Book Reference
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Book Giorgio Orelli e il "lavoro" sulla parola. Atti del Convegno internazionale, Bellinzona 13-15 novembre 2014 a cura di Massimo Danzi e Liliana Orlando DANZI, Massimo (Ed.), ORLANDO, Liliana (Ed.) Abstract Actes du colloque international de Belinzone sur Giorgio Orelli (Airolo 1921-Belinzone 2013), le plus important poète, traducteur, narrateur et critique littéraire de la Suisse italienne du XXe siècle et certainement aussi un des plus remarquables poètes en langue italienne de la deuxième moitié du XXe siècle. Reference DANZI, Massimo (Ed.), ORLANDO, Liliana (Ed.). Giorgio Orelli e il "lavoro" sulla parola. Atti del Convegno internazionale, Bellinzona 13-15 novembre 2014 a cura di Massimo Danzi e Liliana Orlando. Novara (Italie) : Interlinea, 2015 Available at: http://archive-ouverte.unige.ch/unige:84153 Disclaimer: layout of this document may differ from the published version. 1 / 1 Giorgio Orelli e il “lavoro” sulla parola Convegno internazionale di studi COMITATO SCIENTIFICO Simone Albonico (Università di Losanna) Ottavio Besomi (Politecnico Federale di Zurigo) Massimo Danzi (Università di Ginevra) Pietro De Marchi (Università di Zurigo) Uberto Motta (Università di Friburgo) Liliana Orlando (Liceo Cantonale di Bellinzona) Fabio Pusterla (Università della Svizzera italiana) Niccolò Scaffai (Università di Losanna) GIORGIO ORELLI E IL “LAVORO” SULLA PAROLA Atti del convegno internazionale di studi Bellinzona 13-15 novembre 2014 a cura di Massimo Danzi e Liliana Orlando INTERLINEA Volume pubblicato con il sostegno della Fondazione Ulrico Hoepli di Zurigo, del Fondo generale dell’Università di Ginevra e del Contributo del Cantone Ticino derivante dall’Aiuto federale per la salvaguardia e promozione della lingua e cultura italiana © Novara 2015, Interlinea srl edizioni via Mattei 21, 28100 Novara, tel. 0321 1992282 - 612571 www.interlinea.com [email protected] Stampato da Italigrafica, Novara ISBN 978-88-6857-058-3 In copertina: fotografia di Yvonne Böhler Sommario MASSIMO DANZI, Introduzione p. 7 STEFANO AGOSTI, Giorgio Orelli e l’istanza della lettera » 15 MARIA ANTONIETTA GRIGNANI, Pedagogia dello sguardo e declinazione dei colori » 23 SILVIA LONGHI, Le sillabe di Orelli » 37 CLELIA MARTIGNONI, Per Giorgio Orelli narratore » 51 PIETRO GIBELLINI, Pane e coltello: un poeta fra quattro narratori » 63 GILBERTO LONARDI, Su Orelli che traduce otto versi di Lucrezio » 77 ALICE SPINELLI, “Attraversando” Valeri. Aemulatio e (co-)intertestualità nel Goethe di Orelli » 87 MASSIMO DANZI, Orelli lettore: genealogia e figure di un “metodo” » 111 CHRISTIAN GENETELLI, Per il critico e per il poeta. Giorgio Orelli lettore di Leopardi » 133 NIccOLÒ SCAFFAI, Un’altra fedeltà: Orelli e Montale » 151 GIOVANNI FONTANA, «Gli occhi attenti, contro stipiti saldi, duraturi». Orelli e Luzi » 169 GEORGIA FIORONI, Orelli e Sereni: un possibile dialogo » 187 YARI BERNASCONI, Quello che resta nella memoria: L’ora del tempo di Giorgio Orelli » 209 OTTAVIO BESOMI, Il lavoro sulla parola d’altri: gli inediti del Fiore » 223 PIETRO DE MARCHI, L’orlo della vita di Giorgio Orelli. Notizie sull’inedito e proposta editoriale » 243 PIETRO MONTORFANI, «Wer redet, ist nicht tot». Prime ricognizioni nella bibliografia di Giorgio Orelli » 255 GIOVANNI ORELLI, Una testimonianza » 295 Autografo di Primavera a Ravecchia (aprile 2013) poi divenuta L’uomo da marciapiede. 6 Introduzione In occasione della festa per i novant’anni di Giorgio Orelli, svoltasi in questa stessa sala nel maggio del 2011, in diversi c’eravamo detti che occorreva affron- tarne il lungo “lavoro” letterario in una sede scientifica. Ora che Orelli ci ha la- sciato, questo compito è parso anche più urgente. Sappiamo tutti la velocità con cui il presente diventa passato; e questo si perde inesorabilmente. Quando, nel 2008, Orelli ricevette l’importante premio della Banca della Svizzera italiana, toccato in precedenza a Contini, Isella, Amerio, Pozzi e altri studiosi, a tenere la laudatio fu chiamato il romanista Cesare Segre, da molti anni amico del poeta. Segre ha lasciato una sua autobiografia, nella quale a un certo punto si chiede che cosa dei nostri studi sarebbe rimasto dopo la morte. E la conclusione era una: occorre sempre ricominciare, perché nella memoria collettiva come nel diritto dei popoli nulla è iscritto per sempre. Questo è il compito di chi rimane, di operare cioè perché il rapporto tra presente e passato non venga cancellato dalle sirene dell’attualità e chiara, o più chiara possibile, resista la coscienza della nostra storia, delle nostre radici. Giorgio Orelli credeva nella forza delle radici, non solo di quelle leventinesi o bellinzonesi (pur così importanti per lui); ma di quelle che, in un artista, emergono con il lavoro “onesto” degli anni che non è altro che lo sforzo per essere se stesso tirando l’acqua al proprio mulino: lavoro “onesto” perché fedele alla natura e alla propria profonda aspirazione. Concepiva, Orelli, e lo ha scritto parlando di artisti che ha amato, un lavoro in- tellettuale come chiarimento di sé, dei propri motivi esistenziali e della propria ansia conoscitiva: «A un artista», scrisse a proposito del bleniese Ubaldo Moni- co, «preme di consegnare nient’altro che l’immagine che porta nell’anima». E, a proposito dello scultore Giovanni Genucchi, altro bleniese ma questa volta nato a Bruxelles, osservò: «La forza di Genucchi è nella ricchezza (devo proprio dir così) della sua povertà, della sua umiltà, nella profonda onestà che gli permise di non recitare farse con se stesso, prima che con gli altri, tradendo le proprie radici. Veramente la sua anima si prolunga nelle opere». Viene in mente un autore molto caro a Orelli, che si interrogava sul nuovo “ordine” che l’artista impone alle cose: «Comment une œuvre remarcable sortirait-t-elle de ce chaos», scriveva Paul Valéry, «si ce chaos qui contient tout ne contenait aussi quelques chances sérieuses de ce connaître soi-même?» (ed. Pléiade, vol. I, p. 1335). In Italia, queste parole ci riportano a un poeta come Saba, che Orelli incontrò a Milano, in un’osteria di via XX Settembre per la mediazione di Vittorio Sereni, un’«unica indimenticabile volta» (così ricorda in Quasi un abbecedario, p. 53) 7 MASSIMO DANZI e alla sua «poesia onesta», che per il poeta triestino significava «non travisare il proprio io e non ingannare con false apparenze quello del lettore». «Benché esser originali e ritrovar se stessi siano termini equivalenti, chi non riconosce», scriveva Saba in Quello che resta da fare ai poeti (del 1911 ma pubblicato solo nel 1959), «che il primo è l’effetto e il secondo la causa?» C’è molto di Saba in questa posizione di «poesia onesta» brandita da Orelli, in quel suo (è ancora Saba) «mantenersi puri ed onesti di fronte a se stessi» senza paura di «ripeter se stessi». Lo si rilegga e si capirà perché, e quanto, quell’unico incontro milanese restò fissato nella memoria del poeta. Un tale modo di vedere le cose attesta naturalmente (e così era anche in Saba) una posizione morale, in cui “barare” è, prima di tutto, “barare con se stessi”. Ciò vale anche per i poeti, la cui personalità risulta negli anni da un “lavoro” che rende lo stile vieppiù personale e riconoscible. Di questo “lavoro”, teso a far emergere la propria profonda natura e ispirazione, ha scritto sempre Valéry sottolineandone la complessità e la completezza. E, dalla sua Firenze, il poeta e francesista Mario Luzi, amico da sempre di Orelli, gli ha fatto eco, ri- cordando il «lavoro enorme che attende [il poeta] per ritrovare il suo suo gesto, la sua voce essenziali» (L’inferno e il limbo, Il Saggiatore, Milano 1964, p. 14). Solo a questo prezzo, di un “lavoro” condotto senza fretta (come voleva Orelli), l’opera che risulta è poi il «prolungamento dell’anima del poeta». Il convegno che si apre oggi fa centro su un poeta che in molti abbiamo cono- sciuto. Per una ragione o per un’altra (il destino è sempre per metà frutto del caso e per metà altra cosa) a vari di noi è toccato in sorte di frequentarlo. Ad altri, tra Bellinzona e Prato, di incontrarlo e scambiare parole, che poi – con lui – due non erano mai perché Giorgio Orelli è stato un interlocutore straordi- nario, posseduto da un «bisogno di esprimersi» nel quale Segre ha riconosciuto senz’altro «la prima spinta all’invenzione critica e alla poesia». Questo non è dunque solo un convegno “accademico” (quale anche sarà), ma un’assemblea di amici che alle ragioni della letteratura uniscono quelle di una lunga e amisto- sa fedeltà all’autore, per la prima volta espondenole al pubblico. Un pubblico – sappiamo – non fatto solo di specialisti e che ha, negli anni, sentito la figura di Orelli, e ora forse con maggior forza la sente, come parte del suo mondo. Il mondo di Orelli è stato un mondo di uomini e di rapporti umani, prima che di libri e di letteratura: di scavo e di ricerca interiore perché, come ha scritto con grande semplicità, «uno scrittore consapevole che la vita è una sola, sa che fuori dalla conoscenza di sé non c’è scampo» (Quasi un abbecedario, p. 32). Anche fuori del suo borgo e della scuola, dove ha insegnato per quarant’an- ni, Orelli era amato: ricordo l’amicizia con poeti come Montale, Sereni, Luzi o Fernando Bandini. O con studiosi come Gianfranco Contini, suo maestro friburghese, Cesare Segre, Maria Corti, Stefano Agosti o lo storico dell’arte Ro- berto Longhi; e da noi, fra tutti, Virgilio Gilardoni, creatore, qui a Bellinzona, dell’“Archivio Storico Ticinese” e storico tra i più esposti e vigili del nostro Paese. Ma potrei ricordare anche un buon numero di artisti: Cavalli, Moni- 8 INTRODUZIONE co, Genucchi, Selmoni, Bolzani; ma anche Boldini, Carrà, Rosai o Italo Valen- ti, che disegnano una “storia” parallela e altrettanto ricca del poeta. Accanto però a questi amici, Orelli faceva posto anche a persone che non immaginiamo.