Storia Delle Repubbliche Italiane Dei Secoli Di Mezzo

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Storia Delle Repubbliche Italiane Dei Secoli Di Mezzo Jean-Charles-Léonard Simonde de Sismondi Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo. Tomo XV www.liberliber.it Questo e-book è stato realizzato anche grazie al sostegno di: E-text Web design, Editoria, Multimedia (pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!) http://www.e-text.it/ QUESTO E-BOOK: TITOLO: Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo. Tomo XV AUTORE: Sismondi, Jean Charles Léonard Simonde : de TRADUTTORE: CURATORE: NOTE: Il testo è presente in formato immagine sul sito The Internet Archive (www.archive.org/). Realizzato in collaborazione con il Project Gutenberg (http://www.gutenberg.org/) tramite Distributed proofreaders (http://www.pgdp.net/). DIRITTI D'AUTORE: no LICENZA: questo testo è distribuito con la licenza specificata al seguente indirizzo Internet: http://www.liberliber.it/biblioteca/licenze/ TRATTO DA: Storia delle repubbliche Italiane dei secoli di mezzo di J. C. L. Simondo Sismondi delle Accademie Italiana, di Wilna, di Cagliari, dei Georgofili, di Ginevra ec. Traduzione dal francese. Tomo 15. -16 - Italia, 1817-1819 - 524 p. ; 12 CODICE ISBN: mancante 1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 12 ottobre 2011 INDICE DI AFFIDABILITA': 1 0: affidabilità bassa 1: affidabilità media 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO: Distributed proofreaders, http://www.pgdp.net/ REVISIONE: Claudio Paganelli, [email protected] PUBBLICAZIONE: Claudio Paganelli, [email protected] Informazioni sul "progetto Manuzio" Il "progetto Manuzio" è una iniziativa dell'associazione culturale Liber Liber. Aperto a chiunque voglia collaborare, si pone come scopo la pubblicazione e la diffusione gratuita di opere letterarie in formato elettronico. 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La guerra riaccesa in Italia dalla inconsiderata ambizione di Leon X doveva, a seconda de' suoi risultamenti, decidere se gl'Italiani rimarrebbero una nazione indipendente, o se caderebbero sotto il giogo di quegli stranieri ch'essi chiamavano barbari. Non trattavasi al presente della divisione di alcune province tra potentati che potevansi risguardare come compatriotti, ma della intera nazione e della sua medesima esistenza. Nè i più grandi interessi della patria loro trattavansi oramai tra gl'Italiani; chè tutte le potenze d'Europa si occupavano della futura sua sorte; e le cagioni degli avvenimenti che cambiavano i destini dell'Italia dovevano cercarsi in lontani paesi. Poichè potenze così formidabili quali erano le monarchie di Francia, di Spagna, di Germania, d'Inghilterra erano entrate in campo, le piccole sovranità d'Italia sentirono la comparativa loro debolezza, la quale era smisuratamente cresciuta a cagione delle ruinose guerre che da oltre venticinque anni desolavano questa infelice contrada. Avevano tali guerre consumate tutte le sue ricchezze, e distrutti i mezzi di riproduzione in un paese in addietro il più fertile, in allora il più sgraziato dell'Europa: onde Venezia, Firenze, Siena e Lucca che conservavano tuttavia il nome di repubbliche; i duchi di Milano, di Savoja, di Ferrara, ed i marchesi di Mantova e di Monferrato che si chiamavano ancora sovrani, aspettavano tremanti che la loro sorte fosse decisa dalla politica, dai trattati, o dalle armi degli oltremontani. Soltanto la sede pontificia si era innalzata in tempo del decadimento degli altri stati italiani. Le conquiste di Alessandro VI, di Giulio II e di Leon X avevano assoggettate ai pontefici province effettivamente indipendenti, sebbene di nome riconoscessero la supremazia della santa sede. Quando in appresso si trovarono aggiunte allo stato della Chiesa Parma, Piacenza, Modena e Reggio; quando in pari tempo il capo di questa Chiesa signoreggiava come assoluto padrone la repubblica fiorentina, i suoi stati sorpassarono di lunga mano in estensione, in popolazione ed in ricchezze quelli de' più potenti principi che l'Italia avesse veduto innalzarsi dal principio del medio ævo. I re di Napoli, i duchi di Milano, o la repubblica di Venezia, non avevano mai disposto di tante forze, principalmente quando si pongano in conto le grandissime entrate, che la camera apostolica sapeva ritrarre dalla superstizione de' popoli degli altri stati della Cristianità. Se Leon X alla profonda dissimulazione che lo faceva risguardare come un grande politico non avesse associata la prodigalità di principe nuovo e la inconsideratezza di un uomo dedito ai piaceri, avrebbe facilmente potuto mantenere l'equilibrio tra le due potenze che si contendevano l'Europa; avrebbe fatta rispettare non solo la neutralità de' proprj stati, ma ancora di quegli altri che volontariamente si fossero posti sotto la sua protezione; e tutti i popoli d'Italia si sarebbero procacciato a gara questo vantaggio. I diversi avvenimenti d'una lunga contesa che doveva durare quanto il regno di Carlo V, gli avrebbero somministrate molte opportunità per rialzare l'indipendenza nazionale: egli non avrebbe avuto bisogno per essere veramente grande, che del sincero desiderio di voler il bene de' suoi compatriotti, inspirando loro fiducia nella sua buona fede. Ma Leon X per una giovanile ambizione, che non appoggiavasi a verun piano ben ragionato, e non era sostenuta da veruna idea che portasse l'impronto della vera grandezza, cooperò all'annientamento della libertà italiana, mentre lo scandaloso traffico delle indulgenze, cui si appigliò per supplire alle smoderate spese, scosse il trono pontificio, e staccò metà del Cristianesimo dall'ubbidienza fin allora renduta a' suoi predecessori. In tempo del suo regno e precisamente nel 1517, avea in Germania cominciato la riforma colle prediche di Lutero. Ma sebbene questo coraggioso novatore fosse di già passato dall'attacco contro le indulgenze a dubitare dell'autorità del papa, a sovvertire tutta la disciplina ecclesiastica, e finalmente alle controversie intorno al medesimo domma, non aveva per anco tentato verun cambiamento nella esteriore forma del culto; i suoi settatori non formavano una nuova Chiesa, e non potevasi ancora fondatamente giudicare intorno alla estensione del pericolo che minacciava da questo canto la corte di Roma. Vero è che universale era il fermento di tutta la Germania. Presso i popoli settentrionali la religione associavasi agli affetti del cuore; si univa intimamente a tutto l'uomo; veniva esaminata dalla sua ragione, riscaldata dal suo amore, ed ammessa per norma delle sue azioni. Diversamente disposta rispetto alle idee religiose era la nazione italiana, la quale dopo avere ammesso l'intero sistema dei dommi della Chiesa, li riguardava come non soggetti ad ulteriore disamina, e mostrava il suo rispetto per la fede col non prendersene verun pensiero. Gli uomini di perduti costumi, siccome i più costumati, i più filosofi, come i più superstiziosi, non muovevano mai dubbj intorno al complesso delle dottrine della Chiesa; ma d'altra parte pochissima cura si prendevano delle cose della fede, che non eccitava verun affetto nel loro cuore, e niente influiva sulle azioni della loro vita. La religione segregata affatto dal raziocinio, dalla sensibilità, dalla morale, dalla condotta, altro omai non era che un'abitudine dello spirito, che ordinava certe pratiche, e proscriveva certi pensieri. In fatti la riforma eccitò in Italia alquanto di maraviglia e d'inquietudine, ma niuna curiosità. Erano gl'Italiani accostumati a resistere al papa, a fargli la guerra, a sprezzare le sue scomuniche; sapevasi da molto tempo, che corrottissimi erano i costumi della sua corte, perfida la politica, e che le più odiose passioni potevano celarsi sotto il manto della religione. Il rimanente del clero non godeva in Italia le immunità e le ricchezze del clero della Germania: pure si era veduto commettere infami azioni; e perchè queste più non erano cagione di scandalo, l'accusa diretta contro di lui più non eccitava la sorpresa della novità. Coloro che volevano riformare la disciplina passavano per entusiasti, che si adiravano contro il corso ordinario delle cose del mondo; coloro, che attaccavano la dottrina, passavano per insensati che sconvolgevano i fondamenti delle opinioni; imperciocchè quelle basi medesime che il pregiudizio ha stabilite, e che sottrae ad ogni esame, non sembrano agli uomini meno solide di quelle fondate dalla ragione. Mentre che nuove dottrine fermentavano in tutta l'Europa, verun Italiano non muoveva dubbj intorno a ciò che gli era stato dato a credere, e passò ancora lungo tempo prima che qualche opinione luterana valicasse le Alpi. Lo stesso Leon X morì prima d'essersi formato una giusta idea del pericolo ond'era minacciata la Chiesa romana per la sollevazione degli spiriti in Germania; ma la morte lo sottrasse altresì a difficoltà, di cui avrebbe assai più presto sentito il peso;
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