Lo Basso Uomini Da Remo
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0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 1 COLLANA STRUMENTI 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 2 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 3 Luca Lo Basso Uomini da remo Galee e galeotti del Mediterraneo in età moderna Selene Edizioni 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 4 Il volume è stato realizzato con il contributo del MIUR e dell’Università degli Studi di Genova © Luca Lo Basso, 2003 © Yoni srl, 2003 via Bazzini, 24 20131 Milano tel. 02/26.68.17.38 fax 02/59.61.11.12 e mail: [email protected] www.edizioniselene.it In copertina: Catene da galeotto (manufatto in metallo, XVI secolo, Civico Museo Navale di Genova). Immagine ripresa da: Dal Mediterraneo all’Atlantico. La marineria ligure nei mari del mondo, Genova, 1993, p. 28. 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 5 Ad Alberto Tenenti e a tutti i giovani ricercatori italiani 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 6 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 7 Due parole di presentazione Operoso ricercatore il giovane Luca Lo Basso, studioso valente e serio. Ma non serioso, come tanti suoi coetanei anch’essi ricercanti assidui e negli archivi e nelle biblioteche, a conoscere i quali mi viene da con- statare che la seriosità sta diventando rispetto alla serietà – una malat- tia più giovanile che senile. E che non sia serioso l’attesta proprio il fatto che chiede proprio a me – scollegato, nel bene e nel male, dai pedaggi mentali e comportamentali che mi paiono affliggere e gli studi in generale e quelli storici in particolare – e non ad altri ben più quali- ficati due parole di presentazione. Lo faccio volentieri. E, allora, leggo – un po’ di corsa – il suo lavoro, giro, pilotato dalle sue pagine nel Mediterraneo di Ponente e in quello di Levante tra Cinque e Settecento; m’imbarco e sbarco; remo e veleggio; m’ingaggio e diserto; sento parlar in veneziano, in genovese, in spagnolo, in francese, in turco, in toscano; scruto monete, soppeso misure; mi spavento nella furia delle tempeste e marcisco nella bonaccia; vedo galee e galeazze; un po’ son schiavo incatenato un po’ fatico per libera (si fa per dire) scelta; e, se la vita, comunque, è dura, un po’ cerco di capire se son di me espropriato perché dello stato oppure se, reclutato, qualcosa di me a me resta. Così in prima e anche in ultima battuta. Sta a me salutare il libro, non analizzarlo. Per quel che mi concerne posso, tuttavia, assicurare che in un pros- simo numero di “Studi Veneziani”, un periodico che dirigo, il libro sarà recensito come merita. E, allora, va da sè, non da me, che – lungi dall’assumere i panni del recensore – mi limito a riscontrare la solidità dell’impianto d’un’esposizione tutta documentata, sin fontificata, epperò ariosa e limpida nel dettato, in certo qual modo zavorrata dalle fatiche dello scavo archivistico. Un pregio non da poco ché troppo spesso le ricerche faticose esitano in prose faticate, inamene, arcigne. E non manca chi sin teorizza che così va bene. A costo di non essere serio, confesso che, scorrendo il testo di Lo 7 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 8 Basso, s’è come innescata una colonna sonora che m’ha riportato indie- tro nel tempo, quand’era in voga – e lo è ancora – “sapore di sale”, e, quindi, “sapore di mare”. Così – si ricorderà – la canzone, furoreg- giante nel 1963, di Gino Paoli. Lo Basso sta a Taggia, vicino al mare. E dal mare lambita lì vicino Arma di Taggia. E poi Lo Basso lavora a Genova. Quindi il mare lo condiziona, lo suggestiona. Propulsiva, anche per gli studi, la presenza del mare. E propulsive, un tempo, prima dell’avvento delle discoteche, per amori e amoretti, per amo- rucci e amorazzi, le rotonde sul mare. Comunque, nel 1963, ero acca- sato. E non più rotonde. Al più le piattaforme dei caffè alle Zattere, affacciate sul Canale della Giudecca. E, talvolta, ci andavo con Alberto Tenenti. E si chiaccherava del più e del meno, magari più del meno che del più. Ebbene: ogniqualvolta passava una nave, anche piccola Tenenti, interrompeva il nostro discorrere, tutto attratto dall’imbarca- zione in transito. E, dopo averla soppesata ben bene con lo sguardo, è di questa che mi parlava. Ebbene: Tenenti non c’è più. Ho perso un amico carissimo. M’aggrappo alla foscoliana eredità d’affetti. E il mio colloquio ultraquarantennale con Tenenti lo proseguo. L’ultimo Tenenti, sempre generoso di sè, ha pur incoraggiato gli studi marinari di Lo Basso. Il senso del mare pervadeva Tenenti – e mi parlava spes- so di quando da ragazzo, dava una mano allo zio titolare a Viareggio, d’uno stabilimento (mi par dicesse così; si trattava d’una manciata di cabine, magari coll’aggiunta di qualche moscone, pedalò, magari non come quelli d’adesso) – e lo trasfondeva nei suoi saggi, nei suoi libri. Ed è anche pensando a questo che sento accanto a me Alberto Tenenti nel congratularmi col giovane autore. Venezia 24 novembre 2003 Gino Benzoni 8 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 9 Parte I Il problema dei galeotti 0 frontespizio 25-01-2004 11:39 Pagina 10 01 25-01-2004 11:41 Pagina 11 1. Cenni introduttivi La guerra marittima, nel Mediterraneo moderno, fu caratterizzata principalmente dall’uso di una specifica imbarcazione: la galea. Retaggio di un sapere tecnologico antico, la galea rimase per lungo tempo la principale imbarcazione bellica dei grandi Stati, ma anche di quelli più piccoli. La sua plurisecolare fortuna fu dovuta a tre motivi principali: l’adattamento alle condizioni geografiche e meteomarine del Mediterraneo, la semplicità costruttiva e il basso costo rispetto ai vascelli. Ecco perché, al contrario di quanto sostengono diversi studio- si1, la galea e i suoi derivati non rappresentarono un ritardo tecnolo- gico delle marinerie mediterranee, ma semmai un adattamento alle condizioni di questo mare. Nel secolo XVII la galea, lungi dall’essere un mostro vetusto e antiquato, era invece l’imbarcazione di punta della tecnologia mediterranea. Se di declino delle galere si vuol parla- re, bisogna aspettare il secolo XVIII, ma il loro tramonto sarà lentissi- mo e avrà termine soltanto nel periodo della Restaurazione. Il Mediterraneo, si sa, è un mare particolare. Composto di spazi stretti, di isole, insenature, promontori, secche; un mare insomma adatto a imbarcazioni particolarmente manovrabili. Se oggi il proble- ma è risolto con l’uso del motore applicato alle eliche, durante l’età moderna la possibilità di muoversi senza danni negli spazi ristretti si poteva avere soltanto con i remi. Inoltre, il Mediterraneo è un mare che alterna con frequenza forti venti e mare mosso alla bonaccia. E con la 1 In materia di galere anche uno dei più autorevoli storici militari dell’età moderna sba- glia alcune valutazioni: “Con il 1600, in gran parte d’Europa la galea cadde in disuso, perché i costi di mantenimento di una forza di vascelli a remi capaci di conseguire obiet- tivi strategici importanti si erano fatti proibitivi: la galea venne relegata al ruolo di dife- sa costiera o strumento di pirateria. Dall’inizio del XVII secolo in poi, flotte di galee con- tinuarono ad operare soltanto nel Baltico, dove la natura della costa, cosparsa di secche e isolette, rendeva difficile la navigazione a vela: i russi se ne servirono per saccheggia- re la costa svedese nel 1719-21, mentre nel 1790 gli svedesi distrussero buona parte della flotta russa a Svenskund grazie ad un impiego originale delle galee e della loro artiglie- ria pesante. Altrove esse crollarono sotto il fardello del loro stesso peso” (G. PARKER, Guerra e rivoluzione militare (1450-1789),in Storia d’Europa, vol. IV, L’età moderna. Secoli XVI-XVIII a cura di M. AYMARD, Torino, 1995, p. 448). 11 01 25-01-2004 11:41 Pagina 12 bonaccia, avendo soltanto le vele, non si naviga, talvolta anche per intere giornate. Tutto ciò spiega da sé perché le imbarcazioni mosse non solo dalle vele, ma anche dai remi resistettero così a lungo in seno alle flotte mediterranee. Nell’età moderna, inoltre, costruire una galera per un maestro d’a- scia era un’operazione relativamente semplice. Aveva bisogno del suo garbo o sesto, del legname, dei chiodi e di uno spazio lungo una ses- santina di metri e largo dieci. Impostato il cantiere, cioè lo spazio sul quale poi sarebbe stato montato lo scafo, stabilita la lunghezza, da cui si ricavava la larghezza, il puntale e la larghezza del fondo, il mastro montava la chiglia, denominata colomba a Venezia e primo a Genova, e su questa fissava le aste di prora e di poppa. A quel punto, con quella speciale sagoma appunto denominata garbo, mezzo garbo o sesto, stabi- liva la forma di tre ordinate principali: una a centro nave, una a prora- via e l’altra verso poppa. Per ricavare le altre ordinate bastava far ruo- tare il sesto sul legname prescelto, fissandone le misure. Così lo schele- tro dello scafo era pronto (a Venezia si diceva che la galea era imbosca- da)2. Dopodiché si trattava di terminare l’opera con tutti gli altri ele- menti longitudinali e trasversali e poi con il fasciame. Una volta costruito lo scafo, la galera poteva essere completata in poco tempo. Vista la relativa semplicità, la galera fu costruita in ogni angolo del Mediterraneo, dal Bosforo allo stretto di Gibilterra, dalla costa europea a quella africana e mediorientale. Certo, durante il medioevo e la prima età moderna erano nati centri marittimi importanti, dotati di grandi cantieri o addirittura di grandi arsenali, come Venezia, Costantinopoli, Genova, Marsiglia, Barcellona, Livorno, Napoli, Messina e Malta, solo per citarne alcuni.