122 AUGUSTO MURRI Del Prof. GIACINTO VIOLA Io Penso Che L'elettissimo Pubblico Al Quale Ho L'onore Di Parlare, in Parte

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122 AUGUSTO MURRI Del Prof. GIACINTO VIOLA Io Penso Che L'elettissimo Pubblico Al Quale Ho L'onore Di Parlare, in Parte [105] - 122 AUGUSTO MURRI COMMEMORAZIONE del Prof. GIACINTO VIOLA ordinario di clinica medica generale 18 Marzo 1933-XII Io penso che l'elettissimo pubblico al quale ho l'onore di parlare, in parte profano alla Medicina, non si attenda da me che mi addentri nella analisi anche sommaria delle opere scientifiche del Grande Clinico, cui è dedicata questa solenne commemorazione. Questa analisi, che sarebbe davvero la più eloquente di tutte le commemorazioni, potrà essere fatta in altra sede. Dovrebbe essere forse un lavoro collettivo degli allievi, di revisione di tutta la produzione del Maestro, che si inizia dal 1868 e va fino al 1924, la quale mettesse in rilievo, al lume dei più recenti progressi della medicina, tutte le verità resistenti al tempo e precorrenti i tempi, che quel Forte afferrò nella morsa dell'intelletto e rese terse e pure nella composta e classica eleganza della sua prosa. Solo allora potrebbe risultare in tutta la sua reale importanza il valore di quell'indirizzo metodologico, al quale dedicò la appassionata fede dell' Insegnante e del Ricercatore, dal primo giorno che salì la Cattedra di Bologna al giorno in cui si spense la luce del Suo pensiero. E neppure io ritengo di dover riepilogare qui la Sua biografia, quale è notissima per molti scritti che su di Lui apparvero in vari momenti della Sua vita ed in morte, a soddisfare una legittima richiesta del pubblico, poiché la Sua alta Personalità destò in Italia costantemente il più vivo interessamento. Forse il grande amore dei suoi due più diletti allievi, Proff. Luigi Silvagni e Antonio Gnudi, che con Lui furono in quotidiano contatto con esemplare fedeltà fino alla Sua morte, forse i Suoi famigliari potranno arricchire la Sua biografia, quale è nota finora al pubblico, col racconto della Sua vita privata, quale appare essere stata così semplice e raccolta, secondo il carattere dell'Uomo e pur così ricca di sentimento ed alta di pensiero, da più di una pagina delle memorie della Figlia Sua: e forse la raccolta della Sua ricchissima corrispondenza privata potrà dirci quali furono i Suoi contatti spirituali colle più alte personalità del tempo Suo, contatti che tanto giovano sempre a illuminare l'intimo carattere di un grande intelletto di fronte ai più diversi problemi della vita e dei tempi. In questa breve ora a me spetta forse più opportunamente di prospettare nelle sue linee principali la figura del Pensatore e del Maestro, quale mi apparve seguendo le linee fondamentali del Suo pensiero attraverso ai Suoi scritti. Mentre io stesso battevo la medesima via della Clinica e dell'insegnamento, ho derivato talvolta dalla Sua chiaroveggenza e dal Suo equilibrio mentale, in alcune questioni generali, quel conforto e quello specchio di verità, nel quale ama ritrovare fede ed incoraggiamento chi per ventura muova i suoi passi, come a me è accaduto, per vie nuove e deserte della ricerca scientifica, per le quali è ancora mal sicura la meta e universale la incomprensione e ostilità del pubblico. Dubbi e sconforti ci assalgono nel lavoro e grande forza si trae in quei momenti dal contatto cogli spiriti eletti, ricchi di sicura esperienza. Per quel conforto ch'io ne ebbi per via e per la grande dignità della tradizione della Clinica Medica di Bologna, che ebbi l'immeritata ventura di raccogliere e che mi è di sprone e di altissimo esempio, è dolce oggi alla mia riconoscenza rievocare del mio Grande Predecessore le opere e le insigni virtù. Ne ciò sarebbe mai possibile se non mettendo in rapporto il periodo della Sua attività col periodo storico che la medicina internazionale attraversava ai tempi Suoi. Una parte notevole della produzione, la più alta e attraente, fu dedicata ai principi direttivi ed al metodo. Non potrei non arrestarmi su questa parte. Essa presenta aspetti molteplici e sempre più vasti: principi e metodo di insegnamento della Clinica; principi e metodo da adottare nella ricerca scientifica; grandi principi correnti nella scienza medica contemporanea, considerati come idee madri conduttrici della evoluzione storica della medicina. Nè mi sarebbe possibile dare un' idea concreta e completa della mentalità del Murri, senza addentrarmi alquanto nell'intimo di codeste idee fondamentali conduttrici, vale a dire dei problemi massimi trattati solo dai sommi maestri e da Lui affrontati con straordinario acume e precisione: ogni argomento minore ci darebbe del Suo intelletto una misura minore. La vetta della Sua attività mentale fu senza dubbio toccata (come sempre avviene) negli anni ancor giovanili e precisamente, secondo me, nel 1881, colle due prolusioni intitolate «Della scienza sperimentale» e «Della teoria cellulare rispetto alla clinica». Esse sono forse le meno citate e conosciute, e se ne comprende agevolmente il perchè. Man mano che il pensatore si eleva nella trattazione di argomenti sempre più comprensivi e dominanti di tutta un'epoca scientifica, sempre più si trova quasi in solitudine, nella rara compagnia di pochi spiriti magni: dai più i fondamenti teoretici della, scienza sono accolti come verità dimostrate. Ma lo spirito profondo sa che l'errore fu commisto mai sempre al vero nella storia delle conoscenze umane e vi è fatalmente commisto anche nel giorno stesso ch'egli pensa e scrive: esso non si acquieta né nell'autorità dei maestri, né nelle più celebrate dottrine. Tutto deve essere perpetuamente riveduto e corretto! Quella assillante preoccupazione del Murri di bene fissare, fin dai primordi del Suo insegnamento in Bologna, i principi direttivi generali; quella insistenza di sempre tornarvi sopra, sia in forma incidentale sia ex professo, durante tutto lo svolgimento della Sua attività, sono il segno sicuro col quale si riconoscono nella Storia della Medicina i condottieri del pensiero. Questo bisogno nasce dal senso di responsabilità e dalla necessità di costruire solidamente per sé e per i propri seguaci, e dalla convinzione che qualsiasi costruzione di dettaglio, cui dedichiamo in particolare la nostra fatica, riposa fatalmente sulla base di qualche dottrina generale e se la base non è sicura, la costruzione prima o poi crollerà, rendendo vano ogni nostro lavoro. Poiché scienza è costruzione, per non fabbricare sulla neve è necessario in tutti i casi darsi una dottrina generale fin dove è possibile sicura: dottrina che uno spirito profondo o crea talvolta da sé o accetta dai tempi, ma mai senza averne riveduta egli stesso la resistenza e averla fortificata nei punti eventualmente manchevoli e chiarita in quelli ancora oscuri, come fu appunto del Murri. Nella seconda metà del secolo scorso, ai tempi giovanili dell'insigne Clinico di Bologna e del resto in gran parte ancora ai tempi nostri, due dottrine, entrambe fertilissime e gloriose per le molte scoperte che avevano promosse, si trovavano fra loro in disaccordo: la patologia cellulare del Virchow e la dottrina batteriologica, che era stata recentemente creata dal genio del Pasteur. La sede della malattia era per il Virchow nella materia vivente, nelle cellule onde è formato ogni organismo. Il carattere speciale di ogni malattia era determinato dal carattere delle cellule che erano cadute in stato morboso; chi « faceva » la malattia, come alterazioni della materia vivente e come alterazioni funzionali, erano le cellule. Importantissimi i batteri come agenti esterni che penetravano nell'organismo e lo perturbavano, ma non prendevano, secondo il Virchow, parte diretta a quelle alterazioni : restavano al di fuori e si limitavano a provocarle. Nè la sede del male, nè la sua natura era da ricercarsi nei batteri. Secondo la dottrina Virchowiana, nella malattia le cellule sono il grande attore, di gran lunga il fattore più importante. Per i batteriologi era tutto l'inverso. Il Klebs, patologo a Praga, batteriologo insigne, già allievo del Virchow e suo principale avversario, affermava che erano i batteri che colla loro specificità determinavano la natura delle malattie, agendo in un modo o nell'altro sulle cellule passive. Erano dessi gli arbitri del processo morboso: in essi era contenuta la ragione essenziale del morbo, che senza di essi non poteva aver luogo e solo per opera loro poteva assumere un determinato carattere. Un uomo ha due ferite dei suoi tegumenti, adduceva il Klebs : una suppura e l'altra non suppura. Questi due differenti caratteri delle ferite non dipendono dalla individualità, perchè l'individuo è il medesimo; non dipendono dalla diversità dei tessuti, perchè essi sono i medesimi. Solo l'intervento o non intervento degli agenti esterni può determinare la natura suppurativa o non suppurativa delle due ferite. Come oggi sappiamo, fondamentalmente le due dottrine avevano entrambe del vero, altrimenti non avrebbero potuto dare frutti così fecondi: dovevano quindi trovare a fortiori un loro punto naturale di conciliazione! Ma esso era così nascosto, che le menti più acute del tempo non seppero vedere codesto punto. Anzi i pionieri delle due correnti alla loro volta caddero in esagerazioni e in errori secondari, i proseliti peggiorarono gli errori dei maestri e ne nacque un groviglio inestricabile, prolungatosi fino ai giorni nostri. Il dualismo creava un disagio grandissimo negli spiriti meno superficiali. Nella medicina applicata, ossia nella Clinica, nella Igiene pubblica, nella Medicina sociale, il disagio si acuiva, perchè passava dal campo dottrinale all'azione pratica. Perchè Augusto Murri portava nella Scuola questi alti problemi, perchè nel formare il modesto medico pratico, compito precipuo che gli spettava, sentiva il bisogno di chiarire le profonde oscurità del pensiero direttivo della medicina moderna? Perchè antivedeva, come fu in effetto, le gravi conseguenze che sarebbero derivate alla stessa pratica medica da quella confusione dottrinale, da quella incertezza di indirizzo, da quel dualismo rimasto inconciliabile. Di fatti, se si concentra tutta la importanza della malattia nelle cellule dell' organismo, mettendo molto in soft' ordine gli agenti esterni, come voleva il Virchow, non si provvede più alla difesa dalle infezioni, alla distruzione degli agenti infettivi nell'ambiente, alla eliminazione delle occasioni della loro diffusione e del nostro contatto con essi.
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