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LE CONNESSIONI TRA BOLSONARO E IL FEMMINICIDIO DI MARIELLE FRANCO

Brasile, un anno fa la morte di Marielle Franco. L'abbraccio del killer a Bolsonaro

L'attivista, consigliera comunale a , era nota per le sue battaglie sui diritti civili. Fa discutere la foto su Twitter dell'ex sergente di polizia che sparò assieme al presidente brasiliano di DANIELE MASTROGIACOMO 14 MARZO 2019

RIO DE JANEIRO - Marielle Franco moriva esattamente un anno fa. Poco dopo le 9 di sera. Rio era già avvolta dal buio, pioveva, le strade erano bagnate. La consigliera comunale, eletta con il più alto numero di voti (46.502), era reduce dall'ultima riunione con un gruppo di donne. Bianche, nere e meticce. Ma donne come lei, nota femminista e militante lesbica, un faro per le minoranze che, nel Brasile ancorato a valori e atteggiamenti coloniali, faticano a farsi largo tra la società. Un commando a bordo di un'auto si affianca a quella di Marielle ed esplode 14 colpi di mitraglietta. Un'azione fulminea ma precisa. Da sicari esperti. Gente decisa, che sa maneggiare le armi. Che spara per uccidere. Si salva solo la segretaria della consigliera del PSOL, il partito in cui militava l'attivista umanitaria.

Oggi sappiamo che le sue battaglie condotte alla luce del sole, soprattutto nella di Maré, dove era nata e vissuta, avevano colpito nel segno. Sappiamo che le due denunce sugli omicidi extragiudiziari commessi con disinvoltura e la certezza dell'impunità dalle milizie che spadroneggiano a Rio, davano fastidio. Perché svelavano le connivenze, gli intrecci di interesse e le coperture reciproche tra le gang mafiose e il potere politico con la tacita protezione della polizia militare.

L'arresto di due ex agenti come autori dell'agguato in cui perse la vita l'autista della parlamentare, Anderson Gomes, ci porta infatti proprio nel cuore degli squadroni della morte, nati sotto la dittatura militare, rafforzati negli Anni '80 e '90 e mai scomparsi. Ci conduce alla milizia più antica e potente della immensa capitale carioca: l'Ufficio del Crimine. Basta il nome per capire che il gruppo ha una sua specialità: gli omicidi su commissione.

Ronnie Lessa, 48 anni, sergente della Polizia militare in pensione anticipata per aver perso una gamba durante un attentato su cui i suoi colleghi non avevano mai indagato, è considerato il killer. È stato lui a sparare la raffica di colpi che ha crivellato la testa e il corpo di Marielle Franco. Elcio Vieira de Queiroz, 46 anni, anche lui ufficiale della Polizia militare espulso dal corpo nel 2011, faceva da autista. A bordo dell'auto c'era un terzo killer non ancora individuato. Come non sono stati individuati i mandanti, gli appaltatori, quel sottobosco che ha commissionato un delitto che ha scosso in profondità l'intero Brasile e che lo stesso giudice che ha emesso l'ordine di cattura ha definito "il più alto attacco allo Stato di diritto della democrazia brasiliana".

I due killer non parleranno. Ma il loro passato, e il loro presente, sono un libro aperto. Lessa viveva nello stesso condominio, a Barra de , di e del figlio Carlos. Per i giudici è irrilevante. Ma lo è meno la foto che domina il suo account Twitter nella quale il presidente lo abbraccia. La foto ha fatto scandalo e ha girato sui social. Bolsonaro ha negato di conoscerlo. "Vedo e incontro tante persone, non posso ricordarmi di tutti", ha detto. L'ex sergente era una vecchia conoscenza della polizia. Non solo perché aveva lavorato a lungo nel corpo ma per i suoi modi spicci, la sua ossessione nei confronti dei neri e meticci, dei gay e lesbiche. Aveva più volte partecipato alle incursioni nelle favela. Era un assiduo frequentatore di Rio das Pedras, la base operativa dell'Ufficio del Crimine. Gli inquirenti hanno trovato a casa di un suo amico 117 fucili M-16 ancora da assembleare. Non erano stati denunciati.

Un mese dopo l'agguato a Marielle, Lessa era stato attirato in una trappola: lo volevano eliminare. Era un killer scomodo. Lui reagì sparando e se la cavò con delle ferite curate poi in ospedale dove la vicenda non venne mai segnalata e su cui non fu svolta alcuna indagine.

Nel gennaio scorso un filone dell'inchiesta sulla morte di Marielle portò all'arresto del capitano della Polizia Militare Adriano Magalhães da Nóbrega. Noto come Gordinho, è considerato dagli investigatori come uno dei capi della milizia Ufficio del Crimine. Sua madre e sua moglie, Raimunda e Danielle, erano state assunte nell'ufficio di Flavio Bolsonaro, figlio del presidente, quando era vice governatore dello Stato di Rio. Ci rimasero fino alla seconda metà del 2018.

Non sono ancora chiari i rapporti tra Gordinho e Lessa. Così come sono ancora tutti da provare quelli tra Flavio Bolsonaro e i parenti del capo della milizia. Non sono solo coincidenze. Sono indizi di un connubio tra potere politico e squadroni della morte. Jair Bolsonaro non ha mai stigmatizzato l'omicidio di Marielle Franco e del suo autista. Fu l'unico a non esprimere quello sdegno unanime di tutto il mondo politico che fece tuonare con dure parole di condanna persino il presidente . L'attuale governatore di Rio, Wilson Witzel, eletto tra le fila della destra estrema, si fece fotografare mentre due militanti rompevano per sfregio la targa di Marielle a cui era stata dedicata una via di Rio.

Bolsonaro è rimasto in silenzio anche in occasione dei due arresti. Sa che questa inchiesta potrebbe diventare un boomerang; forse il più insidioso di quelli che, sempre a causa dei figli, lo stanno logorando in questi primi cento giorni di governo. Eppure, l'ex capitano dell'Esercito avrebbe tutto l'interesse a far trionfare l'inchiesta. Dimostrerebbe la sua imparzialità in nome dello Stato di Diritto. Ma restituire piena giustizia ad un omicidio così plateale e a una donna che ha dato la vita per gli ultimi significherebbe scoperchiare i rapporti tra Stato e AntiStato.

Il sogno di Marielle Franco è l’incubo di Bolsonaro Un altro Brasile. Il caso dell’attivista assassinata un anno fa agita i sonni del presidente, mentre emergono i legami tra il suo clan e i paramilitari. Ma quei colpi sparati a Rio il 14 marzo 2018 hanno avuto una risonanza a livello mondiale

Un anno fa apparve subito chiaro che l’assassinio di Marielle Franco e del suo assistente Anderson Gomes non era opera di generici «banditi». Le modalità dell’azione rafforzarono la convinzione che si aveva a che fare con un gruppo criminale che pensava di poter agire impunemente. Ma quei 13 colpi di armi da fuoco sparati a Rio de Janeiro hanno prodotto una risonanza a livello mondiale che ha costretto le autorità brasiliane a cercare delle risposte ai molti interrogativi.

Ed è la dimensione internazionale che il caso ha assunto ad agitare i sonni del presidente brasiliano Jair Bolsonaro e del suo «clan», soprattutto ora che le indagini stanno facendo emergere i rapporti tra Flavio Bolsonaro, senatore e figlio del presidente, con il mondo delle milizie paramilitari. Milizie direttamente coinvolte nell’assassinio di Marielle e che per Bolsonaro sono strutture che «offrono sicurezza e contribuiscono a mantenere l’ordine e la disciplina nella comunità».

MARIELLE aveva denunciato con forza il ruolo svolto da queste organizzazioni nel controllo del territorio, nel traffico di armi, le estorsioni, la speculazione immobiliare, l’acquisizione illegale di terreni.

Nessuno è in grado di prevedere quali conseguenze potrà avere questa vicenda sul piano istituzionale. Gli affari oscuri del senatore e l’ampiezza del coinvolgimento hanno spinto O Globo a scrivere che «appare evidente l’esistenza di un rapporto tra la morte di Marielle e la famiglia Bolsonaro».

Jair Bolsonaro dopo la sua elezione (Afp) In questi mesi Amnesty International e i movimenti sociali brasiliani hanno fatto pressioni affinché le indagini fossero condotte da inquirenti in grado di orientarsi nel mondo del crimine organizzato e degli abusi della polizia. Ora, di fronte ai nuovi sviluppi, si chiede l’istituzione di un comitato di esperti, avvocati e altri specialisti, totalmente indipendente dal potere statale, in grado di supervisionare le indagini e controllare che il processo si svolga regolarmente.

In questa vicenda in cui risplende la figura di Marielle Franco, tutto si mescola e si confonde, come in un romanzo di Jorge Amado, dove i vari personaggi mistificano e mascherano la realtà escogitando trucchi di ogni genere.

In Brasile si assiste a una costante violazione dei diritti umani e le laceranti diseguaglianze che si stanno accentuando nel paese sono alla base della violenza che pervade la società. L’avvento di Bolsonaro alla presidenza ha prodotto un aggravamento del quadro generale, perché le sue prese di posizione favoriscono ulteriori violenze e impunità. Si vuol mettere in discussione il concetto stesso di diritti umani. Si attacca chi li difende, con l’accusa di «voler proteggere i criminali». Uno slogan ripetuto dall’ex capitano in ogni occasione, quando ancora non era emerso il legame della sua famiglia con settori criminali. La cosa che sconvolge gli ambienti democratici brasiliani è che sia stato eletto un presidente che ha fatto della cancellazione dei diritti umani il suo cavallo di battaglia. In questo scenario che vede un attacco sempre più marcato nei confronti delle minoranze sociali, etniche e sessuali, si registra la rinuncia al mandato parlamentare di , deputato 44enne del Partito docialismo e libertà (Psol), lo stesso di Marielle. Rieletto a Rio per la terza volta, viveva dal marzo 2018 sotto scorta della polizia per le ripetute minacce di morte ricevute. Era stata la Commissione interamericana dei diritti umani a sollecitare urgenti misure di protezione nei suoi confronti, di fronte all’inerzia delle autorità brasiliane.

LE RIVELAZIONI dei rapporti tra Flavio Bolsonaro e i miliziani hanno convinto il deputato che la sua vita era in grave pericolo e che lo stato brasiliano non era in grado di difenderlo. «Mi sconvolge sapere che il figlio del presidente aveva nel suo ufficio la moglie e la madre del sicario di Marielle, quel presidente che sempre mi ha insultato e diffamato», ha dichiarato al giornale Folha di San Paolo.

Difensore dei diritti umani, delle donne, degli omosessuali, della popolazione nera, del popolo dei lavoratori, Willys ha avuto nel Congresso ripetuti scontri con Bolsonaro. La difesa che aveva fatto di Dilma e Lula gli avevano attirato ulteriori insulti e minacce, diventando sulle reti sociali uno dei principali bersagli dei gruppi conservatori. «Si sono sommati nei miei confronti l’odio contro la sinistra e quello contro gli omosessuali», ha affermato.

In un incontro di qualche mese fa con Pepe Mujica, ex presidente dell’Uruguay, di fronte ai suoi timori per le minacce subite, si era sentito dire: «Ragazzo, abbi cura di te. I morti non sono eroi». Nello scegliere l’esilio, Wyllys ha scritto sulle reti sociali: «Preservare la vita minacciata è anche una strategia di lotta per giorni migliori».

ED È IN QUESTO CLIMA di intolleranza che era maturato a Salvador di Bahia l’assassinio del 63enne musicista, compositore e maestro di capoeira conosciuto come Moa do Katende. L’8 ottobre 2018, dopo una discussione politica, Moa è stato ucciso da un fanatico sostenitore di Bolsonaro con 12 coltellate. In questi mesi Moa è stato ricordato nel corso di numerose manifestazioni musicali. Caetano Veloso, che aveva collaborato con lui negli anni ’70, ha dichiarato che «Moa vive nella storia vera del Brasile come un punto di riferimento per la cultura afrobrasiliana». Altri artisti hanno ricordato il suo impegno come organizzatore culturale, morto lottando contro ciò che più aveva combattuto: l’intolleranza.

Di fronte a questo quadro preoccupante, Università e Istituzioni brasiliane si stanno attivando per tenere sotto osservazione i diritti umani e individuare percorsi che possano difenderli ed estenderli. L’Università federale di Bahia ha creato un movimento di studenti e insegnanti che si prefigge di individuare strategie e pratiche in grado di difendere donne, neri, comunità Lgbt, indigeni. A San Paolo un gruppo di giuristi, intellettuali e giornalisti ha creato la Commissione Arns (in onore del cardinale brasiliano Paulo Evaristo Arns, simbolo della lotta per la democrazia e i diritti umani), con lo scopo di seguire i casi di violazione dei diritti nei confronti di quella parte della popolazione più soggetta a discriminazioni per condizione economica, sociale, etnica, religiosa, orientamento sessuale.

Nel ricordo di Marielle si organizza la resistenza Brasile: sempre più legami fra Bolsonaro e l’assassinio di Marielle Franco

Antidiplomatico 3 marzo 2019

Ronnie Lessa, arrestato con l’accusa di avere ucciso a colpi di arma da fuoco la consigliera del Psol, abita nella stessa strada del presidente della repubblica. Sua figlia frequentava un figlio di Bolsonaro. L’altra persona coinvolta nel delitto appare in una foto con Bolsonaro. Nel primo anniversario della morte di Marielle le “coincidenze” si accumulano.

Il poliziotto in pensione Ronnie Lessa abita nel condominio di lusso Vivendas da Barra, nella stessa strada in cui si trova l’abitazione del presidente della repubblica del Brasile, Jair Messias Bolsonaro. Le due case sono tanto vicine che dal balcone di Lessa si può vedere, secondo O Globo, l’appartamento di Laura, figlia di Jair e Michelle Bolsonaro. L’ex poliziotto Élcio Queiroz appare, in una foto che circola su Internet, al fianco di Bolsonaro.

Lessa e Queiroz sono stati arrestati nelle prime ore dello scorso 12 marzo, il primo con l’accusa di avere sparato i colpi che hanno ucciso Marielle Franco e il suo autista Anderson Gomes, e il secondo di essere il conducente della vettura usata dai criminali.

Bolsonaro afferma di non ricordarsi del vicino di casa. «Non mi ricordo di questa persona. Il mio condominio ha 150 appartamenti», ha spiegato il presidente ai giornalisti. Tuttavia, il figlio minore di Bolsonaro, Renan, frequentava la figlia di Lessa. Questa circostanza è stata confermata dal commissario di polizia responsabile delle indagini: «Questa frequentazione c’è stata, ma per noi, allo stato, ciò non ha attinenza con il movente del delitto. La affronteremo al momento opportuno. Oggi non è rilevante», ha dichiarato Giniton Lages durante la conferenza stampa dopo i due arresti. Successivamente, il presidente, intervistato dal notiziario televisivo Globo, ha affermato di aver ricevuto una telefonata dal figlio che ha spiegato: «Ho frequentato l’intero condominio, non mi ricordo di lei».

Coincidenze?

Insomma, non si tratterebbe che di semplici coincidenze. Ma nel giorno in cui cade il primo anniversario dell’assassinio di Marielle Franco, consigliera del Psol di Rio de Janeiro, le evidenze dei legami tra la famiglia Bolsonaro e le milizie carioca continuano ad accumularsi e a richiamare l’attenzione. Ci sono troppe coincidenze. Secondo la rivista Piauí, le indagini hanno appurato che Lessa è stato un componente dell’“Escritorio do Crime” (Ufficio del Delitto), una milizia formata da pistoleri e assassini d’élite che agisce nella zona ovest di Rio de Janeiro ed è nota per le tecniche avanzate, acquisite dentro la stessa polizia, per compiere i suoi atti. Ma se è così, occorre domandarsi «come può un assassino professionista noto alla polizia abitare vicino al presidente della repubblica senza che l’apparato di sicurezza abbia fatto nulla per mesi», come sostiene Thomas Milz, giornalista di Deutsche Welle, che risiede da quattro anni a Rio dopo essere stato per dieci anni a San Paolo. «Ancor più importante: non sembra strano che un semplice poliziotto possa abitare in una villa nello stesso condominio del presidente?», prosegue il giornalista tedesco. «E non dovrebbe Bolsonaro sentirsi particolarmente sollevato ora che un vicino così pericoloso non abiti più vicino a lui? A questo riguardo non c’è stata alcuna reazione da parte del presidente».

Un arsenale in casa

Secondo il resoconto del giornale O Dia, per abitare nel condominio Vivendas da Barra, Ronnie Lessa avrebbe dovuto guadagnare otto volte lo stipendio (7.463 real: circa 1.700 euro) pagatogli dalla Polizia Militare. E invece, oltre alla casa, Lessa custodiva in garage due auto ed è proprietario di un motoscafo costruito su ordinazione. Uno dei veicoli sequestrati è un Infiniti FX35, modello che costa mediamente 120.000 real (circa 28.000 euro), ma quello di Lessa era più caro perché blindato. Egli aveva anche la disponibilità di una villa di lusso nel condominio Portogalo, ad Angra dos Reis, e si recava frequentemente all’estero. Il vicino dei Bolsonaro conservava «un autentico arsenale, il che dimostra che non si tratta di una persona incline alla pace, ma anzi dalla personalità violenta», ha affermato in un’intervista il pubblico ministero di Rio de Janeiro, Simone Sibílio. La polizia ha anche trovato nel quartiere Méier di Rio de Janeiro, in una casa di Alexandre Motta, amico d’infanzia di Lessa, materiale sufficiente per montare 117 carabine, oltre a tre silenziatori e 500 munizioni.

Insomma, un vicino tutt’altro che raccomandabile per un presidente della repubblica di qualsiasi nazione.

Intimidazione a giornalisti

E c’è un altro fatto, come minimo strano: alla vigilia dell’arresto di Lessa e Queiroz, il presidente Bolsonaro ha attaccato a mezzo Twitter la giornalista di O Estado de S. Paulo, Constança Rezende, accusandola di avere l’intenzione di «rovinare la vita di Flavio Bolsonaro e cercare l’impeachment del presidente Jair Bolsonaro». Il post si basava su una notizia falsa.

Constança Rezende è la figlia dell’esperto giornalista Chico Otávio, responsabile per il giornale O Globo della copertura giornalistica sulle attività delle unità paramilitari a Rio e sul caso di Marielle Franco. Chico Otávio è uno dei giornalisti che firma il reportage di O Globo sull’arresto di Lessa e Queiroz.

L’Associazione brasiliana del Giornalismo d’Indagine (Abraji) e l’Ordine degli avvocati del Brasile (Oab) hanno accusato il presidente Bolsonaro di usare «la sua posizione di potere per cercare di intimidire i media e i giornalisti, atteggiamento incompatibile con la sua retorica della difesa della libertà di espressione».

L’Ufficio del Delitto

L’Ufficio del Delitto – l’unità paramilitare alla quale l’accusato dell’assassinio di Marielle sarebbe legato – commette assassini dietro compenso che variano tra i 200.000 e un milione di real (45.000/230.000 euro), a seconda del profilo della vittima e della complessità dell’azione. Si è guadagnata la fama di non lasciare tracce dei suoi crimini. Una delle sue basi territoriali è la regione di Rio das Pedras, zona ovest di Rio.

Il collegamento tra l’Ufficio del Delitto e la famiglia Bolsonaro è stato riscontrato anche in gennaio, quando è emerso che la madre e la moglie di Adriano Magalhães da Nóbrega, considerato dalla Procura come uno dei dirigenti di quell’organizzazione criminosa, lavoravano nell’ufficio dell’allora deputato statale Flavio Bolsonaro nell’Assemblea legislativa di Rio.

Il figlio del presidente ha sostenuto di non avere avuto responsabilità nelle nomine, addossandone la colpa al suo autista, Fabrício Queiroz. Si tratta del famoso Queiroz titolare di un conto corrente su cui è stata movimentata la somma di 1,2 milioni di real (276.000 euro) tra il 2016 e il 2017, e che fino ad oggi non è stato ancora sentito dal Pubblico ministero perché spieghi l’origine di tutti quei soldi. Per sfuggire agli interrogatori fissati dalla Procura, Queiroz o si è ricoverato nell’Ospedale Albert Einstein di San Paolo, oppure si è nascosto a Rio das Pedras, base territoriale dell’Ufficio del Delitto. Tutto si tiene.

Flavio Bolsonaro non ha mai fatto mistero dei suoi collegamenti con le milizie. Nel 2003, l’Assemblea legislativa di Rio, su sua proposta, ha reso onore all’allora tenente della Polizia Militare Adriano Magalhães da Nóbrega. Nel 2005, Flavio Bolsonaro ha ottenuto che Magalhães da Nóbrega ricevesse la maggiore onorificenza statale, la Medalha Tiradentes. E nel 2007, l’ufficio di Flavio assunse la moglie di quest’ultimo come assistente parlamentare. L’assunzione della madre sarebbe avvenuta in seguito, nel 2016.

Flavio e Jair Bolsonaro, come parlamentari, hanno tenuto discorsi elogiando le milizie.

Chi è il mandante di questi due omicidi?

Coincidenza o meno, due giorni prima che si compisse un anno dal delitto la polizia ha accusato e arrestato due assassini. Ma sembra essere ben lontana dall’accertare chi sia stato il mandante. Questa sarà la seconda parte dell’indagine, ha affermato il commissario responsabile. Per il deputato federale gli arresti sono importanti, benché tardivi. «Il 14 marzo si compirà un anno dall’assassinio di Marielle. È inaccettabile che si debba aspettare un anno per avere una qualche risposta». Per il deputato del Psol si è trattato di un passo decisivo, ma il caso non può certo dirsi risolto. «Certamente è importante sapere chi ha premuto il grilletto. Ma non si può accettare la versione dell’odio o della motivazione passionale di queste persone che neppure sapevano chi fosse Marielle», ha detto in un’intervista al portale G1. E ha aggiunto: «Qual è stata la motivazione politica? Chi, in pieno XXI secolo, a Rio de Janeiro è capace di mettere in atto politicamente una cosa del genere? Questo è inaccettabile, è un crimine contro la democrazia».

*Articolo del giornalista Louis Leira apparso sul sito di Esquerda http://www.esquerda.net, traduzione di Ernesto Russo; articolo originale al link: https://www.esquerda.net/artigo/brasil-ha-cada-vez-mais-ligacoes-entre-o-assassinato-de-marielle-e-bolsonaro/60198

IL BRASILE DI MARIELLE E QUELLO DI BOLSONARO 14/03/2019 Viaggio nel subcontinente sudamericano a un anno dall'esecuzione dell'attivista politica. Un Paese in cui i militari occupano i principali posti di potere, in profonda depressione economica, attraversato da forti contrasti sociali. Ogni anno si verificano oltre 60 mila omicidi.

Katia Fitermann

La giustizia brasiliana, ad un’anno dall’omicidio della giovane politica Marielle Franco (38 anni) e del suo autista, Anderson Gomes (39i) ha arrestato i presunti sicari che hanno sparato i 13 colpi di arma da fuoco contro la macchina nella quale viaggiavano Marielle, Anderson e una terza persona, l’unica superstite dell’agguato avvenuto a Rio di Janeiro, in Brasile, il 14 marzo del 2018. Gli accusati dell’ omicidio sono Ronnie Lessa e Elcio Vieira de Queiroz, entrambi appartenenti alla polizia militare brasiliana. Ma per la maggior parte della popolazione del Paese, il duplice omicidio era stato commissionato da possibili personalità politiche e per questo, ad oggi, resta ancora comunque irrisolto. Amnesty International aveva voluto una inchiesta indipendente, proprio per far luce sull’omicidio di Marielle, personaggio scomodo alla politica dell’allora presidente Temer, in quanto attivista per i diritti umani, oltre che consigliere comunale a Rio de Janeiro per il partito di opposizione Psol (partito Socialista Libertario). Per molti brasiliani,i due militari accusati dell’assassinio di Marielle e Anderson, (Lessa abbita nello stesso condominio dell’attuale presidente Jair Bolsonaro) hanno in realtà commesso un crimine su commissione e perciò restano ancora senza risposta le due domande fondamentali:“chi sono I mandanti dell’uccisoine di Marielle e perchè?” Marielle Franco incarnava in sè i volti delle minoranze del Brasile,proprio quelle maggiormente colpite dalla politica del presidente Michel Temer, prima, e di quello attuale, Jair Bolsonaro, insediatosi al governo del paese lo scorso Gennaio. La giovane politica e attivista per i diritti umani in Brasile era tutto ciò che il governo brasiliano, dopo l’impeachment di Dilma Russef, volesse disprezzare: era una donna, nera, di origine molto povera che, tuttavia, era riuscita a laurearsi ed arrivare ad una carica politica importante, abitante di una bidonville (favela de Maré),tra le più povere di Rio di Janeiro, oltre che bissessuale e attivista sociale e politica nella difesa dei diritti delle minoranze brasiliane e degli ultimi del paese. Aveva più volte denunciato i soprusi dei militari nei quartieri poveri della città di Rio di Janeiro ed era una spada di Damocle per la liberalizzazione dell’uso indiscriminato della forza da parte della polizia e dei militari all’interno delle biddonville. In un recente discorso ai militari della Marina brasiliana, il nuovo presidente del Brasile Jair Bolsonare ha voluto evidenziare che “la democrazia e la libertà del paese dipendono soltanto dalla volontà dei militari”. L’affermazione di Bolsonaro ha suscitato pesanti critiche dei politici all’ opposizione e aumentato la paura della popolazione civile che non ha ancora dimenticato il periodo tragico,lungo e crudele della dittatura militare nel paese. “All’interno dell’attuale governo, circa 100 militari occupano cariche politiche importanti e posizioni strategiche in vari settori del paese e la loro presenza massiccia ci preoccupa molto”, dice Luiz Arcanjo, filosofo e poeta di Bahia. “Bolsonaro è soltanto un prestanome. Nel Brasile di oggi, sono i militari che governano il Paese. Marielle è stata uccisa da militari, per ordine di altri, ben più importanti e potenti di quei due killer”, conclude Arcanjo. Marielle lottava contro la criminallizazione dei poveri". La crisi economica che sta imperversando il Brasile ha aumentato la povertà e la violenza in tutto il paese. Oltre 62 mila omicidi all’anno, uno scenario di guerra, trenta volte superiore alla violenza che accade in tutto il continente europeo. In pratica è come se cadesse un Boeing con il suo carico di passeggeri al giorno. I dati sono dell’ Istituto di Ricerche Applicate (Ipea) e del Forum Brasiliano di Sicurezza Pubblica(FBSP).Circa il 56,5% delle vittime di omicidio in Brasile hanno tra i 15 e i 19 anni di età. La violenza e la miseria in tutto il Paese sono in continuo aumento, generando ulteriore insicurezza e paura nella popolazione. Anche il divario tra poveri e ricchi si allarga sempre di più. I ricchi, sempre più blindati nei condomini chiusi, vere gabbie d’oro per evitare il contatto con i più poveri che invece,popolano le e si arrangiano per la sola sopravivvenza. Nella graduatoria della miseria, I raccoglitori di barattoli si contendono gli ultimi posti con gli indigeni privi della propria terra. Sono uomini, donne e bambini che, nelle città, raccolgono i baratoli vuoti di birra e di altre bevande per rivenderli agli intermediari che riforniscono le fabbriche. Ci vogliono circa 100 barattoli per raggiungere 1 kg di alluminio, pagato circa 0,70 centesimi di euro. Si vergognano della propria condizione sociale, considerata tra le più misere del paese, mentre ripuliscono la città in una sorta di lavoro “fai da te”. Jorge Alberto è uno di loro. Raccoglie i barattoli e le lattine sul litorale nord della Bahia, sotto la il sole cocente del nordest. “Alla fine della giornata il guadagno è davvero poco e la fatica e l’umiliazione è tanta. La vita è diventata troppo cara e lavoro non si trova. Prima facevo il muratore, ma con la crisi non si trova più lavoro, quindi mi devo arrangiare così”, spiega. E’ l’unico che accetta di essere intervistato, mentre gli altri vogliono restare invisibili, nella loro enorme povertà. Marielle Franco voleva combattere la povertà e la violenza istutizionale e lottava per la dignità dei poveri e di tutte le minoranze brasiliane. Per questo hanno ucciso Marielle. E proprio per questo, nel cuore degli ultimi del Brasile che chiedono giustizia, Marielle è viva e gridano ancora: “Mariele, presente”.

Marielle Franco, chi sono i poliziotti-killer che hanno ucciso l’attivista: uno è vicino di casa di Bolsonaro. ‘Ora i mandanti’

La notizia degli arresti dei due presunti sicari, i mercenari Ronnie Lessa e Elcio Vieira de Queiroz, più che soddisfazione ha istillato linfa nuova alla battaglia per la verità che va avanti da un anno, da quando il 14 marzo del 2018 Marielle Franco e il suo autista Anderson Gomes sono stati uccisi nel centro di Rio de Janeiro. Lessa, conosciuto come sicario di professione, è vicino di casa del presidente brasiliano Jair Bolsonaro. Incursioni nell'archivio cloud e 6 mesi di pedinamento: così l'hanno uccisa. I magistrati: "Esecuzione sommaria a causa del suo impegno politico, una barbarie e “un colpo allo stato democratico di diritto” di Luigi Spera | 12 Marzo 2019

Non è un caso che tra gli slogan degli attivisti impegnati nella battaglia di sensibilizzazione delle istituzioni per invocare indagini credibili per chiarire l’assassinio di Marielle Franco la frase più usata sia stata fin dal principio “Chi ha voluto l’omicidio di Marielle?”. I mandanti. Perché sul fatto che a uccidere materialmente l’attivista e consigliera municipale di Rio de Janeiro fossero stati miliziani paramilitari, mercenari pagati per portare avanti il lavoro sporco, nessuno mai aveva avanzato dubbi. Per questo motivo la notizia degli arresti dei due presunti sicari, gli ex poliziotti Ronnie Lessa e Elcio Vieira de Queiroz, più che soddisfazione ha istillato linfa nuova alla battaglia per la verità che va avanti da un anno, da quando il 14 marzo del 2018 Marielle Franco e il suo autista Anderson Gomes sono stati uccisi nel centro di Rio de Janeiro.

I magistrati: “Omicidio è colpo allo stato democratico di diritto” La famiglia della consigliera, la vedova, ong come Amnesty International e i vertici del partito Psol nel quale militava, oggi commentano unanimi: “Non basta”. Non è sufficiente fermarsi alla superficie. Perché il delitto di Marielle Franco è un caso esemplare. “Chi ha ucciso Marielle non è stato solo chi ha premuto il grilletto, ma chi ha pianificato la sua morte, chi l’ha desiderata e chi politicamente voleva Marielle morta”, ha dichiarato il deputato del Psol Marcelo Freixo, avviando la raccolta di firme per l’apertura di una commissione parlamentare di inchiesta. Ancora una volta infatti, in occasione degli arresti dei presunti sicari, i magistrati titolari delle indagini, Simone Sibilio e Leticia Emile, hanno voluto sottolineare quanto sia “incontestabile che Marielle Francisco da Silva sia stata vittima di un’esecuzione sommaria a causa del suo impegno politico nella difesa delle cause che difendeva” il che rende il suo omicidio “una barbarie” e “un colpo allo stato democratico di diritto”.

L’ipotesi del delitto politico e l’ombra della speculazione La tesi che si fosse trattato di un delitto politico per arginare l’impegno della consigliera nel contrastare le attività di speculazione immobiliare criminale basata sull’illecita lottizzazione dei terreni portate avanti dalle milizie in associazione con la politica e l’imprenditoria nella zona est della città, era stata provata già nell’ambito della prima fase di investigazioni concluse lo scorso gennaio con l’arresto di cinque miliziani paramilitari. In quell’occasione era emerso che gli arrestati, un ex capitano e un maggiore delle forze speciali dalla polizia militare, avevano rapporti stretti con Flavio Bolsonaro. Il figlio del presidente brasiliano oltre ad aver proposto e ottenuto per loro encomi ufficiali, aveva anche assunto i loro familiari come collaboratori nella sua segreteria politica.

Il corto circuito politico-istituzionale Non certo l’unico elemento in grado di evidenziare il corto circuito politico-istituzionale che il Brasile e la città di Rio vivono, e che l’omicidio della consigliera municipale ha finito per far venire alla luce in maniera nitida. Oggi il governatore di Rio, Wilson Witzel, ha offerto un accordo di collaborazione con la giustizia ai presunti killer, commemorando come successo della sua gestione la buona riuscita dell’operazione giudiziaria. Si tratta tuttavia della stessa persona che in campagna elettorale aveva presenziato alla manifestazione di giubilo conclusa con la distruzione della targa commemorativa in memoria Marielle Franco da parte dei candidati del partito Psl, lo stesso del presidente Jair Bolsonaro. Con i presunti killer in custodia, la domanda oggi è se la democrazia brasiliana sia in grado di dimostrare di essere abbastanza forte da riuscire a far emergere la verità di un caso che sin dal principio aveva mostrato elementi inquietanti, e che non ha mai smesso di farlo. Se le istituzioni brasiliane siano in grado di arrivare ai mandanti “persone molto potenti e pericolose”, ha dichiarato il deputato Marcelo Freixo.

“Sei mesi di studio, così prepararono il delitto” I dettagli che emergono dalle investigazioni sull’agguato ai danni di Marielle Franco, lasciano intendere infatti un alto grado di preparazione dell’azione. Non ordinario per un qualsiasi omicidio su commissione. L’ex sergente Ronnie Lessa, indicato come esecutore materiale dell’assassinio e l’ex poliziotto Elcio Vieira de Queiroz, indicato come l’autista, hanno agito meticolosamente per mesi prima di entrare in azione. Secondo le indagini, i due hanno monitorato l’archivio ‘cloud’ di Marielle Franco, avendo così accesso a tutti i dati personali della consigliera e soprattutto alla sua agenda istituzionale. Per tre mesi, grazie alla capacità di penetrare i sistemi informatici anche del consiglio municipale, i due erano riusciti a conoscere tutti gli spostamenti dell’attivista e valutare quale fosse il momento migliore per agire. Conoscendo bene le tecniche di investigazione della polizia, i due hanno messo in atto tutti i metodi possibili per evitare l’identificazione, dall’uso dell’auto con targa clonata all’utilizzo di tecniche per confondere la localizzazione dei telefoni cellulari. Nonostante ciò gli inquirenti, seguendo il tragitto dell’auto usata per l’agguato attraverso le riprese di telecamere pubbliche e private, e grazie alla ricostruzione della posizione dei telefoni attraverso una complessa rete di triangolazioni, sono riusciti a stringere il cerchio.

Lessa, il killer vicino di casa di Bolsonaro Quando il nome dell’ex sergente è venuto fuori, non è stata una sorpresa. Vicino di casa nel condominio di lusso del presidente Jair Bolsonaro, Lessa è per gli inquirenti di un personaggio riconosciuto per la sua fama di assassino su commissione. Eppure, fino all’investigazione di oggi che ne ha portato all’arresto, mai un fascicolo era stato aperto su di lui. Mai, nonostante la reputazione guadagnata per l’efficienza nella mira e la freddezza nelle esecuzioni. Grazie alla sua grande esperienza, sottolineano oggi gli investigatori, Lessa era riuscito anche a salvarsi dall’agguato del quale è stato vittima un mese dopo la morte di Marielle Franco. Un episodio che ora gli inquirenti giudicano come fondamentale. Potrebbe essere stato infatti il tentativo di eliminare le tracce dell’omicidio, eliminando l’esecutore materiale. Ma Lessa, 48 anni, nella sua lunga carriera tra polizia e crimine aveva dimostrato scaltrezza in molte occasioni.

L’ex poliziotto che faceva la scorta ai criminali Nel 2009 era riuscito a salvarsi da un attentato che gli costò tuttavia una gamba, saltata in aria per l’esplosione di una granata lanciata nell’abitacolo della sua auto blindata. Quell’attentato era stata la punizione per non aver saputo proteggere il figlio del criminale al quale faceva da capo scorta, nonostante fosse ancora in servizio come poliziotto civile. Ruolo di investigatore al quale Lessa era stato promosso grazie alla risolutezza dei suoi modi, messi in evidenza nel corso della sua attività come poliziotto militare del battaglione più violento della storia della polizia di Rio de Janeiro, il nono, guidato negli anni ’90 dal capitano Claudio Luiz Silva de Oliveira, maggiore condannato a 36 anni di carcere perché giudicato colpevole di essere il mandante dell’omicidio della giudice Patricia Acioli, uccisa nel 2011 perché non concludesse un’indagine sulla milizia del quale era a capo il maggiore. Nonostante la sua lunga storia criminale, anche Lessa, come gli altri miliziani arrestati a gennaio aveva ricevuto un encomio per il servizio prestato alla comunità. Evidentemente non la stessa comunità per la quale Marielle Franco ha lottato fino alla sua morte.

8 marzo 2019: per Marielle Franco e contro Bolsonaro BOSSY

In Brasile, le donne sono scese in piazza per la Giornata internazionale delle donne e hanno richiesto più rispetto e meno violenza; fra i temi trattati c’erano l’aborto legale e la riforma della previdenza sociale

La Giornata internazionale delle donne negli ultimi anni è diventata un simbolo di lotta, grazie alla mobilitazione mondiale dei movimenti femministi. L’8 marzo non è soltanto il giorno in cui si regalano fiori, ma è diventato l’8M, giornata di lotta. In Brasile e all’estero, le voci dalle piazze gridano in coro e richiedono più rispetto, uguaglianza e meno violenza. In Brasile, le critiche hanno raggiunto il Presidente Jair Bolsonaro, oltre a concentrarsi sulla totale mancanza di prove, a distanza di un anno, in merito all’assassinio di Marielle Franco e Anderson Gomes, il cui primo anniversario è stato giovedì 14 marzo. “Auguri? Solo se è perché sono viva in un Paese in cui si uccidono 13 donne al giorno”. Questa era una delle frasi scritte sui cartelli che hanno invaso l’Avenida Paulista, a San Paolo, nella marcia che ha riunito migliaia di persone davanti al Masp (Museu de arte de São Paulo). Le donne sono state le principali partecipanti della giornata, anche se molti erano gli uomini presenti, come forma di supporto ed empatia verso la lotta delle donne. Il lilla è stato il colore della manifestazione, dal momento che rappresenta il femminismo come una lotta politica universale, che supera i partiti (in Brasile nessun partito utilizza il lilla, NdT). Da lì, è partito il corteo per le vie del centro della Capitale paulistana. Il gruppo di femministe nere, “Ilu Oba De Min”, ha aperto la manifestazione e ha dato voce a tutte le proteste e le rivendicazioni femministe scrivendole su cartelli, bandiere, magliette e perfino sui propri corpi. Le grandi tematiche discusse durante la contestazione dell’ultimo 8 marzo comprendevano la richiesta di giustizia per il caso Marielle Franco, il cui viso era stampato su uno degli striscioni che aprivano la manifestazione, e il ripudio del governo del Presidente Jair Bolsonaro (Psl, Partito social liberale, NdT), la cui carriera politica è tutta marcata da beceri discorsi maschilisti. Anni dopo aver detto che non avrebbe mai stuprato una donna brutta (riferendosi a una deputata brasiliana, Maria Do Rosario, NdT), il Neopresidente, tramite il suo account Facebook, ha colto l’occasione per fare gli auguri alle donne, man dando “alle donne brasiliane, un bacio nel cuore” e chiamandole “gioielli rari”. Meritato risalto ha avuto anche il tema della violenza sulle donne. Molti erano i cartelli con i numeri dei casi di stupro e femminicidio. Molte delle manifestanti indossavano magliette che facevano riferimento al movimento femminista argentino “Ni Una Menos” e invocavano un rigore maggiore nella punizione dei casi di violenza domestica. Anche la sezione LGBT era presente al corteo, il quale ha reso omaggio a Luana Barbosa, donna nera e lesbica uccisa lo scorso anno in un’azione violenta della Polizia Militare nell’entroterra dello Stato di San Paolo. Un altro tema ricorrente alla manifestazione è stata la discussione sulla legalizzazione dell’aborto, tema di grande rilievo, soprattutto dopo il referendum argentino in materia, avvenuto ad agosto 2018. Tant’è che molte delle manifestanti indossavano il “pañuelo verde”, simbolo di lotta delle donne argentine. Fernanda, 26 anni, teneva in braccio il piccolo Caetano e ha affermato di sentirsi sicura accanto a tante donne forti, ma che teme gli attuali tempi e spera di poter smascherare il maschilismo nel crescere suo figlio. “È il primo anno suo qua con me. Dato che è un maschietto, è molto significativo che sia qui. Vorrei che (il femminismo, NdT) fosse una cosa sempre presente nella sua vita”, spiega. Con capelli bianchi e spille di Frida Kahlo e Mafalda e la frase “Nessuno lasci la mano di nessuno”, Cecília, 52 anni, afferma di emozionarsi nel vedere tanti giovani nel corteo. “Vengo ogni anno, dobbiamo mostrare la forza, di essere uniti, principalmente in un momento come questo, in cui i nostri diritti vengono costantemente minacciati. È davvero bello vedere le ragazze giovani, coetanee di mio figlio, ogni volta più impegnate, diversamente da quando ero giovane io”, sostiene. Madin, 29 anni, non-binario, si è unito al gruppo LGBT del corteo, che ha fatto una sfilata molto emozionante, con le bandiere arcobaleno e striscioni raffiguranti il viso di Marielle Franco, anche lei attivista a favore della causa LGBT. “Non mi riconosco come donna, però è una lotta molto importante e, dal momento che è una lotta di tutti, diventa una battaglia dell’umanità. Dobbiamo tutti lottare per le donne”, dichiara. Da zia a nipote Il pubblico presente era molto diversificato, fra donne che hanno sempre partecipato alle manifestazioni dell’8 marzo e altre che sfilavano in corteo per la prima volta, come nel caso rispettivamente dell’avvocata Rosana Ramos e della studentessa universitaria Raquel Carvalho. Zi a e nipote spiegano perché erano lì a protestare: “Partecipare a questa manifestazione è un’azione emblematica e, sebbene molte persone intendano l’8 marzo come una data da festeggiare, anche in virtù delle loro attività commerciali, siamo nel pieno aumento dei numeri e della crudeltà per quanto riguarda i casi di femminicidi. È importante per noi riunirsi, sia in quanto società che come madri di figli LGBT, dal momento che conosciamo il dolore che si prova quando i nostri figli escono di casa senza sapere se torneranno vivi”, spiega Rosana, membro del gruppo “Madri per la diversità”, che lotta per la protezione della comunità LGBT. L’avvocata Ramos è genitore di un ragazzo bisessuale. Sempre Rosana, inoltre, ritiene che le generazioni che oggi hanno tra 30 e 50 anni sbagliano nel criticare quelle più giovani che lottano per i loro diritti. “Questa generazione sta lottando per i diritti che i miei coetanei vigliacchi hanno scelto di ignorare. Io li incoraggio a lottare, riconosco lo sforzo dei più giovani. Sono piena di speranza, cambieremo l’attuale scenario del Brasile”, conclude. Dall’altra parte, Raquel, nonostante sia il suo primo anno al corteo, spiega senza esitazioni, cosa l’ha portata a scendere in piazza a San Paolo contro il machismo: “Fino a qualche anno fa, era un po’ un tabù, non se ne parlava t anto e quando lo si faceva, erano discorsi pieni di pregiudizio. Essere qua oggi, l’8 marzo 2019, è una cosa molto importante per ricordarci che ci vuole rispetto e uguaglianza. Quando discuto con i miei amici, cerco sempre di ricordare loro che dobbiamo r ispettarci e che dobbiamo lottare, appunto, per l’uguaglianza”, dichiara convinta la studentessa. Anche la questione dell’incarcerazione e della privatizzazione delle carceri ha avuto spazio nella manifestazione, grazie alla presenza del “Fronte statale per la scarcerazione”. Il gruppo ha distribuito volantini in cui si riportavano dati allarmanti sul sistema carcerario e quanto esso sia crudele con le donne. “Quando una donna va in galera, generalmente tutta la sua cerchia sociale viene colpita, soprattutto la famiglia, in quanto nella maggior parte di esse la donna è l’unica responsabile della famiglia, soprattutto dal punto di vista economico. Molte continuano a esserlo anche da dentro la prigione. Inoltre, i familiari delle detenute come madri, figlie e compagne, in carcere, durante il giorno di visita, sono solitamente sottoposte a perquisizioni personali molto invadenti”, come riportato dal testo dei volantini distribuiti. Miriam Duarte Pereira, membro di “Amparar” (Associazione di amici e familiari dei/delle detenuti/e, NdT), mette in evidenza la lotta per suo figlio, per le donne cis e transgender incarcerate e “che nessuno parla di quanto soffrano all’interno del sistema carcerario”. “Lottiamo per le detenute i cui figli e la cui famiglia hanno bisogno di loro. Alla maggior parte delle donne in carcere è negato il ricorso alla pena. Risulta, dunqu e, impossibile per queste uscirne prima del tempo previsto. Tante sono abbandonate là dentro, a causa della brutta situazione economica delle loro famiglie, che è peggiorata ancora di più con l’attuale governo”, spiega l’attivista, che cita la definizione di libertà delle madri detenute con figli fino all’età di 12 anni, secondo il STJ (Tribunale Superiore di Giustizia. Nonostante sia previsto dalla normativa del STJ che le donne detenute madri di figli fino all’età di 12 anni dovrebbero aver diritto al ricorso alla pena, questo diritto viene loro negato, NdT). “Io, come familiare, conosco il dolore che si prova quando si ha un parente in carcere. È molto costoso mantenere un detenuto, gli diamo veramente di tutto, dai prodotti per l’igiene personale ai vestiti e al cibo. Sono cose che mancano spesso là dentro e che, però, sono indispensabili alla loro sopravvivenza”, racconta la madre, che è da un anno che non vede il figlio detenuto a causa dell’alto costo del suo mantenimento. Deve scegliere se inviargli i prodotti o andare a visitarlo. I sindacati, quali quelli dei giornalisti e degli insegnanti dello Stato di San Paolo e alcuni partiti politici, hanno anch’essi partecipato al corteo, così come il collettivo “Democracia Corintiana” (movimento politico democratico, nato negli anni ’80 all’interno della squadra di calcio Corinthians in opposizione alla dittatura militare, NdT). La protesta a San Paolo è terminata intorno alle 21, nei pressi di Praça Roosevelt (nel centro di San Paolo, NdT). A Rio de Janeiro, invece, città in cui Marielle Franco è nata, sono state predominanti le richieste di verità sul suo assassinio. Mônica Benício, compagna della parlamentare uccisa, ha camminato insieme ai manifestanti e ha fortemente voluto un cartello con la frase “Quanti altri devono morire prima che finisca questa guerra?”, detta dall’attivista prima della sua uccisione. Almeno 47 città in tutto il Brasile hanno protestato l’8 marzo, tra cui le 17 capitali degli Stati del Paese sudamericano. Le statistiche e la violenza In Brasile, il diritto alla vita è negato in diverse situazioni, come hanno ricordato i gruppi responsabili dell’organizzazione del corteo. Quando i manifestanti hanno raggiunto l’incrocio tra l’Avenida Paulista e Rua Augusta (un luogo di San Paolo, simbolo della causa LGBTQ+ e manifestazioni politiche, NdT), un gruppo di poesia ha letto un manifesto firmato da 99 enti brasiliani che è stato distribuito durante la contestazione. Un gruppo performativo, invece, ha macchiato di rosso la bandiera brasiliana, volendo rappresentare con questo il sangue delle donne vittime di femminicidio. “Fino al 4 febbraio 2019, sono state assassinate 126 donne. Nel 2017, in Brasile si è concentrato il 40% di tutti i femminicidi registrati in Sud America, secondo i dati della CIDH (Comissão Interameridana de Direitos Humanos). Delle 2.339 donne vittime di armi da fuoco nel 2016, 560 sono state uccise dentro la loro casa. Fra marzo 2016 e marzo 2017, il 66% delle donne uccise da aggressione fisica o percosse hanno subito la violenza in ambito domestico; il 97% di esse sono state assassinate dai loro partner (marito, fidanzato o compagno) o ex partner, di cui il 75% dei casi motivati da separazioni, gelosia o maschilismo, secondo i dati del Pubblico Ministero di San Paolo”, come ha enunciato una rappresentante dei gruppi di movimenti sociali. Di seguito, i dati presentati hanno coinvolto anche le donne nere. “La tassa di omicidio di donne nere è il 73% superiore al numero delle donne non nere uccise. In 10 anni, l’indice è cresciuto del 15,4% tra le prime ed è calato dell’8% fra le ultime, in base alle statistiche dell’Atlas da Violência 2016 (l’Atlante della violenza, NdT)”, sottolinea la stessa attivista, passando ai dati riguardanti la violenza nei confronti della popolazione transgender. “Ogni 48 ore, una persona transgender è assassinata in Brasile, il Paese con il più alto tasso di omicidi di transessuali al mondo. I numeri sono il doppio rispetto al Messico, Paese che ottiene il 2° posto in classifica. Del numero totale, il 67% delle vittime sono giovani, di età fino a 29 anni. Mentre l’aspettativa di vita della popolazione brasiliana è di 75,6 anni, una donna trans vive soltanto 35 anni, secondo i dati dell’IBGE (Istituto brasiliano di geografia e statistica, NdT)”, conclude la militante. “L’America Latina sarà tutta femminista” Oltre il Brasile, migliaia di donne hanno occupato le piazze di altri Paesi sudamericani alla ricerca di diritti. Tale è il caso di Buenos Aires, la Capitale argentina, in cui le donne, munite di cartelli e striscioni, si sono riunite davanti al Congresso nazionale dell’Argentina, da dove è partito il corteo. Hanno percorso Avenida de Mayo e gli argomenti trattati erano piuttosto simili a quelli esposti in Brasile: diminuzione della violenza sulle donne, uguaglianza fra donne e uomini, oltre al mantenimento della lotta per il diritto all’aborto legale, tema che ha portato le donne argentine a scendere in piazza diverse volte lo scorso anno, sempre a Buenos Aires. In mezzo alla folla, uno striscione registrava anche il caso della barbarie a cui è stata sottoposta Marielle Franco. Manifestazioni anche in Uruguay, Germania e Spagna. In questo ultimo Paese, ad esempio, le donne hanno aderito a uno sciopero generale contro il gender pay gap. Alcuni mezzi di comunicazione spagnoli hanno partecipato e hanno deciso di non inviare nessuna giornalista a fare la copertura della giornata delle donne in lotta. Fonte Magazine: Ponte Jornalismo Articolo: 8 de março, 2019 – Por Marielle Franco e contra Bolsonaro Autori: Arthur Stabile, Julia Lee, Maria Teresa Cruz e Olavo Barros Data: 9 marzo 2019 Traduzione a cura di: Bruna A. Paroni Foto in copertina: Daniel Arroyo – Ponte