Le Bellezze Della Città Di Firenze Dove a Pieno Di

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Le Bellezze Della Città Di Firenze Dove a Pieno Di LE BELLEZZE DELLA CITTÀ DI FIRENZE DOVE A PIENO DI PITTURA E DI SCULTURA Di Sacri Templi, di Palazzi i più notabili artifizi e più preziosi si contengono Scritte già da M. Francesco Bocchi ed ora da M. Giovanni Cinelli ampliate ed accresciute IN FIRENZE Per Gio. Gugliantini. Con lic. De Sup. 1677 Con Privilegio di S.A.S. Or voi, che n’avevate tanta frega Andate vel per esso alla bottega ALL’EMINENTISS. E REVERENDISS. SIG. MIO SIG. E PADRONE COLENDISS. IL SIG CARDINALE FRANCESCO NERLI ARCIVESC. DI FIRENZE Eminentiss. e Reverendiss. Principe [s.p.] Amabile a’ cuori umani sopr’ogn’altra cosa è la bellezza, che nella simmetria, o vogliam dire ordine di bene aggiustate membra consiste. E quindi adiviene che la Città di Firenze con questa struttura composta, per suo maestoso aspetto ragionevolmente tien nome di bella e da tutte le Nazioni sopr’ogn’altra è tenuta in pregio, ed avuta in istima, essendo in lei quella Bellezza (artificiale chiamata) che nelle cose insensate dalla varia composizione e lavorio della materia risulta. E l’amor della Patria più d’ogni altro possente, onde Ulisse deliziosamente viver potendo all’immortalità l’antipose, ed i Saguntini anzi che schiavi fuor vivere, morir in quella s’elessero. Dallo stesso violentata la penna a dar nuova vita a quest’opera, nelle ceneri dell’obblio quasi sepolta, s’accinse, acciò qual altra Fenice di nuove piume vestita più lontano spiegar suo volto potesse. La qualità solo di tutte più ragguardevole, che ‘l pregio maggiore gli conferisse mancava, quando fissato l’occhio nel merito incomparabile di V.E., acciò l’opera meglio in se stessa avanzarsi potesse, e del tutto compiuta fusse, per giugner Bellezza maggiore alle Bellezze, che suo reverito nome in fronte portasse determinai. E qual potev’io rintracciarla più degna, consegnandola ad un rampollo di sì nobil famiglia, a cui in Linguadoca il Castello di Buchari presso al fiume Urrosa situato, i tributi porgeva? Che poi in Italia, sotto la scorta d’Ugo d’Arli re della medesima venuta, Firenze per patria si elesse. Quivi da Ugo di Brandiburgo del medesimo re nipote, della Cavalleria e dell’arme propria onorata: godé la Signoria di Farneto, che Nerlara si chiama, e più tenute nel poggio di Ronciglione contado di Firenze, da Castruccio disfatte, come disfatte furno per l’intestine discordie le torri, che dove oggi è Mercato Vecchio, possedeva. Quanto d’onore ricevé la Città da Francesco di Biancozzo primo fra’ Fiorentini, che Laurea in Teologia per privilegio di Clemente VI ricevesse, perché nella chiesa di Santa Maria del Fiore gran solennità ne fu fatta, concorrendovi oltre gran moltitudine di popolo, la Signoria con tutti i Magistrati, per quel giorno le campane a gloria sonando, i traffichi serrandosi ed allegrezza universalmente di fuochi e lumi faccendosi. E qual pregio maggiore, ch’aver in breve spazio d’anni con duplicata porpora la comun Patria illustrata? Quali encomi non merita V.E. per la Vice Legazione di Bologna, per le Nunziature di Pollonia, Imperio e Francia, e per la carica importantissima di Segreteria di Stato con somma prudenza e lode esercitate, e per tanti gran affari al desiderato fine felicemente condotti? qualità che alla bontà de’ costumi unite il cuor di chi la mira di doppio amore accendono. A ragione dunque il genio veritiero di mia penna, che non apparò giammai ad offerire corone d’alloro, se non a fronti che le meritassero di stelle, ha per suo Mecenate l’E.V. eletto, non avendo la Virtù abitazione più frequentata, o protezzione più sicura, che nella camera della medesima, né vi è stanza in terra, che della sua partecipi più del Cielo, ove ella risplende stella sì luminosa, che merita d’esser Sole Universale. La speranza di sua protezzione sarà lo stimolo più possente di mia penna, che se bene è ente di debole attività ed ha tarpate le ali da discortese fortuna, non lascia però d’armarsi contro l’ozio, per gustar la soavità degli studi, ne’ parti de’ quali proccurerò sempre che le glorie dell’Eminenza V. si manifestino. E siccome l’eloquenza del cuore supera di gran lunga quella della lingua, così il parlar con l’opere sarà di tutti il più eccellente linguaggio, col quale pregherò il Cielo, ad augumentar la mia possibilità, perché sul banco della Fama mi dia modo di registrar qualche segno memorabile di mia ossequiosa osservanza verso V.E., supplicandola con tenerezza umilissima a non isdegnar questa devota oblazione ed a ricever nella purità dell’affetto, ch’è tazza d’oro, i tributi riverenti di mio cuore, mentre le bacio il lembo della Sacra Porpora. Di V. E. Devotss. Umiliss ed osservandiss. Servidore Giovanni Cinelli GIOVANNI CINELLI All’amico e cortese Lettore. [1] Molte volte egli adiviene, che l’uomo anche nella propria Patria è forestiero, e particolarmente quegli che nelle città grandi nasce, e sì come è obbligo di saper ben parlar la propria lingua, così è necessario saper di sua terra le prerogative migliori; per così fatto pensiero incalzato, essendomi in casa del sig. Antonio Magliabechi (uomo di singolari prerogative, e d’eccellenza di dottrina) stato da diversi letterati forestieri chieste alcune notizie intorno alle cose cospicue della nostra città, delle quali, o come che non avessi vedute, o se pur vedute in età tenera non aveva a quelle fatta veruna reflessione, mi convenne alcune siate vergognosamente tacere, mi risolvei perciò volerne poter discorrere, per non esser necessitato a star cheto intorno a quelle cose, delle quali come nazionale, e per conseguenza informato io dovea molto ben favellare: Fermatomi in questo pensiero volli legger le Bellezze di Firenze del Bocchi stampate nell’anno 1591, ma come che in quelle io non interamente soddisfatto restassi, sì per [2] vederne alcune, che come erette doppo la stampa di esso non poteva egli darne notizia, altre tralasciate affatto, ed altre non interamente descritte, per apertura di mente mi messi a fare alcune postille al medesimo libro, giugnendovi le cose più principali e più degne, che sotto l’occhio nella nostra città manifestamente appariscono, le nuove somministrandovi, ed in quelle ov’egli è stato scarso nel descrivere, procurando d’aggiugnere ciò che alla mia notizia è pervenuto. Ma perch’il Bocchi è stato uomo di somma bontà, ha egli ugualmente sì l’opere de’ più eccellenti, come de’ mezzani, e degl’inferiori artefici lodate con la stessa maniera di dire, co’ modi medesimi senza veruna differenza: E se bene la vera virtù di lodi umane non ha la bisogna, l’onore e la lode ella seco stessa portando, ed a guisa di pubblico banditore le geste virtuose, e di pregio a tutti note facendo, lode nondimeno de’ darsi e non v’ha dubbio a chiunque la merita, ma con distinzione sì fatta che a quegli che sopr’ogn’altro darsi debbe tale ella sia, ch’il merito superiore dimostri, poiché il dare ai mediocri, ed agl’inferiori la lode medesima, ch’a’ primi, se non affettata adulazione, almeno debolezza d’animo e poca cognizione giustamente chiamar si puote, essendo la lode secondo il Filosofo un favellare, che la grandezza della virtù chiarisce e fa nota. È proprio degl’uomini [3] aver ognuno suo difetto, perché come rade volte si dà la perfezione così niuno da qualche errore va diviso, ma siccome in tutte le cose, o nella maggior parte il più ed il meno si trova, così il lodare e l’aggrandire in tal guisa de’ farsi, che dell’opere delle quali è giudice l’occhio le circostanze si dichino, non per oscurare di quel tale in alcun conto il merito, ma perché come ombre poste presso il lor chiaro maggiormente risaltare, ed apparite il facciano. La lode de’ non intendenti quella facultà della quale favellano ancorché molta, poco o nulla stimar si debbe come di niun valore, ma bensì la poca degli uomini virtuosi e d’ingegno. E siccome a’ fatti gravi una lode ridicolosa, così a quel ch’è degno di. riprensione la medesima disconviene, poiché il lodar di soverchio è un aggravare il lodato, e la vera lode è soave, se nella cosa lodata più che nell’opinione del volgo confida, onde siccome la lode non meritata è disdicevole, maggiormente è da fuggirsi il biasimare altrui, come molti sazievoli sogliono per lo più per modo di dilicatezza fare, ed ancorché io sappia che con facilità maggiore le nostre orecchie alla maldicenza si piegano, che la calamita alla tramontana si volga, ed oda dire a Tacito obtrect actio, & livor pronis auribus hauriuntur . Sento anche quel buon Spagnolo di Cordova, che dice, lauda parce, vitupera. parcius, similiter enim reprehensibilis [4] est nimia laudatio, & immoderata vituperatio; illa quidem adulatione, ista autem malignitate suspecta est: de 4 virtut. card. Onde per il fine stesso della Legge cioè di dare ius suum unicuique siccome non istimerò bene le cose ordinarie doversi in estremo lodare, così io non potrò anche sentir biasimare il disegno di Cimabue benché lontano dal vero, ma devesi egli molto nondimeno commendare per esser stato il rinuovatore della pittura stata persa cinque secoli avanti, ch’egli fiorisse, per lo quale ritrovamento debbesi molto avere in pregio quest’uomo avvenga che se la Scultura si perdesse, il che è difficile, per esser le statue molto più durevoli che le pitture non sono, meglio in acconcio tornerebbe il ritrovarla avendo gli uomini seco il naturale e il vivo, ch’è tutto tondo e rilevato come in lei si richiede, che non si fé nel ritrovamento della pittura, non tornando così bene il ritrovar con facilità e prestezza i dintorni, e la buona maniera per metterla in opra. Potrassi ben dar maggior lode a Giotto quantunque la pittura non ritrovasse, per aver un po’ più inteso il disegno, e meglio di Cimabue colorito perch’egli l’avanzò di gran lunga, come bene attesta.
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