagini. Immagini per- e poi, dopo una pausa: «Leggo le parole dei poeti per ca pire il mio cuore e quello degli altri»; infine, «Antonia è dellanata elacerazione vissuta a Milano, nel tempo, come che me». appare Se i brevefiltri che e che Spada tut- taviacostruisce non può nel filmessere – l’alter ricucita, ego cheMaria, la separa la coscienza da Antonia acuta come altra da sé, è proprio a partire da quest’alterità che – testimoniano la lucidità di Marina nel vedere Antonia- sta che cerca di comprendere il mondo e di trovarvi un Marina sente la vicinanza di Antonia: come lei è un’arti di Antonia segnalano la ricerca di un’identità femmini- lesuo attraverso posto e un la riconoscimento; relazione con gli i suoi altri film e le come altre le e parolecon lo spazio di una Milano rinnovata, disposta ad accogliere Poe- sia che mi guardi di Marina Spada, 2009 fig. 4 Vedute milanesi. Dai quaderni di lavorazione di figure e modalità inedite di viverla e rappresentarla. È 15 Chiara Tognolotti n. 8, luglio-dicembre 2016 alterità, ma è una relazione che affonda nel passato e sporge sul presente e che trae forza una connessione con il presente che non appiattisce né identifica sbrigativamente due tenace che le lega, in una discendenza femminile nel segno dell’arte delle donne e della necessitàproprio da del quella suo riconoscimento.distanza; Marina non è Antonia e per questo può vedere il filo tenue e

Bibliografia , Per troppa vita che ho nel sangue, Milano, Viennepierre, 2004.

(aG. Bernabòcura di), Italian Women Filmmakers and the Gendered Screen, New York, Palgrave Macmillan, 2013,L. Di Bianco pp. 121-147., ‘Women in the Deserted City: Urban Space in Marina Spada’s Cinema’, in M. Cantini , ‘Interview with Marina Spada’, ivi, pp. 237-245. , S. , Reframing : New Trends in Italian Women’s Filmmaking, West La- L. Di Bianco B. Luciano Scarparo, ‘Militanza e poesia in Poesia che mi guardi (2009) di Marina Spada’, in - fayette (IN), Purdue(a cura University di), Filmare Press, il 2013,femminismo. pp. 93-96. Studi sulle donne nel cinema e nei media, Pisa, ETS,F. Parmeggiani 2015, pp. 129-140. L. Cardo ne, S. Filippelli, ‘Marina Spada’, in (a cura di), ‘Storie in divenire. Le donne nel cinema italiano’, Quaderni del CSCI, 11, 2015, pp. 316-317. F. Parmeggiani, Parole. Tutte le poesie, a curaL. Cardone, di G. Bernabò C. Jandelli, e O. Dino, C. Milano, Tognolotti Ancora, 2015.

A. Pozzi

Poesia che mi guardi di Marina Spada, 2009 Poesia che mi guardi di16 Marina Spada, fig. 5 Il tram che attraversa la città portando le parole di Antonia. Fotogramma dal film 2009fig. 6 Dai quaderni di lavorazione di 2. Nello sguardo dell’altra Galleria | Almeno in due 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 2.1. Nada nello sguardo di Costanza Quatriglio di Stefania Rimini

Le mie madri (2003) di Nada Malanima è un libro composito, ibrido, che alterna brevi paragrafi in prosa a fitti passaggi in versi: un esperimento ben calibrato di autofiction, che siHo chiude sei anni, con ho una una rivelazione madre che pertutti certi conoscono aspetti ma spiazzante: la mia vera madre la conosco solo io, quella vive dentro di me e ha tutto quello che non ha la madre che tutti conoscono. Lei è dolce, piena di attenzioni, mi accarezza…

- mittenzeLa cantante-scrittrice affettive di un’infanzia nell’ultimo segnata capitolo dalla – che malattia non a dicaso colei dà cheil titolo con all’interagrande tenacia opera l’aveva– confessa messa l’invenzione al mondo. di In un poche doppio righe materno, emerge figura il dramma indispensabile di un’intera per vita colmare («adesso le inter che la vita ti ha rimpicciolita io ti guardo e ti odio, perché ho ancora bisogno di te»), e allo stesso tempo si rende manifesta tutta la fragilità di una appassionata donna-bambina. Si tratta di un brano cruciale per intendere il denso groviglio di sentimenti da cui scaturisce attental’immaginario e dolce biografico («che vive e dentro musicale di dell’autrice,lei attraversato da alcuni motivi cardine e dida ununa desiderio ‘ossessione’ reale, materna destinato mai a banale.diventare Il fantasmaritmo, grido, di una silenzio. madre E finalmentedi nuovo letteratura. presente, Nel 2008 Nada pubblica, infatti, Il mio cuore») non umano è una, unfinzione romanzo letteraria in cui quelma la cupo proiezione grumo di illusioni e strappi condensato ne Le mie madri si scioglie in racconto, distillando fatti, memorie, occasioni di una fanciullezza a suo modo felice, prima del brusco ingresso nel mondo dello spettacolo. La storia si arresta lungo i binari del treno che porta Nada a Roma, in vista dell’audizione che avrebbe invertito il senso di marcia della sua esistenza; i lampi abbaglianti dei fotografi, gli studi televisivi, il profumo di celebrità della kermesse semplicesanremese e avvolgente,sono ancora sa lontani: di terra contano e pianto, solo a trattii battiti può di sembrare una famiglia scoperto un po’ ma sghemba, conserva le fibrillazioni di una bambina a cui basterebbe qualche carezza in più. Lo stile di Nada è Lo sa bene Costanza Quatriglio che, dopo aver letto il romanzo, convince Nada a su- una fibra autenticamente poetica, che incanta e commuove. - lo schermo. L’esito di questo incrocio di sguardi è un documentario vibrante e per certi aspettiperare laanomalo, ritrosia capace nei confronti di creare della un macchinasottile equilibrio da presa fra per testimonianza raccontarsi senzadi sé, materialifiltri sul di archivio e strategie retoriche. Per riuscire a toccare il ‘cuore umano’ di Nada, Quatriglio mette in campo la consueta attenzione verso i mondi che circondano i soggetti che sceglie re la voce di Nada nel vento, nella quiete della campagna, nel suono delle sirene delle navi al porto di » (Quatriglio, Note di regia, di rappresentare: da qui l’idea di «immerge - te2009). a due I luoghiocchi che della sanno memoria capire. diventano Se le immagini soglia edi cornice, repertorio riflettono «tessono umori, la trama stati della d’animo, gio- abitudini e infine si fanno specchio di parole che contano, pronunciate (e cantate) di fron attento e divertito» (Quatriglio, Note di regia, 2009). vinezza di Nada», «il ritratto della sua maturità artistica e umana è affidato ad un ascolto 18 Stefania Rimini n. 8, luglio-dicembre 2016 non c’è tanto l’immagine pubblica della protagonista, ma il tentativoFin dalle diprime porre scene in primo del film piano si intuisce il suo essere che in donna, gioco le cicatrici di una storia personale travagliata e autentica che solo una regista sensibile e complice poteva maieuti- - ri, Nada si ritrova dentro l’obiettivo di Quatriglio a fare icamente conti con ‘dare il proprio alla luce’. pudore, Pur essendo a consegnare abituata senza ai rifletto riser- ve il proprio vissuto (in una delle sequenze di tanto ‘cinema materno’ la cantante piange in close-up mentre racconta la malattia della madre) e questopiù toccanti acca- de perché fra loro avviene «un mutuo riconoscimento» (Quatriglio, Intervista alla Rai, 2009). La temperatura emotiva della relazione tra Costan- za Quatriglio e Nada si misura innanzitutto dalle loro di controcanto gioioso, vitale. Intervistata dalla Rai in Il mio cuore umano di dichiarazioni, che aggiungono al testo filmico una sorta Costanza Quatriglio, 2009 occasione della messa in onda del documentario, Quatri- fig. 1 Nada e Costanza sul set de abitato il set, tra risate e commozione, e poi con un tocco glio sottolinea la fiducia con cui la ‘sua personaggia’ ha sua reazione di fronte alle sequenze girate. Nada appare di tenerezza sorniona definisce «dolcemente infantile» la con la regista, le sue note a margine ci offrono una delle ancora più diretta nel definire le coordinate del rapporto- tera Galleria. chiavi di lettura più vere – rispetto anche al tema dell’in Nada, lei odia nostalgia e celebrazioni. E ora è protagonista di un documentario? Il mio cuore umano di «Quando Costanza mi ha parlato di questa idea Costanza Quatriglio, 2009 rimasi perplessa. Di solito il documentario è fig. 2 Nada e Costanza sul set de

poi non amo parlare del mio passato, soprattut- qualcosa di autocelebrativo, da fine carriera. E- bilmente proiettata in avanti. Avevo detto di no, ancheto quello se l’incontro lavorativo: con io lei sono mi sempreaveva colpito. e inevita Era impazzita per il mio libro, non era un interesse

quel volume parlava di una parte della mia vita precedentesuperficiale, alla ma fama, vero, la riflessivomia vita di eGabbro, profondo. la mia E storia vera, quello che sono. Lei voleva raccontare una persona umana che ha avuto la fortuna e il destino di fare un lavoro particolare».

Il mio cuore umano di Costanza Quatriglio, 2009 fig. 3 Nada e Costanza sul set de

19 Nada nello sguardo di Costanza Quatriglio n. 8, luglio-dicembre 2016

Un amore a prima vista

«Parlando con lei sentivo tutto così vero, era come farlo con un’amica, una sorella. Capiva la mia storia, tutto quello che mi era successo, cosa sono diventata. Intuiva la mia vita intima, i miei sentimenti, le svolte che mi hanno segnato. Per questo mi sono lasciata guidare da lei, dalla sua delicatezza, pulizia, profondità. Doti preziose, so-

trovarle». (Sollazzo 2009) prattutto al giorno d’oggi, perché nel mio ambiente e nel mio lavoro è molto difficile Questa complicità si respira già nel backstage, come si intuisce dai pochi scatti che [figg. 1 e 2] quel senso di empatia che ha segnato il lavoro di produzione. Nada e Costanza ‘sfogliano’ descrivono le diverse fasi di ripresa: due immagini, più di altre, richiamano una serie di fotografie da inserire nella colonna visiva del film; i loro corpi, le loro mani sorriso)sembrano e la toccarsi, rigorosa ma concentrazione quel che più colpisce dello sguardo. è la densità Siamo dei ancora loro volti, ai bordi la lieve del oscillazioneracconto, in – nel passaggio dalla prima alla seconda – fra una piega delle labbra (più di un accenno di i margini del campo, proiettando dentro l’inquadratura il riverbero di gesti, piani e frasi fuoriquello copione. spazio di confine fra realtà e finzione che spesso, nelle opere di Quatriglio, invade - mento fra tempi e luoghi diversi ma soprattutto poggia saldamente su un’idea di cine- maLa come costruzione apertura, drammaturgica come «soglia» dei(è utilesuoi filma tal prevede proposito del l’articolo resto quasi della sempre stessa lo Quatri slitta- glio intitolato Oltre la soglia. La nuova radice del cinema documentario italiano). Si pensi all’andirivieni fra parole e immagini di Terramatta, oppure alla congiunzione analogica fra presente e passato in Triangle (2014), o ancora al cortocircuito straziante fra potere e sorveglianza in 87 ore (2015). Il mio cuore umano e, insieme, alla sottile vibrazione di rime visuali e sonore che fanno sì che tutto scorra al si affida invece alla poesia del paesaggio [fig. 3] che consente a Nada di sporgersi verso l’orizzon- ritmo dei battiti di Nada. Tra le ‘figure di varco’ più ricorrenti mi pare sia significativa la presenza di una grande finestra metaforica.te del paesaggio e agli spettatori di cogliere la sottile osmosi fra dentro e fuori: il vetro è materialeAl di là di trasparente, facili rimandi che all’estetica filtra e protegge, baziniana, offrendosi che probabilmente a molteplici hanno effetti nutrito di rifrazione la for- - faremazione con l’interpretazionedella regista, quel e conche lapiù scelta conta del è puntoche nel di suo vista, ‘cinema quello dell’attenzione’ attraverso cui ognila «resti cosa hatuzione valore è perchéqualcosa fa diparte più didel un risultato disegno di organico, un procedimento coerente, didi bellezzaanalisi e e sintesi; necessità». ha a Nonche è certo un caso, allora, che Nada canti in Come faceva freddo

«le finestre non sono tutte uguali»: neanche i film lo sono, soltanto alcuni portano con sé la grazia di una carezza. Bibliografia a cura di), - no’, Quaderni del CSCI, 11, 2015. L. Cardone, C., LeJandelli, mie madri C. Tognolotti, Roma, Fazi Editore,( 2003.‘Storie in divenire: le donne del cinema italia , Il mio cuore umano, Roma, Fazi Editore, 2008. N. MalanimaIl mio cuore umano’ di C. Quatriglio, Sentieri selvaggi, 23 febbraio 2010, < www.sentieriselvaggi.it/doc-il-mio-cuore-umano-di-c-quatriglio/N. Malanima F. Proietti, ‘ ht t p:// > [accessed 31 July 2016] 20 Stefania Rimini n. 8, luglio-dicembre 2016

Note di regia, 2009. Videointervista alla Rai, < - C.tentItem-0915f513-0848-4d4b-aee6-a2f26876c34b.html Quatriglio, C. Quatriglio,, ‘Oltre la soglia. La nuova radicehttp://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/Con del cinema documentario italiano’, Arabeschi, < > [accessed 31 July 2016] > C. Quatriglio http://www.arabeschi.it/oltre-la-soglia-la-nuova-radice-del-cinema-documentario-italiano-/ioacqua&sapone, 8 ottobre 2009. [accessed 31 July 2016] B. Sollazzo, ‘Nada Malanima: il piacere di essere libera’,

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 2.2. Trasformiste ed eclettiche. Il percorso artistico di Gabriella Rosaleva e Daniela Morelli di Luisa Cutzu

Riconduci i tuoi modelli alle tue regole: esse ti lasceranno agire in loro e tu li lascerai agire in te. Robert Bresson, Note sul cinematografo

1979. Gabriella Rosaleva lascia la scuola di cinema e decide di acquistare una Super8. Comincia a girare piccoli lavori. La svolta arriva l’anno successivo, nel 1980, quando si Cornelia, L’isola Virginia, La borsetta scarlatta [fig. 1]. proponeDaniela di Morelli realizzare nasce tre a cortometraggi:Varese, stessa città di Gabriella Rosaleva. Studia recitazione alla Scuola del Piccolo Teatro a Milano, fondata da Paolo Grassi, dal 1972 al 1974. Nel 1980 viene contattata dalla regista che le propone il ruolo di protagonista per tutte e tre le pellicole [fig. 2]. Tra Rosaleva e Morelli nasce un sodalizio artistico che perdura negli anni e che porterà le due donne a collaborare in numerose e fruttuose occasioni. Rosaleva rimane colpita da alla folta chioma rossa, l’eleganza dei modi; il fascino che Morelli sprigiona convince la re- gistadiverse a sceglierla caratteristiche come protagonista di Daniela Morelli: assoluta quell’aria dei suoi primiun po’ lavori. irlandese «La miache primaemana trilogia grazie - tervista che mi ha concesso, quando le chiedo di raccontarmi gli inizi del loro rapporto. l’hoDaniela fatta con Morelli lei. I mieidimostra lavori da più subito importanti una grande li ho fatti sensibilità con lei», e affermauna spiccata Rosaleva capacità nell’in di adattarsi e trasformarsi. «È una che si trasforma completamente. Questa sua capacità di cambiare mi ha colpita positivamente», sottolinea ancora la regista. Ne La borsetta scar- latta interpreta una donna borghese sospettata di aver ucciso il marito; in Cornelia è una donna semplice che sta scrivendo una lettera a sua sorella, dove le racconta di quanto stia L’isola Virginia, invece, veste i panni di una poeta che ripercorre i ricordi della sua infanzia. bene,«Già ma dai nel corti finale lei si mi butta ha dimostrato dalla finestra. la sua Ne capacità di calarsi in tutti i ruoli che io le proponevo», riconosce l’autrice. Grazie al successo della sua trilogia in Super8, Rosaleva, - Processo a Caterina Ross (1982) [fig. 3]. Il mediometraggio racconta la storia di alcuniCaterina anni Ross, dopo, contadina non ha dubbi di umili nello origini, scegliere processata Morelli e come condannata protagonista a morte del per suo stregone film suc- cessivo:ria fra il 20 gennaio e il 7 marzo 1697. riceve una menzione speciale da parte della giuria. L’interpretazione di Daniela Morelli è Il film viene presentato al Festival di Locarno, dove riesce a far trasparire la sofferenza di una donna sottoposta a estenuanti interrogatori e magistrale: con la sua presenza scenica, la mimica facciale e i movimenti lenti del corpo, quellostrazianti di noi torture. spettatori, Non vediamo chiamandoci mai esplicitamente in causa e, in laqualche violenza modo, inflitta, affermando non vediamo la nostra altro che la figura di Caterina Ross/Daniela Morelli e il suo sguardo, che spesso si incrocia[fig. con 4]. - corresponsabilità, come segnala Lorenzo Cuccu nel suo testo dedicato al film (2002) 22La loro ormai consolidata amicizia e la loro affinità artistica prosegue. Nel 1985 Ga Luisa Cutzu n. 8, luglio-dicembre 2016 briella Rosaleva sceglie di mettere in scena Sonata a Kreutzer, pellicola basata sull’omonimo romanzo di Tol- stoj [fig. 5]

Nella Sonata. Oggi ricordaa Kreutzer così ho questo scelto lei lavoro: [Morelli] no-

giovane. Io ho volutamente scelto lei. Conosce- vonostante già il suo la moglie modo didel lavorare romanzo e ditra Tolstoj noi c’era sia unapiù grande intesa. Un regista ha il suo attore, la sua attrice. Lei era la mia attrice.

L’autrice non esita un momento, a distanza di anni, nel

fig. 1 Gabriela Rosaleva - definireto la massima Morelli espressione ‘la mia attrice’. nel loro Perché sodalizio è di questo artistico. che si tratta:Oltre di al un’intesa cinema, che nonle ha si viste è mai impegnate esaurita e perche diversoha avu tempo, Rosaleva e Morelli hanno lavorato anche a tea- tro mettendo in scena il Mine-Haha di Frank Wedekind, spettacolo presentato al Festival delle Ville Tuscolane nel 1992. Nonostante fosse un’opera teatrale, e quindi l’ap- proccio alla regia e alla recitazione fosse diverso rispet- insieme, quei tratti distintivi del lavoro delle due donne to al cinema che fino a quel momento avevano realizzato Processo a Caterina Ross Successivamente le due artiste hanno percorso strade fig. 2 Gabriella Rosaleva e Daniela Morelli sul set di si sono ripresentati anche fuori dal set cinematografico. teatro e ora scrive libri per bambini; Gabriella Rosaleva diverse: Daniela Morelli ha continuato a lavorare per il ha girato nuovi documentari e film per la televisione fino- corsoalla fine quasi degli per anni intero Novanta. il cinema di Rosaleva, ma nello La scenografia scarna è una caratteristica che ha per- vori con Daniela Morelli. Quasi come se il corpo dell’at- specifico pare essersi resa ancora più essenziale nei la

Processo a Caterina trice fosse sufficiente a colmare quel vuoto lasciato- Ross di Gabriella Rosaleva, 1982 to.sulla Non scena. deve Rosaleva esserci «nulla sceglie di spessotroppo, di nulla togliere: che manchi», elimina fig. 3 Daniela Morelli nel film perfronzoli, dirlo parolecon le parole superflue, di Robert musiche Bresson di accompagnamen (1986). L’equili- brio rosaleviano è dato dall’assenza che riempie. Come la morte, che non ci viene mai concesso di vedere davvero eppure si intuisce in Cornelia grazie al vuoto della stan- Processo ci viene invece narrata da una donna estranea ai fatti che, successivamente,za e all’inquadratura esce sulla di scena. finestra Quello aperta; che inrimane a noi, pubblico che osserva, per dirla con le parole di Giuliana Bruno, è la possibilità di «cibarci degli avanzi della sto- ria» ed «esplorare lo spazio che [i personaggi] hanno at- Processo a Caterina Ross traversato e in cui hanno vissuto». di Gabriella Rosaleva, 1982 fig. 4 Daniela Morelli nel film

23 Trsformiste ed eclettiche n. 8, luglio-dicembre 2016

Oggi, dopo molti anni, ho domandato a entrambe se e in quale misura il loro rapporto che la crescita maggiore stia soprattutto nella fortuna di aver trovato un’attrice con cui poterle abbia instaurare aiutate a realizzarsiuna particolare artisticamente. sintonia; Morelli, Ricevo rispostedal canto molto suo, riconoscesimili: Rosaleva l’importan sente- za del lavoro svolto con l’autrice, in particolar modo a partire da Caterina Ross: è infatti grazie a questa pellicola che ha compreso quali siano le responsabilità di un attore nel momento in cui, attraverso il corpo e i movimenti, dà forma a un pensiero.

Bibliografia , Note sul cinematografo [1975], trad. it. di G. Bompiani, Venezia, Marsilio, 1986. , Atlante delle emozioni. In viaggio tra arte, architettura e cinema [2002], trad. it. di M. R. Bresson G. Bruno (a cura di), Filmare il femminismo. Studi sulle donne nel cinema e nei mediaNadotti,, Pisa, Monza, Edizioni Johan ETS, & Levi, 2015. 2015. L. Cardone,, ‘Il processo S. Filippelli a Caterina Ross’, in (a cura di), Incanti e sortilegi. Stre- ghe nella storia e nel cinema, Pisa, Edizioni ETS, 2002, pp. 185-194. L. Cuccu , Essere due, Torino, Bollati Boringhieri,C. Laura, 1994.C. Dinora , La signora del gioco. Episodi della caccia alle streghe, Milano, Feltrinelli, 1976. L. Irigaray , Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici, Roma-Bari, Laterza, 2014. L. Muraro, Sonata a Kreutzer [1889], trad. it. di G. Pacini, Milano, Feltrinelli, 1991. V. Pravadelli L. Tolstoj

24 Sonata a Kreutzer di Gabriella Rosaleva, 1985

fig. 5 Daniela Morelli nel film 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 2.3. Anna Magnani e Giulietta Masina, la vecchia e la nuova generazione sul set di Cristina Colet

mentreUna foto Masina, in bianco in un enervoso nero dell’archivio sorriso che Getty cela imbarazzo, immortala rifuggela ‘leonessa’ lo sguardo Anna Magnanidiretto della che solleva il braccio della collega Giulietta Masina, sguardo fiero e fisso quello di Magnani, Castellani Nella città l’inferno, che vede le due attrici protagoniste nei ruoli di Egle (Anna Magnani)collega, preferendo e di Lina guardare(Giulietta verso Masina) il fuori e che campo. racconta È il 1958,il dramma il set quello ambientato del film nel di carcere Renato femminile di via delle Mantellate. E l’inferno su quel set parve scatenarsi per davvero, a causa dei dissapori tra le due prime donne [fig. 1]. Secondo la testimonianza di Masina, fu lei stessa a segnalare Magnani per il ruolo di Egle, mossa che, di fatto, la adombrerà a causa del temperamento di quest’ultima che ‘di- vorava’ il set con una recitazione coinvolgente e la capacità di rendere ‘vivi’ i personaggi:- neggiatura fosse stata cambiata imperniandosi su due personaggi principali, il mio Io dovevo essere la protagonista, ma quando Anna entrò nel film pensai che la sce quasi del tutto dal secondo tempo, estromessa da parte della vicenda. Quello non è e il suo. Alla fine fui quasi spazzata via: ridotte drasticamente le battute, cancellata

un film di Castellani, è un film della Magnani. negli Stati Uniti qualche anno addietro, Magnani stava girando La Rosa Tatuata (D. Mann, 1955),Come mentre rammenta Masina la erastessa lì per Masina ritirare in l’Oscar più occasioni, per La Strada le due (F. attrici Fellini, si 1954).erano Inincontrate quell’oc- casione, pare un po’ per scherzo, Magnani suggerì a Masina di chiedere a Fellini di scrive-

Castellani propose a Masina di lavorare al nuovo progetto Nella città l’inferno che, ripen- re un film per loro, ma il progetto non si realizzò mai. È solo qualche anno dopo, quando delle Mantellate (riprendendo il testo scritto da Isa Mari nel 1953) e, per questo motivo, persando esigenza a quell’incontro, del regista fece e della il suo sceneggiatrice nome. Il film Suso racconta Cecchi la D’Amico, vicenda doveva delle recluse essere diinter via- pretato da carcerate autentiche. Solo per i ruoli di Lina e di Egle la scelta era ricaduta su attrici professioniste. Dapprima per il ruolo di Egle si era pensato a ma, dato l’alto cachet richiesto dal marito Dino De Laurentis, l’idea sfumò. - di Egle,Castellani ma che riferendosi lui stesso aebbe Magnani non pochi disse problemi che «era entrataa gestire nel l’esuberanza film con la voracitàdell’attrice. di un Sulla le one» e che per lei sarebbero stati accorpati insieme più personaggi per farne uscire quello Masina non è di poco conto il ruolo giocato da Suso Cecchi D’Amico, amica intima di Anna Magnaniquestione che della con scrittura lei aveva e già del collaborato conseguente in diverseridimensionamento occasioni e che della sul figura set fungerà di Giulietta anche

Anna Magnani era abituata a calarsi nei personaggi senza intromissioni esterne, come, da paciere, intervenendo più volte, affinché l’amica potesse recitare secondo i suoi canoni. certa resistenza da parte dell’attrice. Il personaggio di Egle era stato cucito su misura per leiinvece, da Suso aveva Cecchi tentato D’Amico, di fare che il regista non solo Renato era ricorsa Castellani, a una incontrando gamma gestuale fin da e subito posturale una tipica dei personaggi di Magnani, ma aveva utilizzato anche lo stile delle sue battute: «Un 25 Cristina Colet n. 8, luglio-dicembre 2016 personaggio che non amo non posso interpretarlo» sole- va dire Magnani ed è per questo motivo che Egle risulta autentica, pronta a sciorinare frasi frutto dell’esperienza di vita e dell’arte dell’arrangiarsi, come quando in aper- tura delIo, filmeh, io si la rivolge prima all’ingenuavolta che sono Lina venuta confessando: qua la

era. Minorenni, politiche, mignotte, tutte insieme comeguerra un era bel finita minestrone. da poco. Eh, Non ma te alo casa dico mia che se robba sta- va peggio. Eh, chi l’aveva mai visto un letto tutto pe’ sé, da magna’ tutti i giorni. A me la voglia de sta’ meglio m’è venuta qua dentro, me devi crede’ - […] ma perché qui (intendendo il carcere) non è fig. 1 Anna Magnani e Giulietta Masina po sano per i fotografi signore de tutti, no? […] Magni, bevi, e non paghi lecasa tasse. de’ signori? Questa è casa del governo, è più

In questo dialogo emerge la grande esperienza d’attri- ce di Magnani, in grado di padroneggiare il personaggio, di arricchirlo con una serie di sfumature e di accenti che la faranno predominare sulla scena. Se Anna Magnani, infatti, lascia emergere tutta la sua forza e veracità, Giu- lietta Masina, dal canto suo, dapprima ne subisce il fasci- no – dirà in un’intervista che ammirava Magnani per la scherzano davanti agli obiettivi dei foto- sua capacità di essere un tutt’uno con lo schermo – per poi- fig. 2 Anna Magnani e Giulietta Masina finire nettamente in un angolo quando, a circa mezz’ora le diverse. In una successiva intervista rilasciata dopo la grafi dall’inizio del film, Lina ed Egle vengono separate in cel qualcosa di cupo al quale soccombevo […] è stata per me, morte di Magnani, ricorderà: «[…] aleggiava intorno a lei riscontravo un occulto richiamo, il punto d’incontro tra fin dalla giovinezza, un gusto fisico… nel suo carattere, Ed è ancora Masina a menzionare l’episodio che portò allatemperamenti loro rottura affini». sul set, mutando l’intesa che si era crea- ta in dissapore e costringendole a recitare separatamen- te pur di concludere le riprese. «Mentre giravamo, L’Eu- Masina sul set de Nella città l’inferno di Re- ropeo pubblicò un articolo intitolato “Magnani e Masina natofig. 3 Castellani,Anna Magnani, 1958 Perry Como e Giulietta sul set, la vecchia e la nuova generazione insieme”. Apri- belva. Mi accusava di aver ispirato quell’articolo. Non mi ti cielo! Successe il finimondo. Anna s’infuriò come[fig. una 2]. - rivolgevaci, troppi perpiù laMagnani parola. cheIl set sembrava divenne unmolto inferno» sensibile alla questioneTredici annidell’‘età’. separavano Già dai tempi anagraficamente di Roma città le aperta due attri (R. Rossellini, 1945) l’attrice aveva polemizzato sul fatto che nel cinema italiano mancavano totalmente ruoli femmi-

26

fig. 4 Giulietta Masina, Tennessee Williams e Anna Magnani: pace fatta? Anna Magnani e Giulietta Masina n. 8, luglio-dicembre 2016 nili che ritraessero «una donna qualunque, che non sia bella, non sia giovane»; solo due anni dopo l’uscita de Nella città l’inferno La ciociara - , Magnani rifiuterà di interpretare (Vittoriointenzionata De Sica,a cedere 1960) il testimoneper non dovere alla nuova fare dagenerazione. madre a Sofia Loren (a cui in origine sa rebbeEcco spettato allora che il ruolo Magnani della utilizzò figlia adolescente), l’ira scaturita ribadendo dall’alterco ancora con unaMasina volta per di conferirenon essere a

Lina e di fatto ‘sbranandola’, come ribadito da Masolino D’Amico. Giulietta Masina ricor- Egle maggiore autenticità in uno dei passaggi finali del film, offuscando il personaggio di da che, quando Lina torna in carcere non più come l’ingenua ragazza di servizio che era all’inizio, ma come una consumata donna di vizio che ha interiorizzato fin troppo bene la lezione della veterana Egle: un vestito nero, con una scollatura a forma di cuore. Anna dapprima mi schiaffeggia …c’era una scena in cui Anna doveva picchiarmi, per finta, ovviamente. Io indossavo

con violenza, poi afferra il mio vestito per la scollatura e me lo strappa di dosso fino a lasciarmi nuda. Perfino le recluse vere ne restarono allibite. Anna Magnani, che nelle settimane precedenti aveva dato segni di poter fare esplodere campi e controcampi pur di non farle recitare insieme, quel giorno arrivò sul set di buo- numore,il conflitto, senza come lasciare in effetti presagire accadrà, quanto tanto dadi costringerelì a poco sarebbe Castellani accaduto. a ricorrere La sequenza a continui fu rigirata in seguito proprio per via di quel nudo imprevisto, il vestito da nero divenne color crema, come appare nella versione tuttora in circolazione, e le voci sulla presunta rivalità messe a tacere [fig. 3]. Per i giornali è il match Magnani/ Masina a dominare sullo schermo, ne parlerà Filippo Sacchi su Epoca

Se Anna Magnani dell’8 dominafebbraio da 1958, sola tutta chiosando: la seconda parte della vicenda, Masina ha pre- cedentemente tutto il tempo di portare avanti una di quelle sue ineffabili creature

disarmate ed infantili, esitanti ai confini dell’irreale. Ma c’è un altro vincitore ed è Renato Castellani. Perché due grandi attrici presuppongono un grande film e questo Aggiungiamoè un grande chefilm. di vincitrice ce n’è almeno una quarta, Suso Cecchi D’Amico, che, at- traverso il lavoro di scrittura, ha saputo valorizzare la grandezza di Magnani mediante un ventaglio di gesti e battute caratterizzanti, dando al contempo voce alle altre recluse. vociLe di foto, corridoio, realizzate prova sul ne set è ela conservate didascalia d’accompagnamentodall’archivio Getty che su ritraggono L’Espresso delle due 7 settem attrici- fianco a fianco, vanno lette come un tentativo da parte di entrambe di mettere a tacere le piuttosto burrascosi dei primi giorni di lavorazione». breI 1958:rapporti «Le tra due Magnani attrici […]e Masina vanno siadesso raffreddarono perfettamente inevitabilmente d’accordo, ma,malgrado con l’uscita gli inizi di Giulietta degli spiriti (F. Fellini, 1965), fu proprio Magnani a cercare Masina per compli- - sivo e imprevedibile, seppe riconoscere le grandi capacità della collega e ci tenne a dir- mentarsi per la sua interpretazione. Magnani, nota ai più per il suo temperamento esplo [fig. 4]. glielo personalmente mettendo fine ai vecchi dissapori, anche se le occasioni per tornare a lavorare insieme non si presentarono più 27 Cristina Colet n. 8, luglio-dicembre 2016

Bibliografia , Anna Magnani. Il romanzo di una vita, Milano, Rizzoli, 1982. , Gelsomina, Giulietta Masina racconta, Roma, Il Calamo, 2001. P. Carrano , Nella città l’inferno Mantova,C. Costantini Circolo del cinema, 2003. S. Cecchi D’Amico, Persone speciali, Palermo,, Sellerio,sceneggiatura 2012. originale dell’omonimo film di R. Castellani, , Anna Magnani. Lo spettacolo della vita, Roma, Bulzoni, 2005. M. D’Amico , Anna Magnani, Roma, Gremese, 2001. M. Hochkofler, Renato Castellani, Firenze, Il Castoro cinema/La Nuova Italia, 1984. M. Hochkofler, Epoca Anna Magnani, , p. 120). S. Trassati La cosa vista, III, 5, 1987,F. Sacchi pp. 45-48., 8 febbraio 1958 (riportato in M. Hochkofler, M. Balducci, ‘La figura femminile nella produzioneNella di Suso città Cecchi l’inferno D’Amico’,’ in - (a cura di), Il cinema di Renato Castellani, Carocci, Roma, 2015, p. 189-198. M. Pierini, ‘Idioma e idioletto: Magnani e Masina in G. Carluccio, L. Mala vasi, F. Villa

28 3. Genealogie in divenire Galleria | Almeno in due 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 3.1. Dialoghi fra donne davanti e dietro la macchina da presa di Micaela Veronesi

Nel cinema italiano contemporaneo sta manifestandosi un fenomeno inatteso, che - so le immagini. come un filo sottile ma tenace sta portando alla luce un nuovo modo di narrare attraver- zionale proponendo storie diverse, e personaggi, maschili e femminili, fuori dal canone. OperandoNuove registe un superamento e nuove attrici degli stereotipi,hanno iniziato non solo a popolare relativi laalla scena sfera cinematografica femminile, tendono na matrimonioa modificare e drasticamente la procreazione. quella sorta di sovrastruttura narrativa che è stata per secoli il racconto unico di tutte le vite: l’amoreOssidiana eterosessuale, (2007) di e Silvana la sua realizzazione Maja, Nina (2013) attraverso di Elisa il Fuksas, Miele (2013) di , Vergine giurata MarinaLe opere Spada, sono di Alicemolte Rohrwacher, e differenti: di Giorgia Cecere e di Donatella Maiorca, per fare una rapida e sommaria carrellata. (2015) di Laura Bispuri, i film di vista della messa in scena sia da quello del lavoro attoriale, parrebbe che le donne dietro e davantiSe analizziamo alla macchina e confrontiamo da presa stiano i plot cercando di questi difilm scardinare e le scelte quello registiche, che Paul sia dal B. Preciado punto di immaginariodefinisce «l’impero [figg. 1della e 2] .normalità», ovvero quell’universo di storie prevedibili dove le personagge possono essere solo madri e mogli, a favore di narrazioni più aderenti al loro

Donne, dialoghi

Che cosa faranno dunque le donne, quando si trovano fra di loro? Virginia Woolf, Orlando, 1993 (1928)

Giocando con il cliché che vorrebbe le donne incapaci di relazionarsi fra di loro, in Or- lando Virginia Woolf si chiede cosa possano fare le donne quando si trovano insieme se, come asseriscono molti uomini, le donne non hanno nulla da dirsi e, oltretutto, si odiano cordialmente a vicenda. Ma questo, cito ancora parafrasando il testo di Woolf, è ciò che pensano per l’appunto gli uomini, anche perché, come ci fa notare la scrittrice, le donne tra di loro si divertono talmente che hanno ben cura di non farlo sapere a nessuno. Le nostre registe stanno quindi aprendo il sipario su un segreto ben custodito da seco- li. Uno dei molti saperi femminili che le donne hanno forse dovuto nascondere per evitare - ne, anche molto complessa della vita e della morte. Due aspetti fondanti che da sempre ledi passaredonne, volendo per delle o cospiratrici:no, devono amministrare, la loro capacità attraverso di confronto la maternità,e di dialogo la su cura ogni dei questio corpi altrui e loro, e la gestione dei riti funebri. - taneità con cui gli argomenti sono trattati, la leggerezza, intesa come soavità e non certo Nei numerosi dialoghi fra donne presenti nei film di cui ci occuperemo, emerge la spon 30 Micaela Veronesi n. 8, luglio-dicembre 2016

Ma il dialogo non avviene solo sullo schermo fra personagge. È dialogo anche quello checome le superficialità,registe attuano il saperfra loro, andare con le dritte loro collaboratrici,al nocciolo delle con questioni. i loro riferimenti culturali e, soprattutto, con le stesse attrici che lavorano per loro [fig. 3].

Davanti la mdp

Orlando se la godeva un mondo in compagnia delle donne Virginia Woolf, Orlando

Le donne stanno bene insieme. Alcune lo sanno da sempre, altre lo scoprono nel corso della loro esistenza, qualcuna purtroppo non avrà mai modo di sperimentarlo. Accade così, perché le donne hanno bisogno di dialogare con chi le può capire. Tuttavia non è sempre facile, soprat- Viola di mare, 2009 tutto dove la cultura patriarcale ha isolato per secoli le donne dal loro sesso. fig. 1 Donatella Maiorca sul set di unaLuce donna, Irigaray ed essere ci guida a nostra nel dare volta nome capaci a questo di generare, mistero ci inesplorato della relazione fra donne: l’essere generate da rende più capaci di relazionarci con il nostro stesso sesso, insegnama allo stessoche per tempo costituire anche la più propria vulnerabili. soggettività occorre Ossidiana di Silvana Maja, uscireIn ‘Avvicinarsi da un rapporto all’altro esclusivo come conaltro’ la (1997)madre eIrigaray «scoprire ci 2007 una relazione con un altro diverso da sé rimanendo pure fig. 2 Silvana Maja sul set di - fa della differenza, credo però che le donne non abbiano tantose stessa». bisogno Contrariamente dell’altro inteso a quanto come soggetto sostiene lamaschile filoso per costruire la propria soggettività, ma piuttosto di uno specchio che rimandi loro un’immagine alternativa del sé, come può accadere con l’amica. Ognuna di noi ha avuto questa esperienza di proiezione fuori e verso di sé. Il fa- scino di un’altra donna nella quale ci siamo riconosciute, - na Maja, 2007 lo scoprirsi uguali ma diverse, con la propria soggettività. fig. 3 Teresa Saponangelo sul set di Ossidiana di Silva le donne sanno parlarsi, stanno bene insieme, creano re- lazioniNei dialoghi intime, forti,presi profonde.in esame accade Escono qualcosa quindi allo di speciale: scoper- livello narrativo, ma anche nella sostanza, il nostro imma- ginario.to, finalmente Inventano libere un di nuovo esprimersi, spazio e narrativo. rinnovano non solo a

Vergine giurata di Laura Bispuri, 2015 fig 4 Una scena di 31 Dialoghi fra donne n. 8, luglio-dicembre 2016

Libere di non essere per forza qualcosa, Vergine giu- rata fra le protagoniste. Ne analizzo due, che corrispondono Il film di Laura Bispuri è ricco di momenti di dialogo - al graduale ritorno di Mark in Hana e nellaAll’inizio, sua lei finale era ricomposizione come un tutto, indefinito, mobile, mol- sereteplice, libera che di – «nonsono essereparole per di Irigarayforza qualcosa». in Quest’ulti- ma– «raccoglie frase è il infulcro sé gli del opposti», dialogo esull’essere accetta finalmente libere fra diHana es sveglia e intraprendente, atleta di nuoto sincronizzato, Ionida(la vergine coglie giurata) in Hana/Mark e la figlia tutta di Lila, la forza Ionida; e la ragazzina debolez- Come l’ombra di Marina Spa- da, 2006 za che la caratterizzano. Il secondo dialogo avviene tra fig. 5 Il dialogo tra sorelle Hana/Mark e Lila, la sorella per elezione (elemento che - prio questo dei legami trasversali, della sorellanza al di làritorna delle parentelenei film delle di sangue). registe Esteriormente che sto analizzando Hana è è anco pro- ra Mark, ma sente un vuoto, sente il pericolo dell’essere niente; e allora interroga Lila sul sesso. «Com’è il sesso?», chiede. E Lila risponde che la prima volta è come il rakì, brucia e non capisci niente, poi, anche se ci sono volte in cui capisci che era meglio quando non capivi, quando funziona è come una cosa che avvolge e completa. Viola di mare, il paesaggio ingloba le protagoni- ste Questo dialogo riesce a cogliere un aspetto fondante fig. 6 sesso non è mai scontato, non è mai facile, ma quando lo sidella prova, nostra è totalizzante complessità: [fig. per 4] . una donna, il piacere del

Nessuno si accorgerebbe che ci siamo, Come l’ombra

Come l’ombra (2006), as- sistiamo a un dialogo fra sorelle sulla banchina di una Il mio domani di Marina Spada, stazioneNel film dell’hinterland di Marina Spada, milanese. Mentre una si lamen- 2011 ta della desolante mancanza di vita, paragonando quel fig. 7 in non-luogo a Marte, la protagonista, Claudia, ribatte che anche se fossero su Marte nessuno si accorgerebbe di loro. Si innesca così un breve dialogo sugli uomini che potrebbero entrare a far parte delle loro vite. In poche ansie e le loro attese, senza falsi miti, e soprattutto senza parlareparole le di due principi donne azzurri. riescono L’ansia a dirsi è –che e ala dirci loro – vita le loro re- sti sempre uguale, l’aspettativa è quella di essere notate,

Come l’ombra - Ossidiana di Silvana Maja, comunicabilità e sulle sue possibili deviazioni. Come gli 2007 viste oltre la superficie. è un film sull’in fig. 8 Teresa Saponangelo in 32 Micaela Veronesi n. 8, luglio-dicembre 2016 altri lavori di Spada, riesce a trasporre la durezza degli eventi sul piano dell’aperto, del possibile, dell’altrove [figg. 5 e 6].

Che vita vuoi? Viola di mare

Angela e Sara sono due giovani donne nella Sicilia arcaica dell’Ottocento. Si amano dol- cemente perché si assomigliano, in quanto donne, ma anche in quanto capaci di ribellione ai modelli secolari di quella terra. Lo dice proprio Angela al termine di un breve quanto intenso dialogo con Sara, in cui afferma di non volere una vita come quella che è prevista per loro, una vita in cui «è sempre tutto uguale». Non avendo i mezzi per andare via, le due protagoniste affrontano con coraggio la ribellione all’ordine patriarcale sposandosi tra di loro. Ma devono assecondare un poco di quell’ordine, accettando che Angela diventi Ange- lo e aprendo la strada alla tragedia che verrà. Donatella Maiorca ingloba le due donne nel

- sicuranti.paesaggio Comesiciliano, Orlando, aspro Angela e primitivo, e Sara fino vogliono a farci vivere immaginare e vogliono un nuovo amare, ordine loro stesse naturale, e il loroin cui bambino, la natura, e scelgononon più matrigna di fare a meno ma madre di un finalmente,marito. Come ci inaccoglie Orlando fra e lein sueVergine braccia giurata ras, è il femminile a prevalere contro la forza e la violenza di tutti i modelli maschilisti [fig. 7].

Dietro la mdp: Marina Spada riprende Claudia Gerini

All’inizio di Il mio domani (2011), Marina Spada riprende Claudia Gerini senza mostrar-

- ne il volto. La donna è un corpo in movimento, è connotata fisicamente dai vestiti, dai eluoghi noi spettatori che attraversa, a vedere ma lei è unin modo corpo diverso. standardizzato. Lavora nel Nel territorio corso del impersonale film, Monica, del la lavoroprota capitalistico.gonista, assume Monica un volto inoltre e una ha psicologia subito l’abbandono definiti. Inizia della a madre,vedere levessazioni cose in modo da un diverso, padre vita sentimentale che non la soddisfa. Il non riuscire a fotografarsi è la prova che qual- incapace di esprimere i propri sentimenti, ha un rapporto difficile con la sorellastra, una cosa non va. Solo alla fine del film potrà scegliere con coraggio quale sarà il suo domani. èSpada inquadrata, filma Gerini la mdp da launa va certa a cercare distanza, quasi ne con registra voracità. i movimenti La sua recitazione nello spazio, non la è riprende mai esi- spesso di profilo, o in ‘soggettiva con’. L’attrice è presente in ogni sequenza, e quando non Claudia che interpreta Monica scritta da Marina, e in questo dialogo fecondo, entrambe si riconosconobita, eppure i[fig. sentimenti 8]. emergono, anche nelle loro varianti più sottili. Marina riprende

Dietro la mdp: Silvana Maja riprende Teresa Saponangelo

Ossidiana - portante testimonianza della vita della pittrice Maria Palleggiani, ma anche un affresco della condizione è un femminile film sulla nell’Italiacomplessità degli della anni psicologia Cinquanta, femminile. dove la borghesia Maja realizza permetteva un’im in alcune donne, particolarmente sensibili, produceva un disagio esistenziale tanto pro- fondoalle proprie da portarle figlie dialla studiare, depressione, ma poi all’isolamento le destinava socialecomunque e talvolta al matrimonio. al suicidio. Destino che 33 Dialoghi fra donne n. 8, luglio-dicembre 2016 Maria vorrebbe avere tutto il tempo a sua disposizione, senza obblighi di orario, senza donna deve fare i conti con la morale della sua epoca, e con costrizioni che la portano irrimediabilmentecontrolli (il tema della a sentirsi libertà diversa. femminile La regista è presente si serve in tuttodel volto il film). e del Purtroppo corpo dell’attrice, però la bravissima, per farci partecipare a tutte le sfumature dell’evolversi del disagio esisten-

- cepitaziale della per farpittrice. emergere I primi il dolore piani serrati,che travolge il suo laincedere donna eda la solaporta o contragicamente il figlio per a subiremano, i movimenti nervosi, il particolare delle mani quando dipinge: ogni inquadratura è con l’elettroshock e poi al suicidio. Maja, autrice anche della biografia di Maria Palleggiani, è- sentata.così coinvolta Cortocircuito nel dramma che ci che porta riesce a rivivere a trasportarvi non solo ancheil dramma l’attrice. di Maria Anche ma qui anche si verifica quello diun tutte cortocircuito le donne basatoche hanno sull’intesa subito lafra sua chi sorte. filma, chi è filmata e la figura di donna rappre

Bibliografia , Orlando [1928], trad. it. di G. Scalero, Milano, Mondadori, 1993. , La corsa del tempo, a cura di M. Colucci, Torino, Einaudi, 1992. V. Woolf, Parole, Milano, Garzanti, 2001. A. Achmatova, Vergine giurata, Milano, Feltrinelli, 2009. A. Pozzi, Ossidiana, Roma, Voland, 2007. E. Dones , All’inizio, lei era [2012], trad. it. di A. Lo Sardo, Torino, Bollati Boringhieri, 2013. S. Maja , In tutto il mondo siamo sempre in due. Chiavi per una convivenza universale, Milano, BaldiniL. Irigaray Castoldi Dalai, 2006. L. Irigaray, ‘Avvicinarsi all’altro come altro’, in . Tra Oriente e Occidente. Dalla singolarità alla comunità, Roma, Manifestolibri, 1997, pp. 115-124. L. Irigaray , Testo tossico [2008], trad. it. diEad E. Rafanelli, Roma, Fandango, 2015. , ‘Ebbro di testo. Da Beatriz a Paul Preciado’, Doppiozero (23 ottobre 2015) < Paulwww.doppiozero.com/rubriche/297/201510/ebbro-di-testo-da-beatriz-paul-preciado B. Preciado > [acces- M.sed Nadotti 2 September 2016] ht t p://

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 3.2. Riflettersi in molte di Farah Polato

Produttivamente disorientante è talora l’incontro con un’affermazione che si rivela nell’incisività cristallina della constatazione. Così accade ogniqualvolta una compagna di cammino ci ricorda come per le donne essere almeno due fondativa. Come immagine vivida emergono costellazioni di vissuti ora scaturiti da spazi sia stata – e sia – una condizione- puto trasformare cornici costrittive in strategia, rimodellarle e indossarle come un abito checostretti si panneggia ora da spazi sul corpo occupati; per farlo e affluiscono proprio. Conquelle il femminismo, congiunture inl’‘essere cui le donne in molte’ hanno è forza sa ritrovared’impatto, se testa stessa d’ariete nella perrelazione minare con la altre,fortezza differenti, patriarcale; soggettività ma soprattutto femminili, ha persignificato andare oltreessere una ‘con’ se molte, stessa ‘fra’ costretta molte, in‘insieme moduli a’ socialmente molte; ha risposto e culturalmente all’esigenza determinati. di un ritrovarsi: Patto politico, dunque, e insieme esigenza di una relazione trasformativa dello stare nel mondo che impone di ripensarlo. La rivendicazione della differenza sessuale ha nutrito in questa direttrice un dispositivo aggregante e reclamato un altro ordine simbolico. Negli ultimi anni alcune produzioni di cineaste sono tornate a volgere lo sguardo verso questo orizzonte aggregante, su una linea che intercetta tanto l’essere due quanto l’essere - gnate. Non si tratta evidentemente di cercare o forzare corrispondenze, quanto piuttosto molte e che dialoga con alcuni momenti di una riflessione che le ha precedute, o accompa di interrogarsi sul rifluire, in una dinamica carsica, di istanze in una fase di ‘urgenza’ che trovaPenso nella al violenzariguardo sulle a L’ordine donne simbolico e sui soggetti della nonmadre a caso (1991) definiti di Luisa come Muraro. femminilizzati Nella propo solo- uno dei tratti più esposti. - alogia femminile quali luoghi di una rifondazione; altre formulazioni hanno invece trat- sta di Muraro si guarda all’essere due della relazione primaria madre-figlia e della gene stagione della pratica della relazione fra donne in cui l’istituzione di un ordine simbolico dell’autoritàteggiato configurazioni femminile ha di valsosorellanze. anche, Possiamo come rileva considerarli Ida Dominijanni poli tensivi, in una scaturiti conversazione da una con la stessa Muraro, a emancipare le donne da una «politica della rivendicazione e del

- risentimento». Istituire un ordine simbolico di autorità non significa infatti disconoscere quel «limite di negatività», esistente anche nelle relazioni fra donne – e con la madre re questoale –, «che disconoscerla, non si elimina, la proposta non va in originaria, pareggio», e eancora, che richiede nel seminario invece di di essere Diotima «trattato» L’ombra della(2005). madre E così e nellaaccade pubblicazione nella ri-trattazione La magica di Muraro forza del che negativo rivivifica, sempre e riconsidera, del 2005. senza per Il rinnovato e persistente interesse per le genealogie femminili da parte di cineaste, l’inseguimento e la rifondazione dell’immagine, offuscata e rimossa, della madre accomu- convegnistiche, mi sembrano parlare con il linguaggio del sintomo. nano narrazioni audiovisive; attestate da una significativa letteratura e dibattute in sedi rosso che trapassa dal due al molte. Dopo Un’ora sola ti vorrei (2002), Vogliamo anche le roseAlina (2007) Marazzi dà voce è forse a un ‘tu’la figura plurale, che ma con soggettivamente maggiore sistematicità individuato, ha esploratoattraverso quel cui diafilo- logare con un ‘noi’; in Tutto parla di te 35 (2012) lo sfondo è mosso da pratiche associative – il Farah Polato n. 8, luglio-dicembre 2016 affrontare situazioni che, nella materialità del loro prospettarsi, ci parlano di spazi edi- centro di maternità – che fanno appello all’esigenza di essere ‘certamente più di due’ per- tato e rimodulato dalla convivenza, temporanea o stabilizzata, di donne nelle dinamiche istituiteficati dall’interno con altri luoghi.di altri Inspazi, Per sempredello spazio-mondo. (2005) lo sguardo A configurarsi si volge a un’alteritàè allora lo spazioradicale abi di scelta che, nuovamente, trova espressione in uno spazio incarnato, scandito. L’attenzione verso esperienze comunitarie femminili, quando non semplice sfondo-ambiente decora- tivo o ammiccante, diventa inesorabilmente attenzione verso la collocazione del corpo e dei corpi nello spazio contenente, la ristrutturazione dei ritmi e delle relazioni, la condi- visione o meno di mansioni, di pratiche riscoperte. Una condivise e di un fare insieme in cui re-innestare un pensiero trasformativo delle diffe- renze percorresfida ingaggiata sulla scorta di modi di porsi pazientemente modellati, di pratiche la violenza, la violenza del desiderio. In Essere due è sempre dal pensiero della differenza sessuale, «tappale necessaria opere più perrecenti strutturare di Luce Irigarayil soggetto che femminile» si confrontano, appropriato nuovamente, dalle don con-

se stessi, il mondo, l’altro». La coppia, che prende forma nell’ap- ne e condiviso tra le donne, ma ora estroflesso, che Irigaray fa germinare «una cultura tra- zionidue soggetti orizzontali differenti: e di dialoghi nella differenza […] della società tessuta da una molteplicità dipartenenza coppie a diversisessuata livelli». individuante La dimensione i primi confiniintersezionale dell’alterità, e la visualesi fa infatti transnazionale figura di «rela che hanno interrogato, contestato, ri-articolato i cammini delle donne e dei pensieri femmi- nisti intersecano questi percorsi, colloquiando con un’ottica di prossimità differenziate. Da Il viaggio di Giuseppe Left by the Ship [fig.1] dispiegano tessuti relazionali, sistemi materiali e simbolici, (2001), pratiche con di cui vita approda ed esistenze al documentario, originate dall’incontro fino al più direcente diffe- renze che impongono(2010), un i filmrimodellamento. di Emma Rossi Alla Landi comunità carceraria femminile della Giu- decca di Venezia si volge La stoffa di Veronica, girato nel 2005 con Flavia Pasquini [fig. 2]. La ‘Veronica’ del titolo è Veronica Prajisteanu, una donna rumena di 39 anni condannata - sce che il carcere veneziano», essendo stata arrestata alla frontieraa 8 anni per tra traffico Romania di eclandestini, Ungheria. Allache «dell’ItaliaGiudecca, grazie non cono alla sua abilità e alla sua passione per la sartoria, concretizza un’attività che le permette di guadagnare e di occupare una posizione all’interno della comunità. Con i proventi riesce a sostenere la sua famiglia e i suoi quattro figli in Romania. - Veronica si definisce e si narra come [fig. donna 3] , immigratache avver- perrà fuori lavoro, le mura e così del la narra carcere, la figlia è l’occasione diciasettenne, per ulteriori Claudia. gua L’i- niziativadagni, ma di anche una sfilata per un in permesso costumi d’epocapremio che le permetterà

- chi.di incontrare Spacciatrici, la figlia assassine, e di guardare ladre, italiane al mondo e straniere, fuori le giovamura,- nia Venezia. o meno, «Sotto trasformate le finestre, in gran dieci dame, donne attraversano sfilano in abiti il cortile anti avvolte in abiti sontuosi, confezionati a mano su modelli che vanno dal Quattrocento al Novecento veneziano. Il cortile del carcere femminile della Giudecca di Venezia è pieno di

fig. 1 Emma Rossi Landi, filmmaker 36 n. 8, luglio-dicembre 2016 Riflettersi in molte

La stoffa di Veronica di Emma Rossi Landi e Flavia Pasquini, 2005

fig. 2 Materiale informativo del film

37 Farah Polato n. 8, luglio-dicembre 2016

- ve generali» (Sinossi in ). sole.Le Le stoffe detenute, di Veronica, affacciate i merletti alle finestre, e i pizzi, aggrappate nell’intreccio alle sbarre, dei vissuti, applaudono. delle relazioni Sono le e pro de- http://www.cinemaitaliano.info/lastoffadiveronica quigli sguardi in prossimità – quelli costrette, della comunità dove il carceraria, ricorso alle di pratiche Veronica, e alle della forme figlia acquisite Claudia e della di Emma rela- zioneRossi Landitra donne, – confezionano il dispiegamento il disegno di tattiche di una laboriosae strategie tessitura. di reciprocità L’essere fa moltefronte si in declina primo luogo a un’esigenza di vivere e resistere; e ciò nonostante ne attesta la vitalità e la forza trasformativa.

Bibliografia , Storia del documentario italiano. Immagini e culture dell’altro cinema, Venezia, Mar- silio, 2008. M. Bertozzi, Immagini della memoria. Teoria e pratiche del ricordo tra testimonianza, genealogia, docu- mentari, Udine, Mimesis, 2013. A. Cati , La magica forza del negativo, Napoli, Liguori, 2005. , ‘La madre dopo il patriarcato. Intervista a Luisa Muraro’, Il Manifesto, 28 ottobre Diotima2005. I. Dominijanni, Io tu noi. Per una cultura della differenza [1990], a cura di M. A. Schepisi, Torino, Bol- lati Boringhieri, 1992. L. Irigaray, Essere due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994. , In tutto il mondo siamo sempre in due. Chiavi per una convivenza universale, Milano, BaldiniL. Irigaray Castoldi Dalai, 2006. L. Irigaray, Oltre i propri confini, Milano, Baldini Castoldi Dalai, 2007. , Condividere il mondo [2008], Torino, Bollati Boringhieri, 2009. L. Irigaray, L’ordine simbolico della madre, Roma, Editori Riuniti, 1991. L. Irigaray, Maglia o uncinetto. Racconto linguistico-politico sulla inimicizia tra metafora e metoni- L.mia Muraro, introduzione di Ida Dominijanni, Roma, Manifestolibri, 2004. L. Muraro

38 La stoffa di Veronica di Emma Rossi Landi e Flavia Pasquini, 2005

fig. 3 Fotogramma del film 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 3.3. Una nessuna centomila: genealogie femminili nel cinema di Alina Marazzi di Cristina Gamberi

Un crocevia perduto del nostro divenir donne si trova nel confondersi e nell’annullarsi delle nostre relazioni con la madre e nell’obbligo di sottometterci alle leggi dell’universo degli uomini. Il tempo della differenza (1989)

Luce Irigaray,

Nel panorama del cinema italiano contemporaneo l’opera di Alina Marazzi occupa un posto di rilievo sia per le scelte stilistiche che la contraddistinguono, innovative e speri- l’attenzione a tematiche riconducibili a un’indagine sul femminile. In una inedita com- mistionementali in di un’area linguaggi di intersezione eterogenei, attraversotra cinema l’usodi finzione di found e cinema footage documentario,, immagini d’archivio sia per e di famiglia, ma anche interviste, animazione e così via, Marazzi compie un’operazione culturale di re-visione dell’immagine della Donna nella società italiana degli ultimi de- cenni indagando personaggi di donne reali che proprio perché «non aderiscono a model- li prestabiliti», vivono un forte senso di displacement e inadeguatezza nei confronti dei

Un’ora sola ti vorrei (2002), Vogliamo anche le rose (2007) e Tuttoruoli femminiliparla di te tradizionali (Rich 1972). In quella che può essere definita la trilogia sulla maternità – che comprende - (2012) – la regista presta particolare attenzione al complesso legame madre-figlia, laddove la maternità è esplorata come una condizione problematica dell’i dentità femminile (Gamberi 2013). Afferma a questo proposito la regista: sono presa di indagare il femminile. […] Con il mio primo documentario ho capito tanteDi consapevole cose, compreso [in questa il fatto trilogia] che mi più interessava che altro, continuarec’è la decisione sulla e strada l’impegno del cinemache mi ‘ibrido’, del documentario di narrazione, di montaggio. E al tempo stesso ho capito

dagli aspetti che interessano a me, con la presunzione di sperare che interessino ancheche volevo ad altri. impiegare la possibilità che ho di fare film per parlare di donne, partendo

- vo sperimentale di un cinema in prima persona di Un’ora sola ti vorrei, Alina Marazzi ha Intorno al rapporto reale, ma anche simbolico, fra madre e figlia, a partire dal tentati infatti risposto da una parte alla profonda urgenza personale di definire la sua identità di figlia rispetto alla figura della madre – morta suicida a causa di una grave depressione siaquando esterni la registadella società era ancora (come bambinanel caso delle– ma tre ha storie anche al saputo centro restituire di Vogliamo figure anche di le madri rose) chesimboliche scelti e che,introiettati dimenticate (come o perrimosse le monache dalla storia di clausura ufficiale, in nonPer semprehanno )aderito [fig. 1] ai. modelli: Si tratta di ‘donne in opposizione’, personaggi che la regista coglie in un momento di - conflitto con se stesse, con la famiglia e con le aspettative sociali che le vorrebbero con formate a ruoli convenzionali. È un conflitto personale, ma implicitamente anche politico, 39 Cristina Gamberi n. 8, luglio-dicembre 2016 che sprigiona da una sintassi sperimentale vicina al ‘cinema di poesia’ di Pier Paolo Pa- solini, che la regista orchestra in maniera mirabile grazie a una tessitura formale e stili- impersonata dalla voce femminile che prende vita dalla lettura dei diari, nelle interviste estica nei innovativa,racconti, e ilma materiale precisa: delil contrasto found footage fra la edimensione degli home soggettiva, movies, che in epitomizza prima persona, il re- il documento visivo originale non sia una registrazione gistro pubblico, politico e sociale, che risignificato dallo sguardo registico, ci svela come documento continuamente aperto, mutevole e soggetto fissa, pura e autentica della realtà, ma al contrario un La continua tensione fra immagine e parola produce cortocircuiti,a infinite interpretazioni deragliamenti (Bruzzi e ambiguità, 2006). e genera una complessa rappresentazione del femminile, resa possi- bile grazie a un uso sapiente del montaggio che permette all’autrice, aiutata dalla montatrice Ilaria Fraioli, di inse- rirsi all’interno di una tradizione di registe pioneristiche

– che hanno operato– come Maya per sottrarre Deren, Jane la rappresentazione Shimane, Anita Thacher, delle donne Cécile al Fontaine, Peggy Ahwesh, Louise Bourque - Un’ora sola ti vorrei, 2002 ti nella sala di montaggio, divenuta una sorta di ‘stanza fig. 1 Fotogramma da tuttadesiderio per sé’,dello che sguardo Marazzi maschile compie (Mulvey il vero e 1971). proprio È infat atto

- li,di risignificazionedecostruendone delle la coerenza immagini, cronologica, sovvertendo rileggendo la logica conche avevail proprio presieduto sguardo alla critico produzione le narrazioni dei filmati dominanti origina (siano quelle del nonno che riprende la propria vita fa- migliare che quelle stereotipate della militanza femmi- nista) con l’obiettivo di liberare l’archivio della memoria e dissotterrare ciò che sembrava sepolto dall’accumulo - ne che, trasgredendo, hanno interrogato i ruoli di madre disordinato di immagini ufficiali: le storie di vita di don L’uso dei diari in Un’ora sola ti vorrei e Vogliamo anche lee figlia rose, chee delle erano interviste stati consegnati in Tutto parlaloro. di te, sembra in- Un’ora sola ti vorrei, 2002 fatti rispondere alla volontà di riportare alla luce genea- fig. 2 Fotogramma da

[fig. 2]. Ciò mostra come il diario non vada inteso come unalogie semplice femminili narrazione a partire dal intima rapporto della fra sfera madre personale, e figlia ma quale spazio narrativo dove è messa in luce la ten- sione fra la dimensione privata e quella pubblica, dove il processo di formazione dell’identità non è altro che il parziale risultato di situazioni storiche, relazioni di po- tere e fattori sociali che hanno un profondo impatto sul- la vita di colei che scrive rivelando la dimensione intrin- secamente intersoggettiva della soggettività narrante (Cavarero 1997). L’uso delle storie di vita da parte di Tutto parla di te, 2012 fig. 3 Fotogramma da 40 Una nessuna centomila n. 8, luglio-dicembre 2016

leMarazzi lettere, si i inserisce diari e le dunque memorie in delleuna pratica donne, autobiografica e sul piano sociale del partire a quella da «presa sé culturalmente di parola» chepiù ampia,a partire che dagli corrisponde anni Settanta sul piano ha invocato letterario il movimentoalla riscoperta femminista degli scritti sul autobiografici,piano politico.

Volevo raccontare la storia da un punto di vista soggettivo perché è così strettamen-

femminismo è stato di dare valore all’esperienza personale delle donne, e degli uomi- nite […]collegata facendo al femminismo.diventare il personale Volevo fare politico un film (Bale soggettivo. 2010, traduzione […] Quello mia). che ha fatto il

La prospettiva fortemente soggettiva è anche il frutto della scelta, tecnicamente in- consueta per il cinema tradizionale, di ricorrere alla voce femminile fuori campo. Nei documentari di Marazzi, infatti, l’Io femminile occupa una posizione di privilegio nello ribalta la consueta gerarchia fra immagine e parola (Silverman 1988). svolgersiQueste dellainnovazioni trama: stilistiche,il controllare di linguaggio la narrativa e di condiziona strategie narrative lo spettatore/spettatrice paiono preannun e- ciare un profondo ripensamento anche delle categorie culturali con cui tradizionalmente - otipo culturale forgiato sull’immagine della madre rassicurante, asessuata, dedita alla è stata rappresentata[fig. la 3] figura materna, che sembra fallire nel corrispondere allo stere- rio con forme di sovversione che includono la follia, la malattia, il desiderio, l’assenza. Il cura e al sacrificio . Al contrario le figure materne interrogano questo immagina luogo nel presente, ma questo legame è lontano dall’essere idealizzato o romanticizzato. Marazzilegame genealogico vuole invece con sostare la madre nella è complessitàrivendicato perparlando permettere di un allamaterno figlia come di trovare luogo undi confine, ambivalente e poco rassicurante, situato fra corpo e mente, ancora sommerso nelle zone inesplorate dell’identità femminile:

Ogni madre conosce quel sentimento in bilico tra l’amore e il rifiuto per il proprio l’ambivalenzabambino. Una tensionedel sentimento dolorosa materno da vivere e la e fatica difficile che da si confessare, fa ancora oggi perché ad accettarla va contro eil affrontarla.senso comune Per di restituire quel legame la complessità primordiale. di questoCon questo sentimento film ho ho voluto voluto raccontare integrare

con i quali evocare i vari livelli emotivi che questa tensione muove in chi la vive. la fiction con materiali diversi: filmati d’archivio, animazioni, elementi documentari,

Bibliografia The L Magazine (23 Aprile

M. Bale, ‘We Want Roses, Too: A New Language for Italian Feminism’. 2010), , Tu che mi guardi, tu che mi [Accessed racconti, 23Milano, May 2012]Feltrinelli, 1997. S. Bruzzi , Alice Doesn’t: Feminism, Semiotics, Cinema, 1984.A. Cavarero T. de Lauretis, ‘Envisioning Our Mother’s Face. Reading Alina Bloomington, Marazzi’s Un’ora Indiana sola University ti vorrei and Press, Vo- gliamo anche le rose’, in (a cura di) Italian Women Filmmakers and the Gendered Screen, C.Basingstoke, Gamberi Palgrave, 2013. , Il tempo dellaM. Cantinidifferenza. Diritti e doveri civili per i due sessi per una rivoluzione pacifi- ca, Roma, Editori Riuniti, 1989. L. Irigaray, Tutto parla di te, note di regia, 2013.

41A. Marazzi Cristina Gamberi n. 8, luglio-dicembre 2016

, ‘Visual Pleasure and Narrative Cinema’, Screen, 16, 3, 1975, pp. 6-18. College English, 34, 1, 1972, pp. 18-30. L. Mulvey , The Acoustic Mirror: The Female Voice in Psychoanalysis and Cinema, Bloomington, A. Rich, ‘When We Dead Awaken: Writing as Re-Vision’, K. Silverman Indiana University Press, 1988.

42 Galleria | 4.Almeno Essere in due: in l’avventura due delle personagge 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 4.1. Genealogia versus Orfanità: sull’essere (almeno) due nel melodramma di Simona Busni

Palpitava un debole rumore, dolce come la brezza delle piante; era il respiro delle Ninfe addormentate, che sognavano la giovinezza del mondo, il tempo in cui non esisteva ancora l’uomo, e dove la terra non dava vita che agli alberi, alle bestie e agli dei. Marguerite Yourcenar, Nostra Signora delle Rondini

- - to ciòLa geometriache rientra dei nel generi dominio cinematografici del ‘due’ è, di fatto,si basa inconciliabile su una serie con di assiomi la struttura formali del incon melo- drammatrovertibili. ed èUno destinato di questi a regredire, riguarda l’universoa disperdersi, diegetico a frammentarsi, dei modelli a melodrammatici: subire una metamor tut- unfosi complesso di natura scetticanucleo prismatico all’interno che della investe quale tutte i confini le tipologie tra identità di relazione e alterità tra – trai personaggi integrità e separazione, tra singolarità e molteplicità – perdono consistenza, lasciando il posto a- un(la discorsocoppia di che coniugi, invece gli tende amanti, a privilegiare i genitori e le i figli,modalità i fratelli, con cuile sorelle). è possibile Quali relazionarsi sono le con al ‘due’,seguenze e dunque di un asimile un paradigma presupposto, simbolico nel suo forte essere di soggettività? poco più di una mera provocazione, in Una delle declinazioni dell’‘essere due’ corpo dell’altro è quello che ognuno di noisviluppate intrattiene dalla con lafilosofa propria Luce madre Irigaray (il cosiddetto nella sua ‘altroopera parentale’).omonima del Tale 1994 incontro riguarda non la è questione sempre uguale, della genealogia: né tantomeno il primo neutrale, incontro ma varia con ila seconda che io sia una bambina o un bambino ed ha un ritorno sulla costituzione dell’i- l’altro, dapprima nella genealogia». Si tratta di una tematica che l’autrice riprende anche indentità: altri testi, «Nel comemio corpo ad esempio presente Sessi sono e genealogie già intenzione (1989) verso e Il respiro l’altro, delle intenzione donne (1996), fra me in e cui viene posto l’accento sull’importanza delle genealogie femminili in relazione all’ordi- ne del sacro:

CiòLa Dea, che augurointesa soltanto è che le donnecome Madre,riscoprano è già la un loro paradigma divinità, inpatriarcale: quanto donne. essa Nonraffigura se ne trovanola madre forse del figlio,alcuni dei elementi figli, al in massimo certe “apparizioni” la sposa legittima della Vergine? e feconda Chiedetevi del patriarca. perché la Vergine appare spesso a delle ragazze. Che ritorno c’è qui delle tradizioni dimenti-

cate? Delle culture madri-figlie? Il maggior crimine della cultura patriarcale consiste- nell’aver separato la figlia dalla madre. Le tracce del dramma di questa separazione Latra colpafiglie dele madri patriarcato sono iscritte si trova nei qui miti. in Così, modo per esemplare; assicurare essa il suo è ripetuta impero celeste, da Freud, Gio e ripetutave negozia da sua noi figlia.se non Egli vi prestiamo rapisce la attenzione.figlia alla madre, Infatti e ci la mancano “vende” alrappresentazioni dio degli inferi.

culturali per sostenere le relazioni tra madri e figlie. 44 Simona Busni n. 8, luglio-dicembre 2016

Tornando alle suggestioni da cui siamo partiti, l’interruzione della genealogia femmi- nile, parafrasabile in termini di ‘orfanità’, è un qualcosa che appartiene geneticamente alla diegesi del genere melodrammatico, in letteratura e al cinema, e che si rifà a quel wor- ld of women o demi-monde in cui le donne protagoniste riescono a trovare espressione, l’unicoreame francospazio-tempo di trascendenza in cui per riscontrabile esse diventa in possibile tanti piccoli la ricerca mondi della al femminile: propria madre quei e il racconto della propria storia. Essendo la relazione con l’uomo basata sulla prevaricazione e sul dominio, spesso le eroine melodrammatiche conformano il proprio senso di alteri- sorelle, madri, zie, suore) all’interno delle quali aleggia un tà sulla base di comunità femminili di riferimento (figlie,- mente fuori né mai pienamente dentro, escluse a partire dasenso un’inclusione, irrisolvibile segregate di orfanità dagli e di altri sacrificio. e scisse Né nell’animo, completa queste donne non riescono ad essere parte di qualcosa e,

- namen della che genealogia meno, ad appartenersi e, al contempo, fino sopprime in fondo, l’espressione scivolando naturalein un limbo della sacrificale propria silenziosoidiosincrasia. che Ilinterrompe loro isolamento la cate è associabile alla relazione con il trascendente e si espri- Un - garibaldino al convento di , 1942 fig. 1 Maria Mercader e Carla Del Poggio nel film me attraverso un apparato immaginifico che attinge di clausura.rettamente alla sfera del sacro, all’iconografia religiosa, alleMa figure non èmariane, sempre così.alla Esistono,sottomissione, infatti, al dei martirio casi narrati e alla- vi virtuosi in zone ibride, non ascrivibili ad un genere pre- ciso, in cui i personaggi femminili si confrontano su un piano orizzontale mettendo in pratica quell’etica dell’amo- un pensiero d’intersoggettività in grado di salvaguardare ilre luogo– teorizzata di una datrascendenza Irigaray – che del concepisce ‘fra noi’, diil dueun misterotramite

Un garibaldino al convento di Vittorio De Sica, chedi irriducibilità concepisce la che generazione appartiene solo all’essere all’esterno femminile (fuori finda 1942fig. 2 Caterinetta, ormai anziana, e le sue nipoti nel sé)nella come sua manifestazionecostituzione ontologica: del sapere al tecnicocontrario e che dell’uomo, tende a film dominare (il mondo, la natura, l’altro), la donna genera in - minarsi’, al fare di sé un mondo e al riconoscersi nell’altro, favorendose stessa l’altro un passaggio ed è, per culturalequesta ragione, di energie, più incline sotto formaal ‘do di educazione, di trasmissione genealogica, una fonte di crescita identitaria e di rinascita a carattere primaverile.

- minileSecondo in Irigaray,senso verticale la pratica (ovvero genealogica la linea traconcernente donne deve la essere duplice: si deve intendere una genealogia fem orizzontale (basata sulla conoscenza e sulla storia delle altreprocreazione, donne, una il rapportogenealogia madre-figlia) della sorellanza) e una che in devono senso Un garibaldino al convento di Vittorio Defig. Sica,3 Leonardo 1942 Cortese, Maria Mercader e Carla Del Poggio nel film potersi integrare reciprocamente al fine di ricostituire un 45 Genealogia versus Orfanità n. 8, luglio-dicembre 2016 ordine simbolico femminile in grado di contrastare il determinismo sotteso alle logiche edipiche e di riaffermare l’autonomia divina delle donne. Un garibaldino al convento (1942) di Vittorio De Sica, in cui si racconta la storia di un’amicizia, sbocciataUno dei nel film convento da prendere di Santa in considerazione, Rossana in pieno sotto Risorgimento, questo aspetto, tra potrebbedue giovani essere donne allieve del collegio femminile, la nobile Mariella (Maria Mercader) e la ribelle Caterinetta (Carla Del Poggio) [fig. 1] Si tratta della quarta regia di De Sica (dopo Rose Scarlatte, 1940, Maddalena… zero in condotta, 1940, Teresa venerdì, 1941) e segna il passaggio da una pri- nei capolavori del neorealismo. Un garibaldino presenta, infatti, una struttura piuttosto suima generis,fase prettamente in cui atmosfere commedica e toni del commedici suo cinema si innestano a quella più su drammatica un perno melodrammatico, che sfocerà poi che si manifesta sia nell’epilogo tragico della storia d’amore tra Mariella e il famoso ga- ribaldino del titolo (il conte Franco Amidei, interpretato da Leonardo Cortese), sia nell’e-

Sono passati moltissimi anni e Caterinetta, ormai anziana, si reca a far visita alla sua spediente diegetico del flashback a partire dal quale si mette in moto tutta la vicenda. cui vi è uno scambio tra Caterinetta e un domestico, rappresenta in sé una piccola cele- compagna di collegio Mariella portando con sé dueLe nipoti.vostre Lanipotine? scena ...iniziale Sì, la marchesina del film, in desiderava conoscerle. Gliene ho portate due, ma ne ho altre otto!... Otto?!... Otto. Due già sposate,brazione tra della poco potenza sarò bisnonna!... genealogica Beata femminile: voi, signora! « ». Attraverso l’asse verticale di una altro asse genealogico, quello orizzontale della sorellanza ideale tra (almeno) due donne chegenealogia hanno condiviso – il rapporto una tra storia. una Storianonna che e le viene sue nipoti narrata – viene da Caterinetta trasmesso alle il racconto giovani nipodi un- ti, mentre attendono Mariella in salotto sotto il suo ritratto. [fig. 2] tra le due donne, prima nemiche giurate e poi complici leali e appassionate nella rischiosa Ciò che colpisce maggiormente del film, al di là della natura del legame che si sviluppa- danzato di Mariella) [fig. 3] e delle conseguenze del suo successivo svelamento (scoperto dallegestione suore, di unad Amideisegreto viene (la presenza concesso all’interno di restare delnascosto, convento ma digiungono un garibaldino a reclamarlo ferito, sia fi i soldati borbonici sia l’esercito di Nino Bixio ingaggiando un vero e proprio scontro a fuo- co), è piuttosto l’atmosfera edenica che incornicia, in generale, il passato e, in particolare, la comunità femminile del convento di Santa Rossana, lontanissima da quella dei topoi sospeso, una dimensione paradisiaca, verginale, armonica, festosa, gloriosa, un giardino melodrammatici più ricorrenti: la vita delle protagoniste è immersa in una sorta di tempo- za, tra canti e giochi [figg. 4-5-6-7] lussureggiante di fiori e uccelli, in cui le giovinette si muovono come ninfe a passo di dan . È la culla della sorellanza, descritta da Irigaray come prerogativaIl riso della spirituale gioia si dell’‘essere sgrana come due’: delle perle. L’iridescenza di questo mattino lascia la

bambini, canti degli uccelli. Si immaginano anche bisbigli di angeli, palpiti di anime, comunione casta: in noi, fra noi. Si ascoltano note pure e cristalline, scoppi di risa dei

speranzamentre crescono muta. La foglie vita fae fioriil suo per rumore. divenire La mazziterra comeviventi. un Igran fiori nido,sono cileggeri, ospita, senza cova lapretesa: nostra aerei,rinascita. colorati o solo bianchi. Sorrisi della Primavera, testimoniano di una

- - Il sorriso della Primavera è quello della terra morta che torna a fiorire, della dea De metra che ritrova la speranza e si immerge negli inferi per riprendersi sua figlia Persefo 46 Simona Busni n. 8, luglio-dicembre 2016

Racconto d’inverno e si ricongiunge a Perdita, di due giovani orfane, Mariella e Caterinetta, che scelgono di rispettare il mistero ne,delle della proprie regina soggettività Ermione che e di si rimanere sveglia alla due fine [fig. del 8] .

Bibliografia , Il melodramma, Milano, Il Castoro, 2012. , ‘Amore’, in Id. (a cura di), Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e L.forme Cardone di vita, Volume I, Udine, Mimesis, 2014, pp. 41-105. R. De Gaetano, Donne divine, in Id., Sessi e genealogie [1987], trad. it. di L. Muraro, Milano, La Tarta- ruga, 1989, pp. 145-171. L. Irigaray, Essere due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994. , Il respiro delle donne [1996], trad. it. di P. Calizzano, Milano, il Saggiatore, 1996. L. Irigaray, ‘Le mélodrame italien’, in ‘Panorama des genres au cinéma’, CinémAction, 68, 1993, pp. L.112-120. Irigaray S. Socci

47 Genealogia versus Orfanità n. 8, luglio- dicembre2016

Un garibaldino al convento di Vittorio De Sica, 1942 figg. 4, 5, 6, 7, 8 Carla Del Poggio, le allieve del collegio di Santa Rossana e Maria Mercader nel film 48 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 4.2. Da Castelluccio alla sala da ballo. Geografie delle relazioni in Il sole negli occhi (Antonio Pietrangeli, 1953) di Giovanna Maina

Una corsa in discesa

Il sole negli occhi (1953), esordio alla regia di Antonio Pietrangeli, si apre con una cor- strette tra le mani una piccola borsa da viaggio e una statuetta. [fig. 1] Mentre scorrono isa titoli in discesa. di testa, Una seguiamo ragazza il sisuo precipita percorso giù attraverso per le strade sei inquadrature scoscese di un dalla paesino, composizione tenendo quadro, mentre la camera segue i suoi movimenti disarticolati (a volte con panoramiche appenapressoché percettibili); identica: la una ragazza dissolvenza entra in incrociata campo frontalmente; la fa rientrare corre in campo verso di nell’inquadratu noi ed esce dal-

Nell’ultima di queste inquadrature, scorgiamo in alto a destra il cartello di una fermata ra successiva; la sua corsa è sempre più concitata, fino al suo arrivo a una strada in piano. - minceràd’autobus, una «S.A.T.A nuova Fermatavita come Castelluccio». domestica presso Celestina una ‘buona– questo famiglia’ è il suo borghese.nome, ed èUna la prima corsa cheparola è, dunque, che sentiamo anche ine soprattutto tutto il film una– sale partenza. su una corriera che la porterà a Roma, dove co Con una curiosa coincidenza di immagini, anche Elisa Bussi Parmiggiani comincia il suo articolo sui personaggi femminili nel cinema di Pietrangeli proprio con una ‘corsa’. Commentando, infatti, il periodo immediatamente successivo alla stagione del Neoreali- smo, l’autrice utilizza la metafora della corsa per descrivere la situazione socio-economi- ca di unIl vecchio paese avviato non sembrava verso il veramente (e proiettato morto nel) e boomil nuovo economico: stentava a prendere forma, mentre il paese si stava avviando verso una rapida industrializzazione che avrebbe sconvolto arcaici schemi di comportamento e forme di convivenza, e tutto questo a cominciare dal mutato rapporto tra città e campagna. Lo sfasciarsi di una civil- tà contadina di arcaica memoria a vantaggio di una “civiltà” urbana e industriale si presentava, nell’immediato, come una caotica corsa in avanti, verso un benessere ancora non organizzato, terreno di coltura per caratteri sagaci e inventivi, ma anche -

corsivoper profittatori mio). di ogni genere e a ogni livello del vivere sociale, dove i più deboli era no destinati ad essere usati, oppure emarginati e sconfitti (Bussi Parmiggiani 2001; Questo disordinato universo di tensioni tra vecchio e nuovo, campagna e città, deboli partire proprio da Il sole negli occhi; sarà però soprattutto nel celebre ‘trittico’ femminile e profittatori sembraLa in parmigianarealtà fare (1963),da sfondo La visitaa buona (1963), parte Io dell’opera la conoscevo di benePietrangeli, a degli anni Sessanta – (1965) – che tali tensioni troveranno la raffigurazione più matura e impietosa. Tuttavia, in modo quelleanalogo trasformazioni ai più celebri personaggiche il suo cinema successivi ha così (Dora, tanta Pina urgenza e Adriana), di rappresentare. anche la Celestina È lo stes di- soquesto regista primo a confermare film costituisce questa per ‘sovrapposizione’ Pietrangeli l’incarnazione tra mutamenti delle socialitrasformazioni e protagonismo in atto, femminile [fig. 2]

49 : Giovanna Maina n. 8, luglio-dicembre 2016

Non è tanto che io sia la Celestina de Il sole negli occhi o Adriana di Io la conoscevo bene o la Pina de La visita come, scusatemi, Flaubert era Emma

sociale a cui, da vent’anni a questa parte, assi- Bovary.stiamo inMa Italia, è che la nel donna processo ha incontestabilmente di trasformazione il ruolo da protagonista. Tanto profondo e rapido è stato il passaggio dalle posizioni in cui era re- legata ancora subito dopo la guerra a quelle che, di forza, ha occupato negli ultimi anni. E non si tratta solo di un fatto di costume quanto di una radicale, profonda rivoluzione interiore […]. Pro- Il sole prio per questo, forse, la donna s’è posta tanto negli occhi di A. Pietrangeli, 1953 fig. 1 Una corsa in discesa nell’incipit del film - tesanti 1967). spesso al centro delle storie dei miei film (Mon Come l’Italia del suo tempo, Celestina corre dunque a rotta di collo verso una società ‘nuova’, lasciando Castel- luccio per la città, in anticipo di qualche anno rispetto al racconto tragico dell’emigrazione interna regalatoci da Rocco e i suoi fratelli (, 1960). Ma verso cosa corre, esattamente, Celestina? E cosa lascia?

Oltre i confini di Castelluccio Il sole negli occhi fig. 2 Irene Galter e Antonio Pietrangeli sul set di Secondo Gianni Canova (1999), «Il sole negli occhi è dominato dalla contrapposizione tra Roma (luogo della perdita dell’innocenza e dell’integrazione impossibile) e Castelluccio (luogo del rimpianto e della nostalgia)». Tale opposizione emerge con evidenza anzitutto a livel- lo di trama. Come molte ragazze della sua generazione, Celestina (Irene Galter) approda nella Capitale per fare la donna di servizio, dopo essere rimasta orfana e senza mezzi di sostentamento, mentre i due fratelli tentano la fortuna emigrando in Australia. Lì, la servetta di campa- gna vive una serie di peripezie, passando da una fami- glia all’altra, stringendo amicizia con alcune domestiche fig. 3 Celestina scheggia l’angelo custode, e i propri come lei, e soccombendo alla seduzione dello stagnaro “confini”, mentre lascia Castelluccio Fernando (Gabriele Ferzetti). Rimasta incinta, dopo aver scoperto che l’amato ha nel frattempo contratto un ma- - le, scopriamo che la ragazza si salva e terrà il bambino, senzatrimonio piegarsi d’interesse, tuttavia Celestina al pentimento tenta il tardivo suicidio. di Nel Fernan fina- do ed escludendolo per sempre dalla propria vita. Con l’appoggio delle amiche, troverà una strada e, probabil- mente, un’identità. Questa lettura (pure condivisibile) della dialettica - fig. 4 Marcella e Celestina: «Da oggi ci penso io a te» 50sviluppata dal film tra la campagna come luogo nostalgi Da Castelluccio alla sala da ballo n. 8, luglio-dicembre 2016 co e ‘sicuro’ e la città come luogo di spaesamento e disa- articolazione degli spazi di genere nel cinema di Pietran- geli.gio si Nella fa più sua complessa analisi delse si ‘trittico’ tiene conto degli della anni particolare Sessanta, Natalie Fullwood sostiene che, lungi dall’essere il luogo a-problematico dell’equazione tra femminilità, naturali- - lotà spazioe purezza rurale – come si presenta lo vorrebbero, invece come almeno una secondo costruzione Do ambiguareen Massey e sfaccettata (1994), le interpretazioninelle opere del piùregista tradizionali romano. – Per Fullwood, infatti, “quasi nuove” e troppo scomode della padrona fig. 5 Celestina sola nella città spettrale, nelle scarpe

- seare c’è un’immagine un tema che della unifica campagna il trattamento come punto degli di spazi rurali in questi film è il loro rifiuto di cre [infatti] rappresentano l’ambiente rurale come unopartenza spazio uniforme complesso e e innocente. contraddittorio […] questi e resisto film- no alla tentazione di caratterizzarlo in termini di gender secondo nozioni essenzialiste e idealizza- te della femminilità (Fullwood 2010, traduzione mia).

Ma in che senso Castelluccio rappresenta un punto timidamente alla modernità di partenza non uniforme e non innocente? In realtà, fig. 6 Celestina, vestita e truccata dalle amiche, si apre in Il sole negli occhi vediamo soltanto pochi frammenti sequenza,del paesino tuttavia, natale di notiamo Celestina: una alcune singolare stradine, uniformità qualche di relazioni.edificio e Lela fermatauniche persone dell’autobus. con cui In laquesta ragazza primissima scambia qualche parola sono i due fratelli e l’autista della corrie- - fratellira: tre figure miei se che, ne invanno più di a uncercare senso, lavoro… detengono e siccome un’autori non tà sulla protagonista. Le dicono quello che deve fare – «I- abbiamo più nessuno, mi mandano a Roma a fa’ la ser timidamente alla modernità fig. 7 Celestina, vestita e truccata dalle amiche, si apre va» – e come si deve sentire – «E beh, che sarà mai… c’è gente che pagherebbe pe annà a Roma!» – sospingendola, nellaconducendola sua brevità, (anche questo fisicamente) incipit contribuisce in un viaggio dunque che allaè a caratterizzazionetutti gli effetti una dello costrizione, spazio rurale più che come una insiemescelta. Pur fa-

- miliare e oppressivo: un luogo certamente confortevole dinella Celestina sua semplicità in una soffocante – «Io no! Stogabbia tanto di beneruoli, a rappresen Castelluc- tatacio!» dal – ma suo che, essere in fin donna, dei conti, sorella, intrappola giovane ‘la e femminilità’povera, sen- za possibilità di cambiamento o emancipazione. Sebbene nato da una coercizione, quindi, il viaggio

fig. 8 Le amiche di Celestina, un’alleanza tra donne 51 Giovanna Maina n. 8, luglio-dicembre 2016 identitari connaturati alla campagna. O almeno di cominciare a forzarli. Come fa notare Rosamariaverso la città Salvatore, rappresenta il suo per tragitto Celestina comincia una possibilità infatti proprio concreta con unadi oltrepassare sintomatica iincrina confini- tura [fig. 3]

Nell’atto: di salire sulla corriera che la condurrà verso un avvenire incerto, spaven- tata e inquieta per la separazione dal luogo in cui ha sempre vissuto, le cade dalle

intimamente legata, rappresenta la traccia manifesta del passato e, al contempo, è braccia la statuetta raffigurante un angelo protettore; il piccolo manufatto a cui è investita di valore affettivo e simbolico, si fa marca allusiva del transitare della pro- tagonistafonte di rassicurazione. in luoghi e temporalità Scheggiata, differenti ma ancora (Salvatore in parte 2016). integra, l’effige dell’angelo,

Il balcone, la sala da ballo, l’ospedale

Col passato della campagna già simbolicamente ‘scheggiato’, Celestina approda a Roma. Quello che trova, almeno in apparenza, sembra essere perfettamente in linea con l’idea di integrazione impossibile postulata da Canova. La scena del suo incontro con la prima famiglia pare racchiudere in un unico addensamento visivo e sonoro tutta la solitudine e «il disorientamento della ragazza di paese che arriva nella caotica capitale» (Pierini - dro di personaggi che agiscono su piani diversi (traslocatori, bambini, suore, la coppia di coniugi),2015): attraverso creando «unl’uso crocevia della profondità densissimo di campo,di movimenti, Pietrangeli sguardi, produce e gesti un che frenetico schiaccia qua e isola la protagonista» (ibidem). Il suo isolamento, tuttavia, trova una forma di mediazione (anche spaziale) nell’incon- tro con le altre domestiche del palazzo, e in particolare con Marcella (Pina Bottin). Le - stataragazze con – loro.seppure La mappa dopo un’iniziale, del loro rapporto ingenua si canzonatura dipana attraverso nei confronti molteplici della luoghi, goffa in ‘mon una «Romatanara’ minore– accolgono e periferica, Celestina effusa con assoluta a volte normalitàin una serenità e naturalezza, domenicale come considerata se fosse sempre quasi sempre dietro alla facciata, dai cortili […] e dalle scale secondarie dove si avvicenda il mondo variopinto e un po’ chiassoso delle servette di campagna» (Rondi 1953). Accen- - neròIl momentoqui brevemente dell’inclusione solo ad alcuni avviene di suquesti un terrazzo, luoghi, che dove mi lepaiono ragazze significativi stanno stendendo nella pro i pannispettiva delle di unaloro ricostruzione padrone, accompagnandosi delle geografie con relazionali un canto all’interno interrotto del da film. amichevoli batti- becchi. Marcella presenta Celestina alle altre, dopo averle promesso «Da oggi ci penso io a te», e subito prendono accordi per andare a ballare insieme la domenica successiva. Il - - ticoterrazzo di quel con retroscena i panni stesi della – così città come cui sii balconi faceva dacenno cui lepoc’anzi. domestiche Così, comunicano, collocate nel vocian ‘dietro ledo, quinte’ attraverso della il vita cortile delle interno buone dell’edificio famiglie borghesi – rappresenta romane, certamente le relazioni un tra luogo queste emblema donne - assumono una connotazione anzitutto di classe: impossibilitate a scampare alla loro con possono,dizione economica negli interstizi – «Cosa di unaci vuoi quotidianità fare, è il destino operosa nostro… e ‘nascosta’ una la[fig. serva 4]. non la fa se non è disgraziata» – le ragazze venute a servizio dalle campagne italiane si fanno forza come 52 Da Castelluccio alla sala da ballo n. 8, luglio-dicembre 2016

L’altro luogo cardine dove si sviluppa la relazione tra Celestina e le amiche è la sala da lavorano alla balera dove sono solite svagarsi (e cercare ‘cavalieri’) nell’unico giorno che ballo domenicale: o, sarebbe meglio dire, la strada che porta dal palazzo dove le ragazze- asessuatahanno per (sise togliestesse. l’informe È esattamente grembiule) in questo a ragazza spazio carina che si ecompie desiderabile; – per mano da outsider di Marcel (la ‘montanara’)la e con la divertita a parte collaborazione integrante (e integrata) delle amiche del gruppo.– la metamorfosi Questo non di è,Celestina: in realtà, da il primoserva momento di trasformazione (potremmo dire di ‘urbanizzazione’) del personaggio di Ce- lestina. In una sequenza precedente, Celestina era stata obbligata a uscire di casa dalla padrona desiderosa di restare da sola con il marito. Per invogliarla, la signora le aveva regalato un paio di scarpe col tacco «quasi nuove», sulle quali Celestina aveva zoppicato poveraccia! Anvedi, mó se le perde, ahó!». Questo adeguamento, imposto dall’alto, a degli nell’ilarità generale di Fernando e dei suoi amici – «Però c’ha le scarpe della padrona, unastandard città desertadi femminilità e spettrale non [fig.familiari 5]. e poco comprensibili – «Ti ci devi abituare anche tu»Molto – aveva diverso condotto è, invece, simbolicamente il passaggio Celestina trasformativo, a una faticosa collettivo camminata e orizzontale, solitaria che dentrosi con- suma nel percorso verso il pomeriggio di divertimenti. Grazie a una specie di ‘gioco di alle amiche nell’aspetto esteriore, cominciando così a condividerne anche gli stili di vita e adbambole’ assumerne corale i valori.e solidale Non – a«Avemo caso, sarà ripulito nella la sala montanara!» da ballo che – Celestina la protagonista diventa metterà più simile in moto – attraverso il primo approccio con Fernando e l’adesione a dinamiche relazionali «ilgiovanili luogo socialee ‘moderne’ per eccellenza, – l’arco trasformativo dove si consumano fondamentale incontri, del scontri, personaggio. tradimenti La vera e affari» storia (Detassisdi Celestina, 2015); si può un dire,luogo, ha cioè, inizio che proprio sembra da abbracciare qui: del resto, le (ed per essere Pietrangeli, abbracciato la balera dalle) è passioni dell’Italia contemporanea alla produzione del regista [figg. 6 e 7]. cheek’, Celestina si ritrova incinta e determinata a tenere il bambino da sola. O, meglio, senzaAlla ricorrere fine della a parabolaun’unione iniziata riparatrice con una con metamorfosi il traditore Fernando vestiaria ee potendouna danza contare ‘cheek sul to supporto delle amiche. Dopo una dissolvenza sul pianto orgoglioso di Celestina nel letto - ind’ospedale mano) rechi – «Non notizie lo voglio della vederepovera più,sventurata. mai più!» Il –dialogo la scena ci parlafinale didel sollievo film ci eporta speranza, all’e sterno dell’edificio, dove le servette riunite aspettano che Marcella (ancora col fazzoletto- moltodi possibilità peggio edi rassegnazione così. L’ultima inquadratura– «Disgraziata!» ci mostra «Oh, smettila! il gruppo Perché, che si non allontana siamo versotutti di la ripartenzasgraziati a questodella ‘normale’ mondo?» quotidianità,– e della consapevolezza con un nuovo che rituale le cose domenicale sarebbero potute (la promessa andare di altre visite a Celestina in ospedale) e l’allegria, certo un po’ fatalistica, del sapere che generazionale, ma soprattutto un’alleanza tra donne, abituate a conquistare la loro «au- tonomiapossono psicologicacontare l’una e materiale» sull’altra, sulla soltanto loro attraverso particolare «un relazione: enorme un sforzo sodalizio collettivo, di classe gene e- rosamente partecipato e condiviso» (Bussi Parmiggiani 2001) [fig. 8]. Da Castelluccio alla sala da ballo, per Celestina si tratta dunque di un passaggio geo- - gna aveva rappresentato un luogo ‘sicuro’, passivamente confortevole e tendenzialmente grafico che è anche, e principalmente, un passaggio relazionale e identitario. La campa di potere. La città si rivela, invece, certamente un luogo di sfruttamento (le padrone) e repressivo, anche perché di fatto dominato dalla fissità inesorabile dei ruoli e dei rapporti 53 Giovanna Maina n. 8, luglio-dicembre 2016 insidie (Fernando); allo stesso tempo, tuttavia, costituisce per Celestina uno spazio di negoziazione della propria identità (sceglierà di rimanere sola con il bambino), anche at- traverso l’apertura di possibilità di relazioni differenti (la scoperta della vicinanza e della complicità con le altre donne).

Bibliografia

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n. 8, luglio- dicembre2016 Issn: 4.3. Le acrobate: traiettorie e movimenti dell’esistere di Rosamaria Salvatore

di Silvio Soldini. Le acrobate (1997) è l’opera in cui è manifestamente mostrato come l’i- nattesoLa solitudine incrocio etra l’inquietudine singole vite attivi sono unotratti stretto peculiari rapporto delle trafigure personaggi femminili femminili nel cinema e in qual modo l’intima corrispondenza venutasi a creare sia anche generata, in una sorta di prolungamento metaforico, da spazi, paesaggi e cose. - staura tra donne di età diverse, accomunate da un senso di solitudine, inaspettatamente interrottoIl film narra dall’incrocio l’incontro casuale e l’intenso delle lorolegame vite. che, Elena, in maniera elegante repentina quarantenne, e inattesa, chimica si con in funzioni di dirigenza in un’industria di Treviso, trascorre le proprie giornate immersa nel lavoro. Una transitoria relazione con un uomo sposato è l’unica traccia di affettività che alimenta una dimensione esistenziale insoddisfacente. Anita, anziana donna di origi- ne bulgara, che vive totalmente isolata nel proprio appartamento, viene incidentalmente ainvestita Taranto da la Elenapropria nell’oscurità esistenza in di una una precaria sera piovosa. situazione La sua economica. figura, dopo Imprigionata la morte, fungerà in una condizioneda vettore narrativo, familiare cheaffinché l’ha costretta la donna aconosca rinunciare l’altra a progetti protagonista: e aspirazioni, Maria, cheMaria, trascorre in una

Monteimprovvisa Bianco fuga, in un raggiunge viaggio che, Elena oltre a Treviso a rappresentare insieme alla una propria temporanea figlia, apertura,Teresa, ragazzina rafforza un’amiciziaattratta da esperimenticostruita su unchimici. sentire Le alimentato tre figure dallafemminili, possibilità una volta di provare riunite, una si sensazionerecano sul di appagante e gioiosa leggerezza, anche se circoscritta al tempo limitato del loro incon- tro. Il passaggio dalle due pianure, quella veneta e quella pugliese, alla bellezza ascetica della montagna, diviene traiettoria allusiva di un movimento interiore delle protagoniste. tutto dall’alto e arrivare a un silenzio che sia davvero silenzio» (riportato in De Vincenti 1997).«La neve sulla montagna», afferma Soldini, «significa […] alzarsi sopra il mondo, guardare - senze femminili come a tessere un arazzo delle singole trame esistenziali composto da Nel corso del film simmetriche corrispondenze richiamano gesti ripetuti dalle pre che scorre da un rubinetto, cercando, in quel contatto epidermico, un breve sollievo alla tristezzafili allineati che specularmente. le avvolge; [figg. Sia 1 Elenae 2] che Maria bagnano il proprio volto sotto l’acqua stesse, schermi televisivi, sentendosi inondate da un senso di vuoto che trova espressione nelle lacrime di Elena che le rigano il volto;fissano scrutano entrambe, identici con manichiniuno sguardo femminili ripiegato (l’uno su se a Treviso l’altro a Taranto), come a cercare di catturare in quella forma immobile, priva di vita, una interrogazione nuda, integrale e muta della propria realtà psichica. [figg. 3 e 4] La trama narrativa delle singole esistenze, accomunate da una sotterranea percezione di mancanza, di assenza di desiderio, nel contatto con paesaggi e cose si colora di sfuma- ture differenti. Toccate, colpite dalla prossimità con manufatti da cui sembra emanare un accolgono un ascolto maggiormente recettivo, cogliendo in essi una forza allusiva. Pro- diverso respiro, le protagoniste, nella martenitsaricerca di unbianca senso e piùrossa profondo che Anita del donaloro esistere, a Elena pongo alcuni significativi esempi: la 55 Rosamaria Salvatore n. 8, luglio-dicembre 2016 quale simbolo della sua cultura alimentata da riti, mode- sto prodotto artigianale di lana che si compone dei me- lontanadesimi colori e al contempo indossati proiettata da Teresa innella un sezionemondo simbolicofinale del ancorafilm, pare vivo richiamare [fig. 5]. O, unapure, mappa l’arancia spaziale che, rotolando e temporale nel- la vettura di Elena, innesta in lei il ricordo dell’incidente in quella vita ai margini è presente qualcosa di indeci- frabile,con l’anziana un senso donna delle spingendola cose e del tempoa rivederla: a lei oscuro.lei sente Quel che frutto banalmente quotidiano tesse così connessioni, provocando attraverso il suo movimento rotatorio un

Le acrobate di Silvio Soldini, passaggio attraverso l’altro, è diretta alla propria intimi- 1997 tà.altro La moto:coperta il sorgereche Elena di regala una domanda ad Anita che,per ripararlamediata dal fig. 1 nel film gelo dell’appartamento può essere letta quale segno di una proiezione affettiva che pare rispondere a quel bi- sogno di calore richiamato da Elena quando, visitando una casa da acquistare, aveva affermato alla petulante agente immobiliare di trovarla troppo fredda. Freddi e dalle architetture geometriche sono anche i locali dove lei lavora [fig. 6], opposti per l’uso livido e contrastato della luce alla casa di Anita, rischiarata da un riverbero tenue, caldo e circoscritto. Dopo la sua scom- parsa Elena è ancora attratta da quel modesto luogo, col- Le acrobate di Silvio Soldini, 1997 mo di arredi e di oggetti desueti carichi di memorie a lei fig. 2 Valeria Golino nel film estranee [fig. 7]. Così, deciderà di sgombrarla, pur non avendo alcun legame di parentela con l’anziana donna. Durante questa faticosa occupazione Elena scoprirà, at- traverso l’esplorazione e la selezione di vari oggetti, qua-

- te,li libri, da un cartoline, ritmo indirizzato fotografie, a quaderni,lasciar venire un rapporto a sé cose con ed eventi.se stessa Attraversando alimentato da le untracce senso della di lentezza memoria pacifican di Anita coglierà parti di sé ancora inesplorate, al di là della chiu- Le acrobate di Silvio Soldini, sura autoreferenziale rappresentata precedentemente 1997 dalla concentrazione totalizzante nel proprio lavoro. Du- fig. 3 Licia Maglietta nel film rante un dialogo nel tragitto con Maria e Teresa verso il Monte Bianco, confesserà infatti di volersi trasferire in - tuale. E anche il proprio appartamento a Treviso, in cui siuna sentiva nuova prima ditta soffocare,più piccola una e più volta familiare popolato di dallequella cose at possedute da Anita, pur maggiormente ingombro, sarà scaldato da densi timbri cromatici. Elena sperimenta il - gono da stimolo per riprendere in mano lettere e ricordi Le acrobate di Silvio Soldini, contatto con manufatti carichi di stratificazioni, che fun- 1997 fig. 4 Valeria Golino nel film del proprio passato, scoprendo, come confiderà in un in 56 Le acrobate n. 8, luglio-dicembre 2016 timo dialogo notturno con Anna, che la cartolina delle acrobate trovata nell’albergo a Taranto era uguale a una cartolina da lei ricevuta sette anni prima dalla sorel- la, in viaggio lungo le coste della Magna Grecia. Maria, dopo averla ascoltata, replica che la coincidenza rivela la presenza di segnali a cui dare valore; importante per il singolo è vederli e riconoscerli nella forma di segni. Al pari delle parole pronunciate da Maria, cogliamo come nel corso della narrazione il rapporto recettivo che man mano Elena instaura con cose e luoghi, come la luce in-

Le acrobate di Silvio Soldini, nella camera d’albergo di Taranto, la spinge a un ascolto 1997 profondo,tensa da cui al sipari è fatta di una attraversare sorta di pratica aprendo conoscitiva una finestra di fig. 5 Fotogramma dal film se stessa. L’incontro tra le due donne diviene cassa di risonanza di un sentire che muta in entrambe il modo di percepire le rispettive solitudini. La densità delle cose e dei luoghi attraversati, al di - ne allora motore di sensazioni per le protagoniste che, attraversolà dell’immediata il riconoscimento superficie, ildei loro tratti muto sensibili parlare, di divie essi, possono mutare la loro tristezza in nuovo sentire. Og- getti e luoghi possiedono così un inedito respiro; cura- Le acrobate di Silvio Sol- ti e libidicamente investiti, attraverso essi risuonano dini, 1997 frammenti di memorie visive sorte da uno sfondo sim- fig. 6 Licia Maglietta nel film bolico. Rappresentativa di tale orizzonte è la cartolina, precedentemente citata, scoperta da Elena nell’hotel di - servata con stupore misto a piacere [fig. 8]. Dalle sta- Tarantotuette, dal con loro la potere riproduzione evocativo delle e metaforico, acrobate: sono da lei stati os originati sottili legami, sotterranee connessioni volte a una lettera ricevuta da Elena in cui la protagonista par- lavagenerare delle unminute desiderio, sculture, un’apertura Maria e Teresa verso ilsi nuovo: sono recate dopo nel museo archeologico per contemplarne linee, volumi Le acrobate di Silvio Soldi- ni, 1997 fig. 7 Licia Maglietta nel film con i mobili antichi di Anita, con i suoi oggetti carichi di traccee leggerezza. da decriptare, O ancor per più Elena, profondamente, ha rappresentato la prossimità la pos- sibilità di entrare in contatto con un’altra dimensione del tempo, con un tempo soggettivo, nutrito di durata e in particolare, con una costruzione fantasmatica che le hadi attesa,permesso estraneo di avvicinarsi a quello allomeccanico sprigionarsi del lavoro. di momenti E, più di memoria affettiva. Mi piace pensare che Elena, Maria e Teresa, attraver- so l’incontro dell’una con l’altra, abbiano trovato in loro stesse la forza per accogliere la relazione con l’accadere Le acrobate di Silvio Soldini, rischioso dell’esistere, iniziando così a percepire la pro- 1997 fig. 8 Fotogramma dal film

57 Rosamaria Salvatore n. 8, luglio-dicembre 2016 come quello della neve, pregno di un ininterrotto dialogo. pria solitudine al pari di una intimità essenziale con il flusso della vita, con un silenzio,

Bibliografia (a cura di), Silvio Soldini, Roma, Dino Audino Editore, 2000. , La vita delle cose, Laterza, Bari, 2009. E. Audino, F. Medosi‘Incontro con Silvio Soldini’, Cinemasessanta, 233, 1997 < - ema.it/incontri/inc_soldini.htmR. Bodei > [accessed 1 September 2016] G. De Vincenti,, ‘La scelta della leggerezza’, Cineforum, 394, 2000. http://bibliotecadelcin , Un eremo non è un guscio di lumaca, Torino, Einaudi, 2011. A. Piccardi A. Zarri

58 5. Relazioni e rappresentazioni Galleria | Almeno in due 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 5.1. Vittoria e sconfitta: la modulazione della diversità tra/delle donne nei trailer di Martina Federico

- viamo spesso di fronte a storie di diversità in cui, da copione, una protagonista, una don- na Quando‘speciale’ i filme forte scelgono (per scelte di parlare di vita, di valoridonne, di dei riferimento grandi temi e carattere) che le coinvolgono, ribadisce cila trosua

E così troviamo l’emancipata vs la retrograda, la ribelle vs l’allineata, la bohémienne vs la definizioneconservatrice, identitaria la protagonista principalmente vs l’antagonista, ‘rispetto’ l’outsider alle altre, vs per l’integrata, differenza la ‘rispetto’ cosmopolita a loro. vs la provinciale, una vs tutte. La battaglia qui ha come perno l’interpretazione delle solite rappresentatotematiche: l’indipendenza, da una donna il lavoro, che si ilfa matrimonio, portatrice di la valori carriera, differenti l’amore, e idi ruoli una prestabiliti. trasforma- zioneSpesso potenziale questi film nei presentano confronti delleun medesimo altre, che schema: per questo l’arrivo stesso di unmotivo elemento viene di ostacolata, disturbo, ragionnon viene d’essere accettata, che punta e fatica a incuriosire, a farsi capire. stanno Tutto al ciòpasso genera e decidono una situazione di porre conflittuale:l’accento sul come andrà a finire? I rispettivi trailer, in linea con la loro intrinseca natura, con la loro checonflitto motiva a scapito gli spettatori della solidarietà, ad andare ‘indipendentemente’al cinema alla ricerca da della come sua il soluzionefilm andrà (pur a finire, sapen da- cosa realmente racconterà. È questo stesso conflitto accennato, presentato in anteprima, do a favore di quale parte si risolverà il conflitto: vincerà la donna outsider perchè è lei la nell’immaginarioprotagonista e il film collettivo). sta dalla sua parte: per ‘conoscenza enciclopedica’, lo spettatore sa come funzionano le storie e, nello specifico, sa il ruolo che occupano questo tipo di storie- operaCome della verrà donna, sviluppata e con l’alterità?essa l’approvazione, Se nel trailer l’affermazione c’è conflitto, neldei filmnuovi cosa valori? accadrà? Riuscirà Vin ocerà meno il conflitto la donna-portatrice stesso oppure di cambiamentola coalizione ina condurre seguito all’eventuale l’antagonista trasformazione dalla sua parte, ad o quanto meno a farle raggiungere una forma di consapevolezza? Riuscirà a far trionfare i suoi valori? E se sì, in che modo? Nel trailer di Mona Lisa Smile (M. Newell, 2003), ad esem- pio, viene presentata la storia di una professoressa che arriva a insegnare in un college e si scontra con una classe di ragazze colte e impertinenti, di buona famiglia ma senza aspi- razioni professionali. Il loro obiettivo nella vita, nonostante studi di alto livello, sembra essere quello di sposarsi e fare le mogli. Al contrario, lei fonda con convinzione la sua vita sull’indipendenza e sulla realizzazione professionale [fig. 1]. In The Help dispiacere della (T. madre) Taylor, ed 2011) è in immediata la protagonista e manifesta è la voce contrapposizione fuori dal coro incon un le gruppo altre, che di amiche del circolo di bridge: ambisce a diventare giornalista e scrittrice (con immenso negativamente [fig. 2]. pensanoIn The al Dressmaker matrimonio – eIl adiavolo una vita è tornatodisimpegnata, mentre il film provvede a connotarle- to controverso torna nel suo paesino natio, dove la ritengono una strega e un’assassina. Lontano da casa ha lavorato nel campo della (J.moda Moorhouse, a Milano, 2015)Londra, una Parigi donna e New dal York.passa È affascinante, ben vestita e mal vista dal contesto provinciale, soprattutto femminile, a cui si oppone con decisione se non addirittura con beffa [fig. 3]. 60 Martina Federico n. 8, luglio-dicembre 2016

- grazieNel passaggioalla quale ildal rapporto trailer al tra film le donnesi compie diventa il movimen da osti- leto: a lasolidale trasformazione (da nemiche dal ad conflitto amiche). alla Anche sua se risoluzione, i rispetti- vi trailer, per vocazione, hanno puntato a incuriosire e ora di fronte a una risoluzione dello scontro in ognuno si sono incentrati sull’aspetto conflittuale, ci troviamo positivamente la protagonista portatrice di novità che, inizialmentedei casi: rispetto osteggiata, ai loro riescestessi trailer,nel suo iintento film sanzionano cambian- do le sorti della storia stessa, facendo prevalere la ‘resa’ Monnalisa Smile di Mike delle altre, quindi l’unione, la solidarietà, in nome di una Newell, 2003 fig. 1 nel film giusta causa (valori validi). Del resto, ogni appassionan- te vittoria viene dopo un altrettanto appassionante con- - re di una storia, intesa nel senso esteso di ‘narrazione’), flitto. Anzi, quanto più sarà aspro il conflitto (sano moto Di recente, a squarciare come un fulmine a ciel sereno latanto consuetudine più sarà avvincente che si tramanda la vittoria delle (dal donne giusto vittoriose lato). al cinema, che combattono (e vincono) contro altre don-

alla Thelma e Louise (R. Scott, 1991) dove, a cominciare The Help ne per affermare i loro valori positivi, un film italiano 2011 comune con i precedenti il tema della diversità in gene- fig. 2 nel film di Tate Taylor, raledal trailer, (delle due non donne è presente rispetto conflitto al mondo) alcuno. e della Il film differen ha in- za (caratteriale, di estrazione sociale, e generalmente estetica, che fa sì che una sia bionda e l’altra sia mora) tra dall’inizio. le dueIl trailer donne, de ma La ilpazza suo trailer gioia (P.punta Virzì, sulla 2016) coalizione ha un ele fin- sensomento lato) particolare: da risolvere, è un trailernon ha cristallino,alcun interesse non presentaa punta- The Dressmaker redubbi, sulla non sorpresa presenta (di domande,qualunque non sorpresa presenta si tratti).conflitti Esso (in Moorhouse, 2015 fig. 3 Kate Winslet nel film di Joselyn pazienti di un istituto terapeutico [fig.4]. Valeria Bru- cini parlaTedeschi della è storiauna paziente a ‘lieto esuberante,fine’ di un’amicizia gioiosa, tramentre due Micaela Ramazzotti appare come sofferente in un sen- so tendenzialmente depresso a causa della sottrazione - mo dalla battuta della prima sui tatuaggi della seconda («Certo,del figlio. potresti Sono di comprarti diversa estrazione una quadernetto sociale, edove lo capia scri- vere tutti i tuoi appunti!»), nonché dal fatto che la prima fa a un certo punto ritorno dai familiari con piscina. Si af- fezionano l’una all’altra, scappano da villa Biondi, si dan- no alla pazza gioia, vanno in discoteca a ballare, guidano una macchina in aperta campagna, ridono, brindano, ne La pazza gioia, di Paolo Virzì, 2016 fig. 4 Valeria Bruni Tedeschi e Micaela Ramazzotti nel film 61 n. 8, luglio-dicembre 2016 Vittoria e sconfitta - no, e una dice all’altra «meno male che ci sei te». Si salvano reciprocamente. Da un trailer chiarocombinano che poidi tutti scopriamo i colori, esserefino a ritrovarsi anche lineare, su un nelmuretto senso al che tramonto, salvaguarda dove sila abbraccia struttura

- vamente,cronologica per del quelle film (ilcentrali trailer e rispetta per quelle il film conclusive) nelle sue viene fasi e fuori nel suo un complesso:quadro disperato per lo più, ma inequivocabile.le immagini dell’inizio Allo spettatore sono tratte non dall’inizioresta che unadel film,domanda e lo stesso(di cui discorsopurtroppo vale, già rispetticonosce la risposta): il loro affetto vicendevole può bastare da solo in una situazione dalle tragiche modopremesse? comune La risposta di intenderla era già tra scritta simili, nelle di felicità maglie non della totale, storia: speciale. loro sono Non le restamatte dunque di una casa di cura. Sapevamo che si sarebbe trattato di una felicità difettata, più che altro di un che prestare ascolto all’unica sorpresa che il film tiene in serbo: si tratta di una storia che fa piangere e fa ridere molto più di quanto ci si potesse aspettare; è più una commedia (dal finale amaro) e più una tragedia di quanto dalle scene del trailer si potesse capire.- ramentoI due aspetti che vengonosupera di accentuati molto le aspettative rispettivamente del trailer; dall’una l’altra e dall’altra si spinge attrice: nella laprofondità prima si delesibisce suo passato, fino alla delle fine suein un eventuali esilarante colpe, ruolo della ‘morettiano’ sua fragilità con restituendo una costanza una qualitàe un tempe della sofferenza molto lontana dal comune (e dalle anticipazioni). Quindi, ancora una volta, ci poniamo la domanda, lasciando spazio al dubbio, non fosse altro che per ascoltare la sto- cheria che danno hanno vita da a unaraccontarci: felicità (un riusciranno sollievo, l’appagamento per davvero a gioiredi un bisogno) di questa che felicità? sarà per Sarà forza per loro sufficiente? La storia che si sviluppa tra le righe è quella di un legame tra due donne - sufficiente, se è l’unica possibile. Avranno la loro personale vittoria? No. Sarà la sconfitta a vincere (la società avrà la meglio), ed è per questo che vincerà, a sua volta e fin dall’i nizio, anche la solidarietà. Non importa come va a finire. Fin dal trailer, non importa. Ed è a causa di ciò che il trailer decide di svelare il finale per quello che è: il suggello a una storia di sconfitta, di follia, di aiuto reciproco e non la risposta alla domanda sul come va a finire nella battaglia di due donne rispetto al resto del mondo, su chi la spunterà alla fine (se una società che si definisce ‘sana’ o loro che vengono definite ‘malate’, perché dalla scena finale anticipata già sappiamo che sarà la società a trionfare). Se è vero che diogni happy appassionante ending vittoria viene dopo ogni appassionante conflitto, qui la sconfitta è in alterità,partenza né e conflittiuna dialettica non esistono, battaglia-vittoria, se per loro perchénon è prevista le protagoniste nessuna sono soluzione due (non (in sensocome ). Qui il fiabesco non trova posto, non c’è spazio per miracoli. Non c’è reale una esuberante e l’altra depressa, una ricca e l’altra povera. neiPer casi quanto precedenti), debba eincuriosire, la sconfitta un è doppiatrailer maben unitaria. fatto deve Sono rispettare due e sono pur uguali,sempre sebbene ciò che storia di follia, di compagnia, di cura. Prima ancora che di indipendenza, lavoro, matrimo- nio,il film carriera, intende amore, essere, ruoli e raccontare. prestabiliti, Questa è una non storia è una di fragilità,storia di battaglienon una storia fra ideali, di forza, ma una ma come in un circuito, amaramente con il punto iniziale (se la storia non fa un passo, non sidi muove,debolezza. a meno È una di storia non stravolgere senza sviluppi tutto e alimentandosenza crescita, altre dove piste, il punto che speranzefinale coincide, aveva il trailer?). È la storia della ribelle che non si ribella, della bohémienne che sottostà alle regole, dell’emancipata che non arriva a comprendere la sua avanguardia, della protago- nista antagonista di se stessa, dell’outsider che resta fuori la porta di casa, della cosmo- polita che ne perde le chiavi, dell’una che resta sola. 62 Martina Federico n. 8, luglio-dicembre 2016

Bibliografia , Il sistema sceneggiatura. Scrivere e descrivere i film, Torino, Lindau, 2009. L. Bandirali,, Lector inE. fabula. Terrone La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano, Bompiani, 1979. , La scena di seduzione al cinema – Strategie autoriali e rappresentazioni stereotipe, U.tesi Eco di dottorato in Scienze del Linguaggio e della Comunicazione, Biblioteca Nazionale Centrale, Firenze,M. Federico 2014. , ‘Prefazione’ in Immaginario, Lexia, 7-08, 2011. , Corso di Linguistica Generale [1916], trad. it. di T. De Mauro, Bari, Laterza, 1967. M. Leone, Semiotica della pubblicità, Bari, Laterza, 2003. F. de Saussure U. Volli

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 5.2. Mai da sole. Bambine, esperienza del cinema e processi di socializzazione di Mariagrazia Fanchi

- le e politica dell’ingresso nella sfera pubblica e della partecipazione alla vita associata. ComeLa storiaMiriam delle Hansen donne scriveva ‘al cinema’ nella si celeberrima intreccia fin analisi dai suoi del esordi fenomeno con la Valentino, questione e sociacome

Veronica Pravadelli, per citare i principali, il cinema ha rappresentato nel corso del Nove- hanno successivamente dimostrato i lavori di Andrea Walsh, Jackie Stacey, Annette Kuhn, relazione e di acquisizione di una coscienza politica e sociale per le donne. centoContemporaneamente un importante volano l’accesso di emancipazione al cinema è e, stato più ampiamente, lungamente uninterdetto luogo di incontro,alle spetta di- - miscuità, buio, intensità della stimolazione sensoriale che, come si legge ancora in alcune ricerchetrici, in quanto degli anni spazio Cinquanta, pubblico sovraeccita e in ragione pericolosamente delle peculiari uncondizioni pubblico che già impone:impressiona pro- bile e irrazionale qual è quello femminile. Al cinema sì, dunque, ma non da sole. L’interdizione ad entrare in sala senza un accom- pagnatore (o un’accompagnatrice) si manifesta, naturalmente, in modo diverso a seconda dei momenti storici e dei contesti sociali e culturali. A cavallo fra gli anni Quaranta e

- camenteCinquanta, che come nelle racconta aree del settentrioneWalsh, paradossalmente del Paese. in modo più rigido che non nei due decenniIn tutti precedenti; i casi, la cifra e se della pensiamo condivisione all’Italia, si nelleimpone regioni come meridionali tratto distintivo assai piùdell’esperien sistemati-

- spensabileza femminile all’andare del cinema: al cinema. diversa dalla necessaria condivisione dello spazio e del tempo della visione in sala; piuttosto una socializzazione ricercata, pianificata, premessa indi

Su questa dimensione di condivisione, che da prescritta si fa voluta, non più vincolo, vannoma risorsa, al cinema si concentra nel secondo questa dopoguerra riflessione. alle babyboomers Un percorso attraverso la memoria di più generazionimillennials di spettatrici:, che a dispetto dalle della donne riloca che- zione continuano a desiderare il cinema e la condivisione che, per esso le ‘impone’, quali vedere forma il elettifilm è- vasoprattutto di un consumo un fatto altrimenti politico; routinario fino ad arrivare e impoverito. alle E’ proprio da quest’ultima coorte di spettatrici che prendiamo le mosse.

Riscoprire e reinventare il cinema

- tava ad abbandonare ogni pessimismo e pensiero preconcetto sul futuro del medium e a «lasciareNel 2009, che riflettendo le giovani generazioni sul significato cresciute del cinema con le in (nuove) epoca digitale,tecnologie Miriam abbiano Hansen l’opportu invi- nità di incorporarle nella loro memoria culturale e di riscoprire e reinventare il cinema». Riscoprire e reinventare. Qualche anno prima, nel 2006, mentre il processo di digita- lizzazione in Italia stava compiendo i suoi primi faticosi passi, una ricerca sul rapporto fra bambini e cinema provava già a raccogliere questa sfida, interrogandosi sul senso e sul 64 Mariagrazia Franchi n. 8, luglio-dicembre 2016 valore del cinema per gli spettatori nati insieme al digi- tale. Una domanda posta in un momento non felice per il cinema italiano, entrato da un paio d’anni in una fase di

Da quella ricerca emergeva uno spaccato complesso, fattostagnazione, di vissuti che e disarebbe esperienze durata diverse, fino ad raccolte oggi. attraver- so quasi 3000 questionari e disegni, che confermavano millennials avessero quasi cessato di andare al cinema, quell’esperienza continuava adun esseredato comune: profondamente per quanto radicata i nel loro immaginario. Una sorta di codice genetico fatto di aspettative, di pra- tiche, di piccoli riti, che a dispetto della rarefazione delle occasioni di consumo in sala, rimandavano in modo si- stematico e costante a quell’esperienza originaria. Insieme a questa importante evidenza, dai disegni, mamma dai fumetti a volte dalle brevi storie con cui i bambi- fig. 1 Genealogie: al cinema con la emergeva anche una chiara differenza fra esperienze di ni raccontavano che cosa il cinema significava per loro piccoli, tendevano a ‘rappresentare il cinema come luo- visione maschili e femminili. I bambini, soprattutto i più nel loro mondo di vita (casa, scuola, a volte chiesa, pa- nettiere,go’: parte salumiere… della loro topografia e cinema), esperienziale,spazio imponente, integrato per- sino soverchiante (la platea veniva disegnata come una distesa sterminata di sedili, lo schermo come un enorme riquadro), abitato da potenti strumentazioni tecnologi- che (il proiettore, le tecnologie di diffusione del sonoro). Nei disegni delle bambine, viceversa, l’esperienza del ci- nema veniva raccontata essenzialmente come ‘relazione, opportunità di condivisione con le amiche’ [fig. 1], con la mamma [fig. 2], a volte con gli insegnamenti o con gli addetti alla biglietteria; in tutti i casi un’esperienza pri-

socializzazione in scena di coppie o di gruppi; la personalizzazione de- fig. 2 Le amiche, identificazione e glimariamente spettatori sociale, (non un figurativizzata generico pubblico, attraverso ma un la insieme messa capelli, le acconciature… o persino dai nomi); l’enfasi di persone identificate da tratti[fig. idiomatici 3], uniti – ilin colore un’espe dei- rienza corale che si manifestava nelle pose dei corpi [fig. sull’affinità4], nelle espressioni fra gli spettatori dei volti, persino nei pensieri o nelle parole [fig. 5]. rilevano questa irriducibile dimensione di condivisione Un tratto che torna anche in ricerche più recenti, che- ma, la nostalgia della sala, l’aspirazione a un consumo fuoriche, più dalle del mura film, domestiche alimenta il edesiderio in quello di spazio, andare un al po’ cine an- tro, un po’ luogo magico, che è il cinema.

65 fig. 3 Insieme. Prossimità e affinità Mai da sole n. 8, luglio-dicembre 2016

Bibliografia , Babele e babilonia. Il cinema muto americano e il suo spettatore [1991], trad. it. di C. Capella, G. Alonge, Torino, Kaplan, 2001. M. Hansen, Star Gazing. Hollywood Cinema and Female Spectatorship, NY-London, Routldge, 1994. , Le donne del cinema. Dive, registe, spettatrici, Roma-Bari, Laterza, 2014. J. Stacey , Women’s Film and Female Experience. 1940-1950, NewYork, Praeger, 1984. V. Pravadelli A. Walsh

fig. 4 Un corpo solo. Un’anima sola fig. 5 Comunità di intenti

66 Galleria | 6.Almeno Essere molte: in i duecollettivi 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 6.1. Dal gruppo alla collaborazione a due. L’esperienza di Flavia Alman e Sabine Reiff, pioniere delle nuove immagini di Sandra Lischi

La storia che vorrei raccontare è una storia di collaborazioni e lavoro di gruppo. Inizia coppia di artiste, da Correnti Magnetiche a Pigreca. È una storia di pionieri e pioniere negli anni Ottanta, prosegue fino ad oggi e si sviluppa da un collettivo di artisti a una siamo proprio sulla soglia, negli anni esplorativi di quelle tecnologie ancora non diffuse e soprattuttodelle immagini allora in movimentoinesistenti al e diin fuoriparticolare dei primi delle utilizzi audio-visioni operativi digitali: e concreti. anzi, all’inizio Il gruppo Correnti Magnetiche nasce a Milano nel 1985 ed è uno dei gruppi che carat- terizzano la scena indipendente italiana, tradizione che ha radici nel campo del cinema e del video di controinformazione già in anni e decenni precedenti. Nel campo delle im- magini elettroniche ‘innovative’ a Milano, nel 1982, era nato il gruppo di Studio Azzurro e a Firenze nel 1984 quello dei Giovanotti Mondani Meccanici, per fare solo due esempi di rilievo. La peculiarità di Correnti Magnetiche è quella di esplorare, prima di altri, le modalità artistiche delle tecnologie e dei software digitali (fra cui i primissimi program- mi per le immagini tridimensionali), anche nelle relazioni musica-immagine. Ricerca in- elettronica e arte digitale), Mario Canali (di formazione pittore), Riccardo Sinigaglia (ar- chitettocarnata edalle musicista). diverse Il provenienze gruppo si arricchisce degli iniziatori poi con del altri gruppo: apporti Adriano fra cui quelloAbbado di (musicaStefano Roveda (anche per la realtà virtuale), nel 1986 di Flavia Alman (studi in lingue, cinema e immagine pubblicitaria ma anche pittrice e scultrice) e di Sabine Reiff, nata e cresciu- ta in Germania, con formazione in economia aziendale, e specialista, nel gruppo (cui si unisce nel 1989), di sviluppo di software per applicazioni grafiche e interattive. Questi e altri nomi formano un insieme – intorno al quale ruotano collaboratori e collaboratrici diversi, a seconda delle opere e delle iniziative – in cui dialogano musica, informatica, pittura, grafica, teoria e tecnologia, e che di fatto, volendo sintetizzare, apre la strada in Italia alla computer grafica d’artista. Un tipo di computer grafica che sa dialogare con la conricerca grande internazionale attenzione (aa una partire creazione dai pionieri musicale del originale.computer film negli USA) ma anche con la tradizioneÈ in particolare figurativa Flavia antica Alman e moderna.a proporre Fra un dialogomemoria con e l’arte,futuro, in citazione Citazioni e(1988) astrazione. e Puzzle E Museum (1989), omaggi anomali, giocosi, brevi. Nella seconda, ispirata a Bosch, come nota Alessandro Amaducci (2003) «il ricorso alla figura della strega […] è anche un ironico riferi- mento a un’idea del femminile legata ai misteri dell’arte magica combinatoria e dell’alchimia (la farfalla è il simbolo della metamorfosi)». concerti, i tanti premi ottenuti in Italia e all’estero con le opere (trasmesse anche da varie Non mi soffermo qui sulla ricca bibliografia e soprattutto sulla videografia, le mostre, i messareti televisive) a punto die nuovile installazioni software coninterattive. elementi Estetica biologici e efilosofia neurologici, del gruppo in particolare vedono in una al- raffinata ricerca grafica e un approccio tecnologico-organico che coniuga esplorazione e- no ‘misurati’ da sensori che agiscono come nuove forme di ‘oracoli’ il cui esito è costituito dacune forme installazioni e suoni cangianti interattive e ‘creati’ dove il come gesto, involontariamente il battito cardiaco, dall’utente. lo stato psico-fisico vengo 68 Sandra Lischi n. 8, luglio- dicembre2016

Ricca è anche la produzione monocanale, nella quale soprattutto Flavia Alman e Sabi- ne Reiff realizzano opere dove è protagonista la metamorfosi, anche giocosa, ed è centra- le il tema dell’identità mutevole, come nella installazione interattiva Telespecchio (1993), ‘specchio’ elettronico che scombina, scompone e ricompone i volti dei visitatori, da cui nasce nello stesso anno il brevissimo video Chorus, un ‘coro’ appunto di nuove identità,

Correnti Magnetiche, la società Studio Canali-Pigreco (Alman, Reiff, Canali, Roveda), che siora specializza divertenti in ora particolare mostruose in erealtà inquietanti. virtuale Si e era 3D, intanto con ambienti costituita, di grande nel 1991, impatto, a fianco anche di a livello internazionale, le copertine della rivista Virtual, spot pubblicitari, ‘marionette elettroniche’ che interagiscono con gli spettatori (con l’apporto di Giacomo Verde, come in Euclide Roveda prosegue la sua attività entrando a far parte di Studio Azzurro e Mario Canali continua con, del lo 1994). Studio Pigreco che porta ha fineil suo nel nome. 1994, Flavia e Correnti Alman Magnetiche e Sabine Reiff nel nel1996. frattempo Stefano avevano creato la Pigreca, [fig. 1] periodo, poi la Pigreca staccò sulla longevità… e la Pigreca, resiliente, è tuttora in atto» (Alman, Reiff, 1999). Una storia chesempre fa dunque a Milano: parte le anche due società della rete «coesistettero di gruppi, società, per un investimenti autorial-imprenditoriali su attrezzature impegnative. La mia storia prende le mosse dalla curiosità per questa collaborazione a due, iniziata in Correnti Magnetiche e diventata poi iniziativa autonoma. Alman e Reiff certamente serbano ed ampliano l’approccio lucido e ludico ad alcune tematiche, come quella della metamorfosi, del ritratto e autoritratto, dell’identità; un metodo di ‘rovesciamento’, anche teorico-critico-termi- nologico, che demolisce la visione facile ed enfatica delle ‘nuove tecnologie’, che le due artiste multimediali esplorano con grande perizia; l’attenzione al corpo, anche al corpo della rete e alle sue diramazioni. Ma, recentemente, sviluppano anche una grande attenzione all’aspetto didat- tico e formativo, accanto a una produzione di lavori che vanno dal graphic novel per web e app a opere di videoarte a installazioni interattive. Fino all’interesse per la musica, che entrambe praticano anche in duo (non elettronica in questo caso, in quanto si tratta del molto analogico handpan). Il passaggio dal lavoro nel collettivo neutro alla esperienza della Pigreca, attraversa- ta e vivificata dalla relazione femminile, suscita molteplici interrogativi: quali tematiche speci- fiche già enucleate in Correnti Magnetiche si sono rafforzate – o magari sono state abbandonate – nella creazione di Pigreca? Quali caratteristiche, nelle diverse formazioni e competenze, sono state proficue nel dialogo a due? Quali le riflessioni odierne delle due artiste? E come si sviluppa l’attenzione alle tematiche di genere, a cui Alman e Reiff si dichiarano molto interessate (anche se le loro installa- zioni «proiettano sensazioni sul sé in generale») nei confronti della «norma del comportamento sociale eterocrati- co vigente», come dicono? «Le nostre installazioni riflettono informazione sulle molteplicità dei sé», dichiaravano in un’intervista nel 1996. Sono alcune domande che orien- - trovato dialogo con Flavia e Sabine, dopoteranno vent’anni la mia dal riflessione, mio ultimo nel con ri- tatto con loro.

69 fig. 1 Flavia Alman e Sabine Reiff (autoritratto anamorfico) Dal gruppo alla collaborazione a due n. 8, luglio-dicembre 2016

Bibliografia A. , Banda anomala. Un profilo della videoarte monocanale in Italia, Torino, Lindau, 2003. M.G. (a cura di), Correnti Magnetiche. Immagini virtuali e installazioni interattive, Perugia, Arnaud-Gramma,Amaducci 1996 (catalogo della mostra svoltasi a Perugia, Rocca Paolina, 11-25 maggio 1996).Mattei in Intervista alle Pigreca, gennaio 1999, < pdf/Pigreca_intervista.pdf > [accessed 1 September 2016] F. Alman, S. Reiff http://www.strano.net/bazzichelli/

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 6.2. (T)Essere Movimento. Donne in cerca di sé nel cinema sperimentale italiano tra anni Sessanta e Settanta di Giulia Simi

La seconda stagione del cinema sperimentale esplode in Italia a metà degli anni Sessan- ta, negli stessi anni in cui happening, ambienti e opere mediali si apprestavano a costruire il vocabolario di un’arte in cerca di smaterializzazione. Che il dissolvimento dell’oggetto artistico coincida con gli anni della contestazione, in quel ‘lungo Sessantotto’ che tentò di abbattere ogni barriera tra arte, politica e vita, trova nelle parole di uno dei protagonisti

(Murridi quella e Vatteronistagione, 1999).Alberto Grifi, una delle spiegazioni più calzanti: «forse è anche per questo che il Sessantotto non ha prodotto arte: perché l’arte vera era essere movimento» e degli eventi, ma anche ‘tessere movimento’, dove le singole storie si intrecciano per per- mettere‘Essere alla movimento’, Storia di compiere quindi, dove un salto. il fluire Ecco dell’immagine che si moltiplicano diventa gli anche spazi il di fluire condivisione dei corpi

Come ricorda Anna Bravo (2008), saranno proprio gli spazi di una nuova e dirompente e collaborazione: collettivi di artisti, di cineasti, di studenti, poco più tardi, di femministe. stagione di lotta, quel tentativo di spostare la politica nel tempo e nel luogo della quoti- dianitàsoggettività agito femminile in prima persona. a costituire Il cinema, l’eredità strumento tra le più prezioso, significative specialmente consegnate nella da quellaforma leggera, duttile, economica del piccolo formato, di documentazione e di denuncia, è scelto anche come medium per dare corpo a quel ‘partire da sé’ che traduceva, nel linguaggio di allora, il passaggio dall’individuo alla collettività. In quel «rovesciamento dal maschile al

- femminile» (Passerini 1988), il cinema in prima persona esplode come la più felice tra le lasperimentazioni mappa di una nuova di quegli identità anni, collettivacertamente in quelladivenire. che più caratterizza la produzione del le donneÈ in un in simbolico cerca di sé. maggio Le loro 1968 opere, che poche Giosetta in una Fioroni prolifica inaugura produzione uno degli maschile, eventi espositisegnano- Il teatro delle mostre, voluto e messo in piedi in tempi record da Plinio de Martiis per la sua galleria La Tarta- rugavi che, presentava, più segnerà con il connubio cadenza tra giornaliera contestazione e per novee sperimentazione: giorni di seguito, un singolo artista con un progetto ambientale o performativo. Trasferendo l’intera camera da letto in una stanza della galleria e costringendo i visitatori a sbirciare dal buco di una serratura i ge- sti cadenzati dell’attrice Giovanna Calandra, Fioroni spettacolarizza la realtà, alludendo ai pionieristici dispositivi del pre-cinema ma anche alle forme allora contemporanee del - loga certamente con la breve esperienza di cinema sperimentale che l’artista aveva intra- presorotocalco. in quegli L’opera, anni. inserita In La solitudinein una complessa femminile riflessione (1967), in sulla particolare, soggettività che precede femminile, di poco dia la performance de La Tartaruga, sé. Sceglie così di abitare un territorioFioroni ibrido affonda dove nell’insanabileuna faticosa ricerca conflitto identitaria tra autenticità assume lee artificio forme della indugiando leggerezza, sul trucco,del piacere il travestimento, ludico e dell’irriverenza. la maschera, Sulle lo specchiarsi tracce di unain cerca gram di- matica teatrale, ma d’altra parte, nota ancora Passerini (1988) «il gioco teatrale fa parte della costituzione in soggetti, come capacità di sdoppiarsi e osservarsi», si delineano i

71 Giulia Simi n. 8, luglio-dicembre 2016 contorni di molte delle opere sperimentali femminili di quegli anni. In Amour du Cinéma (1969) Rosa Foschi intreccia merletti, disegni infantili, immagini delle dive del passato e del presente, indagini allo specchio e travestimenti scenici in una straordinaria opera di animazione passo uno che richiama, nella tecnica del collage e nell’uso di materiali poveri e domestici uniti a suggestioni mediatiche, l’ironica indagine sulla soggettività femminile messa in atto anni prima dalla surrealista tedesca Hannah Höch. Collage e fotomontaggio lasaranno prima lavoreràprotagonisti soprattutto anche nella sul found pratica footage artistica e sembrerà di Lucia meno Marcucci attratta e Ketty da un’indagine La Rocca, identitaria,entrambe attive la seconda nel Gruppo realizzerà ’70 a AppendiceFirenze e autrici,per una a supplica loro volta, (1972) di film, tra sperimentali. le prime opere Se di videoarte italiana, una sorta di pièce in tre atti per sole mani: riprese in inquadratura cercarefissa su nuovifondo spazinero edi attraversate libertà. Sono dalla ancora ripetizione le mani, ossessivaspazio di esplorazionedella scritta ‘you’,e di incontro le mani tracompiono sé e il mondo, gesti iconici, ad essere conte al centroinfantili dell’indagine o tentativi di un’altrauscire dai artista confini e cineasta, del video Valentina come a Urbana (1973)

Berardinone,e si tende verso che la tra luce, il 1971 la mano e il 1981scrive realizza su un foglio, 9 film la in mano piccolo cancella formato. una In scritta, la mano si«la chiude mano apulisce pugno» nevroticamente (Vergine 1974). il vetro di una finestra, la mano sbuca sotto un gradino Segnata dall’incontro con il Living Theater, anche Pia De Silvestris (Epremian) esplora attraverso il corpo, in un’originale miscela di happening e home movie, i possibili spazi di libertà. Se in Dissolvimento (1970) [fig. 1] gli oggetti della quotidianità casalinga compon- gono una grammatica della nevrosi, in Infiniti Sufficienti (1970) [fig. 2] Epremian indaga l’identità racchiusa negli spazi privati della cura familiare. Volti di don- il suo ultimo film, donnane in primo a far pianoparte –della «tutti Cooperativa i miei film Cinemasono nati Indipendente, con un viso di ad donna esclusione […] crudele di Anna e dolente Lajolo, maschile e femminile» (Bacigalupo) – ritmano lo sguardo di una cineasta inquieta, l’unica che tuttavia firma tutte le sue opere assieme a Guido Lombardi.

Dissolvimento, 1970. Cour- Infiniti Sufficienti dell’artista fig. 1 Pia De Silvestris (Epremian), fig. 2 Pia De Silvestris (Epremian), , 1970. Courtesy tesy dell’artista

72 (T)essere movimento n. 8, luglio-dicembre 2016

Figura poliedrica è invece quella di Miscuglio. Quest’ultima, che fonderà as- sieme ad Amerigo Sbardella e Paolo Castaldini il Filmstudio 70 a Roma, spazio privile- deigiato collettivi di proiezione femministi e promozione (Licciardello del cinema2016) numerose underground opere italiano, di inchiesta avrà piùe di di denuncia, altre un traruolo cui nell’attivismo A.A.A. Offresi ,femminista, il noto documentario firmando, sullaanche giornata come co-autrice di una prostituta nell’intensa censurato stagione e - gna internazionale Kinomata: donna con la macchina da presa, che, prima in Italia, tentava unamai mappaturamandato in delonda contributo dalla RAI. autoriale Nel 1976 femminile organizzerà, nel cinemaassieme narrativo. a Rony Daopoulo, Negli stessi la rasse anni, tuttavia, Miscuglio aveva intrapreso una breve esperienza sperimentale, collaborando in sono lo spazio di un racconto intimo, diretto, sottratto, come lei stessa sottolinea, alla mediazionealcuni casi con culturale, il musicista sociale, Alvin tecnica Currain. che ilI suoicinema ‘filmini’ in grande in super8, formato come richiede. amava Indefinirli, essi la sua esperienza di attivista e femminista, l’espansione del politico negli spazi del privato e quell’‘essere movimento’ che cercava, pretendeva, la messa in gioco del sé nella sua in- mi ha portata a cercare me stessa, guardare in me stessa mi ha allontanata dall’attivismo politicoterezza, esembra mi ha mostratotrovare il ilsuo dualismo spazio piùdel autentico:mondo del «l’approfondimento pensiero, i suoi meccanismi del femminismo e i suoi rivoluzione interiore» (Filmstudio 70). limiti.Le parole Non posso di Miscuglio, più credere che alla accompagnavano rivoluzione che la non proiezione abbia come di due premessa delle sue una opere profonda spe- rimentali, Canti Illuminati e Ritratti (1975), sembrano prestare voce a un canto comune, pieghe di un’identità da costruire, dove la cinepresa diventa strumento per (t)essere mo- vimentoquello di edonne dove ilche partire hanno da tentato, sé è un nellaparlare loro di pratica‘noi’. cinematografica, di affondare nelle

Bibliografia , Bianco e Nero, 5-8, 1974. , A colpi di cuore: storie del Sessantotto, Bari, Laterza, 2008. M. Bacigalupo ,(a ‘Il cura film di),sperimentale’ ‘Dimensionenumero super8’ monografico, quaderni del di filmstudio GPR,A. Bravo 1975. Filmstudio 70 , ‘Io sono mia. Esperienze di cinema militante femminista, 2, anniRoma, Settanta’, Centro Grafico Zapru- der, 39, gennaio-aprile 2016. A. Licciardello Close-Up. Storie della visione, 5, novembre-gennaio, 1999. S. Murri, F. Vatteroni, Autoritratto, ‘Quando di gruppo, il tempo Firenze, non Giunti,e denaro. 1988. Intervista a Alberto Grifi’, , Il corpo come linguaggio, Milano, Prearo, 1974. L. Passerini L. Vergine

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 6.3. Il collettivo de Le Ragazze del Porno di Lorenza Fruci

‘Essere (almeno) due’, e quindi anche sette, dieci o dodici… Sono questi i numeri del col- lettivo Le Ragazze del Porno, un gruppo di registe italiane unite nell’obiettivo di produrre

- in Italia dei film porno-eroticiDirty Diaries al femminile., diretti dalla L’idea regista nasce svedese prendendo Mia spunto Engberg, da prodottiun articolo in del 2011, a firma della giornalista Tiziana Lo Porto, dedicato alla raccolta dei corti por- conografici anche unfemministi manifesto di dieci punti a favore della libertà sessuale delle donne, che Le SveziaRagazze nel del 2009 Porno e finanziati italiane fanno dal governo. proprio. A «Difendisupporto il didiritto questo di progettoessere eccitata cinematografi alla tua maniera», senza adattarti ai bisogni degli uomini, è il punto due, mentre il punto sette in- cita a combattere «il vero nemico!», ovvero la censura, perché, fino a quando le immagini Lesessuali Ragazze resteranno del Porno dei diventa tabù, anche realtà, la grazierappresentazione all’interesse delle e alla donne curiosità non cambierà.che l’articolo di È proprio intorno alla riflessione sulla rappresentazione delle donne che il progetto

TizianaEra Lo il momentoPorto suscita delle nella‘olgettine’, regista di Berlusconi,Monica Stambrini, del movimento che ricorda: Se non ora quando. Da un lato c’erano le escort, dall’altro le donne che si scandalizzavano. Noi non ci senti-

dei Dirty Diaries anche in Italia. Proviamo a farlo, realizzando dei corti porno in cui anchevamo rappresentatele donne si possano da nessuna riconoscere.* delle due parti. Ci siamo dette: sarebbe bello girare

Così Monica Stambrini e Tiziana Lo Porto iniziano a contattare altre autrici e registe per coinvolgerle nel progetto. Sono loro quindi le ‘almeno due’ che, in coppia e ispirate da una terza donna, la regista svedese Mia Engberg, hanno avuto il coraggio di unirsi e dare vita al collettivo Le Ragazze del Porno, che oggi è diventato un vero e proprio movi- mento. Mara Chiaretti, Anna Negri, Regina Orioli, Titta Cosetta Raccagni, Lidia Ravviso, Emanuela Rossi, Slavina, , Erika Z. Galli e Martina Ruggeri sono le registe che vi hanno aderito, tutte tra i 25 e i 75 anni con esperienza nel cinema indipendente e mainstream, nel teatro, nella televisione e nella video arte [fig. 1]. Lo scopo del gruppo è rappresentare la molteplicità della visione femminile della ses-

- sualità, tra erotismo e pornografia. «In qualche modo sentivo che era una cosa politica» Laha sottolineatomaggior parte Stambrini di loro si«per conosce questo durante aveva più un sensoworkshop farla diinsieme scrittura ad altre erotica donne», condotto tan to che «il fatto di metterci insieme è stato uno dei fattori più importanti del progetto». insieme. «È stata un’esperienza forte. Tra registe non ci conoscevamo. Il primo giorno è statoda Slavina quasi nel una 2012 seduta a Roma, di psicoanalisi», una sorta di con laboratorio queste parole finalizzato la videomaker a girare le Lidia scene Ravviso scritte racconta il loro primo incontro che le ha portate ad aderire al progetto proposto da Stam- brini eL’argomento Lo Porto: ci interessava, siamo tutte registe, e abbiamo iniziato a confrontarci sui diversi linguaggi e punti di vista. Abbiamo avuto anche discussioni. Ci si vedeva una volta alla settimana, si parlava di esperienze, di vita, ci siamo scontrate anche su questioni politiche. È stata un’esperienza collettiva potentissima, ha messo in moto tutto, anche cose personali. 74 Lorenza Fruci n. 8, luglio-dicembre 2016

A questi ricordi di Ravviso si aggiungono quelli di Stambrini: «Ci siamo incontrate- diverse volte per parlare di porno, abbiamo visto film insieme, ci siamo confrontate su quanto dovessero o meno essere esplicite le immagini. E alla fine abbiamo deciso di gira re dei film che fossero vietati ai minori di 18 anni e non ai minori Mydi 14, Sex e, quindiuna raccolta di usare di dieciil linguaggio corti porno del porno d’autore più senza esplicito». censure in cui ognuna delle registe del collettivo doveva Il loro progetto iniziale è quello di realizzare il film collettivo gonzo, del scegliere un’estetica, un punto di vista, usando il linguaggio dellacrowdfunding fiction, del. L’operazio - nedocumentario di ricerca di o denaro della video dà loro arte. grande Ma incontrano visibilità e difficoltàrisonanza a mediatica trovare dei perché produttori il binomio che donnefinanzino e porno il loro in film Italia e faquindi ancora nel molta 2014 notizia.pensano La di raccolta ricorrere fondi al va bene e permette la re- alizzazione dei primi due cortometraggi de Le Ragazze del Porno. Il primo è della regista Lidia Ravviso che lo scrive nel 2015 insieme a Slavina (videomaker, performer e scrittrice con formazione di antropologa), che ne è anche la prima attrice. «Il proposito artistico e politico di Insight è quello di mettere in scena il feticcio erotico dello sguardo attraverso - nile», ha scritto Ravviso nelle sue note di regia [fig. 2]. la rappresentazione cinematografica di una pratica silenziata, la masturbazione femmi rimanda ad un gioco di sguardi tra la donna che si procura piacere e l’uomo che la guarda. «Il Nelconcept piccolo del film, cortometraggio ispirato alla èvideoarte, il piacere ladi vagina essere èguardati la vera protagonista, e il desiderio ladi cui guardare», potenza ha evidenziato la regista. L’idea è frutto della collaborazione tra lei e Slavina, amiche di loro le altre ‘almeno due’ che vanno ad aggiungersi a questo racconto fatto di collabora- zionevecchia femminile data, che [figg. decidono 3 e 4] di firmare insieme il loro corto per Le Ragazze del Porno. Sono

Lavorare in due è stato il. valoreCome sottolineaaggiunto di Ravviso, Insight. C’è infatti: stato un confronto continuo tra di noi dal punto di vista stilistico e di linguaggio. Sviluppare con Slavina il sog-

orgasmo vero, hanno reso l’esperienza di girare questo cortometraggio un’esperien- zagetto, unica. affidarle la parte performativa, che era una parte importante del corto, il suo

Dopo Insight arriva nel 2016 Queen Kong di Monica Stambri- ni a proporre un’altra visione d’autore del porno al femminile. La protagonista è una sorta di ‘satiro fem- dalla pornostar Valen- tinaminile’, Nappi, personificata che si pren- de il suo piacere da un uomo vittima della sarà proprio questa stranamancanza creatura di desiderio: a ride-

75 fig. 1 Le Ragazze del Porno Il collettivo de Le ragazze del porno n. 8, luglio-dicembre 2016 una donna che di un uomo, e anche una sorta di viaggio spirituale,stare i suoi come sensi. del «È restoun film può sul essere risveglio il sesso sessuale, se riporta sia di- to alla sua essenza», scrive Stambrini nelle sue note di regia [figg. 5, 6 e 7]. La regista fa un racconto insolito della sessualità prendendosi la libertà di scegliere come tipo di narra- non essere prettamente eccitante. Tanto che induce lo zione quella del genere fantasy, quasi horror, che può quel genere che stimola e porta al piacere? Perché dal- laspettatore visione dei a chiedersi: primi due ma corti il porno de Le non Ragazze dovrebbe del esserePorno non sembra essere stato quello il loro obiettivo prima- Insight di Lidia Ravviso, 2015 rio. Stambrini e Ravviso confermano entrambe infatti fig. 2 poster di che la loro intenzione era quella di ribaltare i ruoli uo- mo-donna e che il loro principale scopo era, ed è, quello di appropriarsi di un linguaggio e di un genere per po- ter dire la propria. Esprimersi in quanto soggetto e non - do la donna diventa soggetto e c’è autodeterminazione, laoggetto. questione Che diventaè uno degli femminista assunti del[fig. femminismo: 8]. quan

Ragazze del Porno. Rispetto a questo, però, le registe nonFemminista assumono èuna stato posizione definito netta anche e ilunivoca, collettivo ritenen de Le- Insight do che il loro progetto sia un tentativo di «fare un’o- fig. 3 Slavina sul set di perazione politica, artistica e culturale» piuttosto che prettamente femminista. «Sarebbe scorretto dire sì, che le Le Ragazze del Porno fanno femminismo», spiega Ravviso, «non è un femminismo tout court». E aggiunge

Stambrini:In questa operazione non sono femminista ma regista. Quello che va attaccato è il sessismo.

femminismo perché riporta a delle categorie Non credo che sia così efficace usare la parola che vanno un po’ riviste, in questo senso non mi Insight piace la parola femminismo. Io sono femminista, ma molte femministe si sono scagliate contro il fig. 4 Slavina in una scena di porno.

In effetti l’argomento porno divide da tempo le fem- ministe. Ma è femminista ragionare tra donne di cine- ma che rappresenta la sessualità? È femminista pren-

È femminista raccontare la sessualità femminile in manieradersi i propri esplicita? spazi È nellafemminista produzione creare cinematografica? un collettivo di sole donne? Se la risposta a tutte queste domande è sì, allora possiamo ritenere che il collettivo de Le Ragazze Queen Kong di Monica Stambrini, 2016 fig. 5 Locandina di 76 Lorenza Fruci n. 8, luglio-dicembre 2016 del Porno sia femminista. Qualcuna di loro storcerà il naso, insieme alle femministe che vedono il porno come un mondo e un genere che degrada le donne. Volendo superare però le categorizzazioni, di certo possiamo dire che è femminile lo sguardo che Le Ragazze del Porno vogliono portare dietro la macchina da presa per mettere il cinema a disposizione come cinema d’autore in cui il punto di vista femminile e quello maschile fanno la diffe- renzadel piacere delle efantasie, dell’erotismo del sogno delle e donne. delle loro Oltre rappresentazioni. alla riflessione che Non ci solo,propongono l’esperienza sul porno delle del singolo, sia nel favorire un cambiamento, per lasciare un segno, sia per ragionare sul cinema‘almeno comedue’ che occasione hanno dato e strumento vita ad un di gruppo emancipazione ha dimostrato delle chedonne, il collettivo anche negli ha più ambiti, forza ancora oggi poco esplorati, dell’erotismo e del porno. Possiamo dunque dire che Le Ra- la narrazione della sessualità e della sua naturale bellezza. gazze del Porno hanno intercettato in Italia un bisogno, quello di ampliare e diversificare Nota * Salvo dove diversamente indicato, le dichiarazioni delle registe Monica Stambrini e Lidia Ravviso sono state raccol- te durante interviste con l’autrice, rilasciate il 14 settembre 2016 in occasione del Milano Film Festival.

Bibliografia , Moana e le altre. Vent’anni di cinema porno in Italia, Roma, Gremese Editore, 1997. A.M. Di Quarto,, Storia M.Giordano della Sessualità [1976-1984], 3 voll., trad. it. di L. Guarino, Milano, Feltrinelli, 2016. Foucault, Speculum. L’altra donna [1974], trad. it. di L. Muraro, Milano, Feltrinelli, 2010. , Essere due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994. L. Irigaray, Per Lei. Guida al cinema erotico che piace anche alle donne [2009], trad. it. di L. Cojazzi, L.Venezia, Irigaray Light Box, 2009. E. Lust

77 Queen Kong; in basso Le Ragazze del Porno al Milano Film Festival figg. 6,7,8: in alto due scene dal film 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 6.4. Sguardi collettivi: Le Ragazze del Porno di Sarah-Hèléna van Put

Crediamo che il desiderio possa prendere molteplici forme e vogliamo essere finalmente libere di rappresentarle. Le Ragazze del Porno

In svariate esperienze contemporanee si osserva come la prassi di registe, ma soprat- - net porn e dei porn tube, hanno forse perso la centralità (soprat- tutto disimbolica) collettivi che femminili, avevano abbia in passato. ridato nuovoIl porno slancio al femminile e linfa vitale in questo ai film senso narrativi non porsolo lavoranografici in che,modo nell’era importante del sull’estetica del genere, ma svolge una funzione decisiva a favore del piacere dello sguardo femminile rendendolo libero e legittimandolo, oltre a in- staurare relazioni importanti tra donne nella scoperta e nel confronto dei propri desideri ed esperienze attraverso il lavoro della messa in scena. Un lavoro e una messa in scena nell’unionein cui nessuna dei dellecorpi parti e dei vienedesideri. esclusa a favore di una sola – come il porno ‘maschile’ ha spessoAnche fatto in Italia– ma rilevaè nata la e differenza si sta affermando e l’affermazione questa ditendenza entrambi grazie proprio all’operazione nell’incontro del e crowdfun- ding, ha prodotto una serie di opere, che stanno cominciando a circolare nell’ambito di importanticollettivo Le festival Ragazze di delcinema Porno [fig. che, 1] attraverso. una strategia di finanziamento Uno dei primi lavori, Queen Kong stato presentato a luglio in anteprima (18’, nazionale 2015) – allafirmato Mostra da Monica Internazionale Stambrini del e Nuovopremiato Ci- nemaal Queens di Pesaro. World L’accoglienza Film Festival del di Newcorto York nel programmaper la miglior di regiaPesaro di segnaun corto un passonarrativo impor – è- Art of Porn tante per il collettivo: dopo un lungo periodo segnato dalla ricerca di fondi (come ) e dall’interesse da parte della stampa – «sembrava più un’operazione di marketing» italiane,ha affermato ma soprattutto Monica Stambrini hanno trovatodurante l’accoglienza la presentazione e l’attenzione del corto aal Pesaro di fuori – Ledei Ragazze festival specializzatidel Porno hanno nel genere.visto finalmente Queen Kong il ,loro infatti, lavoro non proiettato può essere nelle solo sale considerato cinematografiche un corto - pornografico;erotica del cinema è evidente d’autore che italiano gli elementi degli anninarrativi Settanta e soprattutto (Bertolucci stilistici soprattutto). posizionano La trama l’o dipera Queen al confine Kong, infatti,tra il genere si snoda e l’opera attraverso autoriale, gli elementi con una del riflessione thriller e forte dell’horror, sulla componente spingendo lo spettatore non solo verso l’eccitazione, ma verso le profondità dell’inconscio, del desi- derio, di una sessualità ancestrale e liberatoria. La riscoperta di un istinto animale se-

(Adamo 2004) dove è l’uomo ad essere l’‘eroe’ che innesca e libera la sessualità femminile [fig.gnatamente 2]. femminile scardina e ribalta le posizioni classiche della pornografia di massa eleganti, che sotto l’effetto dell’alcol decidono di appartarsi da una festa per consumare Il corto si apre con l’introduzione dei due personaggi, un uomo e una donna raffinati ed 78 Sarah-Hèléna van Put n. 8, luglio-dicembre 2016 i loro desideri nascosti nei pressi di un bosco. Quando l’uomo (Luca Lionello) fallisce nella sua prestazione, la nella natura. L’uomo cerca di raggiungerla, ma nell’oscu- donnarità del (Janina bosco si Rudeska) trova di frontedelusa alsi terribileallontana Satiro inoltrandosi (Valen- tina Nappi) in cui la donna si è trasformata, dando libero sfogo alla sua bestialità nascosta. Ribaltando i ruoli nel rapporto tra maschile e fem- minile tradizionalmente associati alla rappresentazio- Queen Kong sfata uno dei miti secolari ne pornografica, indell’ideologia evidenza uno patriarcale dei problemi – cioè che la ancora supremazia oggi condiziona dell’uomo sulla donna e la gestione della sua sessualità – e mette- fig. 1 Le Ragazze del Porno lità di vivere il proprio corpo e la propria sessualità in pienal’individuo libertà. al Idi due là delprotagonisti, suo genere infatti, sessuale: dovranno l’impossibi scen- dere nell’oscurità del bosco per poter dar libero sfogo ai propri desideri, avvicinandosi e riscoprendo la propria [fig. 3]. Gli elementi estetici si arricchiscono inoltre della par- sessualitàtecipazione più e dell’esperienza profonda di professionisti provenien- ti dall’ambito cinematografico presenti nel cast tecnico, montatrice Paola Freddi, la costumista Antonella Canna- Queen Kong di M. Stambrini, 2015 rozzi,come il il prosthetic direttore designer della fotografia Andrea Leanza Fabio Cianchetti, e il make-up la fig. 2 Poster di artist Aldo Signoretti [fig. 4]. L’opera prima del collettivo, Insight (12’, 2016) di Lidia Ravviso e Slavina Perez, è stato selezionato a marzo di des Sexualités di Losanna ed è stato proiettato a settem- bre,quest’anno in anteprima all’interno nazionale, del festival all’interno Fête du del Slip Milano – Festival Film Festival. Il corto, ambientato in un’unica stanza dove l’as- senza dei dialoghi accentua il rapporto dei due protago- e sulla masturbazione femminile. La regista, legata al mondonisti attraverso del cinema, gli sguardi,del documentario è incentrato e della sul voyeurismo video-arte, Queen Kong ha voluto rappresentare questa fantasia erotica (l’esse- fig. 3 Janina Rudeska e Luca Lionello in una scena di re guardati) attraverso un’estetica di altissima qualità: letturaaccostare e far il emergerelinguaggio la pornografico masturbazione e cinematografico femminile dalla a quello della videoarte in modo da creare più piani di [fig. 5]. retoricaLa narrazione e dalla messa è caratterizzata in scena pornografica dal dualismo tradizionale fuori/

dentro e costrizione/liberazione: il corto si apre con le Insight di L. Ravviso, 2016 immagini delle isole Eolie – concesse dalla videoartista fig. 4 Poster di Valeria Guarcini – dove lo sguardo, limitato e costretto 79 Sguardi collettivi: Le Ragazze del Porno n. 8, luglio-dicembre 2016 nella lente della macchina da presa, è chiuso da un mi- raggio paesaggistico, che richiama alla memoria atmo- sfere rosselliniane, e dall’acqua, metafora del femminile. Al dualismo fuori/costrizione si contrappongono le im- magini interne in cui la pratica della masturbazione libe- ra il desiderio e con esso lo sguardo, che può osservare [fig. 6]. L’operazione de Le Ragazze del Porno segna un mo- mentofinalmente importante libero le in isole Italia in lontananzasia per l’estetica del genere, apportando nuovi elementi grazie a un lavoro sul lin- alla videoarte, ma soprattutto attraverso l’adozione di unguaggio punto cinematografico di vista femminile; e ai sia numerosi a livello rimandi comunicativo estetici e Insight mediale dove il loro programma e la loro identità emer- fig. 5 Slavina Perez sul set di gono con forza e precisione. Fin dalla loro nascita e dalle prime dichiarazioni, Le Ragazze del Porno hanno messo in risalto la loro coesione e unità nel portare avanti un progetto condiviso; una voce corale capace di sostenere la visione personale di ognuna. Seppur con un unico in- tento, dar voce ai desideri e alla sessualità da un punto di vista femminile, il programma del collettivo è forma-

- In- to, infatti, da più progetti che si diversificano a seconda sight dell’esperienzaIn questo modo e del il collettivogusto estetico è un contenitore,di ogni autrice: una vide cas- fig. 6 Slavina Perez e Alberto Alemanno sul set di oarte, stop-motion, film di finzione. differenti esperienze per poi realizzare i diversi progetti. Comesa di risonanza ha affermato in cui Monica far fluire, Stambrini analizzare nelle e discuteregiornate dile Pesaro, l’unione delle diverse registe diviene un soste- gno importante nella realizzazione dei loro progetti per- sonali poiché, se pur con ferma decisione di adesione e realizzazione del programma del collettivo, rimane sem-

[fig. 7]. prePer «difficile ognuna esporsidi loro, coninfatti, un la linguaggio realizzazione pornografico» della pro-

fig. 7 Lidia Ravviso e le Ragazze del Porno un momento di confronto e conoscenza di se stesse e del- lapria propria opera sessualità.è una sfida Così personale, anche ilma lavoro anche sul e soprattuttoset diventa un momento collettivo e corale, dove ognuno mette in pratica la propria esperienza e impara dall’esperienza altrui. Per esempio, la pornostar Valentina Nappi, come gli attori hanno raccontato durante la presentazione del corto, è stata fonte d’ispirazione e chiave fondamenta- le per superare l’imbarazzo e l’inibizione dei due attori - collocaprofessionisti in modo – Janinaimportante Rudeska nella e praticaLuca Lionello comunicativa – duran e Queen Kong te le scene di sesso. La figura della pornostar, inoltre, si fig. 8 Valentina Nappi trasformata nel Satiro del corto

80 Sarah-Hèléna van Put n. 8, luglio-dicembre 2016 sessuale innescano una critica importante nei riguardi dell’identità sessuale e del modo inmediatica cui la spettatrice del collettivo: vive ille proprio sue dichiarazioni desiderio e e piacere la sua posizione[fig. 8]. rispetto alla liberazione Nel progetto Le Ragazze del Porno si intercetta dunque una tendenza importante nella - do fortemente in discussione gli stereotipi sociali. L’operazione che si ritrova all’interno praticadel progetto realizzativa, va al di tendenza là della forma che si esteticariflette nellee del pratichegusto personale, collettive creando e mediatiche un ‘discorso ponen -

1998).politico’ L’osservazione – come la pornografia del progetto ha sempre del collettivo fatto – incentratoe la sua pratica sull’identità rientra di nell’intersezione genere e sull’e fravoluzione Gender sociale Studies e culturalee Porn Studies, della società, componenti indagando indispensabili forme di perpotere costruire e tabù modelli(Staderini di analisi in grado di rendere adeguatamente conto delle istanze discorsive di questo tipo di rappresentazione.

Bibliografia , Il porno di massa. Percorsi dell’hard contemporaneo, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2004. P. Adamo (a cura di), Il porno espanso. Dal cinema ai nuovi media, Udine, Mi- mesis, 2011. E. Biasin, G. Maina,, Pornografie. F. Zecca Movimento femminista e immaginario sessuale, Roma, Manifestolibri, 1998. M. Staderini, Per Lei. Guida al cinema erotico che piace anche alle donne [2009], trad. it. di L. Cojazzi, Venezia, Light Box, 2009. E. Lust

81 Galleria | 7.Almeno Focus Rohrwaker: in due sorellanze laboriose 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 7.1. Corpi celesti. Le ragazze di di Francesca Brignoli incontra creando relazioni, echi e suggestioni e che rivela un punto di vista autoriale tra Colpisce nel guardare i due film di Alice Rohrwacher l’affiorare di un femminile che si trasversali, legami simbolici (ma non solo) che risultano rivelatori dell’esperienza intel- lettualei più personali, e creativa maturi della e giovaneimmaginifici regista del (e nostro sceneggiatrice) cinema contemporaneo. di Corpo celeste Sono (2011) contatti e Le meraviglie (2014). - che della scelta di Rohrwacher di collaborare con Hélène Louvart, direttrice della fotogra- Entrambi i film seguono, con trepidazione anche significativamentePina [W. Wenders, 2011]fisica –e Lesfrutto plages an d’Agnès - tinuofia e operatrice terremoto alla del macchina crescere, (reduce, nell’amarezza tra gli altri,di scoperte da inattese (dell’infelicità, del pas- sare delle[A. cose), Varda, sono 2008]) stata – le presa due protagonisteda un senso adolescenti,di meraviglia, Marta di emozione e Gelsomina. indicibile». «Nel con La frase è tratta da Corpo celeste di Anna Maria Ortese pubblicata nel 1997. «Intuitivo e non strutturale», come dichiara la , raccolta di scritti (riflessioni, meditazioni autobiografiche)- regista, il legame tra l’opera della scrittrice e quella di Alice Rohrwacher è denso e sofisti tuttaviacato. Più sorprendentementedi un indizio, è quasi anche una dichiarazione, ne Le meraviglie preziosa. nell’esplorazione dello sguardo dellaMarta regista, e Gelsomina a cominciare sono ovviamenteadolescenti ‘impreviste’,dal film del debutto, per molti la versi cui suggestione inedite nel nostroriverbera ci- nema (che pare piuttosto guardare al maschile per raccontare l’adolescenza, specie quella

- stopiù piccolecomplessa). femmine) Sono chediverse proprio le ragazze nell’indeterminatezza di Rohrwacher, dia cominciare«ragazza che dalla non loro sa cosa presenza vuole fisica: corpi ancora indeterminati (non sono bambine, tantomeno donne, ma non per que presenze icastiche, incarnazioni della purezza di sguardo con cui si addentrano nell’in- connudiventare», come spiega la regista, si impongono: ossute e leggere al tempo stesso, sono - tazione, – entrambiil reale in icui film sono si aprono ‘capitate’. con È due un mondo sequenze in cui nel ogni buio stazione costellato quotidiana di piccole è lucivisione che potenteman mano di accadimenti prendono forma (di meraviglie) – sottraendosi che rivelano alla parola crudeltà, e osservando, tenerezza, senza stupore. paura È né il «sen esal- timento di stranezza che è nell’apparire del mondo a un giovane, a una piccola ragazza», come scrive Ortese. Entrambe immerse in contesti familiari che, come loro, sono fuori dal nell’altro,canone, scoprono facendo undell’esperienza mondo (che nonun accadimento dà risposte adeguate: anzitutto Martacorporale. che chiedeMarta, cosalo sguardo voglia inquieto,dire «Elì, ilElì, volto lemà pallido, sabactàni») il modo in di cui vestire visibile (i maglioni e invisibile e i pantaloniprecipitano larghi, fluidamente sformati) l’uno e di camminare (lesto, un po’ maschile), che durante la sua settimana di ‘passione’, fatta di periferie desolate in cui il cemento ha preso il sopravvento sulla natura aspra), vive anche laisolamento trasformazione sociale, di violenza sé, vagheggiata antropologica e subita e (indossainsieme iconografica il reggiseno dellache la sorella circonda maggiore, (con le poi ha le prime mestruazioni), incomprensibile, da lasciare sgomenti. «Dio mio, Dio mio, sdraiata sulla terrazza, Marta si dispone alla forza del vento; l’ira la spinge a tagliarsi con furiaperché i capelli mi hai [fig.abbandonato?». 1]; la meraviglia L’unica dei risposta gattini chefinisce le si per aggrappano essere definitivamente addosso è l’unica il corpo: cosa - che le suscita il sorriso; infine, come stigmatizza la lunga sequenza nella chiesa tra i mon ti,83 la ragazza tocca il Cristo – il corpo celeste per eccellenza – con l’obiettivo concentrato Francesca Brignoli n. 8, luglio-dicembre 2016 sul dettaglio delle mani che scivolano, accarezzano, af- ferrano le membra lignee come per cercare un senso, con un’ansia di comprensione che non accetta compromessi [fig. 2]. L’esplorazione delle protagoniste è silenziosa, restitu- pieni di vento, di luce, di cielo, di suoni, i primi piani e iita dettagli anzitutto concertano da un’angolazione una intraducibile estetica: iimmediatezza campi lunghi sensoriale, e l’uso antiretorico della macchina a mano, impegnata in un corpo a corpo con la scena, anziché am- - trazione della regista nel seguire con tenerezza le perso- Corpo celeste di A. Rohrwacher naggeplificare nell’attraversamento agitazione e violenza dell’esperienza, piuttosto rivela creando la concen un 2011 - Marta si taglia i capelli, quasi una spoliazione senso di incantata o terribile sospensione. fig. 1 Una scena del film Gelsomina è un’adolescente anomala e goffa rispet- to alle coetanee (l’amica, ninfetta ‘televisiva’ degli anni Novanta), ma è diversa anche dalla sorella Marinella. La tuta da apicultrice [fig. 3] di genere (pare anzi farla diventare la replicante del pa- dre, che forse avrebbe voluto, azzerando un primogenito l’identificazione maschio) fa risaltare la sua estraneità da extraterrestre (al pari - mente in contatto con ogni elemento naturale (le api, il di Marta) che non le impedisce affatto di entrare fisica togliergli i pungiglioni delle api) che sprigiona nella sua Corpo celeste, di A. Rohrwacher miele, l’acqua, il vento, la luce fino al corpo del padre, per Fig. 2 Una scena del film strada misera e silenziosa, pezzetti di vetro che splen- 2011 - La ricerca di senso: l’incontro con il crocefisso tangibilità una forza ancestrale. Ortese: «Anche in una messaggio». donoRohrwacher a terra: tutto sceglie mi duesembrava adolescenti un avvertimento per il suo viaggio o un - - tezza,(cosa certo anche non formale, insolita), sorprendente ma – ed è quiper lail nostronovità cinema,che col compresopisce del suo quello lavoro femminile, – con loro nel si territorio inoltra, con poco una frequen risolu- tato della sacralità, in cui la sospensione del tempo e le dimensioni spaziali (che si imbevono di ortesiana ‘azzur- Le meraviglie di A. Rohrwacher 2014 - Gelsomina nella tuta da apicultrice, come un’ex- insieme segno. fig.traterrestre 3 Una scena del film rità’Corpo nei toniceleste cromatici e fotografici) si fanno materia e un’inchiesta ‘evangelica’ – «piccolo attraverso film massimalista», lo sguardo di come Marta. lo definisce Emiliano Morreale – restituisce l’andamento di commistione tra Chiesa, politica, potere ed educazione (compliceSeguendola, di conuna laarcaica Passione e patriarcale si incontra considerazione lo Scandalo: della an- cillare delle donne); della religione, percorso d’elezione - - per l’identificazione di sé, ridotta a degenerazione folclo ristica che riflette parte dell’Italia contemporanea (con 84 Le meraviglie di A. Rohrwacher

fig. 4 Una scena del film 2014 – Lo spettacolino di Gelsomina Corpi celesti n. 8, luglio-dicembre 2016 vecchio prete ostinatamente fedele al Verbum, cioè al corpo; dell’immagine prodigiosa dannata a un quotidiano di matrice sempre più televisiva); della solitudine irosa di un- - del crocefisso precipitato tra i flutti che, abbandonato, condanna a sua volta all’abbando nonno. Infine si riconosce, lo scandalo la ragazza olistico sceglie di una una desolazione forma goffa cui e Marta tenerissima intuitivamente di libertà, si che ribella, sa a sotsua traendosi infatti alla cerimonia della Cresima. Sola, infilata in un vestito donnesco in cui- certola che la ragazzina tiene fra le mani e che ancora si muove. Il prodigio è inafferrabile (comevolta di il scandaloraggio di (eluce provocazione). che Gelsomina Qui tocca incontra e ‘fa bere’il Miracolo, alla sorellina), la meraviglia: sempre la codaimprevisto, della lu e

- silenzioso. Sa di sacro e di fiaba. È un soprannaturale che sta ovunque – perché tutto, come scrive Ortese «è divino e in toccabile: e più sacri di ogni cosa sono le sorgenti, le nubi, i boschi e i loro piccoli abitanti» immersi– e trova nelladimora bellezza nello sguardo e disposti diverso sensualmente di Marta ead di accoglierla, Gelsomina. in Gli un occhi equilibrio di quest’ultima, tra reali- in contrappunto rispetto a quelli della protagonista del primo film, sono costantemente vivere».smo e surrealtà che vibra del mistero dell’esserci. Ortese: «Questa parola – meraviglioso – è anzi la più banale che io conosca tra quelle che intendono definire il vivere e il sentirsi- cantato e intelligente, totalmente privo di malizia, esaltazione o problematicità; speri- mentandoLo sguardo dolore di Gelsominae fatica, si appartienemantiene pieno a una della femminilità grazia con rara cui nel può cinema accogliere italiano: l’appari è in- zione di una clamorosa donna-fata (una Madonna, una dea in lurex e piume); di un banale gioiellino di plastica; del fondale del mare visto attraverso l’oblò della lavatrice; di un cammello, di un volto intenso di ragazzo. La trasparenza della messa in scena è liberatoria e travalica il dato esistenziale per imporre la magica imperfezione del reale, pieno di segno e sospensione. Rohrwacher si muove con sapienza nel Tempo, con le inquadrature che si colmano di nostalgia, specie ne Le meraviglie tenda fantasmatica che si muove nella casa ormai vuota. Alle spalle ,delle suggellato protagoniste dalla bella si incontrano invenzione altri del sguardi movimento femminili, di macchina primi frafinale tutti e queldella- - scono a dire e a dirsi. La maternità silenziosa pare vegliare su Le meraviglie spandendo unli delle mistero madri: solenne. sono presenze Nella sequenza intense della e dolcissime, caverna, duranteancor più la per diretta la difficoltà televisiva, con colpisce cui rie l’antico canto popolare che un coro di anziane intona, che comincia con «Stava la madre, tutta d’oro». L’atmosfera è quella di un rituale, buffo ma guardato con tenerezza e com- prensione (lo sguardo di Rohrwacher è sempre sicuro e gentile, mai giudicante, sottra-

[fig. 4] endosi a beffe e amplificazioni grottesche). Poi, il primo piano di Gelsomina che al suono del fischio ipnotico dell’amico si fa uscire le [fig.api dalla 5]. Quasi bocca una Vergine: il tempoquattrocentesca, si ferma e l’inquadratura impone un’immagine di grande forza iconica, che diventa infatti il profilo- femminile disegnato nella locandina del film trala Madre l’affresco celeste: e una la dellebocca sequenze semiaperta rivelatrici con le api di Nostalghiasembra rimandare (1983) che all’apertura Andrej Tarkovskij della ve ste della Madonna del Parto di PieroLe della meraviglie Francesca. Meglio, alla sinestesia iconografica Momentana, a Monterchi, quando una donna, durante il rito per la fecondità, aprendo la veste– il cui dalla cinema Vergine sembra lignea evocato posta accantone all’affresco – gira di Piero nella fa cappella uscire degli di Santa uccellini. Maria di

L’immagine prodigiosa fa tornare infine a Ortese: 85 Francesca Brignoli n. 8, luglio-dicembre 2016

All’adulto, e ai popoli molto colti, tutto il mondo è il mondo dell’ovvio, del luogo comu- ne. […] Ma per il fanciullo, e l’adolescente, e anche per un certo tipo di artista… non

e tutte le cose, nel mondo e fuori, sono di materia celeste, e la loro natura, e il loro è così! […] Egli capisce ciò che l’adulto non capisce più: il mondo è un corpo celeste,

senso – tranne una folgorante dolcezza – sono insondabili. Bibliografia , ‘La grazia bambina, intervista ad Alice Rohrwacher’, Cineforum, 505, giugno 2011. F. Betteni-Barnes, ‘Devi sentire il mondo intorno. Conversazione con Alice Rohrwacher’, Cine- forum, 536, luglio/agosto 2014. F. Betteni-Barnes (a cura di), Tra cielo e terra. Cinema, artisti e religione, Bologna, Pendragon, 2011. Le meraviglie, Press-book, 2014. A. Casali Cineforum, 505, giugno 2011. , ‘La ricerca della grazia’, Cineforum, 536, luglio/agosto 2014. E. Morreale,, Corpo‘Piccolo celeste film ,massimalista’, Milano, Adelphi, 1997. E. Morreale A. M. Ortese

86 Le meraviglie fig. 5 La locandina de 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 7.2. Meravigliose sorellanze: ripensare i legami familiari femminili attraverso la collaborazione fra Alice e di Ilaria A. De Pascalis

Rifrazioni

Le collaborazioni fra Alice e Alba Rohrwacher sono al centro di un immaginario di grande ricchezza, abitato da presenze fantasmatiche che hanno origine dal loro legame e che a loro volta generano intricati arabeschi di tensioni e affetti, solidarietà e competi- possibilità della differenza, soprattutto per quanto riguarda i posizionamenti culturali e dizioni, gender. confronti Le personagge ed emozioni. messe Attraverso in scena il daprisma Alba dellae quelle sorellanza raccontate si rifrangono da Alice assumono le infinite

L’immagine scattata da Marco La Conte per Io Donna [fig. 1] interpretazionicircolate per la promozionenuove, alla luce di Le del meraviglie filo di un mentrecognome era e diin unconcorso passato al in festival comune. di Cannes, e basate sul continuo richiamo visuale fra questi due corpi, nonchéè solo sulle una lorodelle differenze. fotografie suDa questoquando impianto la fotografia visivo istantanea di rime eè contraddizioni,divenuta pratica in comune un inseguirsi all’interno di tratti della somaticiborghesia e scelteeuropea, stilistiche le fotografie [fig. 2]di .famiglia Questa somiglianzahanno ritratto nella insieme differenza le sorelle, riproduce giocando attraverso esattamente l’im- -

Albamagine contribuiscono fotografica quel alla perturbante visualizzazione sdoppiamento di quel ‘mistero’, e quella e sonodifferenza portatrici attribuiti della inrottura asso dell’individualitàluto al femminile dalleconsiderata culture come patriarcali unità e(Irigaray pienezza 1991 (maschile) [1977]). tipica Le immagini delle culture di Alice ege e- moniche. Quando raccontano la loro esperienza, le due sorelle infatti non propongono una pro- spettiva di unità e linearità, quanto piuttosto una frammentazione delle soggettività nei Le meraviglie, di- retto da Alice nel 2014 e interpretato da Alba [fig. 3]. - larepossibili. attraverso Il passato cui guardare comune tornaalla carriera in frammenti, di entrambe, soprattutto in particolare nel film nel generare delle strutture del ‘familiare’ che vanno ben oltre la convenzioneIl film patriarcalefornisce una e lenteborghese partico che pure ancora domina il racconto contemporaneo. In una sorta di immagine frattale, Le meraviglie Alice nel 2011, Corpo celeste, e nella madre interpretata da Anita Caprioli; ma anche nelle propone un’idea di ‘madre’ che poi riverbera nel precedente film diretto da qualunque prevedibilità del femminile e appunto del materno (penso soprattutto ad alcu- nedonne personagge interpretate recenti, da Alba,come cheMina costituiscono in Hungry Hearts spesso, Saverio un eccesso Costanzo, e una 2014; sfida Hana/Mark rispetto a in Vergine giurata, Laura Bispuri, 2015; la Divina nel cortometraggio De Djess, diretto da Alice per la campagna di Miu Miu nel 2015). il rapporto non è mai solo a due, ma la tensione delle relazioni si rifrange continuamente, a coinvolgereAspetto evidente le e gli eabitanti di grande della interesse casa di del famiglia film è [fig.la dimensione 4]. Il convenzionale di una collegialità, triangolo in edi cui-

87 Ilaria A. De Pascalis n. 8, luglio-dicembre 2016 pico raccontato dalla psicoanalisi, basato sul rapporto fra un singolo (scisso e polimorfo, ma uno) e i genitori (in questo scenario, sempre due), viene irrimediabilmente scardinato dalla presenza di qualcun altro e soprattutto delle sorelle, pari nella scala gerarchica eppure mai av- vertite come eguali (Butler 2014 [2004]).

Genealogie

È in particolare il rapporto con il materno e con il fem- minile ad essere rinnovato dalla prospettiva della sorel- Rohrwacher per la copertina di Io Donna, 9 maggio 2014fig. 1 Foto scattata da Marco La Conte di Alice e Alba rispecchiamenti e differenze. Il posizionarsi di un’altra lanza, in una dinamica di identificazione e divergenza, contenere l’assoluto in se stesse, o di contenere l’assolu- todonna nel legameal proprio con fianco la madre. dà la misuraChe Alba, dell’impossibilità in Le meraviglie di, veda collassare sul proprio corpo l’essere sorella mag- giore della regista e l’essere madre della protagonista è un punto di esplosione del desiderio intersoggettivo e condiviso, un’incarnazione dei funzionamenti interfan- tasmatici all’interno delle dinamiche familiari, lontane dalla linearità gerarchica del fantasma edipico tradizio- nale (Nicolini 2012, Sommantico 2012). a 3 e 5 anni (ca. 1984), pubblicata su Vanity Fair, 20 giugnofig. 2 Foto 2014, di famiglianella galleria delle dueonline sorelle che accompagnaRohrwacher l’articolo La terra delle Meraviglie di Alice (e Alba) il loro lavoro è invece una produzione di conoscenza, de- Rohrwacher Quello che le due sorelle Rohrwacher configurano con- zione patriarcale, in cui il sapere e le forme di cittadinan- zasiderio, vengono immaginari trasmessi che in vamodo al di lineare là della ed tradizionale esclusivamente filia fra i maschi della specie, che vanno a produrre la ‘sfera pubblica’ nella sua forma borghese, nazionalista, pro- mondo ordinato e gerarchico è lungi dall’essere l’unico possibile.gressista Alice (Harvey-Kaplan-Noudelmann e Alba, ciascuna con la propria 2009). professio Questo- nalità, si fanno piuttosto portatrici di un’esplosione del Le meraviglie di A. Rohrwacher, 2014 senso, e di una deformazione del tempo. Ne Le meraviglie, fig. 3 Alba Rohrwacher nel ruolo di Angelica in - tà segnata dalla standardizzazione e sterilizzazione dei processila famiglia di faticaproduzione, a identificarsi ma questa con incapacità una contemporanei non è vista senza problematicità. Anzi, il materno incarna proprio il tentativo di adeguamento al nuovo e al condiviso, a separatezzaconfronto con e launa figura manualità paterna che (Wolfgang, sono anche interpretato approssi- mazioneda Sam Louwyck) e potenziale che spreco. invece Va vorrebbe anche sottolineato preservare come una (Maria Alexandra Lungu), Marinella (Agnese Gra- Angelica comunichi con Wolfgang in francese, mentre ziani),fig. 4 Angelica e le piccole e le Caterinasue quattro (Eva figlie: Lea PaceGelsomina Morrow) e - Le meraviglie Luna (Maris Stella Morrow – a loro volta sorelle) in questi parla tedesco: si tratta di uno slittamento seman 88 Meraviglose sorellanze n. 8, luglio-dicembre 2016 tico e culturale non indifferente, che lascia appena trapelare un passato complesso e sot- tolinea la non-coincidenza e l’asimmetria che dominano la coppia. Fratture simili attraversano anche Gelsomina e la sua sorella minore Marinella, en- trambe depositarie di una molteplicità strutturale, in rapporto al posizionamento cul- esprimonoturale, all’identificazione, una fascinazione al inarrestabile desiderio che per producono un femmi la- narrazione del sé. Più di ogni altra cosa, le due sorelle con la madre, ma anche da Cocò (Sabine Timoteo) [fig. 5], ilnile cui multiplo, ruolo di che sostegno non è incarnatodelle spinte solo di dall’identificazione cambiamento non collettivo familiare. Il suo corpo ordinario è anche porta- è formalizzato da una collocazione definita all’interno del- tezza adolescenziale di Gelsomina e di Martin (Luis Huil- (Sabine Timoteo) in Le meraviglie ca),tore ospite di una della affettività famiglia fisica, come che parte si scontra di un programmacon la riserva di fig. 5 La soggettività intensa ed enigmatica di Cocò reinserimento e avviamento professionale. Soprattutto - sentatrice televisiva de Il paese delle meraviglie interpre- però le due sorelle si confrontano con[fig. Milly 6] Catena,e che fa pre eco alla che in quegli anni dominava i pro- grammitata da una televisivi fiabesca per Monica adolescenti Bellucci (e non solo).

Sorellanze Bellucci) in Le meraviglie Gelsomina e Marinella mettono dunque in scena tut- fig. 6 La femminilità fiabesca di Milly Catena (Monica te le tensioni e i momenti di condivisione affettiva soli- tamente associati al rapporto fra due sorelle, dando vita esplicito. La performance della soggettività diviene un mosaicoall’identificazione di possibilità, l’una di nell’altra, cui alcune ma spettacolari, anche a un conflitto ma mai - na la canzone di Ambra T’appartengo, Gelsomina si fa ac- pienamente pari: se Marinella canta e balla per Gelsomi incantatrice di api durante la registrazione della puntata etruscacompagnare de Il paesedal fischiare delle meraviglie di Martin. nel suo spettacolo da la sorella Lila (Flonja Kodheli), in Vergine giurata di L. fig.Bispuri, 7 Alba 2015 Rohrwacher nel ruolo di Mark/Hana, con Anche dal punto di vista delle personagge a cui Alba ha prestato corpo e voce, la dimensione performativa acqui- sta una intensità inusuale. Esempi di grande rilievo sono come accennato gli ultimi ruoli interpretati dall’attrice. Di particolare interesse è l’evidente opposizione fra il parti- colare collocamento di Hana/Mark in Vergine giurata ri- [fig. 7] e la femminilità convenzionale, capricciosa e negativa dellaspetto Divina alla configurazione nel cortometraggio soggettiva diretto e alda desiderio Alice [fig. 8]. In entrambi i casi si tratta di una messa in scena sartoria- De Djess le, con una valenza però del tutto opposta. di Rohrwacher, 2015 fig. 8 Alba Rohrwacher nel ruolo di Divina in 89 Ilaria A. De Pascalis n. 8, luglio-dicembre 2016

Nel caso della Divina, i tessuti, gli accessori, il trucco che modellano il corpo (per ecces- so o con la loro mancanza) producono un soggetto univoco, un’entità identica a se stessa e alle altre copie della stessa personaggia che vengono prese di mira dagli obiettivi dei

- zionifotografi occidentali sul tappeto contemporanee, rosso. Alice alcunee Alba, visualizzate complici, giocano nel cortometraggio. con una figura Mark retorica porta dello con spettacolo, ovvero la diva bionda e irascibile, di cui esistono infinite repliche nelle narra differenza di cui i soggetti sono portatori, in un confronto continuo fra posizioni maschili sé invece tutto lo smarrimento della difficoltà di comprendere la propria molteplicità e la rapportarsi solo alle sue simili, compiute e piene come lei, ma anche immediatamente e femminili più o meno in formazione (la sorella Lila, la nipote Jonida). SeVergine la Divina giurata può sono invece portatrici di una costante imperfezione, di tutto il peso degli interrogativi sul propriorase al suoloambiguo dal econfronto mutevole conposizionamento, l’obiettivo fotografico, e prosperano le personagge di fronte agli di specchi presenti

Le sorellanze messe in scena da Alice e Alba Rohrwacher, anche al di fuori delle loro nel film. - collaborazioni più dirette, non sono espressione di omogeneità. Non sono un inno alla pacificazione e all’uniformità, in funzione di un ipotetico progresso del femminile, omo- renzegeneo diper cui tutte i soggetti le donne sono – portatori,identificate e soprattuttodalla loro anatomia. delle molteplici Al contrario, posizionalità sono tensioni possibili e intensità, identificazioni e conflitti, che proliferano grazie al riconoscimento delle diffe per identificarsi con il ‘femminile’ come con il ‘maschile’.

Bibliografia , Fare e disfare il genere [2004], trad. it. di F. Zappino, Milano, Mimesis, 2014. (a cura di), Filiation and Its Discontents, Occasional Pa- J.pers Butler of the Humanities Institute at Stony Brook, 4, 2009. R. Harvey, ,E. Questo A. Kaplan, sesso cheF. Noudelmann non è un sesso [1977], trad. it. di L. Muraro, Milano, Feltrinelli, 1990. , Essere due, Torino, Bollati Boringhieri, 1994. L. Irigaray, ‘Amore, colpa e riparazione’, in , Amore, odio e riparazione [1937], L. Irigaray M. Klein , ‘Il posto del soggetto nellaM. catena Klein, generazionale’, J. Riviere Notes per la psicoanalisi, n. 0, 2012,trad. it. pp. di 121-139. F. Molfino, Roma, Astrolabio, 1969, pp. 55-112. M. G. Minetti Notes per la psicoana- lisi, 0, 2012, pp. 141-154. E. A. Nicolini, ‘Famiglie, ‘L’arcaico e postmodernità: fraterno come ostacoloquel che allepermane funzioni dell’Edipo’, genitoriali’, in in Notes per la psico- analisi, 0, 2012, pp. 155-175. M. Sommantico

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 7.3. Un’attività senza esempio. Collaborazioni femminili sul set di Alice Rohrwacher di Mariapaola Pierini

quello che accade prima e dopo il ciak, dietro la macchina da presa, durante la prepara- zione,La genesi le prove di eun poi, film ancora, è preclusa in sala agli di occhimontaggio, di chi nonè un vi processo è direttamente alchemico coinvolto.* di cui è moltoTutto i passaggi che stanno dietro al risultato ultimo, si ha la sensazione di violare uno spazio intimodifficile e dar segreto. conto Eppure, dall’esterno. se abbiamo E ogni la volta possibilità che si tenta di vedere di andare o intravvedere, a ritroso, di attraverso ricostruire le dietro o intorno a un’immagine, un volto, un’espressione, un taglio di luce, una location, siamoriprese colti o gli da scatti un’emozione di backstage, e, almeno le persone personalmente, che il film nonda una ci mostra, fascinazione di cogliere estrema cosa e stada un po’ di paura. Simile a quella che si prova di fronte a un apiario, mondo precluso a chi non ne comprende le leggi e non si protegge adeguatamente. Maurice Maeterlinck nella sua La vita delle api scrive che un’arnia, agli occhi di chi non la conosce, appare come un ammasso confuso, e invece racchiude

di capacità, di misteri, di esperienza, di calcoli, di scienze, di industriosità diverse, di un’attività senza esempio, un infinito numero di leggi savie, un insieme stupefacente

Un’immagineprevisioni, di vivida certezze, e suggestiva di abitudini che, intelligenti, mutatis dimutandis, strani sentimenti potrebbe e virtù.descrivere le tante - me stupefacente di capacità», tutte protese alla realizzazione di un progetto. La simili- competenze e i mestieri che entrano in gioco sul set di un film che è, appunto, «un insie Rohrwacher, e non soltanto per un’assonanza tematica con il secondo lungometraggio, Le meraviglietudine è forse ovvia, ma è difficile sfuggire alla tentazione di riferirla al cinema di Alice restituisce, un’ideao per il dimero comunanza dato biografico di persone, (il padre intenti, della industriosità, regista è infatti attraverso un apicultore). una visione Il chesuo èmodo autoriale di fare e plurale,cinema hapersonale infatti qualità eppure affini corale a quelle[figg. 1delle e 2] api. Come di Maeterlinck, in un alveare. perché Ora umaneperò lascio e professionali da parte la che metafora fanno sìe checerco un’idea, di avvicinarmi uno script, – prendanosperando forma,di non trovinoviolarlo corpi, né di tradirlo – al lavoro del set, per provare a riflettere sulla qualità specifica delle relazioni- niste) costituiscono il perno attorno al quale ruota la storia, sono lo sguardo sul mondo e lavoci, tessitura luoghi, profonda luci, atmosfere. dei legami, Così allo come stesso nei suoimodo film il set le didonne Rohrwacher (e le giovanissime è una comunità protago ca- ratterizzata da una spiccata componente femminile. Molte sono le donne della sua troupe, donne che circondano Alice e la accompagnano nei lunghi periodi di gestazione dei suoi che sembra, almeno a oggi, essere diventato un destino. La stessa Rohrwacher, del resto, infilm. un’intervista Non si tratta su di De una Djess scelta (cortometraggio a priori, né di inuna cui scelta alle consuete esclusiva, collaborazioni ma di una specie se ne di sonocaso aggiunteMi piace altre, molto creando parlare un setdell’identità prettamente di genere femminile) però con afferma: una certa ironia. È una coin- cidenza, in fondo, e come tutte le coincidenze ci fa pensare. Perché quando una cosa

91 Mariapaola Pierini n. 8, luglio-dicembre 2016

continua a capitare nella vita, ci fa pensare. Però al tempo stesso mantiene una sua leggerezza. Devo dire che lavorare con tutte queste donne ha un fascino particolare, perché mi sembra che queste donne in particolare con cui mi trovo a la- vorare sono tutte persone che riescono ad avere un controllo della situazione senza dover diven- tare violente, senza dover diventare dure. Sul set Interview with Alice Rohrwacher, 2016). c’è una grande – proprio, direi – gioia ( Le meraviglie di A. Rohrwa- La genesi dei due lungometraggi Corpo celeste (2011) fig. 1 Immagine dal set de e Le meraviglie De Djess cher, 2014 – foto di Simona Pampallona conta su un gruppo di lavoro sostanzialmente stabile e (2014) – ma anche di (2015) – macchina), Tatiana Lepore (acting coach e supervisione dialoghi),molto coeso: Loredana Hélène LouvartBuscemi (fotografia (costumista), e operatrice Daniela Taralla- taro (parrucchiera), Emita Frigato (scenografa), Rache- le Meliadò (assistente scenografa), Simona Pampallona (fotografa di scena) e altre ancora. Comparti che dialo- può non comunicare con l’altro, recepirne prontamente ognigano movimento,fra loro, perché ogni ogni scelta, aspetto ogni spunto,tecnico indel un film circolo non - Le meraviglie di A. Rohrwa- fig. 2 Immagine dal set de cher, 2014 – foto di Simona Pampallona chevirtuoso certamente di reciproche esula dallainfluenze. mera Maprestazione si tratta soprattutd’opera e to di un significativo intreccio di prospettive femminili altre coloriture che vanno dalla comunanza di intenti, di gusto,dalla specifica alla modalità competenza di lavoro; professionale, e, ancora, dall’amicizia tingendosi alla di cura, dall’intesa immediata alla solidarietà reciproca. dire essere a stretto contatto gli uni con gli altri, le une conIl le set altre. è prossimità, E i set, come anche è noto, fisica. possono Girare essere un film luoghi vuol percorsi da tensioni molto forti, anche violente, da con-

- Le meraviglie di A.

fig. 3 Immagine dal set de dalloflitti esguardo asperità. della Il set regista di Rohrwacher, [fig. 3] e abitato stando da alle persone testi Rohrwacher, 2014 – foto di Simona Pampallona monianze – e come rivelano le fotografie – è abbracciato attraverso dialoghi, conversazioni, scambi, viaggi alla ricercache stanno di location vicine in o virtù di semplici di legami suggestioni, costruiti nel confronti tempo, costume o di un’acconciatura. Questo fa sì che le donne chesulla vi sceneggiatura, lavorano non solo su un si dettagliosentano intimamente di scenografia, parte di un di qualcosa, non discriminate bensì valorizzate rispetto ad altri contesti lavorativi analoghi, ma siano anche unite senza dimenticare ovviamente la sorellanza di sangue, Le meraviglie di A. da quella che potrei definire una sorellanza d’elezione –- fig. 4 Immagine dal set de Rohrwacher, 2014 – foto di Simona Pampallona quella tra Alice e Alba Rohrwacher – che nasce da un ri 92 Un’attività senza esempio n. 8, luglio-dicembre 2016 conoscimento reciproco che è professionale e personale al tempo stesso. Poiché penso che ci sia uno stretto legame tra ciò che si racconta e il modo e le persone che si scelgono per arrivare a raccontarlo, non si può non rilevare nel lavoro di Rohrwa- cher un’altra declinazione del legame femminile e della vicinanza. Un legame transgene- razionale, determinato dalla presenza di giovani interpreti quali Yle Vianello, Alexandra Lungu, Agnese Graziani, in particolare, tutte alla prima (e forse unica) esperienza di set. sono i ‘giacimenti di vita’ a cui la regista ha attinto senza forzature, senza snaturarli, ri- uscendoSono loro a preservarnele presenze piùl’integrità. illuminanti, Lavorare radiose con eloro, misteriose portarle del davanti cinema a una di Rohrwacher,macchina da presa, comporta una responsabilità e necessita di una cura che va ben al di là di quella guidare, proteggerle, incoraggiarle, far sì che quell’esperienza sia al contempo ecceziona- leimposta e perfettamente dalle normative normale che [fig. tutelano 4] i minori sul set. Significa saperle accompagnare e- [fig. 5]. Ed è nel rapporto con le giovani. Significa interpreti imporre che la componenteloro i ritmi di femminile un lavoro delladuro etroupe spes trovaso ripetitivo un altro come motivo quello di coesionedelle riprese e una senza ulteriore sacrificare ragione i momenti d’essere, di perché gioco ciascunae di svago a suo

[fig. 6]. modoAdulte è chiamata e bambine, in causa, donne in che rapporto lavorano che e futurepotremmo donne, definire in una di tessitura maternità di intreccivicaria, trache- sversalipassa attraverso che fa sì chesguardi, il set contattidi Rohrwacher fisici, parole sia non sussurrate solo segnato nell’orecchio quantitativamente da una forte componente femminile (dato non certo irrilevante, soprattutto nel nostro Paese), ma anche e soprattutto da una peculiare qualità e natura della relazione che la tiene uni-

«un’attività senza esempio», come direbbe Maeterlinck. ta e coesa. Così è sul set e così è nei suoi film, in una specularità esemplare e unica, e in - liadò, Loredana Buscemi e Simona Pampallona, alla quale va un ringraziamento ulteriore per avermi *Ringrazioconcesso diper pubblicare le testimonianze le sue foto e gli dal spunti set di Ledi meraviglie.riflessione Tatiana Lepore, Daniela Tartari, Rachele Me

Bibliografia , La vita delle api [1901], Rizzoli, Milano 1989. Film Quarterly, 2, M.Winter Maeterlinck 2011, pp. 43-47. M.Miu Ratner Miu Women (a cura Tales di), #9 ‘Heaven DE DJESS: Down Interview Here: Interview with Alice with Rohwacher Alice Rohrwacher’,, [accessed 15 settembre 2016]. , ‘I non attori che sanno recitare. Pratiche di casting e e coaching nel cinema italiano contemporaneo’, Bianco e nero, 581, gennaio-aprile 2015, pp. 12-18. M. Pierini

93 Le meraviglie Le meraviglie di Simona Pampallona di Simona Pampallona fig. 5 Immagine dal set de di A. Rohrwacher, 2014 – foto fig. 6 Immagine dal set de di A. Rohrwacher, 2014 – foto 8. Interviste Galleria | Almeno in due 2282-0876

n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn: 8.1. Il mio cuore umano: una voce nel vento. Intervista a Costanza Quatriglio a cura di Stefania Rimini

D R Il mio cuore umano è stata la partecipazione alla presentazione: Come nasce dell’omonimo l’idea di dedicare romanzo un difilm Nada a Nada? alla Feltrinelli di Roma, alla quale ricordo : Il punto d’origine del documentario L’isola... partecipò anche Monicelli – con cui ebbi modo di parlare a lungo del mio film In quell’occasione scattò subito il desiderio di raccontare quello che possiamo definire ‘il buco nero’ della biografia di Nada, cioè il nodo della sua infanzia. Il libro di Nada, infatti,- racconta un’epoca lontana: Nada bambina in Maremma tra genitori semplici e contadini, suore affettuose e zie petulanti, viali assolati e lunghe camminate nei campi bui per sfi facendoledare la paura. frequentare E poi un un tarlo, maestro una ferita di canto, aperta: che la nei madre ricordi malata di Nada, di depressione naturalmente, che eranei momenti in cui stava bene voleva a tutti costi che la figlia valorizzasse la voce potente a diventare diva inconsapevole, pronta ad attraversare i tempi e le epoche della canzone italianasegaligno con e antipatico.la forza della Il raccontopropria incoscienza. finisce su un treno, lo stesso che portò Nada bambina Leggendo il libro ho subito capito che mi sarei divertita a trovare i percorsi visivi e sonori per il ‘suo’ cuore umano. Dopo averla incontrata ed essere riuscita a conquistare perla sua canzoni fiducia, e intrecciaho scritto le un tre canovaccio età di Nada. già Racconto diviso in Nada tre parti, oggi allache lasciavaluce della intravedere bambina che la fu,struttura rivivendo narrativa con lei chesuggestioni il film di elì ricordi. a poco avrebbe assunto. La narrazione procede infatti

D legge davanti alla macchina da presa passi del suo stesso libro, in un interessante, e pres- soché: Il inedito, documentario processo concede di messa grande in abisso spazio di sé.alla Che forza valore della hanno scrittura, queste a più sequenze? riprese Nada R

: Ho chiesto a Nada di dar voce alle proprie parole perché volevo che l’autobiografia allafosse dimensione il filo rosso intima del film, del ma suo soprattutto vissuto e far mi emergere sembrava una importante forma diversa ribaltare di autorappre il rapporto- sentazione.fra pubblico e privato: riprenderla davanti al fuoco del camino significava dare risalto

D ruolo assumono all’interno della narrazione? R: Il racconto propone ricchi brani d’archivio: chi ha selezionato queste immagini e che di montaggio, ho fatto in modo che assumessero nel corpo del racconto la funzione di : Ho selezionato io stessa i materiali documentari e, grazie anche ad alcune soluzioni- minando così uno scarto fra la dimensione del presente e quella del passato. Le sequen- ze‘connettori di repertorio temporali’: richiamano ogni brano la storia di archivio musicale segna di Nada infatti e disegnano un passaggio un dialogo di tempo, per deter certi - aspettiTra tutte inatteso le sequenze con l’immagine recuperate in presa ce ne diretta sono duedella che cantante: ancora piùoggi che mi puntare commuovono. sulla con La tinuità, il film procede per ellissi, figura della rievocazione, della memoria involontaria… 95 Stefania Rimini n. 8, luglio-dicembre 2016 prima è quella in cui lei, giovanissima, rivolgendosi al pubblico di uno speciale televisivo, di non sentirsi ‘diversa dagli altri’ e si ha la forte sensazione che Nada si sentisse fragile, ripete più volte «Ma io sono una ragazza come voi»: in questa frase risuona il desiderio - moesposta nel 1971 e fortemente Nada saluta isolata commossa dai suoi la coetanei.nonna e si La scusa seconda per le dà sue senso lacrime. pieno Il alricordo film e della alla verità contenuta nel libro: prima di esibirsi per festeggiare la vittoria al festival di Sanre- da dell’appartenenza al mondo contadino che ha segnato profondamente la sua identità. nonna si lega a doppio filo all’ancestralità della sua condizione, rivelando la radice fecon D stato interpretato, grazie anche alla presenza di Ilaria Fraioli al montaggio, come possibi- : Il tema cardine del film sembra essere il rapporto di Nada con la madre e questo è opere come Un’ora sola ti vorrei o il tuo lavoro segue altre tracce? le termineR di paragone con i film di Alina Marazzi. È possibile rintracciare l’eco soffusa di canovaccio e poi la realizzazione del documentario è la luce per la madre che risplende in ogni: A paginadire il verodel libro quel di che Nada. fin daLa subitopienezza ha dellaguidato ‘questione e sostenuto della prima madre’ la nel scrittura vissuto del di e altre esperienze. NadaAl fondoha fatto di scattaretutto c’è inla merivelazione la necessità per dicui girare Nada questoha im- film, a prescindere da altri testi parato a cantare ‘per’ la madre, forzando la propria indo- stessa ragione di vita. Da qui la ricorrenza, all’interno del raccontole ma ritrovando visivo, del a temaposteriori della madre,in questo la suasacrificio declinazione la sua in canto, voce, e pianto [Si pensi alla intensa sequenza in cui Nada, in dialogo ravvicinato con la macchina da pre- Il mio cuore umano di Costanza Quatriglio, 2009 frenare la commozione]. Nada e Costanza sul set del film sa, Le piange parole parlando per la madre della si mamma, trasformano senza spesso più riuscire in musi a- un concerto di Nada con Zamboni (che in realtà aveva già avuto molte ca e così nel finale del film ho ‘inventato’ - zione del personaggio, mostrare la grinta e il pathos delle esibizionirepliche) perché musicali. ritenevo Si è trattato necessario, davvero ai fini di della capovolgere restitu - to credo sia straordinario. Nella messa a punto della se- Il mio cuore umano di Costan- il principio di reciprocità fra realtà e finzione, ma l’effet- za Quatriglio, 2009 - Un fotogramma del film vintaquenza della finale scelta ho dialogato di prolungare a lungo il momentocon Ilaria, in a cui siNada de vono il ritmo, il respiro interno del film; lei non era con trattavacanta – con di unl’energia raccordo che essenziale solo lei è capace per cogliere di distillare la natura sul delpalco dolore – una propria delle canzoni della loro sulla relazione madre, mentre(«Madre per assassi me si- na / madre bambina / abbracciami tu / abbracciami di più»). Grazie al nostro confronto il finale ha guadagnato Il mio cuore umano di Costan- za Quatriglio, 2009 potenza e ci ha permesso di toccare una delle corde più Un fotogramma del film autentiche della (auto)biografia di Nada.

96 Intervista a Costanza Quatriglio n. 8, luglio-dicembre 2016

D tra le pieghe de Il mio cuore umano si manifesta il carattere speciale del rapporto che ti ha legata: Non a Nada. è facile Cosa raggiungere puoi dirci delun gradovostro di incontro? intimità profondo nello spazio di un set, eppure R entusiasmo l’aveva convinta del fatto che volessi raccontare il suo passato senza sovra- strutture,: Quando senza ho inganni,proposto partendo a Nada l’idea dalla delnudità film delle ho subito sue parole. avvertito [Non la a sua caso fiducia: nel pressbo il mio- e profondo per il mio libro e per il mio lavoro di cantante e autrice mi sono convinta e mi sonook del lasciata film si legge:guidare «Quando in un percorso ho capito intimo che l’idea raccontando di Costanza anche era il nata privato dall’interesse con sincerità vero e verità, e ne è venuta fuori una storia umana e piena d’emozione. Grazie a Costanza e alla sua delicatezza e sensibilità»] Da quel momento abbiamo attraversato un lungo tratto insieme, nel corso del quale lei si è completamente affidata a me, abbandonandosi al mio sguardo, alle mie indicazioni. La struttura narrativa del film è il frutto di un’intuizione iniziale ma soprattutto della nostra intesa: al centro ci sono la sua voce vibrante, il suo possocorpo edire la sua di essere musica, diventata in un intreccio amica delladi tempi sua emusica, rievocazioni. e la curiosità Non c’era verso stato la suaspazio ricerca fino nonad allora si è ancora per le spenta.sue canzoni, non le conoscevo e non avevano segnato la mia vita: adesso

D Il mio cuore umano il tuo cinema ha toccato vertici di grande forza espressiva

: Dopo e haR virato decisamente verso altre matrici narrative: a distanza di anni che ruolo gioca- siemequesto abbiamo piccolo grande costruito film ha su rappresentato Nada dentro ilper corpus me un delle momento tue opere? di passaggio importante : Riflettendo retrospettivamente posso dire che l’incontro con Nada, il lavoro che in dell’invisibile, vedere l’oggi e parlare di ieri. Un corto circuito fra presente e passato che perché in quel film ho messo a fuoco qualcosa su cui ho sempre lavorato, cioè il racconto

è ancora adesso una delle sfide drammaturgiche ed espressive che mi interessano di più.

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n. 8, luglio-dicembre 2016 Issn:

8.2. Presenza assente: il corpo tra metamorfosi e memoria Una conversazione con Eleonora Manca a cura di Elena Marcheschi

Pisa/Torino, agosto 2016 sta sviluppando da diversi anni una ricerca sulla metamorfosi, la memoria e la memoria Eleonora Manca (Lucca, 1978), artista visiva nell’ambito del video e della fotografia, questa intervista. del corpo. Il fitto dialogo che intrattengo da tempo con lei si è recentemente definito in D input: Haiculturali studiato o delle Storia fascinazioni dell’Arte all’Università che ti hanno diguidata Pisa e insuccessivamente quella direzione? Teatro Perché e Arti hai sceltodella Scena proprio a Torino. questi mezziCome tiespressivi? sei avvicinata alla fotografia e al video? Ci sono stati degli R parola e alla loro compenetrazione. Nel mio percorso di studi, dunque, ho sempre cercato : Fin da bambina il mio interesse è stato prevalentemente rivolto all’immagine, alla- dio che potesse guidare ogni interesse che andavo maturando. Chiamavo questo atteggia- di assorbire e coniugare più informazioni possibili al fine di creare una specie di compen disegnavo, dipingevo, creavo collage unendo immagini ritagliate e versi dei poeti che mi parlavano.mento – da Ilspugna tutto era un po’già sconclusionata‘poesia visiva’, anche – ‘la mia se nonlista lo della sapevo. spesa’. Mio Contemporaneamente padre è un fotografo, statamia madre una stagione una pittrice molto e intensami piace di pensare poesia visiva.che mi Utilizzavoabbiano dato carta – seppur giapponese, nella lontananza frasi mie o cut-up– un imprinting per certi versi atavico e inevitabile. Dopo una lunga ricerca pittorica c’è - di versi di poeti, scrittori. Mi piaceva, ad esempio, unire un verso di Dylan Thomas neglicon uno anni di precedentiJanet Frame (ho creando impiegato quindi molto piccoli per ibridi accettare poetici. l’esigenza Fu in questa di prendere stagione una di paro mac- la per immagine (e viceversa) che presi a fotografare più intensamente di quanto facessi china fotografica in mano; schivavo questo richiamo, ma alla fine non ho potuto far altro che lasciarmi sedurre). Presi confidenza con il mezzo e cercai di sintetizzare tutto ciò prepotentementeche fino ad allora miagli aveva anni universitaririempita, formata. pisani, Ciononostante a quando seguivo – e loi corsiricordo di Sandraancora, Lischiquasi checome tanto un fattoaffascinavano fisico – ero il mio sempre immaginario più frustrata e la mia dalla voglia parola. di creare Una parte poesia di in me movimen tornava- to (a lei devo, veramente, la voglia incessante di fare video). Non sapendo da che parte bobina dipanata. Lavoravo molto sull’esigenza di fermare un attimo, un gesto reiterato. Fotografavoiniziare mi limitavo, foglie mosse però, dala realizzare vento, lenzuola micro-narrazioni stese ad asciugare, con la fotografia. tende in Unamovimento specie di e poi le univo sperando che il solo occhio potesse dare loro il movimento che cercavo. Da lì passai ai movimenti del mio corpo. Decine e decine di gesti congelati che però mi lascia- vano sempre insoddisfatta. Risolutivo fu l’incontro con Alessandro Amaducci. Guardavo con un misto di circospezione e fascinazione la sua postazione video, parlavamo molto della mia esigenza di tornare all’immagine, all’archetipo e un mattino – era il giugno del 2012 – gli dissi che volevo realizzare un video nel quale mi spellavo. Avevo già tutto in 98 Elena Marcheschi n. 8, luglio-dicembre 2016

mente. Sapevo come volevo il risultato finale. Disseminai il mio corpo di colla vinilica, gli chiesi di aiutarmi nelle riprese e nel montaggio. Istintivamente – pur non sapendo niente di post produzione – iniziai a fare dei tagli alle riprese, cercando di spiegargli cosa volevo sentiidall’esito una finale. profonda Chiesi appartenenza. inoltre ad Alessandro Avevo dunque di farmi trovato vedere una più ‘madre’ video dapossibili. assorbire Lui eintuì poi dala mia dimenticare tendenza pera preferire fare me un stessa. certo Quell’estatecinema sperimentale. realizzai altriMi ‘presentò’ quattro video.Maya DerenE da lì ed non io anche la parola. [fig. 1] mi sono più fermata. Da qualche anno nei miei lavori – sia fotografici sia video – è tornata Difficilmente riesco a definirmi fotografa e/o videoartista. Spiego bastasempre per che la per ricerca me – che foto sto e video portando – sono avanti solo mezzi sulla memoriaper restituire e la metamorfosi.un’immagine. Non hosono la presunzione di conoscere tutto di questi mezzi, ma so di loro – almeno ad oggi – quanto daancora un bel certa po’ di avereanni) sonoscelto loro unicamente ad aver scelto foto eme. video – ma anche perché non mi precludo mai nessuna possibilità ‘altra’ – diciamo che per adesso (anche se è un ‘adesso’ che dura D - camente: La tua essenziali, gestualità pulite, artistica sono è solo autoriflessiva, apparentemente pur non semplici volendo e essereaprono autoreferenziale; mondi. Io sento il tuo corpo è oggetto e mezzo d’arte definito, ma infinito; le tue immagini, fotografi tuo corpo nella tua ricerca? E se sei d’accordo, anche di questo altrove che io intravedo? nelleR tue opere la potenza di te e di un altrove. Puoi parlarmi dell’uso e dei significati del- della di nudo in un’Accademia privata. Il pittore che coordinava le lezioni si rivolgeva al mio: Quando corpo parlandoiniziai a fotografarmi di piani concavi venivo e convessi, da un periodo linee spezzate, in cui avevo curve. lavorato Una geometriacome mo di pelle. Questa specie di distacco dall’individualismo egotico atto a restituire, invece, l’oggettiva bellezza di ogni possibile corpo fu per me fondamentale sia per sanare alcune può essere veramente un medium. Se estrapolato dal suo essere parte integrante di una personanevrosi suldiviene (mio) un corpo, ‘organismo’ sia per anch’essocomprendere in grado che in di arteparlare, – in comunicare.ogni forma d’arte Non ritengo – il corpo sia una questione di dualismo, nel senso della coesistenza di due esperienze diverse (psiche e soma), bensì di una Gestalt di conoscenza, percezione, persona e organismo. Inevitabile fu per me iniziare a “studiarmi” (per non dire percepirmi) in questo senso. E inevitabile ogni mia essenza e dall’altro erano in grado di comunicare senza un ‘io’ che le dirigesse [fig.fu concentrarmi 2]. Parti del su mio quelle corpo parti indipendenti del mio corpo capaci che, di secondo condurre me, a daun un discorso lato identificavano archetipale, sono arrivata a conoscere piuttosto bene il mio corpo (e i suoi trabocchetti) sono anche sicurasvincolato di quelle dalla partimia autoreferenzialità del mio corpo che onon dalla sarebbero mia storia. mai Poiché in grado – nel di benerestituire e nel ciòmale che – intendo dire. In questo senso ‘uso’, ‘sfrutto’ quelle sezioni che mi sono utili. C’è dunque, sì, incosciente;molta autoriflessione l’‘inorganico’ e anche di Carmelo molto studio Bene della reiterazionegesto. La Biomeccanica quasi ossessiva di Mejerchol’d di un gesto, mi laha suainsegnato frammentazione, la possibilità il diridurlo arrivare quasi a un a elementopunto in cuiesterno il corpo al corpo.agisce inGli un autoritratti flusso quasi di Schiele la drammatica tensione di un muscolo, la sofferenza di un tendine allungato quasi ogni possibile grido. Imogen Cunningham l’interesse verso movimenti, espressioni del fino all’inverosimile. Bacon la potenza di un volto sfocato, appena accennato, fissato in volto talmente giornalieri da risultare – per contrappunto – iconici, come facenti parte 99 Conversazione con Eleonora Manca n. 8, luglio- dicembre2016 di un altro essere. Claude Cahun la severità del gioco. Mapplethorpe l’implacabilità del installative.dettaglio. Annette Maria MessagerLai la pazienza (e più indi generale‘tessere’ unaun racconto certa Arte in Concettuale) grado di avere il considerare una lingua universale.la fotografia Gina non Paneun’immagine l’importanza meramente di partire appesa, da una ma me fonte al singolare di continue per sperimentazioni divenire subito media per attraccare al grado zero del linguaggio del corpo [fig. 3]. Giusto per fare alcuni esempi. plurale.Vien da séKetty che Lanon Rocca posso la (elibertà quindi di non sondare voglio) ogni permettermi possibilità dicomunicativa discettare solo dei di me. Ho - ritrovarela possibilità anche – direi un po’ pressoché di sé o un infinita qualcosa – di che restituire credeva un rimosso, documento dimenticato. – di pelle, È comeemozio se restituissini, dolori – soloche necessariamentel’‘interno’, una rappresentazione sfora in un altrove; che unsi superaaltrove nella nel quale trasformazione. ognuno possa Di fatto, non esistono ‘fatti’ personali se raccontati. Al contempo si tratta di essere contem- dunque introspettivo nella misura in cui tendo a concentrarmi sul restituire un’opera che poraneamente luogo, carne e immagine dell’esito artistico finale. Lo sguardo su di me è

Tessere Memoria, dettaglio 1, di Eleonora Manca, 2013

fig. 1

Stir XXIV di Eleonora Manca, 2014

fig. 2 Elena Marcheschi n. 8, luglio-dicembre 2016 non giri su se stessa perché è uno sguardo atto a de-costruire il soggetto, il quale assume dell’astante. «Io mi mostro» (nell’accezione fenomenologica) dunque io esisto e non esisto, mauna questo nuova èforma possibile mediante unicamente sia la fotoin uno, – e/o due, il centovideo frammenti– che ne nasce di me sia che grazie si disperdono, all’occhio che si ri-assemblano legati da accenti spesso incomprensibili anche a me, ma che assecon- dano il tempo necessario al ‘cambiar pelle’. Intraprendere un lavoro performativo in cui quindiil primo mai attore storica), è anche bensì colui strumento che registra alla paril’‘atto’ con pone la mia dinnanzi esistenza. a una L’immagine specie di onestà:che nasce la nonfotografia mi ‘appartiene’ – e il video e quindi – non sonoha la possibilitàla ricerca spasmodica e il compito della di avere mia un’eco. esperienza Ciò che psichica mi inte (e- ressa è il sondare non il vedersi, ma il vedersi visti; come se l’agente fosse sì anche l’ogget- to di indagine, ma al contempo entità ‘altra’, ‘virtuale’, ‘astratta’. Credo che dipenda anche sulla memoria (psichica e del corpo) in rapporto a oggetti del quotidiano o situazioni o emozionida questo conse ultimamente le quali ognuno nei mieidi noi lavori possa sono confrontarsi. sempre meno Sto cercandopresente. diSe restituire sto riflettendo l’‘im- pronta’ del sé e la sua proiezione invitando (anche me stessa) a contemplare con occhi nuovi il ‘reale’, sovvertendo l’idea di un oggetto privo di collegamenti con l’ambiente nel quale compare o con le emozioni che lo rivestono [fig. 4]. - tare anche ognuno di noi. A conti fatti è un dialogo che sollecitaL’identificazione a essere inconsapevoli altri oggetti di ciòo situazioni che vediamo, e la rappresentazione di come lo vediamo di quelle e di come figure le immaginiin qualche danno modo arrivanouna forma a rappresenalle nostre emozioni e alla nostra comprensione del mondo. E quindi, sì, per quanto spesso semplici - versoe pulite, la conoscenzale immagini della che restituisco possibilità –data dopo dai il non-luoghi.lavoro di ricerca, ‘costruzione’, assimilazio ne – sono, parafrasando Florenskij, una finestra apribile nei due sensi: dentro noi stessi e D punctum barthe- punctum non sia riconducibile: Quest’ultima a un metafora unico dettaglio, della finestra ma a entrauna costruzione in dialogo con complessa l’idea del piena di ‘vuoti’, nei qualisiano. lo Nel spettatore tuo lavoro, può sia fare fotografico attecchire che la in propria video, esperienza,mi pare che il la proprio presenza immaginario. del Allo- ra ti vorrei chiedere a che cosa ti riferisci quando parli di memoria, considerando il fatto anche il fatto che è dal tuo corpo o dall’esperienza personale del tuo corpo nello spazio che tunon cerchi è la tuae ricrei memoria memorie? personale E quanto che l’usovuoi dellaindagare scrittura, nello inspecifico, diverse tuema opereconsiderando recenti,

R ma non solo, è funzionale a tracciare i fili di questa memoria? - : Dietro lo specchio, non per dirigere i giochi, ma per imparare a vedere attraverso altri punti di vista. Mi verrebbe da sintetizzare così. Ciononostante, sì, Barthes: «la fo- tografia non è mai altro che un canto alternato di ‘Guardi’, ‘Guarda’, ‘Ecco qua’». Perché unognuno po’ al ha rovescio. la sua percezione, Mi interessa la molto sua storia, la questione le sue emozioni del punctum da portare – anche brutalmen tedi –un dinanzi ‘manifesto a un’opera celato’ d’arte. e quando Per èquesto, individuato negli anni,come ho centro imparato emozionale a leggere non Barthes solo da anche colui che guarda, ma principalmente dall’artista. Ed è interessante soprattuttoanche confondermi quando èun figlio po’, giocando sulla sintesi del concetto stesso. Nei Canti Gregoriani il punctum la nota isolata - mento o di esasperazione di se stesso [fig. 5]. Le note corrispondenti si amalgamano– in un– ha movimento un valore pressochécorale che neutro.può essere E ciò rapido che è (alneutro contrario, è come invece, il vuoto: del passibiletractulus didove riempi ogni

101 Conversazione con Eleonora Manca n. 8, luglio- dicembre2016 nota del movimento deve essere cantata nella sua individualità, più lentamente). Unendo ‘attratto’questa idea da diun ‘nota dettaglio isolata’ particolare, – che nelle riesco note a corrispondenti ‘vedere’ la sollecitazione crea un movimento che accompagna rapido –la acostruzione quella barthesiana dei miei lavori.di aspetto Lo spazio emotivo, è sempre per cui vuoto. lo spettatore Non mi interessa viene irrazionalmente la logica da set problemi del caso). Cerco di fornire piani diversi di lettura e quindi il punctum raramente (inteso anche come scenografia). Non uso luci artificiali, ma sempre naturali (con tutti i tuttoè fisso, a ciòaffinché che lui ognuno è in quel possa momento. liberamente Me compresa. ascoltare È fondamentale,ciò che più gli per parla. me, Non lavorare intendo sul mai manipolare l’interpretazione. Ognuno vedrà – o non vedrà affatto – in base prima di arti, la frammentazione quasi scoordinata di un gesto. Il non rendere mai appieno visi- bilidettaglio l’interezza che potrebbe né dell’oggetto perdersi né da dell’emozione. lì a poco: il corpo Prediligo sezionato, i tagli la inusuali, sezione vististessa di disfuggita alcuni [fig. 6]. -

Rapidi, tornando alla riflessione sui Canti Gregoriani. Un movimento ‘ammacca

Sineddoche I di Eleonora Manca, 2016

fig. 3

Distillando gesti mutanti X di Eleonora Manca, 2016

fig. 4 Elena Marcheschi n. 8, luglio- dicembre2016 nell’accezione espansiva di linea netta fra ‘me’ e il resto del mondo. Costruire spazi vuoti to’,equivale distrattamente un po’ a costruire ‘fissato’ undentro respiro, e ai unmargini battito. di Aluno contempo spazio vuoto. pone Quasilo studio un ‘confine’,costante madel riesaminare l’immagine, il disagio che essa crea (soprattutto per l’ossessione del volersi vedere) e il grado zero che si sposta in continuazione a seconda delle situazioni. Così, per me, indagare sulla memoria equivale a indagare sulle incomprensioni e le contraddizioni. perDi quanta sempre memoria o si è solo siamo nascosta? fatti? Nell’ambito Il corpo è un di diario, una narrazione può esserlo. dove La finisce mente la opera mia memoria secondo azionie dove iniziadi acquisizio la tua? Quanta- memoria abbiamo già perduto? E – fondamentale – è perduta ne e rimozione (per non parlare dei tra- nelli e delle menzo- l’ausilio della men- gne), il corpo – senza grado di mentire e nonte – nondimentica credo nulla;sia in mantiene nelle pro- prie cellule, nella po- stura, nei gesti ogni avvenimento, ogni pensiero, ogni sguar- do, ogni parola. Ogni corpo è memoria ed Inventario #128 e #129 di Eleonora Manca, 2016. tal punto che ogni fig. 5 nostroessa si atto stratifica è legato a ai ricordi che il pen- siero cosciente tende ad annullare, ma che sostano inattaccabili nel corpo. Tuttavia, così come il corpo è sempre in metamor- fosi ogni memoria non può rimane- re solo nel passato. Essa è sorgente sem- pre viva. Da qui l’esi- genza di sondare le curve mnemoniche date dalle indagini

- vato,– sempre tra esperienzesul crinale personali– tra pubblico e colletti e pri- Inventario #659 e #665 Inventario #531 e #527 di Eleo- ve. Posso anche rac- nora Manca, 2016 a sinistra fig. 6 di Eleonora Manca, 2016; a destra fig. 7 Una conversazione con Eleonora Manca n. 8, luglio-dicembre 2016 contarti qualcosa di me; qualcosa che veramente affonda nella mia esperienza. Tuttavia se scelgo di farlo mi fermo sempre all’attimo prima di dirti tutto [fig. 7]. Oltre che una fa sì parte di una specie di esperienza collettiva, ma non colma la sua dismisura. Scelgo quindiquestione di raccontare di pudicizia un è anch’essa‘accento’ all’interno una questione del quale di onestà: vi sia la la misura possibilità di ciò di che scoprire io ricordo una relazione con ciò che è stato fatto di quel passato. La memoria serve per il presente. Me- moria e vuoti. Sembra un pensiero dicotomico, ma in realtà accoglie sia l’inconscio sia il tangibile. Dedicare uno spazio vuoto a un essere o a un ricordo equivale a renderlo ‘cor- -

‘mito’poreo’; e una all’archetipo, presenza cheaggiungerei. va oltre il Di tempo. memoria Ma anche, in memoria, lasciare recuperando uno spazio vuoto il senso – come poetico in d’ognisegna Mariaagire, accorgendosiLai – significa di lasciare ciò che una ci attraversa. possibilità Mutando, all’immaginazione, benedicendo al sogno. cicatrici. E anche Non c’è al bisogno che ti racconti tutta la mia memoria laddove ben sappiamo che ogni memoria può essere recuperata e ricomposta, sempre. Oppure: costruisco e ricostruisco[fig. il 8]mio. Laddove ricordo l’immaginescegliendo più non modalità, basta c’è affinché bisogno sia della sempre parola più (ricordi chiaro quantoaccostati sia e faticoso accatastati, (e forse stralci anche di diari,inutile) appunti riallacciare ritrovati gli innumerevoli e creduti perduti fili che che ci subitohanno rimandanoportato fino a a uno qui ‘ieri’ che è stato un ‘adesso’); se non basta nemmeno questo proviamo a dare movimento all’immagine, da osservare dall’esterno, oppure prendiamo oggetti che sono appartenuti a noi, a qualcuno della famiglia o solo recuperati in giro ma che in qualche modoa rendere hanno il tutto conservato un ‘film’ un’energia che rimanda a un qualcosa di conosciuto o da voler conoscere. E con questi oggetti creiamo oggetti ‘nuovi’ portando in essi tutto il bagaglio che sino ad ora ha composto la nostra identità. E se questo non basta uniamo tutto il ‘caos’ in un progetto unico, come sto cercando di fare io con la mia arte. Una specie di sintesi

– dove la sintesi è data anche dai vari media che esploro – non a voler per forza dare un ‘ordine’, casomai un provvisorio definitivo. Come è nella natura dei ricordi.

Diary of a Metarmorphosis 01 di Eleonora Manca, 2015

fig. 8

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