STUDI-LUNIGIANESI.Pdf

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STUDI-LUNIGIANESI.Pdf 1 2015- BY ASSOCIAZIONE MANFREDO GIULIANI VILLAFRANCA DI LUNIGIANA 2 ASSOCIAZIONE MANFREDO GIULIANI PER LE RICERCHE STORICHE E ETNOGRAFICHE DELLA LUNIGIANA STUDI LUNIGIANESI VOLL. XLIV -XLV ANNO XLIV - XLV - 2014 /2015 VILLAFRANCA DI LUNIGIANA 3 Volume a cura di Mattia Maffei ©Associazione Manfredo Giuliani - Villafranca di Lunigiana - Settembre 2015 4 Davvero barbari? L’esperienza lunigianese di Goti, Longo bardi e Franchi Carlo Francini Professi sumus nos lege vivere Longobardorum, ossia Profes siamo di vivere secondo la legge longobarda, questo è quanto af fermano i fra- telli Rainerio e Guido figli di Ugo di Bigliolo in un documento redatto nel giugno del 1181 nell’atrio della Chiesa di San Michele de Monte innanzi al Venerabile Monaco Azzone. L’atto riguarda la vendita di al- cuni beni immobili, appartenenti ai due fratelli, posti in Vezzano, “in loco ubi dicitur Fontana”, piut tosto presumibilmente nelle pertinenze di Olivola. Di poco precedente, risalente al febbraio dello stesso 1181, è un al- tro atto dal quale veniamo a sapere che tale Muscio del fu Bonfiglio de Cervara (antico nome della frazione fivizzanese di Aiola), rinuncia a favore del monastero di San Michele de Monte alla terra Tarunolese pro remedio anima sua, per cui il Priore Giuliano concede il launechild di 3 soldi imperiali, essendo non ammesso nel diritto consuetudinario germanico e longobardo un dono totalmente gratuito. Questi atti furono siglati làddove nel Medio Evo era ubicato il mo- nastero di San Michele Arcangelo, attorno al quale sorse poi l’ameno borgo di Monte dei Bianchi (Montia in dialetto locale), una delle tante frazioni di Fivizzano, situata nel versante destro della valle del Lucido ed immersa nella tipica vegetazione della collina lunigianese fatta di oliveti, vigneti e castagneti. Di detto monastero abbiamo notizia certa dai primi anni del XII sec., anche se l’opinione di alcuni storici si dice convinta che esso fu “rifondato” nello stesso luogo in cui nel 760 il nobile Ato figlio di Eu- genio il Longobardo di “Vico Colonia” (l’attuale Co lognola, villaggio del piviere di Viano, sul versante sinistro della valle del Lucido), fece edificare una primitiva chiesa dedicata allo stesso San Michele Arcan- gelo. A prescindere da tutto ciò, traiamo per la prima volta sicura notizia dell’esistenza di questo monastero da un atto siglato il 26 ottobre del 1106, quando nella cittadina emiliana di Guastalla il Cardinale Bernar- do degli Uberti inviato di Papa Pasquale II incontrò i nipoti del nobile Rodolfo da Casola – Girardo, Guido ed Uguccione – e i figli di tale Bo- 5 sone – Guizzolo, Gerardo, Bosone e Guiscardo –, i quali supplicarono di accomandare la chiesa di San Michele Arcangelo de Monte posta in Lunensem Episcopatum ad un Istituto Religioso (e a questo proposito ricordarono in quello stesso atto, per l’appunto, che già i loro avi ne costruirono uno nel medesimo luogo). I nobili nomi nati in quell’atto risultano essere i progenitori delle casate dei Bianchi di Erberia 1-2 e dei Bosi della Verrucola, due delle tante famiglie di sub–feudatari le cui vicende tanto impressero la storia lunigianese di quei secoli. Ai Bian- chi di Erberia in particolare, sembrano essere legate le vicende storiche dell’ampio territorio compreso fra le valli dell’Aulella e del Lucido nei secc. XI – XIII, fino a quando attorno alla metà del ’300, dopo la breve av ventura di Castrucio Castracani, tutto il territorio in questione non fu riunito sotto l’egida di Spinetta Malaspina detto il Grande. Proprio a seguito di questo cambiamento politico, esaurito l’excursus storico dei Bianchi di Erberia anche il Monastero de cadde, diventando il Beneficio di San Michele Arcangelo di sempli ce Collazione fino alla sua unione alla Parrocchia di S. ta Maria della Neve3 di Monte dei Bianchi avve- nuta nel 1768 (unione realizzata grazie all’interesse dell’allora Parroco Don Cristoforo Pennucci – nativo del limitrofo villaggio di Fazzano – e dell’allora Pontefice Clemente XIII). Nel corso degli anni, il settore storiografico lunigianese più volte si è occupato delle vicende del monastero di San Michele Arcangelo di Monte dei Bianchi. Il Cartulario, ossia “Il Regesto delle carte del mona- stero di San Michele di Monte dè Bianchi (1094–1339)”, 29 pergamene di atti notarili che illustrano in modo esauriente la vita di una comunità agricola del Medio Evo, grazie al lavoro di E. Cerulli fu pubblicato dal Giornale Storico della Lunigiana ancora nel 1954. Importanti studi su Monte dei Bianchi in quest’epoca storica erano comunque già stati con- dotti da U. Giampaoli (Giornale Storico della Lunigiana, XIII, 1923, pag. 139–142) e poi ancora da F. Baroni (Cronaca e Storia di Val di Magra, XVIII–XX, 1989–91, pag. 77–89). Del 2001 è poi il pregevole lavoro della D.ssa Donatella Scaletti dal titolo “I Pos sedimenti fondiari del monastero di Monte dei Bianchi”. In occasione del ’900esimo an- niversario della rifondazione ed acco mandazione di detto monastero, il monzonese d’adozione Franco Rampone mise poi a stampa il pregevole opuscolo dal titolo Mo nastero S. Michele Arcangelo di Monte dè Bian­ chi 1106–2006, 900 anni dell’accomandazione all’Abbazia S. Apollo­ nio di Ca nossa, a cui fece seguito la Tavola Rotonda tenuta il 30 luglio 6 dello stesso anno nel piazzale della chiesa su “Il Monachesimo al tempo di Matilda (Il Monastero di Monte dè Bianchi tra storia e teologia)”, con l’intervento dell’allora Parroco di Monte dei Bianchi Don Daniele Falconi, del Prof. Andreino Fabiani e dei ri cercatori Massimo Dadà e Mario Nobili. Di poco successivo, del 2008, è poi il lavoro di ricerca di Roberto Casotti dal titolo La Chiesa Parrocchiale di Santa Maria della Neve in Monte dè Bianchi. Per tornare allo specifico di questo lavoro di ricerca, la sensa zionalità dei documenti riportati all’inizio sta nell’affermazione che fanno i due fratelli Guido e Rainerio, quella cioè di vivere se condo la legge dei Lon­ gobardi. Ed ancora il launechild che il Priore Giuliano concede a Mu­ scio del fu Bonfiglio de Cervara, nonché le vicissitudini stesse del mo- nastero di San Michele Arcange lo, il quale nasce come “Eigenkloster”, cioè come “Mo nastero di famiglia”, come centro religioso nel quale la famiglia fondatrice identifica il centro spirituale del proprio lignaggio. Tutti elementi che rimandano alla presenza nelle nostre valli dei cosid- detti Barbari, alle vicende di quei popoli che “in primis” determinarono il passaggio dall’Età Antica al Medio Evo. Ed è certo sensazionale che due fratelli dichiararono nel 1181 di osservare la legge longobarda, la legge di un popolo il cui potere politico non esisteva ormai da quattro secoli, avendo ad esso po sto termine la calata dei Franchi guidati da Carlo Magno nel 774. Tentare di dare una definizione di quanto accadde in quei se coli, di- venta dunque necessario per meglio comprendere le ra gioni che porta- rono ad edificare un monastero dove ora sorge il borgo di Montia, e del perché questo luogo di culto venne dedicato a San Michele Arcangelo, l’Angelo che sconfisse il drago, l’Angelo posto a capo della “Milizia Celeste” pronta a difendere la “verità”, ossia “Dio”, la cui ricorrenza cade il 29 settembre, giorno della festa patronale nelle frazioni fiviz- zanesi di Agnino, Sassalbo, Spicciano e Tenerano. Perché San Michele Arcangelo era il Santo Nazionale4 dei Longobardi, gli uomini dalle lun­ ghe barbe, un Santo il cui culto – stando a quanto abbiamo fino ad ora desunto – si sarebbe sovrapposto alla deità celtica Belanu, “il guarito- re”, deità dalla quale ha origine il termine dialettale belin in uso presso le popolazioni dell’odierna Liguria e della nostra Lunigiana ad indicare l’organo sessuale maschile. I cosiddetti Barbari lasciarono anch’essi tracce del loro pas saggio in Lunigiana. Ed anche se non possono essere considerati alla base della 7 struttura ossea dell’etnia lunigianese nella stessa misura in cui lo furo- no i Liguri Apuani, anche se non hanno la sciato un retaggio culturale paragonabile a quello dei Celti, ed anche se non hanno impresso i nostri aspetti linguistici al pari dei Latini, è comunque a questi popoli che la nostra terra deve l’affermarsi di quella civiltà feudale che coi suoi Castelli, colle sue Pievi, ed anche con talune sue consuetudini, ancora oggi ben contraddistingue la realtà lunigianese. Popoli che giunsero a noi dal Nord Europa. Le prime narrazioni in riguardo a questi popoli e alle terre su cui for- marono la propria civiltà ci sono giunte per la prima volta dal De bello Gallico di Giulio Cesare, indi, soprattutto, da Publio Cornelio Tacito (56/57–123 d. C.) e dalla sua preziosa opera Germania, o più propria- mente Origine e sedi dei Germani (De origine et situ Germanorum), la quale ci descrive terre fredde e selvose, abitate da popoli sostanzial- mente affini per lingua e modi di vita, ma divisi in una moltitudine di tribù molto spesso in guerra fra loro. Gli uomini erano descritti come altissimi e mu scolosi, con chiome bionde o rossicce ed occhi chiari e gelidi, abituati ad una vita estremamente dura, che eleggevano i loro capi in base alla forza fisica e praticavano la faida. Che nei pochi e brevi periodi di pace, che essi disprezzavano, passavano il loro tempo nell’ozio più assoluto, bevendo birra e dilettandosi nella caccia. Mentre sulle donne ricadeva tutto il peso delle faccende domestiche, la cura dei figli, la poca coltivazione della terra, l’allevamento del bestiame. Certo la loro struttura militare non era paragonabile a quella delle legioni di Roma, ma il loro corag gio, la loro ferocia e la loro forza erano davvero impressionanti. E per questo, per la loro propensione alla guerra ven- nero poi molto spesso ingaggiati dagli stessi Romani.
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