Il Banditismo E L'amministrazione Della Giustizia in Sicilia Tra La Fine Del Medioevo E La Prima Età Moderna
Total Page:16
File Type:pdf, Size:1020Kb
Corso di Laurea magistrale in Storia dal Medioevo all'Età Contemporanea Tesi di Laurea Il banditismo e l'amministrazione della giustizia in Sicilia tra la fine del Medioevo e la prima Età Moderna. Relatore Ch. Prof. Claudio Povolo Laureando Davide Drago Matricola 834608 Anno Accademico 2011 / 2012 A Salvo, Maria Antonietta, Daniele e a tutta la mia famiglia, a Roberta, Martina e a tutti gli amici, vicini e lontani, che mi hanno sostenuto in questa “avventura”. INDICE INTRODUZIONE p. 1 CAPITOLO I: IL FENOMENO DEL BANDITISMO 1. Il bandito. Nemico dell'ordine giuridico. p. 3 2. Caratteri strutturali del banditismo nel Cinquecento. p. 6 3. Latrocinium e banditismi. p. 10 4. Specialia e negazione del processo: peculiarità dei processi contro i latrones. p. 20 4.1 Gli specialia del jus asyli. p. 23 5. Latrones infames: concetto di fama e infamia in materia di latrocinium. p. 25 6. Banditi sociali o semplici criminali?. p. 27 6.1 Banditismo sociale e struttura interna delle bande. p. 35 6.2 Chi diventa bandito?. p. 41 6.3 I “quasi banditi” o rivoluzionari. p. 44 6.4 L'economia e la politica del banditismo: la figura dell'antieroe. p. 45 CAPITOLO II: LA SICILIA E L'AMMINISTRAZIONE DELLA GIUSTIZIA 1. La Sicilia nel XIV secolo. p. 48 2. Alfonso d'Aragona e l'inizio della crisi economica. p. 50 3. La Sicilia e l'amministrazione spagnola. p. 54 4. Il baronato e la sua ripresa. p. 59 5. Il parlamento. p. 65 6. La difesa della Sicilia e la politica estera. p. 69 7. Filippo II e la riforma delle magistrature. p. 73 8. Il sistema giudiziario siciliano nel XVI secolo. p. 79 8.1 Il processo penale. p. 82 8.2 Il sistema probatorio in Sicilia. p. 86 8.3 Politiche repressive nei confronti del banditismo siciliano. p. 89 CAPITOLO III: IL BANDITISMO SICILIANO 1. Collusioni tra banditismo e baronaggio nel Cinquecento. p. 93 2. Il banditismo siciliano tra Quattrocento e Cinquecento. p. 100 3. Banditismo alle pendici dell'Etna. p. 110 4. Impunità per i banditi: lo scandalo dell'omicidio del giudice d'Advena. p. 115 5. La Sicilia in rivolta: nobili e banditi. p. 117 6. Il caso di Sciacca. p. 136 CONCLUSIONE p. 156 BIBLIOGRAFIA p. 158 INTRODUZIONE Sono stati chiamati latrones, ladroni di strada, malandrini, delinquenti, tagliagole, malfattori, assassini, grassatori, masnadieri, diffidati, scorridori di campagna, fuoriusciti, ribelli, forgiudicati, inquisiti. Tra tutte queste definizioni utilizzate tra il Quattrocento e il Cinquecento, alla fine ha la meglio il termine bandito. Il banditismo affonda le sue radici negli ordinamenti medievali che prevedono il bannum, un istituto di origine incerta che ha avuto una straordinaria rilevanza e durata nel tempo. All'origine di tutto c'è, quindi, il bando. È colpito dal bando chi ha commesso un reato. I rapporti di forza e le autorità del tempo stabiliscono cosa si debba intendere per reato e determinano le pene. Il bando elenca, oltre al reato commesso, i nomi di coloro i quali vengono banditi dalla comunità per un determinato periodo. Il bandito può essere ucciso impunemente perché egli è “posto fuori dalla legge”, qualunque ne sia il motivo. I banditi nascono e crescono non solo perché ci sono delinquenti di ogni tipo che, in particolari frangenti legati spesso a congiunture economiche negative, commettono delitti e crimini di varia natura, dal furto all'omicidio alla rapina, ma anche perché il massiccio ricorso allo strumento del bando ottiene un sicuro effetto moltiplicatore. I banditi creano allarme sociale e insicurezza, hanno la tendenza a fare gruppo e radunarsi tra di loro, a fare massa e a stare insieme per essere più forti. Non c'è un'unica matrice e non c'è una sola causa che concorre a creare il bandito, i motivi che stanno alla base dell'esplosione del banditismo sono tanti e diversi in base alla situazione e ai luoghi. Un motivo unificante c'è e consiste nella difficoltà a ottenere giustizia per vie legali. Tra i banditi oltre ad assassini, ladri o rapinatori, ci sono nobili, baroni e signorotti in lotta con il potere regio o con quello locale. Dopo aver analizzato, nel primo capitolo, gli aspetti generali del banditismo, verrà focalizzata l'attenzione sulla diffusione di tale fenomeno in Sicilia. Il periodo preso in esame è quello che va dalla metà del Quattrocento alla prima metà del Seicento. Un arco temporale molto lungo che però presenta delle sostanziali lacune nelle fonti. In seguito all'analisi del periodo storico suddetto, verrà posta l'attenzione sull'amministrazione della giustizia in Sicilia, mettendo in rilievo gli aspetti relativi alla 1 giustizia penale. Verranno analizzati le varie categorie di crimina, il sistema probatorio e il processo penale. Nell'ultimo capitolo verranno specificate le caratteristiche del banditismo siciliano. Dopo un escursus generale sulla presenza di banditi sull'isola, saranno in particolar modo prese in attenzione due zone: il palermitano e i paesi alle pendici dell'Etna, nel catanese. Sul banditismo etneo verranno presentati tre documenti conservati presso l'archivio storico della diocesi di Catania. Uno inerente il racconto di un aneddoto della storia dei fratelli banditi Germanà, gli altri due documentano la presenza di banditi nel territorio etneo. I documenti relativi alla zona palermitana sono due codici manoscritti: Le due deche dell'Historia di Sicilia di Tommaso Fazello del 1573 e il Famoso caso di Sciacca di Francesco Savasta, riscritto nel 1843. Entrambe le opere sono due cronache e sono conservate presso la Biblioteca centrale della Regione siciliana “Alberto Bombace” di Palermo; c'è anche la possibilità di trovarle scannerizzate in rete nell'ambito del progetto google-books. Il primo documento analizza le rivolte dello Squarcialupo e quella dei fratelli Imperatore, scoppiate a Palermo tra il 1516 e il 1523. Il secondo si riferisce alla lotta tra la famiglia dei de Luna e dei Perollo per il controllo politico della città di Sciacca. In tutte e tre le congiure, il particolare da porre in attenzione è la numerosa e attiva presenza di banditi e malviventi. Essi, in alcuni casi approfittano della situazione di caos per svolgere le proprie attività criminose, ma nella maggior parte delle occasioni diventano il braccio armato del baronaggio. Le autorità fanno di tutto per catturare i banditi e spesso ci riescono dopo tanti anni oppure falliscono. Mentre è aperta la caccia, i banditi sono protetti e circondati da simpatie e ammirazione. I banditi prima, i briganti poi, sono sempre stati accompagnati dal fiorire di leggende, ballate, canzoni, racconti, fiabe, da una straordinaria mitologia che arriva sino ai nostri giorni e che, con il passare del tempo, sembra acquistare nuova linfa. 2 CAPITOLO I IL FENOMENO DEL BANDITISMO. 1. Il bandito. Nemico dell'ordine giuridico. La figura del bandito storicamente si colloca all’interno di una strategia di costruzione del nemico “interno”, nella prospettiva di autoconservazione propria di ogni singola comunità. Il diverso, il ribelle, colui che non osserva regole giuridiche e convenzioni sociali viene ben presto individuato come soggetto destabilizzante da escludere e combattere. Il termine stesso affonda le sue radici nella figura del bannum di derivazione signorile, colui che veniva colpito dal bannum era costretto all’esilio, ossia era condannato a vivere isolatamente nei boschi e nelle foreste al di là delle linee di confine che delimitavano l’estensione di potere del signore bannale1. Il fenomeno profondamente radicato nel sociale dev’essere esaminato all’interno di una dimensione giuridica che è intrinsecamente legata all’intensa previsione normativa di cui i banditi e il banditismo sono stati oggetto. In questa direzione la figura del bandito, del malfattore, è inscindibilmente legata al diritto, come espressione di costruzione di regole e norme atte a sanzionare un fenomeno dilagante dapprima nelle campagne fino a poi giungere anche alle città. Per chi osserva il passato, la plurisecolare esperienza del diritto comune permette di leggere come, a partire dal XII secolo in poi, interventi legislativi, prassi giudiziarie e sistema dottrinale abbiano contemporaneamente contribuito a segnare le tracce di una politica criminale che si conforma ad esigenze di volta in volta manifestate dai diversi sistemi politici. Nel mondo giuridico si rispecchiano fatti e procedure sociali che permettono di analizzare nelle sue peculiari sfaccettature il processo di costruzione della figura del bandito2. Il sistema giuridico medievale e moderno non conosce, per sua natura, le categorie positivistiche del diritto penale attuale e per questa ragione spetta alla scienza del diritto, alla dottrina, che dalla pratica prende linfa vitale, elaborare fattispecie che permettono di inquadrare lentamente il bandito in un sistema repressivo che va via via centralizzandosi. Ai giuristi spetta il compito di orientare i ceti “dirigenti” nella formulazione di una serie di norme 1 COSTA P., ‘Figure del Nemico: strategie di disconoscimento nella cultura politico-giuridica medievale’, Rivista Internazionale di Diritto Comune 18 (2007), p. 147 ss. 2 Il diritto comune è quel fenomeno giuridico che si sviluppa a partire dal XI secolo in poi e che attraversa tutto il medioevo, accanto al diritto comune che si articola sui testi del Corpus iuris civilis e sui testi del diritto canonico, si sviluppano forme di iura propria ossia il prodotto dei singoli ordinamenti politici. Il fecondo rapporto tra norme statutarie e regie e norme di diritto comune sostanzia tutta l’età medievale, P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, 2005, p. 80 e ss. 3 statutarie o regie che lentamente si rivolgono verso una complessiva strutturazione diversa del diritto penale, a partire dal XVI secolo. Il mantenimento della pax cittadina, della pax publica, la pacifica convivenza tra i consociati lentamente accentua e inasprisce il sistema di controllo da parte di un potere che acquisisce via via le caratteristiche di un potere pubblico e che inizia a guardare al ius criminale come un efficace strumento di potere e controllo dei sudditi.