GIUSTIZIA E LIBERTÀ» Di
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MOVIMENTO D’AZIONE «GIUSTIZIA E LIBERTÀ» di GIOVANNI FERRO LA PARABOLA DEL MOVIMENTO «GIUSTIZIA E LIBERTÀ» Per i giovani destinati a vivere nella seconda Repubblica, potrebbe forse giovare la conoscenza di quella che fu la gloriosa parabola del Movimento «Giustizia e Libertà», concepito nell’intento di sostituire quei partiti popolari che avevano dimostrato, nei confronti del fascismo, tutta la loro inettitudine. Allo scopo di garantire un’area illimitata al Movimento, i promotori: Carlo Rosselli, Fausto Nitti, Emilio Lusso da poco a Parigi, dopo la loro rocambolesca fuga dall’isola di Lipari nel mese di luglio 1929 cui si erano uniti Gaetano Salvemini, Alberto Tarchiani, Gioacchino Dolci e Alberto Cianca decisero di porre come condizione per l’adesione, la rinuncia al partito di provenienza, nella convinzione che tutte le vecchie formazioni politiche dovevano essere considerate superate. Il binomio «Giustizia Libertà» doveva diventare il denominatore comune di tutta l’attività antifascista, in grado di polarizzare tutto lo schieramento democratico, liberale e socialriformista esistente. Il rigorismo ideologico, seguito fino allora, per contraddistinguere le rispettive posizioni politiche, era stato la causa dell’attaccamento fanatico al proprio partito e, conseguentemente, dell’indebolimento del Fronte antifascista nel suo complesso. Avendo partecipato attivamente alla prima fase del Movimento in oggetto riferirò qui di seguito quella che fu la mia modesta esperienza di giovanissimo studente di scuole medie nella città di Rovigo, capoluogo del Polesine, culla del Socialismo democratico. Terra di braccianti e di contadini che avevano ricevuto i primi elementi di civile convivenza dalla predicazione di due apostoli del Socialismo Italiano: Nicola Badaloni e Giacomo Matteotti. La pubblica amministrazione era stata affidata, per scelta democratica, ai 56 Sindaci socialisti della Provincia, istruiti con scrupolo religioso a redigere bilanci rigorosi e a scegliere le opere pubbliche giudicate necessarie a soddisfare i bisogni della collettività. Una fitta rete di Istituzioni popolari: cooperative di consumo e di produzione, Camere del Lavoro e Leghe contadine, Università popolari, affiancavano il Comune nell’opera di progressivo miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro della Comunità agricola e cittadina. Questa situazione di avanzato incivilimento non cessò repentinamente con la repressione violenta esercitata dallo squadrismo fascista, né con l’applicazione delle leggi eccezionali del 6 novembre 1926. Nella città e in tutti i Comuni agricoli si erano formati nel corso degli anni i partiti politici: quello socialista, quello popolare, quello repubblicano e un considerevole gruppo anarchico. Con la soppressione dei partiti, i rapporti politici si convertirono in rapporti amichevoli. Luoghi abituali d’incontro diventarono i caffè, le trattorie, le case private, secondo un rituale cospirativo adeguato ai vari ambienti, allo scopo di difendersi dall’organizzazione spionistica che faceva capo rispettivamente alla Polizia, alla Milizia e al Fascio locale. Ero allora un giovinetto di 16 anni che frequentava la scuola media. Mio professore d’italiano era l’ex Sindaco socialista di Rovigo, Antonio Zanella. Trascorrevo le vacanze estive in parte presso un parente popolare del Basso Polesine e in parte presso un altro parente capolega socialista di Bagnolo di Po, nell’alto Polesine, che raggiungevo in bicicletta passando per Fratta Polesine dov’è sepolto Giacomo Matteotti, il cui cimitero era costantemente sorvegliato da poliziotti travestiti da muratori al fine di poter individuare i visitatori che venivano numerosi a rendere omaggio al Martire dell’ideale socialista. Nei primi giorni dell’anno 1930, il giovane ingegnere di Porto Tolle, ma residente a Rovigo, Mario Zoppellari, già segretario di Giacomo Matteotti, animatore del movimento di 1 opposizione al fascismo in tutta la provincia, ricevette la visita dell’amico e compagno di Ciniselli, dottor Giuseppe Germani, emigrato politico a Vienna. Questi aveva dovuto espatriare per sottrarsi alle persecuzioni fasciste cui era stato sottoposto per aver portato a spalla la bara del grande amico assassinato. Io fui incaricato di trasmettere al suo recapito di Vienna una serie di indirizzi di persone politicamente raccomandabili dei vari Comuni della provincia. A seguito di ciò presero a circolare, in tutte le località del Polesine le prime copie di un giornaletto clandestino, confezionato con una sottile carta di riso, dal titolo suggestivo: «Giustizia e Libertà», che sulla testata riportava un invito rivolto a tutti gli italiani: «Insorgere per risorgere». La diffusione di questo foglio aprì i cuori alla speranza di una prossima caduta del regime fascista e alimentò prepotentemente lo spirito di lotta che non si era mai assopito. Nei caffè, nelle trattorie, quel giornale passava di mano in mano. Nelle campagne, le stalle intiepidite dalla presenza degli animali, erano i luoghi abituali di ritrovo serale per letture, recite e conversazioni. L’intraprendenza della nostra guida spirituale era senza limiti. Facendoci schermo della gagliardia, simpaticamente seguita dalla popolazione, furono organizzate manifestazioni di propaganda antifascista nei vari paesi sotto l’egida di bellissimi «Carri di Tespi» che offrivano spettacoli teatrali in dialetto col deliberato proposito di mettere alla berlina gli arricchiti di guerra e i nuovi gerarchi, provocando esplosioni di ilarità. Podestà, segretari del Fascio, i capi della Milizia fascista, erano i bersagli più ricercati dell’umorismo che generava innumerevoli barzellette corrosive, tarlo roditore d’ogni regime dittatoriale. I collegamenti fra i vari centri della Provincia e il servizio informazioni erano svolti in modo impareggiabile dagli studenti che si recavano alla mattina nelle Università vicine di Padova e Bologna, rientrando alla sera con le notizie del giorno. In occasione della festa delle Matricole del 1929 era presente a Padova il segretario nazionale del P.N.F., Augusto Turati, nella speranza di ottenere una manifestazione di omaggio da parte degli studenti. All’ora del mezzogiorno la cittadinanza che gremiva le strade, seguiva incuriosita lo svolgimento d’un lungo corteo funebre di studenti in abito di circostanza, desiderosa di conoscere il nome del povero defunto. Lo stesso segretario del P.N.F. manifestò, in modo accorato, la sua partecipazione al lutto studentesco. Dopo una lunga fase di «suspense» gli studenti esplosero a gran voce: «È il funerale della Libertà!» L’11 febbraio 1929 era stato stipulato il Trattato del Laterano con il quale il Governo fascista riconosceva lo Stato del Vaticano cui offriva una cospicua assistenza finanziaria e garantiva al clero l’insegnamento religioso nelle scuole. La parte più progressiva del clero, gli stessi ex Popolari e i militanti della F.U.C.I. (Federazione Universitari Cattolici Italiani) manifestarono la loro opposizione a tale accordo che legittimava la dittatura fascista in antitesi col sentimento popolare. Tutto ciò fece sì che quando arrivarono, tramite posta, le prime copie del giornale clandestino «Giustizia e Libertà», queste trovarono gli animi di tutti gli antifascisti, «popolari» compresi, pronti ad accoglierlo con entusiasmo, perché interpretava il sentimento comune. Il 24 marzo furono operati decine di arresti di antifascisti a seguito della denuncia alla polizia dell’inevitabile Giuda per i soliti 30 denari. Alla vigilia della mia partenza per l’isola di Lipari, dov’ero stato destinato per trascorrere i 5 anni di confino politico assegnatimi, l’ispettore dell’OVRA, certo D’Andrea, mi sottopose ad un ultimo interrogatorio. Al momento del commiato si rivolse a me con aria bonaria, da vecchio nonno ad un nipote scapestrato dicendomi : «Se posso darle un consiglio, non aderisca mai al partito comunista perché mentre noi consideriamo i democratici, i liberali, i repubblicani e i socialisti dei nemici di Governo, i comunisti li riteniamo nemici dello «Stato» e pertanto li combattiamo senza pietà». Quando arrivai nel carcere di transito di Ancona vidi affluire dalle più diverse località del Nord centinaia di antifascisti d’ogni colore politico, in prevalenza comunisti, perché i 2 democratici e i socialisti erano stati rilasciati o al massimo «ammoniti» per le ragioni espostemi dall’ispettore dell’O.V.R.A. citato più sopra. Potei tuttavia constatare dalle informazioni raccolte dagli arrestati provenienti da Trieste, Gorizia, Venezia, Ferrara, Bologna e dalla Romagna, che il Movimento «Giustizia e Libertà» aveva già assunto proporzioni di massa. Seppi in seguito che il dottor Giuseppe Germani, avendo risieduto diverso tempo a Trieste, aveva adottato per quella località la stessa tecnica distributiva seguita nel Polesine e ciò spiegava l’estensione del Movimento all’intera regione delle Tre Venezie. Dopo un soggiorno di 10 giorni nel malfamato Ucciardone, gremito da mafiosi arrestati dal Prefetto Mori, potei proseguire per il castello di Milazzo, ultima tappa carceraria prima di poter raggiungere l’isola di Lipari. Feci qui conoscenza con il socialista riformista di Molinella, Paolo Fabbri. Egli scontava la pena di tre anni di reclusione per aver favorito la fuga di Rosselli, Nitti e Lussu. Era una meravigliosa figura di contadino socialista, già braccio destro del leggendario Sindaco di Molinella, all’epoca confinato nell’isola di Ustica. Raggiunta Lipari fui informato della nuova spettacolare impresa «Giustizia e Libertà»: il volo effettuato sulla piazza di Milano