Diari Di Cineclub N. 86
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
_ n.3 Anno IX N. 86 | Settembre 2020 | ISSN 2431 - 6739 Lo sguardo italiano Sitis Tutti sappiamo che, funge da “io” narrante. Si mette in gioco sul fi- fra i suoi tanti effetti, lo del rasoio, rischiando (ma asciuttamente «Tola il fattore smise di raccontare che già imbruni- la pandemia Covid-19 rigettando) la smanceria. va dopo una giornata dominata dal caldo umido, ha avuto anche quello Questo è il film di un espatriato che s’interro- torrido la parola giusta. Si sudava solo a pensarlo. di riportare in auge l’i- ga sulle sue radici. Non vi troviamo la conven- Era la prima settimana d’agosto. L’uomo, era di di- screte proporzioni risaltante da una canotta bianca- Giannalberto Bendazzi dentità nazionale agli zionale nostalgia dell’emigrato che rumina sul occhi della cittadinan- paesello. Vi troviamo il vuoto che sperimenta- stra, andava per i settanta. Asciugò il sudore con un za. Spontaneamente si sono sciorinate ban- no l’uomo o la donna che, a un certo punto panno di arancione spugnoso, stretto nel pugno co- diere e si è intonato l’inno di Mameli, e sono della loro vita, si riconoscono come inseriti me un mannello di grano. Era scuro di pelle, gli oc- apparsi cartelli che parlavano in prima perso- tanto nella casa d’arrivo quanto nella casa di chi da arabo, radi i capelli e i denti. Parvo Artus non na plurale (“Ce la faremo”, “Andrà tutto be- partenza, hanno disponibilità economiche, si era pentito di averlo ingaggiato come mezzadro ne”). Il pericolo ha portato in dote un ideale prendono aerei. L’expat non ha lacerazioni. “Io pure se ogni tanto gli sorgeva dubbio di una qualche condiviso e unificante a un popolo che dal 1918 non mi sento mezzo italiano e mezzo tedesco” sotterranea alleanza del fattore con Irredento, il vi- in poi era stato scisso. mi disse una volta un amico che viveva a Rati- cino, i due fondi separati da rete metallica, filo spi- Chi scrive non è pensatore sociale. Semplice- sbona. “Io mi sento tutto italiano e tutto tede- nato, gli immancabili rovi, ciliegi, fichi, melacoto- mente vuole portare qui la propria testimo- sco. Questo è il mio problema”. Le statistiche, gne e altra siepe. Irredento era causa e conseguenza nianza di abitante che per molti anni ha speri- prese con il dovuto granello di sale, parlano di della guerra per l’acqua». mentato la nebbiosità dell’identità nazionale, duecentomila laureati italiani che sono usciti per aver lavorato all’estero; in termine gerga- stabilmente dal Paese tra il 2013 e il 2018. le, la testimonianza di un expat. Lo faccio al- Nei miei anni trascorsi fra un aeroporto e un La sete appartiene al lacciandomi a un ottimo cortometraggio d’a- altro, mi sono sovente interrogato io stesso lessico cinematografi- nimazione, Lo sguardo italiano di Sandro Del sulle mie radici. Ho sentito quel vuoto anche co da sempre. Sete di Rosario, pescarese residente a Los Angeles. quando gli ospitanti stranieri cercavano di gola e di viscere, arsura Lo sguardo italiano suscita molti aggettivi posi- mettermi a mio agio seguendo gli stereotipi: divorante anima e cor- tivi. Il primo è “coraggioso”. Del Rosario non parlando di calcio od offrendomi un caffè po. E sete che quando teme di parlare delle proprie emozioni in pri- espresso (odio entrambi, fra l’altro). si fa inestinguibile tro- ma persona, con una voce fuori campo che segue a pag. successiva va come condizione il Natalino Piras deserto in superficie e gli inferni dentro. Sete che ha l’acqua come oasi, come tregua, come Immaginare senza la realtà, gli sconosciuti nemica del fuoco, come contrario e come ter- immaginari del cinema mine di paragone. Due film rendono questo incipit: Törst (Sete, 1949) di Ingmar Bergman e Lo spettacolo della morte, al cinema, si ascrive a una sobrietà anti-ingannevole che rifugge il virtuosismo, Il buono, il brutto, il cattivo (1966) di Sergio Leo- in virtù di una sospensione necessaria e rispettosa ne. Il film di Bergman dice di una coppia in Jacques Rivette abissale crisi che in treno attraversa la notte di una Germania ancora devastata dalla guerra. Il cinema sa creare im- Se, come dice il curato Donnissan (Gérad De- maginari. La sua capa- pardieu) di Sotto il sole di Satana (Sous le soleil de cità onnicomprensiva Satan, da Bernanos, 1987) di Maurice Pialat li traduce reificandoli “l’inferno è non amare più”, Rut (Eva Hen- nell’affabulazione e li ning) e Bertil (Birger Malmstem) di Törst spe- trasforma in nuovi sce- rimentano su di sé che la sete d’amore non può nari, innumerevoli e so- essere “colmata artificialmente, con viziose vrapponibili il più possi- anormalità” (Ernesto Guido Laura). Altra sete bile coerenti all’idea di nel terzo titolo della trilogia del dollaro di Ser- partenza. Un processo gio Leone. Biondo (Clint Eastwood) è tenuto onirico che si ripete sep- Tonino De Pace sotto tiro da Tuco (Eli Wallach). Il brutto a ca- pure con differenti gra- vallo, divorato da sete di vendetta, fa cammi- dienti di apporto fantastico. nare davanti a lui, a piedi, il buono: il deserto È anche questo che ci piace del cinema, la sua come terra di nessuno, che persino la guerra, versatile potenza che nutre il nostro immagi- quella civile americana (1861-1865), rifugge. Il nario. Il cinema, tra i suoi numerosi immagi- volto di Biondo è una maschera enfia di soffe- nari, ha saputo, in differenti occasioni, resti- renza, le labbra screpolate, si trascina sopra la tuire anche quello di una possibile idea dell’al sabbia rovente. Implacabile Tuco che pur di non di là quasi come un altro mondo fantastico del far bere un solo goccio d’acqua al suo corale ne- quale non si possa fare a meno. mico già socio nell’affare delle impiccagioni, segue a pag. 4 Jacques Rivette (1928 – 2016) segue a pag. 3 [email protected] n. 86 segue da pag. precedente Curiosamente, ho avvertito forte il desiderio, o il dovere, di fare qualcosa per il mio Paese. Di pagare un debito di gratitudine... proprio alla nazione che mi aveva messo fuori dalla porta. Credo che Sandro Del Rosario, nel suo Lo Sguardo italiano, dia voce proprio a questo vuoto e a questa gratitudine senza senno. Che ciò permetta a me, meglio che ad altri, di co- gliere il senso del film è ovvio; che mi consen- ta di ritenerlo incisivo, anche. Il secondo ag- gettivo positivo che il film suscita è “bello”. Da un lato, lo definisco bello perché “riuscito” o “artisticamente di pregio”; dall’altro, perché fa un uso sapiente della categoria estetica Bello1. Fiori, cale marine, architetture, passanti a zonzo in piazze eleganti si susseguono sullo schermo, a descrivere quello che tutti cono- scono, appunto, come Il Bel Paese. La risacca Sandro Del Rosario sullo sfondo di un’inquadratura ingrandita del suo film Il rosone a vetrata di una chiesa gotica italiana, elemento del Bello Artistico del Risacca rossa. La risacca sulla spiaggia si tinge di rosso cianotico e lascia scoperte Paese le pietre che riportano le parole del Brutto d’Italia azzurra della spiaggia si aggiunge a queste che questo Lo Sguardo Italiano impudicamente expat, Sandro Del Rosario è tutto italiano, ma immagini. Un rosso sangue invade e sostitui- sincero dice la propria gratitudine a una ma- da un’angolatura che in Italia non esisteva. sce l’azzurro. Sui ciottoli che rotolano leggia- dre che molto ha dato anche se ha svezzato mo le parole del Brutto: Omicidi, Mafia, Cor- troppo presto molti di noi. Come tanti altri Giannalberto Bendazzi ruzione e così via. Qual è il mio Paese? È questo il mio Paese, o lo era soltanto, e se lo era, lo era davvero? si domanda esplicitamen- te il cineasta. La domanda non è rivolta agli spettatori, che anzi sono chiamati a farla rim- balzare dall’uno all’altro, fra loro stessi. Tutti abbiamo imparato a scuola che Dante Alighie- ri e Francesco Petrarca già la ponevano, sette- cento anni fa. Ci vuol poco, da qui, a suggerire che una vera risposta non esiste; o piuttosto, che da sempre coesistono un’Italia della realtà e un’Italia degli auspici. È probabile che senza questi auspici la fisionomia sarebbe ben di- versa, e la realtà sarebbe ben peggiore. È pro- babile che senza quel vuoto apparentemente incolmabile il senso civico non avrebbe avuto slancio, e che il molto Bello artistico avrebbe aggiunto meno valore al tanto Bello naturale. Il mestiere degli artisti, del resto, è aprire de- gli interrogativi. Scolpire delle sentenze è af- fare di pubblicitari o di propagandisti. Direi 1 Per esempio, la conosciutissima Madonna con bambino di Filippo Lippi (1465) è basata sul Bello; il non meno pregevole L’urlo di Edvard Munch (1893) è ba- Golfo: un paesaggio sul Mar Ligure, elemento del Bello naturale del Paese. Lo stile pittorico del film fa riferimento sato sull’Orribile. all’Impressionismo. 2 [email protected] segue da pag. 1 acque, di abbagliante calma oppure sgorganti campagna. Non trovavano ombra. Gli alberi si rovescia sulla sabbia quella residua di una dalla terra e dalla pietra, sono imbevibili. Co- rifiutavano di proteggere gli uomini che erra- borraccia. Torna la sete in accezione bergma- me l’acqua avvelenata dei pozzi ne Il Leone del vano come le bestie. Luisi Buitu continuava a niana. Così nel Vangelo di Giovanni, come una deserto (1981) di Mustafa Akkad, film che anco- zappare aspettando la moglie, Variledda, che sceneggiatura: «Quando Gesù seppe che i fa- ra subisce censure in Italia, sugli orrori del co- doveva arrivare dal paese con la brocca del se- risei avevano sentito che egli faceva più disce- lonialismo italiano in Libia.