Il calcio a Foggia: università e magia

Chissà quanti, da lassù festeggeranno nei giorni a venire l’agognata promozione rossonera in B. Mi piace pensare a due, in particolare: un allenatore ed un giocatore che da Foggia sono passati rapidamente, ma vi hanno lasciato una traccia profonda: Tommaso Maestrelli e . Come ha scritto Giovanni Cataleta nel suo bel libro Il distintivo dalla parte del cuore, Foggia e il Foggia fanno un baffo a Coverciano, perché sono la vera Università del calcio. Quale altra piazza calcistica di provincia ha visto avvicendarsi in panchina fior di allenatori come , Tommaso Maestrelli, , Lauro Toneatto, , , Enrico Catuzzi, , , e naturalmente Sdeneck Zeman? (Un inciso: nell’elenco non figura Giovanni Stroppa ma solo perché quando è uscito il libro, Giovannino non sedeva ancora sulla panchina rossonera, e ancora non conquistava tutti i possibili record, per cui, caro Giovanni (Cataleta) sarà il caso di pubblicare una nuova edizione del tuo libro, non trovi?) L’intuizione di Cataleta è stupefacente, perché ha avuto il gran merito di porre in evidenza un fenomeno non adeguatamente raccontato dai commentatori calcistici: nessuna piazza calcistica di provincia, come quella foggiana, ha potuto annoverare questo fior fiore di tecnici in panchina. Palato fine dei tifosi? Sguardo benigno della dea Eupalla? Fiuto dei dirigenti, adusi a far di necessità virtù e ad aguzzare l’ingegno? Fate voi…

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Maestrelli con il Seminatore d’oro conquistato con il Foggia

Ma torniamo a Maestrelli… Originario di Pisa, il buon Tommaso guidò il Foggia dal 1968 al 1971, per passare alla Lazio con cui, nel 1974, avrebbe vinto lo scudetto. Portò il Foggia in , restandovi per un solo campionato (1970-71), che però fu uno dei più belli mai disputati dai satanelli, così come il Foggia di Maestrelli è stato tra i più belli nella storia del sodalizio rossonero. L’anno precedente, in , quasi aveva vinto la , fermato all’ultima giornata del torneo dalla Roma, allo Zaccheria, che fruttò, per la particolare formula di quell’anno, il terzo posto che costituisce anche il traguardo più alto mai raggiunto dai rossoneri. Grazie alla promozione in A dei satanelli vinse, per la seconda volta, il “Seminatore d’oro”, riconoscimento che, prima di lui, era stato conquistato da Pugliese. Ma il suo calcio era molto diverso da quello predicato dal mago di Turi. Le sue squadre giocavano a tutto campo, quasi all’olandese, facendo divertire ed appassionare i pubblico. Il mio amico e maestro di giornalismo, Giovanni Spinelli, che lo conosceva bene, lo dipingeva come una persona straordinaria, soprattutto nei rapporti umani con i giocatori.

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Il Foggia di Antonio Fesce e Maestrelli eccelleva sui campi di gioco ma non navigava in acque tranquille dal punto di vista finanziario. Gli stipendi non venivano pagati puntualmente e, come mi raccontava Spinelli, a volte era proprio il mister a dover mettere mano al portafogli ed anticipare ai giocatori un po’ di quattrini, per farli stare tranquilli e giocare sereni.

Luciano Re Cecconi con la maglia rossonera

Fu proprio Maestrelli a volere al Foggia Luciano Re Cecconi. Il tecnico toscano aveva bisogno di sostanza a centrocampo e la trovò in quel ragazzo biondo che giocava come un panzer e sembrava un tedesco: prima che arrivasse a Foggia qualcuno gli aveva affiliato il soprannome di Cecconetzer per la sua somiglianza con il tedesco Günter Netzer. Ero in Curva Nord quando, il 30 novembre del 1969, esordì in rossonero. Conquistò subito i tifosi: non s’era mai visto allo Zaccheria uno che correva così. Giocavamo col Perugia e finì due a zero per noi: quel giorno sembrava che il Foggia schierasse tre calciatori biondi, invece era sempre lui, che correva per tutto il campo, davanti e dietro. Re Cecconi sarebbe diventato uno dei protagonisti anche del successivo campionato di serie

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A, bello e sfortunato. Il Foggia retrocesse, Maestrelli andò alla Lazio ma Re Cecconi restò in Puglia. La panchina fu affidata a un altro dei docenti della Università del calcio rossonera immortalati da Giovanni Cataleta: Ettore Puricelli. L’italo-uruguaiano consacrò definitivamente Luciano anche dal punto di vista tecnico, facendolo giocare come regista di centrocampo. In quel ruolo avrebbe combinato sfracelli nella Lazio, squadra in cui lo rivolle Maestrelli, a partire dalla stagione 1972-73.

Re Cecconi

Nel Foggia il biondo centrocampista ha giocato in tutto 74 partite, e segnato due reti. A Roma, con la maglia biancoceleste della Lazio sarebbe diventato uno dei protagonisti della conquista dello scudetto, che la Lazio vinse con una giornata di anticipo, battendo all’Olimpico proprio il Foggia. Il titolo tricolore procurò a Maestrelli anche il terzo Seminatore d’oro ed il meritatissimo appellativo di Maestro: a lui è oggi intitolata la statuetta che premia il miglior allenatore italiano dell’anno. La sorte non è stata benigna con Tommaso Maestrelli e con Luciano Re Cecconi. Il primo se n’è andato a soli 54 anni, stroncato dal più incurabile dei mali. Il secondo lo raggiunse in cielo soltanto due mesi dopo. Entrato con due amici in una gioielleria, venne ucciso dal proprietario che temendo si trattasse di una rapina sparò con la sua pistola, ammazzandolo

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sul colpo. Giorgio Porrà ha dedicato a Re Cecconi e al suo rapporto con Maestrelli una puntata della sua bella trasmissione che va in onda su Sky, L’uomo della domenica. Dalle intervista emerge che Maestrelli imparò proprio a Foggia a voler bene a Re Cecconi, e a fidarsi di lui.

Massimo Maestrelli

Sentite cosa ha raccontato, a proposito, Massimo Maestrelli, che visse a Foggia con il fratello gemello Maurizio (prematuramente scomparso) durante la permanenza del padre sulla panchina rossonero: “Babbo ebbe la fortuna di conoscere Luciano a Foggia dove fece un campionato strepitoso anche se poi retrocedette col Foggia e s’innamorò di questo ragazzo che oltre ad essere un grande calciatore era un ragazzo con delle qualità umane al di fuori del comune.” Quindi Massimo ha raccontato un gustoso episodio, che la dice lunga sulla fiducia che l’allenatore nutriva verso quel centrocampista che in campo correva e sudava per due: “Babbo impediva a noi ed anche alle nostre sorelle di frequentare i giocatori perché non voleva che ci fossero rapporti. L’unica persona che consentiva di avvicinarsi a noi era proprio Luciano Re Cecconi, Cecco, che una volta a settimana ci veniva a prendere a Foggia, a casa, e ci portava al cinema, ci portava a mangiare una pizza. Un rapporto spontaneo, era l’unico

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giocatore che faceva una cosa così con me e Maurizio. Tanto è vero che quando poi lo trovammo a Roma, fu una bellissima sorpresa.” Bello, vero? Insomma, a Foggia il calcio non è soltanto università. È anche magia.

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Caro Oronzo, mago dei poveri, sei sempre nei nostri cuori

Il Foggia chiude tra record e speranze

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