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Spiridonitalia@Yahoo.Fr NUMERO 268 in edizione telematica 10 maggio 2019 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] Si dice che una rondine non fa Senza tralasciare il posto che han saputo primavera, eppure le rondini azzurre della garantirsi nei prossimi Mondiali, la cosa più nostra atletica questa volta una ventata di ragguardevole è che i nostri atleti han primavera ce l’hanno portata, e che ventata. saputo esprimersi a livelli tecnici più che Ce l’hanno portata da Yokohama dove soddisfacenti dimostrando di saperlo fare hanno fatto un figurone del diavolo in quella ben coordinati, ben integrati con i compagni sorta di campionato del mondo intitolato nel complesso della squadra senza cioè “IAAF World Relays”. dover esser condizionati nei risultati dal Un bel bottino che nessuno, o pochi, oltre fuori classe del momento. Ovvero tutti con Antonio La Torre, si aspettavano. la consapevolezza di poter battersi ad armi E’ stata una bella pari contro sorpresa. chiunque. E sarebbe stata E’ solo l’inizio ancora più ma l’importante grande la gioia è crederci. se il Cavalier Insomma, Tortu ed il suo finalmente c’é porteur Manenti un’atletica che non avessero sta cambiando pasticciato in di sostanza e quell’ultimo d’immagine e lo cambio. Ma, si sa fa tanto grazie son cose che ai suoi giovani capitano e non è ed entusiasti il caso di nuovi elementi rammaricarsi più di tanto; l’importante è oltre che alle scelte spesso nuove ma sempre sapere che qualcosa sta finalmente ben determinate di tecnici della caratura di cambiando per la nostra atletica. In meglio. Antonio La Torre. Un uomo, questi, che, E’ bello scoprire che possiamo ancora senza tante ciance, ha saputo dimostrare le contare. Quatto nostre staffette sono andate sua capacità umane e professionali e la sua in finale con tempi di rilievo ma i nostri si determinazione anche con piccole scelte. sono tutti battuti alla pari con i migliori Come, per esempio, quella d’aver orientato conquistando posti di classifica di tutto ,come poi è avvenuto, la Federazione a rispetto esaltati dallo smagliante bronzo portare in Giappone le sole le staffette nella 4 x 400 femminile. “olimpiche” non lasciandosi sedurre da tutte SPIRIDON /2 quelle strane staffette che la IAAF sta determinazione senza lasciarsi stravolgere da inventandosi e lanciando sul mercato e che divergenze interne , come ahinoi, spesso abbiamo visto e mal tollerato a Yokohama accade.. (mancava solo la corsa nei sacchi o quella Insomma i nostri azzurri impegnati a della “gamba prigioniera”…). Yokohama ci hanno esaltati e ci hanno A nostro avviso questa determinazione è la riempiti d’entusiasmato come da tanto, da strada giusta, l’inizio della strada giusta per troppo, tempo non capitava più. Ma riportare l’atletica azzurra sulle posizioni che soprattutto ci hanno spinti a guardare in le spettano. C’è solo da sperare che la nostra avanti. Speriamo non sia un nuovo amaro Federazione questo non facile itinere voglia e sogno. sappia operare con coerenza e Giors la scelta di Kipchoge è quella di un’intera generazione di atleti I SOLDI CONTANO DI PIU’ DI UN TITOLO MONDIALE La spettacolarizzazione olimpica comprime le gare di marcia e“restringe” la 50 chilometri trasformando i fondisti in velocisti. D’altra parte invece il business esalta la maratona. Se nessuno si eccita per chi possa riuscire a scendere sotto le 3H40’ sulla moribonda 50 chilometri di marcia, l’obiettivo dello sfondamento del muro delle due ore nella maratona esalta il marketing. L’astro del momento è Kipchoge che con 34 anni sul groppone, ha una gran fretta di passare all’incasso e di monetizzare i sacrifici di carriera. Così si congettura, dopo un tentativo italiano, l’attacco al muro in una prova-tentativo a Londra, esibizione a misura di 250.000 persone. Dopo la prova di Monza, corsa in 2H00’25, il kenyano ci riproverà in Inghilterra in una prova asettica su un terreno da biliardo e con tutti i vantaggi del caso (nessuna sollecitazione e tensione agonistica, l’occhio teso solo verso il cronometro). I tentativi di record (o di migliore prestazioni) non sono mai vero sport. Ricordiamo quando Dennerlein stabilì un primato europeo dei 200 delfino nuotando in acqua di mare. Con un record regolarmente omologato. Ricordiamo primati mondiali di lancio del peso con pedane in discesa e con il benefit di un doping endogeno. Ma qui siamo vicini, con l’esperimento sulla maratona, alla fantatletica, a una soglia di futuro che non vorremmo mai oltrepassare. Se si tenta un primato non omologabile e che rischia di umiliare i tempi con cui si vinceranno le maratone di New York, Boston, Roma o Milano, le centinaia di gare corse sulla distanza ogni anno nel mondo, creando una forbice insuperabile, è perché dietro l’organizzazione c’è una grande corruttiva industria. Quella che muove i diritti televisivi, i titoli dei giornali, l’interventismo di Cairo sulla Gazzetta dello Sport, tanto per fare un esempio fondante. I soldi, il business fanno l’uomo. Il grande capitale sposa gli intenti del miglior interprete di maratona, l’unico che può osare di scendere sotto il muro delle 2 ore. Il calendario fa brutti scherzi però perché quelli saranno anche i giorni della maratona di Berlino a cui Kipchoge è legato perché gli ha fruttato la prestazione monstre ufficiale di 2H01’39. E cosa mettiamo al terzo posto per interesse e motivazione? Nientemeno che i mondiali di atletica che si svolgeranno nell’inconsueta sede di Doha a partire da fine settembre. Cosa conta ormai un titolo mondiale se promette di fruttare meno denaro rispetto a un ingaggio faraonico a tutt’altra latitudine? Interrogativo retorico. Queste scelte non sono patrimonio solo di Kipchoge ma di un’intera generazione di atleti. Legittimo parlare di atletica mercificata, asservita a interessi che non odorano più di sport. Sovrastrutture soffocanti minano l’etica e la trasparenza. Per analogia non siamo lontani dalla polemica che aveva portato alla iniziale discussa esclusione degli atleti africani dalla maratona di Trieste. Forse un salutare sasso nello stagno con retromarcia incorporata. Un’altra diversa storia ma anche un’occasione per riflettere su un tema che non deve essere solo virato su “razzismo e anti-razzismo” e sulla mera difesa dell’atleta italiano. Si sa che nella maratona (e non solo) l’adagio “prima gli italiani” è semplicemente ridicolo. Daniele Poto SPIRIDON / 3 fuori tema Vediamo. Per le sorti dello sport nazionale non sarebbe male se a ridosso delle elezioni europee di fine mese trovassero conferma i pettegolezzi degli ultimi giorni che danno il sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti in partenza per Bruxelles per occupare, su designazione governativa, e in concorrenza con il ministro degli esteri Enzo Moavero Milanesi, la poltrona spettante al commissario europeo. Scadeva l'anno 2018, quando la sensazione di dover rimpiangere, nella sua onnipotenza e nelle sue cadute, il Comitato olimpico nazionale, fu più d'una sensazione. Fu il momento in cui dal cilindro di palazzo Chigi prese vita un comitato di salute pubblica formato da sette saggi, un piccolo grande pantheon di nomi dai nobilissimi trascorsi agonistici, incaricato di promuovere gli eventi sportivi di massimo rilievo nazionale e internazionale. Fu una decisione che rasentò la comicità, conferma dell'atteggiamento superficiale, oltre che della demagogia, alla base dei piccoli e grandi passi di quella rivoluzione epocale che avrebbe trovato di lì a poco nella sigla programmatica e comunicativa di Sport e Salute la sua più disarmante cifra identificativa. Poiché il peggio trova implacabilmente porte aperte, conferma di quel peggio giungeva puntuale nello scorso metà aprile quando lo stesso Giorgetti, uscendo dal Foro Italico al termine della riunione di una Giunta del Coni sempre meno esecutiva, informava il prossimo come in passato, diversamente dalle grandi politiche che competono allo sport, i contributi alle Federazioni sportive fossero stati gestiti in modo incrementale e conservativo (!). L'illuminante concetto veniva completato dall'impegno di indirizzare in futuro i contributi a quelle Federazioni che con le loro politiche sarebbero state (saranno) capaci di realizzare progetti su temi come terza età, scuola, emarginazione e inclusione degli immigrati, quindi una politica sportiva attiva a trecentosessanta gradi contro l'obesità e per la prevenzione delle malattie cardiovascolari. I contributi premieranno le federazioni più impegnate: abbiamo studiato a fondo, questa la firma del sottosegretario in calce all'esternazione, il modello inglese e quello australiano (!). Se esisteva, tra l'altro, un modo per accrescere la confusione di ruoli tra federazioni ed enti di promozione, tutti, in misure diverse, a libro cassa del Comitato olimpico, ecco, c'è riuscito, con i suoi consiglieri, un sottosegretario alla presidenza del Consiglio, e tutto lascia prevedere trattarsi di un percorso disinibito appena iniziato. Detto di quanto accade ai piani alti della politica sportiva, un parere su due eventi che hanno segnato le cronache degli ultimi giorni. Considerati i tempi, e la caccia al razzista comunque e dovunque, non è stato per nulla sorprendente l'imbecille rituale del copia incolla firmato dai nove decimi dell'informazione nazionale sulla decisione degli organizzatori del Trieste Running Festival di fare a meno di ingaggiare, secondo un costume da anni diventato, in ogni senso, un malcostume, atleti africani. Non fosse che per aver messo il dito, denunciandola, sulla piccola cancrena legata al noioso rituale delle corse su strada, Trieste merita un premio. Il secondo caso, nella doppia valenza umana e tecnica, riguarda l'atleta sudafricana Caster Semenya. Riprendo con rispetto le riflessioni di Ilaria, allieva al 1° corso palermitano di Scienze motorie, anno 2001, cento allievi iscritti, tutti in piedi ad applaudire nell'aula di anatomia del Policlinico il professor Pino Clemente salito nella visibile precarietà delle proprie condizioni fisiche sulla cattedra: <<Se io fossi Caster soffrirei per tutti i commenti negativi, se io fossi Caster sarei triste se dovessi rinunciare ad uno sport che mi ha dato tanto, se io fossi Caster piangerei>>.
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