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Con ilpatrociniodi: Conservatorio StatalediMusica“NicolaSala”Benevento di Benevento Ente ProvincialeperilTurismo Assessorato allaCultura Comune diBenevento Assessorato allaCultura Provincia diBenevento Ministero dell’Istruzione,dell’UniversitàedellaRicerca www.conservatorionicolasala.eu Alta FormazioneArtisticaMusicaleeCoreutica Direttore: T el. 0824.21102-Fax0824.50355 C Presidente: C M M Maria GabriellaDellaSala Y V Y B ia MarioLaVipera B Achille Mottola

C C M M Y Y B B Grafica: Enzo Conte - Foto: Antonio Citrigno - Stampa: Auxiliatrix Arti Grafiche Benevento Giuseppe Petrosellini Libretto di T L ’italiana L ’italiana eatro Comunale VittorioEmmanuele-Benevento -4-5luglio2010ore 20.00 Ente ProvincialeperilTurismo diBenevento Comune diBenevento Provincia diBenevento Con ilpatrociniodi: Conservatorio StatalediMusica“NicolaSala”Benevento Alta FormazioneArtisticaMusicaleeCoreutica Ministero dell’Istruzione,dell’UniversitàedellaRicerca Revisione diLorenzoTozzi -EdizioniRicordi -AssessoratoallaCultura -AssessoratoallaCultura

C C M M Y Y B B Musica di in Londra Londra Dramma giocoso in dueatti

C C M M Y Y B B Ecco un Conservatorio all’…

Vi assicuro che è davvero una bella emozione per un presidente- giornalista, radicato nel tessuto culturale e sociale del proprio terri- torio, scoprire che un libretto de’ “L’italiana in Londra”, dramma gio- coso in due atti di Giuseppe Petrosellini, su musiche di Domenico Cimarosa, si trovi nella Bi- blioteca Provinciale “Antonio Mellusi” di Benevento. Non sarà certo un caso che il testo di un’opera, la cui rap- presentazione risale al 28 di- cembre 1779 presso il Teatro Valle di Roma, si trovi in una biblioteca di provincia. Ma c’è di più. Dopo oltre un se- colo di assoluto silenzio cala- to in Italia sull’opera di Ci- marosa, la prima ripresa mo- derna avviene al Teatro Mo- numento D’Annunzio di Pe- scara, l’8 agosto 1985. E ri- sale proprio a quell’anno la pubblicazione, per i tipi di Copertina del libretto “L’italiana in Londra” conservato presso la Biblioteca Provinciale “Anto- Edigrafital di Teramo, del li- nio Mellusi” di Benevento bretto di Petrosellini, musi- cato dal grande Cimarosa. Per me è stata una piacevole sorpresa, ma anche una “scoperta” avvenuta in corso d’opera, dopo che il Conservatorio “Nicola Sala” ed i suoi organi di programmazione ar- tistico-didattica avevano dato corso alla realizzazione del progetto li- rico con la messa in scena del lavoro cimarosiano. Ritengo che il libretto possa essere approdato a Benevento e, per giunta presso la biblioteca provinciale, senz’altro per l’attenzione che

1 l’Ente Provincia, proprio in quegli anni, riservava alle produzioni li- riche, con la tradizionale stagione al Teatro Romano. Altri tempi! Che cerchiamo, comunque, di ricordare e, nel nostro piccolo, di far rivi- vere con opzioni oculate di ricerca, studio e produzione. La ricca programmazione che vanta il Conservatorio “Nicola Sala” di Benevento è frutto sicuramente della vivacità programmatica dei docenti e della recettività degli studenti che hanno risposto con en- tusiasmo alla “chiamata alle arti”. Tuttavia è doveroso sottolineare il ruolo fortemente collaborativo del Consiglio di amministrazione, da me presieduto, che ha recepito l’intento promozionale e di valorizza- zione dell’Istituzione della programmazione e, condividendolo appie- no, ha orientato le scelte del bilancio per garantire adeguate e suffi- cienti risorse finanziarie. La politica dei tagli non ha ovviamente risparmiato il Conservatorio mettendo a rischio la sua programmazione didattica ed artistica, sola ed unica forma promozionale per non avere flessioni sulle iscrizioni che purtroppo in futuro rimarranno la principale, se non unica, fon- te di finanziamento del Conservatorio. Il Consiglio di Amministrazione ha creduto nella programmazio- ne che il Direttore ed il Consiglio Accademico hanno formulato su proposte dei docenti e ha orientato risorse finanziarie, in parte recu- perate dalle stesse tasse degli studenti, sui capitoli destinati non solo alle spese di produzione, ma anche ai contratti di collaborazione e agli assegni di studio per restituire agli studenti meritevoli non solo par- te dei loro contributi, ma soprattutto offrire loro significative oppor- tunità di formazione, di crescita e di maturazione artistico-culturale e sociale, attraverso la diretta partecipazione all’attività formativa ca- pace di produrre eventi. La forza di una Istituzione è il dialogo costante e la collaborazio- ne fitta ed intensa tra le varie componenti. La messa in scena dell’o- pera “L’italiana in Londra” rappresenta uno di questi punti di forza.

Il Presidente ACHILLE MOTTOLA

2 Una sfida possibile…

In tempi duri, per tutto quanto attiene alla cultura, un conserva- torio che affronta una produzione operistica sa che il suo gesto co- stituisce una sfida per imporsi quale entità che anima e vivacizza la vita culturale della città. Il Conservatorio di Benevento sta lavorando alacremente metten- do a disposizione della città ricche stagioni concertistiche che si sno- dano durante tutto l’anno. L’anno scorso, come quest’anno, ha posto la rappresentazione di un’opera come spartiacque fra le due stagioni concertistiche che si collocano rispettivamente l’una prima dell’in- terruzione estiva delle lezioni, l’altra alla ripresa di esse nella stagio- ne autunnale. La complessità del progetto rende necessario che il lavoro si svol- ga quasi sull’intera parte dell’anno accademico, coinvolgendo neces- sariamente le classi di canto e tutte le classi di strumento che ri- spondono all’organico orchestrale. C’è lavoro per tutti. Si comincia separatamente poi gradualmente si arriva a mettere insieme i tassel- li. Sempre si teme che quest’ultima fase deluda le aspettative e che costringa a dichiarare il fallimento. Poi la sera della prima scopri che anche ciò che disperavi di ottenere si realizza perché il lavoro dà sem- pre i suoi frutti, soprattutto se esso è animato dalla passione e dalla voglia di dimostrare agli increduli che l’esito positivo della sfida era possibile. E la sfida si vince. Sono sicura che anche questa volta il conservatorio di Benevento vincerà quella che è una delle tante sfide vinte negli ultimi tempi e solo con la forza dell’entusiasmo di do- centi preparati e motivati, di studenti determinati e vivacemente coinvolti che pungolano l’istituzione affinché dia loro gli strumenti per trasformare una crescita formativa in un prodotto artistico. L’italiana in Londra è una sfida didattica vinta perché l’orchestra è composta quasi interamente da studenti del conservatorio, da quat- tro docenti e da un solo strumentista esterno. Il cast dei cantanti è costituito da studenti interni e dal che ha appena concluso

3 gli studi del Biennio Specialistico presso il nostro conservatorio nel- l’autunno del 2009. Anche la regia e la direzione d’orchestra sono affidate a docenti che con i cantanti e con l’orchestra hanno condiviso la simulazione di un’esperienza professionale che tuttavia mai ha perso di vista l’inte- razione umana. E’ stata osservata e rispettata la gerarchia dei rapporti ma alleg- gerendola con la familiarità delle relazioni, grazie alla quale, una go- liardica complicità ha stemperando i protagonismi incanalandoli pro- ficuamente verso un fine comune. La legge di riforma dei conservatori invita questi ultimi a fina- lizzare la propria attività alla didattica, alla produzione e alla ricer- ca. Con l’opera si ottempera alle tre finalità previste dalla riforma. Con la scelta di L’italiana in Londra di D. Cimarosa si fa più eviden- te il perseguimento dell’intento della ricerca giacché non si tratta di un titolo noto bensì di un’opera che, famosa ai tempi di Cimarosa, è via via scomparsa dalla programmazione teatrale. Durante le prove sentivo le sollecitazioni dei docenti rivolte ai cantanti e agli orchestrali affinché apprezzassero la cantabilità delle melodie di Cimarosa, affinché fossero puntuali e stringati nelle se- zioni ritmiche richieste leggere e pulite. Si raccomandava la cura dei colori per consentire alla musica di seguire i più piccoli moti psico- logici dei personaggi. Abbiamo chiacchierato durante le pause dell’interiorità moderna e preromantica della protagonista Livia e dell’innamoratissimo Milord. La difficoltà di certi passaggi orchestrali ha indotto a riconoscere al compositore di scuola napoletana un ruolo di primo piano fra altri grandi protagonisti della sua epoca. In quei momenti didattica, pro- duzione e ricerca si sono mescolati ed erano inscindibili. Quanto fosse stato proficuo lo sforzo appariva evidente. In quei momenti e di fronte a tanta evidenza si trova la forza di non demordere e ci si prepara ad un’altra sfida. Alla prossima. Il Direttore MARIA GABRIELLA DELLA SALA

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ORCHESTRA DEL CONSERVATORIO STATALE DI MUSICA “NICOLA SALA” DI BENEVENTO

Violini Primi M° Marco Serino, violino di spalla M° Annamaria Bonsante Mariarosa Grande - Elisabetta Musco Laura Quarantiello - Tatiana Nurtdinova Violini Secondi Vincenzo Varallo* - Cosimo Quaranta Emanuele Procaccini - Alessandra Ruggiero Biancamaria Quarantiello Viole Edoardo Caiazza* Domenico Ventrone - Marika Paciello Adele Tammaro Violoncelli M° Gianluca Giganti* (4 luglio) M° Luca Signorini* (5 luglio) Sergio De Catris - Giovanni Sanarico - Giuseppe Ciullo Contrabbassi Valerio Mola* Vito Nicola Scagliozzi Flauti Vittorio Coviello* Erica Parente Oboi Domenico Rinaldi* Massimiliano Fuschetto Fagotti Luciano Corona* Ugo Montenigro Corno Gabriele Massaro Tromba ––––––– Alessandro Fusco * Prime parti

6 La trama

Livia, giovane originaria di Genova, si reca a Londra in cerca del suo grande amore, milord Aresping, un nobile inglese che, dopo aver- le promesso fedeltà, è tornato nella sua patria, richiamato dal padre, desideroso di ammogliarlo con una sua pari. La ragazza, sotto il no- me di Enrichetta, accompagnata da un fido servitore,alloggia in una locanda, si guadagna da vivere con l’onesto lavoro del ricamo ed è ben voluta dall’ostessa, Madama Brillante, che è al corrente della sua ve- ra identità e dello scopo che l’ha spinta ad affrontare un viaggio così lungo ed una situazione poco rassicurante. Sono ospiti della locanda anche un commerciante olandese, il si- gnor Sumers, orgoglioso del buon andamento dei suoi affari e sempre pronto a parlare della sua abilità commerciale, del suo ingegno e del- la sua capacità di uomo di valore ed un emigrato napoletano, Don Polidoro, innamorato della sua città ma costretto a starne lontano, che, loro malgrado, saranno coinvolti nella vicenda. Il destino, infatti, vuole che si fermi alla locanda milord Aresping e qui incontri Livia della quale è sempre innamorato ma non riesce a trovare né il coraggio né il modo per sottrarsi al volere del padre che lo vuole sposo di milady Lindane. Ella, però, finge di non riconoscer- lo per vendicarsi di quell’uomo che l’ha lasciata da più di due anni venendo meno alla promessa di ritornare per coronare il loro sogno d’amore. La vista della fanciulla ha risvegliato in Milord l’antica passione e già pensa come contrastare la scelta del padre mentre gli altri due ospiti tentano un approccio con la sconosciuta grazie all’intervento di Madama Brillante. Il tutto avviene attraverso una serie di qui pro quo, malintesi, bat- tibecchi e rivalità in amore. Di grande effetto comico è lo scherzo fatto a Don Polidoro al qua- le si fa credere dell’esistenza di una pietra, l’elitropia, che ha il pote- re di rendere invisibile chi la possiede.

7 Nel frattempo il padre della ragazza, venuto a conoscenza della sua fuga da Genova ha denunziato la scomparsa della figlia e Livia viene arrestata. Sarà l’intervento di Milord a districare l’intrigo con l’auto- rità che il suo grado sociale gli conferisce e la coppia di innamorati può alfine nuovamente ricongiungersi tra la gioia generale.

MARIA MICHELA ARGANESE

Introduzione de’ “L’italiana in Londra” Domenico Cimarosa “1749-1801” [MANOSCRITTO] Biblioteca del Conservatorio di Musica S. Pietro a Majella - Napoli

8 Cenni storici ed analisi delle fonti

Habent sua fata libelli; certamente la sorte non è stata benevola nei confronti del libretto “L’italiana in Londra” in quanto il testo nell’ar- co degli anni ha subito talmente tanti tagli, aggiunte, trasformazio- ni che ogni teatro l’ha rappresentato, si può dire, a suo modo: basti pensare che l’intermezzo finì con il diventare un’opera comique in tre atti a Parigi con solo sette numeri tratti dall’originale. Nella nostra indagine abbiamo riscontrato un’assenza quasi tota- le di studi relativi al libretto (una revisione è stata curata dal musi- cologo Lorenzo Tozzi che ha utilizzato la partitura autografa del Cimarosa conservata nella biblioteca di San Pietro a Majella). Ci sor- prende soprattutto l’ingiusto silenzio che anche in tempi moderni av- volge questo gradevole intermezzo: si registrano due sole rappresen- tazioni (8 agosto 1985 Teatro - Monumento “D’Annunzio” di Pescara; 14 ottobre 1986 Teatro Chiabrera di Savona). Incuriositi e pronti a sfidare l’incuria del tempo e la dimenticanza degli uomini ci siamo calati nella realtà contingente della prima rappresentazione (Teatro Valle Roma 28 dicembre 1779 - il 26 per il Manferrari) cercando mo- tivazioni o ipotesi valide a giustificare lo scarso interesse per questo lavoro nato dalla penna del librettista Giuseppe Petrosellini su musi- ca di Domenico Cimarosa. Il musicista aversano proprio in quell’an- no era stato chiamato a Roma e come ci riferisce il Florimo nella sua opera fondamentale “La scuola musicale di Napoli e i suoi conserva- tori” qui scrisse “L’italiana in Londra che incontrò moltissimo per aver- vi cantato il Crescentini che faceva la prima donna [Livia], il Buscani, buffo toscano [milord Aresping] e Gennaro Luzio, buffo napoletano, [Don Polidoro]. L’intermezzo piacque moltissimo,perché il Cimarosa aveva anche più del Piccinni ampliati, intrecciati e prolungati i fina- li degli atti”. Basti pensare che il finale del I atto copre circa 120 pa- gine della partitura autografa e quello del II atto un’ottantina. Inoltre va rilevato riguardo ai cinque interpreti che non solo la protagonista femminile, Livia, nei panni di Enrichetta, era interpretata da un so-

9 pranista, il Crescentini, allora appena diciasset- tenne, ma anche l’altro ruolo femminile,mada- ma Brillante, era soste- nuto dal cantante ro- mano Giuseppe Censi mentre la parte del mercante olandese, Sumers, fu affidata a Giuseppe Lolli. In que- gli anni, infatti, e fino alla ventata giacobina del 1798 a Roma un editto papale aveva proibito alle donne di calcare le scene. Per un trentennio l’opera fu ac- colta con successo non solo nei teatri italiani ma anche in quelli eu- Roma - Teatro Valle in un’antica foto ropei fino a raggiunge- re oltre quaranta “prime” dando notorietà e fama al suo compositore che da quel momento fu conosciuto e apprezzato per il brio e la vi- vacità del suo stile e l’eleganza nutrita di sentimento del suo lin- guaggio musicale. In effetti il Petrosellini, il cui nome non figura nel libretto della “prima” romana ma nella gazzetta toscana del 1° gennaio 1780 in ri- ferimento ad una ripresa fiorentina, aveva fornito al Cimarosa un te- sto agile e pieno di verve. Il silenzio sul nome del librettista non è inusuale nelle rappresentazioni del melodramma, sia serio che buffo, del XVIII secolo in quanto anche in quest’ultimo squarcio di secolo il teatro in musica continua ad essere sottoposto ai condizionamenti del committente, dell’impresario, dei cantanti e delle circostanze ese- cutive. Pertanto, all’interno di una prassi siffatta, non era l’origina- lità del testo ad essere apprezzata in primo luogo ma la presenza di

10 cantanti celebri, la magnificenza dello spettacolo, l’importanza del- l’evento che veniva sottolineato con la rappresentazione. Di qui la scar- sa attenzione prestata a rilevare, nella stampa del libretto, il nome del librettista al quale però andavano tutti i proventi che derivavano dal- la vendita del testo all’ingresso del teatro. Il tema trattato si articola attraverso quei canoni che costituisco- no la struttura portante del teatro comico del ’700. Il melodramma serio un po’ a causa dei suoi argomenti mitologici, un po’ per la sua intaccabile solennità, l’instancabile eroismo, la perfezione dei senti- menti, era diventato uno spettacolo così astratto, una cerimonia così imponente che tutti avvertivano il bisogno di una distrazione, di una reazione. Nacque, ai primi del secolo, il teatro comico che portava sul- la scena uomini e donne che giornalmente si incontravano nelle stra- de, che conversavano adoperando un linguaggio non certo forbito ed aulico, erano impegnati a risolvere questioni e problematiche del vi- ver quotidiano. Ben presto questo nuovo genere conquistò le platee di tutti i teatri italiani e non solo e divenne il fenomeno caratteriz- zante di un’epoca che sembrava sclerotizzata e culturalmente legata ad uno stile elevato che soffocava ormai ogni espressione spontanea e genuina. La vicenda vede una giovane donna, di origine genovese, assu- mere una falsa identità - il travestimento era uno strumento di cui si serviva spesso il librettista per creare situazioni di confusione - per cercare a Londra l’innamorato che da due anni non dava più no- tizie di sé. L’altra figura femminile è l’ostessa che con la sua astu- zia riuscirà prima a mettere in ridicolo uno degli ospiti della sua locanda, il napoletanissimo Don Polidoro, poi a farlo capitolare ai suoi piedi. Nel nostro lavoro di ricerca sul testo poetico abbiamo consul- tato il libretto originale conservato nella Biblioteca del Conservatorio di Musica San Pietro a Majella di Napoli relativo alla rappresenta- zione napoletana del 1794 avvenuta al Teatro Nuovo (segn. rari 10.10/9). In esso abbiamo rilevato l’inserimento di un altro perso- naggio, Gelinda, presentata come la fida cameriera che accompa- gnava Livia nel suo viaggio. Nella “prima” romana scena V atto I, Livia accenna semplicemente ad un compagno di viaggio: “Vengo

11 in Londra da Genova mia patria con un vecchio mio servo” lo stes- so verso nell’edizione napoletana recita: “Vengo in Londra dalla mia patria ed una cameriera” che sostiene in alcune scene, pronunzian- do le medesime battute, il ruolo interpretato da Madama Brillante nell’edizione romana (Atto I scene III, IV, VIII, XII; Atto II scene IV, VII). Inoltre, la scena IV del II atto che presenta un testo com- pletamente diverso dal libretto romano, anche la suddivisione in scene a volte non corrisponde, è incentrata su un dialogo tra Don Polidoro e Gelinda. Il napoletanissimo ospite sempre molto sensi- bile al fascino femminile chiede alla giovane dove ella si recasse di gran fretta e questa risponde con estrema sincerità: “Vò a divertir- mi co’ miei innamorati… oggi così si spassa ogni donzella….cam- biamo in men di un’ora chi un anno e più ci amò… La femina è briccona. Vi burla al più che può”. Nella donna, infatti, il teatro comico del ’700 rappresentava me- taforicamente l’intraprendenza della nuova società borghese; di qui il ringiovanimento della figura femminile che sostituisce la vecchia la- sciva pronta ad insidiare il giovinetto inesperto e l’invecchiamento dell’uomo, simbolo della nobiltà decadente, che diventa quasi lo zim- bello di queste giovinette spregiudicate e maliziose. Nella nostra vicenda è Don Polidoro, interpretato sia a Roma che a Napoli dal buffo napoletano Gennaro Luzio, il vecchio sem- plicione a cui far credere le cose più strambe come, per esempio, il grande potere che ha una pietra, l’elitropia, di facile reperimento perché il giardino della locanda ne è pieno, di rendere invisibile chi la possiede. Il nostro caro partenopeo, emigrato a Londra, che sof- fre di nostalgia e ricorda in ogni espressione come la sua Napoli è bella e cara, è vittima inconsapevole di questo scherzo che la fur- betta Madama Brillante gli ha organizzato: si crede invisibile, pen- sa di aver vicino la bella ospite della locanda, Livia, anche se il po- tere della pietra che ella per prima possiede per potersi celare a pia- cimento, la rende invisibile. Don Polidoro non solo è ridicolizzato da Madama Brillante ma viene poco o nulla considerato come per- sona degna di stima anche dagli altri ospiti della locanda: Milord Aresping, il nobile di cui Livia è innamorata, e un mercante Olandese, il Signor Sumers. E’ interessante notare che l’esibizione

12 napoletana rispolvera il vernacolo e mette in bocca al personaggio espressioni che danno, potremmo dire, quel colore tipicamente lo- cale al testo. L’intermezzo che nel frontespizio è evidenziato come “commedia per musica”, veniva rappresentato davanti al pubblico partenopeo ed era quasi naturale tradurre in dialetto battute pro- nunziate in momenti di evidente alterazione. Atto I scena I: “chist mme fa’ schiattà na vena in pietto” “Oh cattera l’Angrese ammola fuorfece” Atto I scena VII: “Mo chisto guasta tutti i fatti miei” Atto II scena X: “’E fatt’ ascì lo spireto e parla in tua malor” L’olandese Sumers presentato all’inizio dell’opera intento a leg- gere la gazzetta è sempre attento ai movimenti dei mercati e pron- to a sbandierare la sua onestà e abilità nel campo del commercio, doti ritenute superiori ad ogni nobiltà di nascita. Significativa è l’aria nella scena VII del I atto in cui egli rispondendo all’arrogan- te Milord Aresping afferma con orgoglio: “se siete nobile io son onesto…vi rispetto, so chi siete ma il mio cor non cambierei con la vostra nobiltà”. Si ha, così, la rappresentazione completa di tre tipologie di uomi- ni caratterizzati non solo sotto il profilo psicologico ma anche nel lo- ro stato sociale: il borghese d’Olanda, fiero della propria ricchezza, il nobile inglese ipocondriaco, il napoletano gaudente. L’opera comica, infatti, non inscenava i diversi comportamenti dei differenti strati so- ciali soltanto per offrire un vasto panorama della società ma essa er- geva a temi centralissimi i problemi dell’ascesa sociale, della condot- ta indegna ed ottusa della nobiltà, della confusione o scambio d’i- dentità fra i personaggi di opposta estrazione, dell’impostura sociale per dar concretezza ai fermenti culturali dell’età prerivoluzionaria. Il Cimarosa, con la sua musica, non solo sottolinea in modo splendido la caratterizzazione dei personaggi ma favorirà anche lo sviluppo del- l’azione attraverso il passaggio spontaneo dalla conversazione all’ad- dobbo musicale dell’aria senza soluzione di continuità. La piéce tea- trale è ricca di duetti, terzetti e soprattutto sono i finali degli atti ad essere arcistrepitosi: il suo canto libero, estroso, moderno che sa di

13 canzoni e danze meridionali si tramuta in linguaggio e in stile com- piutamente italiano. Ma dopo il primo decennio dell’Ottocento l’oblio calò sull’opera probabilmente a causa del prorompere, soprattutto nel genere comi- co, di quella sbrigliata e travolgente inventiva rossiniana che finì con lo spazzar via la comicità bonaria ed arguta di Cimarosa. Lo stesso Stendhal, che era talmente innamorato dell’arte del Maestro aversa- no da affermare che i suoi canti erano “i più belli che l’animo uma- no abbia mai potuto concepire”, di fronte al genio di Rossini, la cui musica cominciava a permeare il suo spirito, disse che il “beau idéal” in musica cambia ogni trent’anni. Inoltre, il grande successo del “Matrimonio segreto” composto nel 1792, che per molto tempo fu considerato l’archetipo stesso dell’ di tipo elevato, mise in ombra l’intera produzione precedente. Così fu dimenticato inevitabilmente anche il nostro gradevole e brio- so intermezzo che aveva riscosso tanti favori e successi. Per sottolineare l’importanza della riproposta teatrale dell’“Italiana in Londra” da parte del nostro Conservatorio vorrei citare una frase di Andrea Della Corte: “Il tempo corregge gli errori della moda sma- niosa, se il tempo stesso è dominato dalla cultura e da uomini me- mori della loro storia”. MARIA MICHELA ARGANESE

14 Immagine da “Album cimarosiano”, 1901, con l’indicazione: Cembalo di Domenico Cimarosa, sul quale sono aperti due spartiti autografi del Maestro (Da fotografia del signor Carlo Crocco Egineta)

La storia di questo Cembalo fu illustrata con la seguente iscrizione dal Florimo: Questo piccolo Piano=Forte fu tanto caro al gran CIMAROSA che in Russia cercò, con uno stratagemma, averlo in dono dalla ZARINA CA- TERINA II, e in Napoli, attaccatosi il fuoco alla sua casa, si mostrò sol- lecito di salvarlo dalle fiamme prima che sè medesimo: Partendo per Venezia, il volle affidato, come sacra cosa, in un Santuario alla vergine claustrale sua figlia, e da questa, quando più non era il chiaro Maestro, lo acquistò la signora Giuseppa Bersebè per sua figlia Carolina Pigonati di Andrea maritata in Calabria in Domenico Cefalì di Cortale: Il figlio Andrea, dopo la morte dei genitori, si onorò farne un presente al Real Collegio di Musica di S. Pietro a Majella per mezzo del suo bibliotecario Comm. Florimo, cedendo alle sue amichevoli istanze. Oh! valga questa preziosa reliquia, a cui tante memorie si legano, ad eccitare la sacra scintilla della divina arte della Musica nei giovani petti di questi alunni! (Da “Album Cimarosiano”, 1901)

15 DOMENICO CIMAROSA, una “gloria” della scuola musicale na- poletana, nacque ad Aversa in provincia di Caserta il 17 dicembre 1749. Il padre era un muratore, che morì a causa di una caduta durante la costruzione del Palazzo di Capodimonte a Napoli, e la madre una la- vandaia. Nonostante le difficoltà della sua famiglia dimostrò un precoce talento musicale e già a dodici anni fu am- messo a frequentare il Conser- vatorio della Madonna di Loreto a Napoli componendo mottet- ti e messe. In pochi anni divenne un abi- le violinista, clavicembalista e organista, si dilettava di can- to e interpretava magistral- mente pezzi d’opera per i compagni di studi. Nel car- nevale del 1772 Domenico Cimarosa debuttò come operi- sta con la commedia per musica “Le stravaganze del conte”, al Teatro dei Fiorentini e seguita dalla farsa “Le magie di Merlina e Zoroastro”. Le sue opere divennero presto popolari a Roma, dove i suoi intermezzi comici furono rappresentati soprattutto al Teatro Valle e gli anni seguenti furono ricchi di nuovi lavori, come “La fin- ta parigina” “I Sdegni” e “La Frascatana nobile” o “La finta Frascatana”, “I matrimoni in ballo”, ormai perduta. Raccolse notevole successo con intermezzo giocoso “I tre amanti”, “Il fanatico per gli antichi roma- ni” e “l’Armida immaginaria”. Tra il 1778 ed il 1781 furono messe in scena ben diciotto opere

16 di Cimarosa tra le quali “L’italiana in Londra” oggetto di molti ap- plausi e fu la prima opera di Cimarosa ad essere eseguita a Milano al Teatro alla Scala e poi a Dresda, dove, nei primi anni ottanta furono presentate ben quattro sue opere tradotte in tedesco.. Organista aggiunto della Cappella Reale Napoletana, posizione che mantenne fino al 28 marzo 1785, quando venne elevato a secon- do organista. Nell’autunno del 1781 rappresentò, nel Teatro San Samuele di Venezia, “” ed ebbe un grande successo. Nel 1787, su invito della zarina Caterina di Russia, si recò a Pietroburgo, assumendo l’incarico di musicista di corte. Alla fine del 1791 tornò dalla Russia e fece rappresentare a Vienna, nel Burgtheater, “Il matrimonio segreto”, su libretto di . Essendosi compromesso con la Repubblica partenopea nel 1799, dovette scontare quattro mesi di carcere sotto i Borbone e, quando venne liberato, se ne andò da Napoli e visse gli ultimi anni a Venezia dove morì l’11 gennaio del 1801.

17 L’italiana in Londra

Testo di Giuseppe Petrosellini

Musica di Domenico Cimarosa

ATTO PRIMO A TRE (per proprio conto) Pensa ognun come gli pare: ha il suo SCENA I - N. 2 genio singolare ogni clima, ogni Prima Introduzione città. MA, SU, PO, MI Piazza con varie botteghe fra le quali una Entra MILORD. Sumers e Polidoro si bottega di caffè. Unite alla medesima vi è alzano cavandosi il cappello. la locanda con portone praticabile. Archi magnifici per i quali si vede il Tamigi con MILORD (sedendo) bastimenti e marineria in distanza. Si ve- Ah che dovunque io vado ho meco il drà Sumers da una parte leggendo la mio tormento. Il tè?... Mancar mi Gazzetta, dall’altra Polidoro bevendo il sento, né trovo, oh Dio, pietà. thè, Madama Brillante dando ordini in bottega. Poi Milord Arespingh. POLIDORO (piano a Sumers, accen- nando a Milord) SUMERS (leggendo la Gazzetta) Monsù, che faccia mesta! Sempre guerra in questi fogli! Non si parla che di guerra! Al commercio SUMERS in mare o in terra, al commercio io E’ faccia seria: è inglese. vo’ pensar (restituisce la Gazzetta) POLIDORO POLIDORO (bevendo il tè) Che diavol di paese! Qui non si ride Sempre caldo qui si beve, rinfrescar- mai. mi non poss’io. Dove sei, Sebeto mio? Voglio a Napoli tornar! (dà con di- SUMERS sprezzo la tazza) E voi ridete assai con somma inci- viltà. MADAMA BRILLANTE (a Sumers) Questi fogli non vi piacciono? (a POLIDORO Polidoro) Questo tè non è il miglio- Non serve: io vo’ discorrerci. Vo’ an- re? Mi rincresce, mio signore, mi di- darmene più in là. (Si avvicina a spiace in verità. Milord)

18 MILORD (con disprezzo) me alla locanda e mi parlate sempre Chi siete? Che bramate? di giudizio: questa è insolenza, è sec- catura, è vizio! POLIDORO (temendo e scostandosi) Oh! Niente, perdonate MILORD (Voler ch’io sposi a forza quell’o- MADAMA BRILLANTE (a Milord) diosa Milady e che mi scordi della Prenda. mia Livietta? Ah troppo barbaro ge- nitore!) MILORD Non voglio tè. POLIDORO Ma il giudizio a parte: io voglio sta- MADAMA BRILLANTE re allegro, far dei salti, voglio dir Ma l’ha richiesto. qualche motto, qualche sale, qualche freddura… MILORD E’ vero. (Dandole del denaro) Tenete. SUMERS No, fareste male. POLIDORO (Quanto è fiero!) POLIDORO (È male stare allegro? Con que- MADAMA BRILLANTE st’Inglesi io schiatto) Una ghinea? Perché? MILORD MILORD (E se persiste il padre nell’impe- L’incomodo che ho dato. gno?) POLIDORO (piano a Madama) POLIDORO (guardando attentamente Che uomo indiavolato! Milord) (Fuma il monte Vesuvio: ci son guai) MADAMA BRILLANTE Mesto davvero egli è. SUMERS (Piano a Polidoro) Avete visto mai Mademoiselle Enri- MADAMA, SUMERS, POLIDORO chetta? (sottovoce) Pensa, sospira e tace; quel cor non vi- POLIDORO ve in pace. Si lasci in libertà. Il ciel volesse! N’ho una curiosità… Corpo di Bacco… (con trasporto) Dicon MILORD ch’è tanto bella… Penso al mio caro bene in mezzo al- le sue pene. Di me che mai dirà. SUMERS È virtuosa: va stimata…giudizio! SUMERS (Cava l’orologio) Ho degli affari… Ci Un poco di giudizio, signor Polidoro! rivedremo. POLIDORO POLIDORO (Con collera) Son tre giorni che noi stiamo insie- Buon viaggio!

19 SUMERS (A Milord cavandosi il cap- MILORD (lasciandolo) pello) Che pazzo! Servo. (Parte) POLIDORO MILORD Grazie alla sua bontà. Vi riverisco. MILORD (smania) POLIDORO Genova cara… E sempre col giudizio… Questa è so- vercherìa: m’ammazzerò, (avvicinan- POLIDORO dosi nel trasporto dell’ira a Milord sen- Napoli saporita… za avvedersene), mi getterò dentro il Tamigi. MILORD (smaniando torna a sedere ap- poggiato a un tavolino) … Dove lasciai MILORD il mio ben, l’idolo amato. Andremo insieme, se volete. POLIDORO POLIDORO Dove si vende tutto a buon mercato. Insieme? Dove? POLIDORO MILORD Caspita! Bel paese! Qui non si deve A gittarci dal ponte dentro il Tamigi. ridere, qui non si parla mai, qui tut- to è caro; qui dicon ch’io son pazzo POLIDORO e di più v’è il costume di cercar gen- (Io burlo e questo fa davvero.) Signor te per buttarsi a fiume. (Parte) mio, ripensateci meglio. MILORD Ma ascoltate che disgrazia è la mia! SCENA II - N. 3 Siete italiano? Cavatina Livia POLIDORO Livia dal portone della locanda annessa Partenopeo. al caffè con alcuni ricami in mano. Milord ora si pone a leggere alcuni fogli, MILORD or agitato entra in bottega e finalmente Mi fido. Torno appena da Genova s’avanza e comincia a guardare con at- qui in Londra, richiamato dal pa- tenzione Livia. dre, che il crudele mi spedisce al- l’istante alla Giamaica, nel Nuovo LIVIA Mondo. E non potei, come avevo Straniera abbandonata, / pavento ad promesso alla mia diva, in Genova ogni passo e miro in ogni sasso / scol- tornar. E adesso vuole il genitor ti- pito il traditor. Per ricercare un em- ranno che Milady Lindane in que- pio / la Patria, oh Dio!, lasciai. Ah non sti giorni io sposi. t’avessi mai, / mai conosciuto amor. POLIDORO MILORD Non vi piace? La sposo io… (Cieli!... Che volto!... Che beltà!)

20 LIVIA MADAMA (Ridotta a vivere col lavoro delle mie (Ma vedete che fortuna ho trovato in mani, con rossor, con tema, dal vicin un istante) Signor, se siete amante, mercadante vado io stessa a riscuo- sposatemi! terne il prezzo… Ma… Che vedo!... Non è quegli Milord? Ora v’inten- MILORD do, palpiti del cor mio.) Che dite! Oibò! Volevo che mi rendeste conto di quella forestie- MILORD (Accostandosi un poco) ra. (Ahi! Quanto a Livia s’assomiglia, oh Dio!) MADAMA (Son finite le nozze: buona sera!) LIVIA (È dunque ritornato dalla Giamaica. [Sen- MILORD za guardarlo] Indegno! Dunque sei qui!) Ditemi, è Genovese? MILORD MADAMA (Con aria) (Possibile che tanto s’assomigli?) Signor no: è di Marsiglia. LIVIA MILORD (Sarà meglio ch’io parta: vo’ che pro- E ha nome? vi egli ancora l’istessa pena che pro- vai finora) Parte con disprezzo. MADAMA (Con aria) Mademoiselle Enrichetta. SCENA III MILORD Milord, poi Madama (Come diavolo assomigliarsi tan- che esce dalla bottega to! Io m’impazzisco. Non dev’es- sere… Non è…) Cara, tenete. MILORD Godetevi per me queste monete O io son pazzo o quella è Livia… In (Parte) Londra… In quell’abito… (A Madama con trasporto) Ah cara, adorata Madama! SCENA IV Madama, Sumers, MADAMA poi Polidoro A me? SUMERS (con serietà) MILORD Madama, una grazia desidero. Voi sola, sì, voi sola potete render la pace a questo cor. POLIDORO Madama, se voi non m’aiutate… MADAMA Signore, se diceste davvero… MADAMA Purch’io possa… spiegatevi, parla- MILORD te. (Uno di questi due m’amasse, Sì, lo giuro, parlo con tutto il senno. almen.)

21 SUMERS (Tirandola a parte) LIVIA Sentite. Ho della stima grande per Cara amica, ho gran nuove da darti: una donna. ho visto con quest’occhi quel crude- le di Milord Arespingh. MADAMA Non è amore? MADAMA (con gran sorpresa) Lui proprio? SUMERS È stima, ma tacete. LIVIA Lui. POLIDORO (Tirandola a parte) Ascoltate. Amo furiosamente una MADAMA donna… ma zitta! Indegno! È ritornato dall’America, dunque. MADAMA (Non c’è male. Se uno mi stimasse, LIVIA m’amasse l’altro...) Son due anni che il crudel mi la- sciò… SUMERS (A Madama) Andiamo: ho piacer di vederla. MADAMA Sì, mel diceste, richiamato dal pa- POLIDORO dre. Conducetemi a mirar quel bel sole. LIVIA MADAMA Vengo in Londra da Genova mia pa- Piano un poco! Di chi intendete voi? tria Lei di chi parla? …E trovo, oh Dio! Che l’indegno è partito per la POLIDORO Giamaica… Io parlo d’Enrichetta, di quella fore- stiera. MADAMA Ed ora è tornato e sta qui? L’uccido SUMERS certo se non vi sposa… D’Enrichetta io favello. LIVIA (umilmente) MADAMA Ti devo qualche somma, ma un gior- (Son rimasta di nuovo in sul più bel- no… lo) Signori, non temete; lasciate far. (Per Bacco! Ora mi vendico del loro MADAMA ardir) Dirò… Ecco la casa, la locanda, me stessa… Dirò dunque, giacchè così volete, (a Voi siete la padrona… Polidoro) che un pazzo voi, (a Sumers) Uomini indegni, uomini senza fe- che un seccator voi siete. (Li caccia) de. Entra LIVIA, MADAMA le si rivol- Ah che purtroppo fui burlata ancor ge con riso io: un giovinetto biondo, vezzoso, Ah Signorina, ridete: tutti cercano, bello, bello come l’amore, lo scoper- tutti bravano vedervi… si alla fine un traditore.

22 N. 5 LIVIA (con modestia) Aria Le ragazze debbon star ritirate. Madama Brillante SUMERS Ma non con tutti: io sono onesto. MADAMA Modesto mi guardava, il caro mio LIVIA biondino. È vero: ciascun vi loda. Ah, furbo sopraffino! Forse, chissà, pensava ad ingannarmi allor. SUMERS (sedendosi) “M’amate?” – Io gli dicea. Dunque non fuggite e sedete. Io leg- “Ah cara, io penso, io moro.” go intanto, voi lavorate (cava un libro “Chi è la vostra dea?” e si mette a leggere). Che mal c’è? “Voi siete, o mio tesoro!” “Quando mi sposerete?” LIVIA (si pone a sedere e cava il lavoro) “Doman, se pur volete, e questa se- Ubbidisco, giacchè così volete. ra ancor.” Le nozze erano pronte, / conviti, fe- SUMERS (Le dà una guardata e seguita ste e balli, gli amici, il parentado… a leggere) Ma il mio biondino amato bel bel se Mi par più bella di quel che crede- ne fuggì. vo. Modesto mi guardava. “Mia cara,” mi dicea, “voi siete il mio LIVIA tesoro.” (M’assicura l’onestà sua) Ma il mio biondino amato bel bel se ne fuggì. Ah donne miserabili / a questi aman- SCENA VII ti perfidi non dite mai di sì. Milord e detti Lunatici, bisbetici, volubili, freneti- ci, sì sì ci fate piangere voi sol la not- MILORD te e il dì. Vi dicono “mia cara”, vi di- Riverisco. con “mio tesoro”, ah, furbi sopraffi- ni! Sì sì ci fate piangere voi sol la not- SUMERS te e il dì. (parte) (A Milord) Accomodatevi. LIVIA (A Sumers) SCENA VI Signor, con sua licenza… (alzandosi Livia e Monsieur Sumers per andarsene) LIVIA SUMERS Ah quanto son tenuta all’amor di co- Seguitate a lavorar. Che fretta! stei… ma se non erro vien l’Olan- dese… Presto, ritiriamoci (Vuol en- MILORD trare nella sua camera) (Se questa non è Livia e qual sarà?) SUMERS LIVIA (Si siede di nuovo) Come? Io vengo e voi partite? (Non v’è mostro peggior di crudeltà!)

23 MILORD N. 6 Mademoiselle, potrei saper chi sie- Aria te? Sumers LIVIA (Senza mai alzare gli occhi) SUMERS I fatti miei non dico a un forestier Venti volte in vita mia / fin nell’Indie che non conosco. sono stato. Dalla Cina in Barbaria / son venuto, MILORD son tornato e ogni ceto di persone / Eppure io credo di conoscervi. mi trattò con civiltà. (Piano a Livia) A fuggire io vi con- LIVIA siglio se vi parla mai d’amore… È superfluo dunque che il doman- (Ah la vedo in gran periglio, sento diate. oh Dio per lei pietà.) Mio signor, non v’offendete; son sin- SUMERS ceri i detti miei; vi rispetto, so chi (Gran risposta! Gran donna!) siete ma il mio cor non cambierei col- la vostra nobiltà. MILORD Venti volte in vita mia / fin nell’Indie E credo ancora sapere il vostro no- sono stato. me. (A fuggire io vi consiglio se vi parla mai d’amore…) e ogni ceto di per- SUMERS (Ridendo) sone mi trattò con civiltà. [etc etc] (Oh, me ne rido: non lo sa, non sa il mio cor non cambierei colla vostra niente.) nobiltà. (Parte) MILORD Signor, perché ridete? SCENA VIII Milord - Livia - indi Madama SUMERS Io rido, piango, faccio quel che mi LIVIA (Vedendo arrivare Madama) par. (Piano) Cara amica, costui è Milord Arespingh. Per ora taci, non mi sco- MILORD prir. Ma sapete chi sono? MADAMA SUMERS Si trova in brutto stato questo signor: Siete un uomo. partiamo, Mademoiselle Enrichetta. MILORD MILORD Son Milord Arespingh! Ma possibile? Dunque Livia non siete? SUMERS LIVIA Una gran cosa. Non conosco, non so chi sia costei. Se siete nobile, io sono onesto… ho crediti, ho contanti e son noto nel MILORD mondo ai negozianti. Sì, siete Livia: me lo dicon quegli oc-

24 chi, quel bel labbro adorato… dimento; ma sen viene Polidoro, l’u- Deh, permettete, oh Dio! Ch’io strin- nico che mi diverte un poco: con co- ga questa man, bell’idol mio. stui per bizzarria, per chiasso, pren- (Va per prenderle la destra, ma Livia lo der mi voglio un tantinel di spasso. discaccia e attacca subito l’aria seguente:) POLIDORO N. 7 Dunque non è possibile veder la fo- Aria restiera? Livia MADAMA LIVIA Non si può. Piano un poco, che insolenza! Che maniera di trattare! POLIDORO Un tantino di decenza, un tantin di La sua camera è questa. civiltà! (Piano a Madama) (Par che smani l’in- MADAMA felice. Vorrei dirgli, oh Dio, chi so- Ma non ci si entra. no, ma non merita perdono la sua ne- ra infedeltà. POLIDORO Faccia pur queste finezze alla sua tra- È dunque una donna proibita? dita amante. È infedele ed incostante, pur mi de- MADAMA sta in sen pietà. A voi, che stimo tanto, paleserò un Ma la pena, oh Dio!, l’affanno sem- segreto… Ma tacete, di grazia. pre più crescendo va.) (Parte) POLIDORO Ah sì, Madama, parlate, svaporate, SCENA IX palesatemi questo segreto. Milord - Madama MADAMA MILORD Io credo che v’adori Mademoiselle Ah, ditemi, Madama: è Livia? Il mio Enrichetta: spesso so che vi viene in- tesor? Non lo negate. torno. MADAMA POLIDORO Livia? Voi v’ingannate. Intorno a me? Son cieco forse? MILORD MADAMA Io smanio, io fremo e son quasi ri- Ha l’arte di non farsi vedere e di spa- dotto al passo estremo. (Parte) rire ogni volta che vuol. POLIDORO SCENA X Caspita! Ho inteso: è dunque strega Madama - Polidoro il mio tesor? MADAMA MADAMA T’ha da costar ben caro l’indegno tra- Oibò! V’è la pietra elitropia che in-

25 visibile rende ogni persona che la tie- N. 8 ne ben chiusa e stretta in mano. Aria Polidoro POLIDORO Oh pietra più gentil del peperino! Sì, POLIDORO sì ti cercherò. Dammi la mano, oh bella, che so- spirar mi fa. MADAMA (Finge di tossire e fa cenno (Figurandosi di tener Livia per mano) a Polidoro) Che mano tenerella! Eh-ehm… Che bella mano, oh Dio! Io manco, io moro già. POLIDORO (A Madama, che accenna dall’altra par- Cos’è? te) Madama, l’idol mio... sta qui... oppur di là? MADAMA Bellissima invisibile, almeno sospi- Mademoiselle sta qui. rate, tossite, chiacchierate, dite una parolina, carina, per pietà! POLIDORO (A Madama, che accenna ora da una Invisibile? parte, ora dall’altra) Madama... E ades- so dove sta? MADAMA Dammi la mano, oh bella, che so- Certo: io n’ho gran pratica. Or vi ba- spirar mi fa. [etc.] cia la mano. Mio sole sta qui? Mia luna, sta lì? Mia stella, più là? Mio core, più POLIDORO qui? A me? (Figurandosi di parlare con Mi gira la testa, son tutto sudore. Livia) Carina, non permetterò mai… Che pena è mai questa! Che gran cru- (A Madama) Dite: la bella sta di qui deltà! (Parte) o di qua? MADAMA SCENA XI Sulla sinistra. Madama, Sumers, Milord POLIDORO (A Livia) SUMERS (le presenta una borsa) Anima mia… Tenete. MADAMA MADAMA Ora è passata a destra. Che cos’è? POLIDORO SUMERS Anima mia, deh lascia che sulla bian- Oro, danari. ca mano anch’io ti dia indegnamente quattro baci, come facesti tu finora. MADAMA A me? MADAMA (Più caro pazzo io non ho visto an- SUMERS cora) Dateli a Mademoiselle.

26 MADAMA Sire, io vengo ai vostri piedi per spo- Scusatemi: mademoiselle Enrichetta sar Livietta mia. non ha bisogno. Ah, sarebbe tirannia a rapirmi il ca- ro ben. (Vedendo Sumers che sorride) SUMERS Voi ridete? Che ingiustizia! Dunque me la riprendo (la ripone in Mi si svelle il cor dal sen. tasca) (Voltandosi verso Madama) Caro padre, almeno voi... MILORD La mia Livia m’accordate. Tieni: son ghinee, te le dono. Ma cos’è? Mi discacciate? Ahi che barbaro martir! MADAMA (Ricusando il denaro) (A Sumers) Sire, io vengo ai vostri pie- Ma di grazia, Milord, per qual mo- di [etc] tivo? Cospetto, cospettone! Sì la mia Livia io voglio! MILORD O tornerò in America, mi getterò da Perché tu parli all’ospite, alla mia uno scoglio, assorderò coi gridi le Livia. spiagge, i monti, i lidi, e il padre, il Re tiranno dovranno inorridir! (Parte) SUMERS (Leggendo la Gazzetta) Zitti, ascoltate: “In Londra il giorno sedici del corrente saranno sottoscritti SCENA ULTIMA - N. 10 i capitoli di nozze fra Milord Finale I Arespingh e Milady Lindane”... Polidoro, poi Livia, indi tutti a suo tempo MILORD No, vi giuro che non v’è il mio con- Giardino con sedili rustici; vari alberi senso, che no’l farò... (Smanioso) sparsi ed isolati. Sentite... Andrò dal genitore, parlerò al Re, mi getterò ai suoi piedi... POLIDORO L’elitropia io vo’ cercando, ch’è una SUMERS pietra bruna bruna; se la trovo, oh Poi non farete niente. che fortuna! Quante burle ch’io farò. MILORD (Affannato) Ma Milord non è quello? Come! Mi meraviglio! Il Sovran mi Polidoro, sta’ in cervello! conosce... Gli narrerò il mio amor, Con un matto, a solo a solo, io dav- gli stani eventi. Saprò con lui spie- vero non ci sto. (Procura di nasconder- garmi in questi accenti: [segue aria] si tra gli alberi facendo capolino) MILORD N. 9 Avvilito, disperato, ah che invano io Aria mi consolo. Milord Son ridotto in uno stato che far tut- to, oh Dio, vorrei e che farmi oh Dio MILORD (verso Sumers come se parlas- non so. (Passeggiando con atti di dispe- se al Re) razione)

27 POLIDORO POLIDORO (torna con la spada in mano) (Sì l’ho detto: è matto, è matto; per È fuggito come il vento. prudenza io me ne vò.) LIVIA MILORD Cosa tenti? Cosa vuoi? Tu ministro Cosa fai? Dove t’inoltri? Vieni qua!... sei di morte? Vieni, vieni, o bella sor- La spada è questa! Una botta lesta le- te! Mi ferisci, per pietà. sta dammi in petto, io vo’ morir. (Gli presenta la spada sfoderata) POLIDORO (Ecco l’altra!) POLIDORO (Tremando) Come? LIVIA Vibra il colpo... MILORD Sbrigati! (Gli dà a forza la spada) Che POLIDORO affanno! Tu mi devi il cor ferir. Ma signora... POLIDORO LIVIA Ma, signor... M’appiccheranno. Vibra il colpo, in tua malora! MILORD POLIDORO Non m’importa. Che son forse diventato l’uccisor del- la città? POLIDORO Importa a me. LIVIA Ah... Non reggo... Crudo fato! MILORD Io mancar mi sento già. (Si pone a se- Non m’importa. Per finezza, amico dere mezza svenuta) mio... POLIDORO POLIDORO Gente, aiuto! Per finezza...? MADAMA MILORD (vedendo venir Livia) Cos’è? Signorina... (A Polidoro, mi- Livia, oh Dio! Non ho core di ve- nacciandolo) Traditore... Colla spada. derla, sarà meglio ch’io men vada, che rivolga altrove il piè. (Parte) POLIDORO Niente affatto, niente affatto... POLIDORO (correndogli appresso) È venuto un certo matto... Ehi, signore, la sua spada! Non la voglio, tenga qui; MADAMA Via coraggio, signorina... (A Polidoro, LIVIA minacciandolo) Colla spada...! Dunque è sposo di Milady! Traditore, ingannatore! LIVIA E perché dovrò più vivere Me meschina! Perché vivo... Perché se ogni speme, oh Dio!, finì? mai?

28 MADAMA (A Polidoro, minacciandolo) i sbirri... Cosa fo’? Ah, briccon, la pagherai! Zitto zitto, piano, piano, chiotto chiotto su quell’albero qualche cosa POLIDORO scoprirò. È venuto un certo matto... SUMERS LIVIA Ho inteso un chiasso, un strepito. Ah, che il cor non ha più pace e più Non so che mi pensar. reggere non sa. Qui tutto è fuor di regola, qui tutto è in iscompiglio... MADAMA Fuggiam da tal periglio, io vado a Ah, crudel tu sei capace di maggio- passeggiar. re iniquità. Ma, oh ciel! Che spada è questa? Forse qualcun... Che importa? POLIDORO Rompansi pur la testa ch’io me ne Ah, fortuna, tu lo sai quest’imbro- riderò! (Parte ridendo) glio come va. POLIDORO (Scendendo piano piano) MADAMA (A Livia) Io tremo e questo ride! Se ride è se- Presto, andiamo, andiamo via... gno buono. (A Polidoro) Poi fra noi si parlerà! Ah, che un vigliacco sono? No che (A Livia) Via, coraggio, signorina; tremar non vo’! presto, presto, andiamo via. (Accostandosi verso il sedile dove stava (A Polidoro) Ma tu, briccone, la pa- Livia) Sedeva in questo loco, svenu- gherai! to il mio bel foco... Forse potria tornare, sì sì voglio in- POLIDORO cocciare, e in questo loco istesso se- Ma sentite... Ecco il fatto... Ma la dendo io canterò (si siede). spada non è mia. “È più d’un’ora che sei aspettata; la- LIVIA sciati un po’ vedere, o gioia bella: no, Ah, che il cor non ha più pace e più non temere che ti strilli Tata, che reggere non sa. (Parte) mamma ti farà la sentinella... E ba... e ba... e ba... Enrichetta è l’amato mio MADAMA bene che gran pene provare mi fa.” Ah, crudel tu sei capace di maggio- re iniquità. (Parte) MADAMA Signor, lei se la canta con queste ila- POLIDORO rità. Ah, fortuna, tu lo sai quest’imbro- glio come va. POLIDORO “E ba... e ba... e ba... Voi, furbetta, POLIDORO (Getta la spada) non siete Enrichetta! Me ne vado lon- Spada indegna, vanne al diavolo! tano di qua.” Tremo tutto... Sento gente... Me meschin, sono innocente... MADAMA (Guardando da per tutto intimorito) Ecco Ma lei non partirà!

29 Uccider Madamina, ucciderla per- Fermate! Io basto... Io sola... Milord, ché? (si vede comparire Milord) una parola... Non state a contrastar! Leggi, indegno, questa carta. POLIDORO Lei sbaglia, signorina, MILORD io con la spada in mano... Sì, ch’è mia... La vedo... È quella. MILORD LIVIA Mostro crudel, villano! Tu uccidere La promessa attendi, indegno! il mio bene! MILORD POLIDORO Ah, perdona, o Livia bella. Sì vedrai... Ma piano un poco, piano... Or vi dirò Ma il padre, oh Dio!... Chi m’ucci- cos’è... de per pietà? MILORD POLIDORO (A Milord) No, mori, traditore! Se volete ch’io v’ammazzi, siete a tempo, mio signore. SUMERS (cavando una pistoletta) Indietro, mio signore! MADAMA (A Milord) Si vedrà se avete onore. MILORD Indietro voi! SUMERS Si vedrà se siete inglese. POLIDORO Soccorso, soccorso! LIVIA Il mio torto si saprà. (Piangendo) SUMERS Vanne, infido! Quest’è soverchierìa! Che modo di trattar! MADAMA Che ingrataccio! MADAMA Povera casa mia! La vonno rovinar! SUMERS Che vergogna! MILORD Morir non serve a niente, ti voglio POLIDORO trucidar! (Perché adesso che bisogna, invisibil non si fa?) POLIDORO Aiuto, aiuto, gente, mi vogliono am- MADAMA mazzar! Non temete, madamina. Ma lei sbaglia, mio signore, ma l’af- SUMERS fare non è questo: or vi dico lesto le- Ci son io per voi, madama. sto tutto il fatto come va. POLIDORO LIVIA (Con gran risoluzione, agli altri) Io perbacco vi proteggo.

30 MILORD POLIDORO Piange Livia? Ah più non reggo! Parta lei da questo loco, perché io pa- Empio amor, che crudeltà! go e qui vo’ star. TUTTI MADAMA (Accennando a Polidoro) Son qual nave in mar turbato fra l’or- Via, Milord, è cavaliere. ror della tempesta. Sussurrar il nem- bo io sento; cresce l’onda, cresce il POLIDORO vento e più speme il cor non ha. E di più napoletano!

Fine del primo ATTO MILORD Mio carissimo italiano, si scosti un poco; non vi fate strapazzar ATTO SECONDO POLIDORO SCENA I Oh poter d’un ottomano! Milord, Polidoro, Vo’ per forza qui restar. Madama Appartamenti terreni nella locanda MADAMA Via, Milord, siate umano, MILORD non lo state ad ingiuriar. Care mura, a voi d’intorno / sempre, sempre io girerò. RECITATIVO MADAMA MILORD (A Madama) Lei, signor, fa qui ritorno? / Con qual Ho grandi appoggi in Londra, gran- faccia io non lo so! di amicizie... giro... prego... m’ado- pro... MILORD Il matrimonio, insomma, con Milady Tu nemica ancor mi sei? / Non ho Lindane non sortirà! Mio padre... colpa in verità. MADAMA MADAMA Ma le gioie, gli abiti fatti per la spo- Se ho ragione lo sa lei / Ben fra po- sa; i doni, gli aderenti a Milady, co si vedrà. i fogli pubblici che parlano di que- sto parentado? POLIDORO Un buon pranzo, Madamina, sì davver POLIDORO questa mattina ho scialato come va. Il Tevere, il Senato, il Tamigi, il Se- beto... Che direbbero? Se sposando MADAMA Enrichetta... N’ho piacer. MILORD MILORD Ah, con costui son disperato! (A Si scosti un poco che in segreto ho Madama) Addio... (A Polidoro) Bestia da parlar. italiana! Che destino è il mio! (parte)

31 SCENA II SUMERS Madama, Polidoro Se le guerre non cessano, il commer- cio non riprende il suo corso. POLIDORO A solo a solo ci parleremo. MILORD (Guardando verso dove è uscito Milord) Monsieur... Io bestia italiana? SUMERS (Volta appena la testa e se- MADAMA (con smorfia e sorridendo) guita come prima) E voi vorreste cimentarvi... Buon giorno. POLIDORO MILORD Lo sa Napoli chi è Don Polidoro (E non si muove affatto.) Che fa la Pistacchioni! Al molo grande, al pic- forestiera? colo, al largo del castello ogni gior- no facea qualche duello. SUMERS Domandatelo a lei. MADAMA Io che sono così tenera che un cane, un MILORD pollo, non ucciderei, morirei di paura... Voi siete amico, la conoscete. POLIDORO SUMERS Via, mi batterò dunque a notte oscu- Da tre giorni. ra, quando voi non ci siete. Dite un poco: che fa quella ragazza, quella bel- MILORD lezza greca anzi etiopica. La potreste E poi Livia, non Enrichetta. chiamare, farla venire un poco? SUMERS MADAMA Non m’importa di sapere il suo no- È chiusa in camera. Parla sempre di me: è savia; questo mi basta. voi, v’ama, v’adora... e chi non v’a- ma? Un giorno poi la vedrete. MILORD E se poi fosse amore la stima che af- POLIDORO fettate? Ma perché discorre con Milord e non con me? SUMERS Io non affetto, io non fingo e se amas- MADAMA si lo direi, perché finger non sanno i Perché l’odia. Le donne fanno tutto al pari miei. rovescio e per intenderle voi vi dove- te in mente figurare tutto al contrario ognor di quel che pare. (escono) SCENA IV Polidoro, detti in osservazione, e poi Livia SCENA III Sumers, Milord POLIDORO Atrio che introduce al giardino Adesso vo’ in giardino a cercar l’eli-

32 tropia... Ohimè... Che vedo! Monsù LIVIA con quel Milord? (Questo sciocco mi scopre. Meglio è ch’io parta.) MILORD [Parte. Polidoro intanto, non vedendola Avvicinatevi, se volete sapere al vo- più, fa degli atti di disperazione e va cer- stro solito i fatti altrui. cando per la scena] SUMERS (Piano a Polidoro) SUMERS Giudizio! ve l’ho detto già cento vol- Insomma, Milord, io non vi credo nè te. credo ai pari vostri. POLIDORO MILORD Amico, tutto fiato sprecato, perché Questo è un torto e un affronto, e po- il giudizio in Londra se n’è anda- treste pentirvi un giorno... to. POLIDORO (A Milord) SUMERS (Con una specie d’ironia) Dov’è andata? Mi pareva, Milord, che voi doveste parlare al padre, al Re!... MILORD Chi? MILORD Tutto è disposto: attinenze non man- POLIDORO (A Sumers) cano ed io ne spero un esito felice. L’avete vista? LIVIA SUMERS (A Polidoro) (Milord è qui? Sentiam che cosa di- E taci! Finiscila una volta. (A Milord) ce) Son prontissimo, Milord, quando vo- lete a sostenervi che ingannaste quel MILORD core, che siete un incostante, un man- Livia è il mio bene e a costo del san- catore. gue, della vita, sarà mia sposa in que- sto giorno. N. 13 LIVIA Aria (Oh Dio! Se tu lo brami davver, lo Sumers bramo anch’io.) SUMERS POLIDORO (Accorgendosi di Livia e Vi parlo all’olandese, da galantuom facendo delle stranezze) favello: il sì dev’esser quello, dev’es- (Ah ah! Zitto... L’ho vista... È venu- ser quello il no. ta per me...) (A Polidoro che l’interrompe) Oh, infa- mia di Partenope, o taci o ch’io co- MILORD spetto... Con chi l’avete? (Ah, merita rispetto: è commensale, è amico; sdegnarmi, oh Dio, non so) POLIDORO (riponendosi in serietà) (A Milord) Ella avrà un padre in me, Niente, ho i moti convulsivi. e da un crudel nemico sì la difenderò.

33 (A Polidoro che l’interrompe) O Italia LIVIA miserabile se fosser tutti simili... Sì, quel pazzo che cerca di vedermi. Non posso più resistere, son pieno di furore... POLIDORO Bestia di te peggiore nel mondo no, Ho da tenerle strette, ben strette in non v’è. (Parte) mano; nel cappello o in tasca o in al- tro loco perdono la virtù, né fan più gioco. (Vede Livia) Eccola là, la ma- SCENA V landrina. Madama, Livia (escono discorrendo) MADAMA (c.s.) È semplice, ma onesto e affettuoso; LIVIA se mai viene d’intorno a voi, tacete; Credimi, cara amica, comincio a respi- non lo guardate in faccia. rare: in questo loco io stessa l’ho sen- tito giurar di voler essermi marito LIVIA Ebben dunque s’appaghi il tuo de- MADAMA sìo. (Le donne seguitano a parlare tra lo- È ben però di non fidarsi: gli uomi- ro) ni sono troppo farabutti. POLIDORO (Si pone accanto a LIVIA Madama, ma ella non gli dà retta e fin- È ver, ma forse ei non è tale... Ah te- ge di non vederlo) mo piuttosto di Milady... Temo del Cospetto! Non mi vede. Carissima padre... elitropia, t’ho pur trovata. MADAMA MADAMA (a Livia) Ed io temo di lui... Ah potessi veder E se Milord intanto seguitasse a tra- cos’ha nel core! dirvi? LIVIA LIVIA Or mi lusinga, ora m’uccide amore. Allor saprei farne giusta vendetta. POLIDORO (salta, ride per allegria, SCENA VI indi si accosta a Livia e guardandola:) Don Polidoro con cappello in mano ove Quanto è bella! Che vago sopracci- sono alcune brecce che va osservando, e glio! dette. MADAMA (Piano a Livia) POLIDORO State forte, come s’ei non ci fosse. Son due... Tre... Quattro... In tante ce ne sarà qualcuna che mi farà spa- LIVIA (A Madama) rire. Le italiane hanno spirito e coraggio; e poi son cieca, son pazza per amor. MADAMA (Piano a LIVIA e tiran- dola in disparte) POLIDORO (Passando avanti alle Signorina, quello è Don Polidoro. donne)

34 (Che figlia d’oro! Impazzisce per me. Che naso... Che figura! Già non c’è Se mi vedesse, che piacer che ci più... avrìa...) MADAMA LIVIA Non c’è. (Costui mi secca) Amica, io vado via. (Parte) POLIDORO Dite alla bella che il cor m’ha trapa- POLIDORO (Pone in fretta le pietre nato, che non s’ammazzi... che io... nel cappello e lo lascia per terra) anzi che lei... insomma, tutti e due, Ehi, fermatevi! Adesso mi vedrete... tutti e tre, se bisogna, a dispetto di Aspettate... Londra e dell’inglese ce ne andremo invisibili al Paese. MADAMA (Affettando meraviglia) Come! Voi qui, signor? Che cosa fate? N. 14 POLIDORO Aria Sono stato invisibile fino adesso con Polidoro voi; son stato accanto, v’ho girato d’intorno... POLIDORO Oh che piacere! (Riprende il cappello e Oh che gusto, che piacere! Oh che stringe di nuovo in mano le brecce) Ecco spasso che sarà. qui l’elitropia. Guardate... Invisibil colla sposa, colla mia Madamoiselle, in ovatta ed in pia- MADAMA (finge di guardare all’in- nelle ne n’andrò per la città. torno) Passo accanto al creditore, non mi ve- Dove siete? de ed io vo’ via; passo innanzi all’e- sattore, non mi vede e se ne va. POLIDORO Meno schiaffi, calci, pugni... ziffe zaf- Ah! Ah! Che gusto! fe due stoccate, pisto gl’occhi, am- macco grugni e chi è stato non si sa. MADAMA (c.s.) Oh, che gusto, oh che diletto! Che Signor Polidoro? risate, che spassetto! Oh che gran fe- licità! (Partono ambedue) POLIDORO (Ponendole di nuovo nel cappello) Son qui. Le stringo colla destra, non SCENA VII ci son più; le metto nel cappello, RECITATIVO comparisco di nuovo; Livia, Milord, Sumers e, senza fare imbroglio, apparisco e sparisco quando voglio. LIVIA Cosa sarà di me? Sento che il core mi MADAMA predice sventure e involontario cade Oh, vedete che sorte! il pianto dagli occhi. POLIDORO MILORD (con premura ed agitazione) Io mi impazzisco. Ahi che bocchin! Livia bella, mia cara Livia...

35 LIVIA MILORD (con gran sorpresa) La vostra? Posso crederlo? Siete li- La mia Livia? bero ancor? SUMERS MILORD Oh cielo! No, ma venite meco dal padre mio: forse in vedervi finirà col placarsi. MADAMA Ecco la guardia che ha ordin di con- LIVIA durvi... Scostati! LIVIA SUMERS Dove? ohimè... Io fra costoro? Non temete. Ci son io. Questa giovine onesta da me dipen- MADAMA (malinconica) de. Rispettar bisogna il comando supre- mo. MILORD E qual diritto avete sopra di lei? SUMERS (O egli, o il padre, o Milady l’affronto SUMERS han macchinato) Quel diritto che voi perdeste nel la- sciarla. LIVIA (A Milord) Tu sei, mostro spietato, tu la cagio- LIVIA ne... Oh Dio! MILORD SUMERS Il cielo mi fulmini se mai questa cru- Venite, non temete, giovane sventu- dele iniquità tentai. rata: una gran Dama savia, nobil, prudente custodirvi saprà. MADAMA Eh che siete un spergiuro, un mali- LIVIA gno, un indegno. Sì, vengo. SUMERS MILORD (Il mare, il vento mi rapiscan Come? Me fuggi e segui lui? quant’ho se non l’uccido)

SCENA VIII N. 15 Madama in aria malinconica e detti, poi Scena guardie. Livia MADAMA LIVIA Signora, non ho cor... Siete arrestata. Dunque per un infido la libertà per- dei? Io fra i soldati... io per le vie di LIVIA Londra in mezzo agli urli di vil po- Io? polo ardito, me n’andrò come rea mo-

36 strata a dito? Misera me! Che cru- N. 17 deltà! Che orrore! Aria Ma da virtù, da onore sento infiam- Milord marmi... I lacci dove sono? Il giudice dov’è? MILORD Tetra ed oscura carcere, a te m’invio Van girando per la testa mille torbi- e tu veglia, innocenza, al fianco mio. di pensieri, ah son pur funesti e ne- (In atto di partire dice a Milord:) ri, ah mi fanno delirar. Ohimè! Tu ancor sei qui? Io delirar? Oh cielo! Tu mi spaventi più delle mie catene; Se tu sei la cagion di tanto affan- In quest’istante a palpitar ritorno e no, ti detesto per sempre, amor ti- m’avvilisce, ingrato, il rimorso cru- ranno. del d’averti amato. Barbaro amore, son disperato, da mil- (A Milord) Fuggi!... Che fo’... S’arresta le furie sono agitato, mi sento un im- il sangue nelle vene. peto dentro le vene... chi mi contra- Fu un giorno il caro bene e adesso è sta, chi mi trattiene? il mio terror. No, che di morte non ho timore, spi- (A Madama) Fedel compagna (A ro vendetta, stragi e furore, voglio Sumers) Amico, ah che partir degg’io, che rivi di sangue scorrano, vo’ fin la ma rea non parto, oh Dio, ed inno- casa mandare in cenere; sì vo’ che tut- cente è il cor. ti di me paventino, vadano, corrano, Donne, che qui m’udite, ah per pietà fuggano, volino, e fino l’Erebo farò mi dite se merito tal pena, se è giu- tremar. (Parte) sto il mio dolor! (parte) SCENA XI SCENA IX Polidoro, Madama Milord, Sumers, Madama POLIDORO Che rumore! Che chiasso! Chi vien, MADAMA chi va, chi torna... Povera figlia! Uno scende, l’altro sale... A poco a poco logoreran le scale. SUMERS Io faccio la sicurtà per lei: no, fra sol- MADAMA dati non andrà un’innocente, di qui Oh affronto! Oh ingiuria! In Londra non partirà; voglio aiutarla, vo’ di- questi torti si fanno? fenderla ognora, se m’avesse a costar la vita ancora (Parte) POLIDORO Che cos’è? MADAMA (a Milord) Certo avete un bel core di star qui; MADAMA se voi foste un mio pari... Che! Non sapete niente, che fu arre- Cospetto! stata... Vi vorrei graffiar gli occhi a guisa d’un falcaccio per far più brutto quel POLIDORO crudel mostaccio. (Parte) Chi?

37 MADAMA N. 18 La forestiera. Cavatina Si crede che l’arresto derivi da Mi- Madama lord, ma il generoso Sumers non ha permesso che quell’onesta giovane MADAMA esca da questa casa. Io voglio a Napoli con voi venire; qualche parola già la so dire. POLIDORO Napolitana vo’ farmi affè. Bravo, bravissimo, ma non ride, co- “Gioiello caro, mme faje sperì; / fato spetto! d’ammore, mme faje morì. E fa malissimo. Dove sta la bella, in Ninno mio bello, caro giojello, / aje da conclusione? sta sempe vicino a mme.” (Parte) MADAMA In braccio della sua disperazione. SCENA XII Livia pensierosa dal fondo scena, indi POLIDORO Milord. Ah, vado ad ammazzarlo! LIVIA MADAMA Ah generoso amico, ah caro Sumers, Trattenetevi, in grazia mia; non vo- quanto ti debbo mai! glio che voi vi cimentiate: v’amo, v’a- In te il sostegno, il genitor trovai. doro troppo, o luci amate. Più non si pensi al traditor, si vada lungi di qua... POLIDORO Empio Milord... Ma dove? Forse al- Dite a me? la patria, al genitor! Oh Dio! Che fier destino è il mio! Chi mi consiglia? MADAMA Chi m’assiste, che fo? Sumers vedes- Dico a voi. si almen... Gli scriverò. POLIDORO E così tardi me lo dite? [N. 19 REC. DRAMMATICO] Sapete qual impegno ho con Ma- Ma piano... Una ragazza scrivere a un demoiselle. uomo!... Non vorrei... Quest’uomo è il mio benefattor; sì MADAMA per lui solo sciolta e libera io son, per V’amo ancor più di lei, mie luci lui sol vivo. belle. Coraggio! Ho risoluto. Ecco che scri- Mio sposino... vo. (va al tavolino) POLIDORO Sposino! Ah, vedi il diavolo in che N. 20 incastro mi ficca. Duetto Livia - Milord MADAMA Ora si pensi all’infelice e poi, idolo LIVIA (Mentre scrive sopraggiunge Mi- bello, penseremo a noi. lord con foglio in mano; pian piano egli

38 s’accosta ed osserva ciò che Livia scrive) MILORD Caro amico, deh permetti... Che si È già placato. spieghi in pochi detti questo misero mio cor. LIVIA Ah perdono, o sposo amato... MILORD (Caro amico?... Oh gelosia1 Questo MILORD foglio a chi s’invia? Vo’ a scoprire il Vostro sposo un infedele? V’ingan- nuovo amor.) nate, io me ne vo. (In atto di partire) LIVIA (vedendo Milord) LIVIA Traditor! O parto, o parti. Ogni amor Ferma... Ferma... Oh Dio! per me finì (Si alza) MILORD MILORD No, non ti sento... Ahi, fier tormen- Io che corsi a liberarti son trattato, to! No, lasciarla, oh Dio, non so. oh Dio, così? LIVIA A DUE Ferma crudele... Me infelice, cosa fo? Cieco Nume, ah per chi mai impie- gai gli affetti un dì. LIVIA (Con tenerezza) Milord... LIVIA Me meschina... MILORD Andate, andate... MILORD Il foglio terminate. Ecco la grazia! Mira, indegna, come oprai. LIVIA (S’accosta inginocchiandosi) Caro Milord... LIVIA (Pensierosa, dando un’occhiata alla carta) MILORD (Ah, sarìa possibil mai!) Ma l’arresto, in- Oh Dio! gannatore, con qual fronte puoi negar? LIVIA (Affettuosa) MILORD Nemico io vi credea; a un difensor Vien dal vostro genitore l’imprudente scrivea. arresto indegno: voi fuggiste, ei pien Voi mi sprezzate... (In atto di partire) di sdegno pensa il torto a vendicar. Addio... D’affanno io morirò! LIVIA MILORD E Milady? (Ah chi può mai resistere.) Livia... MILORD LIVIA La disprezzo. Crudele... LIVIA MILORD (Con tenerezza) Vostro padre? Uditemi.

39 LIVIA SUMERS Perché mi richiamate? Son l’armi vostre i sassi? MILORD POLIDORO Per dirvi, luci amate, che ognor v’a- Vo’ fare un precipizio. dorerò. SUMERS LIVIA Giudizio, via giudizio... No, non lo credo ancor... POLIDORO MILORD La solita parola. Credilo a questa mano... (si danno la destra) SUMERS Saprò colla pistola farlo avvilire affè. A DUE Oh sospirata invano / destra ch’io POLIDORO stringo al cor. (Non sa dell’elitropia, tutto non sa il Che lieti momenti! Che dolci con- perché.) tenti! Del barbaro fato cessato è il ri- gor. (Partono) MADAMA Ah, che piacere è il mio... Milord, Livietta oh Dio! Lasciatemi, tutto vi Scena ultima narrerò. (Parte) SUMERS SUMERS, POLIDORO Tolto è l’arresto: è libera la fanciulla. Cos’ha, di che ragiona? Se questa è Si cerchi, si conduca fuori di qua... Ma nuova buona, perché non terminò? intanto Milord andrà impunito! Ah, non sia mai. MADAMA Tutto l’abisso ho in seno, spiro rabbia, Ah, l’ho veduti adesso... Ciascun ha furor, stragi e veleno. il cor oppresso... Che sian pur bene- detti! Che affetti, oh Dio!, che amor! (Parte di nuovo) N. 21 Finale SUMERS Ma qui non si sa niente. Vo’ toglier- SUMERS mi d’affanno / e quel che glì’altri san- Giurai di vendicarmi; vedrà chi so- no / voglio sapere ancor. no. Non merita perdono. (Compare Polidoro) Dite, Milord POLIDORO dov’è? Precipitevolmente vo’ togliermi d’af- fanno / e quel che glì’altri sanno / vo- POLIDORO glio sapere ancor. Lo vado anch’io cercando: ci ho in ta- (via da parti opposte) sca un certo arcano... Con una pietra in mano... Basta, il MILORD segreto è in me. Deh partiam da questo loco.

40 LIVIA MADAMA (Chiamandoli tutti e tre Voglio pria salutar tutti; pur non par- parla loro a voce bassa) to ad occhi asciutti: la mia cara Ma- Zitti è Don Polidoro: ha in testa la damina mi dispiace di lasciar. pazzia di rendersi invisibile: se vien non gli parliam, fingiam che non vi MILORD sia... Oh quant’egli è godibile, cre- (Quanto è grata ed amorosa, oh che detemi è un piacer. sposa singolar!) A QUATTRO (Sottovoce) SUMERS Ridiamo, sì godiamo; è tempo di goder. Dunque è onesto ed innocente? POLIDORO (venendo innanzi) MADAMA Va bene: non mi vedono. Ah cara mia È un signor che non ha uguale. Proserpina! (Guardando tutti l’uno do- po l’altro e girando intorno) SUMERS Ed or perché non parlano? Che vo- Ah Milord, manco male; (l’abbraccia) glia di tacer! Voglio stringervi al mio petto. GLI ALTRI QUATTRO (sottovoce e Caro amico, io vi rispetto, vi do un ridendo ciascun da sé) segno d’amistà. Come non farsi scorgere, oh andate- vi a tener. MILORD Caro amico, io vi rispetto, vi do un POLIDORO segno d’amistà. Diavolo, come ridono! Milord ades- so schiatta. Ma qui di che si tratta? LIVIA (A Sumers) (Guardando le donne) Che cosa stanno Il mio core pien d’affetto come pa- a far? dre vi amerà. GLI ALTRI QUATTRO (c.s.) MADAMA Ohimè che dal gran ridere io più non Voi, Milady, mi lasciate? posso star. LIVIA POLIDORO Sarai sempre amica mia. Cospetto! Almen crepassero. Che mo- Prego il cielo che vi dia la maggior do di trattar. felicità. GLI ALTRI QUATTRO MADAMA Ah pazzo che voi siete, se voi qui ci Prego il cielo che vi dia la maggior vedete, noi vi vediamo ancor. felicità. POLIDORO (Disperandosi) POLIDORO (cerca in tasca le pietre e Ohimè, l’incanto è rotto. Ahi, l’eli- se le pone in mano) tropia è andata.. / L’ho fatta, la frit- (Voglio scoprir cos’è; voglio invisi- tata, ah tu sei stato, amor. bil farmi, poi voglio avvicinarmi. Lasci pur fare a me.) Io fui che vi burlai; lo scherzo è tut-

41 to mio, / scherzai col labbro, oh Dio, SUMERS ma fu sincero il cor. Giudizio, amico. LIVIA, SUMERS, MILORD POLIDORO Madama vi vuol bene: sposarla, sì, Il diavolo ti possa soffocar! conviene, né farla più penar. GLI ALTRI QUATTRO POLIDORO Ohimè che dal gran ridere io più non Ma se Enrichetta è quella? posso star. MADAMA TUTTI Lei di Milord è sposa. Che giorno di contento, che giorno d’allegria! Vengan qui trombe e ce- POLIDORO tere, s’oda una melodia, e l’Italiana Brava! Una bella cosa! Sempre racchiusa in Londra si senta celebrar. e sola... (A Madama dandole la mano) Vien qua, figliola, ti voglio consolar. FINE DELL’OPERA

42 LUGLIO 2010

Con ilpatrociniodi: Conservatorio StatalediMusica“NicolaSala”Benevento di Benevento Ente ProvincialeperilTurismo Assessorato allaCultura Comune diBenevento Assessorato allaCultura Provincia diBenevento Ministero dell’Istruzione,dell’UniversitàedellaRicerca www.conservatorionicolasala.eu Alta FormazioneArtisticaMusicaleeCoreutica Direttore: T el. 0824.21102-Fax0824.50355 C Presidente: C M M Maria GabriellaDellaSala Y V Y B ia MarioLaVipera B Achille Mottola

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