Il-Libretto-Rosso-Di-Pertini.Pdf

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Il-Libretto-Rosso-Di-Pertini.Pdf 0 1 2 3 RIVOLUZIONE SEMPRE “Ai vecchi perché ricordino; ai giovani perché sappiano quanto costi riconquistare” 1983. “Tutti gli uomini di carattere, hanno un cattivo carattere”. Sandro Pertini, 25 settembre 1984 4 Abbiamo bisogno di grandi storie per capire la vita, e di grandi eroi per imparare a viverla. Oggi, per esempio, abbiamo bisogno di Sandro Pertini. Noi italiani ne abbiamo bisogno per capire chi siamo, perché, ancora una volta, l’Italia ci appare una terra incognita e misteriosa. I suoi abitanti ne parlano come di un’astrazione che per lo più li atterrisce. “L’Italia è fatta così”, e, per ogni italiano, se le cose vanno male è solo “per colpa degli italiani”, intesi come entità estranee ed aliene. Questa complessa ed infelice sindrome, che ci porta a vivere schiavi e angariati da forze nemiche e straniere che, alla fine, risultiamo essere noi stessi, nasce prima di tutto dal nostro triste e contorto racconto nazionale (quello che ci fa vivere tutti i giorni così come viviamo: protagonisti di un capolavoro di inane paranoia). Non può essere altrimenti quando si ha il cattivo genio di fondare un Paese sulle gesta di santi luminosi al neon ed eroi in parrucca, sempre pronti ad obbedire; da navigatori con animo da ragionieri e, di conseguenza, da capitani di industria fervidi praticanti dell’orgia post-aziendale in calzetta corta marca democristiana. Viviamo tutti in Hellzapoppin’, ma il fatto che, parafrasando il sottotitolo del film, qualsiasi somiglianza fra l’Italia ed una Nazione è puramente casuale non ci fa ridere. Il paragone fra la surreale pellicola cinematografica e la nostra storia nazionale è valido. Nell’uno e nell’altro caso, il racconto è reso assurdo dal montaggio improprio dei capitoli. Nel caso della storia italiana, in particolare, questo montaggio dà, poi, i suoi frutti più apprezzabili in virtù della soppressione di molti episodi salienti o della distorsione del loro senso. Per esempio, l’immagine dell’italiano truffaldino, falso, dedito al delitto politico, elegante e cinico, nasce nel Rinascimento, che, in realtà, è stato un momento di eccezionale e radicale concentrazione utopica. Il Rinascimento fu l’epoca 5 della Città del Sole e del filosofo bizantino Gemisto Pletone, che venne da Mistrà in Italia per discutere concretamente di un mediterraneo unito politicamente nella concordia delle tre religioni rivelate. L’Italia degli italiani, sudditi di non importa chi, ha avuto evidentemente bisogno di scordarsi di questo sogno radicalmente rivoluzionario. Ha avuto bisogno di dimenticare la dimensione politica, quella speranza in un uomo nuovo che ha ispirato Francesco d’Assisi, Dante Alighieri o Giordano Bruno. Agli italiani può bastare che al povero santo piaceva parlare con le bestie, e che gli altri due, in fondo, erano solo dei poeti. Allo stesso modo, giunti al punto di dover costruire una nazione italiana, è stato necessario far dimenticare agli italiani che il Risorgimento è stato una rivoluzione progressista che ha impegnato le migliori intelligenze e la gioventù più viva di diverse generazioni di patrioti nella realizzazione di un sogno: quello di uno Stato giusto e libero. È senza dubbio vero, infine, che la più grossa mortificazione che il nostro racconto nazionale ha subito è stata quella inferta al nostro Secondo Risorgimento: la guerra di liberazione dal nazi-fascismo. Ancora una volta ci siamo lasciati vincere dall’amnesia. Abbiamo dimenticato e deformato il racconto di uomini che hanno lottato, e sacrificato la propria vita, in una guerra di liberazione e di resistenza. Uomini che, con questa lotta, hanno sognato di realizzare nel proprio paese la giustizia sociale e, quindi, la libertà individuale per tutti noi. Di questo sogno, fino ad alcuni anni fa, rimanevano appena le vestigia in una Costituzione che, anziché essere migliorata e aggiornata, è stata in larga parte sospesa nell’inattuazione. La nostre persone sociali scontano oggi più che mai questa smemoratezza e, ancora una volta, il nostro vuoto umano e politico è stato praticato dalla mancanza di quel nutrimento etico che è l’epica: ancora una volta abbiamo mancato 6 l’occasione di raccontare noi stessi attraverso figure ideali, eroiche, che eppure anche la nostra guerra di Resistenza ci ha fornito in abbondanza. Su tutte quella di un uomo che fu, per professione di fede, un combattente per la libertà; un uomo, disse Saragat, che “era della stoffa di cui sono fatti gli eroi”. Un “chevalier del’Idéal”, nel concetto di Turati. Perché questo fu Sandro Pertini: prima di tutto, un eroe. L’immagine tranquillante e vaga del Presidente più amato dagli italiani, quale è nella memoria di tutti; quella del “nonno nazionale”, è agita dentro, in realtà, da una figura possente, da un’immagine grande che è, nella sua essenza, un appello meraviglioso a tutti gli uomini liberi. Sandro Pertini fu un uomo animato da una fede viva e assoluta, fatta della stessa materia di quella che mosse Francesco d’Assisi; dallo stesso rigore morale, più che umano, di Dante; dallo stesso coraggio, praticato nella rivendicazione più pura del diritto alla libertà intellettuale, che portò al martirio Giordano Bruno. Nella nostra epopea fondativa questa catena di parentele eroiche ed ideali saranno accolte volentieri dagli eroi del Risorgimento, e tutte riassunte nel suo eroe per eccellenza, Giuseppe Garibaldi, che fu insieme soldato della libertà, del libero spirito e del libero pensiero. Pertini, lo ricorderà Mitterand in un loro incontro, nella storia del passato secolo è la figura che maggiormente si apparenta a quella del grande Unificatore: “Lei, Presidente Pertini, è animato dalla stessa passione per la libertà, dallo stesso amore per la Patria, dallo stesso coraggio che aveva Garibaldi.” Tornare oggi al racconto avventuroso della vita e delle imprese di Sandro Pertini può essere cosa assunta a medicinale capace, nel torpore attuale, di risvegliare la nostra migliore fantasia e, quindi, il nostro istinto all’ideale. 7 Il carattere è destino, e la storia dei grandi caratteri, con i loro terribili sbagli, tormenti, vittorie, sconfitte, finiscono per rappresentare destini collettivi con i quali tutti abbiamo bisogno di misurarci. Ne era cosciente lui per primo quando, in uno dei fitti dialoghi aperti con i giovani, avvertiva: “se voi volete vivere la vostra vita degnamente, fieramente, nella buona e nella cattiva sorte, fate che la vostra vita sia illuminata dalla luce di una nobile idea. Scegliete voi, liberamente, senza lasciarvi suggestionare da qualcuno. Fate voi la vostra scelta, purché questo presupponga, però, il principio di libertà, altrimenti dovrete respingerla, per la vostra salvezza”. È di se stesso, posto a suggestione per le vite altrui, che qui Pertini parla; della sua vita di avventura e lotta. La civiltà greca ha conosciuto bene l’importanza di mantenere vivi con devozione i propri miti. Essere uomini, uomini liberi, agli albori della nostra civiltà, significava prendere parte attiva alla vita politica. Questa partecipazione era il diritto e il dovere di chiunque si riconoscesse appartenente alla religione civica della propria polis. La catechesi che guidava a questa religione trovava i propri testi nell’epica nazionale, nel romanzo delle avventure dei proprio eroi. Ancora oggi, a ben vedere, ci è concessa una tale occasione di libertà. Ci è concessa, per esempio, rileggendo la vita di Pertini come un romanzo epico. Come il romanzo nazionale dove agisce il tormentoso e inesauribile racconto del fantasma della libertà. Ancora una volta, con Pertini, ritroviamo l’avventura di Odisseo, che ci invita ad affrontare la nostra vita con coraggio. Pertini, come Odisseo, va in guerra, la più brutta di tutte, quella del ‘15-‘18. Tornando da questa, conosce il mondo in mille 8 avventure, perseguitato dalla sbirraglia fascista e fuggiasco. Come Odisseo, Pertini ha conosciuto la sua nekia, la sua discesa agli inferi, attraverso la lunga ed istruttiva sepoltura nelle carceri di Mussolini. Come Odisseo, Pertini è tornato a casa e, con i suoi partigiani, ha perpetrato giustizia e ha ristabilito l’ordine. C’è, infine, una fantasia filologica: Odisseo è Omero. È l’autore del proprio racconto, come ci dimostra, con una strizzata d’occhio, l’episodio dei Feaci. Pertini, anche in questo caso, non si è sottratto alla tentazione di imitare, nella propria vita, l’arte: nel dopoguerra si impegna come giornalista, come conferenziere e, infine, come Presidente della Repubblica, nella costruzione del proprio personaggio e delle sue avventure, lasciando il racconto della propria vita alle nuove generazioni, perché non abbandonino mai la lotta. Possiamo abusare di questo accostamento, perché Pertini stesso, a beneficio della nostra collettività, si è proposto, nel lungo corso della sua carriera, come figura etica, e come carattere ideale. Ed è con questo carattere (pessimo, scherzava lui) che Pertini nacque sullo scadere dell’Ottocento a Stella di San Giovanni, piccolo villaggio del duro e sassoso savonese. È di famiglia cospicua, ricchi possidenti terrieri, cattolicissimi, e Sandro, con una bella dimostrazione che la forza del carattere non bada ai legami di sangue, viene fuori prestissimo socialista. Poco più che fanciullo esercita questa sua professione di fede, tanto connaturata, sulla madre, donna Maria, alla quale dimostra che la proprietà è furto. Cerca di convincerla che anche le loro ricchezze non possono essere dovute ad altro che alle ruberie dei loro antenati. Questo, dice alla madre, li porterà alla rovina. Tutti gli eroi cominciano dalla madre. Achille dovette ribellarsi a Teti, e il Cristo non mancò di farlo con sua madre: “che c’è fra me e te, donna?”. Così Sandro dovrà arrivare ad 9 annunciare alla madre la sua decisione di abbandonare la fede cristiana per abbracciare, con immenso ardore, quella della causa socialista. È la prolusione a una infinita lezione di eroismo di cui Pertini farà mostra in guerra prima, e poi nella lotta politica. Madre e figlio, d’ora in poi, saranno legati dall’intensità con cui vivono le loro differenti religioni.
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