Vizzini Nella Storia E Nel Profilo Dei Suoi Uomini Illustri”, Nasce Dall’Amore Che Il Suo Autore, Pippo Garra, Ha Sempre Nutrito Per Il Suo Paese Natio
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3,332*$55$ 9,==,1,1(//$6725,$ (1(/352),/2'(,682, 820,1,,//8675, 3UHVHQWD]LRQH *LXVHSSH3DWDQq±1LQR&LUQLJOLDUR±9LWR&RUWHVH±'RPHQLFR=DPEHWWL $VVRFLD]LRQHLQVLJQLWDGHOOD%HQHPHUHQ]D&LYLFDGHO&RPXQHGL0LODQR $PEURJLQRG¶2UR A mia moglie Anna e ai miei figli Raimondo e Lodovico PREFAZIONE Sono nato a Vizzini il 1 settembre 1936, nella casa al n.21 di via Masera, dove le mie nonne assistettero agitatissime al parto, alla presenza della mammana Gianna, mentre mio padre sorvegliava contemporaneamente gli operai che scaricavano nel magazzino un vagone di legname di abete, arrivato proprio quel giorno dalla Bucovina, e mia mamma che partoriva un maschio. I nonni, felici per la nascita del secondo nipotino maschio, dicevano alle mie due sorelle che ero stato portato da Catania con il vagone di legname. In via Masera ho trascorso l’infanzia e la prima giovinezza, fino al 1962, anno in cui decisi di esercitare la professione di geometra a Milano. A distanza di cinquant’anni, tanti sono i ricordi indelebili che mi hanno fatto pensare a luoghi e a persone a me molto familiari, che vivevano e lavoravano in questa via del centro storico, lunga poche centinaia di metri, che si dirama dalla piazza Umberto Primo verso la periferia, fino alla Conceria, il caratteristico villaggio artigianale edificato all’inizio della Valle dei Mulini, che è attraversato dal torrente Masera. All’inizio degli anni cinquanta la popolazione residente in questa importante via cittadina, rappresentava quasi tutte le classi sociali, a partire dal ceto nobile, la borghesia, i commercianti, gli artigiani e i contadini. Il primo tratto di strada, fino al civico 23, era ed è tuttora costituito da edifici di buona fattura, a partire dal Palazzo Verga, che prospetta sulla piazza Umberto e sulla via Masera, segue Palazzo Cannizzaro, che fronteggia i Palazzi La Rocca, Vita e Guzzardi. Seguono poi gli edifici dei negozianti, degli artigiani – i più numerosi erano i conciapelli – e i macellai. Nei vicoletti e nei cortili adiacenti vivevano i contadini e le lavandaie, che portavano la biancheria dei clienti a lavare nell’abbeveratoio della Masera, che si trovava dopo la Conceria; stendevano sulle rocce le lenzuola e i panni per farli asciugare al sole. A partire da piazza Umberto, tutti i locali a pianoterra erano adibiti a negozi e a botteghe. Al civico n.1 vi era la farmacia Gaetano Vita; al n.3 il negozio Cannizzo, che vendeva suole e pelli per le scarpe ai numerosi calzolai e ai sellai locali; al n.5 vi era il ricovero per i quadrupedi che trasportavano le persone provenienti dai paesi limitrofi, dove venivano abbeverati e rifocillati con il fieno e la paglia di grano: era “u funnucu di donna Varduzza a virdurara”, che gestiva a fianco anche un negozio di frutta e verdura. Al n.9 vi è l’ingresso della casa dell’allora giudice La Rocca, e nel periodo post bellico, al primo piano, vi era la sede di Vizzini del Partito Separatista Siciliano. Il Palazzo La Rocca fa angolo con la via Liguria, dove vi erano le pasticcerie dei rinomati fratelli Lentini e quello di Rosario Galiffi. 5 Più in alto vi era la bottega Gandolfo per la manutenzione e la pulizia delle botti di rovere e di castagno adibite a contenere il vino novello, seguita dalla panetteria con il forno a legna di Totò Cirnigliaro, detto “manazza”. I passanti in quel breve tratto di strada, sentivano l’odore acre dello zolfo utilizzato per disinfettare le botti, alternarsi con il profumo proveniente dal forno a seguito della cottura del pane di grano duro, delle cassate di ricotta e dei dolci delle due pasticcerie. Al n.11 la bottega del sellaio Vito Inserra – “u vardunaru” – faceva angolo con la via Liguria. Era sempre aperta, anche la domenica mattina; il sellaio era intento a confezionare manualmente, aiutato dalle macchine da cucire a pedale, tutti i tipi di selle per gli animali da soma (asini, muli e cavalli), per il traino dei carretti, dei calessi e delle carrozze, e per ancorare il vomere utilizzato per arare i campi agricoli. Venivano anche confezionate bisacce e sacchi di tela per il trasporto del grano di frumento e i cereali; intrecciate le corde per il trasporto sul dorso dei muli dei covoni di paglia, alimento base per gli asini e i cavalli, utilizzati anche come lettiere nelle stalle. Dal n.13 al n.17 vi era la trattoria e bettola Corallo, “tarudda”, adibite anche alla vendita sfusa del vino. Era frequentata soprattutto dai venditori ambulanti forestieri, che a mezzogiorno mangiavano e bevevano il vino del posto, o quello più prelibato di Pachino. Al n.19 vi era il magazzino e la bottega di Angelo Romanello, “u quarararu”, che assieme ai suoi aiutanti lavorava le lastre di rame per confezionare le pentole di varie grandezze, le padelle con i manici di ferro e i pentoloni utilizzati dai pastori per bollire il latte che veniva trasformato in formaggio, e dal siero si ricavava la ricotta. Venivano confezionati anche i bracieri per riscaldare le abitazioni durante i mesi invernali, e gli scaldini, detti “cunculini”, per riscaldare le mani gonfie per i geloni. Dopo il portone d’ingresso di Palazzo Guzzardi, al n.23 vi era il negozio di Raimondo Garra, con i magazzini per il deposito dei materiali edili (cemento, calce, mattoni, tegole, tubi, travi e tavole di legno per l’orditura dei tetti); inoltre vi era il legname di pino, abete e larice, i compensati di pioppo, masonite, faesite, materiale utilizzato dalle numerose falegnamerie ed ebanisterie di Vizzini. Nel negozio vi erano gli scaffali con esposta la ferramenta utilizzata dai falegnami e dai carpentieri, e il settore colorificio, con la merce utilizzata dagli imbianchini e dai pittori che decoravano i palazzi nobiliari e le chiese di Vizzini. Era un piccolo emporio dove si vendeva anche materiale chimico utilizzato dai conciapelli, quali allume di rocca, solfato di ferro (vetriolo), solfato di rame (pietra celeste), lo zolfo in grani per le botti e quello in polvere per l’agricoltura. Inoltre si vendeva la calce viva, la soda caustica Solvay, per fare il sapone con l’olio d’oliva; il carburo di calcio per l’acetilene utilizzato per alimentare i numerosi forni e per l’illuminazione delle case prive di corrente elettrica, specialmente quelle di campagna. Si trovava anche il petrolio, l’alcool denaturato, l’olio di lino cotto e crudo, l’acquaragia e il solvente alla nitro. 6 La pece greca e la piastrella venivano utilizzate assieme all’alcool per lucidare i mobili antichi, mentre la pece nera veniva usata per sigillare e impermeabilizzare i terrazzi di copertura delle case, assieme al cartone catramato. Ai numeri 25 – 27 – 29 vi erano le case dei conciapelli Cicero e Zuccalà, mentre al n.31 vi erano le stalle Ferraro, con i cavalli e gli asini da monta; giornalmente vi era un viavai di cavalle ed asine per gli incontri programmati per l’accoppiamento necessario per la procreazione di asini, cavalli e muli, utilizzati per l’agricoltura e per il trasporto delle merci. Ai numeri 31 – 33 – 35 vi era la casa del conciapelli Capuana, e la bottega del maniscalco e fabbro che forgiava le sbarre di ferro per modellare a caldo sull’incudine i ferri per gli zoccoli dei cavalli, e gli attrezzi agricoli quali falci, accette, uncini per fasciare il grano, tridenti, zappe di tutte le fogge. Nella traversa laterale, Cortile Agrigento, vi erano le case abitate dalle lavandaie, dai contadini e dai facchini. Vi era anche il palmento per la pigiatura dell’uva da vino e delle olive da olio. Il palmento era di proprietà del cavaliere Giovanni Verga, nipote ed erede dello scrittore, comunemente detto “u signurinu Virga”. Le case successive della via Masera erano allora abitate, dai conciapelli e dai macellai Rapa, Nasca, Trincala e Giarrusso; infatti quel quartiere era comunemente denominato “ucciria”. Sul lato destro della via Masera, numeri pari, vi era la rivendita di sali e tabacchi con annessa drogheria di Capuana, detto “paciolla”. Seguiva la bottega di “futticciu” che riparava tutti i tipi di orologi dell’epoca; la bottega di frutta e verdura di donna Fulippa e la bottega di “Cicciu u firraru” che, oltre ad essere un buon maniscalco, costruiva le grate e le porte di ferro, modellava e forgiava gli attrezzi per l’agricoltura. La bottega era di fronte a quella del sellaio Inserra, e per questo in quel tratto di strada vi era sempre un assembramento di quadrupedi. Dopo il fabbro vi era lo stagnino Di Giacomo, che a caldo stagnava l’interno delle pentole e delle padelle utilizzate in cucina. Ecco la piazzetta di Santa Teresa, famosa perchè meta dei turisti che venivano a Vizzini per visitare i luoghi della Cavalleria Rusticana. La chiesetta, la trattoria della “gna Nunzia”, mamma di Turiddu Macca che vendeva il vino proveniente da Francofonte, erano quelle più visitate. In questa piazzetta avvenne la “mala Pasqua”, con la sfida a duello di compare Alfio e compare Turiddu, e più avanti nella via Volta, Verga immaginò l’abitazione della “gna Lola”, e di Santuzza, la rivale in amore. Vi era anche la casa del signor Asta, detto “u crivaru” che confezionava e vendeva i crivelli per setacciare i cereali e i recipienti utilizzati come misura agraria dei cereali. In fondo alla via Santa Teresa vi era il ristorante dei fratelli Ernesto e Giovanni Cosentino e, sul lato opposto, la panetteria e la bettola del vino dei fratelli Busacca. Nella vicina via Cavour vi era il “teatro dei pupi”, dove venivano raccontate e rappresentate le storie di Orlando e Rinaldo, e la gente si appassionava e si immedesimava nella storia di Carlo Magno e dei paladini di Francia.