Associazione Culturale Antonella Salvatico Centro Internazionale di Ricerca sui Beni Culturali Sistema Culturale Integrato Langhe Roero Langhe Roero Monferrato

CULTURA MATERIALE - SOCIETA - TERRITORIO

2015 primo e secondo semestre 11

ISSN 2282 - 6173

Anno VI, numero 11 - Pubblicazione semestrale - Autorizzazione del Tribunale di Alba n. 4/2010. Direttore responsabile: Emanuele Forzinetti La Morra - Palazzo Comunale - Via San Martino 1 Associazione Culturale Antonella Salvatico Centro Internazionale di Ricerca sui Beni Culturali Sistema Culturale Integrato Langhe Roero Langhe Roero Monferrato , CULTURA MATERIALE - SOCIETA - TERRITORIO

2015 primo e secondo semestre 11

ISSN 2282 - 6173 Anno VI, numero 11 - Pubblicazione semestrale - Autorizzazione del Tribunale di Alba n. 4/2010. Direttore responsabile: Emanuele Forzinetti Associazione Culturale Antonella Salvatico Centro Internazionale di Ricerca sui Beni Culturali Sistema Culturale Integrato Langhe Roero Langhe Roero Monferrato , CULTURA MATERIALE - SOCIETA - TERRITORIO

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ISSN 2282 - 6173 Anno VI, numero 11 - Pubblicazione semestrale - Autorizzazione del Tribunale di Alba n. 4/2010. Direttore responsabile: Emanuele Forzinetti LANGHE, ROERO, MONFERRATO CULTURA MATERIALE - SOCIETÀ - TERRITORIO

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Periodico on-line dell’Associazione Culturale Antonella Salvatico © Proprietà letteraria riservata

Direttore responsabile: Emanuele Forzinetti. Direttore scientifico: Elisa Panero. Comitato scientifico: Claudia Bonardi, Emanuele Forzinetti, Paolo Gerbaldo, Giuseppe Gullino, Diego Lanzardo, Enrico Lusso, Lorenzo Mamino, Irma Naso, Viviana Moretti. Redazione: Valentina Aimassi, Damiano Cortese, Tiziana Malandrino, Giacomo Ravinale, Paolo Sapienza, Shanti Vattakunnel.

Autorizzazione del Tribunale di Alba n. 4/2010 del 12 marzo 2010 Sede legale: Palazzo Comunale, via San Martino 1, 12064, La Morra (Cuneo) Sede della redazione: via Richeri 1, 12064, La Morra (Cuneo)

In riferimento al Peer Review Process la Rivista si avvale per ogni articolo della valutazione di tre componenti del Comitato scientifico o di componenti esterni che vengono menzionati sul secondo numero di ogni annata

Per comunicazioni: [email protected] Sommario

Editoriale di Emanuele Forzinetti 7 atti della giornata di studi «langhe. quadri storici e intersezioni culturali in un’area di transito» - parte prima 9

I del Carretto e le Langhe tra medioevo ed età moderna di Riccardo Musso 11

L’innovazione scientifica a supporto della ricerca storica. Il caso di Ceva di Monica Volinia e Michele Cocca 85 recensioni 103 rassegna 105

Editoriale

Emanuele Forzinetti

La produzione storiografica relativa ai terri- sul tema «Langhe. Quadri storici e interse- tori delle Langhe si è arricchita negli ultimi zioni culturali in un’area di transito». anni di importanti studi che ne hanno indi- Riccardo Musso, dell’Istituto Internazionale viduato peculiarità e aspetti poco noti. di Studi Liguri, in un intervento assai artico- Sulla loro scia la rivista ospita in questo e nel lato ha individuato i nodi cruciali che hanno prossimo numero gli atti della Giornata di legato i vari rami della famiglia del Carretto Studio tenutasi il 24 novembre 2012 a Che- alle Langhe tra Medioevo ed età moderna. rasco, organizzata dall’Istituto internazio- Monica Volinia e Michele Cocca, del Politec- nale di Studi Liguri - Sezione di Torino, dal nico di Torino, analizzano invece attraverso Centro Internazionale di Studi sugli Insedia- tecnologie innovative alcuni edifici di Ceva menti Medievali di Cherasco, dall’Associa- che, nonostante le notevoli trasformazioni zione Culturale Antonella Salvatico - Centro subite nei secoli, conservano ancora tracce Internazionale di Ricerca sui beni Culturali, dell’originaria struttura medievale.

Atti della Giornata di Studio (Cherasco - 24 novembre 2012)

Langhe Quadri storici e intersezioni culturali in un’area di transito (parte prima)

a cura di Enrico Basso

I del Carretto e le Langhe tra medioevo ed età moderna

Riccardo Musso

La Provincia Langarum Millesimo, Cengio, Bardineto, Rocchetta Ta- naro, Castelnuovo Calcea3. Quando, nel 1703, la coalizione europea Era un guazzabuglio giuridico-diplomatico che si opponeva alle ambizioni egemoni- destinato prevedibilmente a suscitare un che di Luigi XIV sul trono di Spagna cercò vespaio, ma gli sviluppi della guerra di suc- di guadagnarsi la sempre incostante fedeltà cessione di Spagna ne ritardarono gli effetti dei duchi di Savoia, oltre a truppe e denaro fino all’estate del 1708 quando, dopo la vit- offrì al duca Vittorio Amedeo II consisten- toria di Torino e la conquista austriaca dei ti compensi territoriali a spese del ducato possedimenti spagnoli in Italia, le sorti del di Monferrato e soprattutto dello stato di conflitto sembrarono pendere decisamente Milano. Delle terre dell’antico ducato vi- a favore della coalizione antifrancese. Il 7 sconteo-sforzesco vennero allora promessi luglio, infatti, il nuovo imperatore Giusep- al principe sabaudo, oltre alla Lomellina, pe I accettò di investire il principe sabaudo all’Alessandrino e alla val Sesia, anche i dell’Alessandrino, di Valenza, della val Se- feudi delle Langhe che, almeno dalla prima sia e del ducato di Monferrato (da poco con- metà del Quattrocento, nonostante la loro fiscato a Ferdinando Carlo Gonzaga) ma per qualifica di feudi imperiali, dipendevano in quanto riguardava i feudi delle Langhe – ed gran parte dallo stato milanese1. In verità, le è indicativo dell’incertezza in materia – sta- cose – riguardo alle Langhe – non erano così bilì di demandare a un’apposita commissio- semplici. A leggere bene l’articolo XII del ne la definizione di quali tra loro dovessero trattato di alleanza concluso tra l’impera- essere interessati al trasferimento dei diritti tore Leopoldo e Vittorio Amedeo, esse non di superiorità. erano neppure menzionate, né si parlava di Vittorio Amedeo, però, non volle attende- cessione. Nel trattato era infatti stabilito il re oltre e, dopo pochi mesi, intimò a tutti i trasferimento al duca di Savoia soltanto dei feudatari delle Langhe di prestargli il giu- diritti fino allora esercitati dallo stato di Mi- ramento di fedeltà, dando loro tre mesi di lano («omne jus aut exercitium juris quod tempo per farlo. Alcuni si piegarono, altri (i Statui Mediolanensi competere posset») su più) no e, rifiutato di giurare, si appellaro- alcuni feudi già oggetto nel 1690 di una pri- no ai tribunali imperiali, dando inizio a una ma concessione allo stesso duca, poi revoca- battaglia legale che durò quasi trent’anni. ta a causa dell’ondivaga politica di alleanza Al centro delle contestazioni dei feudata- da lui seguita2: concessione, oltre tutto, che ri era lo status giuridico che doveva essere concerneva non già la cessione di diritti, ma attribuito alle loro signorie, in quanto essi solo della possibilità di acquistare la «me- rigettavano decisamente la teoria secondo diam superioritatem» su alcune terre delle la quale esse fossero giuridicamente legate Langhe, tra cui Cairo, Spigno, Gorzegno, allo stato di Milano, affermando al contrario

«langhe, roero, monferrato. cultura materiale - società - territorio», anno vi, n. 11 (2015) - ISSN 2282-6173 I del Carretto e le Langhe tra medioevo ed età moderna saggi

Fig. 1. Assetto geopolitico delle Langhe alla metà del XVI secolo che i loro feudi avevano sempre appartenu- negli ultimi decenni del secolo precedente to a pieno titolo al Sacro Romano Impero4. non aveva fatto altro che favorire e raffor- Non era una questione da poco. Dalla prima zare, tanto che la cancelleria di Vienna non metà del XV secolo era indubbio che qua- era molto lontana dal vero quando indicava si tutti i feudi delle Langhe erano stati più quei lontani territori sotto il nome collettivo o meno costretti a legarsi al ducato di Mi- di «provincia imperiale delle Langhe». lano da un rapporto o di vassallaggio o di Si vennero pertanto a creare due fronti op- semplice aderenza, che si era protratto nel posti. Uno, sostenuto dai feudatari, che ne- tempo anche dopo che in Lombardia era gava ogni passata dipendenza dallo stato subentrata la Spagna e che non era cessato di Milano, e l’altro, di segno contrario, fat- neppure dopo la proibizione delle aderen- to proprio dalla corte di Torino. Su questo ze, voluta da Leopoldo I nel 1687. Era anche tema furono versati fiumi di inchiostro e vero però che, almeno dalla seconda metà comparvero decine e decine di memoriali, del XVI secolo, si era venuta affermando per opuscoli e fogli a stampa a sostegno dell’u- alcuni feudi, sia pure faticosamente e con na o dell’altra tesi, senza peraltro venire a continui compromessi con il governo spa- capo del problema anche se, all’atto pratico gnolo di Milano e i re cattolici, una forma di i feudatari riuscirono nel loro intento, per- diretta dipendenza dall’impero che l’ascesa ché ogni decisione venne rimandata a una politica del ramo austriaco degli Asburgo conferenza diplomatica che per lungaggini

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varie non fu mai convocata. Così che, sia con i vassalli langaschi, la quale affermava pure in uno stato di precaria provvisorie- perentoriamente che il nome Langhe deri- tà (e con alcune significative decurtazioni) vava «non ex Provincia (nulla enim est nec le Langhe rimasero “imperiali” ancora per fuit sic denominata) sed ex eorum situ in quasi un trentennio, fino a che i preliminari locis desertis de quibus loquitur Otto Impe- della pace di Vienna del 1735 non sanciro- rator in concessione Aledramo facta», come no la loro definitiva sottomissione ai Savoia, del resto confermato – a suo dire – dal fatto nel frattempo divenuti re di Sardegna5. che il termine Langa, in volgare, altro non si- Quel che qui ci interessa, tuttavia, non sono gnificasse che «loca deserta», che i francesi gli aspetti giuridico-diplomatici legati a traducevano con Landes8. questa controversia, quanto il fatto che tra La posizione sabauda, escludendo l’esisten- i numerosi temi che emersero nel corso di za di una provincia Langarum e vincolando il essa, vi fu anche – seppure trattato margi- termine all’origine aleramica, più che a con- nalmente – quello relativo a cosa si dovesse siderazioni storiche rispondeva probabil- intendere per Langhe. Storicamente, oggi mente a un criterio utilitaristico, in quanto sappiamo che questa denominazione com- forniva una giustificazione alle rivendica- pare per la prima volta sul finire del XIII se- zioni su feudi che, come quelli della Riviera colo, quando era così indicata l’alta valle del di Ponente o dell’Ovadese, con le Langhe Belbo e, in generale, il territorio montuoso a non c’entravano nulla, ma che potevano sud di Alba, verso il crinale appenninico e avere comunque lontani addentellati “ale- la costa ligure6. Rispetto a questa originaria ramici”9. Diversa invece l’interpretazione delimitazione, il termine si era però andato dei diretti interessati, cioè dei feudatari del- in seguito ampliando, tanto che nel 1680 il le Langhe e, attraverso di loro, della cancel- segretario del Senato di Milano, Carlo Ma- leria imperiale10. Per essi una provincia Lan- rio Maggi, aveva definito con tale nome garum esisteva eccome e derivava il proprio tutta la «regio montana ab hac provinciam nome non dai «desertis locis» di ottoniana Alexandrinam tendens Finarium, a dexte- memoria, ma «a Langasco vetustissimo op- ram habens Hastam, Cherascum, Albam pido» e, significativamente, veniva colloca- et Cevam civitates Pedemontium, ad sini- ta dal punto di vista geografico in Liguria, stram Novam, Gavium, Ovadam et inferi- un po’ perché si trattava di terre storica- us Savonam, Reipublicae Genuensis»7. Si mente ed etnograficamente liguri (non fosse trattava, a ben vedere, di una definizione in altro per il ricordo degli antichi Liguri) ma certo qual modo ad excludendum, che defini- anche per evidenziare l’estraneità delle Lan- va il territorio non a partire dai luoghi che ghe rispetto al contesto piemontese, ormai lo componevano, ma da quelli, esterni, che dominio dei Savoia11. Per quanto riguarda lo delimitavano. Le Langhe, in altre parole, l’estensione del territorio, peraltro, i feuda- sembravano quasi, nelle parole del segreta- tari restavano nel vago: «inter Appennini rio milanese, essere un vuoto, una zona gri- montes usque in planitiem et Aquas Statiel- gia e questo, se vogliamo, sembrava quasi las», cioè tra gli Appennini e la pianura ver- volerle ricollegare alla loro origine, a quei so Acqui; erano invece più precisi nell’indi- «loca deserta» che erano stati oggetto, nel care come comprese in esso quattro vallate 967, della donazione di Ottone I al marchese (le due Bormide, l’Uzzone e il Belbo) e ben Aleramo, capostipite non solo dei marchesi centosessanta feudi12. Era, quest’ultimo, un di Monferrato, ma anche di quelli di , numero buttato giù un po’ a caso, forse con- di Clavesana, di Ceva, del Bosco, di Ponzo- teggiando per feudi anche casali e masserie ne, di Busca, d’Incisa. Ce lo dice chiaramen- compresi in complessi feudali più grandi e te una memoria prodotta dalla corte di Tori- soprattutto signorie – come le già ricorda- no intorno al 1710, nel pieno della polemica te del Ponente ligure o dell’Ovadese – che

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Fig. 2. Una rappresentazione delle Langhe di fine Seicento, secondo l’ottica dei suoi signori feudali (Archi- vio Storico Ingauno di Albenga) poco avevano a che fare con le Langhe come genovese possedevano tra Acqui, Ovada e le intendiamo oggi o che dipendevano non Novi14. I feudi oggetto nel 1690 della conces- direttamente dall’impero, ma dal Monferra- sione imperiale al duca Vittorio Amedeo II to o dalla contea d’Asti. Centosessanta era erano invece quarantuno15, e questi furono però un numero che doveva dare un’idea quelli che, più o meno, furono protagonisti dell’estensione e dell’importanza strategica delle vicende di inizio XVIII secolo cui si è di questo territorio, definito con una certa prima accennato16. Si deve però notare che, esagerazione «frenum Pedemontis et Ge- nel computo generale, la denominazione di nuensium»13. “feudi delle Langhe” era applicata, come I feudi erano in realtà assai meno. Una nota detto, anche a feudi che in realtà apparte- di fine Cinquecento conservata all’Archivio nevano ad altre entità statali. Tanta incer- di Stato di Milano definiva infatti «Terre tezza trova però una possibile spiegazione delle Langhe», feudali o aderenti allo stato ove si consideri che, almeno nell’uso delle di Milano, ben novantun feudi ma di questi cancellerie, il termine Langhe fu utilizzato solo quarantaquattro erano situati in quelle per identificare un certo tipo di feudo ap- che oggi definiamo tali, visto che nella lista penninico, economicamente povero ma po- figuravano anche – per citarne solo alcuni tenzialmente importante dal punto di vista - Oneglia, Dolceacqua, Zuccarello, Sassel- strategico per la sua collocazione lungo le lo, la Rocca d’Arazzo o Mombercelli, o le vie di comunicazione tra la Liguria e la pia- signorie che grandi famiglie della nobiltà nura padana. Ne è prova il fatto che erano

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definiti con questo nome anche alcuni feudi (come fu chiamata) mirava anch’essa, come dell’Oltrepò pavese posti nell’alta val Tido- quella cebana, «ad conservationem unionis ne e nella val Staffora, indicati con il nome et tranquillitatis status ipsorum dominorum di Langhe Vermensi o Langhe Malaspina marchionum», proponendosi sia come luo- dal nome delle famiglie feudali – dal Ver- go di composizione dei frequenti contrasti me e, appunto Malaspina – che ne avevano interni sia come sede di discussione dei co- il dominio17. muni problemi e dei rapporti con principi e comunità circostanti, in modo da garantire Quali che fossero l’estensione geografica ai propri membri reciproco aiuto e protezio- delle Langhe o l’origine del nome è tuttavia ne. A tale scopo la lega si dotò di un ordi- importante notare come i suoi feudatari, al di namento che prevedeva, oltre al consiglio là delle reciproche inimicizie e gelosie e dei generale di tutti i consorti che si teneva an- legami con i diversi stati cui erano stati ob- nualmente in uno dei castelli del consortile, bligati nel corso dei secoli, manifestarono da la figura di un capitano (presumibilmente sempre un forte spirito “di corpo”. Ciò era scelto a turno per un anno tra i tre terzieri di dovuto certamente al fatto che, in origine, si Finale, Millesimo e Novello), di un consiglio trattava di signorie che appartenevano tutte ristretto, di un vicario generale giurisperito ai diversi rami dei marchesi di Savona, i del e di un tesoriere21. La confederazione si al- Carretto, di ceppo aleramico; quando però largò, almeno negli anni sessanta del Quat- nella prima metà del XIV secolo in quest’a- trocento, anche agli Scarampi («lyga domo- rea geografica si inserirono tra loro gli asti- rum de Carretto et de Scarampis»)22, con giani Scarampi (famiglia di banchieri e priva conseguente sdoppiamento dei capitani, ma di ascendenze feudali) anch’essi finirono nel essa dovette entrare in crisi già sul finire del giro di qualche generazione con l’integrarsi secolo, giacché se ne perde completamen- perfettamente con i loro predecessori e vici- te traccia, almeno nella documentazione a ni. Così che, quando si parlava di “signori oggi conosciuta. Una possibile spiegazione delle Langhe” in generale, si intendevano di ciò potrebbe essere che, proprio in quegli immediatamente tanto i del Carretto che anni, divenne preponderante l’influenza su gli Scarampi, giacché furono modestissime, tutti i Carrettini e sugli Scarampi dei mar- fino a Settecento inoltrato, le intromissioni in chesi di Finale, da sempre la più ricca e po- questa area geografica di altre famiglie18. tente branca del lignaggio, in grado di man- Espressione di questo sentimento comuni- tenere rapporti diretti e privilegiati non solo tario fu la nascita, almeno dal XV secolo, di con i Paleologi, i Visconti e gli Sforza, ma una lega organizzata di tutti i signori delle anche con i re di Francia e, almeno dalla fine Langhe, senza alcuna relazione con le di- degli anni ottanta del Quattrocento, bene in- pendenze feudali o d’aderenza con i vari trodotti anche alla corte pontificia grazie ai stati circostanti. Sebbene non si possa esclu- legami (anche familiari) instaurati con papa dere l’esistenza di precedenti esperienze di Innocenzo VIII Cibo e poi con Giulio II della tipo consortile, la prima testimonianza di Rovere. A coronamento della crescente im- una confoederatio tra i del Carretto risale agli portanza di questo ramo della famiglia, nel inizi del 144119. Da quel poco che si può sa- 1496 l’imperatore Massimiliano concesse ad pere (non conoscendosene al momento ca- Alfonso I del Carretto il titolo di vicario im- pitoli o statuti) essa aveva scopi e istituzioni periale perpetuo per i marchesati di Savona non molto dissimili da quella istituita non e Clavesana, insieme a tutta una serie di pri- molti anni prima, nel 1408, dai marchesi di vilegi onorifici23. Il predominio dei marchesi Ceva20, casato – sia detto per inciso – che con di Finale su tutto il consortile – testimonia- i del Carretto aveva stretti legami di paren- to anche in quegli anni dal cardinalato del tela, continuamente rinnovati. L’Inclita Lega marchese Carlo e della nomina a gran mae-

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stro di Rodi di suo fratello Fabrizio24 – andò sangue dei signori di Bologna e degli Sfor- ulteriormente rafforzandosi nel secondo za30. Il suo matrimonio con il marchese Gio- quarto del XVI secolo dopo il matrimonio vanni II, celebrato in Milano nel 1523, fu in della vedova del marchese Alfonso, Peretta certo qual modo il coronamento dell’ascesa Cibo Usodimare (nipote di papa Innocenzo sociale che i del Carretto finalesi avevano VIII), con Andrea Doria, che divenne così avuto nel corso degli anni; una scalata che, anche patrono e patrocinatore del figliastro sul piano cerimoniale, trovò la sua consa- Giovanni II e dei suoi fratelli. Sotto questa crazione nel rango che venne riconosciuto importante protezione, che conduceva di- al giovane marchese nelle cerimonie che rettamente all’imperatore Carlo V, i mar- accompagnarono, nel febbraio 1530, l’inco- chesi di Finale poterono attuare una forte e ronazione a Bologna dell’imperatore Carlo aggressiva politica di espansione territoriale V, alle quali egli comparve con grande fasto condotta in direzione sia delle terre posse- «come capo di casa Carretta, accompagna- dute da rami minori del consortile carrette- to da molti conti e signori della famiglia e sco sia soprattutto del marchesato di Ceva, da vicini e amici Marchesi di Ceva e Signori del cui capitanato si impadronirono manu di Casa Scarampa»31. La sua precoce morte, militari, tenendolo per parecchi anni25. avvenuta per le ferite riportate durante la Questi acquisti territoriali fecero del domi- spedizione di Tunisi (1535) non interruppe nio dei marchesi di Finale un vero e proprio nell’immediato il predominio “finalese”. Il stato (non a caso sotto il governo del mar- figlio Alfonso II continuò infatti ad amplia- chese Alfonso II comparve anche la dicitura re i propri domini e ad accrescere il proprio ufficiale «Stato di Finale») di dimensioni non prestigio tra i principi italiani (e non solo), disprezzabili, unificato dal favore di Carlo V ma la sua politica tirannica lo mise in rot- sotto la diretta superiorità feudale dell’im- ta con i suoi sudditi che, nel 1558 (e poi nel pero e nel quale, seppure in forma embrio- 1566) gli si ribellarono, ottenendo in loro fa- nale, si andarono introducendo ordinamenti vore l’intervento della repubblica di Geno- giudiziari e militari in linea con quanto an- va. La lunga controversia che si aprì allora davano facendo gli altri principi rinascimen- sulla sorte del Finale, destinata a durare per tali26. Al tempo stesso le sale del castello di oltre cinquant’anni, andò complicandosi per Finale e delle loro altre residenze di l’interessato intervento dei duchi di Savoia e Saliceto, ricordate da testimoni del tempo e dei governatori di Milano che, sostenen- sontuosamente arredate con ricche tappez- do occultamente i ribelli nella speranza di zerie e suppellettili di pregio27, furono teatro mettere piede nel marchesato, fecero fallire i di una vita cortigiana frequentata da nobili ripetuti tentativi imperiali di restaurare l’au- liguri, piemontesi e lombardi, facendone al- torità del marchese. Sebbene costretto all’e- trettanti poli d’attrazione per la nobiltà feu- silio e privato di gran parte delle sue entrate, dale delle Langhe, che vi accorreva non solo Alfonso II continuò tuttavia a essere consi- per cercarvi protezione o semplicemente di- derato il capo naturale di tutta la feudalità strazioni cortigiane28, ma anche per collocar- delle Langhe anche perché, nonostante le vi i propri figli affinché vi potessero ricevere difficoltà in cui si dibatteva, egli riuscì ad ac- un’adeguata educazione29. A determinare il quisire grande credito fra i principi tedeschi “tono” della corte di Finale nei primi decen- e i funzionari di corte, tanto da ottenere nel ni del Cinquecento furono certamente le due 1564 dall’imperatore Ferdinando I il titolo di gran dame che vi si stabilirono quali mogli principe del Sacro Romano Impero trasmis- dei marchesi al potere: Peretta Cibo Usodi- sibile ai discendenti, oltre alla conferma del mare, cresciuta nella fastosa Roma dell’avo vicariato imperiale e a nuovi privilegi32. Innocenzo VIII e dei Borgia, e ancor più Gi- Questi riconoscimenti non servirono a far- nevra Bentivoglio, nelle cui vene scorreva il gli riavere il suo e, anzi, le sue speranze di

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Fig. 3. Finalborgo con, sullo sfondo, la fortezza rientrare in possesso dei propri feudi anda- possesso del marchesato. Cosa che sarebbe rono progressivamente spegnendosi, specie riuscita a fare nel 160234. dopo che nel 1571 il duca di Albuquerque, Il colpo di mano spagnolo su Finale non governatore di Milano, fece occupare mili- era né il primo né l’ultimo. Già nel 1551 gli tarmente il castello di Finale con la scusa di spagnoli – teoricamente agendo per conto prevenire un’azione francese33. L’occupa- dell’impero – erano intervenuti militarmen- zione, duramente contestata dall’imperato- te per porre fine a disordini tra feudatari e re Massimiliano II, cessò formalmente due vassalli a Prunetto, e la stessa cosa era av- anni dopo grazie a un compromesso che venuta a Spigno nel 1561, a Zuccarello nel introduceva nel presidio del castello soldati 1567, a Stellanello, nella Riviera, nel 156835. tedeschi ma al soldo del re cattolico e sotto Il timore che queste azioni si ripetessero ai il comando di un capitano spagnolo, mentre loro danni, spinse nel 1577 numerosi signo- a governare il marchesato furono inviati dei ri delle Langhe a dare vita a una congiura commissari imperiali, nell’attesa che si cre- per eliminare il governatore di Milano mar- assero le condizioni per un ritorno del Finale chese di Ayamonte, in collegamento con sotto il suo antico padrone. I sudditi ribelli altri gentiluomini lombardi, facenti capo al continuarono tuttavia ostinatamente a rifiu- capitano Pompeo Speciano, legato all’en- tare ogni accordo, giungendo addirittura a tourage del cardinale Borromeo, con cui il dare vita a una curiosa forma di governo governatore era in rotta aperta36. Sulla base provvisorio, di segno popolare e fortemente delle scarse notizie rimasteci, intenzione dei militarizzato, che riuscì di fatto a isolare e congiurati milanesi, stanchi del pesante fi- in pratica a esautorare i rappresentanti ce- scalismo spagnolo, doveva essere quella sarei con il segreto sostegno della Spagna, di restaurare la repubblica ambrosiana; da ormai fermamente determinata a entrare in parte loro i signori delle Langhe avrebbero

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voluto dar vita a una confederazione di feu- di Milano – che tra i del Carretto andò pren- datari sotto la diretta dipendenza dell’im- dendo sempre più vigore, nel corso della pero, conservando comunque un vincolo seconda metà del XVI secolo un forte senti- di tipo “svizzero” con Milano. La congiura, mento di appartenenza al Sacro Romano Im- in parte finanziata dal granduca Francesco pero, visto come il naturale protettore nelle de’ Medici, fu però smascherata prima an- contese con i loro più potenti vicini. Era un cora di mettersi in moto e a farne le spese legame di antichissima data, che traeva ori- fu il conte di Millesimo Nicolò del Carretto, gine dal modo stesso in cui si erano forma- il più compromesso di tutti, il quale vide il te le signorie aleramiche, ma anche da una suo castello occupato e la sua famiglia ol- consolidata tradizione genealogica che col- traggiata e incarcerata per mano degli spa- legava tutte le varie stirpi discese dal mar- gnoli, riuscendo a recuperare i suoi beni, e chese Aleramo a una duplice discendenza faticosamente, solo dopo alcuni anni37 . dalla «Imperiale et reale Casa di Sassonia». Questo episodio, che meriterebbe indagini Secondo quella che era divenuta una vera e più serie e accurate, al di là di considerazioni propria leggenda di famiglia, infatti, il “pri- di politica generale sui rapporti tra la nobiltà mo marchese” non solo avrebbe sposato in italiana e la monarchia iberica, è comunque seconde nozze (dopo Gerberga, figlia di re indicativo di come permanesse forte, tra i Berengario II) Adelasia, figlia di un non ben feudatari delle Langhe, un sentimento co- precisato imperatore Ottone (primo o forse munitario, probabilmente osteggiato dalle secondo), ma avrebbe posseduto egli stesso autorità spagnole. Per quel che si sa, progetti sangue reale per essere disceso da una bran- di questo tipo non vennero in seguito rispol- ca dei duchi di Sassonia che, «risalendo per li verati, ma una certa comunità di intenti tra rami», conduceva a Vitichindo, il re dei Sas- i vari signori si conservò anche nei decenni soni rivale di Carlomagno: il che consentiva successivi38. Tuttavia, dopo l’estinzione nel ai del Carretto di rivendicare una qualche 1602 dei marchesi di Finale, venne a man- consanguineità con le più illustri casate eu- care un punto di riferimento per il resto del ropee, a cominciare – oltre che dai Wettin – consortile, anche perché la loro scomparsa e dai Capetingi per finire ai re di Danimarca40. le vicissitudini legate alla sorte del marche- La critica storiografica ha provveduto da sato di Zuccarello39, portarono a un’accen- tempo a fare giustizia di tutte queste fanta- tuazione delle rivalità da sempre esistenti siose genealogie “incredibili”41, dimostran- tra le varie branche della famiglia, tanto più do come il marchese Aleramo non fosse né che si fece sempre più pressante e invasiva di origine sassone né avesse mai sposato una la pressione esercitata dai duchi di Savoia principessa Adelasia di stirpe ottoniana, at- che, grazie al possesso del contado d’Asti, tribuendogli piuttosto un’origine transalpi- erano divenuti ora superiori feudali di sva- na42. In entrambi i casi si trattava comunque riati signori langaschi, nei confronti dei quali di tradizioni assai antiche che, seppure in avevano avviato un’autentica offensiva di- forma diversa, circolavano già nel Trecento plomatica per farli passare sotto la propria per opera di diversi autori (a cominciare da influenza, sia offrendo pensioni e uffici mi- Jacopo d’Acqui e Galvano Fiamma)43 e che litari e di corte, sia usando le maniere forti. avevano trovato una definitiva consacrazio- ne nel XVI secolo, quando erano state dif- fuse tra il grande pubblico grazie a opere a I “marchesi di Savona” stampa come le Novelle di Matteo Bandello44 o gli scritti di intellettuali di fama quali Luca Fu soprattutto sotto la stretta sabauda – e Contile, Iacopo Ruscelli e Francesco Sanso- quella non meno forte dei Gonzaga di Mon- vino45. Se per quanto riguardava il Bandel- ferrato e delle autorità spagnole dello stato lo, l’inserimento della vicenda di Aleramo

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e Adelasia nella sua raccolta di racconti era probabilmente dovuta all’antica frequenta- zione con il marchese Giovanni II del Car- retto e la moglie Ginevra Bentivoglio, negli altri casi si trattava di un’abile mossa pro- pagandistica messa in atto dal figlio della coppia, il marchese Alfonso II, nel quadro della lunga battaglia diplomatica che per decenni aveva dovuto affrontare in difesa dei propri diritti su Finale alla corte asburgi- ca. Sia il Sansovino sia il Ruscelli e il Contile furono infatti espressamente invitati (e per questo pagati) dal marchese a voler inserire nelle loro opere alcune pagine dedicate alla propria famiglia46; né egli si fermò a questi autori, perché vennero contattati negli stes- si anni, sempre al fine dell’esaltazione della “Casa Carretta”, anche altri famosi intellet- tuali del tempo quali Ascanio Centorio degli Ortensi, Giovanni Vendramin («il cavalier Vendramino») e Francesco Patrizi, tra i qua- Fig. 4. Alfonso II del Carretto, principe del Sacro li devono essere probabilmente identificati Romano Impero e marchese di Finale (coll. privata) gli autori sia di una breve biografia enco- miastica dello stesso marchese, sia una Isto- di Ceva), non per questo aveva poi tollerato ria dei marchesi di Finale (il titolo è postumo), intromissioni sabaude nell’amministrazio- entrambe scritte in latino e rimaste inedite47. ne dei suoi domini, soprattutto in materia Rivendicando l’origine sassone della pro- giurisdizionale, facendosi forte dei privilegi pria casata, Alfonso mirava non soltanto a concessigli a suo tempo da Carlo V. Ne era rafforzare la propria posizione davanti ai nato un contenzioso giudiziario che, arric- principi tedeschi, così da ottenerne il so- chendosi di nuove accuse e tra confische di stegno alla corte cesarea, ma anche (e forse feudi e temporanee restituzioni, era appro- soprattutto) a guadagnare punti nella con- dato davanti all’imperatore nel bel mezzo troversia che lo opponeva al suo nemico delle rivolte del Finale alle quali (in partico- più insidioso, e cioè al duca Emanuele Fi- lare alla seconda, nel 1566) il duca aveva del liberto di Savoia che, fin dal suo ristabili- resto dato il suo contributo armando i ribelli mento alla guida dello stato sabaudo, aveva e inviando le sue milizie a sostenerli49. identificato nel marchese di Finale, signore L’ascendenza sassone rivestiva, in questo di gran parte del marchesato di Ceva, un contesto, particolare rilevanza, poiché an- elemento di disturbo per la sua politica di dava a parificare in qualche modo il del rafforzamento dell’autorità ducale a scapito Carretto al duca di Savoia, almeno sul pia- del potere feudale, nella speranza recondi- no genealogico. Proprio in quegli anni, in- ta d’impadronirsi del suo stato48. Alfonso, fatti, Emanuele Filiberto aveva ripreso la da parte sua, aveva fatto ben poco per in- fantasiosa genealogia costruita ai tempi di graziarsi il duca, giacché si era subito di- Amedeo VIII da Jean d’Orville, secondo cui mostrato un vassallo riottoso che, se aveva capostipite dei Savoia sarebbe stato un duca accettato senza opposizioni di rinnovare le Beroldo di Sassonia, nipote dell’imperatore investiture dei feudi dipendenti dal conta- Ottone III, protagonista di una leggenda che do d’Asti (quali erano quelli del marchesato aveva alcuni punti in comune con quella di

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Aleramo, entrambi costretti dall’ingratitu- gio di Brandeburgo (anch’egli disceso dalla dine imperiale a girare raminghi per l’Italia casa di Wettin) vollero riconoscere ad Alfon- settentrionale prima di vedere riconosciuti i so del Carretto, menzionando espressamen- propri meriti50. Durante il regno di Emanue- te i vincoli di “consanguineità” esistenti tra le Filiberto questa ascendenza, che grande le loro casate54: riconoscimenti che si tradus- fortuna aveva avuto per tutto il XV secolo, sero sul piano pratico in un costante soste- si andò arricchendo di ulteriori particolari gno, alla dieta come nei tribunali imperiali, e soprattutto il letterato savoiardo Philibert delle ragioni dell’ormai principe di Finale55. de Pingon riuscì a collegare il duca Berol- Quanto ottenuto da Alfonso II dagli impe- do alla figura di re Vitichindo, nobilitando ratori e dai principi tedeschi, sebbene di- ulteriormente la casa sabauda51. A testimo- retto principalmente a gloria del ramo dei nianza di quanto contassero per il duca le marchesi di Finale, andò a beneficio un po’ origini sassoni, egli volle addirittura modifi- di tutti i del Carretto, che non a caso, gra- care lo stemma avito della dinastia, inseren- zie alle sue entrature e alla sua protezione, do la croce sabauda al centro di uno scudo cominciarono a frequentare le corti di Vien- inquartato in cui, tra le armi dei ducati del na e di Praga, riuscendo nel giro di una ge- Chiablese e di Aosta, figuravano al posto nerazione a ottenervi pensioni e incarichi e d’onore le sbarre nero-oro e il cavallo d’ar- addirittura a stabilirvi un ramo della fami- gento in campo rosso (il Sachsenroß) della glia, a lungo titolare di castelli e baronie in casa di Sassonia. Tutto questo avvenne più o Boemia. Se ciò fu possibile fu grazie anche a meno in contemporanea con quanto andava queste remote origine germaniche, alle quali operando il marchese Alfonso che, già lo si tutti finirono con il credere in perfetta buo- è detto, proprio grazie a queste ascendenze na fede, benché, passando dal ramo “prin- germaniche e alla fedeltà sempre dimostra- cipesco” di Finale a quelli ben più modesti ta dai suoi antenati verso la causa ghibellina dei signori delle Langhe, le precise genea- e imperiale, nel 1564 aveva ottenuto il di- logie ricostruite con pazienza, erudizione e ploma che lo nominava principe del Sacro grande fantasia dagli studiosi al soldo del Romano Impero, confermandolo nel titolo principe Alfonso finivano con il confonder- di vicario perpetuo per i marchesati di Savo- si in un caotico guazzabuglio anacronistico na e di Clavesana, concesso nel 1496 al suo di nomi, mescolando a casaccio (e forse a omonimo avo52. Né era tutto, perché l’impe- orecchio) re e principi vissuti in secoli lonta- ratore Ferdinando, accogliendo in parte una ni56. Ne è un bell’esempio l’arbore genealogico richiesta analoga a quella del duca di Savo- ricostruito a metà Seicento da Valerio del ia, volle concedergli (sia pure in un secondo Carretto di Novello, il quale si vantava di tempo) di poter “inquartare” il suo stemma discendere da «Guido Principe di Sassonia, con il cavallo di Sassonia, anche se «non con marito di Alasia figliola di Pipino re d’Ita- le sbarre», come Alfonso avrebbe voluto53. lia, nipote di Carlo Magno, pronipote di Vi- Questi riconoscimenti avvennero, come del tichindo il grande, cognato di Bernardo re resto per il principe sabaudo, senza alcuna de’ Logombardi (sic), capitano generale di opposizione da parte della casa ducale sas- Santa Romana Chiesa e di Lodovico primo sone, in parte lusingata da tante attenzioni imperatore»57. Genealogie “incredibili” (al- ma soprattutto interessata a instaurare le- meno per come intese dal bellissimo studio gami dinastici che potevano sempre venire di Bizzochi) non meno di quelle di Alfonso buoni in futuro, fornendo magari appiglio a del Carretto ma che in definitiva ebbero as- qualche nuova pretensione su questo o quel sai più valenza che non le reali origini della territorio. A dimostrazione di ciò vanno ri- famiglia che, contrariamente alle certezze cordati gli attestati di stima che sia il duca dei genealogisti rinascimentali, presentano Augusto di Sassonia, sia l’elettore Gian Gior- fino al XII secolo molti punti oscuri.

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Sul tema delle origini degli Aleramici si è as- effetti mai esistita, se non forse sotto forma sai dibattuto da almeno due secoli a questa di una circoscrizione straordinaria che, per parte, ma in base alla più recente critica pro- motivi militari e d’emergenza, riuniva in sopografica si può affermare con una certa via provvisoria più comitati e territori sotto sicurezza che essi fossero discendenti da un un’unica autorità61. conte Guglielmo, di legge salica, venuto in Su quali fossero questi comitati molto si è Italia forse con re Rodolfo di Borgogna nel- discusso. Pare probabile tuttavia che Ale- la prima metà del X secolo e titolare di un ramo (e quasi certamente i suoi immediati non ben definito comitato all’interno del re- discendenti) dovette essere in qualche modo gno italico nonché possessore di numerosi investito dal potere regio e imperiale quanto beni sparsi tra Piemonte e Liguria58. Suo fi- meno del comitato di Vado-Savona, dove nel glio Aleramo, anch’egli designato negli atti 1004 troviamo i nipoti Guglielmo e Oberto come conte, seppe abilmente destreggiarsi presiedere congiuntamente un placito quali nelle lotte che sconvolsero il regno militan- «comites et marchiones»; lo stesso dovette do dapprima al seguito dei re Ugo e Lota- avvenire per il comitato di Acqui (anche se rio e, dopo la scomparsa di quest’ultimo, la città ricadeva sotto la giurisdizione del passando al servizio di Berengario II, di cui proprio vescovo), mentre assai meno sicu- sposò in seconde nozze la figlia Gerberga, ro sembra essere l’esercizio da parte degli ottenendo da lui il titolo di marchese intor- Aleramici di funzioni pubbliche, almeno nel no al 945. A quali ambiti territoriali fosse X-XI secolo, in quello che sarà poi definito collegata la dignità marchionale (come del Monferrato62. Patrimoni e poteri di banno resto quella comitale) non è dato sapere, ma vennero gestiti collettivamente dai discen- la donazione fatta al monastero di Grazza- denti di Aleramo fino ai primi del XII secolo no nel 961, mostra come a quell’epoca il suo quando – pur nell’oscurità di molti passag- patrimonio fosse concentrato soprattutto gi genealogici – cominciarono a formarsi nella cosiddetta iudiciaria Torrensis, da cui i primi rami distinti della grande famiglia si sarebbe in seguito costituito il Monferra- aleramica, ben radicati in determinate aree e to59. A questi beni si aggiunsero nel 967 le apparentemente autonomi gli uni dagli altri. sedici corti regie situate «in desertis locis Primi tra questi furono i marchesi di Sezza- consistentes a flumine Tanari usque ad flu- dio (discesi da Oberto di Anselmo di Alera- men Urbam et litus maris», oggetto della mo), estintisi ben presto63, seguiti di lì a poco celebre donazione dall’imperatore Ottone dai marchesi del Bosco, da cui sarebbero poi I in ricompensa dell’ennesimo suo cambia- discesi i marchesi di Ponzone64; nello stesso mento di campo, insieme alla conferma di tempo, tra il Tanaro e il Po, si radicarono i tutti i suoi precedenti beni sparsi tra i comi- marchesi di Occimiano (forse discesi a loro tati di Acqui, Savona, Asti, Torino, Parma, volta dai signori di Sezzadio) e quelli che sa- Vercelli, Cremona e Bergamo60. Per effetto rebbero divenuti i marchesi di Monferrato, il di questo diploma il marchese Aleramo, or- cui primo esponente a portare questo titolo mai inserito a pieno titolo nelle più alte sfe- fu un Rainerio, vissuto intorno al terzo de- re dell’ufficialità imperiale, venne a esten- cennio del XII secolo e probabilmente disce- dere il proprio dominio su un’area in cui so da Oddone di Aleramo65. non aveva avuto fino allora una consistente Gli Aleramici che qui ci interessano – quel- presenza patrimoniale, ma sulla quale, sia li che si sarebbero poi detti marchesi di Sa- lui sia i suoi immediati discendenti, riusci- vona – non sono però questi, ma altri, il cui rono a imporre una signoria di banno, non capostipite deve essere ravvisato in Tete necessariamente legata all’esercizio di una (nome che ritroveremo spesso tra i del Car- funzione pubblica. Sembrerebbe infatti che retto), proveniente – sembrerebbe - non dal- una “marca” aleramica come tale non sia in la linea “oddoniana” come i Monferrato, ma

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da quella di Anselmo di Aleramo, come i parti, da cui si formarono altrettanti “mar- Bosco e i Ponzone, anche se la sua paternità chesati”, detti successivamente di Saluzzo, è oggetto da secoli di lunghe discussioni66. di Busca, di Ceva, di Clavesana, di Corte- Tete, che avrebbe ereditato i beni e le giuri- milia, di Savona e d’Incisa, anche se fino sdizioni situate nella parte sud-occidentale alla prima metà del XIII secolo essi conti- della “marca” aleramica, tra il litorale savo- nuarono a portare, agendo collettivamente nese e il territorio compreso tra le Bormide come consortile, il titolo di «marchiones de di Spigno e di Millesimo, sposò Berta, figlia Guasto»71. Titolare della parte che avrebbe di Olderico Manfredi, marchese di Torino e in seguito costituito il cosiddetto marche- sorella della più celebre Adelaide “di Susa”, sato di Savona fu Enrico, probabilmente così che al disintegrarsi della marca ardui- quintogenito del marchese Bonifacio, già nica seguito alla morte di questa (1091), il maggiorenne nel testamento paterno del figlio Bonifacio poté contendere agli altri 1125, il quale fu inizialmente indicato con pretendenti l’eredità della zia, riuscendo a il nome de Laureto, dall’omonimo castello impadronirsi di un vasto dominio che anda- dell’Astigiano (oggi Costigliole) residenza va da Saluzzo e Alba, a nord, fino alla costa di suo padre72. Alla sua partecipazione alla ligure, nel tratto corrispondente al comitato seconda crociata e alle ferite che vi aveva di Albenga67. Questo territorio, ormai com- riportato, la tradizione familiare dei del pletamente svincolato dalle precedenti cir- Carretto faceva risalire sia il soprannome coscrizioni regie, fu retto da Bonifacio utiliz- “Guercio” con cui fu in seguito conosciuto, zando il semplice titolo marchionale portato sia le insegne e il nome della casata, come si dal padre e solo molto dopo la sua morte dirà fra poco. egli cominciò a essere indicato dai suoi fi- Leggende a parte, infatti, Enrico partecipò gli ed eredi con il predicato “del Vasto”68, effettivamente alla crociata73, ma al tempo forse con riferimento ai «desertis locis» del- stesso si dimostrò un fedele seguace della la donazione ottoniana o a un determinato causa imperiale, prendendo parte alle di- territorio alle spalle di Savona, nell’area di verse spedizioni che Federico I Barbarossa Montenotte, tra l’Erro e la Bormida di Spi- compì in Italia tra 1161 e il 1183. Per pre- gno, dove il marchese aveva fatto erigere il miare la sua fedeltà, il 10 giugno 1162 l’im- monastero di San Pietro di Ferrania e dove peratore lo investì di tutto quanto suo pa- era stata sepolta la propria seconda moglie, dre aveva posseduto «in civitate Savonae et Agnese di Vermandois69. in Marchia et Episcopatu et in toto districtu È certo comunque che egli ascese a grande praedictae Civitatis et Marchiae» con tutti i potenza, tanto da meritare il titolo di «fa- diritti spettanti al fisco imperiale74. Si trat- mosissimus Italorum marchio» e le atten- tava, almeno per quanto riguarda Savona, zioni di un potente sovrano come il conte di un’autorità puramente nominale, perché Ruggero d’Altavilla, il quale volle imparen- da tempo i Savonesi avevano saputo orga- tarsi con lui prendendo per moglie una sua nizzarsi in comune, sottraendosi di fatto nipote, Adelaide, che sarebbe stata madre dalla giurisdizione marchionale grazie al di re Ruggero II di Sicilia, ponendo le basi sostegno di Genova; il diploma, tuttavia, delle successive fortune aleramiche nell’i- deve essere visto alla luce del costante ten- sola70. Il suo imponente complesso terri- tativo del Barbarossa di ricostruire una rete toriale, comprendente una bella porzione di circoscrizioni pubbliche, appoggiando- dell’Italia nord-occidentale, ebbe però bre- si di volta in volta a comuni o a feudatari ve durata perché pochi decenni dopo la sua fedeli (com’era il caso di Enrico il Guercio) morte (avvenuta intorno al 1125), rimasto anche se si trattava il più delle volte di en- inizialmente indiviso tra i suoi figli, fu da tità puramente artificiose, prive di ogni ef- essi spartito tra il 1142 e il 1148 in ben sette fettivo valore75.

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Tale era appunto il caso del titolo di marche- attributi si ricollegavano infatti alla parteci- se di Savona portato da Enrico ancora prima pazione del marchese Enrico alla seconda dell’investitura federiciana, perché proprio crociata (1148), dove aveva militato al segui- nella seconda metà del XII secolo i residui to dell’imperatore Corrado III e del marche- poteri che lui e suo padre erano riusciti a se Guglielmo di Monferrato, e in particolare conservare in questa città andarono del tut- al duello che, secondo la tradizione, lo ave- to perduti, vuoi per una naturale erosione va opposto in una non ben precisata località di essi da parte del comune cittadino, vuoi della Siria al principe turco Tusbey, «gran perché Enrico e i suoi immediati discenden- capitano de’ Saraceni»82. Nel corso del com- ti, in crescenti difficoltà finanziarie, si vide- battimento Enrico avrebbe perso l’uso di un ro costretti a vendere i propri diritti signorili occhio, ma sarebbe riuscito ad abbattere il nella città e nel contado, non solo a favore rivale e a impadronirsi del suo carro da bat- dei savonesi, ma anche dei comuni di , taglia e della fascia a bande giallo-rosse del di Asti e di Alba76. L’arretramento dalle città suo turbante: da qui l’origine sia del cogno- e dai loro immediati dintorni non significò me Carretto sia dello stemma a cinque bande tuttavia una diminuzione del loro potere rosse e oro che da allora sarebbe stata l’arma nella regione, perché i marchesi furono as- dei suoi discendenti. Di questa leggenda cir- sai pronti e abili a indirizzare le loro forze colavano per la verità altre versioni, comun- verso la costituzione di una solida signoria que sempre riferite al duello in terra siria- territoriale, ormai del tutto sciolta da ogni ca, perché l’origine dello stemma era anche funzione pubblica, che si andò incentrando messa in relazione all’impronta delle cinque lungo l’asse Finale-Cairo-Cortemilia, a con- dita insanguinate lasciata dal principe sara- trollo delle vie di comunicazione tra Savona ceno sullo scudo dorato di Enrico (un tòpos e il Piemonte. In questo territorio essi pro- comune ad altre grandi famiglie dell’aristo- cedettero a cavallo tra XII e XIII secolo a un crazia feudale come i re d’Aragona), men- fitto e articolato incastellamento77, al quale tre Carretto veniva fatto invece derivare si accompagnò la creazione di una rete di dal rustico carro che, come Lancillotto – Le villenove (a cominciare da quelle ben note chevalier de la charette di Chrétien de Troyes di Finale e Millesimo)78 e di fondazioni re- – avrebbe condotto il vincitore nel campo ligiose quali il monastero di Santo Stefano dei cristiani; nel caso di Enrico addirittura di Millesimo e l’ospedale di Santa Maria di trainato da due leoni: immagine riportata in Fornelli79. seguito in gran parte degli stemmi carrette- schi83. Un’altra spiegazione del cognome si Corrisponde precisamente a questa fase ricollegava invece all’antico blasone portato della storia della famiglia la comparsa per dalla famiglia anteriormente all’adozione la prima volta del cognome o del predicato delle bande rosso-oro, quando i marchesi “del Carretto”, che avrebbe contraddistinto di Savona «havevano per insegna una ruo- la casata nei secoli a venire, congiuntamente ta grande con quattro picciole intorno et dai al titolo di marchesi di Savona, mai abban- lati l’antica impresa de’ Sassoni […] ‘villigis’ donato nonostante le ricorrenti proteste dei (che vuol dire guarda quel che fosti e quel savonesi prima e della repubblica di Geno- che sei), la quale poi fu data per arme al Ve- va poi80. Esso figura per la prima volta in scovo di Magonza da Henrico il Sassone»84. un atto del 1190, riferito a Ottone, primoge- In tutti i casi, comunque, la tradizione fa- nito di Enrico il Guercio81, ma la memoria miliare per spiegare l’origine del proprio familiare, come accennato, faceva risalire cognome rifuggì sempre da quella che sem- a quest’ultimo l’origine del suo impiego, brerebbe la soluzione più ovvia, e che la come del resto anche il soprannome e l’ado- collegava cioè all’omonima località di Car- zione delle insegne araldiche del casato. Tali retto, sulla strada tra Cairo e Cortemilia (e

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Fig. 5. Carta dei territori di Dego e Cairo del 1584 (ASTo, Corte, Monferrato confini, vol. C, n. VII) dunque nel bel mezzo dei possedimenti mentre il fratello Enrico II continuerà inve- aviti), dove ancor oggi si possono vedere ce a essere indicato negli atti soltanto come i resti di un antico castello e in particolare marchese di Savona, così che solo con la ge- di una snella ed elegante torre, già in rovi- nerazione successiva si diffonderà l’uso del na a metà Cinquecento, che domina il pae- cognome anche al ramo “enriciano”, da cui saggio. I motivi a favore di questa ipotesi in sarebbero poi discesi i tre terzieri di cui ci si verità non mancano, a cominciare dalla sua occupa in questa sede. posizione strategica lungo l’antica magistra La teoria che voleva l’origine dei del Car- Langarum, la via che univa Savona ad Alba retto legata al modesto villaggio delle Lan- e Asti, il che farebbe pensare che il castello ghe, malignamente riferita nel XVII secolo sia stato scelto come “simbolo” dell’intero dal giurista genovese Raffaele della Torre al casato, a somiglianza di quanto fatto dagli fine di ridimensionarne l’importanza (ad- altri rami discesi dal marchese Bonifacio, i dirittura mettendo in dubbio la loro stessa quali per identificare il proprio nucleo fami- discendenza dai marchesi di Savona)85, fu liare avevano preso il nome di terre e castelli comunque, come detto, sempre sdegnosa- del loro dominio, come Ceva, Busca, Incisa mente respinta dai diretti interessati e alle o Clavesana. A conferma si potrebbe citare obiezioni che le maggiori famiglie italiane il fatto che, almeno inizialmente, il cognome traessero generalmente l’origine del proprio (o predicato) de Carreto appare collegato al cognome da un qualche castello o territorio solo Ottone, primogenito di Enrico il Guer- ben definito, essi rispondevano facendo l’e- cio, che nella spartizione dei beni paterni sempio dei Lancia (o Lanza), tra l’altro di fu quello cui toccò, fra gli altri, il territorio probabile origine aleramica, o dei Malaspi- su cui sorge l’omonimo castello; e questo na, i cui cognomi si collegavano ad antiche

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leggende86. È un fatto comunque che i del Carretto utilizzarono il proprio nome con o senza la particella de, ora come predicato ora come cognome87, e questo fino all’età mo- derna, facendo sempre comunque attenzio- ne, quando non si trattasse di figli naturali (nel quale caso era sempre usata la forma cognominale senza particella), di indicarsi negli atti come «dei marchesi di Savona» (ex marchionibus Saonae), anche se tale titolo non conferiva la dignità marchionale al posses- sore, se non quando espressamente legata, come sarà a partire dal XVI secolo per molti feudi, a una investitura imperiale88.

I terzieri

I decenni a cavallo tra XII e XIII secolo, se Fig. 6. Stemma dei del Carretto (Archivio Storico da un lato videro la costruzione da parte Ingauno di Albenga) di Enrico il Guercio e dei suoi figli di una compatta e articolata signoria territoriale nella zona delle Langhe in direzione del Ta- estendentesi dal litorale ligure al Tanaro89, naro, li portò a entrare in contrasto con i co- dall’altro furono caratterizzati da una diffi- muni di Alba e di Asti, in lotta fra loro per cile coesistenza tra i marchesi e i comuni li- il predominio in quella zona, in buona par- mitrofi, in piena espansione politica ed eco- te controllata ancora da domini locali come nomica. Con Genova, con Asti, con Alba e in quelli di Novello, di Monforte e di Bosso- misura assai minore con Savona, quelli che lasco, alcuni dei quali ancora vassalli dei ancora venivano chiamati congiuntamente i marchesi di Busca93. Nel 1191 Enrico II fece marchesi del Vasto cercarono di attuare una oblazione al comune di Asti dei beni eredi- politica flessibile, unendosi ora all’uno ora tati dallo zio Bonifacio di Cortemilia94, e nel all’altro comune, giurando patti di cittadi- corso degli anni seguenti fu costretto più natico e convenzioni militari, alleanze difen- volte a venire a patti con il comune di Alba sive e offensive, fino a fare omaggio di gran per i possessi di Novello e Monforte, da lui parte dei loro castelli per riceverli in feudo acquistati dai consortili di castellani che vi come vassalli90. In questo difficile esercizio esercitavano il dominio utile. Suo fratello vi fu inizialmente una certa propensione a Ottone, invece, nel 1209 vendette ad Asti, ri- porsi sotto la protezione di Genova, almeno ottenendoli in feudo, una ventina di castelli per i domini posti sul versante ligure, tanto posti intorno a Cortemilia95, mentre pochi che già Enrico il Guercio si era adattato nel anni dopo fece invece donazione al comu- 1148 a giurare l’habitaculum, impegnandosi ne di Genova delle castellanie di Cairo e di a risiedervi per tre mesi all’anno91. Lo stes- Dego, venendone quindi investito a titolo di so fecero i figli Enrico II e Ottone nel 1182 e vassallo96. Questi atti di dedizione, benché ancora nel 1227, con anche la promessa di accompagnati da gesti formali di sottomis- servire in armi in tutto il territorio tra Venti- sione come l’innalzamento su torri e castelli miglia e Parodi, alle spalle di Genova92. dei vessilli comunali e giuramenti di fedeltà Tuttavia, la politica espansionistica che i due dei sudditi, non significarono una riduzione fratelli – e in particolare Enrico – attuarono del potere esercitato dai marchesi sui loro

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Fig. 7. Resti del castello di Carretto, località del comune di territori, ma posero comunque le basi di di- e il consolidamento quali entità autonome pendenze feudali che si sarebbero trascinate delle due linee originatesi dai figli di Enrico fino al XVIII secolo. Ancora per tutta la metà il Guercio, i già ricordati Ottone ed Enrico del Duecento, i del Carretto continuarono a II. Nella spartizione seguita alla morte del svolgere una politica di alto profilo, assai padre, al primo andarono i residui diritti su dispendiosa finanziariamente, che li portò Savona e i territori lungo la Bormida di Mal- a militare a fianco degli imperatori – Otto- lare, con Cairo e Cortemilia come centri più ne IV prima, Federico II poi – con posti di importanti. A Enrico toccò invece la parte responsabilità, finendo con l’assumere la più occidentale del patrimonio paterno, che guida del partito filosvevo della Riviera di egli rafforzò con la costruzione dei borghi Ponente e del Piemonte meridionale97. nuovi di Finale e Millesimo e con una serie Seguire le vicende dei conflitti che ne deri- di importanti acquisizioni verso nord, intor- varono esula dal tema del presente studio, no a Novello e Monforte. ma è opportuno comunque notare come, Il ramo “ottoniano” – sdoppiatosi fin nella con la discesa di Carlo d’Angiò in Italia prima generazione in una linea facente capo e la formazione della contea angioina del a Cairo e Cortemilia e in una incentrata su Piemonte, la solidarietà politica fra i vari Ponti e Roccaverano – in virtù dei forti in- rami dei marchesi del Vasto e fra gli stessi teressi che lo legavano ad Asti, si trovò del Carretto cominciò a venir meno, perché pesantemente coinvolto nelle tormentate non furono pochi tra loro quelli che scelse- vicende del Piemonte meridionale, teatro ro di passare dalla parte guelfa e filoangio- della lotta tra gli Angiò e il partito ghibelli- ina. Questi mutamenti nell’atteggiamento no, rappresentato dal marchese di Monfer- politico generale coincisero con la nascita rato, dal conte di Savoia e, poi, dai Visconti

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di Milano. Nelle guerre che ne seguirono i turbolenti, così che tra il 1251 e il 1255 stipu- discendenti del marchese Ottone uscirono lò una serie di accordi con Genova, Asti e duramente penalizzati, specie quelli della Alba, dichiarandosi loro vassallo per alcuni linea primogenita, ai quali era toccata la si- castelli, ma mantenendo l’assoluto controllo gnoria su Cairo, Dego, Cortemilia e Spigno di Finale, che si avviava in quegli anni a di- (a essi pervenuta per acquisto dai marchesi venire il fulcro del potere carrettesco. di Ponzone), tanto che dopo avere per un Il suo dominio, che si estendeva dal litorale momento accarezzato la possibilità di insi- finalese lungo il corso della Bormida e del gnorirsi di Acqui, nel 1322 Manfredino del Belbo fino al Tanaro, si mantenne indiviso Carretto fu obbligato a vendere tutti i suoi dopo la sua morte (circa 1266) per alcuni beni al marchese Manfredo IV di Saluzzo, anni finché, il 21 ottobre 1268 a seguito di un in cambio del ripianamento dei suoi ingen- accordo tra il primogenito Corrado e Nicolò ti debiti e della concessione di alcuni feudi Doria, tutore dei fratelli minori Enrico e An- nel Saluzzese che le guerre intestine di quel tonio, si procedette alla “storica” divisione, marchesato fecero poi sfumare98. Così, per- dalla quale avrebbero avuto origine i tre ter- duti i loro antichi domini, finiti pochi anni zieri di Novello, Millesimo e Finale, nei qua- dopo ai ricchi banchieri astigiani Scarampi, li si organizzarono fino al XVIII secolo i del i discendenti della linea ottoniana si videro Carretto del ramo enriciano103. Il patrimonio costretti a un ruolo marginale che nel ramo di Giacomo venne, in quella occasione, di- dei signori di Ponti avrebbe ancora avuto viso in tre lotti di valore economico appros- qualche sprazzo di vitalità nel corso del Tre- simativamente uguale. Il primo, assegnato cento99, mentre la linea di Cairo-Cortemilia al secondogenito Enrico, era costituito dai si ramificò in alcune modeste branche (Ca- territori che si trovavano nelle valli del Ta- stino, Torre Bormida, Brovida, Niosa, San- naro e del Belbo e in generale, da quelli che ta Giulia), alcune per giunta illegittime – o avevano un tempo costituito il vicecomita- sospettate per tali –, che avrebbero condot- to di Gorzegno, una delle circoscrizioni in to fino al XVII secolo una magra esistenza cui i loro predecessori avevano organizzato come vassalli dei più potenti del Carretto di i propri domini. Essi comprendevano infat- Novello del ramo “enriciano”100. ti i castelli e le ville di Novello, Monchiero, Se rapportata a quella dei discendenti di Bossolasco, Serravalle, Arguello, Albaretto, Ottone, ben diversa fu infatti la sorte della Cravanzana, Lodisio e Gorzegno, oltre a di- linea originatasi da suo fratello Enrico II e ritti su Lequio, la casa e i beni posseduti ad ciò principalmente per il fatto che, mentre Alba e metà di quelli situati ad Asti e nel suo nel ramo ottoniano si ebbero, fin dalle pri- territorio, con in più l’alta superiorità feuda- me generazioni, una serie di morti precoci e le su alcuni castelli infeudati a domini vas- di smembramenti ereditari che ne indeboli- salli come Sinio, Borgomale, Prunetto, Mo- rono molto la capacità di conservare intatto nesiglio, Feisoglio, Bosia, Niella e Carretto. l’antico potere, Enrico ebbe invece un unico Corrado, il primogenito, tenne per sé i ca- figlio maschio, Giacomo, «solus universa- stelli e le terre di Saliceto, Cengio, Rocchetta lisque totius Carrectorum patriae princeps di Cengio, Roccavignale, Mallare, Osiglia e et marchio»101, il quale proseguì la politica diritti su Altare e Gottasecca. La terza parte filosveva del padre, venendo ricompensato andò invece ad Antonio, il fratello minore, con il titolo di vicario imperiale e con il ma- e comprese tutte le terre sul versante ligu- trimonio con una delle figlie naturali di Fe- re costituenti il vicecomitato di Finale con derico II102. Dopo la morte dell’imperatore e i diritti feudali su Bardineto e Calizzano e la crisi del sistema imperiale in Italia, il mar- vari possessi in Vezzi, Borgio e Noli e nel- chese fu tuttavia abile a riallacciare buoni la diocesi di Albenga. Rimasero indivisi di rapporti con i comuni vicini, in passato assai comune accordo i possessi di Carcare, Cos-

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seria e Millesimo, probabilmente in quanto dai marchesi di Ponzone (anch’essi di ceppo ritenuti i più ricchi, oltre a una serie di diritti aleramico)105. Tra il 1314 e il 1332 del Carret- di pedaggio e di altro tipo in numerose lo- to di Novello riuscirono infatti ad acquistare calità del marchesato di Ceva e nella Riviera da questi ultimi il territorio di Spigno, com- di Ponente. Questa soluzione fu comunque prendente anche Merana, Rocchetta, Turpi- di breve durata perché già nel 1276 i tre fra- no e Montecastello106. A esso si aggiunse nel telli provvidero a spartirsi i rimanenti beni 1356, dopo una lunga controversia con gli indivisi in parti uguali104. Scarampi (subentrati nel 1337 al marchese I tre lotti della divisione del 1268 vennero Manfredo IV di Saluzzo nel possesso della definiti in seguito terzieri. Il termine non maggior parte dei domini già dei Carretto deve trarre in inganno in quanto esso origi- di Cairo-Cortemilia), anche la metà dei feu- nariamente non si riferiva affatto a una cir- di di Cagna, Lodisio, Santa Giulia, Brovida, coscrizione territoriale ma piuttosto al nu- Torre Bormida e Bergolo. Nei decenni suc- mero di rami in cui si era ripartita la Domus cessivi, la presenza della linea di Novello Carrectorum. Non a caso, la parola fu usata nella val Bormida di Spigno si consolidò ul- in alternativa al termine consortile, così teriormente con l’acquisto di Dego, passato come “colonnelli” o “quartieri” (per esem- però in seguito ai del Carretto di Millesimo pio a Novello) o, ancora, consortili furono del ramo di Mallare, in precedenza loro suf- chiamati i vari sotto-rami scaturiti genera- feudatari107. zione dopo generazione. È certo comunque Chi tuttavia si caratterizzò maggiormente che dal 1268 in poi, pur rimanendo assai per la spiccata tendenza ad ampliare i propri solido il senso di appartenenza comune al domini originari furono i membri del terzie- più grande consortile carrettesco (sviluppa- re di Finale e lo fecero non solo in direzione to oltre tutto attraverso una forte tendenza della Riviera di Ponente, dove riuscirono all’endogamia) i terzieri andarono strut- nella seconda metà del Trecento a mettere turandosi come dei gruppi familiari a sé, piede nell’entroterra di Albenga subentran- sviluppanti peculiari scelte politiche ed eco- do ai Clavesana, ma anche nell’Oltregio- nomiche, specie nei confronti dei comuni e go108. Risale alla prima metà del Quattrocen- degli stati vicini: Alba (e poi i Visconti) per to, infatti, l’acquisto del castello di Murialdo i del Carretto di Novello, Asti (e poi il Mon- da un ramo dei marchesi di Ceva, seguito ferrato) per quelli di Millesimo, Genova (e nel 1455, da Saliceto109, che fu base di par- poi i duchi di Milano) per il ramo di Finale. tenza della successiva penetrazione finalese L’assetto territoriale scaturito dalla sparti- verso le Langhe e il marchesato di Ceva di zione dei beni di Giacomo del Carretto si cui si è detto110. A un altro ramo finalese, conservò sostanzialmente intatto per parec- quello dei signori di Calizzano, si deve in- chi secoli, anche se non mancarono passaggi vece l’acquisto nei primi anni del Quattro- di proprietà, retrocessioni e anche amplia- cento del feudo di Mombaldone, a poca di- menti di questo o quel ramo a spese di al- stanza da Spigno, uno dei castelli pervenuti tri lignaggi signorili: variazioni che furono agli Scarampi111. Occorre poi ricordare che i però sempre frutto di compravendite o di marchesi di Finale riuscirono a esercitare a trasferimenti ereditari o matrimoniali e mai lungo il loro dominio su numerose terre del di conquiste manu militari che, quando ci Ponente ligure giuridicamente appartenen- furono, ebbero sempre carattere tempora- ti al comune di Genova, come fu per Noli neo. Se si può parlare di un espansionismo (da essi occupata a più riprese nel XIV e XV carrettesco (almeno nell’area delle Langhe), secolo e conservata per parecchi anni), Pie- esso si indirizzò, soprattutto nel XIV secolo, tra, Toirano, Giustenice e Albenga, talora in verso le località situate lungo la Bormida di qualità di governatori o capitani dei dogi al Spigno, possedute dal ramo “ottoniano” e potere o di chi dominava a Genova112.

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La capacità espansionistica dei marchesi di il possesso di Roccavignale, Osiglia, Mal- Finale e il primato che essi esercitarono a lare e di una quota di Cosseria, Millesimo lungo all’interno del consortile furono gran- e Carcare, castelli a quel tempo ancora in- demente favoriti dal fatto di essere stati gli divisi con gli altri terzieri. Da lui, già nella unici, fra tutti i del Carretto, che già agli ini- generazione successiva, si formarono i rami zi del Quattrocento (se non addirittura pri- di Millesimo, di Roccavignale (estinto nei ma) scelsero di introdurre nel regime suc- primi anni del Cinquecento) e di Mallare, cessorio il maggiorasco, riuscendo nel 1427, terminato invece nel 1635115. La linea di Mil- grazie al favore di Filippo Maria Visconti, a lesimo si divise a sua volta in due altri rami; riunificare nella persona del marchese Gale- il primo, disceso da Corrado del fu Giorgio, otto I l’intera signoria del feudo, fino allora ebbe il dominio di un quarto del feudo di indivisa fra più condomini. Altrove e fino ai Millesimo e, per i servigi prestati ai Paleo- tempi della rivoluzione, il maggiorasco ri- logi di Monferrato e grazie ad acquisti da uscì a imporsi solo più tardi e sempre par- altri rami dei del Carretto venne in seguito zialmente, venendo applicato – congiunta- in possesso anche di Roccavignale e di Al- mente a vari fedecommessi – non sull’intero tare, cui si aggiunse nel 1589 il marchesato feudo ma solo su singole quote di signoria. di Grana, nel Monferrato, concesso dal duca L’uso inveterato di dividere l’eredità pater- Vincenzo Gonzaga a Prospero, compiacente na fra tutti i figli maschi, fece sì che già nel- marito della sua amante ufficiale, Agnese de la generazione successiva ai capostipiti dei Argote. Il secondo ramo, legato soprattutto tre terzieri, il dominio carrettesco cominciò ai Visconti e agli Sforza, ebbe invece il pos- a perdere la sua unità e, con il passare del sesso dei restanti tre quarti di Millesimo e tempo, ciò portò a una proliferazione di li- Cosseria, nonché dei feudi di Cengio e Roc- nee collaterali e a una progressiva parcelliz- chetta di Cengio (eretti in contea da Carlo V zazione delle singole signorie che finirono nel 1536)116. Da esso, agli inizi del Seicento, per essere gestite in un caotico regime di si staccò un terzo ramo, stabilitosi in Boemia condominio. Tentare di ricostruire questo con Stefano del Carretto del fu Nicolò, corti- processo, tenendo dietro alle varie vicende giano dell’imperatore Rodolfo II che, grazie dinastico-territoriali dei del Carretto è im- ad alcuni importanti matrimoni all’interno presa difficile e oltretutto abbastanza tedio- della nobiltà di quel regno godette di gran- sa; non si può tuttavia tralasciare di indica- de ricchezza, con un palazzo a Praga ancora re, sia pure per sommi capi, quali furono i esistente e il possesso di diversi feudi, estin- lignaggi che, con il passare delle generazio- guendosi nel 1852117. La linea di Saliceto, ni, si andarono formando all’interno degli originata invece dal già ricordato Corrado originari terzieri. del fu Franceschino del 1345, dopo essere Per quel che riguarda il ramo di Millesimo stata privata di Cengio per volontà del duca esso rimase unito fino al 1345, anno in cui Filippo Maria Visconti (per essere donata per effetto della divisione avvenuta tra i ai “cugini” di Millesimo), si divise nei rami figli di Franceschino del Carretto, figlio di di Saliceto, Camerana e Gottasecca, estinti quel Corrado che era stato capostipite del tutti tra la fine del Quattrocento e gli inizi terziere, si costituirono i due rami detti ini- del Cinquecento a quasi totale beneficio dei zialmente “della Rocca” (identificabile con marchesi di Finale118. tutta probabilità in Roccavignale) e di Sali- Come il terziere di Millesimo, anche quello ceto113. La spartizione, seguita alla violenta di Novello andò rapidamente dividendosi eliminazione del primogenito Tommaso, in più rami secondo una scansione crono- che per un certo periodo di tempo aveva logica non molto differente. Alla metà del usurpato i beni dei fratelli114, assegnò infat- Trecento, infatti, i nipoti del capostipite En- ti a Bonifacio, uno dei figli di Franceschino, rico già avevano dato origine a tre linee di-

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Fig. 8. Veduta dell’abitato di Millesimo stinte. Dalla prima, discesa da Antonio del singoli suoi membri più a lungo seppe con- fu Giacomo, originarono i rami di Novello servare ricchezza e prestigio, le altre linee propriamente detto e di Gorzegno; la secon- di questo consortile – e in particolare quella da, detta di Bossolasco, discese dal fratello del cosiddetto marchesato di Novello (con Enrico e si estinse nel 1471 quando, con la Monforte, Monchiero, Sinio e Castelletto) – morte di Giovanni Bartolomeo del Carret- decaddero progressivamente per l’estrema to senza eredi maschi, i suoi beni andaro- frammentazione ereditaria, finendo in una no alle quattro figlie, passando attraverso condizione economica assai vicina alla po- di loro ai marchesi di Ceva, ai Valperga, ai vertà, che li condusse a partire dalla seconda Sangiorgio e ai del Carretto di Zuccarello (e metà del Cinquecento ad accettare pensioni e poi di Balestrino)119. incarichi militari (anche di modesta levatura) La terza linea si formò invece con Manfredo da parte dei duchi di Savoia, ai quali finirono del fu Giacomo, i cui figli Franceschino e Lo- per cedere parte delle loro quote di signoria, disio diedero a loro volta origine ai rami di venendo integrati nell’aristocrazia “di servi- Spigno (estintosi per via femminile negli Asi- zio” dello stato sabaudo. Inoltre, caso unico nari) e di Prunetto, finito per via matrimonia- tra i del Carretto, essi ammisero nelle succes- le in parte negli Scarampi di Cortemilia e in sioni, in mancanza di eredi maschi, anche le parte, ancora, nei del Carretto di Balestrino. linee ex foemina, aprendo i feudi a famiglie Rispetto agli altri terzieri, quello di Novello estranee al consortile come gli Oreglia, i Bri- fu certamente quello che maggiormente ebbe zio, i Falletti, i Magliano120. a soffrire della progressiva parcellizzazione Quanto al terziere di Finale, infine, anche da delle quote di signoria e, come mostrano i esso si generarono con modalità e tempisti- casi testé citati, fu quello in cui l’inserimento che non molto diverse numerosi rami. Dai nel consortile di famiglie estranee per ma- tre figli di Antonio del Carretto, morto sul fi- trimonio o acquisto, fu più precoce. A parte nire del XIII secolo, discesero infatti tre linee. il ramo di Gorzegno, che almeno in alcuni Una – di cui fu autore il figlio minore Anto-

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Fig. 9. Veduta del borgo di Novello nino – si stabilì in Sicilia grazie a una duplice Il governo dei feudi alleanza matrimoniale con la potente fami- glia dei Chiaromonte, ricevendo per il suo La ramificazione, di generazione in genera- tramite la baronia di Racalmuto121. Dagli altri zione, dei tre ceppi principali carretteschi due fratelli, Giorgio ed Enrico, si originarono portò, come già accennato, a una estrema invece i due rami di Finale e di Clavesana122 polverizzazione del potere politico, giuri- che, dopo una prima divisione nel 1357, si sdizionale ed economico delle loro signorie, scontrarono in seguito duramente, coinvol- che andò continuamente aggravandosi per gendo nella loro lotta i Genovesi, i Visconti e effetto di passaggi ereditari, matrimoni o i marchesi di Monferrato. Alla fine prevalse- compravendite. Con la già ricordata ecce- ro i figli di Giorgio - Lazzarino e Carlo – che zione dei marchesi di Finale, si trattò di un intorno al 1385 riuscirono a estromettere con fenomeno generalizzato che non risparmiò la forza i cugini da ogni ingerenza sul Fina- neppure i rami più importanti e prestigiosi le, grazie anche all’appoggio genovese123. Ne del casato. A titolo esemplificativo, valgano nacque un lungo conflitto che, parzialmente per tutti alcuni esempi, riferiti alla metà del sanato con la lega del 1441 di cui si è par- Seicento, epoca, oltre tutto, in cui quasi tutti lato, si riattizzò dopo la morte del duca Fi- i rami del consortile avevano ormai prov- lippo Maria Visconti, durante la guerra del veduto da tempo a istituire maggioraschi Finale (1448-1451). A farne le spese furono e fedecommessi a tutela del patrimonio fa- i discendenti di Enrico del Carretto “di Cla- miliare e a impedire sue ulteriori frammen- vesana” che, perduta nel 1385 ogni ingeren- tazioni125. A quest’epoca, dunque, di tutti za nell’Albenganese e ridotti a possedere, in i possessi carretteschi nelle Langhe solo la quote quasi infinitesimali, i feudi di Caliz- contea di Cengio risultava appartenere a zano e Mombaldone, dovettero accettare di un unico signore: il conte Domenico Fran- assistere impotenti alle fortune degli agnati cesco del Carretto. Questi era anche consi- finalesi da cui sarebbero discesi, oltre alla gnore per tre quarti del feudo di Millesimo linea “principesca” del Finale, i rami di Zuc- e Cosseria, che per il resto apparteneva a carello, poi a loro volta diramatisi in quelli di una ormai lontana cugina, Maria Enrichet- Bagnasco (estinto nel 1717) e di Balestrino: il ta del Carretto di Grana, vedova del duca solo a essere sopravvissuto fino alla metà del d’Aerschot e vivente negli allora Paesi Bas- secolo scorso124. si spagnoli. Se ci spostiamo a Bardineto, ai

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Fig. 10. Veduta di Finalborgo da Perti. In primo piano la cappella di Nostra Signora di Loreto; sulla destra, Castel Govone. limiti del territorio genovese, troviamo in- dinari […] de parti trenta vinti e tre quarti». vece che il feudo apparteneva per due terzi Lo stesso Tete possedeva nell’annesso feu- a Ottaviano del Carretto di Balestrino e per do di Cravanzana «de sedici parti […] parti il rimanente a Carlo Gerolamo del Carret- tredici, et nelli luochi di Cerretto et Arguello to, marchese di Bagnasco. Monesiglio, nella de trenta parti […] parti dieci sette e mez- valle della Bormida di Millesimo, risultava za». L’altro condomino principale, il cugino essere per «tre quarti più un ottavo del re- Manfredo del fu Giorgio, possedeva in Cer- stante quarto» del conte Giovanni Antonio reto e Arguello due parti e mezza su trenta, Caldera, mentre il rimanente apparteneva a in Cravanzana una parte e tre quarti su se- Francesco Carlo del Carretto, disceso per via dici e in Gorzegno un’altra parte e tre quar- illegittima dai signori di Balestrino. In altri ti su sedici126. Quote veramente minuscole, feudi la situazione era ancora più complessa che si esercitavano su territori non solo di perché la signoria era qui gestita pro indiviso scarsa estensione, ma anche poco abitati: da una dozzina di compartecipi, alcuni dei cento fuochi Gorzegno e Cravanzana, che quali in possesso di quote quasi infinitesi- erano i due centri maggiori, sessanta Cerre- mali, oltretutto distinte talvolta tra quote to, appena quaranta Arguello127. di giurisdizione e quote di reddito. A Gor- A complicare le cose, continuarono a so- zegno, nel 1602, Tete del Carretto, definito pravvivere, anche in età moderna, alcuni negli atti «maggiore consorte», risultava per suffeudi (o retrofeudi), cioè subsignorie esempio essere «patrone et signore utile de feudali derivanti da investiture che, oltre al trenta parte che capeno tutta la giurisditione possesso di beni immobili e diritti, confe- parte dieci nove e mezza delli rediti ordina- rivano ai beneficiari (o retrovassalli) anche ri, et della giurisditione con li rediti straor- l’esercizio della giurisdizione. Nei tempi più

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antichi, quando il consortile carrettesco non Uzzone dei savonesi Feo133. Una retroinvesti- si era ancora dilatato a dismisura, era stata tura poteva all’occorrenza rappresentare una politica dei primi marchesi quella di conce- soluzione per porre fine a una intricata con- dere in retrofeudo buona parte dei castelli troversia. Avevano questa origine i feudi di da loro non utilizzati come residenza a fe- Santa Giulia, Niosa e Brovida, che attraverso deli vassalli o membri di casate amiche, non complesse vicissitudini finirono nella secon- disdegnando di farne parte anche ai propri da metà del Trecento per essere concessi dai figli bastardi. Una spiccata propensione per del Carretto di Novello a uno dei rami su- questo tipo di politica ebbero i del Carret- perstiti dei del Carretto di Cairo-Cortemilia. to del ramo ottoniano, come dimostrato dal Altre volte, poteva accadere che una retroin- consegnamento fatto dai marchesi Oddone vestitura fosse un modo per garantire un e Manfredino al comune di Asti nel 1312, dal modesto appannaggio a un figlio, come fece quale risulta come più della metà dei castelli nel 1588 il marchese Giovanni Antonio di Ba- e ville di loro proprietà fossero rette in realtà lestrino dando in suffeudo la propria parte da retrovassalli128. La pratica era comunque della signoria di Carretto al figlio Annibale, largamente condivisa anche dal ramo “en- peraltro morto dopo appena un anno134. riciano”. Nella famosa divisione del 1268 Di norma, come detto, i suffeudi cessavano che diede origine ai tre terzieri, erano men- con l’estinzione delle famiglie dei retrovas- zionate come infeudate a castellani-vassalli salli. Poteva tuttavia accadere che questi ul- località quali Monesiglio, Sinio, Borgomale, timi riuscissero a riscattare la situazione di Prunetto, Feisoglio, Bosia, Niella, Cerreto, inferiorità in cui si trovavano, comprando Gottasecca, Calizzano e Bardineto129. L’ori- o usurpando la superiorità dei loro signori. gine di queste subinfeudazioni era talvolta Il caso più significativo ci è fornito da Mo- molto antica. Nel caso di Monesiglio, per nesiglio. Tra i diversi domini che vi esercita- esempio, sappiamo che, quando fu nel 1221 vano i diritti signorili quali vassalli dei del investita per la prima volta dal marchese Carretto (e dei loro predecessori), emersero Enrico II a un gruppo di domini locali, essi nel corso del XIV secolo due famiglie, quella ne erano già in possesso già da molto tem- dei Caldera e quella dei Roffenghi. I primi, po130, e lo stesso doveva essere per Prunetto. tradizionalmente dediti al notariato e alla In genere i più antichi suffeudi furono rias- professione legale, acquistarono notevo- sorbiti nel dominio diretto carrettesco nel le importanza come uomini di fiducia dei corso del XIV secolo, probabilmente a segui- marchesi, inserendosi a pieno titolo nella ri- to dell’estinzione delle famiglie che vi eserci- stretta cerchia di parenti e amici che gravita- tavano l’utile dominio ma altri si formarono va sulla piccola corte di Finale. La divisione ex novo, anche solo per breve tempo, come della superiorità di Monesiglio tra le eredi conseguenza di transazioni finanziarie, per- di Giovanni Bartolomeo del Carretto, ulti- ché i marchesi, sempre a corto di denaro, si mo signore di Bossolasco (da cui il suffeudo vedevano spesso costretti a ricorrere a pre- dipendeva) facilitò il progressivo affranca- stiti presso banchieri o altri prestatori (di mento dei Caldera che, avendo concentrato solito genovesi o astigiani) ai quali, a titolo in sé il controllo della totalità del dominio di garanzia, erano ceduti terre e castelli me- utile, riducendo a poche briciole i diritti dei diante un atto di investitura in suffeudo. Do- Roffenghi, a partire dal 1571 cominciarono vettero avere questo carattere la breve signo- ad acquistare dai loro signori anche la supe- ria duecentesca degli Spinola di Genova su riorità, il che consentì loro di chiedere e ot- Feisoglio131, quella su Carcare da parte degli tenere dai governatori dello stato di Milano Scarampi e dei genovesi Pevere e Gentile, l’investitura del feudo, senza più dipendere durata fino agli inizi del Quattrocento132, e (salvo per il quarto legato ai del Carretto di ancora quella su parte di Altare e su Scaletta Balestrino) dai signori di Bossolasco135.

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Fig. 11. Veduta dell’abitato di Monesiglio siamo propriamente in area langasca, ma carrettesca certo sì) a Finale nel XIV secolo. Una tale complessità di situazioni portava, In base alla convenzione stipulata nel 1357 come si può facilmente comprendere, a una tra Giorgio del Carretto e i nipoti Manuele serie quasi infinita di problemi, anche per- e Aleramo “di Clavesana” risulta infatti che ché le forme in cui si manifestava il condo- ciascun abitante di Finale era homo dell’uno minio in una signoria erano assai diverse. o dell’altro signore: condizione che era cer- In genere la proprietà dei beni e dei sudditi to antecedente a quella data137. Ai non pochi era considerata indivisa fra tutti i condomi- inconvenienti che derivavano da una simi- ni, spartendosi le rendite in ragione delle le situazione, l’accordo cercò di rimediare quote possedute136. In alcune località però stabilendo, tra le altre cose, che in caso di la signoria di ciascun consignore si eserci- matrimonio tra persone appartenenti a si- tava “per testa” ovvero sui singoli sudditi gnore diverso valesse il principio secondo (detti perciò “sudditi puri”) e sui loro di- cui «uxor sequatur conditionem mariti» di- scendenti. È quanto accade (anche se non ventando «de dominio et sub dominio illius

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domini qui sit dominus mariti»; questa re- sate parti che erano suddite di uno stesso gola era invece rovesciata quando il marito signore dovessero essere presentate a lui, fosse stato forestiero, nel qual caso entrava mentre se riguardavano uomini di signo- ipso facto nel vassallaggio del signore della re diverso dovevano essere portati davanti moglie. Il caso poi di immigrati che si fos- a quello tra loro cui quell’anno toccava la sero venuti a stabilire a Finale, fu deciso nel nomina del giudice. Nelle cause criminali, senso che dovessero essere comuni (“suddi- invece, l’appello doveva essere presentato a ti misti”) di tutti i consignori, come comuni signore diverso da quello del reo, mentre se dovevano essere pure i beni dei sudditi mor- la questione riguardava sudditi di uno stes- ti senza eredi legittimi. Per quanto riguarda- so signore, questi doveva essere anche loro va invece il delicato problema dell’ammini- giudice d’appello. strazione della giustizia, oltre a decidere che Altrove, per esempio a Carcare, il condomi- la nomina del giudice spettasse ogni anno a nio si traduceva materialmente in una di- turno a ciascun signore, fu stabilito che gli visione del territorio (e dei sudditi) tra tutti appelli in cause civili dove fossero interes- i consorti. Qui la spartizione fu fatta in un

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periodo compreso tra il 1337 e il 1404, duran- doveva essere sempre molto facile. Qualche te il quale un quarto del feudo apparteneva volta, se vi era la possibilità, i consignori po- agli Scarampi e altre quote erano tenute, in tevano accordarsi per abitare ciascuno in un suffeudo, dai del Carretto e dalle famiglie ge- castello diverso della loro giurisdizione. È il novesi dei Pevere e dei Gentile138. Di questa caso, ancora per fare un esempio, dei con- partizione territoriale restava testimonian- signori di Gorzegno più volte ricordati che, za parecchi decenni dopo, perché nel 1487, agli inizi del XVII secolo, appaiono risiedere anno in cui vennero redatti nuovi capitoli alcuni nel castello principale e altri in quelli tra i signori e i loro sudditi di Carcare, que- di Torre Bormida o di Cravanzana, indipen- sti erano ripartiti in cinque quartieri, tre dei dentemente dalle quote di proprietà posse- quali ancora conservavano il nome degli an- dute e senza che la residenza in uno o in un tichi suffeudatari nonostante questi ne aves- altro edificio configurasse la nascita di una sero perduto il dominio utile da decenni139. qualche forma di nuova signoria, autonoma La divisione tra condomini riguardava na- e separata. Occorre poi dire che ancora in turalmente anche il castello, il quale era pieno Cinquecento era abitudine dei signori ripartito in modo da rendere la parte riser- di più castelli (o anche solo di quote di essi) vata a ciascun consignore il più possibile in- di trasferirsi da un posto all’altro a secon- dipendente (sia per gli accessi sia pure per da delle stagioni e per periodi più o meno le possibilità di difesa) dalle altre. Se ne ha lunghi: una pratica che non era necessaria- una prova nei patti intercorsi nel 1486 tra le mente retaggio delle corti itineranti dei tem- figlie ed eredi di Giovanni Bartolomeo del pi antichi, ma che in genere rispondeva ai Carretto signore di Bossolasco, nei quali la gusti dei singoli feudatari. Uno che era con- spartizione del castello (allora in costruzio- tinuamente in movimento era Pirro del Car- ne), avviene stanza per stanza, quasi finestra retto di Zuccarello (ca. 1481-1561). Sebbene per finestra, autorizzando ciascun condo- fosse solito risiedere abitualmente nel suo mino ad ampliare, costruire e rialzare muri castello di Balestrino, sul versante ligure, interni, tramezzi, scale e addirittura a eri- durante l’estate aveva l’abitudine di trasfe- gere nuovi edifici addossati all’unica torre rirsi a Bossolasco, di cui era condomino per già esistente, lasciata «comunis pro guardia un quarto, forse a controllare la mietitura. castri»140. L’esito non doveva essere sempre Vi restava fino a settembre-ottobre quando molto razionale. Nel 1578, per esempio, la passava a Bardineto (suo per metà), mentre parte del castello di Serole posseduta da i mesi più freddi dell’inverno li passava in- Tommaso del Carretto di Spigno, consigno- vece o, appunto, a Balestrino o nel palazzo re del feudo per «tre parti e mezza di nove marchionale nel borgo di Zuccarello o, an- parti», si trovava «a man dritta entrando la cora, nel vicino palazzotto di Cénesi, dove porta» e comprendeva «una sala con tre luo- possedeva «un bel giardino»143. ghi attaccati, una camera di sopra la sala, la Castelli o palazzi che fossero, le residenze stalla, un’altra camera presso la sala del sig. dei del Carretto erano comunque in genere Alfonso [Spinola]», a sua volta comproprie- edifici estremamente rustici, che obbliga- tario «per le quattro parti»141. La stessa si- vano spesso gli occupanti a una disagevo- tuazione la ritroviamo, pochi decenni dopo, le promiscuità pure in tempi in cui essa era nel «palatium sive castrum» di Gorzegno la regola. L’impressione che si ricava dalla ugualmente ripartito in tante “partes” quan- lettura dei rari inventari rimasti (per giunta ti erano i consignori che vi avevano diritto e risalenti alla metà del Cinquecento, quan- in proporzione alle loro quote142. do vi erano già stati notevoli miglioramenti Poiché spesso i consignori erano divisi da fie- nel modo di abitare) è quella di strutture di re rivalità (come nel caso dei due condomini modeste dimensioni, del tutto prive di co- di Serole testé ricordati) la coabitazione non modità, a cominciare da camini e caminetti.

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Fig. 12. Il castello di Gorzegno in un’incisione ottocentesca (E. Gonin, Album delle principali castella feudali della monarchia di Savoia, Torino 1841-1857)

Le descrizioni degli interni di castelli come le più antiche, come a Gorzegno, a Sinio, a quelli di Prunetto o di Arguello, ci trasmet- Carcare o a Saliceto, si trattò di edifici an- tono infatti immagini di grande rusticità e cora legati a una concezione architettonica povertà, spogli come appaiono di mobili e eminentemente militare con torri, caditoie suppellettili che non siano panche, sgabel- e ponti levatoi; altrove come a Millesimo, a li e tavole di legno, letti smontabili o pochi Cairo o a Calizzano si trattò piuttosto di veri attrezzi da cucina144. Né molto diverse do- e propri palazzi, con loggiati, scuderie, ma- vevano essere le residenze marchionali esi- gazzini e addirittura giardini146. L’abbando- stenti, probabilmente fin dalla loro fonda- no degli antichi castelli, già in atto alla metà zione, in borghi come Bardineto o Levice145. del Cinquecento per effetto delle guerre che Le cose, per la verità, iniziarono a cambiare interessarono il Piemonte fino alla pace di sul finire del Quattrocento, quando quelli Cateau-Cambrésis del 1559, divenne presso- tra i signori che ne avevano le possibilità ché generale nel Seicento, soprattutto dopo economiche, cominciarono a erigere nuove che le guerre del Monferrato ebbero dato il residenze, più comode e moderne, sovente colpo di grazia a quel che ancora restava del all’interno del borgo o della villa. Per quel- paesaggio castrense delle Langhe, con mura

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Fig. 13. Resti del castello di Gorzegno di borghi fortificati e vecchi manieri demoli- do i costumi feudali per la mercatura e la ti a cannonate o fatti saltare con le mine dal- banca, prosperò nei due secoli successivi, le opposte forze in campo, senza fare troppa integrandosi perfettamente con la nobiltà distinzione tra amici o nemici147. savonese149. Lo stesso percorso, sebbene su In alcuni casi (per esempio a Cairo, a Mon- un piano differente, fu seguito dai due rami forte, a Bossolasco, a Serravalle o a Santa principali dei signori di Millesimo. Uno, fin Giulia) i signori riedificarono la propria dal Quattrocento, pose la propria residenza residenza (magari approfittando dell’occa- a Casale, vicino alla corte marchionale, dove sione per liberarsi di fastidiose coabitazio- esercitò cariche cortigiane e di governo150; ni)148; altrove, la distruzione dell’antica sede l’altro ramo scelse invece sul finire del XVI castellana non fece che rendere definitiva la secolo di imparentarsi con alcune tra le più scelta di non risiedere più nel feudo, anche ricche famiglie di nobili-mercanti savonesi perché spesso, necessità legate alla propria (Ferrero, Gavotti, Vegerio, Pozzobonelli) e a attività e a vicende ereditarie, ne avevano seguito di queste parentele e degli interessi a determinato il trasferimento in centri più esse collegati finì con lo trasferirsi anch’esso grandi. Si trattava, per la verità, di una ten- a Savona151. Non erano però solo città come denza in atto da tempo. Senza risalire al Savona o Casale ad attirare i del Carretto XII-XIII secolo quando i del Carretto aveva- come possibili residenze alternative ai loro no tenuto casa in Asti e Alba, sul finire del rustici castelli. Nel 1495, per esempio, diver- Trecento si stabilirono a Savona i signori di si tra i consignori di Calizzano risultavano Torre Bormida (del ramo ottoniano), dan- risiedere nel grosso borgo di Garessio, men- do origine a un casato che, abbandonan- tre nel Seicento (e ancor più nel secolo suc-

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Fig. 14. Il castello di Saliceto cessivo) la crescente influenza sabauda sulle certo influenzata da quanto fatto su scala Langhe eserciterà una fortissima attrazione maggiore all’interno dei consortili dei mar- sui rami di Novello e di Santa Giulia, che chesi di Ceva e degli stessi del Carretto, fu – grazie anche alla cariche amministrative e trovata nel governo a “capitanato”, che però militari esercitate da alcuni dei suoi membri sembra abbia cominciato a imporsi solo nel – andranno a stabilirsi a Torino o nei centri Cinquecento. Il primo caso di cui si abbia al piemontesi più vicini ai loro antichi feudi, momento notizia non riguarda strettamen- come Cherasco, Mondovì, Fossano o Alba. te i Carretteschi, ma è comunque di ambi- Se la spartizione di terre, edifici e persino to langasco, ed è quello degli Scarampi di uomini poteva essere abbastanza facilmente Cortemilia, che nel 1501 si accordarono per concordata, assai più difficile si presentava eleggere a turno tra loro un capitano, inca- risolvere le controversie relative all’eserci- ricato di nominare i vari ufficiali preposti zio dell’autorità giurisdizionale, politica, al governo del feudo: giudice, procuratore militare e alla riscossione dei redditi signo- fiscale, tesoriere, custodi del castello e delle rili. Accordi simili a quelli finalesi del 1357 porte del borgo152. Nel 1533 un accordo di si dimostrarono infatti di breve durata, questo genere fu raggiunto tra i condomini stante l’estrema indeterminatezza degli ob- del Carretto di Santa Giulia, con il consen- blighi imposti ai singoli condomini e soprat- so del signore supremo del feudo, Pirro del tutto alla mancanza di una figura che, sia Carretto di Balestrino153. Le parti convenne- pure temporaneamente e a rotazione tra gli ro infatti «quod dividantur inter ipsos exer- interessati, esercitasse una qualche autorità citium iurisdictionis dicti loci Sanctae Iuliae direttiva sugli altri partecipi. La soluzione, et eius districtus […] scilicet quod quilibet

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ipsorum utatur exercitio iurisdictionis alter- possono essere impiegati né da lui né dal nis annis, videlicet hoc annus unus et alius consortile in altro che in utilità comune et in alio anno pro rata». A chi toccava l’esercizio mantenimento della signoria di Bozolasco, della giurisdizione (e l’annesso titolo di ca- come in difendere li vassalli nostri et suddi- pitano) spettava nominare il vicario, giudi- ti da oppressioni de vicini o de altri repari, ce in tutte le cause civili e criminali «usque fortezze, castelli et prigioni». ad sententiam deffinitivam inclusive» e il Il governo a “capitanato” trovò larga ap- procuratore fiscale, ma ciò non significava plicazione in tutte le Langhe. Ordinamenti una sua maggiore autorità in materia di giu- analoghi a quelli di Santa Giulia erano in stizia; per la revisione di sentenze, appelli, uso a Bardineto155, mentre più simili a quel- concessioni di grazie e salvacondotti a ban- li stabiliti per Bossolasco furono in vigore, diti, condanne a pene corporali o commu- per esempio, nel marchesato di Novello o tazioni di pene occorreva infatti, sempre e nel contado di Millesimo dove però il capi- comunque, la partecipazione anche di tutti tano, visto che i feudatari non vi risiedevano gli altri condomini, ciascuno dei quali, inol- quasi mai, non era uno di loro ma veniva tre, era libero di punire personalmente chi eletto tra i maggiorenti locali da quello tra i avesse recato danno ai propri beni perso- signori cui spettava per quell’anno l’eserci- nali, senza che il capitano potesse in alcun zio della giurisdizione156. A Cairo – e siamo modo mescolarsi. ancora in area Scarampi – i turni di gover- Rispetto a quelli dei del Carretto di Santa no tra consignori non erano invece annuali Giulia, i «Capitoli del capitanato di Bozola- ma biennali e venivano fatti per quartieri sco et mandamento» stabiliti nel 1569 tra i corrispondenti non già ai lignaggi che ne quattro consignori del feudo appaiono assai avevano la signoria, ma alla dipendenza più articolati e completi, anche perché, in vassallatica del feudo, dal 1431 soggetto questo caso, non si tratta di un piccolo feu- per tre quarti al marchesato di Monferra- do rurale di poche anime, ma di un vero e to e per un quarto al ducato di Milano. In proprio “stato” che si estende su una mezza questo modo, ogni otto anni, nei primi due dozzina di terre e castelli154. Anche qui ogni bienni e nel quarto governava con il titolo di anno, «cominciando dalle calende d’aprile», capitano di giustizia uno dei consignori di- uno dei signori, a turno, assume il titolo e pendente dal Monferrato, mentre nel terzo le funzioni di capitano, e il suo ingresso in toccava a uno di quelli aderenti a Milano. carica è accompagnato da una cerimonia Per aumentare la confusione, poi, non sem- d’insediamento, culminante nel giuramento pre l’esercizio della giurisdizione era com- nelle mani degli altri consorti. Come negli misurata in anni. In alcuni feudi (per esem- altri casi visti, a lui spetta nominare il vica- pio a Bardineto) essa era conteggiata anche rio giusdicente, il tesoriere («quale haverà in mesi o in settimane, in proporzione alle il primo luoco fra gli Ufficiali appresso del quote di signoria157; oppure, come a Novel- Vicario») incaricato di riscuotere «li fuodri, lo, il “capitanato” funzionava solo per tre pedaggi et emolumenti di Bozolasco et sue anni su quattro, giacché nel quarto (non a ville», il procuratore fiscale e il segretario. caso soprannominato «l’anno brutto») tutti In materia di giustizia, durante il suo anno i condomini partecipavano collettivamente il capitano ha autorità su «recorsi, appella- all’amministrazione della giustizia158. tioni e querelle d’aggravio», ma nulla può La decisione di adottare il regime capitane- «sopra li servitori delli altri Signori», i qua- ale per governare un feudo era dettata non li – se vogliono – possono impugnare tut- solo dalla sua frammentazione fra più con- te le sue sentenze. In compenso, in caso di domini, ma anche dalla sua estensione e arti- emergenza, può utilizzare la cassa comune colazione. Nonostante le divisioni ereditarie i cui denari – particolare importante – «non e le parcellizzazioni delle quote di signoria,

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si erano infatti mantenute (o talvolta forma- almeno fino agli inizi del XVI secolo, si era te) circoscrizioni territoriali che costituivano imposta quasi spontaneamente la giurisdi- dei veri e propri “stati feudali”, considera- zione del vicino vicario di Cairo, il quale da ti come unità amministrative e giudiziarie tempo immemorabile («a tanto tempore ci- (mandamenti) aventi una precisa identità tra cuius initii memoria hominum non est istituzionale, spesso riconosciuta dagli im- in contrarium») si era assunta l’autorità «in peratori e in genere (ma solo a partire dal citando, cogendo, personaliter detinendo et XVI secolo) insignite di un titolo marchio- iusticiam habitantibus dicti loci faciendam». nale o comitale. Era il caso dei marchesati di Nel 1513, la decisione di due dei condomini Novello, di Spigno o di Gorzegno159 o anco- di Montenotte, Nicolò e Ludovico Scarampi, ra delle contee di Cengio o di Millesimo che, di proibire in futuro al vicario cairese di giu- come enunciato dalle investiture imperiali o dicare i propri uomini e invece di nominare ducali, avevano ognuno un certo numero di un proprio giusdicente suscitò le vibrate ri- comunità soggette, anche se il dominio utile mostranze dei consignori di Cairo, i quali, di esse poteva appartenere a signori diversi. benché non avessero alcun diritto su quel Dove maggiormente si manifestava questa feudo, ne ritenevano ormai pacificamente unità era in ambito giurisdizionale, perché acquisita la giurisdizione161. a ciascun “capo di feudo”, com’erano anche chiamati questi piccoli stati, corrispondeva un giudice (vicario, podestà, castellano), no- Patti, convenzioni e statuti minato magari a turno da tutti i consignori, ma unico giusdicente per tutta l’estensione L’indeterminatezza, che nel caso di un pic- del mandamento e a cui faceva capo una colo feudo come Montenotte riguardava l’e- rete più o meno estesa di giusdicenti mino- sercizio della giurisdizione, la si ritrovava ri che, seppure incaricati di «cose di puoco anche in altri ambiti non meno importanti. momento», erano comunque i rappresen- Spesso infatti l’esiguità della popolazione (e tanti in loco dell’autorità signorile160. quindi lo scarso potere contrattuale dei sud- Si deve tuttavia notare che non sempre le diti) si traduceva nell’assenza di ogni tipo di circoscrizioni giudiziarie coincidevano con normativa per quanto riguardava la gestio- quelle feudali. Benché fosse prassi di no- ne della cosa pubblica, gli obblighi feudali o minare per podestà il notaio del posto o, le regole processuali, affidati totalmente alla più spesso, di una località limitrofa che di consuetudine o alla benevolenza dei signo- tanto in tanto vi si recava ad amministrare ri. Il mettere per iscritto patti, capitoli e con- giustizia (quando addirittura non lo facesse venzioni o ancor più redigere degli statuti presso il suo domicilio…), vi erano casi in erano conquiste che non tutte le comunità cui l’esiguità della signoria era tale da non feudali riuscirono a ottenere. A Carretto, giustificare la presenza di un giusdicente. una villa di appena venti fuochi «con un ca- Poteva pertanto accadere che, vuoi per con- stello con torre tutto dirotto», una relazio- suetudine vuoi per accordo, ci si servisse ne risalente alla fine del XVI secolo notava di un qualche podestà vicino, con il rischio come «non gli è statuti né conventione con li però di determinare con il tempo una dimi- loro signori»162, e una situazione non diversa nutio della pienezza dei poteri del signore. doveva ritrovarsi in altre piccole comunità È quello che accade, per fare un esempio, a feudali come Niosa, Brovida, Santa Giulia, Montenotte, posseduto in condominio da Levice, Serole, per le quali non si conoscono Scarampi e del Carretto: un «feudo silvano» norme statutarie o patti con i feudatari. (essendo costituito interamente da foreste) Qui si deve ritenere che i rapporti tra suddi- con pochi casolari sparsi, del tutto privo ti e signori venissero regolati ancora in età di un qualche centro di aggregazione. Qui, moderna sulla base di consuetudini orali

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vecchie di secoli, come le «bonas consue- nel secolo successivo, quelle di Feisoglio tudines, usus et bonos mores observatos et (1437)170, di Calizzano (1444)171, di Carcare observatas temporibus felicis recordationis (1487)172 e via dicendo. viri egregii Henrici de Carreto honorabilis Le motivazioni che spingono i signori a li- marchionis Savonae», ricordate in diversi mitare i propri poteri e a concedere un al- capitoli tre-quattrocenteschi163 e in cui l’En- leggerimento del regime feudale sono quasi rico in questione dovrebbe essere Enrico il sempre le stesse, come viene ben espresso, Guercio, primo marchese di Savona, o for- per esempio, nelle convenzioni carcare- se suo figlio Enrico II, entrambi vissuti tra si, elargite graziosamente dai del Carretto la metà del XII secolo e gli inizi del XIII. «propter multa et grata servitia quae habue- Nei centri più importanti, economicamente runt et receperunt ab universitate commu- più attivi, si cominciò tuttavia ben presto a nis loci et ville Calcherarum» e per il deside- mettere per iscritto e previa contrattazione rio di «suos subiectos habere locupletos»173: quali dovessero essere i rispettivi obblighi espressioni di facciata che spesso celavano tra signori e sudditi. Cercare di ricostruire in realtà aspri scontri, liti, talvolta anche come si venne formando la legislazione pat- rivolte armate. In alcuni casi però si tratta- tizia e statutaria delle Langhe carrettesche è va di concessioni ex novo, certo influenzate impresa però ardua, anche perché bisogna dalle consuetudini precedenti, ma che si tener conto dei numerosi documenti che il caratterizzavano per una maggiore libertà, tempo ha disperso o che ancora giacciono allo scopo di attirare nuovi abitanti174. Tali sconosciuti nei protocolli di ignoti notai. Per furono infatti le chartae di fondazione delle non correre il rischio di generalizzare e di villenove che nel corso del XIII secolo i Car- offrire un quadro distorto di questa evolu- retteschi andarono erigendo su entrambi i zione, si può solo cercare di indicare alcune versanti del loro dominio, a meglio control- date, dalle quali appare comunque evidente lare e sfruttare il proprio territorio175. Il caso come si sia trattato di un processo assai lun- più conosciuto è quello di Millesimo, i cui go e travagliato. capitoli di fondazione, risalenti al 1206, con- Premesso, come detto, che il quadro è asso- figuravano per l’erigendo borgo uno status lutamente incompleto, le prime convenzio- giuridico privilegiato rispetto ai centri vici- ni conosciute risalgono alla prima metà del ni, a cominciare da quello di Cengio, nella Duecento, ma esse dovevano essere, nella cui giurisdizione si era fino allora trovato loro prima formulazione, assai più antiche, il suo territorio176. Ma norme analoghe do- visto che nei patti intercorsi nel 1235 tra il vettero avere anche le altre fondazioni che, marchese Ottone del Carretto e gli uomini nonostante se ne siano persi gli atti costituti- di Cairo si fa riferimento alle «conventiones vi, è facile ancor oggi identificare per la loro et conventus» stipulati con il suo avo Bo- struttura urbanistica a maglie ortogonali, nifacio del Vasto, quasi un secolo prima164. quale ritroviamo a Bardineto, a Calizzano, a Facendo una breve panoramica i capitoli di Osiglia, a Saliceto, a Levice177. Cortemilia datano al 1233165, quelli di Cairo, Quanto detto per le convenzioni vale solo come visto, al 1235, quelli di Torre Uzzone in parte per la produzione statutaria. Pre- al 1253166, mentre per Montechiaro risalgo- messo che molto spesso norme riguardan- no al 1284 e sono, come negli altri casi, del- ti l’amministrazione delle comunità (per le ricontrattazioni di «bonos usus, mores esempio in merito all’elezione di sindaci, et consuetudines» assai più vecchi167. Se ci dei consoli e altri ufficiali comunali) si ritro- inoltriamo poi nel Trecento troviamo nel vano inserite nei capitoli tra signori e sud- 1340 le convenzioni di Altare e di Albareto diti, i primi statuti conosciuti delle comuni- e Bossolasco168; nel 1387 quelle di Prunetto tà delle Langhe appaiono essere in ritardo (rinnovate nel 1424)169 e successivamente, rispetto alle loro rispettive convenzioni che

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Fig. 15. Progetto seicentesco per il nuovo castello di Bossolasco (Archivio Storico Ingauno di Albenga) comunque, in numerosi casi, riconobbero seguito entro i primi decenni del Seicento ai sudditi il diritto di «statuta, capitula et quelli di quasi tutte le altre comunità del- ordinamenta facere, statuere et corrigere», le Langhe carrettesche, giacché di alcune salva comunque l’approvazione dei signo- (Carretto, Niosa, Brovida, Prunetto) non ri178. Occorre tuttavia dire che la produzio- pare esservi, come detto, traccia di normati- ne statutaria delle Langhe è ancora poco ve statutarie. Dai pochi studi fatti finora191, conosciuta, perché se è abbastanza nota la sembra che i vari statuti (o buona parte di situazione per l’area savonese179, poco o essi) si ispirassero a un modello comune, nulla si sa invece per l’area piemontese, a decisamente più di influenza ligure che pie- parte quanto riportato dall’ormai antiquata montese. Lo si coglie se si prova a esami- raccolta del Fontana180. Gli statuti più anti- nare la struttura istituzionale delle comu- chi sembrerebbero essere quelli di Millesi- nità delle Langhe carrettesche che vedono, mo, risalenti al XIII secolo, anche se di essi accanto a un consiglio dei capi di casa, un non ci resta che una rubrica per giunta in- consiglio minore composto da alcuni uffi- completa181. Al Trecento risalgono quelli di ciali (consoli, sindaci, giuratori) assistiti da Montechiaro (1301)182, di Spigno (1301)183, un certo numero di consiglieri: mai comun- di Osiglia (1337)184, di Cairo (1353)185, men- que più di una dozzina, che si rinnovavano tre appartengono al secolo successivo gli praticamente per cooptazione. A Millesimo statuti di Cengio, Carcare (1433)186, Casti- il consiglio generale eleggeva ogni anno un no (1471), Bossolasco (1471)187, Bardineto sindaco, tre giuratori e nove consiglieri: lo (1479)188, Dego189, Calizzano190, cui fecero stesso che a Cosseria, che aveva però il sin-

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daco in comune con Millesimo192. A Carcare Diritti signorili e beni feudali non vi era il sindaco ma quattro giuratori e otto «di consiglio», così come a Calizzano vi Se proviamo a esaminare in dettaglio come erano un sindaco e dodici consiglieri, men- fossero regolati i rapporti tra feudatari e tre ad Altare si avevano un sindaco e solo sudditi, la prima cosa che appare chiara- cinque consiglieri. Si tratta di un modello mente è quanto gli obblighi dovuti ai signo- organizzativo peculiare dei domini carret- ri si fossero trasformati nel corso del tempo, teschi che ritroviamo anche sul versante così che antichi diritti feudali quali il fodro, ligure, a Finale come a Zuccarello o a Ba- la decima, l’albergaria, la taglia o le tante al- lestrino, caratterizzato soprattutto dal fatto tre obbligazioni vigenti nel X o nell’XI secolo di indicare con il nome di giuratori gli uffi- apparivano già nel Trecento quasi irricono- ciali incaricati del controllo del commercio scibili. Alcuni erano scomparsi (come quelli al minuto, della manutenzione delle strade legati alla libertà personale e all’ambito ma- e dei beudi. Nei territori dipendenti dai del trimoniale), altri avevano cambiato modali- Carretto di Novello l’organizzazione è si- tà di esazione ma, soprattutto, si era venuta a mile, sebbene per tutto il XVII secolo si pre- creare una grande confusione che portava a ferisca indicare i sindaci con l’antico nome dare nomi diversi a esazioni sostanzialmen- di consoli: una differenza terminologica che te uguali. Allo stesso tempo, probabilmente non cambia però l’essenza delle cose193. come conseguenza della frammentazione I consigli locali si radunavano sotto la pre- delle signorie, si era affermata un’estrema sidenza del giusdicente feudale (vicario, varietà dei tipi di imposizione da una loca- podestà, castellano, luogotenente) al qua- lità all’altra, anche all’interno di una stessa le spettava concedere l’autorizzazione alla circoscrizione signorile, come nel caso del riunione; assai raramente vi interveniva più volte menzionato mandamento di Bos- anche il signore (o uno dei consignori). Il solasco dove i patti vigenti tra i signori e le bilancio che erano chiamati a gestire era singole comunità che lo componevano risul- modestissimo. Le comunità avevano ge- tavano essere tutti differenti l’uno dall’altro. neralmente la disponibilità di buona parte Gli obblighi feudali erano sostanzialmente degli introiti delle gabelle e della tassazione divisibili in due grandi gruppi: le prestazio- dei beni allodiali, oltre a poche altre fonti ni personali e quelle in natura o in denaro. di reddito: affitto di boschi, di mulini, di Tra le prime vi erano quelle che oggi si è forni, di osterie, addirittura – come a Bos- soliti indicare per comodità con il termine solasco – del letame che si accumulava lun- francese di corvées e che nelle Langhe erano go le strade comunali. Il tutto a beneplacito conosciute come rozie (o anche roxie. rodie però dei signori. Il fatto tuttavia che i feu- o roide), consistenti nell’obbligo di prestare datari fossero i maggiori proprietari terrieri gratuitamente al signore alcune giornate di faceva sì che non solo fossero esclusi dalla lavoro all’anno secondo le modalità da lui tassazione i loro beni feudali, come era loro indicate195. Nelle località più importanti, che privilegio, ma anche quelli allodiali, nono- disponevano di maggior potere contrattuale stante teoricamente vi fossero soggetti, vi- (come per esempio Bossolasco o Carcare) o sto che in genere non si preoccupavano di che si trovavano fin dall’inizio in una condi- pagare alcunché né le comunità ardivano zione di privilegio (Millesimo), esse non era- sollecitarli a farlo194. Vi era inoltre, come si no da tempo in uso, magari sostituite da una dirà più avanti, una larga fetta della popo- tassa in denaro o in derrate196, ma altrove, là lazione che per antichi privilegi, vecchi di dove i signori disponevano di una “riserva” secoli, era spesso esente da particolari cari- di terre di loro stretto uso (i «beni del castel- chi fiscali, il che riduceva ulteriormente le lo»), si conservarono fino all’età moderna, già magre finanze comunali. anche se in misura praticamente simbolica.

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Il numero delle rozie variava da luogo a luo- retteschi, la taglia, vale a dire l’obbligo per i go e, talora, a seconda dello stato giuridico sudditi di contribuire alle spese che il signo- della persona, cioè se servo o libero, termi- re (non solo uno, ma tutti i consignori…) do- ni questi ultimi che avevano perso quasi del veva affrontare nei cosiddetti “quattro casi”, tutto l’antico significato. Si trattava sempre e cioè per il «maritaggio delle figlie, per com- comunque, come detto, di un numero assai prare qualche feudo, per fare viaggi a luoghi limitato di giornate di lavoro. A Cengio, per santi» e per fornire il denaro necessario al esempio, le rozie gravavano solo sui servi e suo riscatto, qualora fatto schiavo di infede- consistevano in cinque giornate all’anno (tre li. La taglia poteva essere ancora oggetto ex per chi possedeva «bovi da giungere», cioè novo di una concessione imperiale agli inizi aggiogati); a Prunetto erano due giorni an- del XV secolo, come nell’investitura di re Si- nui per ciascun uomo e per ciascun paio di gismondo a Giovanni Bartolomeo del Car- buoi197, lo stesso a Levice, mentre a Rocchet- retto di Bossolasco del 1426201, ma non sem- ta di Cengio e Carretto erano tre198. bra sia mai stata riscossa; viceversa di essa Se le rozie in molti feudi scomparvero o si se ne ha ancora notizia a Millesimo agli inizi trasformarono in un onere in denaro, rima- del Settecento (e nei soli casi fissati nel 1209), se invece quasi dovunque l’obbligo di for- fino però a un limite massimo di 50 fiorini nire la guardia al castello o alle porte del d’oro, da ripartirsi fra tutti gli abitanti202. recinto («vaita et scaravaita») e di mettersi Altra vecchissima tassazione era il fodro, a disposizione per i lavori di fortificazione l’antico diritto del sovrano e degli ufficiali o di restauro degli edifici di proprietà del pubblici di esigere dalla popolazione forag- feudatario (forni, mulini, ferriere ecc.), nel gio e biada per le loro cavalcature (ma anche qual caso però il vitto era interamente a ca- vettovaglie per i loro uomini). Quest’obbli- rico del signore. A Cengio, finché fu in pie- go, indicato almeno nelle Langhe anche sot- di il castello (cioè fino a metà Seicento), la to altri nomi (dacito, annona, biada, alber- comunità doveva pagare ogni notte quattro garia), consisteva in un quantitativo fisso guardie; a Calizzano, invece, tutti i suddi- di cereali (avena, frumento, meliga), talora ti dovevano fornire a turno una guardia di sostituito (e quasi sempre accompagnato) quattro uomini per metà dell’anno e tre per da una somma in denaro. In alcune località l’altra metà, mentre a Bossolasco la guar- si trattava di una quota fissa da ripartirsi fra dia era di cinque servi, sia in estate sia in tutti gli uomini in base al registro, ovvero inverno199. Obbligo analogo, e abbastanza alle stime catastali relative ai loro beni; in al- generalizzato (visto che lo troviamo anche tre era un quantitativo stabilito per ciascun a Prunetto, Levice e Gorzegno), era quello fuoco e con differenze se si riferivano alla di portare le lettere («portatura litterarum») qualità della persona, se servo o libero, o se per conto del signore. In alcuni posti, come abitante in un quartiere piuttosto che in un a Calizzano o Bardineto, era espletato dai altro203. Per fare qualche esempio, in tutta la campari, cioè dalle guardie campestri; al- contea di Millesimo si pagavano ogni anno trove gravava sull’intera comunità o solo su ai signori 896 staia di avena (quasi 3.000 alcune famiglie. A Bossolasco, dove vi erano quintali) e 20 scudi d’oro; a Cengio erano soggetti solo i servi, esso fu convertito nel 58 staia (2.000 litri) e un “filippo”, a Bosso- 1386 in una tassa, il cosiddetto «grano della lasco 40 sacchi di frumento (460 quintali) e lettera», cioè nella prestazione annuale da 28 fiorini, ad Albareto 8 moggi di cereali da parte di ogni capofamiglia “servo”, di un’e- pagarsi a San Michele204, mentre a Calizzano mina e mezza di grano, pari a circa 35 litri200. – in base alle convenzioni del 1444 – la biada Tra le prestazioni in natura – spesso affian- era completamente sostituita da denaro: 200 cate o sostituite da altre in denaro – era quasi fiorini d’oro205. In alcuni luoghi, poi, il fodro del tutto scomparsa, almeno nei feudi car- era diversificato, come a Serravalle dove,

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secondo la convenzione del 1578, si pagava- della comunità concordare come dividere no quattro sacchi di grano da 5 mine l’uno l’onere tra i sudditi. La stessa procedura era a San Martino, sei carri di fieno a luglio e seguita a Bossolasco, con una differenza tra quattro carri di legna ogni volta che il feu- la prestazione dei servi e quella dei “fran- datario veniva ad abitarvi per qualche gior- chi”, perché se i primi dovevano consegnare no206: il tutto poi ripartito tra i vari fuochi. venti galline a ognuno dei quattro condomi- A differenza di questa tassa, la decima era ni, per i secondi l’onere era ridotto a dodici percepita sulla produzione dei singoli terre- ma consisteva in ben più pregiati capponi210. ni agricoli ed era riscossa anch’essa in misu- A queste contribuzioni, che si potrebbe- ra diversa a seconda della qualità personale ro definire principali, si aggiungevano poi del possessore o del tipo di coltura. Come altre che andavano a colpire le transazioni indicato dal nome, in origine corrisponde- commerciali o le successioni ereditarie. Tale va a un decimo di tutto il prodotto, ma le era il cosiddetto “noveno” (o “accordamen- proporzioni erano cambiate con il tempo e, to”), in base al quale coloro che vendevano soprattutto, non era uniformemente diffu- un bene immobile dovevano pagare alla ca- sa; anzi, dal XVI secolo riguardava ormai, mera signorile entro sei mesi o un anno un almeno nelle Langhe carrettesche, solo po- nono del valore dichiarato nell’atto notarile, chi feudi. Ne era gravata, per esempio, la sotto pena in taluni casi del sequestro. Que- contea di Cengio dove veniva pagata «in sta proporzione non era però sempre fissa grano, legumi e vino», dai servi in ragione perché, per esempio a Millesimo un nono del rapporto antico «di dieci uno», mentre i era pagato solo dai servi, mentre per i libe- liberi erano tassati solo «di cinquanta uno»; ri la quota sembra salisse a ben un terzo; in lo stesso era a Rocchetta di Cengio dove altri feudi, come per esempio in quelli dei però la quota dei servi si riduceva a un tre- marchesi di Finale il noveno gravava solo dicesimo207. A Bardineto, ancora nel 1717, sull’1% della transazione. I beni mobili e si pagavano le decime a seconda del tipo immobili di chi moriva ab intestato e senza di raccolto: un decimo per le granaglie, un lasciare eredi diretti erano incamerati per sedicesimo per i fagioli e un ventesimo per un terzo dal fisco marchionale. Vi erano poi la canapa. Il suo importo andava in qualche i proventi derivanti dall’amministrazione caso alla Chiesa: così era a Bardineto, dove della giustizia, i diritti di pedaggio (spesso era diviso a metà tra il parroco e i signori208, però lasciati o condivisi con le comunità lo- come pure a Bossolasco, dove però al primo cali), gli affitti di forni, molini, ferriere o altri ne spettavano i due terzi. edifici, i canoni delle terre allodiali e feudali, Il focatico (o fogaggio), cioè l’antica tassa sui nonché tutta la serie di diritti riservati al si- singoli nuclei familiari (fuochi), sopravvi- gnore riguardanti la caccia, la pesca, la cat- veva quasi ovunque, ma si era convertita tura di uccelli da preda o persino, come a nel pagamento simbolico di un animale da Bossolasco, particolari parti delle bestie ma- cortile da farsi a Natale o in altra festività. cellate nel macello pubblico (in questo caso Non lo troviamo nel marchesato di Spigno le lingue). e nella contea di Millesimo, e neppure ne I carichi fiscali non gravavano in maniera erano soggetti gli abitanti del borgo murato uguale su tutti i sudditi. Già si è visto come di Osiglia (non però gli altri…)209, ma a Cen- potessero variare tra liberi e servi o tra abi- gio e a Rocchetta ogni capo di casa doveva tanti di un quartiere o di un altro (o del bor- una gallina l’anno al signore, a Bardineto un go murato o della campagna), ma vi erano pollastro, come pure a Prunetto e a Levice, anche famiglie che erano tradizionalmente mentre nel piccolo feudo di Carretto ai due esenti da tutte o da parte degli obblighi feu- consignori spettavano invece dodici galline dali. A Cengio, per esempio, le tre famiglie in tutto, sei per ciascuno, ed era poi compito dei Bove, dei Poggi e dei Garello non erano

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assoggettate al noveno211; immunità simili et ab omni annona, ficto, debito, decima et vennero concesse nel 1450 a Saliceto a un drictu generale». Il privilegio, riconosciuto ristretto numero di casate, tra cui gli Ayra- in seguito dai del Carretto, continuò a essere li, giureconsulti e notai, che furono a lungo in vigore almeno fino a tutto il Cinquecento uomini di fiducia dei marchesi di Finale; a e fu sempre cura dei discendenti di Corrado Bossolasco erano completamente esenti i di- de Castello farselo rinnovare dai vari mar- scendenti della famiglia Travaglio212. chesi, prestando giuramento di fedeltà e ri- L’origine di queste franchigie era spesso cevendo da essi investitura di tali beni «cum molto antica. Nel caso dei Travaglio risaliva daga evaginata»216. addirittura alla metà del XII secolo, a prima Le conseguenze potevano essere imprevedi- che i del Carretto divenissero signori di Bos- bili, perché se le franchigie risultavano ab- solasco, quando il paese era ancora dominio bastanza controllabili quando limitate alla dei marchesi di Busca213. L’immunità poteva sola discendenza maschile del primo bene- essere legata a una qualche antica beneme- ficiario (come fu appunto a Saliceto o a Pru- renza (come per l’immunità concessa nel netto), se rese trasmissibili indifferentemen- 1340 dal marchese Giacomo del Carretto a te in linea maschile e femminile rischiavano Obertino de Stephanis di Bossolasco)214, ma di creare seri problemi. È quanto accade a spesso era una componente accessoria di Bossolasco a seguito della già citata dona- una donazione di case e terre fatta a un fi- zione fatta nel 1340 a Obertino de Stephanis. glio naturale cui si voleva comunque garan- Nel suo diploma, il marchese Giacomo ave- tire, al di là della propria condizione giuri- va dichiarato infatti che l’amplissima im- dica d’inferiorità, un dignitoso futuro e una munità concessagli fosse «pro se et suis filiis posizione onorata all’interno della società. masculis et foeminis et pro omnibus in per- A Saliceto, per esempio, godette di assoluta petuum», ponendo come unica condizione immunità fino almeno a metà Cinquecento, il pagamento a Natale di una moneta d’ar- riconosciuta a più riprese dai marchesi di Fi- gento («turonum unum argenteum et nihil nale, la famiglia Bernabelli discesa in via di- aliud de mundo»), senza però che il mancato retta da un figlio naturale del marchese En- soddisfacimento di questo onere simbolico rico II di nome Marchiseto, al quale il padre potesse avere alcuna conseguenza. Di gene- aveva donato nel 1217 il Castelvecchio con razione in generazione il numero dei bene- tutti gli edifici annessi, dichiarando in per- ficiari salì a diverse decine, ma nel 1556 la petuo immuni da ogni contribuzione i suoi decisione di ammettervi anche i discendenti eredi e discendenti per le terre che avesse- delle famiglie Capalla, Cappellano e Musso ro posseduto «per totam terram et distric- in virtù di un’ordinanza di uno dei feudata- tum dicti D. Marchionis in Lombardia et in ri, Guglielmo di San Giorgio, che estendeva Marina»215. Assai simile era anche l’origine l’immunità anche alle famiglie dei mariti, dell’immunità goduta nel territorio di Pru- fece schizzare il numero dei “franchi” a ol- netto dalla famiglia de Castello. Anche qui si tre un centinaio di fuochi: in pratica buona trattava di un lignaggio disceso da un ba- parte della popolazione di Bossolasco. I con- stardo, Corrado, figlio di un dominus Enrico signori, preoccupati perché «fra poco tempo di Lesegno, uno dei vassalli che ancora agli tutti li particolari resterebbero immuni dal inizi del XIV secolo conservavano il domi- detto cargo» e quindi del rischio di venire nio utile del feudo. Questi, il 2 gennaio 1317 privati di una gran parte del reddito feuda- fece donazione al proprio figlio illegittimo le, nel 1689 decisero di convocare tutti coloro di una «domus in burgo castri» e di nume- che si ritenevano franchi, invitandoli a pro- rose terre, dichiarandole immuni in perpe- vare i titoli della loro pretesa immunità. L’e- tuo «ab omni fodro, collecta, dacito, exactio- sito fu desolante perché risultò che dei quasi nibus et iuribus rusticalibus et servitutibus centoventi convenuti nessuno poteva pro-

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vare con documenti validi la discendenza quando non si trattava di enfiteusi di beni da Obertino de Stefani. I feudatari, timorosi di un certo pregio (o che interessavano en- con un eventuale annullamento generaliz- fiteuti di elevata condizione sociale, almeno zato dell’immunità di provocare disordini, rispetto alla maggioranza dei rustici) le in- agirono con grande prudenza. Essi decisero vestiture erano assai rare, accadendo maga- infatti di «non privare del possesso di detta ri che venissero fatti dei rinnovi generali a immunità i medesimi particolari i quali al favore di tutti i beneficiari e a scadenze lon- presente la godono, ma anche di estendere tanissime, come si fece ad Albareto nel 1569 la concessione della medesima a figliuoli e e nel 1688218. discendenti maschi dei suddetti particola- Con il passare del tempo però, in molti casi, ri», dichiarando però che tale privilegio fos- la natura originaria di queste concessioni si se limitato alle sole persone elencate in calce andò perdendo dalla memoria collettiva, al nuovo decreto, e ammettendo, da allora mentre restò immutato o quasi l’ammonta- in poi, la trasmissibilità alle femmine solo in re del canone che si trasformò così in una caso di mancanza di eredi maschi. Al tempo obbligazione feudale verso il signore di cui stesso, però, i consignori si sentirono abba- si era dimenticato del tutto il significato ori- stanza forti, grazie alla «natural clemenza» ginario e che, quando in denaro, aveva or- manifestata in questa occasione, da restrin- mai – per effetto dell’inflazione – un valore gere sensibilmente l’area della franchigia, irrisorio. Ce lo dice molto chiaramente una limitandola all’esenzione dal pagamento relazione genovese del marchesato di Fina- della mina e mezzo del cosiddetto “grano le del 1713, che esaminando «li livelli o sia della lettera”, della gallina e della decima217. responsioni di biade, vino e denari» pagati dalle comunità locali alla Camera marchio- Immunità, privilegi e antiche consuetudini nale, spiega trattarsi di livelli annui corri- rappresentavano indubbiamente un forte sposti nelle Langhe finalesi «per terre state intralcio alla redditività dei feudi per cui concedute a coltura in tempo de’ marchesi, più che sulle rendite derivanti da diritti feu- ma sì come non si ritrovano negli archivi dali i signori dovettero sempre fare affida- scritture alcune di quei tempi che provino mento sulla produttività dei loro beni fon- una tale concessione, così si è sempre con- diari. L’estensione della proprietà signorile tinuata l’esigenza di detti livelli sulle me- era però, almeno nel periodo qui preso in morie rinvenute ne’ libri, che segnano bensì esame, distribuita in modo assai disegua- l’obbligo de’ pagamenti di un tale livello, le da un feudo all’altro, né si deve credere ma non la causale né altra circostanza»219. che i signori fossero dappertutto i maggiori Il tempo aveva cancellato non soltanto la co- proprietari terrieri. In origine era certo stato noscenza dell’origine di molti obblighi feu- così, ma con il passare dei secoli la prassi di dali, ma addirittura quali e quanti fossero i concedere in enfiteusi perpetua campi, pra- beni che si dovevano considerare di natura ti e boschi per incrementare il popolamen- feudale, tanto che i feudatari neppure più to e lo sfruttamento dei loro domini aveva sapevano indicarli. Poteva così accadere, notevolmente ridotto la proprietà fondiaria come avviene nel 1752, che dovendo fare signorile e soprattutto proprio quella di na- il consegnamento dei propri feudi di Ser- tura feudale. ravalle, Carretto, Feisoglio e Albareto alle Le enfiteusi prevedevano il pagamento di autorità sabaude, il marchese Ottaviano del un canone in natura (grano, vino, castagne Carretto di Balestrino si vedesse costretto per le zone della montagna) o più raramente candidamente a dichiarare che «quanto alli in denaro, con l’obbligo di ricevere l’inve- beni feudali […] non può presentemente stitura feudale dei beni goduti a ogni suc- farne consegna più specifica per difetto del- cessione di enfiteuta e di signore. In realtà, le opportune notizie che non può avere»:

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una mancanza di informazioni che, poiché rum bonorum rusticalium et alodiorum», riguarda la totalità delle sue signorie, non in modo che «liceat ipsis de Bozolasco et sembra rappresentare un’eccezione ma for- aliis quibuscumque ad quos praedicta bona se la norma220. A riprova dell’assoluta in- transibunt ipsa bona seu de eis quomodo- certezza regnante può essere poi indicativo cumque alienare et disponere in ultima vo- quanto deciso nel 1608 nei patti di divisione luntate inter vivos», ottenendo in cambio concordati, dopo una lunga lite, tra Manfre- dai beneficiari la promessa di «servire et do del Carretto di Gorzegno e Violante del servitutes facere prout faciunt de aliis ru- Carretto dei signori di Sinio, vedova del cu- stacalibus alodiis»222. gino Carlo. Fu infatti stabilito in quella occa- La riduzione del feudo rustico (o dell’enfi- sione, che i beni feudali di spettanza del de- teusi) in allodio fu un fenomeno assai diffu- funto andassero a Manfredo «quale agnato so, ma che non fece comunque scomparire proximiore», mentre sugli allodiali si sareb- del tutto i beni feudali. Alcune proprietà di be ritagliata una quota di 500 scudi per taci- maggior reddito (masserie, mulini, osterie, tare la vedova. Nessuno sapeva però quali opifici di vario genere) e quelle che costitu- fossero i beni feudali e quali gli allodiali, ivano la “riserva” destinata ai bisogni pra- così che fu concordato «esser allodiali tutti tici del signore - orti, boschi da legna, prati quelli che si sono ritrovati esser registrati e per il fieno delle cavalcature - rimasero in catastati nelli registri delle comunità, come genere nelle mani dei feudatari e su di esse, anche tutti gli altri etiamdio non registrati come in precedenza accennato, i sudditi che si ritroveranno acquistati da qual si vo- che vi erano obbligati venivano chiamati ad glia persona per il qu. Sig. Carlo et ancora adempiere le loro rozie, quando non si trat- pervenuti per confiscatione, et al contrario si tasse di terre affittate con contratti di durata dichiarano feudali tutti li beni stabili non ac- limitata e a canoni variabili. quistati come sopra et che vivendo esso Sig. Quantificare l’incidenza dei beni feudali Carlo né inanti non sono mai statti registrati sul totale della proprietà signorile è pres- nelli registri pubblici di dette Comunità, ma soché impossibile in quanto nei registri ca- sempre sono stati tenuti per feudali et fran- tastali redatti dalle singole comunità essi chi come beni del Castello et dipendenti dal non venivano mai censiti. Difficile dire, diretto dominio, dichiarandosi ancora feu- dunque, se tra feudi e allodii prevalesse- dali tutti gli altri redditi dovuto al Castello ro i primi o i secondi. Le indicazioni che et Signori, come sono decime, noveni, suc- ci vengono fornite dai documenti appa- cessioni, fodri, fitti, pedaggi, daciti, gabelle, iono oltre tutto essere in contrasto le une galline, rosie, molini, batanderi, paratori et con le altre, fornendoci un quadro com- ogni altri simili redditi»221. plessivo assai complesso che non consen- Non erano stati però solo l’oblio o l’incuria te alcuna generalizzazione. Nel contado di a trasformare antichi feudi ed enfiteusi in Millesimo, per esempio, sembrerebbero in beni allodiali e a dare vita alla piccola pro- maggioranza i beni feudali: i del Carretto prietà contadina. In alcuni casi, infatti, la vi possedevano infatti agli inizi del Sette- mutazione aveva avuto alla base precisi ac- cento tre masserie «franche dalli pesi della cordi tra il signore e i sudditi, talora anche comunità» (e dunque feudali), un «bosco cronologicamente assai recenti. È il caso, feudale la più parte di alberi di rovere» a per esempio, della convenzione intervenuta Plodio, mentre a Biestro ve ne era un altro, il 22 luglio 1493 tra i consignori di Bossola- «della grandezza di tre miglia» il cui taglio sco e la comunità, con la quale i feudatari, era destinato «per provvigione del carbone venendo incontro a una precisa richiesta delle vicine ferriere». Se ci spostiamo nella dei loro sudditi, accettarono di ridurre tut- vicina Cengio, la situazione non sembre- ti i rimanenti beni feudali «ad statum alio- rebbe diversa: qui il feudatario possedeva

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tre masserie, «una fra l’altre del valore di due affittate a poco prezzo, costituiscono lire 100 mila del Piemonte, feudale e franca apparentemente quel che resta dell’antica da ogni carico»; a Rocchetta di Cengio, in- riserva signorile229. vece, lo stesso non aveva terreni coltivabili L’impressione di una maggiore redditività ma «un bosco grande di rovere con molti dei beni allodiali è confermata, del resto, da alberi di castagne» (allodiale?)223. Altrove il varie testimonianze, specie quando riferi- quadro appare completamente rovesciato te a signori di scarsa fortuna. Tre di questi a vantaggio dell’allodio. A Carretto, dove sembrano essere, nel 1569, i fratelli Man- i marchesi «havevano molte terre», queste fredo Melchiorre e Alerame del Carretto erano – almeno nel Cinquecento – tutte al- di Gorzegno, consignori di Torre Bormida, lodiali224, e lo stesso parrebbe a Murialdo che vedendosi costretti a vendere parte del e a Osiglia225, nonché a Bardineto226, anche loro patrimonio per dotare una sorella e se occorre dire che là dove le terre erano «trovandosi havere puochi beni allodiali et più produttive vi fu sempre da parte dei rusticali quali sono de miglior et maggior signori una certa attenzione ad ampliare la reddito che li feudali, et senza li quali non propria base patrimoniale (allodiale) con potrebbino mantenere la sua casa et suoi fi- acquisti anche massicci, come fecero i del glioli essendo li feudi loro di pocho reddi- Carretto di Finale a Carcare nei primissimi to», preferiscono vendere quanto loro resta anni del Cinquecento227, o quelli di Spigno della giurisdizione e dei diritti feudali della a Malvicino, più o meno negli stessi anni228. signoria di Gorzegno (un trentesimo) piut- Il fatto poi che i beni feudali non fossero tosto che i più redditizi allodi230. “messi a registro” fa sì che anche quando A differenza dei beni feudali che sono in si disponga di un quadro completo dei beni genere antiche reliquie di un passato lon- feudali e allodiali di un determinato territo- tano, i beni allodiali di proprietà signorile rio risulti praticamente impossibile fare un erano spesso il frutto di un lungo processo raffronto quantitativo, giacché mentre per di acquisizioni portato avanti dai feudatari i secondi viene fornita la superficie agraria nel quadro di una valorizzazione del loro ai fini della determinazione della tassa, dei patrimonio, attraverso acquisti da monaste- primi, in quanto esenti, non viene riporta- ri e istituzioni ecclesiastiche o recuperando ta alcuna indicazione circa le loro dimen- beni enfiteutici o comunitari. Si tratta, come sioni e il loro valore. Così è per esempio si può ben comprendere, di un processo a Bossolasco. Uno «Stato dei redditi tanto strettamente legato alle fortune dei singoli feudali che allodiali spettanti al marchese feudatari perché se molti sono coloro, spe- Gio. Enrico del Carretto» del 1788 (quindi cie nei consortili più numerosi, che si vedo- già di per sé limitato a uno solo dei quattro no costretti di generazione in generazione consignori), se ci permette di stabilire che ad alienare il loro patrimonio, finendo ma- i beni allodiali ammontavano, oltre al pa- gari come fa a Serravalle Scipione del Car- lazzo «posto nel recinto», a più di 30 gior- retto di Zuccarello, per cedere tutti i beni nate di terreno, pari a circa 11,4 ettari, ci dà che vi possedeva («come anche del molino, invece indicazioni assai generiche su quelli forno ed altri redditi feudali») in cambio di feudali. Oltre ai diritti e alle bannalità figu- un censo annuo231, altri al contrario erano rano infatti tra essi solo il sito del vecchio attenti a incrementare la propria base fon- castello diroccato e nove pezze di terreno tra diaria. I del Carretto di Finale, che dagli prati, campi coltivati e castagneti con due inizi del Cinquecento poterono contare su cascine, una delle quali abitata dai massari un importante flusso di denaro provenien- e una affittata. Si tratta comunque, come si te dai benefici ecclesiastici rastrellati dal esprime la descrizione, di terre «di pochis- cardinale Carlo durante la sua folgorante simo valore», in parte incolte e che, a parte carriera, ne investirono gran parte nell’ac-

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quisto di boschi e terre allodiali nelle “loro” Antonio del Carretto seguire di persona i Langhe e soprattutto a Carcare e Osiglia232. lavori di fienagione nella sua piccola signo- In alcuni casi, l’accanimento nell’acquista- ria di Levice, dove l’ostilità del padre lo ha re case e terreni corrispondeva al desiderio relegato, presenziare alla macinatura dei di ricomporre i beni familiari, smembrati a grani al mulino, fermarsi a bere nelle case seguito delle successioni ereditarie, come dei contadini, chiacchierare con mulattieri e praticò per buona parte del XVI secolo Tete viandanti237. Quando però le dimensioni co- del Carretto di Gorzegno (morto centenario minciavano a essere appena più consistenti, nel 1610), assai abile nel prestare denaro ai ecco che intervenivano nella gestione uomi- suoi consorti in difficoltà economiche e a ri- ni di fiducia, agenti, fattori. Pirro del Carret- comprare poi i loro beni a buon prezzo233. to di Balestrino, che seppure in condominio Accanto all’acquisto di beni immobili i feu- risultava essere signore di una dozzina di datari più intraprendenti si impegnarono paesi e castelli, si serviva per il maneggio poi, fin almeno dal XIV secolo, nella costru- dei propri affari di notai e mercanti (come zione anche di insediamenti proto-industria- il fiorentino Benedetto Bettini) ma anche di li234. La disponibilità di legname e di corsi ecclesiastici, quali il frate domenicano Gia- d’acqua favorì infatti la nascita, oltre che di como de Taris di Calizzano, che era anche mulini, anche di ferriere, martinetti, seghe- affittuario della rettoria di Bardineto (di cui rie, concerie, batanderi da canapa, sparsi un il marchese aveva il giuspatronato) o l’olive- po’ ovunque. Assai attenti si dimostrarono tano Antonio Bazzano di Varazze, del mo- in questo senso i conti di Millesimo, che tra nastero di Santa Maria di Pia, che gli faceva questa località, Cosseria e Cengio, fecero co- anche da cappellano238. struire due ferriere, una segheria («edificio Almeno a partire dai primi decenni del da resigare tavole») e una conceria, sfrut- Cinquecento divenne però pratica normale tando le acque della Bormida235. I marche- dei del Carretto affittare in blocco la mag- si di Finale, da parte loro, promossero tra gior parte delle rendite provenienti dalle Quattro e Cinquecento la costruzione di tre loro signorie, in modo da poter disporre ferriere a Bormida, non disdegnando nep- ogni anno di un reddito certo e senza do- pure di tentare uno sfruttamento minerario versi preoccupare delle spesso intricate del territorio come fece intorno al 1465 il questioni relative alla loro amministrazione marchese Giovanni I, quando prese in enfi- finanziaria, specie quando si riferivano a teusi per venticinque anni dai consignori di feudi o porzioni di feudi lontani dalla loro Osiglia lo sfruttamento delle miniere («cioè residenza principale239. Sembrerebbe che i de auro, argento, ramo et plombo et de ogni primi a praticare questo sistema siano stati altro genero») di loro proprietà, impegnan- i marchesi di Finale. A partire almeno dal dosi a costruirvi i necessari edifici destinati 1530 tutte le loro signorie che si trovavano alla lavorazione del metallo236. nelle Langhe e nel marchesato di Ceva co- I metodi di gestione del patrimonio signo- minciarono a essere infatti affittate (o, come rile dipendevano ovviamente dalla sua di- si diceva, arrendate) con contratti novenna- mensione. Nella stragrande maggioranza li, in cambio di un canone fisso in denaro, dei casi i del Carretto, a causa della fram- talvolta integrato anche da beni in natura, mentazione dei feudi e dell’esiguità dei loro ricavandone un gettito complessivo che beni, erano quasi obbligati a occuparsi diret- veniva stimato a metà secolo in circa 2.000 tamente delle loro terre, non diversamente scudi l’anno: quasi il 15% dell’entrata annua da quanto avrebbe fatto un qualsiasi pro- complessiva del marchesato finalese240. Agli prietario, con o senza l’ausilio di un ammi- affittuari, che assumevano il titolo di castel- nistratore o anche solo di un fattore. Accade lani (anche perché ove possibile andavano così di vedere un signore come Giovanni a stabilirsi materialmente nel castello preso

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in affitto), era riservata l’esazione di tutte le Vassallaggi e aderenze entrate marchionali, sia feudali sia allodiali, con l’eccezione talvolta da quelle derivanti Da quanto detto finora appare abbastanza dai pedaggi o dall’amministrazione della chiaramente quanto fosse contorta e artico- giustizia, quasi mai alienata241. lata la struttura istituzionale e patrimoniale Quanto fatto dai marchesi di Finale fu imi- delle signorie carrettesche delle Langhe, ma tato anche dagli altri del Carretto, in parti- polverizzazione di quote di signoria, condo- colare da quelli del ramo di Balestrino i cui mini di modestissimi feudi di poche decine domini erano più di altri dispersi tra il lito- di anime, grovigli di diritti, immunità e fran- rale ligure e le Langhe. Il più volte citato Pir- chigie non esaurivano la complessità dell’in- ro del Carretto era solito infatti, all’incirca sieme. Sebbene si sia scelto di trattare questo negli stessi anni, cedere in affitto quasi tutte aspetto alla fine del presente studio vi era le sue signorie (compresa Balestrino), anche infatti, al primo posto, una questione assai se con contratti più corti rispetto ai cugini più importante, per non dire fondamentale, finalesi, di soli quattro anni. In compenso, e cioè quale fosse lo status giuridico e politi- quando si trattava di comunità di scarse co di ciascuno di questi feudi, quale la loro dimensioni, l’arrendamento riguardava non collocazione gerarchica nel sistema politico solo le entrate feudali e allodiali, ma anche italiano, e quindi quali e quanti fossero i le- l’esercizio della giurisdizione, come quando gami politico-istituzionali che collegavano i nel 1533 affittò la sua metà dei feudi di Le- singoli signori alle potenze regionali vicine e vice e Carretto («et omnia et singola praedia soprattutto al Sacro Romano Impero, inteso queae habet super posse et finibus Altesini come suprema fonte di legittimazione. et Scalettae») insieme all’amministrazione In quanto Aleramici i del Carretto, come i della giustizia a Pietro de Ponte di Diano loro lontani consanguinei marchesi di Mon- d’Alba per 60 scudi l’anno, «salvo tamen di- ferrato o di Saluzzo, potevano vantare un recti dominii et proprietate»242. potere che era “legittimo” da tempi ormai Gli “affittanti” erano spesso personaggi di immemorabili, visto che affondava addirit- nobile lignaggio, anche se di un gradino tura al X secolo e al più volte menzionato inferiore rispetto ai signori. Il marchese Al- diploma ottoniano del 967 che aveva rico- fonso II di Finale, per esempio, concesse in nosciuto al loro capostipite il possesso delle affitto a Giovanni Alberto del Carretto di corti regie «intra Bormidam et Tanarum et Gorzegno, amico di vecchia data del padre litus maris», di quel territorio cioè in cui i e suo uomo di fiducia, i castelli di Saliceto e più identificavano le Langhe. Per i del Car- Paroldo, mentre il marchese Pirro nel 1533 retto, in particolare, erano poi intervenute, arrendò per 100 scudi annui la propria metà ai tempi degli imperatori svevi, le due in- del castello, mulino, batanderi, fodri, censi vestiture di Federico I (1162) e di Federico e pedaggi di Prunetto ad Ambrogio Calde- II (1226), le quali avevano confermato a En- ra dei signori di Monesiglio, antico vassallo rico il Guercio e poi a suo figlio Enrico II i della sua casa243. In genere, tuttavia, a far- castelli, le terre e i diritti posseduti già dal si avanti per prendere in affitto le entrate marchese Bonifacio «in Marchia Savonae» e signorili erano membri dell’entourage dei in particolare nel versante ligure245. marchesi: giureconsulti, notai, personalità Più che da questi diplomi, però, il legame con appartenenti alle principali famiglie del loro l’impero era stato cementato per tutto il XIII dominio (come i della Valle di Finale, i Ca- secolo da strette relazioni personali, consoli- stellano o i Sorleone di Carcare, i Giannotti datesi anche per mezzo di alcuni matrimoni di Niella), ma anche imprenditori forestieri con donne di famiglie assai vicine alla casa quali il milanese Carlo Ferrari o il già men- di Svevia. Già Enrico il Guercio, compagno zionato fiorentino Benedetto Bettini244. di Corrado II in Terrasanta e fedele seguace

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del Barbarossa nelle sue campagne italiane, Questi patti, pur formalmente rispettosi sembra avesse ottenuto l’alto onore di spo- della suprema sovranità imperiale, avevano sarne una nipote, Beatrice, figlia del marche- rappresentato un grave vulnus all’autono- se Guglielmo IV di Monferrato e di una figlia mia dei marchesi, anche perché, specie nella naturale dello stesso imperatore246. Enrico II prima metà del XIII secolo, l’azione dei co- si unì invece in seconde nozze a una figlia muni era stata fortemente minacciosa, spe- del conte Guglielmo di Ginevra, cognata di cie da parte di Asti e di Alba, i più interes- Tommaso I di Savoia, vicario generale impe- sati a imporre il proprio dominio sui domini riale nell’Italia settentrionale. Ancora meglio carretteschi. Già nel 1191, lo si è ricordato, fece il loro figlio Giacomo che nel 1247 ebbe Enrico II del Carretto aveva dovuto cedere in moglie dall’imperatore Federico II addirit- ad Asti il possesso di Cortemilia, accettando tura una delle sue figlie naturali, Caterina da di divenirne vassallo249; lo stesso aveva fatto Marano, la quale svolse un ruolo attivo nel suo fratello Ottone nel 1209, il quale aveva a determinare l’atteggiamento dei del Carret- sua volta venduto allo stesso comune diciot- to negli anni immediatamente successivi alla to castelli e terre situati nelle valli della Bor- morte dell’imperatore, sostenendo dappri- mida e dell’Uzzone ricevendoli quindi in ma il fratellastro Manfredi e quindi il nipote feudo250; la presenza astigiana nelle Langhe Corradino che, proprio grazie al suo aiuto, si era poi ulteriormente rafforzata nel 1228 riuscì a raggiungere indisturbato attraverso con l’acquisto di Saliceto251. Alba, seppure le Langhe la rada di Vado, dove lo attendeva economicamente e militarmente più debole la flotta pisana per condurlo a Napoli. dell’eterna rivale, non era stata da meno e La sconfitta del giovane erede degli Hohen- aveva per buona parte del secolo conteso a staufen, il lungo interregno al vertice del- Enrico II e a suo figlio Giacomo il possesso l’impero e i successi guelfi e angioini nel Pie- di diversi castelli sulla destra del Tanaro, monte meridionale sembrarono per qualche in particolare Novello, Monchiero e Sinio, tempo allontanare i del Carretto dal partito finché gli accordi del 1255 e poi la perdita filoimperiale, tanto da indurre alcuni fra dell’autonomia non ne avevano per sempre loro a venire a patti con Carlo d’Angiò247. bloccato ogni spinta espansionistica252. Quando però, nel dicembre 1310, Enrico VII Rispetto ai due comuni piemontesi, la politi- di Lussemburgo riportò le insegne imperiali ca di Genova era stata differente, sia perché in Italia dopo decenni di assenza, i marchesi essa mirava non tanto a imporre il proprio di Savona furono tra i primi a raggiungere il diretto dominio sui possessi carretteschi suo esercito, contribuendo anche in denaro quanto piuttosto a isolare l’inaffidabile Sa- alla sua spedizione. In ricompensa, il mar- vona dal suo entroterra naturale, sia perché chese Antonio, capostipite del terziere di Fi- fu percepita dai marchesi come una forza in nale, avrebbe ottenuto allora un diploma di grado di bilanciare efficacemente il potere conferma dei feudi posseduti248: un’esigenza di Asti, di Alba e dei marchesi di Monfer- quanto mai sentita, non soltanto perché le rato. Fu questo, infatti, l’obiettivo di Ottone precedenti investiture federiciane appariva- del Carretto quando, nel 1214, cinque anni no ormai lontane e soprattutto estremamen- dopo aver ceduto ad Asti la maggior parte te generiche, ma anche perché nel frattempo dei propri castelli, vendette al podestà di Ge- i del Carretto, come altri signori di stirpe nova, per ritenerne il controllo come vassal- aleramica, avevano dovuto piegarsi, volenti lo, il possesso di quanto era rimasto escluso o nolenti, a prestare ripetuti atti di omaggio dalla vendita: Cairo, Dego e tutti i diritti da e di vassallaggio nei confronti delle vicine lui posseduti nella vallata della Bormida di potenze comunali (Asti, Alba, Genova) e di Spigno253. L’acquisto nel 1223 dai marchesi signori più potenti di loro, quali i marchesi del Bosco del castello di Pareto, posto a ca- di Monferrato o di Saluzzo. valiere tra le valli della Bormida e dell’Erro,

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e la sottomissione feudale nel 1290 anche tutti e tre i casi, infatti, non si deve pensare dei marchesi di Ponzone254, rafforzarono ul- che vi fosse un qualche disegno strategico teriormente la presenza genovese ai margi- dietro la decisione di Carlo IV. Per lui, come ni delle Langhe, che si sarebbe protratta su per i suoi successori, infatti, i viaggi in Ita- questi territori, senza soluzione di continui- lia per farsi incoronare imperatore, erano tà, fino agli inizi del Quattrocento, lasciando anche occasioni per fare cassa vendendo strascichi giuridici che si sarebbero protratti investiture e privilegi ai rappresentanti di ancora per buona parte di quel secolo. comuni e di signori grandi e piccoli che si af- Gli atti di omaggio prestati agli inizi del XIII follavano lungo il percorso del corteo impe- secolo ad Asti o a Genova non furono infatti riale, così che i tanto ambiti diplomi erano il eventi sporadici, dettati dalle contingenze più delle volte concessi a semplice richiesta politiche del momento, ma stabilirono un e dietro il pagamento di un corrispettivo in rapporto di vassallaggio che – stante l’e- denaro, nella più completa disinformazione voluzione istituzionale di queste due città- delle situazioni reali di questi territori, solo stato – si protrasse nei secoli successivi, con seguendo i consigli e i pareri di un qualche rinnovi periodici di investiture e di giura- illustre patrocinatore. Per queste ragioni, menti di fedeltà. poteva accadere che la politica imperiale Da qui l’esigenza, per i del Carretto, di met- nei confronti di una determinata area geo- tere in qualche modo al riparo i territori che grafica o di singoli signori e casate risultasse erano riusciti a preservare dalle ingerenze completamente contraddittoria, come ce ne dei due potentati vicini mediante l’otteni- fornisce un esempio proprio il caso dei del mento dagli imperatori di una investitura Carretto testé ricordato, perché quanto con- che ne riaffermasse il carattere di feudi im- cesso un giorno rischiava di essere smentito mediatamente dipendenti dal Sacro Roma- poco tempo dopo. Accade così che tra le due no Impero, possibilmente enumerando det- investiture accordate nel giro di tre mesi e tagliatamente nel dispositivo del diploma, i mezzo ai consortili di Novello e di Finale (e castelli e le terre che dovevano considerarsi affermanti solennemente la loro diretta di- tali, visto che le precedenti investiture dei pendenza dal Sacro Romano Impero) si col- due Federichi erano state in materia estre- loca il diploma rilasciato l’8 maggio 1355 al mamente vaghe. marchese Giovanni II Paleologo, al quale ol- Questo obiettivo fu in larga misura ottenuto tre all’investitura del Monferrato, Carlo IV nel 1355 quando, approfittando della venuta concedeva la superiorità feudale sui posses- di Carlo IV in Italia per cingere a Roma la si dei «descendentes ex progenie quondam corona imperiale, i del Carretto riuscirono a Aledrami primi marchionis», “mediatizzan- farsi riconoscere dal sovrano l’“imperialità” do” così (oltre alle signorie dei marchesi di dei propri possedimenti: la ottennero per Clavesana, di Ceva, del Bosco, di Ponzone e primi quelli del terziere di Novello (2 febbra- d’Incisa) anche le terre dei del Carretto che io 1355)255, seguiti quindi dai consorti di Fi- solo poco prima lo stesso imperatore aveva nale (15 maggio 1355)256, mentre i consignori dichiarato perpetuamente “immediate”258. di Millesimo poterono averla solo tre anni dopo (27 dicembre 1358), non prima di esser- Le concessioni imperiali di metà Trecento si sobbarcati un lungo viaggio fino a Praga257. non ebbero, come detto, grandi conseguenze Questi diplomi se da un lato sancirono il sul piano effettivo. Dopo la fugace appari- riconoscimento imperiale delle terre posse- zione di Carlo IV in Italia l’impero tornò in- dute dai tre rami principali dei marchesi di fatti a essere una realtà lontana e impotente Savona (e come tali furono in seguito enfa- e i decenni seguenti videro anzi un generale tizzati nella tradizione familiare), non ebbe- rafforzamento dei nascenti stati regionali e, ro comunque un grande effetto pratico. In nel Piemonte meridionale, l’affermazione

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dei signori di Milano sulla declinante poten- altri – come i del Carretto di Millesimo e di za angioina e sulle antiche dinastie feudali rami minori della linea di Finale – si posero locali, rappresentate dai marchesi di Mon- invece, sotto la protezione del marchese Te- ferrato e di Saluzzo, dai principi d’Acaia e odoro II di Monferrato e, anzi, finirono con dai conti di Savoia. Nel marzo 1379, con l’ac- il dichiararsi suoi vassalli, richiamandosi quisizione definitiva di Asti, Gian Galeazzo espressamente alla già ricordata concessio- Visconti – a dispetto delle investiture impe- ne carolina del 1355 che aveva trasferito al riali – ottenne anche la superiorità feudale su marchese Paleologo la superiorità feudale su quei signori delle Langhe che erano vassalli tutta la discendenza aleramica262. Fra il 1393 della città, superiorità che venne successiva- e il 1396, infatti, divennero feudi del mar- mente trasferita al genero Luigi d’Orléans, chesato di Monferrato quasi tutte le signorie quando Asti gli fu concessa quale dote della dell’alta val Bormida, tra le quali Calizzano, figlia Valentina (1387). Le ambizioni di do- Osiglia, Massimino, Pallare, Carcare, Mille- minio del principe francese, desideroso di simo, Roccavignale, Altare, Mallare, Gotta- conquistarsi un forte dominio in Italia, de- secca, Camerana, Saliceto, Prunetto e Santa stabilizzarono fortemente una situazione Giulia263 (cfr. tab. I). già delicata e provocarono una spaccatura La supremazia monferrina in questa area si all’interno dei consortili feudali della re- consolidò ulteriormente negli anni in cui lo gione259. Il sistema politico-istituzionale de- stesso Teodoro fu signore di Genova (1409- lineatosi fino ad allora per effetto dei due- 1413). In questo periodo egli cercò infatti centeschi omaggi feudali ai comuni di Asti di appropriarsi di quelle signorie a ridosso e di Genova e delle investiture di Carlo IV della cresta appenninica che erano da tem- non subì mutamenti sostanziali, ma si ven- po feudi del comune genovese264. Il mar- ne affermando prepotentemente un nuovo chese ci riuscì solo in parte, ma l’impresa fu istituto – l’“aderenza” – che grande fortuna condotta a termine, grazie alla determinante avrebbe avuto per oltre tre secoli. Si trattava, alleanza viscontea, dal figlio Gian Giacomo in buona sostanza, di un accordo bilaterale nel 1419 quando, dopo due anni di guerra, i per cui un signore o una comunità formal- genovesi furono costretti a cedergli le piaz- mente autonomi si ponevano sotto la prote- zeforti di Pareto e Ponzone e a trasferirgli i zione di una potenza principale (i Visconti diritti feudali su Cairo, Spigno e Dego che di Milano, il marchese di Monferrato, il essi avevano acquistati da Ottone II del Car- conte di Savoia, il duca d’Orléans, Genova), retto due secoli prima265. impegnandosi a seguirne le direttive politi- Tutti questi avvenimenti si svolsero nel più che e militari, indipendentemente da preesi- totale spregio dell’autorità imperiale, del re- stenti obblighi feudali e spesso in contrasto sto rappresentata per buona parte di questo con essi, ma comunque in una posizione che periodo da un sovrano debole e inetto come lasciava ancora discreti ambiti di autonomia Venceslao di Lussemburgo, pronto per de- rispetto a eventuali interferenze del principe naro a vendere a Gian Galeazzo Visconti il “protettore”260. Per effetto dei vari trattati di titolo di duca di Milano e ad accettare supi- aderenza si vennero così formando attorno namente (e forse dietro adeguato compen- ai territori delle potenze maggiori delle fa- so) l’insediarsi della signoria francese su sce d’influenza che non rispettavano asso- Genova (1396). In mancanza del loro natu- lutamente la “geografia” delle obbligazioni rale referente, i del Carretto dei vari terzie- vassallatiche. Nello scontro tra Monferrato, ri non si limitarono più a stringere patti di Milano e poi il duca d’Orléans, i del Carretto aderenza e di alleanza con i principi vicini, di Finale, di Novello e di Bossolasco – seb- ma si adattarono a entrare al loro servizio, bene feudatari imperiali – si schierarono con in particolare in quello dei Visconti e dei il principe francese quali suoi “aderenti”261, marchesi di Monferrato e di Saluzzo, presso

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i quali andarono a ricoprire uffici di gover- compresi coloro che si ritenevano feudatari natore e di podestà, rivestendo cariche di imperiali, furono costretti a giurare fedeltà consigliere e di corte o svolgendo missio- al duca di Milano o a dichiararsi suoi ade- ni diplomatiche in loro favore266. L’impero renti271. Nonostante il successivo trattato di però, nonostante tutto, non fu dimenticato. pace di Ferrara (1433) stabilisse la restitu- Per almeno due generazioni, forse in rico- zione delle terre e delle fedeltà vassallatiche noscenza per le concessioni di Carlo IV o al marchese di Monferrato, parecchi feuda- per un presunto matrimonio con una dama tari, tra cui non pochi Carretti, rifiutarono della Casa di Lussemburgo cui appartene- di ritornare alle dipendenze del Paleologo, va l’imperatore, fu d’uso nel consortile di preferendo restare vincolati al duca, attirati Millesimo assegnare il nome Lucemburgo a forse dalle maggiori possibilità di riceverne uno dei propri figli267. Soprattutto però i del onori e protezione. Ne nacque un conten- Carretto, pur servendo i Visconti o i Paleo- zioso che, complicatosi dopo la morte di Fi- logi, continuarono a essere pronti a mettersi lippo Maria Visconti (1447) per le ingerenze a disposizione della causa imperiale ogni del duca Ludovico di Savoia272, si concluse qual volta le insegne cesaree si mostrassero solo nel 1454, attraverso un complicato gio- ai confini del Piemonte. Così fecero i fratelli co di “restituzioni di fedeltà” che lasciò co- Corrado e Oddonino del Carretto di Mille- munque molte situazioni irrisolte273. simo, ufficiali e diplomatici ora del duca di Rispetto a un ventennio prima, l’assetto po- Milano ora del marchese di Monferrato, ma litico-istituzionale delle Langhe ne risultò pronti – nel 1413 – a mettere a disposizione del tutto sconvolto, perché l’intero territorio di re Sigismondo le loro milizie, e a ricevere non soltanto si trovò a essere ora comple- da lui il governo di Piacenza, per qualche tamente diviso – quanto meno per rapporti mese unico possesso imperiale in Italia268. feudali e aderenze – tra il duca di Milano, il Proprio il loro atteggiamento di fedeltà nei marchese di Monferrato e il duca d’Orléans confronti del re dei Romani suggerì a Filip- (in quanto conte di Asti), ma soprattutto si po Maria Visconti, nel 1426, la scelta di in- aggravò la confusione già esistente riguar- viarli come suoi ambasciatori a Praga, per do lo status giuridico delle diverse signorie, concordare con il sovrano la sua venuta in restando molto spesso incerto quali doves- Italia per esservi incoronato e soprattutto sero essere considerati feudi e quali sempli- per muovere guerra ai veneziani, nemici co- ci “aderenti et recommendati” di questo o muni. La missione risultò tanto soddisfacen- quello stato maggiore: una confusione pe- te che Sigismondo volle premiare i due del raltro di comodo, non fosse altro perché la- Carretto nominandoli vicari imperiali per i sciava a entrambe le parti un certo margine marchesati di Savona e Ceva, per i territori di manovra. Poteva pertanto accadere che degli Scarampi e dei conti di Ventimiglia e, una stessa località fosse feudo di uno stato, più in generale, per le diocesi di Alba, Savo- ma fosse a un tempo anche aderente di un na e Acqui269, e a beneficiare del favore del altro. Era il caso di Mombaldone, per alme- re fu anche il loro cugino Giovanni Bartolo- no un terzo parte del contado d’Asti, ma nel meo, signore di Bossolasco, che ottenne una 1474 adherentiata al duca di Milano274; oppu- nuova investitura dei propri feudi270. Anche re di Camerana, sulla cui dipendenza feuda- questa volta, tuttavia, si trattò di concessio- le litigavano il duca di Milano, il marchese ni puramente onorifiche, del tutto prive di di Monferrato e il marchese di Saluzzo, tan- ogni valore effettivo. Anzi, continuando la to da richiedere un arbitrato dell’imperatore guerra tra Milano e Venezia (di cui Gian Federico III per dirimere la questione. Altre Giacomo Paleologo era alleato), nell’autun- volte (come a Bardineto) la dipendenza dal no 1431 tutto il Monferrato fu occupato dal- duca di Milano era per un terzo in quanto le truppe viscontee e i signori delle Langhe, feudo e per due terzi in quanto aderente;

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Tab. I. Feudi dei del Carretto dipendenti dal Monferrato senza contare poi casi come quello di Mille- Inizialmente, Filippo Maria Visconti si fece simo, feudo condiviso a metà tra gli lo stes- ancora scrupolo di menzionare, nelle sue so duca e il marchese di Monferrato, o anco- investiture, la suprema autorità del Sacro ra di Cairo, dove gli Scarampi erano, come Romano Impero e la necessaria approvazio- già ricordato, per tre quarti dipendenti dal ne dell’imperatore (peraltro mai richiesta), Monferrato e per un quarto da Milano (per ma con l’avvento al potere degli Sforza, che un quadro delle signorie legate allo stato Federico III si rifiutò sempre di riconoscere visconteo-sforzesco cfr. tab. II). legittimi duchi di Milano, nelle investiture All’atto pratico, comunque, queste sottili ducali non fu più fatta menzione alcuna distinzioni non ebbero modo di valere gran dei diritti imperiali su questi feudi, come che, specie per quei signori legati al ducato se non esistesse più alcuna dipendenza di Milano, giacché per tutta la seconda metà dall’impero277. del XV secolo e (salvo brevi parentesi) fino all’estinzione della dinastia (1535), gli Sfor- za non fecero molte differenze se un signore «Sub umbra aquilae imperialis» era loro vassallo o semplice aderente, trat- tando tutti uniformemente alla stregua di Le cose cominciarono a cambiare dopo il feudatari, anche se ai signori delle Langhe 1493 quando, a seguito del matrimonio fu sempre riconosciuto uno status di larga dell’imperatore Massimiliano con Bona autonomia, specie se rapportato a quello Sforza, nipote di Ludovico il Moro, questi ot- degli altri loro vassalli di Lombardia275. La tenne finalmente la tanto sospirata investitu- sottomissione ai duchi di Milano, instaura- ra del ducato di Milano; il ristabilimento di tasi per molti tra i del Carretto nel 1431, ri- relazioni decisamente amichevoli tra Sforza guardò, come detto, pure quelli tra loro che, e Asburgo rese infatti possibile una diversa e come i signori di Bossolasco o di Novello, maggiore presenza dell’impero nelle vicen- potevano vantare diplomi d’investitura im- de feudali del dominio sforzesco e in par- periale anche recenti276. ticolare in quei feudi che potevano vantare

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Tab. II. Feudi dei del Carretto dipendenti dall’impero o dal ducato di Milano

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più o meno lontane investiture imperiali278. da essi ampiamente utilizzati per chiedere e Tra i primi a beneficiare di questo diverso ottenere l’erezione delle loro signorie in feu- clima fu il marchese di Finale, Alfonso del di imperiali, anche quando si trattava di ter- Carretto, che nel 1496 ottenne dall’imperato- re dipendenti fino ad allora dal Monferrato re la concessione del vicariato perpetuo sui o da Asti o addirittura di semplici allodi. Già marchesati di Savona e Clavesana e lo status a partire dal 1521 le investiture imperiali ri- di feudo imperiale per tutti i suoi possedi- presero a farsi sempre più numerose282, e la menti, tra i quali anche Saliceto, Carcare, Ca- devoluzione del ducato di Milano all’impe- merana (per un mezzo), Paroldo, Murialdo e ro alla morte del duca Francesco II Sforza Massimino, nonostante dipendessero alcuni (1535), insieme all’incertezza sulle sue sorti, dal marchesato di Monferrato e altri dalla favorirono grandemente questo processo, contea di Asti279. Analoghe investiture otten- anche perché per quasi un ventennio vi fu nero nel 1498 e 1509 i del Carretto di Zucca- un’assoluta identificazione tra autorità im- rello per il possesso di alcuni feudi o parte di periale e ducale, che – almeno nelle inten- feudi nelle Langhe, quali Prunetto, Levice, zioni di Carlo V – doveva continuare anche Scaletta e Serole280. dopo la sua morte. Nei progetti da lui conce- Con l’elezione al trono imperiale di Carlo piti intorno al 1550, infatti, l’impero avreb- V e le sue vittoriose campagne in Italia, cul- be dovuto divenire ereditario nella persona minate nella battaglia di Pavia (1525) e nella del suo primogenito Filippo, il quale già nel trionfale pace di Bologna (1530), l’impero 1546 era stato investito (sia pure ancora se- tornò appieno a essere un fattore determi- gretamente) del ducato di Milano, territorio nante nel sistema politico della penisola, destinato – come già in parte era – a essere non solo per la presenza in Lombardia di il pilastro del dominio imperiale sull’Italia. una stabile forza militare ai diretti ordini Questa sistemazione (la cosiddetta succes- dell’imperatore, ma anche per la rinascita sione spagnola) incontrò tuttavia una forte di un forte partito “imperiale”281, al quale opposizione da parte del ramo “austriaco” aderirono naturalmente anche i del Carret- degli Asburgo, rappresentato dal fratello to, secondo quella che era una consolidata dell’imperatore, Ferdinando, re dei Romani, tradizione familiare. Questo si tradusse non di Ungheria e Boemia e suo luogotenente in solo in un’adesione generalizzata alle idee Germania. Nei colloqui di Augusta del 1551 universalistiche tanto care al cancelliere Carlo V fu costretto a modificare il progetto Mercurino da Gattinara, ma in un impegno iniziale e a dare garanzie al fratello che nella personale al servizio dell’imperatore, di cui successione al trono imperiale si sarebbe te- si erano avute già le avvisaglie nel primo nuto conto anche dei diritti suoi e del figlio decennio del Cinquecento, quando perso- Massimiliano, ma come contropartita richie- naggi come i fratelli Giovanni Enrico e Pirro se per il principe Filippo la concessione del II del Carretto di Zuccarello avevano preso vicariato generale sull’Italia. Ferdinando vi parte, sotto le insegne di Massimiliano, alla si oppose fin dall’inizio con tutte le forze guerra della lega di Cambrai contro Vene- e rimase fermo nella sua opposizione an- zia. Le guerre del Piemonte e le imprese ma- che dopo che Carlo si rassegnò ad abdicare rittime di Andrea Doria, grande ammiraglio all’impero in suo favore (1556), lasciando al dell’imperatore Carlo V, indussero infatti figlio Filippo i regni iberici, i domini italia- numerosi altri Carretti a servire l’imperato- ni e i Paesi Bassi. Tuttavia, benché risultino re: tra questi vi furono Giovanni II di Finale, ancora oscuri molti aspetti di questa vicen- Nicolò di Millesimo, Giovanni Alberto di da, alla fine si giunse a una specie di tacito Gorzegno, Alessandro di Novello. I rappor- compromesso perché se Filippo non ottenne ti personali che essi riuscirono a instaurare l’ambito vicariato generale sull’Italia283, Fer- con il sovrano e con il suo entourage furono dinando acconsentì tuttavia a riconoscergli,

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in quanto duca di Milano, la tutela degli in- dai governatori di Milano nei confronti dei teressi imperiali nella penisola. Si trattò co- feudi imperiali sparsi per l’Italia settentrio- munque di una delega non espressa formal- nale, costretti a contribuire alle spese mili- mente e soggetta a interpretazioni diverse tari del ducato, ad accettare le imposizioni a seconda delle circostanze e degli interessi delle magistrature milanesi e ad accogliere delle parti in causa, come ben si vide pro- truppe e guarnigioni spagnole. Quest’ulti- prio nel caso delle Langhe che fin dal 1551 mo aspetto, in particolare, divenne sempre (dunque ancora prima delle trattative di Au- più gravoso per le comunità delle Langhe, gusta) l’imperatore aveva affidato alla so- perché con la rivolta delle Fiandre, le strade printendenza del proprio oratore a Genova, che da Finale e Savona conducevano verso Gomez Suarez de Figueroa, insieme a quel- la Lombardia e il Piemonte (il cosiddetto la degli altri feudi imperiali «tra Insubria e Camino español), divennero d’importanza Monferrato»284, ruolo che egli svolse anche strategica fondamentale per i collegamenti dopo l’elezione di Ferdinando I (1556)285. militari tra la Spagna (e i suoi possedimenti Il fatto che Figueroa fosse spagnolo come la mediterranei) e i Paesi Bassi287. maggior parte dei governatori chiamati da La crescente tensione nei rapporti tra l’impe- Filippo II a reggere lo stato di Milano, impe- ratore e il re di Spagna, alla quale concorreva dì sulle prime che si venissero a creare trop- anche una reciproca antipatia personale, sfo- po palesi contrasti tra impero e monarchia ciò in crisi aperta nel 1571 quando il gover- cattolica in merito all’esercizio della sovrani- natore di Milano, duca d’Albuquerque, con tà sui feudi imperiali, tenacemente ed effica- la scusa di un possibile intervento francese, cemente rivendicata dalle autorità milanesi. fece occupare il castello di Finale, assediato e Le cose però cominciarono a cambiare per preso a cannonate nonostante inalberasse la effetto delle rivolte del Finale (1558 e 1566), bandiera imperiale. La reazione di Massimi- alle quali non era stato del tutto estraneo re liano all’affronto subito fu rabbiosa e tra le Filippo, desideroso di mettere piede in quel due corti asburgiche calò il gelo, nonostante marchesato per dare uno sbocco al mare ai gli sforzi di Filippo II di rimediare in qual- suoi domini lombardi286. La questione fina- che modo all’improvvida decisione288. La lese, nata come una semplice ribellione con- crisi nei rapporti tra Madrid e Vienna ebbe tro il governo tirannico del proprio signore, dei contraccolpi anche nelle Langhe, perché divenne infatti ben presto un caso interna- le richieste dei feudatari imperiali di essere zionale che coinvolse non solo la Spagna, svincolati definitivamente da ogni ingeren- l’impero e gli stati confinanti con il Finale za delle autorità milanesi, trovarono accogli- (Genova, Savoia, Monferrato) ma anche il mento nel decreto di salvaguardia concesso papa, la Francia e Firenze, tanto da indurre dall’imperatore il 18 agosto 1572 con il quale l’imperatore Massimiliano II ad assumere il erano posti solennemente «sub imperialis diretto governo del marchesato, fino a che aquilae protectione» i possedimenti dei del non si fosse placata la ferma opposizione Carretto di Millesimo, Gorzegno e Novello dei sudditi a tornare sotto il dominio di Al- e degli Scarampi di Mioglia, dichiarandoli fonso II del Carretto, il marchese spodesta- sciolti da ogni dipendenza e giurisdizione to. La presenza, a partire dal 1567, di una che non fosse quella del Sacro Romano Im- serie di commissari e governatori imperiali pero e dei suoi tribunali289. a Finale rappresentò un’occasione per rin- Questo decreto rappresentò un punto im- saldare i legami tra i feudatari delle Langhe portante nella definizione dello status giu- e l’impero, perché essi costituirono un utile ridico dei feudi delle Langhe perché, nono- collegamento con la corte cesarea, dove nel stante il compromesso del 1573 sulla sorte frattempo si era andata facendo sempre più di Finale facesse in gran parte cessare i ma- forte l’ostilità verso l’atteggiamento tenuto lumori tra le due corti asburgiche290, esso

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conservò negli anni successivi tutta la sua tesi di fare di Finale la sede di un governa- efficacia. A partire dal 1572, infatti, cessaro- tore generale per tutti i feudi imperiali del- no le investiture milanesi per i feudi indicati la penisola295, per tutto il XVI e XVII secolo nel decreto, mentre restarono invece sotto ci si limitò ad affidarne la soprintendenza la dipendenza dello stato di Milano territori generale a commissari generali nominati come Spigno, Bossolasco, Brovida o Prunet- all’interno di famiglie comunque legatissi- to, i cui signori, forse per difficoltà econo- me alla Spagna (Gonzaga in primis), mentre miche (considerati gli alti costi che compor- commissari ad hoc furono designati per casi tava la pratica per ottenere un’investitura particolari, per la riscossione di contributi imperiale) o per convinzioni personali, pre- in denaro o nei non rari casi in cui un feu- ferirono attenersi alle aderenze e agli atti di do era confiscato per ordine dell’imperatore vassallaggio compiuti dai loro antenati con e sottoposto per qualche tempo al suo go- i Visconti e gli Sforza. verno diretto296. Per quanto concerne invece Se tuttavia divenne un po’ più chiara la “ge- l’amministrazione della giustizia, conside- ografia” politico-feudale delle signorie car- rato che in base alle investiture, i feudata- rettesche, non per questo cessò l’influenza ri imperiali avevano la totale ed esclusiva spagnola. Infatti, essendo lo stato di Milano giurisdizione civile e criminale nei loro ter- esso stesso un feudo imperiale ed essendo ritori, il ricorso alla giustizia dell’imperatore espressamente previsto nei relativi diplomi riguardava in pratica solo le numerose liti d’investitura che il re di Spagna in quanto in materia feudale: cause per le quali era duca di Milano dovesse assumersi la tute- competente per i feudi italiani il Consiglio la dei diritti dell’impero in Lombardia e in aulico (Reichshofrath)297. Tuttavia, per evita- Italia291, per tutto il XVII secolo si poté ben re alle parti dispendiose e lunghe trasferte a dire – come affermava nel 1601 il conte di Vienna o a Praga, era frequente – specie per Fuentes in una lettera inviata ai signori di questioni di minore importanza – la delega, Gorzegno – che «il servitio di S.M. Cattoli- a scelta delle parti, di corti di giustizia più ca era tanto congiunto a quello della Maestà vicine che per le Langhe potevano essere i Cesarea da essere una sola cosa»292. Ciò si- Senati di Milano o di Monferrato, la Rota di gnificò che lo stato di Milano continuò nei Genova o anche i vicari diocesani di Alba, decenni successivi a fungere da “braccio ar- Savona o Albenga298. Ciò nonostante, erano mato” dell’impero e ad assicurare la difesa comunque sempre numerose le cause che dei feudi imperiali, nonostante questo fosse venivano trattate nel Consiglio aulico e per in definitiva pagato con l’arbitraria (ma tut- l’esigenza di seguirle in loco (come del resto to sommato tollerata) estensione delle servi- per perorare la concessione di privilegi e di- tù militari imposte alle comunità del duca- plomi d’investitura) prosperò a Vienna e a to anche alle Langhe imperiali con la scusa Praga, almeno a partire dalla fine del XVI che, comunque, dovevano considerarsi an- secolo, una piccola colonia di giureconsul- cora “aderenti” dello stato milanese293. ti e notai liguri e piemontesi al servizio dei Del resto, risultava assai problematico per vari signori delle Langhe, ai quali si aggiun- l’impero rendere effettivo il proprio control- sero non pochi membri della stessa famiglia lo sui lontani feudi italiani, considerato che del Carretto che in queste capitali si tratte- fino agli inizi del XVIII secolo e all’istituzio- nevano per mesi o anche per anni, perden- ne della Plenipotenza (quando la Lombar- dovi tempo e denaro per perorare le proprie dia era passata sotto il diretto dominio au- ragioni e per cercar fortuna. striaco)294, non esistette mai un organismo Antesignano fu, come detto, Alfonso II di strutturato burocraticamente che facesse Finale che trascorse alla corte imperiale ol- da tramite tra l’imperatore e i suoi vassalli tre vent’anni della propria vita, dividendosi italiani. Infatti, tramontata ben presto l’ipo- tra Praga e Vienna, dove abitava nella cen-

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trale platea Carentorum (Kärnterplatz), accan- qualche favorito, “aiuti di costa”, pensioni to alla cattedrale di Santo Stefano299. Dopo la o, per i più fortunati, patenti militari o uffici sua morte, avvenuta nella capitale austriaca di corte che consentissero loro di mantener- nel 1583, il suo posto fu preso di lì a poco si con il giusto decoro. Ottavio del Carretto dal fratello minore Sforza Andrea che vi si di Zuccarello nel 1597 ricevette la carica di trattenne fino al 1598. Essi non furono i soli Mundschenk, con quaranta fiorini il mese303; del Carretto a risiedere presso gli impera- Oderico di Mallare, giureconsulto, nel 1602 tori. Più o meno contemporaneamente ad divenne semplice Diener auf zwei Pferden, Alfonso, si portò infatti alla corte di Mas- con venti fiorini mensili304, mentre Adria- similiano II il conte Nicolò del Carretto di no di Balestrino, anche lui dottore, dovette Millesimo con i figli, due dei quali, Stefano aspettare ben quattro anni per potersi ve- e Nicolò, si stabilirono nel regno di Boemia, dere nominato Trinciante (Truchsess), carica ottenendone l’incolato e dando origine il pri- nella quale, alla sua morte, cercò inutilmen- mo – nominato nel 1611 cameriere di corte te di succedere il fratello Rodolfo, che egli (Obersilberkammerer) – a una linea baronale aveva fatto inizialmente venire a Praga per che, titolare di feudi e castelli, si estinse nel- avviarlo alla carriera delle armi, altra im- la prima metà dell’Ottocento, dopo essersi portante motivazione per un trasferimento imparentata con alcune delle più importanti alla corte imperiale305. Infatti, dopo che, dal- famiglie della corte asburgica come i Baden la metà del Cinquecento, le pianure dell’Au- e gli Czernin300. stria e dell’Ungheria erano divenute teatro L’esempio dei due più potenti lignaggi del di una guerra quasi continua tra gli Asbur- consortile carrettesco fu seguito, negli stes- go e gli Ottomani, il trascorrere un certo pe- si anni anche da altri personaggi dei rami riodo di tempo nelle armate imperiali per minori. Agli inizi del Seicento erano ben sei combattere contro i nemici della santa fede, i del Carretto che si trovavano alla corte di divenne un momento importante (e ricer- Praga301, tutti più o meno giunti lì, almeno cato) nella formazione di ogni gentiluomo nelle intenzioni iniziali, per sollecitare la cristiano e cattolico, al pari della “milizia” “spedizione” di affari della propria casata, contro i protestanti ribelli delle Fiandre o gli impegnando il proprio tempo in snervanti ugonotti in Francia306. Questo non tanto per anticamere e nel tentativo di guadagnarsi il l’utile economico che poteva derivarne, ma favore di ministri e segretari con donativi e per la scuola di vita che rappresentava e l’o- regali di vario genere: stoffe di pregio, sca- nore che conferiva307. tole colorate, addirittura specialità gastro- I del Carretto, che sia pure senza mai rag- nomiche come robiole e tartufi delle Lan- giungere comandi militari particolarmente ghe o confetti e canditi «del Mondovì»302. elevati, vantavano una secolare pratica del La vita nelle capitali asburgiche era però mestiere delle armi, contribuirono a queste estremamente cara e se personaggi come il campagne secondo i propri mezzi. Se Alfon- marchese di Finale o il conte di Millesimo so II nel 1566 aveva partecipato alla guer- potevano permettersi di affittare elegan- ra d’Ungheria «senza stipendio alcuno con ti quartieri dove risiedere con la propria buon numero di cavalli a sue spese» allo servitù, gli altri dovevano adattarsi a con- scopo di acquistare ulteriore credito presso dividere tra loro modesti appartamenti, in- l’imperatore308, Stefano di Millesimo e il fra- debitandosi con prestatori ebrei per pagare tello Carlo vi andarono in qualità di capita- la pigione o comprarsi un mantello nuovo. ni di un reggimento di cavalleria arruolato Erano pertanto soprattutto ragioni di so- dal cognato barone Kostomlasky, mentre pravvivenza (oltre che di onore) a spingere altri come Aleramo del Carretto di Gorze- questi gentiluomini a brigare con insistenza gno, vi presero parte quali semplici uomi- per ottenere grazie alla mediazione di un ni d’arme309. Essi prepararono in qualche

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modo la strada alle fortune dei marchesi di riali costituivano una “zona franca” in cui Grana, appartenenti al ramo dei signori di una benevola tolleranza da parte dei signori Millesimo. Agli inizi del Seicento Francesco consentiva comportamenti non proprio or- del Carretto di Grana entrò al servizio impe- todossi, specie nei confronti degli stati vi- riale dopo un breve apprendistato nell’eser- cini, chiudendo un occhio sul prosperoso cito bavarese. Capitano e poi colonnello di contrabbando che vi si esercitava o dando un reggimento di dragoni durante la guerra facile asilo a banditi e proscritti, quando ad- dei Trent’anni, fu uno dei protagonisti del- dirittura non facendosi carico essi stessi di la battaglia di Lützen e, per essere inviso al attività criminose, magari impiantando una duca di Wallenstein, dopo la sua morte fece zecca clandestina313. Così l’aquila imperiale una rapida carriera che, oltre a renderlo par- che, dipinta, campeggiava sulle torri dei ca- tecipe della spartizione del patrimonio del stelli e agli ingressi di borghi anche modesti generalissimo, lo portò a essere nominato come Cravanzana, Osiglia o Levice, oppure generale dell’artiglieria (Feldzeugmeister), che faceva bella mostra di sé – viva, e in gab- consigliere privato, membro del Consiglio bia – in una delle sale di qualche castello314, aulico di guerra e ambasciatore in Spagna, era vista non come un simbolo di oppressio- coronando la propria ascesa con la conces- ne, ma al contrario come un segno di “liber- sione del Toson d’oro da parte di re Filip- tà”: dei del Carretto in primis, ma anche in po IV: insegna che passò nel 1651 al figlio qualche modo dei loro sudditi315. Ferdinando e poi al nipote Ottone Enrico, anch’egli ambasciatore imperiale e gover- natore dei Paesi Bassi spagnoli310. La stretta sabauda La continuativa presenza a Vienna e a Praga (ma anche ad Augusta, a Spira, a Presburgo, La riscoperta dell’appartenenza all’impero a Ratisbona o a Francoforte) di personaggi era stata, come detto, non solo una conse- della casa del Carretto o anche solo di loro guenza della presenza in Lombardia di un fiduciari fece sì che per oltre un secolo e governo (e di un esercito) imperiale, ma an- mezzo si instaurò tra i feudi delle Langhe e che un modo per cercare di trovare una pro- le città dove risiedeva la corte imperiale un tezione efficace per opporsi ai primi accenni filo diretto attraverso il quale passarono, in di politica accentratrice che, alla metà del un senso e nell’altro, non solo lettere, missi- Cinquecento, stati di antica tradizione feu- ve e diplomi recapitati dai servizi di posta dale come il Monferrato o la Savoia, aveva- o per il tramite di mercanti, uomini d’affa- no cominciato a intraprendere nei confronti ri, cavallanti, ma anche persone e merci311: della loro feudalità. Con l’antico marchesa- un collegamento che finì per coinvolgere to aleramico i del Carretto avevano sempre anche i semplici sudditi, per i quali partire intrattenuto rapporti quasi familiari, dovuti da Calizzano o da Gorzegno per andare fino alla comune ascendenza aleramica, così che nella lontana Germania per conto dei propri la corte di Casale aveva rappresentato per signori non risultava essere una cosa così decenni (se non addirittura per secoli) un straordinaria come oggi ci può apparire312. costante punto di riferimento cui ricorrere Tutto ciò aveva contribuito a ingenerare un in cerca di aiuto e consiglio nelle controver- forte e diffuso sentimento di appartenenza sie familiari e nei rapporti con gli altri stati all’impero, cui non erano estranei certamen- confinanti o con la Santa Sede. Alla fine del te i vantaggi che un simile status apportava. XIV secolo, come detto, la maggior parte Perché se è vero che qualche volta i sudditi dei del Carretto si erano posti sotto la pro- potevano sentirsi esposti alle angherie dei tezione dei Paleologi quali vassalli o ade- feudatari (non sempre però, necessaria- renti, e anche dopo che negli anni trenta del mente dei don Rodrigo) le Langhe impe- Quattrocento sulle Langhe si era imposta

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Fin dall’inizio tuttavia la prospettiva di un passaggio dell’eredità dei Paleologi ai Gon- zaga trovò una forte opposizione da parte di alcune componenti della società monfer- rina che, pur di non finire sotto di loro, non fecero mistero di essere pronti a porsi sotto il dominio del duca di Savoia, del marche- se di Saluzzo (entrambi rivendicanti diritti successori sul marchesato) o, meglio ancora, dello stesso imperatore316. Tra gli oppositori della nuova dinastia (e probabilmente tra i fautori della soluzione “imperiale”) si ritro- varono in prima fila alcuni tra gli esponenti di primo piano dell’ampio consortile car- rettesco, i quali finirono con il trovarsi più volte coinvolti in congiure e complotti317. In particolare, si fecero estremamente tesi i rap- porti tra il governo monferrino e il marchese Giovanni II di Finale, il quale, approfittando dei buoni uffici di Andrea Doria, nel 1533 era riuscito a ottenere dall’imperatore Car- lo V un decreto che sottraeva i suoi domini da ogni dipendenza dal Monferrato (e da Asti), così da renderli direttamente sottopo- sti all’impero318. La stessa cosa, di lì a poco, Fig. 16. Francesco del Carretto, marchese di Gra- era stato ottenuta anche da Ottaviano del na (coll. privata) Carretto, con annessa erezione in contea di Millesimo. A questi atti, le autorità monfer- l’influenza viscontea, importanti rami della rine reagirono con ritardo, anche perché si famiglia erano rimasti fedeli agli impegni era nel bel mezzo della crisi dinastica segui- assunti il secolo prima, come avevano fatto ta alla morte del marchese Gian Giorgio, ma i signori di Altare, di Mallare, di Dego, di una volta che i Gonzaga ebbero stabilizzato Calizzano e una parte di quelli di Millesimo, il proprio dominio, essi procedettero con come pure i marchesi di Finale per quelle decisione presso il Consiglio aulico per re- terre che dipendevano dal Monferrato. clamare la piena reintegrazione dei loro di- Questo assetto, consolidatosi a metà Quat- ritti di superiorità feudale nei confronti dei trocento a seguito degli accordi già ricor- del Carretto. Al tempo stesso, la necessità di dati tra Milano, Monferrato e Savoia entrò rimettere ordine nell’amministrazione del in crisi a partire dal 1533, quando con la Monferrato spinse il duca Guglielmo a im- morte senza eredi dell’ultimo marchese porre nuovi dazi e contribuzioni, chiaman- Gian Giorgio, si pose il problema della suc- do a concorrervi anche chi, come i signori cessione del marchesato. Carlo V, che già delle Langhe, non avevano praticamente aveva deciso per la sua assegnazione al fe- mai conosciuto imposizioni319. A queste ini- dele Federico Gonzaga, marito di Marghe- ziative i del Carretto di Millesimo e di Fi- rita, sorella del defunto, stabilì sulle prime nale opposero una resistenza compatta, che di assumere direttamente il governo del si estese anche agli Scarampi di Cairo e ad Monferrato, affidandolo ad Antonio de Alfonso Spinola, marchese di Garessio, cu- Leyva, suo luogotenente generale in Italia. gino primo di Alfonso II di Finale, i quali si

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appellarono all’imperatore per denunciare tuttavia, la decisione di Carlo V di assegna- la violazione da parte del duca di Mantova re il contado di Asti e l’annesso marchesato (e ora anche del Monferrato) dei patti stabi- di Ceva alla cognata Beatrice di Portogallo, liti nel XIV secolo con Teodoro II Paleologo. moglie del duca Carlo II di Savoia328, riportò L’efficacia dell’intervento imperiale fu però l’interesse sabaudo verso quest’angolo del relativa, perché se il marchese di Finale poté Piemonte, nonostante pochi anni dopo l’in- conservare indisturbato le terre rivendicate tero ducato fosse sconvolto dall’invasione dal Gonzaga320, il conte di Millesimo dovette francese, che l’avrebbe precipitato – tra brevi scendere a patti 321 e, addirittura, lo Spino- tregue e paci effimere – in un ulteriore (e an- la si vide togliere i propri castelli di Dego e cora più profondo) stato di caos destinato a Giusvalla e, per non essere riuscito a pagare protrarsi fino alla pace di Cateau-Cambrésis la durissima condanna pecuniaria inflittagli nel 1559. Infatti, a partire dal 1531 tutti i feu- dal Senato di Monferrato, fu rinchiuso per datari della contea di Asti, tra i quali erano i alcuni anni nelle carceri di Casale dove finì i del Carretto dei rami “ottoniani” e i marche- propri giorni nel 1578322. si di Finale per i loro possessi del marchesa- La crisi apertasi nel 1533 nei tradizionali to di Ceva, si adeguarono al nuovo stato di rapporti tra i del Carretto e il Monferrato cose e provvidero a rinnovare alla duchessa ebbe una qualche influenza nell’indirizza- Beatrice (e dal 1538 a suo figlio Emanuele re una parte del consortile carrettesco ver- Filiberto) i giuramenti di fedeltà prestati in so la dinastia sabauda, fino allora rimasta passato ai governatori dei duchi d’Orléans. abbastanza estranea alle vicende che ave- Inoltre, i Savoia – a capo di uno stato ancora vano interessato le Langhe e la Riviera di in gran parte arcaico e strutturalmente feu- Ponente. Solo alla metà del Quattrocento, dale – cominciarono a essere visti come pos- infatti, quando nel quadro del conflitto per sibili protettori della feudalità carrettesca la successione viscontea il duca Ludovico minacciata dall’affermazione dei Gonzaga di Savoia era sceso in campo nella remota nella successione del Monferrato329. speranza di guadagnare qualche briciola Per le contingenze belliche il dominio sabau- del ducato milanese, egli si era inserito nella do non fu però nell’immediato effettivo. Per guerra che i Genovesi avevano mosso pro- parecchi anni, fino cioè alla pace di Cateau- prio in quegli anni ai marchesi di Finale, ri- Cambrésis, Asti fu di fatto governata dagli uscendo a ottenere, con la promessa di aiuti spagnoli, ma quando, tra il 1560 e il 1561, militari mai concretizzatisi, il giuramento di Emanuele Filiberto poté recuperare in pieno fedeltà o l’aderenza di alcuni del Carretto, l’eredità dei propri genitori, le cose cambia- tra i quali quelli di Novello, di Zuccarello323, rono. Il duca, che si era conquistato una note- di Spigno324 e dello stesso marchese Gale- vole esperienza di amministratore quale go- otto di Finale325. Si era però trattato di una vernatore dei Paesi Bassi, avviò fin da subito breve parentesi, perché con il trattato di una vasta opera di riorganizzazione delle pace dell’agosto 1454 stipulato con France- strutture amministrative del ducato, attuan- sco Sforza, nuovo duca di Milano, tutti que- do anche una decisa politica di accentramen- sti atti di vassallaggio e di aderenza erano to e di limitazione dell’autonomia fino allora stati dichiarati privi di ogni valore legale326, goduta dai feudatari330. Al tempo stesso, egli né del resto i suoi successori avevano avu- cercò in tutti i modi di allargare i confini del to modo di continuare una qualche politica suo stato, sia per dare maggior compattezza di espansione territoriale verso le Langhe e e unitarietà agli sparsi domini che possedeva la costa ligure, vista la profonda crisi in cui di qua delle Alpi, sia al fine di aprirsi una via si era venuto ben presto a trovare lo stato verso il mare che si affiancasse alla contea di sabaudo, tormentato da una serie di ducati Nizza il cui accesso dal Piemonte risultava brevi e di contrastate reggenze327. Nel 1531, assai difficoltoso331. Obiettivo principale del

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duca doveva essere Savona, dove contava Lo stesso il duca cercò di fare nel 1566 nei sul segreto appoggio di diverse famiglie del- confronti di Alfonso II di Finale, questa vol- la nobiltà cittadina e dove esisteva un forte ta soprattutto nella sua qualità di conte di malcontento nei confronti del dominio ge- Asti, dando aperto aiuto ai ribelli finalesi e novese332, di cui egli aveva potuto rendersi facendo occupare dalle sue milizie i castelli conto di persona in occasione di numerosi che il marchese possedeva nel marchesa- passaggi e soggiorni in città333. to di Ceva, con l’accusa di lesa maestà e di Savona era però una preda difficile, ben tradimento336: un’occupazione che divenne guardata com’era dai genovesi che, solo definitiva – sotto forma di devoluzione alla pochi anni prima, vi avevano costruito una camera ducale – nel 1583, quando Alfonso ben munita fortezza proprio allo scopo di morì senza eredi diretti. dissuadere francesi e savoiardi da eventuali In entrambi i casi le iniziative sabaude an- offese. Così le attenzioni del duca si dovet- darono a scontrarsi con l’ostilità sia della tero spostare più a ponente, verso Oneglia e Spagna sia dell’imperatore, timorosi di en- Ventimiglia, in un’area in cui riuscì nel giro trare in collisione con Genova (troppo im- di pochi anni ad acquistare la contea di Ten- portante per le finanze asburgiche), ma non da e la signoria del Maro e nel 1576 il pos- per questo i Savoia si lasciarono scoraggia- sesso di Oneglia, nuovo sbocco sul mare. A re, puntando molto sulla debolezza finan- garantire il successo di queste iniziative si ziaria dei feudatari per rilevare quote delle rivelò fondamentale l’acquisizione di vaste loro signorie, in cambio di denaro ma anche clientele all’interno della nobiltà rivierasca di stipendi e pensioni che permettessero e, in particolare, delle stesse famiglie feudali loro di elevarsi da un generale stato di pre- interessate come, nel caso di Oneglia, quella carietà economica, assai vicino alla povertà. di Stefano Doria di Dolceacqua, da tempo Proprio per questa ragione, i primi a essere al servizio sabaudo quale comandante della oggetto delle attenzioni sabaude furono i flotta ducale, uno dei numerosi genovesi e del Carretto di Novello che fra tutti i mem- liguri che Emanuele Filiberto aveva avuto bri del consortile erano stati quelli maggior- cura di fare entrare nella propria clientela, mente penalizzati dalla frammentazione offrendo loro incarichi militari e di corte, dei loro feudi. Furono infatti acquistati dai pensioni e altre ricompense334. Questa poli- duchi, tra il 1569 e il 1586, prima un sedice- tica il duca cercò di attuare anche nei con- simo del marchesato di Novello e poi un al- fronti dei del Carretto, i cui feudi si infram- tro ottavo337. Al tempo stesso, la diplomazia mezzavano tra i domini del Piemonte e la sabauda si sforzò di convincere l’imperatore costa ligure. In quest’ottica ritornò utile, per a voler estendere il vicariato imperiale rico- la cancelleria sabauda, rispolverare i patti di nosciuto ai duchi di Savoia anche ai feudi aderenza e gli atti di vassallaggio stipulati delle Langhe e ai vescovati di Albenga, Ac- un secolo prima dal duca Ludovico e in par- qui e Alba, al contempo limitando il vica- ticolare quelli con i signori di Zuccarello e i riato concesso nel 1496 ai marchesi di Finale marchesi di Finale. Essi vennero infatti tirati alle loro sole terre dipendenti dall’impero338. in ballo quando, nel 1562, con il pretesto di Da parte imperiale, tuttavia, vi fu sempre una rivolta paesana contro Pirro del Carret- nei confronti delle aspirazioni sabaude una to, signore di Balestrino (fatto che in realtà notevole resistenza, che ebbe modo di ma- celava un sanguinoso regolamento di con- nifestarsi appieno nel 1588, in occasione ti tra i figli del defunto, nati da due diversi della questione di Zuccarello. In quell’anno, matrimoni), il duca intervenne nella contesa infatti, il duca Carlo Emanuele, che aveva in veste di supremo signore feudale, doven- intrapreso con ancora maggiore vigore del do però ritirarsi in buon ordine davanti alle padre una politica espansionistica, entrò ingiunzioni del governatore di Milano335. in trattative con Scipione del Carretto per

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ottenere da lui la cessione del marchesato terno del consortile carrettesco a favore del di Zuccarello che questi, in gravi difficoltà duca che, da parte sua, gli offrì una brillante finanziarie, aveva già cercato di alienare ai carriera politica e diplomatica, culminata Genovesi, non accordandosi però sul prez- nella concessione del collare dell’Annunzia- zo. Uno dei fratelli del marchese, Prospero, ta, poi ereditato nel 1634 dal figlio Filiberto, era gentiluomo di camera del duca e cava- a sua volta ambasciatore presso l’imperato- liere dei Santi Maurizio e Lazzaro, e fu per- re, maresciallo di campo e governatore della tanto facile convincerlo a fare pressioni su contea di Nizza340. L’importanza avuta dai Scipione (che come primogenito aveva ere- marchesi di Bagnasco alla corte dei Savoia ditato l’intero feudo) per indurlo a vendere e le prestigiose parentele strette con alcune il feudo al Savoia. La convenzione con lui, tra le maggiori famiglie dell’aristocrazia su- stipulata nel maggio 1588, prevedeva la per- balpina, permisero loro, per buona parte del muta di Zuccarello e di due terzi di Bardine- XVII secolo, di rivendicare il primato all’in- to con Bagnasco (e relativo titolo marchio- terno della Casa Carretta, tanto da spingerli a nale), Saliceto e le altre terre nel marchesato proporsi come eredi legittimi del marchesa- di Ceva confiscate ai marchesi di Finale nel to di Finale, occupato dagli spagnoli subito 1583, concesse con amplissimi privilegi e dopo la morte dell’ultimo marchese, Sforza franchigie, oltre a 55.000 scudi d’oro a Sci- Andrea, nel marzo 1602341. pione, 18.000 a Prospero e ulteriori promes- In questa loro rivendicazione (che, occorre se di rendite per gli altri fratelli339. La situa- dire, alla corte imperiale nessuno prese mai zione patrimoniale del feudo era però assai troppo sul serio) i marchesi di Bagnasco si più complessa di quanto ritenuto a Torino mossero in sintonia con l’infaticabile Carlo e soprattutto non si era voluto tener conto Emanuele, che sul Finale aveva appuntato dell’ostilità dell’imperatore Rodolfo II, no- ugualmente le sue mire, sempre in virtù nostante il tutto fosse stato presentato come della donazione del 1448, così che lo “stato” un’azione volta a ripristinare i diritti del finalese, come pure la contea di Millesimo, duca su un territorio che fin dal 1448 dove- fu oggetto di contrattazione nelle comples- va considerarsi un possesso sabaudo. La re- se schermaglie diplomatiche che si avviaro- azione dell’imperatore colse tutti di sorpre- no nel 1604 per unire in matrimonio la casa sa perché, non appena informato di quanto di Savoia con quella di Mantova342. I pro- accaduto, ordinò immediatamente la confi- getti sabaudi su Finale, protrattisi pratica- sca di Zuccarello, che fu affidata al governo mente fino alla guerra di successione d’Au- di un commissario imperiale, senza che da stria nel XVIII secolo, indipendentemente parte di Carlo Emanuele fosse fatta alcuna dal loro esito, resero comunque di vitale opposizione, nell’illusione che il Consiglio importanza il possesso delle Langhe, natu- aulico, davanti al quale fu portata tutta la rale corridoio verso quell’agognato sbocco pratica, si pronunciasse favorevolmente ai al mare. I primi decenni del Seicento videro suoi interessi. pertanto un’accresciuta pressione sabauda In realtà, a causa delle lungaggini dei tribu- sui feudatari langaschi per attrarli dalla nali imperiali e dell’azione disturbatrice dei propria parte: un’offensiva diplomatica che genovesi, la cosa non andò in questo modo si affiancò a concreti tentativi di acquistare e l’affare sfumò (con una “coda” bellica nel le loro quote di signoria. Il duca Carlo Ema- 1625), anche se – tenendo fede agli impegni nuele cercò di farlo nel 1604 con il conte – il duca volle lasciare a Scipione le terre e Giovanni Battista del Carretto di Millesimo, i castelli oggetto della permuta. La scelta si senza grandi risultati, mentre fu più fortu- dimostrò oculata perché negli anni il mar- nato con alcuni dei marchesi di Gorzegno, chese di Bagnasco (come sarebbe stato co- convinti a cedergli Cerreto e Cravanzana e nosciuto) svolse un ruolo importante all’in- a entrare al suo servizio343.

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Fig. 17. Una delle varianti del progetto del 1673 per la fortificazione del castello di Zuccarello (ASGe, Foglietta, filza 1218)

In quest’ottica, l’inizio della guerra per la Trent’anni, nella quale i Savoia – come loro successione del Monferrato nella primave- costume – giostrarono abilmente tra una co- ra del 1613 diede modo ai duchi di Savo- alizione e un’altra, alleandosi ora alla Fran- ia di accrescere la propria influenza nelle cia e ora alla Spagna, tendendo però costan- Langhe, senza dover essere più vincolati a temente all’ampliamento dei propri confini. lungaggini diplomatiche. Le milizie sabau- Non è qui il caso di ripercorrere i complessi de procedettero infatti alla sistematica occu- avvenimenti che si verificarono durante tut- pazione dei castelli carretteschi dipendenti ta la prima metà di quel secolo; solo si deve dai Gonzaga e, senza preoccuparsi troppo però notare che lo stato di guerra continuo dell’iniziale neutralità dell’impero, estese- in cui si trovò il ducato in questo periodo, ro l’occupazione anche a quasi tutti i feudi permise al duca Carlo Emanuele e poi a imperiali, salvi quei pochi custoditi dalle suo figlio Vittorio Amedeo di mantenere truppe spagnole. Al tempo stesso, i massic- continuativamente il controllo di numerosi ci arruolamenti di truppe ordinati dal duca, castelli delle Langhe, servendosene come aprirono le porte dell’esercito sabaudo a merce di scambio nelle trattative diplomati- molti del Carretto in cerca di fortuna, specie che con le potenze italiane ed europee. Così, tra i rami di Novello e di Gorzegno344. Il con- nella speranza di rinsaldare la militanza sa- flitto apertosi in Piemonte nel 1613 si andò a bauda nel campo asburgico, nel dicembre saldare, inframmezzato a tregue precarie e 1630 l’imperatore Ferdinando II promise a paci di breve durata, a quella generale con- Vittorio Amedeo, che da tempo la reclama- flagrazione europea nota come guerra dei va, la possibilità di acquistare la superio-

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Fig. 18. Resti del castello di Zuccarello rità “media” su alcuni feudi delle Langhe, li, ricevendo in cambio privilegi e immunità trattando la cosa direttamente con i singo- fiscali che li conservavano nello status che li feudatari ma restando nel vago su quali avevano goduto fino allora345. dovessero essere. Il duca, benché proprio La diversa interpretazione che si diede a in quel momento stesse segretamente trat- Vienna e a Torino di questi atti fu causa tando il suo passaggio all’alleanza francese, di una lunghissima controversia che si tra- propose all’imperatore una serie di terre scinò praticamente fino ai primi decenni da lui rivendicate per antichi diritti o per le del Settecento. L’atteggiamento dell’impe- quali già stava mercanteggiando l’acquisto ratore nei confronti del duca fu del resto dai proprietari: tra queste figuravano quelle sempre condizionato da considerazioni di dei del Carretto di Millesimo, di Balestrino, politica estera, per cui se nel 1634 Ferdinan- di Gorzegno, di Novello e di Cravanzana. do II mostrò di approvare gli accordi inter- L’imperatore acconsentì alle richieste sa- corsi tra Vittorio Amedeo e i del Carretto baude, ma pose come unica condizione la di Novello (pur vincolandone la validità sua necessaria approvazione di ogni con- alla salvaguardia dei diritti di passaggio tratto d’acquisto o di volontaria dedizione, e di aderenza del re di Spagna quale duca così che nel corso dell’estate del 1631 una di Milano)346, la loro piena applicazione fu mezza dozzina di consignori di Novello “congelata” non appena i Savoia, alla ripre- (ma non tutti) accettarono non soltanto di sa della guerra in Piemonte tra Francia e dichiararsi aderenti del duca di Savoia, ma Spagna, si schierarono dalla parte francese. gli giurarono pure fedeltà quali suoi vassal- Il nuovo conflitto fu in gran parte combat-

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tuto proprio nelle Langhe, dove si svolsero di, a determinare la chiusura della cancel- la battaglia di Mombaldone e i due assedi leria viennese nei confronti delle aspirazio- di Saliceto e di Cengio. Quest’ultima fortez- ni sabaude era soprattutto l’atteggiamento za, in particolare, fu oggetto di un’accanita sospetto del duca di Savoia, così sfuggente competizione tra il ducato di Savoia (dal e così incostante nelle alleanze e, al tempo 1637 retto dalla reggente Cristina di Fran- stesso, così apertamente smanioso di nuovi cia) e la Spagna, perché dopo essere stata acquisti di territori, da ottenersi con ogni occupata dai savoiardi e conquistata dagli mezzo, lecito o illecito. Spagnoli, nel 1641 fu venduta dal conte Ni- Nonostante le resistenze asburgiche, i divie- colò del Carretto di Millesimo al governato- ti e le ammonizioni, i Savoia continuavano re di Milano marchese di Leganés347, venen- infatti pazientemente a tessere la loro tela do quindi poco dopo ceduta dallo stesso per allargare i propri confini, spendendo- conte al duca di Savoia per essere ripresa si per elargire pensioni e “aiuti di costa” a definitivamente dagli spagnoli348. feudatari in difficoltà, o addirittura interve- Il continuo alternarsi di occupazioni milita- nendo finanziariamente (come fecero con ri da parte delle forze in campo, comprese Valerio del Carretto di Novello) per assicu- le milizie dei principi sabaudi Maurizio e rare doti adeguate alle figlie degli spiantati Tommaso durante la “guerra dei cognati”, gentiluomini delle Langhe351, contentandosi mantenne estremamente incerta la situazio- – come fecero nel 1663, sempre con il sud- ne delle Langhe ben oltre la metà del secolo. detto marchese – della cessione di remoti Infatti, benché i trattati di pace di Münster diritti sulla città, sul vescovato e sulla “mar- (1648) e dei Pirenei (1659) stabilissero il rico- ca” di Savona: titoli nell’immediato privi di noscimento degli acquisti fatti nelle Langhe valore, ma che sarebbero potuti comunque dai duchi di Savoia e dal re di Spagna, la venir bene in futuro352. corte di Vienna si rifiutò in pratica di man- La penetrazione sabauda nelle Langhe restò dare a esecuzione quanto in essi disposto, però, nella seconda metà del Seicento, come tergiversando e ponendo continui cavilli, sospesa nell’incertezza, benché – almeno favorita dalle divisioni esistenti tra i condo- nel marchesato di Novello – con il passare mini, che trasferivano spesso sul piano “in- del tempo maggiormente si andasse svilup- ternazionale” le rivalità esistenti fra loro. Il pando la sua progressiva integrazione nelle caso del marchesato di Novello è a questo strutture amministrative e giudiziarie del proposito esemplare, perché nonostante con ducato, nonostante mancasse la piena san- il trattato di Münster l’imperatore Ferdinan- zione imperiale della superiorità sabauda e, do II si fosse impegnato a darne l’investitu- di tanto in tanto, l’impero vi riuscisse anco- ra al duca di Savoia, essa non venne mai ra a imporre la propria autorità. Le scelte in concessa, a dispetto delle ripetute richieste politica estera della corte di Torino, ormai (e proteste) della corte di Torino e in viola- gravitante nell’orbita di Luigi XIV, non fa- zione di quanto disposto dalle capitolazioni vorivano un superamento delle difficoltà dell’imperatore Leopoldo (1658)349. La scusa con Madrid o Vienna, semmai il contrario ufficiale era quella che non tutti i consigno- e, anzi, proprio le esigenze belliche e finan- ri di Novello si erano dichiarati vassalli del ziarie legate al conflitto che opponeva gli duca e soprattutto, che Novello continuava Asburgo ai Borbone contribuivano a raf- comunque a essere, per un ottavo, del re forzare i legami (e le dipendenze) tra i feu- di Spagna in quanto subentrato, con l’ac- datari imperiali e l’impero, presente ora in quisto del Finale, nei diritti posseduti da quest’angolo del Piemonte non solo con i quel ramo dei del Carretto350. In realtà, oltre suoi commissari esattori, ma anche con reg- all’opposizione dei consignori filoimperiali gimenti di fanteria e cavalleria “alemanna”, ad accodarsi alle scelte dei rivali filosabau- sparpagliati un po’ per tutte le Langhe353.

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Tutto ciò rese estremamente confusa la si- anche quelli legati al ducato di Monferrato tuazione di quei feudi che, come appunto (ceduto a Vittorio Amedeo insieme alle Lan- il marchesato di Novello, erano oggetto di ghe) e addirittura alla contea di Asti, nono- contestazioni su chi vi esercitasse la sovra- stante questi ultimi fossero divenuti sabau- nità, con conseguenti interventi giurisdizio- di da quasi due secoli356. nali ora dell’uno ora dell’altro contenden- Gli sforzi dei “vassalli d’impero” riusciro- te354, estorsioni di giuramenti di fedeltà dei no in parte, ma se per un momento sem- sudditi, imprigionamento di feudatari “re- brò possibile la realizzazione compiuta di frattari”, in particolare da parte dei duchi una provincia imperiale delle Langhe, non dei Savoia355. si poté comunque arrestare la storia, sicché La loro tenace azione volta all’assorbimento i Savoia, pur dovendo penare ancora una di questi feudi sembrò finalmente realizzar- trentina d’anni, riuscirono comunque a met- si nel 1690 quando, come detto, l’imperatore tere le mani sui preziosi territori langaroli, Leopoldo offrì nuovamente al duca Vittorio questa volta con tutti i crismi dell’ufficialità. Amedeo la facoltà di trattare l’acquisto della Lo fecero grazie a un’accurata “campagna- superiorità “media” su numerosi feudi del- acquisti” che permise loro di rilevare un le Langhe già oggetto della concessione del numero crescente di signorie carrettesche 1631. Anche questa volta, però, le giravol- mediante pagamenti in denaro o permute te politiche del duca fornirono alla corte di con altri feudi (come nel caso di Camerano Vienna un’ottima scusa per mandare a mon- e Moncrivello, scambiati con parti di Novel- te ogni cosa, né furono più agevoli le tratta- lo e Gorzegno), approfittando sia del venir tive dopo che nel 1703 il principe sabaudo meno di ogni interesse strategico da parte si lasciò finalmente convincere a entrare a degli Asburgo per le Langhe (specie dopo la pieno titolo nella coalizione antifrancese. Le cessione, nel 1713, del marchesato di Finale Langhe gli furono nuovamente promesse e, ai genovesi), sia della crisi demografica che per un momento, sembrò che la sovranità colpì i vari rami dei del Carretto che, ridot- sabauda riuscisse ad affermarsi, ma i feuda- tisi da tempo per effetto delle logiche fami- tari maggiori, che temevano sotto il governo liari legate all’esercizio dei fedecommessi, di Vittorio Amedeo un forte ridimensiona- andavano progressivamente estinguendosi. mento del proprio potere, si impegnarono Così, nonostante la breve illusione dei feu- in una strenua battaglia alla corte imperiale datari imperiali di proseguire nell’esercizio e presso i principi elettori per impedire la delle proprie secolari “libertà”, tra il 1724 e cessione e vedere affermata la loro diretta il 1736 tutte le Langhe passarono finalmente dipendenza dall’impero. sotto il dominio sabaudo, pur conservando La loro opposizione al Savoia fu talmente l’imperatore la suprema sovranità, in un radicale che nelle rivendicazioni di autono- mondo che si andava ormai avviando rapi- mia sotto la protezione imperiale finirono damente verso la modernità e nel quale c’era coinvolti non solo i feudi dipendenti fino al- sempre meno spazio per i discendenti della lora dall’impero o dallo stato di Milano, ma “nobile et imperiale Casa d’Aleramo”357.

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1 Su queste vicende cfr. R. Musso, I Feudi imperiali sul finire del Quattrocento nel cosiddetto marchesa- delle Langhe tra Impero e Stato di Milano (XV-XVIII se- to di Bossolasco, quando in mancanza di discenden- colo), in I feudi imperiali in Italia tra XV e XVIII secolo, za maschile, subentrarono nel possesso del feudo i a cura di C. Cremonini, R. Musso, Roma-Bordighera discendenti in via femminile del marchese Giovanni 2010, pp. 67-72. Bartolomeo del Carretto, tra cui rami dei marchesi 2 Traités publics de la Maison de Savoie avec les Puis- di Ceva, dei Sangiorgio e dei Valperga. In seguito si sances étrangères depuis de la paix de Chateau-Cambrésis possono ricordare i Caldera di Monesiglio (in origi- jusqu’à nos jours, II, Turin 1836, pp. 211-212. ne semplici vassalli dei del Carretto), gli Asinari e gli 3 Archivio di Stato di Torino (di seguito ASTo), Cor- Invrea a Spigno, i monferrini Fassati (poi Millo) ad Al- te, Materie politiche con l’estero, Diplomi imperiali, m. 23. tare, i duchi di Arenberg a Millesimo, i Braida, i Brizio 4 [A. Gatti], Jurium Sacri Romani Imperii et Libertatis e gli Oreglia a Novello, solo per citarne alcuni. Provinciae Langarum in Italia vindiciae secundae, I, Mila- 19 La costituzione della lega, comunicata al doge no 1712, p. 7. di Genova Tommaso Fregoso dal suo primo capitano, 5 Traités publics cit., p. 464; la nota dei feudi ceduti Franceschino del Carretto di Novello, fu da dal doge è alle pp. 467-468. lodata con una sua lettera del 16 gennaio 1441; cfr. G. 6 A.A. Settia, “Monferrato”. Storia e geografia nella Salvi, Galeotto I del Carretto marchese di Finale e la Re- definizione di un territorio medievale, «Bollettino stori- pubblica di Genova, «Atti della Società Ligure di Storia co bibliografico subalpino (di seguito BSBS)», LXXIII Patria», LXVI (1937), p. 269. Sull’istituzione della lega (1975), p. 534. si veda anche J.M. Philelpho, Bellum Finariense anno 7 [C. M. Maggi], Feudorum provinciae Mediolani con- Christi MCCCCXLVII coeptum, in Rerum Italicarum troversorum cum alienis ditionibus synopsis collecta ex ta- Scriptores, XXIV, Mediolani 1729, coll. 1157 e 1161. La bulario Exc.mi Senatus, Mediolani 1680, p. 15. storia del Filelfo, come noto, benché ormai stampata in 8 J.C. Lünig, Codex Italiae diplomaticus, I, Lipsiae svariate copie, non fu mai inserita nel ventiquattresi- 1725, col. 369. mo tomo della raccolta muratoriana, ufficialmente per 9 L’elenco dei feudi “delle Langhe” ceduti nel 1735 i troppi errori rispetto al manoscritto originale, ma for- al re di Sardegna comprendeva infatti numerose loca- se per oscuri maneggi da parte del Senato della repub- lità dell’Ovadese (Tagliolo, Capriata, Francavilla, Bisio, blica di Genova (cfr. G.M. Filelfo, La guerra del Finale Montaldeo, San Cristoforo, Carrosio, Roccagrimalda) (1447-1452), a cura di G.B. Cavasola, II ed., Finale Li- e del Ponente ligure (Alto, Caprauna, Nasino, Testico, gure 1995). Dell’edizione muratoriana è oggi disponi- Cesio, Stellanello, Loano, Garlenda), nonché diverse si- bile una pregevole ristampa fotostatica con traduzione gnorie sparse tra Acquese e Astigiano (Rocchetta Tana- italiana a fronte, alla quale ci si riferirà nel presente ro, Rocca d’Arazzo, Mombercelli, Vinchio, Castelnuo- testo: Bellum Finariense 1447, Finale Ligure 2012. vo Calcea). cfr. Traités publics cit., II, pp. 467-468. 20 A. Claretta, Gli statuti del Capitanato dei marchesi 10 Il termine provincia Langarum o provincia Langa- di Ceva dell’anno MCCCCVIII, Cava dei Tirreni 1896. na è comunemente usato nella documentazione della Un sunto sul contenuto di questi statuti in G. Manzo- cancelleria imperiale fin dalla metà del XVI secolo. ni, Ceva e il suo marchesato, Ceva 1911, pp. 38-39. 11 Sui legami anche etnici tra langaroli e liguri cfr. 21 Sul funzionamento della Lega cfr. vari docu- A. Torre, Elites locali e potere centrale tra Sei e Settecento: menti in ASMi, Sforzesco, 434, 437, 443. problemi di metodo e ipotesi di lavoro sui feudi imperiali 22 Ibid., 434, lettera del 6 luglio 1468. delle Langhe, «Bollettino della Società per gli Studi Sto- 23 Lünig, Codex cit., I, coll. 1141-1145. rici, Archeologici ed Artistici della Provincia di Cu- 24 Sul cardinale Carlo l’unica biografia disponibile neo», 89 (1983), pp. 41-64. è quella, assai lacunosa, di T. Bernardi, Del Carretto 12 [Gatti], Jurium cit., p. 27. Carlo Domenico, in Dizionario biografico degli italiani, 13 Ibid., p. 28. XXXVI, Roma 1988, pp. 389-391. Su Fabrizio del Car- 14 Archivio di Stato di Milano (si seguito ASMi), Feu- retto cfr. R. Musso, «El più benemerito cavaliere che sia in di imperiali, 1, «Terre delle Langhe feudali et adherenti». Lombardia». Fabrizio del Carretto, Gran Maestro dell’Or- 15 ASTo, Corte, Materie politiche con l’estero, Diplo- dine di San Giovanni Battista alla luce di documenti ine- mi imperiali, m. 23. diti, in Cavalieri di San Giovanni in Liguria e nell’Italia 16 La «Nota dei feudi imperiali e delle Langhe ce- settentrionale. Quadri, regionali, uomini, documenti, a duti a S.M. in vigore de’ preliminari di pace firmati in cura di J. Costa Restagno, Albenga 2009, pp. 635-676. Vienna tra S.M. Imperiale e S.M. Cristianissima il dì 3 25 ASMi, Feudi imperiali, 259. ottobre 1735» elencava cinquantun feudi, di cui solo 26 R. Musso, «Un sì benigno signore et principe et amato- ventisei situati propriamente nelle Langhe. re de’ sudditi suoi». Alfonso II del Carretto, marchese di Fina- 17 Per le Langhe vermesche cfr. F. Bernini, C. le (1535-58), in Finale tra le potenze di antico regime. Il ruolo Scrollini, I Conti dal Verme tra Milano e l’Oltrepò Pavese del marchesato sulla scena internazionale (secoli XVI-XVIII), Piacentino, Pavia 2006, p. 127. Per le Langhe Malaspi- Atti del convegno (Finale Ligure, 25 ottobre 2008), a na cfr. A. Cavagna Sangiuliani, Dell’abazia di S. Alberto cura di P. Calcagno, «Atti e memorie della Società Sa- di Butrio e del Monastero di S. Maria della Pietà detto del vonese di Storia Patria», n.s., XLV (2009), pp. 32-37. Rosario in Voghera, Milano 1867, p. 76. 27 Un testimone ricordava come nel castello di Fi- 18 L’intromissione più antica fu quella che si ebbe, nale vi fossero «molte forniture di letti, tappezzerie

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de diverse sorte et de gran pretio, tappeti da tavola traccia nell’archivio di Simancas, è stata assai confusa- et da scagno», una ricca armeria dove vi erano «molti mente ricostruita da V. Scaglione, Il conte di Millesimo archibusi da ruota et balestre, archi turcheschi con le e la congiura del 1578, in Alta Val Bormida. Storia, Arte, sue frezze, verettoni, fiaschi et forniture da archibuso, Archeologia, Onomastica, Millesimo 1982, pp. 193-275. I stocchi, scimitarre turcheschi, rotelle, targhe et tardo- presunti congiurati, accusati di lesa maestà dalle au- ni, armature per la persona dell’Ill.mo Sig. Marchese, torità dello stato di Milano ottennero l’annullamento forniture da cavalli […] et ancora in la sala li erano le del procedimento a loro carico solo grazie all’inter- tavole con li soi tappeti vellutati di Fiandra honora- vento dell’imperatore. Su tale vicenda cfr. C. Cremoni- tissimi […] et tappezzarie di coiro dorato et fiorito, et ni, I feudi imperiali italiani fra Sacro Romano Impero e mo- di taffettà di molti colori, parte di Ponente, parte di narchia cattolica (seconda metà XVI-inizio XVII secolo), in Genova et parte antique» (ASMi, Feudi imperiali, 257, L’Impero e l’Italia nella prima età moderna - Das Reich und testimonianza di Antonio Burnengo del fu Giovanni). Italien in der Früen Neuzeit, a cura di M. Schnettger, M. 28 Sulla corte di Finale cfr. Musso, «Un sì beni- Verga, Berlin-Bologna 2006 (Annali dell’Istituto Stori- gno…» cit., pp. 37-38. co Italo-Germanico di Trento, 17), pp. 60-61. 29 Pirro del Carretto di Balestrino vi inviò il pro- 37 ASMi, Feudi imperiali, 229. prio figlio Carlo (cfr. Archivio Storico Ingauno di Al- 38 Nel 1599, per esempio, per fronteggiare la pesti- benga, di seguito ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. lenza che infuriava negli stati del duca di Savoia, ven- Monesiglio 3, n. 2, c. 159v). Ludovico Scarampi, figlio nero stipulati dei capitoli sul controllo sanitario dei di Bartolomeo e di Bannina del Carretto (a sua vol- confini fra le autorità dello stato di Milano e un trium- ta figlia naturale di Ludovico, fratello del marchese virato in rappresentanza dei signori delle Langhe, co- Alfonso I e del cardinale Carlo, e vescovo di Cahors) stituito dal marchese di Finale, dal conte di Millesimo fu ugualmente allevato alla corte di Finale (cfr. ASMi, e da Tete del Carretto di Gorzegno (cfr. ASI, Archivio Feudi imperiali, 257). del Carretto di Balestrino, segnatura 1.1.22). 30 Musso, «Un sì benigno…» cit., pp. 13-14. Sui ge- 39 Nel 1588, Scipione del Carretto cedette la sua nitori di Ginevra Bentivoglio e sul loro ruolo nella cul- parte di Zuccarello, corrispondente a tre quarti, al tura milanese di inizio Cinquecento cfr. R. Sacchi, Il di- duca Carlo Emanuele di Savoia, ottenendo in cambio, segno incompiuto. La politica artistica di Francesco II Sforza oltre a denaro, il feudo di Bagnasco, nel marchesato e di Massimiliano Stampa, I, Milano 2005, pp. 313-355. di Ceva. La vendita, avvenuta senza il consenso im- 31 F. Sansovino, Dell’origine et de’ fatti delle famiglie periale, fu dichiarata nulla ed egli fu anche condan- illustri d’Italia, Venetia 1609, c. 208v nato a morte dal Senato di Casale (“commissionato” 32 J. Du Mont, Corps universel diplomatique du Droit dall’imperatore) per l’omicidio di un suo vassallo. La des Gens, V, Amsterdam 1728, p. 292. Il titolo, secon- sua parte di Zuccarello fu così confiscata e affidata al do l’agente genovese a Vienna, Giorgio de Giorgi, fu governo di commissari imperiali, sostituiti nel 1598 comprato per 200 ducati (cfr. Archivio di Stato di Ge- dal fratello Ottavio del Carretto, signore della parte nova, di seguito ASGe, Archivio segreto, 2521, lettera restante del marchesato. Sulla sorte di questi tre quar- del 26 aprile 1564). ti, contesi da vari pretendenti, si pronunciò nel 1622 33 R. Musso, Finale e lo Stato di Milano (XV-XVII se- il Consiglio Aulico, dichiarandoli devoluti alla Came- colo), in Storia di Finale, Savona 1997, p. 135. ra imperiale, finché due anni dopo, l’imperatore non 34 Sulla questione di Finale cfr. M. Gasparini, La vendette questa parte del marchesato alla repubblica Spagna e il Finale dal 1567 al 1619 (Documenti di archivi di Genova, che nel 1633 acquistò, con il consenso im- spagnoli), Bordighera 1958; F. Edelmayer, Maximilian periale, quanto restava del feudo. Su queste vicende II, Philipp II und Reichsitalien. Die Auseinandersetzungen cfr. G. Casanova, Il marchesato di Zuccarello. Storia e um das Reichslehnen Finale in Ligurien, Stuttgart 1988; strutture tra Medioevo ed Età Moderna, Albenga 1989. Id., Il Sacro Romano Impero nel Cinquecento ed i piccoli 40 J. Bricherius Columbus, Tabulae genealogicae gentis feudi italiani: l’esempio del marchesato finalese, in La Spa- Carrettensis et marchionum Savonae, Finarii, Clavexanae gna, Milano ed il Finale: il ruolo del marchesato finalese etc, Vindobonae 1741, tav. I. tra medioevo ed età moderna, Atti dei convegni (Finale 41 Su questo tema è d’obbligo R. Bizzocchi, Gene- Ligure, 6-7 luglio 1991), pp. 43-61; R. Musso, «Al uso y alogie incredibili. Scritti di storia nell’Europa moderna, fueros de Spaña». I Governatori di Finale tra autono- Bologna 1995. mia e dipendenza dallo Stato di Milano, in Finale porto 42 Sulle origini di Aleramo alla luce delle più re- di Fiandra, briglia di Genova, a cura di A. Peano Cava- centi ricerche cfr. R. Merlone, Prosopografia aleramica sola, Finale Ligure 2007, pp. 173-189, P. Calcagno, «La (secolo X e prima metà del XII), «BSBS», LXXXI (1983), puerta a la mar». Il Marchesato di Finale nel sistema impe- pp. 451-585. riale spagnolo, Roma 2011, pp. 427-438. 43 G. Gasca Queirazza, La leggenda aleramica nella 35 Musso, I feudi cit., p. 102. “Cronica imaginis mundi” di Jacopo d’Acqui. Testo critico, 36 Nel complotto erano coinvolti il conte di Millesi- «Rivista di storia, arte e archeologia per le provincie mo Nicolò del Carretto, cognato dello Speciano, Tete di e Asti», LXXVI (1968), pp. 39-50. del Carretto di Gorzegno con il figlio Michele Anto- 44 M. Bandello, Le Novelle, a cura di G. Brognoligo, nio, Galeazzo Scarampi di Roccaverano e una mezza III, Bari 1931, pp. 153-174. dozzina di altri signori. La congiura, di cui è rimasta 45 L. Contile, Ragionamento di Luca Contile sopra la

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proprietà delle imprese con le particolari degli accademici di Sassonia figliuolo di Vitichindo, il quale hebbe per Affidati, Pavia 1574, c. 95v; G. Ruscelli, Le Imprese il- moglie Maria sorella di Ottone il terzo» (Sansovino, lustri del Sr. Ieronimo Ruscelli, aggiuntovi il quarto libro Ritratto cit., pp. 136v-137). da Vincenzo Ruscelli di Viterbo, Venetia 1584, c. 178v; 57 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.3.3, F. Sansovino, Ritratto delle più nobili et famose città d’I- Memorie per la famiglia del Carretto. talia, Venetia 1575, cc. 136v-139, Id., Dell’origine cit., 58 Sulle genealogie aleramiche più antiche e su tut- cc. 208v-209v. ta la bibliografia in merito è d’obbligo Merlone, Proso- 46 Sull’azione propagandistica svolta dal marchese pografia cit. pp. 451-585; Id., Sviluppo e distribuzione del cfr. A.G. Cavagna, La biblioteca di Alfonso II del Carretto patrimonio aleramico, «BSBS», XC (1992), pp. 635-689; marchese di Finale. Libri tra Vienna e la Liguria nel XVI Id., Il problema della marca aleramica e i poteri signorili di secolo, Finale Ligure 2012 (Fonti, memorie e studi del banno, «BSBS», XCII (1994), pp. 5-46. Centro Storico del Finale, 2), pp. 91-121. 59 A.A. Settia, «Iudiciaria Torrensis» e Monferrato, 47 La biografia di Alfonso II, redatta intorno al «Studi medievali», s. III, XV (1974), pp. 989-991. 1580, è conservata in ASI, Del Carretto di Balestrino, se- 60 Monumenta Germanica Historiae, Diplomata re- gnatura 3.3.3, Causa del Finale. La Istoria de Marchesi del gum et imperatorum Germaniae, I, p. 462, doc. 339. Finale è in ASMi, Feudi camerali, 691. 61 A.A. Settia, L’affermazione aleramica nel secolo X: 48 E. Ricotti, Storia della Monarchia piemontese, II, fondazioni monastiche e iniziativa militare, «Rivista di sto- Firenze 1861, p. 289. ria, arte, archeologia per le province di Alessandria e 49 Sulla controversia tra il duca e il marchese cfr. Asti», C (1991), pp. 41-58; Id., “Nuove marche” dell’Italia ASMi, Feudi imperiali, 261; ASTo, Corte, Provincia di occidentale. Necessità difensive e distrettuazione pubblica Mondovì, mm. 6 e 7. fra IX e X secolo, in La contessa Adelaide e la società del se- 50 F. Cognasso, Umberto Biancamano, Torino 1929, colo XI, Atti del convegno (Susa, 14-16 novembre 1991), pp. 38-41. Susa 1992; pp. 43-60; G. Sergi, I confini del potere. Marche 51 Sul Pingon cfr. G. Claretta, Sui principali stori- e signorie fra due regni medievali, Torino 1995, pp. 56-62. ci piemontesi e particolarmente sugli storiografi della Real 62 Merlone, Il problema della marca aleramica cit., pp. Casa di Savoia, Torino 1878, pp. 35-45. Le radici sasso- 5-45. ni della dinastia sabauda erano state riconosciute dai 63 Id., La discendenza aleramica «que dicitur de Secia- Wettin sin dal 1434: cfr. L. Bély, La société des princes. go» (secoli XI-XII). I marchesi di Sezzadio, signiferi del re- XVIe-XVIIIe siècle, Paris 1999, p. 179. gno italico, «BSBS», XCIX (2001), pp. 405-443. 52 Du Mont, Corps universel cit., V/1, Amsterdam- 64 R. Pavoni, I marchesi del Bosco tra Genova e Ales- La Haye 1725, p. 301. sandria, in Terre e castelli dell’Alto Monferrato tra Medio- 53 ASMi, Feudi imperiali, 252, lettera del 20 gennaio evo ed Età Moderna, Atti del convegno (Tagliolo Mon- 1565. Un disegno a colori, evidentemente un progetto ferrato, 31 agosto 1996), a cura di P. Piana Toniolo, incompleto dell’arma richiesta da Alfonso II all’im- Ovada 1997, pp. 3-57; Id., Ponzone e i suoi marchesi, in peratore, riporta nel primo e secondo quarto le inse- Il Monferrato: crocevia politico, economico e culturale tra gne di Sassonia (il cavallo argento in campo rosso e Mediterraneo ed Europa, Atti del convegno (Ponzone, il fasciato nero-oro con il crancelino verde), mentre 9-12 giugno 1998), a cura di G. Soldi Rondinini, Pon- gli altri due quarti sono vuoti. Il disegno è conservato zone 2000, pp. 15-56. presso l’Österreichisches Staatsarchiv di Vienna, All- 65 A.A. Settia, Monferrato. Strutture di un territorio gemeines Verwaldungsarchiv, Adel, RAA 60.25. Esso è medievale, Torino 1983, pp. 22-73; G. Banfo, Da Alera- stato pubblicato in Cavagna, La biblioteca cit., p. 56. Il mo a Guglielmo “il Vecchio”: idee e realtà nella costruzione fratello di Alfonso, Sforza Andrea adotterà uno stem- degli spazi politici, in Cartografia del Monferrato. Geogra- ma anch’esso inquartato in cui figurano le armi dei fia, spazi interni e confini in un piccolo Stato italiano tra marchesati di Ceva e di Clavesana e delle famiglie Medioevo e Ottocento, a cura di A.B. Raviola, Milano Bentivoglio e della Scala, come si può osservare dalla 2007, pp. 47-74. grande insegna apposta sul suo monumento funebre, 66 R. Pavoni, L’organizzazione del territorio nel Savo- oggi nella chiesa di San Biagio in Finalborgo. nese (secoli X-XIII), in Le strutture del territorio tra Pie- 54 Sansovino, Ritratto cit., c. 138. monte e Liguria dal X al XVIII secolo, a cura di A. Cro- 55 Si vedano per esempio le lettere inviate nell’a- setti, Atti del convegno (Carcare, 15 luglio 1990), pp. prile 1581 dal duca Augusto di Sassonia e dall’eletto- 70-71, cui rimando per la bibliografia in merito. re Gian Giorgio di Brandeburgo a Carlo Emanuele I 67 Su Bonifacio cfr. R. Bordone, Il «famosissimo mar- di Savoia in difesa di Alfonso del Carretto in ASMi, chese Bonifacio». Spunti per una storia dell’origine degli Feudi imperiali, 245. Altri attestati delle case di Sas- Aleramici detti del Vasto, «BSBS», LXXXI (1983), pp. 587- sonia e Brandeburgo in Bricherius Columbus, Tabulae 602; L. Provero, Dai marchesi del Vasto ai primi marchesi cit., pp. 63-65. di Saluzzo. Sviluppi signorili entro quadri pubblici (secoli 56 Per il Sansovino (che scriveva probabilmente XI-XII), Torino 1992 (Biblioteca storica subalpina, 209). su indicazione del suo committente), Alfonso II ri- 68 Bordone, Il «famosissimo…» cit., pp. 588-590. sultava essere nato «dell’alto illustrissimo sangue di 69 Su questa ipotesi, basata sul fatto che fino al XIII Sassonia dagli Imperatori Ottone primo, secondo et secolo quest’area è indicata nelle carte con il nome di terzo dell’istessa casa, de quali discese Aleramo Duca Vasto e che vi esisteva anticamente almeno un castello

74 saggi Riccardo Musso

cfr. R. Musso, Il “Vasto” e i castelli di Montenotte, «Atti e 88 Fu il caso dei marchesati di Gorzegno, di Bale- memorie della Società Savonese di Storia Patria», n.s., strino, di Prunetto, di Novello, di Monforte, di Bosso- XXVI (1990), pp. 41-52. lasco e delle contee di Cengio e Millesimo. 70 E. Pontieri, La madre di re Ruggero: Adelaide del 89 Deve probabilmente collegarsi a questo periodo Vasto contessa di Sicilia e regina di Gerusalemme, in Atti l’istituzione di una rete di circoscrizioni incentrate su del Convegno Internazionale di Studi Ruggeriani, II, Pa- vice-comitati e gastaldie, di cui si trovano a lungo le lermo 1955, pp. 327-432. tracce e, nel caso del Finale, almeno fino al XVI secolo. 71 Bordone, Il «famosissimo...» cit., p. 589, nota 7. Sui visconti in ambito aleramico (ricordati, nell’area 72 Su Enrico il Guercio cfr. G. Nuti, Del Carretto carrettesca, oltre che a Finale, anche a Gorzegno e Cai- Enrico, in Dizionario biograficocit., XXXVI, pp. 397-400. ro) cfr. A.A. Settia, I visconti di Monferrato. Tradiziona- 73 Provero, Dai marchesi cit., p. 27. lismo di titoli e rinnovamento di funzioni, «BSBS», LXXXI 74 G.B. Moriondo, Monumenta Aquensia, II, Taurini (1983), pp. 705-727. 1790, coll. 330-331, doc.70. 90 Provero, Dai marchesi cit., pp. 30-32. 75 G. Tabacco, Egemonie sociali e strutture del potere 91 I Libri iurium della Repubblica di Genova, a cura di nel Medioevo italiano, Torino 1974, pp. 263-269. A. Rovere, I/1, Roma 1992, pp. 172-173, doc. 112. 76 Provero, Dai marchesi cit., pp. 25-26. 92 Ibid., a cura di D. Puncuh, I/3, Roma 1998, pp. 77 C. Varaldo, L’incastellamento nel Ponente ligure. 117-119, doc. 293; pp. 119-121, doc. 494. Dati archeologici, in Le strutture del territorio cit., pp. 23-33. 93 Sui contrasti tra Enrico II e i comuni di Alba e 78 Sulle fondazioni carrettesche (e per i rimandi Asti cfr. R. Fresia, «Comune civitatis Albe». Affermazio- bibliografici) cfr. P. Guglielmotti, Ricerche sull’orga- ne, espansione territoriale e declino di una libera città me- nizzazione del territorio nella Liguria medievale, Firenze dievale (XII-XIII secolo), Cuneo-Alba 2002. 2005, pp. 55-89. Da segnalare anche G. Murialdo, La 94 Provero, Dai marchesi cit., pp. 130-134. fondazione del “burgus Finarii” nel quadro possessorio dei 95 Le terre e i castelli donati ad Asti erano Castino, marchesi di Savona o del Carretto, «Rivista ingauna ed Cortemilia, Bosia, Torre Bormida, Bergolo, Torre Uzzo- intemelia», n.s., 40 (1985), pp. 31-63. ne, Cagna (oggi San Massimo), Serole, Castelletto Uzzo- 79 Provero, Dai marchesi cit., p. 29. ne, Perletto, Olmo Gentile, Roccaverano, Denice, Mom- 80 R. Musso, “Signori in città”. I Del Carretto a Savona baldone, Ponti, Pezzolo valle Uzzone, Borrino, Vesime, (XIII-XVIII secolo), «Atti e memorie della Società Savo- Lodisio; cfr. Codex Astensis qui de Malabayla communiter nese di Storia Patria», n.s., XXXVIII (2002), p. 5. nuncupatur, a cura di Q. Sella, II, Roma 1887 (Atti della 81 Moriondo, Monumenta cit., II, col. 352, doc. 103. Reale Accademia dei Lincei, 7), doc. 929. 82 A conferma della veridicità di questa tradizione, 96 La donazione (e la relativa investitura) fu fatta il il Filelfo affermava di aver visto personalmente a Niz- 5 luglio 1214: Moriondo, Monumenta cit., II, coll. 394- za una medaglia argentea fatta coniare da Enrico in 397, docc. 167-168. ricordo della vittoria in cui era scritto «Haec est mone- 97 Provero, Dai marchesi cit., pp.30-32. Si vedano ta dominorum Marchionum de Carreto, quodam Tur- in particolare le biografie di Ottone ed Enrico II del corum devicto principe Tusbei, signum sibi suisque Carretto di G. Nuti in Dizionario biograficocit., XXXVI, vendicavit quod nunc gerunt quinque rubeorum ba- ad voces. culorum in aureo campo» (cfr. Philelpho, Bellum cit., 98 Su queste vicende (con la ricca bibliografia di col. 1150). Nella storia cinquecentesca dei del Carretto riferimento) cfr. A. Arata, Spade e denari. Manfredino il principe turco è chiamato invece Joppa (cfr. ASMi, del Carretto, un capitano di guerra tra Piemonte e Liguria Feudi camerali, 691). nel primo Trecento, «Rivista di storia, arte e archeolo- 83 Questa versione, contenuta nella storia ma- gia per le province di Alessandria e Asti», CXI (2002), noscritta di cui alla nota precedente, è riportata te- pp. 311-390. stualmente anche in Bricherius Columbus, Tabulae cit, 99 Sui del Carretto di Ponti cfr. Id., Il «prode Marche- pp. 30-31. Per i collegamenti tra la figura di Enrico il se del Carretto». Bonifacio di Ponti tra ideali cavallereschi, Guercio e la leggenda di Lancillotto (con conclusioni ambizioni politiche e realtà quotidiana, «Aquesana», 7 in verità un po’ azzardate) cfr. A. Peano Cavasola, Il (1999), pp. 4-26. Al ramo di Ponti appartennero Otto- Castello di Lancillotto. La storia europea di Castel Gavone, bono, vescovo di Ferrara (1304) e di Acqui (1340), En- Finale Ligure 2004, pp. 27-58. rico vescovo di Lucca e Daniele del Carretto, cavaliere 84 Sansovino, Dell’origine cit., c. 203v. Antichi stem- ospedaliere di Rodi, priore di Lombardia e rettore di mi riportanti una ruota, talora affiancata da ruote più varie province del dominio pontificio, morto nel 1378 piccole, si ritrovano ancora murati su edifici medieva- in Morea (su di lui cfr. A. Luttrell, Del Carretto Da- li di località appartenute ai del Carretto come Visone, niele, in Dizionario biograficocit., XXXVI, pp. 394-397). Ponti, Montechiaro d’Acqui. 100 A conferma della “bastardigia” di alcuni di 85 R. Della Torre, Controversiae Finariensis adversus questi rami, si deve notare che essi negli atti abban- senatorem Lagunam Cyrologia, Genuae 1642, pp. 93-96. donano il titolo di marchesi di Savona, utilizzando 86 Bricherius Columbus, Tabulae cit., p. 33. per cognome il nome della località su cui esercitano 87 Fu inoltre in uso, per indicare i del Carretto nel la propria signoria, trasformando in predicato il titolo loro insieme, l’uso di termini al plurale come Carretti, di marchesi del Carretto. Nel 1283 è per esempio men- Carrettini, Carrettani, Carrettensi, Carretteschi ecc. zionato in un atto un «Thomas de Casteno marchio

75 I del Carretto e le Langhe tra medioevo ed età moderna saggi

de Carreto» (Moriondo, Monumenta cit., II, col. 661) e Cinquecento al ramo casalese dei del Caretto da cui nel 1291 un «Thomas de Turri marchio de Carreto» sarebbero poi discesi i marchesi di Grana. (ibid., col. 705). Sulle discendenze illegittime dei del 116 Sul ramo dei conti di Cengio e Millesimo cfr. O. Carretto cfr. R. Musso, La “Bastardigia” dei marchesi. Colombardo, Cengio e i signori del Carretto, Cengio 1989. Rami illegittimi e poco conosciuti dei Del Carretto tra XIV 117 Bricherius Columbus, Tabulae cit., tav. VII; Cava- e XVII secolo, «Ligures», 9 (2011), pp. 93-122. Per una gna, La biblioteca cit., p. 69, in part. nota 1. genealogia del ramo di Santa Giulia cfr. V. Scaglione, 118 Bricherius Columbus, Tabulae cit., tavv. III-VII. Decime e ragione delle decime in S. Giulia, Niosa e Brovida 119 Su Bossolasco cfr. G.B. Pio, Cronistoria dei Comu- durante i secoli XII-XIX, Cengio 1985, pp. 32-38. ni dell’antico Mandamento di Bossolasco con cenni sulle 101 Philelpho, Bellum cit., col. 1151. Langhe, Alba 1920. 102 G. Nuti, Del Carretto Giacomo, in Dizionario bio- 120 Come ricordava in una sua memoria Valerio graficocit., XXXVI, pp. 419-422. del Carretto di Novello «li parenti prossimiori non 103 Moriondo, Monumenta cit., II, coll. 675-682, doc. succedono né ereditano il quartiere dell’altro che non 166. sia estinto il sangue tanto maschile che femminino di 104 Ibid., coll. 689-690, doc. 172. quel capo, et quando il capo di un quartiere ha voluto 105 Pavoni, Ponzone cit., pp. 16-56. ingerirsi nell’altro è stato criminalmente processato» 106 Su Spigno cfr. F. Nano, Spigno Monferrato. Vi- (ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.3.3, Memo- cende storiche, Cairo Montenotte 2005, pp. 41-48. rie per la famiglia del Carretto). 107 La controversia tra Giovanni Freilino del Car- 121 I legami con i Chiaromonte derivavano da un retto di Novello, signore di Spigno, con Filippino e doppio matrimonio stipulato a metà Trecento fra i fra- Facino del Carretto di Millesimo, consignori di Malla- telli Giorgio e Antonino del Carretto, rispettivamente re, fu composta nel 1441 con un arbitrato del doge di con Venezia di Chiaromonte (figlia di Giovanni, si- Genova Tommaso Fregoso; cfr. ibid., p. 56. niscalco del regno di Sicilia) e con Costanza, figlia di 108 Sull’espansione carrettesca nell’entroterra in- Federico, conte di Modica, dal quale discese il ramo gauno cfr. Casanova, Il marchesato di Zuccarello cit.; J. trasferitosi nell’isola. Sui del Carretto di Sicilia cfr. F. Costa Restagno, La famiglia di Ilaria e la politica territo- Mugnos, Teatro genologico delle Famiglie nobili, titolate, riale dei Del Carretto di Zuccarello fra Tre e Quattrocento, feudatarie ed antiche del Fedelissimo Regno di Sicilia estin- in Ilaria del Carretto e il suo monumento. La donna nell’ar- te e viventi, I, Palermo 1647, pp. 237-240; F. Savasta, Il te, la cultura e la società del ‘400, Atti del convegno (Luc- famoso caso di Sciacca, Palermo 1843, pp. 40-43. ca, 15-17 settembre 1994), a cura di S. Toussaint, Lucca 122 Il matrimonio di Enrico del Carretto con Cateri- 1995, pp. 79-118; F. Imperiale, I marchesi Del Carretto na, figlia di Francesco di Clavesana, gli portò in dote di Finale nell’ambito della politica genovese tra fine ‘300 e un quarto del marchesato, indiviso con i discendenti primi ‘400, ibid., pp. 101-118; F. Noberasco, Storia della di Federico di Clavesana e con il cognato Giovanni castellania di Arnasco, Cenesi e Rivernaro, Albenga 2001. di Saluzzo. Sui marchesi di Clavesana cfr. R. Pavoni, 109 Saliceto, occupata da una banda di mercenari Una signoria feudale nel Ponente: i marchesi di Clavesa- francesi al soldo del duca d’Orléans, fu acquistata nel na in Legislazione e società nell’Italia medievale, Atti del 1455 da Giovanni del Carretto insieme ai cugini di convegno (Albenga, 18-21 ottobre 1988), Bordighera Millesimo, ma negli anni successivi l’intero dominio 1990, pp. 317-362. restò ai marchesi di Finale. Per l’atto d’acquisto cfr. 123 Imperiale, I marchesi cit., pp. 101-118. ASTo, Corte, Province, Mondovì, m. 7. 124 Sui marchesi di Zuccarello cfr. Casanova, Il mar- 110 Musso, «Un sì benigno…» cit., pp. 19-22. chesato di Zuccarello cit.; Costa Restagno, La famiglia 111 Sulle vicende dei del Carretto di Mombaldone cit., pp. 79-118; F. Noberasco, Storia dela castellania cit.; cfr. M. Leale, Le vicende storiche dalle origini all’età car- R. Musso, I marchesi di Zuccarello nelle vicende liguri del rettesca in Calizzano e il suo passato. Momenti di storia e XV secolo, «Atti e memorie della Società Savonese di cultura, a cura di G. Balbis, I, Calizzano 2012, pp. 22-55. Storia Patria», n.s., XLIV (2008), pp. 83-111. 112 R. Musso, Lo «Stato Cappellazzo». Genova tra 125 Queste informazioni sono ricavate da una nota Adorno e Fregoso (1436-1464), «Studi di storia medioe- dei feudi delle Langhe conservata in ASMi, Feudi im- vale e di diplomatica», 17 (1998), pp. 268-278; Id., «El periali, 1. Stato nostro de Zenoa». Aspetti istituzionali della pri- 126 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, ma dominazione sforzesca su Genova (1464-78), in So- Scritture de’ Signori et Comunità di Gorzegno, cc. 122-124. cietà e istituzioni del medioevo ligure, Roma 2001 (Serta 127 ASMi, Feudi imperiali, 1. antiqua et mediaevalia», 5), pp. 227-234. 128 Moriondo, Monumenta cit., II, coll. 453-454. 113 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Balestrino 8, 129 Ibid., coll. 675-678. doc. 19. 130 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Monesi- 114 Philelpho, Bellum cit., col. 1151. glio, 1. 115 Il ramo di Mallare, che possedeva anche Dego 131 Moriondo, Monumenta cit., II, col. 668. e Altare sul finire del Quattrocento ereditò Roccavi- 132 ASTo, Corte, Riviera di Genova, m. 1, fasc. 4. gnale all’estinzione di quella linea collaterale; gran 133 G.V. Verzellino, Delle memorie particolari e spe- parte di tali possessi furono confiscati dal marchese di cialmente degli uomini illustri della città di Savona, I, Sa- Monferrato nel 1486 e ceduti nel secondo decennio del vona 1885 (rist. anast. Bologna 1974), p. 303.

76 saggi Riccardo Musso

134 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 3.1.18, 146 Il palazzo dei del Carretto nel borgo di Mille- Scritture del Carretto e Scaletta, cc. 9-11. simo era giudicato agli inizi del XVIII secolo «abita- 135 Ibid., cart. Monesiglio, 1. tione assai decorosa con sei appartamenti tutti liberi, 136 A Bardineto, nel XVI secolo, i due consignori (e le officine sono abbondanti de tutto quel che si vuo- fratelli) Pirro e Giovanni Bartolomeo del Carretto sta- le di comodità e v’è altresì casa attigua dove sono li bilirono che, come in passato, il feudo dovesse restare granari, le scuderie, terrile, prigioni e doppio cortile in perpetuo indiviso «di sorte che per questa indivi- con un giardino unito alla casa assai grande. Oltre alla sione et compagnia qual si sia di essi Signori può co- suddetta abitatione ve n’è un’altra, nella quale soglio- mandare ad ognuno dei sudditi», sotto pena di 2.000 no abitare li cadetti che sono divisi dal primogenito» scudi per chi avesse tentato di dividere il feudo (cfr. (ibid., Feudi imperiali, 6). ibid., cart. Bardineto, 4). 147 Il castello di Saliceto fu gravemente danneggia- 137 La convenzione, in copia del 1699, è in ASTo, to nel corso della battaglia che vi si tenne nel marzo Corte, Riviera di Genova, m. 2, fasc. 13. 1639 il castello e le mura di Calizzano furono distrutte 138 Nel giuramento di fedeltà prestato al marchese con le mine nel 1646 (cfr. G. Ghilini, Annali di Alessan- Teodoro II di Monferrato Giorgio del Carretto del fu dria, Milano 1666, p. 260), quelli di Spigno nel 1649 Manuele e dai suoi fratelli è ricordato che un sesto di (ibid., p. 278). L’imponente fortezza di Cengio, teatro Carcare era tenuto in feudo da «Piperinus Piper de di violentissimi combattimenti nel 1639, fu diroccata Gentilibus et Manuel eius frater de Ianua»: cfr. G. Bal- dagli spagnoli nel 1648 per evitare che finisse in mano bis, L’alta val Bormida tra Del Carretto e Monferrato alla al duca di Savoia (su questa vicenda cfr. Colombardo, fine del secolo XIV, in Miscellanea di storia savonese, Ge- Cengio cit., pp. 75-109). I castelli di Bossolasco e di Fei- nova 1978 (Collana storica di fonti e studi, 26), p. 192. soglio furono ugualmente distrutti tra il 1642 e il 1647 139 Si vedano le convenzioni del 1487, rinnovate nel (cfr. Pio, Cronistoria cit., p. 135). 1504, in ASMi, Feudi imperiali, 103, n. 4. 148 Dopo la distruzione del castello di Bossolasco 140 Pio, Cronistoria cit., p. 76. Una delle parti, per ciascuno dei quattro condomini edificò un proprio esempio, comprendeva «turrionum quod est incep- palazzo; il più imponente fu quello dei del Carret- tum et nundum finitum super angulo dicti castri to di Balestrino, eretto nel 1668 (ibid.). Il palazzo di deversus orientem cum emolumento possendi aedifi- Serravalle fu eretto nel XVII secolo da Francesco del care in fossato castri versus revelinum aedificium lati- Carretto di Bagnasco (ASI, Del Carretto di Balestrino, tudinis de pedibus novem pertrie [sic] intra muratum Bossolasco, 7). dicti turrioni, et muratum fabricandum […] in fossato 149 Musso, “Signori in città” cit., pp. 5-13. castri praedicti super alio angulo dicti castri deversus 150 Era il caso di Giorgio del Carretto del fu Corrado, orientem et cum emolumento possenti aedificareab vicario e consigliere marchionale intorno alla metà del alio latere dicti torrioni per duos trabuchos extra dic- Quattrocento, il quale risiedeva in Casale nel quartiere tum turrionum deversus portam entrate castri […] Lago (cfr. B. Del Bo, Uomini e strutture di uno stato feuda- cum mediatate muri sale magne usque ad balconum»: le. Il marchesato di Monferrato (1418-1483), Milano 2009, ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.8., Divisio- p. 265). Sull’integrazione dei del Carretto di Millesimo ne di Bozzolasco e suoi capitoli. nel patriziato casalese cfr. C. Rosso, Un microcosmo pa- 141 Nano, Spigno cit., p. 80. dano: note sul Monferrato dall’età di Guazzo all’annessione 142 Nel 1609, per esempio, viene ricordata la «sala sabauda, in Stefano Guazzo e Casale tra Cinque e Seicento, a grande della parte del M. Ill.re Sig. Thette Carretto» cura di D. Ferrari, Roma 1997, p. 112. (ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, Scrittu- 151 Il conte Giovanni Battista del Carretto acquistò re de’ Signori et Comunità di Gorzegno, c. 169); lo stesso dagli eredi Gentilricci il loro palazzo in via Quarda possedeva un’altra sala al piano superiore «versus superiore in seguito passato per via ereditaria ai Poz- meridiem, dicta la saletta», mentre il cugino Manfre- zobonelli. do possedeva anch’egli nel castello una sala maggiore 152 V. Scaglione, «Domus Antonii Scarampi civis de «prope primam portam dicti castri» (ibid., c. 188v). Ast», Cengio 2010, pp. 172-174. 143 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Monesiglio, 153 ASI, Del Carretto di Balestrino, Investiture, 1, In- 3, fasc. 2. strumentum transactionis, sive conventionis factae inter 144 Gli ambienti ricordati in un inventario del 1559 Dominos Sanctae Iuliae cum consensu Pirrhi ipsorum Su- relativo al castello di Prunetto sono una sala grande, perioris et immediati Domini. una «cucina appresso alla sala», una camera «di so- 154 Pio, Cronistoria cit., pp. 78-79; ASI, Del Carretto pra», una camera «di mezzo», una «stancia apresso di Balestrino, segnatura 4.2.8, Capitoli del Capitaneato di la cucina sotto la scala della camera di mezzo», una Bozolasco et Mandamento. dispensa, con una scala «di tavole per montare al pri- 155 Ibid., segnatura 2.3.20, Atti del possessorio di Bar- mo uscio della torre»: ASI, Del Carretto di Balestrino, deneto. segnatura 1.3.16, Atti per la causa de Prunetto del 1508. 156 ASTo, Corte, Del Carretto di Millesimo, m. 130. 145 La residenza marchionale nel borgo di Bardi- 157 I turni nell’amministrazione della giustizia, cal- neto era costituita da appena una sala, due camere colati in rapporto alle quote di signoria, prevedevano e una cucina, più alcuni locali di servizio (ibid., cart. nel XVII secolo sedici mesi di governo alla repubbli- Bardineto, 4). ca di Genova (per acquisto dei diritti dei marchesi di

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Zuccarello), dodici ai del Carretto di Balestrino e otto 177 F. Ciciliot, Incastellamento e borghi murati in alta ai del Carretto di Bagnasco (cfr. ASI, Del Carretto di val Bormida, «Rivista ingauna ed intemelia», n.s., XL Balestrino, cart. Bardineto, 4, fasc. 2). (1985), pp. 30-31; G. Balbis, Val Bormida medioevale. Me- 158 Torre, Elites locali cit., p. 46. morie di una storia inedita, Cengio 1980. 159 In base all’investitura concessa nel 1560 dall’im- 178 G.C. Lasagna, Gli statuti di Calizzano «Atti della peratore Ferdinando I a Manfredo, Aleramo e Mel- Società Savonese di Storia Patria», XXXI (1959), p. 21. chiorre del Carretto del fu Giorgio e ad Alessandro, 179 Ciò grazie all’indagine a tappeto svolta anni or Tommaso e Manfredo del Carretto sotto Gorzegno sono da un’équipe di ricercatori della ex Facoltà di erano considerati i castelli e ville di Cerreto, Arguello Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Geno- e Cravanzana, eretti in marchesato (cfr. Lünig, Codex va, il cui risultato è stato il Repertorio degli Statuti della cit. I, coll. 2153-2158). Liguria (secc. XII-XVIII), a cura di R. Savelli, Genova 160 A Bossolasco in ciascuna delle sei ville del man- 2003 (Fonti per la storia della Liguria, 19). damento risiedeva dal 1471 un luogotenente nomi- 180 L. Fontana, Bibliografia degli statuti dei comuni nato localmente che andò a sostituire l’antica figura dell’Italia superiore, Milano-Torino-Roma 1907. del castellano, abolita dopo l’istituzione dell’unico 181 B. Bruno, Gli statuti di Millesimo del secolo XIII in vicario per tutto il territorio (cfr. Pio, Cronistoria cit., Miscellanea di storia savonese cit., pp. 155-165. p. 88). Nel marchesato di Gorzegno, oltre al podestà 182 Moriondo, Monumenta cit., I, col. 516. risiedente nel capoluogo, vi era un castellano residen- 183 Nano, Spigno cit., p. 94. te a Cravanzana con giurisdizione anche su Cerreto e 184 Repertorio cit., pp. 343-344. Arguello (cfr. ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 185 Ibid., p. 231. 4.2.6, Scritture de’ Signori et Comunità di Gorzegno, cc. 186 Ibid., p. 237. 112-116). Lo stesso accadeva nella contea di Millesi- 187 Pio, Cronistoria cit., p. 87. mo con castellani stabiliti a Cosseria e a Biestro (cfr. L. 188 Repertorio cit., p. 221. Oliveri, Gli statuti di Millesimo. Aspetti di vita medioeva- 189 Ibid., p. 263. le in val Bormida, Camerana 1987). 190 Lasagna, Gli statuti cit, p. 21. 161 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Bossolasco, 3. 191 R. Braccia, Processi imitativi e circolazione dei testi 162 Ibid., segnatura 3.1.18, Scritture del Carretto e Scaletta. statutari: il Ponente ligure, in Studi in onore di Franca De 163 Ibid., segnatura 3.2.5, Conventioni di Albareto. Marini Avanzo, Torino 1999, pp. 55-69. 164 Moriondo, Monumenta cit., II, col. 569. 192 Oliveri, Gli statuti cit., pp. 38-40 165 Ibid., col. 568. 193 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, 166 Ibid., col. 667. Scritture de’ Signori e Comunità di Gorzegno. 167 Ibid., coll. 693-695. 194 Nel 1578, per esempio, la comunità di Serole 168 Per Altare si veda ASI, Del Carretto di Balestrino, denunciava a un commissario inviato dal magistrato Feudi imperiali, 6; per Albareto ibid., segnatura 3.2.5, delle Entrate straordinarie dello sato di Milano come Conventioni di Albareto; Pio, Cronistoria cit., pp. 60-63. il loro signore Tommaso del Carretto «per li beni allo- 169 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 2.3.15, diali […] ha sempre promesso di pagare le gravezze Nella causa di Prunetto fino all’anno 1598. ma mai le ha pagate», intendendo per allodiali solo 170 Pio, Cronistoria cit, pp. 73-74. quelli descritti nel registro catastali, mentre per i beni 171 Leale, Le vicende cit., pp. 60-67. feudali, neppure descritti, non pagava alcunché (cit. 172 ASMi, Feudi imperiali, 103, n. 4. in Nano, Spigno cit., pp. 80-81). 173 Ibid. 195 A Montechiaro, per esempio, i sudditi dove- 174 Ancora nel 1689, per ripopolare il borgo di Bos- vano «facere roxiam domino Montisclari cum bobus solasco rimasto quasi disabitato dopo contagi e guer- in braida ad seminandum […] et pascere eius boves» re, i consignori promettevano esenzioni decennali da (cfr. Moriondo, Monumenta cit., II, col. 695). ogni contribuzioni a chi fosse venuto ad abitare «en- 196 A Bossolasco la conversione delle rozie in una tro il recinto» o vi avesse comprato casa (cfr. ASI, Del tassa, rendeva ai signori, nel 1585, 140 fiorini, ripartiti Carretto di Balestrino, segnatura 9.1.7, Statuti de’ Mar- tra i vari abitanti «secondo il loro registro» (cfr. Sta- chesi di Balestrino e Bozzolasco, pp. 475-479). tuti, tariffe, privilegi e conventioni del Marchesato e man- 175 Sulle fondazioni carrettesche (e per i rimandi damento di Bossolasco, Balestrino 1704, pp. 490-491). A bibliografici) cfr. Guglielmotti, Ricerche cit., pp. 55-89; Carcare invece le rozie ricadevano solo sugli abitanti sulle villenove in generale si vedano i vari contributi in dei quartieri della Rocca e degli Scarampi e nel 1483 Borghi nuovi e borghi franchi nel processo di costruzione dei erano convertite nel pagamento di 4 lire e mezza e 2 distretti comunali nell’Italia centro-settentrionale (sec. XII- grossi del papa «pro quolibet fogagio […] pro roxiis XIV), a cura di R. Comba, F. Panero, G. Pinto, Chera- et nomine roxiarum»: ASMi, Feudi imperiali, 103, n. 4. sco-Cuneo 2002. Da un punto di vista giuridico cfr. G. 197 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.1.8, Fasoli, Ricerche sui borghi franchi nell’Alta Italia, «Rivista Scarampi. di storia del diritto italiano», XV (1942), pp. 139-214. 198 Ibid., segnatura 3.1.18, Scritture del Carretto e 176 G. Balbis, L’atto di fondazione del «burgus Mille- Scaletta. simi» (9 novembre 1206), «Atti e memorie della Società 199 Pio, Cronistoria cit., p. 67. Savonese di Storia Patria», n.s., XIV (1981), pp. 35-51. 200 La conversione delle vecchie misure in quelle

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decimali è stata fatta seguendo il Tableaux des nouvelles 229 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Bossolasco, 2, mesures du Département de Montenotte, Savone 1809. Stato de beni e rediti di Bozzolasco e mandamento (1788). 201 Lünig, Codex cit. I, coll. 2137-2142. 230 Ibid., segnatura 4.2.6, Scritture dei Signori e Co- 202 ASI, Del Carretto di Balestrino, Feudi imperiali, 6. munità di Gorzegno, cc. 29-31v. 203 A Carcare la tassa riguardava solo tre dei cinque 231 Ibid., cart. Bossolasco, 2. quartieri e con imposizioni che variavano dalle 7 staia 232 ASMi, Feudi imperiali, 244, 270, 284. e mezzo di avena del quartiere della Rocca alle 24 del 233 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, quartiere dei Pevere (cfr. ASMi, Feudi imperiali, 103, n. 4). Scritture dei Signori e Comunità di Gorzegno, cc. 29-54. 204 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 3.2.5, 234 F. Ciciliot, Val Bormida tra medioevo ed età mo- Conventioni di Albareto. derna. Fonti e frammenti di storia economica, sociale e 205 Leale, Le vicende cit., pp. 60-61. culturale, in Valbormida e Riviera. Economia e cultura 206 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Bossolasco, 7. attraverso i secoli, Atti del convegno (Millesimo, 22-23 207 Ibid., Feudi imperiali, 6. ottobre 1985), Camerana 1985, pp. 33-34, 40-42; A. Za- 208 Ibid., segnatura 2.3.20, Atti del possessorio di Bar- nini, Strategie politiche ed economia feudale ai confini della dineto e Serravalle. Repubblica di Genova (secoli XVI-XVIII), Genova 2005, 209 G. Assereto, G. Bongiovanni, «Sotto il felice e dol- pp. 143 sgg. ce dominio della Serenissima Repubblica». L’acquisto del 235 ASI, Del Carretto di Balestrino, Feudi imperiali, 6. Finale da parte di Genova e la “Distinta relazion” di Filip- 236 Il documento, senza data, è in ASMi, Feudi impe- po Cattaneo De Marini, Savona 2003, p. 126. riali, 277. Sullo sfruttamento minerario dell’entroterra 210 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Bossolasco, 2. savonese cfr. G. Pipino, Documenti su attività minerarie 211 Ibid., Feudi imperiali, 6. in Liguria e nel dominio genovese dal Medio Evo alla fine 212 Pio, Cronistoria cit., p. 35. del Seicento, «Atti e memorie della Società Savonese di 213 Il diploma di concessione più antico risaliva al Storia Patria», n.s., XXXIX (2003), pp. 53-54. 1185, quando il marchese Belengerio e Ottone Puli- 237 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.1.8, xello, dominus di Bossolasco, confermavano a Pietro Scarampi. Travaglio i beni mobili e immobili da lui posseduti, 238 Ibid., cart. Monesiglio, 1, n. 2, c. 145v. dichiarandolo immune da ogni contribuzione, sal- 239 Si vedano i proventi nei registri contabili con- vo l’obbligo di servire i signori per quindici giorni servati in Archivio Storico del Comune di Finale Li- l’anno. Esso fu confermato nel 1347 da Manfredo del gure (di seguito ASCFinale), camera 1. Carretto di Novello del fu Giacomo e nel 1431 da Gio- 240 L’affitto delle due castellanie di Saliceto e Pa- vanni Bartolomeo del Carretto (cfr. ASI, Del Carretto di roldo «cum omnibus suis emolumentis ab ipsa castra Balestrino, cart. Bossolasco, 7, n. 5). spectantibus tam feudalibus quam allodialibus, salvo 214 Ibid., segnatura 4.2.7, Scritture e convegni con la criminali» rendeva per esempio al marchese Giovanni comunità di Bozzolasco. II, dal 1530 al 1539, ogni anno la somma di 470 scudi 215 Su questa famiglia cfr. Musso, La “Bastardigia” «del sole», oltre cento capponi e due maiali, da pagar- cit., pp. 102-104. si in due rate a San Martino e a Carnevale (cfr. ASMi, 216 La documentazione sulle immunità dei de Ca- Feudi imperiali, 270, doc. 20 settembre 1530). stello in Prunetto è in ASI, Del Carretto di Balestrino, 241 Nel 1540 l’arrendamento di Carcare da parte del segnatura 4.2.20, Enfiteusi di Pruneto. marchese Marcantonio Doria del Carretto (curato- 217 Ibid., segnatura 4.2.7, Scritture e convegni con la re del nipote Alfonso II) prevedeva invece un affitto comunità di Bozzolasco; segnatura 9.1.7, Statuti de’ Mar- di soli 45 scudi d’oro l’anno, ma erano esclusi dalla chesi di Balestrino e Bozzolasco, pp. 470-475. cessione i proventi giudiziari, il pedaggio e metà dei 218 Ibid., pp. 514 sgg. noveni, che rimanevano alla camera marchionale (cfr. 219 Assereto, Bongiovanni, «Sotto il dolce…» cit., p. 102. ibid., doc. 23 maggio 1540). Per un quadro comples- 220 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Bossolasco, 2. sivo della politica degli arredamenti dei marchesi di 221 Ibid., segnatura 4.2.6, Scritture dei Signori et Co- Finale cfr. N.C. Garoni, Codice della Liguria diplomatico, munità di Gorzegno, cc. 153-154. storico e giuridico, I, Genova 1870, pp. 319-326. 222 Ibid. 242 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 2.3.14, 223 Ibid., Feudi imperiali, 6. Atti nella causa di Prunetto. 224 Ibid., segnatura 3.1.18, Scritture del Carretto e 243 Ibid. Scaletta. 244 Musso, «Un sì benigno…» cit., p. 39. 225 ASGe, Notai antichi, 1838, notaio Giovanni Gia- 245 I due diplomi in Du Mont, Corps universel cit., como Cibo Peirano, Inventario dei beni del marchese Al- pp. 295-296. Il diploma di Federico II menzionava fonso del Carretto (1545). infatti i soli castelli di , Segno, Noli e Finale 226 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 1.3.15, (Perti, Pia e Orco). Catastro di Bardineto 1597. 246 Bricherius Columbus, Tabulae cit., p. 42. 227 Si vedano numerosi atti di compravendita sti- 247 Si vedano, per esempio, le investiture concesse da pulati dal marchese Carlo del Carretto in Carcare tra Carlo d’Angiò ai marchesi del Carretto in G. M. Monti, 1501 e 1503 in ASMi, Feudi imperiali, 244. La dominazione angioina in Piemonte, Torino 1930 (Biblio- 228 Nano, Spigno cit., p. 82. teca della Società Storica Subalpina, 116), pp. 35-37.

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248 Secondo quanto riferito dalla storia cinquecen- lo stato regionale e le istituzioni del contado, Torino 1979, tesca dei del Carretto, il 6 gennaio 1311, lo stesso gior- pp. 268-270. Sulle aderenze (dette anche accomandigie), no in cui fu incoronato a Milano re d’Italia, Enrico VII oltre al classico studio di G. Soranzo, Collegati, racco- avrebbe concesso ad Antonio del Carretto l’investitu- mandati, aderenti negli Stati italiani dei secoli XIV e XV, ra delle sue terre: cfr. ASMi, Feudi camerali, 691, Istoria «Archivio storico italiano», XCIX (1941), pp. 3-45, cfr. dei Marchesi del Carretto. ora I. Lazzarini, Amicizia e potere. Reti politiche e sociali 249 Codex Astensis cit., II, doc. 929. nell’Italia medievale, Milano-Torino 2010, pp. 11-14 e F. 250 Moriondo, Monumenta cit., I, col. 153. Somaini, Geografie politiche italiane tra Medio Evo e Rina- 251 Codex Astensis cit., III, doc. 659. scimento, Milano 2012, pp. 97-103. 252 Fresia, Comune civitatis Albe cit., pp. 302-305. 261 E. Jarry, Les origines de la domination française 253 La donazione riguardò Cairo, Dego, Carretto, à Gênes (1392-1402). Documents diplomatiques, Paris metà di Carcare e i boschi di Ronco di Maglio e Mon- 1896, pp. 398-399, doc. IV. te Caviglione; cfr. Moriondo, Monumenta cit., II, docc. 262 Su queste vicende cfr. Musso, «Intra Tanarum et 167-168, coll. 394-396. Bormidam et litus maris» cit., pp. 253-255. 254 Il 23 novembre 1290 Enrichetto del fu Bonifacio 263 Balbis, L’alta val Bormida cit., pp. 167 sgg. e Manfredino del fu Corrado dei marchesi di Ponzone 264 Su questo periodo cfr. P.L. Cazzulo, Il governo di fecero donazione al comune di Genova del castello di Teodoro II di Monferrato e l’opera di Corrado II del Carret- Ponzone e di un terzo di Spigno, Rocchetta e Merana, to a Genova, Genova 1919. ricevendone investitura dal podestà di Genova e dai 265 Du Mont, Corps universel cit., II/2, pp. 126-128. capitani del popolo Oberto Spinola e Corrado Doria 266 Per i del Carretto alla corte dei Paleologi cfr. Del (ibid., II, coll. 615-620). Tale donazione fu seguita, lo Bo, Uomini cit., pp. 261-270; per il servizio visconteo stesso giorno da quella di Tommaso del fu Enrico, cfr. Musso, I feudi cit., pp. 82-83, in part. nota 43. per i restanti due terzi di Spigno, Merana e Rocchetta 267 Bricherius Columbus, Tabulae cit., tav. V. (ibid., col. 601). 268 Sansovino, Dell’origine cit., c. 205v. 255 L’investitura concessa i fratelli Antonio, Alber- 269 Philelpho, Bellum cit., coll. 1151-1152; per il di- to, Enrico, Manfredo e Franceschino del Carretto, figli ploma, datato 1 aprile 1426, cfr. Regesta imperii, XI, Die del fu Giacomo, riguardava, oltre a Novello, Mon- Urkunden Kaiser Sigmunds, a cura di W. Altmann, II, chiero e Bossolasco, i castelli e le terre di Sinio, Al- Innsbruck 1897, p. 40, doc. 6603. bareto, Arguello, Serravalle, Mombarcaro, Gorzegno, 270 Lünig, Codex, I, coll. 2137-2142. Cerreto, Castino, Dego, Spigno, Carretto, Saleggio e la 271 Per un quadro delle investiture viscontee ai parte loro spettante in Cosseria, Millesimo e Carcare, signori delle Langhe nel biennio 1431-1432 cfr. F. rimaste indivise fin dall’istituzione dei tre terzieri, nel Cengarle, La riduzione dei diritti feudali di Ludovico I di 1268; cfr. Lünig, Codex cit., I, coll. 2119-2120. È un’evi- Saluzzo in un fascicolo di “fidelitates” prestate a Filippo dente svista del Lünig la datazione di questo docu- Maria Visconti (1431-1432), in Ludovico I di Saluzzo. mento al 1345, quando Carlo non solo non si trovava Un principe tra Francia e Italia (1416-1475), a cura di R. in Italia, ma neppure era re di Boemia e re dei Romani. Comba, Cuneo 2003, pp. 235-250. 256 Il 15 maggio 1355, sempre a Pisa, Carlo IV aveva 272 Nel 1449 il duca Ludovico era entrato in guer- conferito a Giorgio, Manuele e Aleramo del Carretto ra contro Francesco Sforza nella speranza di farsi ri- l’investitura delle loro rispettive quote di Finale, Ca- conoscere duca di Milano. Nel corso del conflitto gli lizzano, Massimino, Cosseria, Millesimo, Carcare e riuscì di occupare o costringere al giuramento di fe- dei feudi delle valli dell’Arroscia e del Lerone, pro- deltà numerosi signori delle Langhe, tra i quali i del venienti dall’eredità clavesanica (ibid., coll. 2119-2124) Carretto di Novello e di Spigno: L. Cibrario, Origine 257 Il 27 dicembre 1358, a Praga, Carlo IV aveva e progressi delle istituzioni della Monarchia di Savoia, II, concesso a Bonifacio del Carretto del fu Francesco Torino 1855, pp. 262-263; A. Casati, Milano e i principi l’investitura di Osiglia, Mallare, Roccavignale, due di Savoia, Torino 1853, p. 29. terzi di Cosseria, Millesimo, Altare, del giuspatronato 273 Musso, I feudi cit., pp. 84-86. di San Pietro di Ferrania e, più in generale, di un sesto 274 ASMi, Registri ducali, 22, pp. 406-409. del marchesato di Savona (ibid., coll. 2123-2126). 275 Musso, I feudi cit., pp. 86-92. 258 R. Musso, «Intra Tanarum et Bormidam et litus 276 Nel 1486 Federico III rilasciò un diploma d’in- maris». I marchesi di Monferrato e i signori “aleramici” vestitura per Bossolasco e sue dipendenze alle quattro delle Langhe (XIV-XVI secolo), in Il Monferrato cit., pp. figlie ed eredi di Giovanni Bartolomeo del Carretto, 249-252. già investito da re Sigismondo nel 1426. Nel 1488 ana- 259 Nel trattato di pace del 1382 tra Gian Galeazzo logo diploma ricevettero i condomini di Novello. e Teodoro II, figurano tra gli aderenti del Visconti, gli 277 Musso, I feudi cit., pp. 94-95. Scarampi, i del Carretto di Finale, di Bossolasco e di 278 Su Massimiliano e l’Italia cfr. G. Cipriani, L’Im- Cengio, mentre con il Monferrato sono i del Carretto pero e la cultura politica italiana nel primo Cinquecento, in di Millesimo, di Mallare e di Ponti (cfr. Lünig, Codex L’Impero e l’Italia cit., pp. 393-415. cit., III, coll. 330-334). 279 Lünig, Codex cit., I, coll. 2141-2152. 260 G. Chittolini, Il particolarismo signorile e feudale in 280 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 9.2.24, In- Emilia fra Quattro e Cinquecento in Id., La formazione del- vestiture imperiali per li feudi et il marchesato di Balestrino.

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281 C. Cremonini, Considerazioni sulla feudalità im- Cremonini, La mediazione cit., pp. 31-48; su questa ca- periale italiana nell’età di Carlo V, in L’Italia di Carlo V. rica cfr. G. Del Pino, Un problema burocratico: la Pleni- Guerra, religione e politica nel primo Cinquecento, Atti del potenza per i feudi imperiali in Italia e il suo archivio tra convegno (Roma, 5-7 aprile 2001), a cura di F. Cantù, XVII e XVIII secolo, «Rassegna degli Archivi di Stato», M.A. Visceglia, Roma 2003, pp. 269-271. LIV/3 (1994), pp. 551-583. 282 Ibid., pp. 265-266. 295 Nel 1584 fu preso in considerazione dall’impe- 283 Sulla Successione spagnola e le trattative tra ratore Rodolfo II l’affidamento al governatore cesareo Carlo V e Ferdinando cfr. A. Kohler, Carlo V, Roma del Finale della soprintendenza sui feudi imperiali in 2005, pp. 342-348 e 365-366. Italia (ASGe, Archivio segreto, 2532, lettera dell’agente 284 C. Cremonini, La mediazione degli interessi imperiali genovese a Praga Ottavio Spinola del 15 maggio 1584). in Italia fra Cinque e Settecento, in I feudi imperiali cit., p. 35. 296 Cremonini, La mediazione cit., pp. 35-48; Musso, I 285 È in questa veste, infatti, che Figueroa agisce in feudi cit., pp. 107-108. occasione della rivolta di Finale del 1558 e dell’assas- 297 E. Bussi, Il diritto pubblico del Sacro Romano Impero sinio di Pirro II del Carretto nel 1562. alla fine del XVIII secolo, I, Milano 1959, pp. 173-174. 286 Sulla prima fase della rivolta di Finale cfr. Edel- 298 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, mayer, Maximilian II cit. pp. 74-91 e Id., Il Sacro Romano Scritture delli Signori et della Comunità di Gorzegno, cc. Impero cit. pp. 43-61. Sulla questione di Finale in gene- 4 e 142. rale cfr. nota 34. 299 ASMi, Feudi camerali, 692, testamento del princi- 287 D. Maffi, Alle origini del «camino español». I transiti pe Alfonso II del Carretto. militari in Liguria (1566-1700), in Finale cit., pp. 119-149. 300 Bricherius Columbus, Tabulae cit., tav. VII bis. 288 Sul contrasto tra Filippo II e Massimiliano II si 301 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.4, veda l’ormai classico studio di K.O. von Aretin, L’or- Lettere per la causa di Zuccarello fino al 1624, lettera del dinamento feudale in Italia nel XVI e XVII secolo e le sue 10 luglio 1606. ripercussioni sulla politica europea, Trento 1978 (Anna- 302 Si veda in merito la ricca corrispondenza di li dell’Istituto Storico Italo-Germanico in Trento, 4), Adriano del Carretto, “ambasciatore” della sua casa pp. 70-72. Per una interpretazione più aggiornata del a Vienna e Praga dal 1604 al 1612, ibid., Lettere per la contrasto tra i due sovrani cfr. C. Cremonini, Il caso di causa di Zuccarello fino al 1624. Finale tra interessi locali ed equilibri internazionali: alcune 303 E. Vehse, Geschichte des Östreichischen Hofs und considerazioni, in Finale tra le potenze cit., pp. 69-76 ed Adels der Östreichischen Diplomatie, III, Hamburg 1851, Ead., La feudalità imperiale italiana tra lealtà all’impero e pp. 21, 44. interessi spagnoli: alcune considerazioni, «Annali di storia 304 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, moderna e contemporanea», XV (2009), pp. 131-139. Scrittura de’ Signori et Communità di Gorzegno, c. 104. 289 La salvaguardia riguardava Lazzaro Scarampi 305 «Il Sig.re Marchese Gerolamo si portò l’anno di Mioglia, Ottaviano del Carretto di Millesimo, Tete 1708 del mese d’ottobre alla corte imperiale per ri- del Carretto di Gorzegno, Scipione del Carretto di vendicare nella sua intiera immedietà li Feudi Impe- Novello «et alii consortes ex Marchionibus Saonae» riali delle Langhe, tra quali quelli del Sig.re Marche- e si estendeva ai loro possessi di Millesimo e Cosse- se Ottaviano suo fratello con procura dello stesso, e ria (la metà), Cengio, Rocchetta di Cengio, Gorzegno, con assistenza di denaro, perché con suo non poteva Cravanzana, Arguello, Cerreto, Novello, Monchiero, farlo» (ibid., segnatura 2.5.15, Carte relative al mar- Monforte, Castelletto e Sinio: ASI, Del Carretto di Bale- chese Gerolamo). Su di lui cfr. A. Torre, Del Carretto strino, segnatura 9.2.24, Investiture imperiali per li feudi Gerolamo Maria, in Dizionario biografico cit., XXXVI, e marchesati di Balestrino e Bozzolasco, pp. 288-294. pp. 972-986. 290 L’anno 1573 «fu dal Re restituito il Stato di Fi- 306 Su questo tema cfr. G. Hanlon, The Twilight of a nale con la fortezza all’Imperatore con l’impegno che Military Tradition. Italian Aristocrats and European Con- quella Maestà dovesse provedere per la securità del flicts, 1560-1800, New York 1988, pp. 81-86; G. Pou- Ducato di Milano, la quale Maestà mandò ivi suoi go- marède, Il Mediterraneo oltre le crociate. La guerra turca vernatori li quali in nome suo cesareo presero il pos- nel Cinquecento e nel Seicento tra leggende e realtà, Torino sesso del Stato, fecero giurare alli sudditi la fedeltà, 2011 e G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e posero presidio di natione alemanna» (ASMi, Feudi nobiltà nello Stato della Chiesa (1560-1644), Roma 2003. imperiali, 246). I capitoli tra il governatore di Milano 307 Scrivendo al padre il 10 luglio 1606, nell’appros- marchese di Ayamonte e i commissari imperiali per simarsi di una nuova guerra in Ungheria, Adriano del la restituzione del Finale all’imperatore sono in Du Carretto così si esprimeva riguardo al fratello minore Mont, Corps universel cit., V/1, pp. 226-227. Rodolfo: «piacesse a Dio che qui fosse il signor Ridol- 291 Cremonini, Il caso di Finale cit., pp. 71-73. fo che seguitasse questa guerra, perché m’assicuro 292 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, che s’avanzarebbe assai et si farebbe un huomo»: ASI, Scrittura de’ Signori et Comunità di Gorzegno, c. 72v (let- Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.4, Lettere per la tera del 15 settembre 1601). causa di Zuccarello fino al 1624. 293 Musso, I feudi cit., pp. 101-102. 308 Sansovino, Dell’origine cit., c. 209v. 294 Sulla genesi della plenipotenza imperiale per 309 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, l’Italia e i suoi antecedenti cinque-seicenteschi cfr. Scrittura de’ Signori et Comunità di Gorzegno, c. 5v.

81 I del Carretto e le Langhe tra medioevo ed età moderna saggi

310 Sull’importanza del Toson d’oro nell’Italia del 327 Su queste vicende cfr. A. Merlotti, Disciplina- XVI e XVII secolo cfr. A. Spagnoletti, Principi italiani mento e contrattazione. Dinastia, nobiltà e corte nel Pie- e Spagna nell’età barocca, Milano 1996, pp. 51-83. Sui monte sabaudo da Carlo II alla Guerra civile, in L’affermar- marchesi di Grana cfr. J. De Pinedo y Salazar, Historia si della corte sabauda cit., pp. 229 sgg. de la Insigne Orden del Toyson de oro, I, Madrid 1787, pp. 328 M. Marcozzi, Asti “fedelissima” e “separata”: sog- 360, 375, 415. gezione e autonomia nel primo secolo di dominio sabaudo 311 Riguardo alle spedizioni di merci compiute per (1531-1630), «Rivista di storia, arte e archeologia delle ordine e conto di Alfonso II cfr. Cavagna, La biblioteca province di Alessandria e Asti», CXIL (2003), fasc. 1, cit. pp. 52-62. pp. 83-103. 312 Si veda, per esempio, il caso di quell’uomo di 329 Risalgono a questi anni l’inserimento dei del Calizzano incaricato dal marchese Alfonso II di re- Carretto di Spigno nella feudalità sabauda, con l’ac- capitargli a Praga due muli che intendeva donare a quisto nel 1532 del feudo di Caselle nel Torinese un amico (ASMi, Feudi imperiali, 268, lettera di Alfon- (ASTo, Corte, Provincia di Torino, m. 8, fasc. 10.1) e i so II del 7 ottobre 1574), o il viaggio che intraprende contatti tra il duca Carlo II e i del Carretto di Millesi- fino a Vienna, nel 1610, il notaio Antonio Carbone di mo negli anni della successione del Monferrato (cfr. Gorzegno per perorare le ragioni di un gruppetto di Raviola, Servitori cit., p. 485). consignori, troppo poveri per permettersi un viaggio 330 P. Merlin, Emanuele Filiberto. Un principe tra il fino là (ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 4.2.6, Piemonte e l’Europa, Torino 1995. “critture de’ Signori et comunità di Gorzegno, cc. 5-5v.) 331 Ibid., pp. 275-278. 313 B.A. Raviola, Un complesso intreccio di giurisdi- 332 Si veda in proposito quanto affermava nel 1566 zioni. I feudi imperiali del Monferrato gonzaghesco, in I l’ambasciatore veneziano Giovanni Correr (cfr. Le rela- feudi imperiali cit., pp. 183-184. zioni degli ambasciatori veneti presso gli stati italiani nel XVI 314 L’usanza è testimoniata, almeno nella Riviera di secolo, a cura di E. Alberi, V, Firenze 1858, pp. 37-38). Ponente, nei castelli di Balestrino e di Zuccarello: ASI, 333 Sulle frequenti visite a Savona di Emanuele Fili- Del Carretto di Balestrino, cart. Monesiglio, 3, fasc. 1. berto, in genere ospite di Alfonso Spinola cfr. Verzel- 315 Su questo aspetto cfr. A. Spagnoletti, Le dinastie lino, Delle memorie cit., II, pp. 68, 70-72, 83, 90, 92, 96. italiane nella prima età moderna, Bologna 2003, pp. 111-112. 334 La tesoreria fu in particolare quasi continuati- 316 Sulla successione del marchesato dei Paleolo- vamente conferita a liguri, come i savonesi Pavese; gi B.A. Raviola, Il Monferrato gonzaghesco. Istituzioni cfr. P. Merlin, Tra guerre e tornei. La corte sabauda nell’e- ed élites di un micro-stato (1536-1708), Firenze 2003, in tà di Carlo Emanuele I, Torino 1991, pp. 77-81. part. p. 22. 335 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Monesiglio, 317 P. Merlin, Una nobiltà di frontiera: la feudalità 1, fasc. 1-3. monferrina e il governo gonzaghesco, in Stefano Guazzo 336 Si vedano gli atti relativi in ASTo, Corte, Provin- cit., pp. 89-90; B.A. Raviola, Servitori bifronti. La nobiltà ce, Mondovì, mm. 6 (Saliceto-Bagnasco) e 7 (Bagna- del Monferrato fra Casale, Mantova e Torino, in L’affer- sco). marsi della corte sabauda. Dinastie, poteri, élites in Pie- 337 Pio, Cronistoria cit., p. 147, nota 1. monte e Savoia fra tardo medioevo e prima età moderna, a 338 ASTo, Corte, Materie politiche per rapporto all’E- cura di P. Bianchi, M.L. Gentile, Torino 2006, p. 485. stero, Materie d’Impero, Vicariato imperiale, m. 1; Di- 318 Il decreto, del 31 marzo 1533, è in ASMi, Feudi plomi imperiali, m. 16.2, fasc. 4. camerali, 691. 339 ASI, Del Carretto di Balestrino, cart. Marchesato 319 Raviola, Il Monferrato cit., pp. 104-105. di Zuccarello, 2, n. 1. 320 Gli atti della controversia tra il duca di Manto- 340 G. Claretta, Storia della reggenza di Cristina di va e i del Carretto di Finale per i feudi di Calizzano, Francia, duchessa di Savoia, II, Torino 1869, pp. 432-433. Carcare, Osiglia, Massimino e Pallare sono in ASMi, 341 ASTo, Corte, Riviera di Genova, Finale, m. 3, fasc. 3. Feudi imperiali, 251. 342 Nei capitoli matrimoniali stipulati nel 1604 321 Raviola, Il Monferrato cit., p. 104. tra Carlo Emanuele I e il duca Vincenzo Gonzaga 322 Alfonso Spinola era figlio di Francesco Spinola per le nozze dei rispettivi figli, un articolo segreto (nobile savonese imparentato con i Riario e fratello prevedeva che «conseguendo l’Altezza di Savoia del cardinale Agostino) e di Benedetta del Carretto, dalla Maestà dell’Imperatore o del Re Cattolico lo figlia del marchese Alfonso I. Su di lui cfr. Verzellino, Stato del Finale, quale per ragione ritiene dovergli Delle memorie cit. II, p. 101. appartenere, che in tal caso rimetterà al Sig. Duca 323 ASI, Del Carretto di Balestrino, segnatura 9.2.24, In- di Mantova il luogo e porto di Varigotti, insieme col vestiture imperiali per li feudi et il marchesato di Balestrino. territorio che unisce il detto luogo col Stato di Mon- 324 Nano, Spigno cit., p. 57. ferrato; et non potendo conseguire detto Varigotti, 325 Nel marzo 1448 il marchese Galeotto del Carretto darà altro luogo equivalente del medesimo Stato del fece omaggio al duca dei castelli di Murialdo, Giuste- Finale» (Traités publiques cit., I, p. 232). Sulle tratta- nice e due terzi di Stellanello e nell’aprile fece aderen- tive matrimoniali tra i due duchi cfr. Spagnoletti, Le za allo stesso per i castelli e il territorio del Finale (cfr. dinastie cit., pp. 217-218. ASTo, Corte, Riviera di Genova, Finale, m. 1, fasc. 9). 343 ASTo, Camera dei Conti, art. 687, Patenti came- 326 Lünig, Codex cit., III, coll. 566-568. rali, cap. I, reg. 19, cc. 309v-313.

82 saggi Riccardo Musso

344 In particolare, i deve ricordare Gerolamo del trecht inclusivement et sur les Preuves des leurs pretén- Carretto di Gorzegno, colonnello dell’esercito ducale sions particuliers, I, La Haye 1741, pp. 697-698. nel 1616, premiato per la sua fedeltà con una pensione 350 ASTo, Corte, Materie politiche per rapporto all’E- di 40 ducati al mese e con la naturalizzazione per sé e stero, Materie d’Impero, Investiture, m. 1, fasc. 24. i propri otto figli tra i quali Paolo Matteo, gentiluomo 351 Torre, Elites locali cit., p. 45. di camera del duca (Ibid., par. I, regg. 58 e 33, p. 29). 352 ASTo, Corte, Riviera di Genova, Savona, m. 1, 345 ASI, Del Carretto di Balestrino, Feudi imperiali, fasc. 17. 6, fasc. 8. 353 Musso, I feudi cit., pp. 115-116. 346 Il 16 agosto 1634 Ferdinando II riconobbe al 354 Nel 1666, alla morte senza discendenti maschi duca Vittorio Amedeo la legittimità degli acquisti fat- dei marchesi Valerio e Aleramo di Novello, la loro ti da alcuni dei condomini di Novello (Valerio, Ale- quota di signoria fu considerata come devoluta alla ramo, Zaccaria, Costantino, Carlo, Giulio Tommaso) Regia ducal Camera dello stato di Milano, in quanto il nonché il diritto di trattare con gli altri consignori feudo aderente e ne fu pertanto preso il possesso dal la cessione delle loro quote, trasferendogli quindi la podestà di Spigno, quale delegato della stessa (ASMi, superiorità media su questi feudi, salvi però i diritti Feudi imperiali, 1). di passaggio e di aderenza spettanti al re di Spagna 355 Il marchese Carlo Francesco di Novello fu arre- quale duca di Milano (cfr. ASTo, Corte, Materie politi- stato nel 1693 per ordine del duca per essersi rifiutato che per rapporto all’Estero, Materie d’Impero, Diplomi di giurargli fedeltà e morì in carcere in quello stesso imperiali, m. 22.1, fasc. 2). anno; la stessa sorte toccò al figlio Carlo Costanzo (ASI, 347 Lünig, Codex cit., I, coll. 2196-2199. Del Carretto di Balestrino, Feudi imperiali, 6, fasc. 8). 348 Su queste vicende cfr. Colombardo, Cengio cit., 356 Su questa vicenda cfr. Musso, I feudi cit., pp. 67- pp. 80-109. 78 e Raviola, Un complesso intreccio cit., pp. 189-198. 349 M. Rousset, Les interets presens des puissances de 357 Pio, Cronologia cit., pp. 170-171; Musso, I feudi l’Europe fondez sur les Traitéz conclus depuis la paiz d’U- cit., pp. 118-120.

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L’innovazione scientifica a supporto della ricerca storica Il caso di Ceva

Monica Volinia - Michele Cocca

La ricerca, condotta nell’ambito della tesi Alla carenza di fonti, si contrappone però di Laura magistrale1 di Michele Cocca, si è il rinvenimento di resti di fronti di epoca posta l’obiettivo di far luce sulle possibili medievale molto ben conservati a seguito modalità di sviluppo che hanno portato il di alcuni recenti interventi di restauro delle tessuto urbano di Ceva ad assumere l’attua- facciate del centro storico. Occorre conside- le consistenza e di redigere una cronotipo- rare che si ritiene che il periodo di prosperi- logia per individuare quali tipologie edilizie tà economica di questo centro si sia interrot- si sono succedute nell’abitato tra XIII e XIV to a partire dalla metà del XIV secolo senza secolo. Si è inoltre cercato di comprendere mai più riprendersi in modo significativo e con quali modalità la produzione edilizia ciò, teoricamente, dovrebbe essersi tradotto cebana tra XIII e XIV secolo avesse even- con il blocco dell’attività edificatoria. tualmente subito l’influenza dei caratteri Il ruolo ricoperto da questo centro tra XIII e morfologici provenienti da specifiche aree XIV secolo, ovvero di baricentro economico geografiche; questo centro urbano si trova, e amministrativo del territorio circostante, infatti, lungo un’importante direttrice com- avrebbe pertanto dovuto riflettersi sulla pro- merciale di collegamento tra i porti liguri e duzione edilizia; con la speranza che l’edifi- l’entroterra e all’epoca era sede stabile del cato di epoca medievale sia arrivato fino a marchesato di Ceva, che si ritiene avesse noi intatto, come cristallizzato, si è deciso di raggiunto l’apice economico e politico pro- ricorrere all’impiego di una tecnica d’inda- prio in questo periodo2. gine non distruttiva, la termografia all’infra- Il raggiungimento degli obiettivi della ri- rosso4, al fine di rilevare le tessiture murarie cerca è stato però ostacolato da una serie oltre lo strato intonaco. Questa tecnica di in- di fattori, tra cui soprattutto la carenza di dagine è stata scelta per le sue caratteristiche documentazione archivistica riguardante il di non invasività e di ripetibilità; nello speci- periodo di analisi: si evidenzia che i catasti fico l’analisi si è concentrata sulla ricerca di sabaudi e francesi sono oggi irreperibili. Si segnali termici utili a individuare la presen- tratta di una situazione documentaria che za di eventuali bucature tamponate, ritane, contraddistingue questo centro urbano e giunzioni, linee di discontinuità riconducibi- per questo motivo in passato non sono mai li all’epoca oggetto di approfondimento. stati prodotti studi specifici sul tema dell’ar- chitettura e dell’evoluzione urbanistica tra XIII e XIV secolo. Fino a oggi sono sta- Il metodo adottato te avanzate solo delle ipotesi di massima3, basate su una osservazione superficiale del Il metodo di lavoro è stato impostato sulla contesto urbano. raccolta di tutte le informazioni ritenute utili

«langhe, roero, monferrato. cultura materiale - società - territorio», anno vi, n. 11 (2015) - ISSN 2282-6173 L’innovazione scientifica a supporto della ricerca storia. Il caso di Ceva saggi

a risalire all’assetto e alle caratteristiche del- scaldamento attivo all’interno degli edifici. la Ceva medievale, anche a livello di ipote- Dal campione sono stati pertanto esclusi gli si avanzate in passato, insieme a tutti i dati edifici non riscaldati. archivistici, documentali e iconografici, pur- L’analisi del segnale rilevato ha evidenziato troppo però carenti. Unico elemento di ri- una tale ricchezza di informazioni che ha in- lievo è il rinvenimento, nell’archivio storico dotto il team di ricerca ad ampliare l’obietti- comunale, di una mappa del Borgo inferiore vo delle indagini: dai singoli edifici all’inte- a firma di Amedeo di Castellamonte, datata ro contesto urbano. 14 luglio 1673, la cui esistenza non era nota5. Si tratta di un tentativo inedito che ha dovu- In seguito si è passati al rilievo dei caratteri to coniugare le esigenze tecniche di prova morfologici riconducibili all’epoca medie- (effettuazione delle indagini in condizioni vale tuttora visibili all’interno del tessu- termiche confrontabili) al numero elevato to urbano che ha portato alla redazione di di campioni e pertanto è stato condotto in 106 schede relative ad altrettanti fronti del periodo estivo, quando è massimo il tempo centro storico. È stata quindi operata una di esposizione degli edifici all’irraggiamen- selezione che ha escluso gli edifici oggetto to solare. Il protocollo di prova che si adotta di trasformazioni rilevanti in epoche succes- in periodo estivo, detto in riflessione, per- sive, anche recenti. Sulla base del materiale mette di rilevare il segnale di superficie, ed ottenuto sono state programmate le campa- è vincolato alla condizione di cielo sereno. gne d’indagine termografica. La seconda campagna, condotta a fine lu- Si evidenzia che il risultato di un’ispezione glio, è stata pertanto programmata in base all’infrarosso consiste nell’interpretazione di alle condizioni di irraggiamento dei fronti dati che sono influenzati da un numero ele- nell’arco della giornata al fine di ispeziona- vato di fattori di tipo ambientale6. È pertanto re il numero massimo possibile di campioni buona norma prevedere l’effettuazione di nelle condizioni ottimali di rilievo. più campagne d’indagine in condizioni ter- Nelle due campagne sono stati indagati 67 miche diverse in modo da poter confrontare fronti. Si tratta di una enorme quantità di i dati acquisiti ed evitare di dare interpreta- dati, che di fatto consiste in materiale nuovo zioni errate del segnale rilevato. Si evidenzia che, in parte, sopperisce alla carenza delle inoltre che la temperatura rilevata, che è la fonti archivistiche. “fotografia termica” della superficie indaga- Si è evidenziato un numero elevato di so- ta, è indicativa dello stato dell’oggetto solo prelevazioni, tamponamenti e giunzioni che se questo è sottoposto a un adeguato flusso fornisce un’idea di quello che è stato il livel- termico; deve pertanto sussistere una fonte lo di conservazione dell’edificato medievale di calore, naturale o artificiale, tale da indur- durante l’epoca moderna e che è giunto fino lo. Per questo motivo a seconda del periodo a noi quasi intatto. di effettuazione delle indagini si applicano protocolli di prova differenti e di conseguen- za la selezione del campione da indagare ha La Platea Burgi superioris seguito criteri diversi. Nello specifico le ispezioni sono state con- Tra gli edifici indagati all’infrarosso, si illu- dotte nei periodi invernale ed estivo. strano, in questa sede, due casi studio i cui La prima campagna, effettuata ai primi di fronti si affacciano su piazza Vittorio Ema- marzo, è stata programmata con l’obiettivo nuele II, per evidenziare come questo tipo di di approfondire le tipologie edilizie in modo indagine si possa rivelare utile per approfon- puntuale. La tecnica di ripresa adottata, in dire temi architettonici e urbani; nello speci- trasmissione, permette di rilevare il segnale fico ha contribuito alla comprensione dello di massa, ed è vincolata alla presenza di ri- sviluppo della platea del Borgo superiore.

86 saggi Monica Volinia e Michele Cocca

Prima di trattare i due casi studio specifici 1855, raffigura nel dettaglio il lato setten- si ritiene utile fare un inquadramento sulle trionale della Piazza maggiore e ritrae il pa- conoscenze storiche di cui si dispone circa lazzo comunale ancora addossato a un’abi- questo spazio urbano e sulle testimonianze tazione privata, probabilmente già acquista materiali oggi visibili e riconducibili al pe- dall’amministrazione nel 1841. riodo bassomedievale. Si deduce dunque che la partizione tra le Va precisato che le uniche due piazze presen- due piazze, prima della costruzione del pa- ti oggi nel centro storico di Ceva sono piazza lazzo comunale, fosse costituita da struttu- Vittorio Emanuele II e piazza Gandolfi, en- re poco importanti, frutto di interventi di trambe situate a nord rispetto alla porticata epoca moderna; dunque è probabile che in via Marenco. La prima è nota anche come epoca medievale i due spazi costituissero Piazza maggiore in quanto è la più ampia; un’unica grande piazza. su questa si affacciano il palazzo municipale, Dovrebbe pertanto trattarsi della platea del la settecentesca chiesa di Santa Maria e Santa Borgo superiore, citata per la prima volta Caterina progettata dall’architetto Francesco negli statuti di Ceva del 135711: qui infatti è Gallo e il retro di palazzo Moretti, che ospi- dove venivano eseguite le condanne previ- tò Napoleone Bonaparte il 20 aprile 1796 e ste da alcuni capitoli. Nella platea era collo- papa Pio VII il 16 agosto 1809. cato il pozzo sulla cui pietra i commercianti Piazza Gandolfi in passato veniva chiama- dichiaravano fallimento sedendovi sopra ta semplicemente Piazzetta, in quanto la per tre volte con i pantaloni calati; il pozzo sua superficie è circa la metà rispetto alla era situato nell’angolo nord-ovest della at- Piazza maggiore. Questi due spazi sono se- tuale Piazza maggiore. parati esclusivamente dalla casa comunale, Non si hanno notizie circa lo sviluppo ur- completata nel 1860, ma la cui costruzione bano di Ceva e in particolare della platea del era incominciata già sotto il governo napo- Borgo superiore nel periodo basso medieva- leonico. Prima di questa era presente un’ala le in quanto gli storici locali si sono per lo mercatale, progettata nel 1789 dall’architet- più concentrati sulle vicende politiche e am- to Davico di Mondovì, che a sua volta era ministrative dell’epoca. L’arciprete Olivero addossata alla cappella di Santa Elisabetta si limita di affermare che tutte le strade e le e all’oratorio delle Umiliate. Questi ultimi piazze erano porticate e che le costruzioni si vennero però demoliti per dare spazio al sviluppavano fino a quattro-cinque piani12. municipio, mentre si ritiene che l’ala del Padre Giuseppe da Bra, dopo aver elencato mercato non sia stata abbattuta, ma incor- i resti materiali riconducibili al periodo me- porata nel nuovo edificio. dievale presenti nella piazza, sostiene che Alcuni importanti “istantanee” di questo questa era circondata da grandi archi e vi processo di trasformazione ci vengono for- erano palazzi alti con merlature rovesciate, nite dalle fonti iconografiche, in primis dal con finestre ad arco o bifore13. Theatrum Sabaudiae che raffigura i due spa- In linea generale, a livello di sviluppo urba- zi separati al centro solo dalla cappella di no, si ritiene che in seguito alla fondazione Santa Elisabetta e da un secondo piccolo del castrum aleramico sulla collina al centro fabbricato7. Nella veduta di Ceva del 17968 dell’abitato, verso la metà dell’XI secolo, vi e in una mappa francese dello stesso anno9, sia stato lo sviluppo del borgo nella pianura la cappella non è più indicata, ma viene ri- alluvionale alla base dello stesso, tra il fiu- portato genericamente un fabbricato. Un’ul- me Tanaro e il torrente Cevetta, a partire teriore fonte, molto più rappresentativa, dal XII-XIII secolo. Questo borgo si sarebbe consiste in un bozzetto preparatorio delle attestato lungo l’asse commerciale di colle- tavole raffiguranti Ceva dell’opera di Cle- gamento tra i porti liguri e l’entroterra, nella mente Rovere10. Il disegno, datato 31 agosto zona meridionale dell’attuale centro storico,

87 L’innovazione scientifica a supporto della ricerca storia. Il caso di Ceva saggi

nota come Valgelata (via Amedeo Derossi). nuele II al civico 1, all’angolo con via Roma La crescita economica dei secoli XIII e XIV (fig. 1). Consiste in un edificio di tre piani avrebbe visto un’espansione del borgo ver- fuori terra caratterizzato dalla presenza di so nord, andando via via a occupare l’inte- un sottopasso voltato su via Roma (fig. 2). ro spazio disponibile, con la realizzazione L’edificio è tuttora separato da quello adia- di una nuova strada commerciale porticata cente sulla destra attraverso una ritana; la co- (via Marenco) e della platea. struzione limitrofa è stata interessata da un Per quanto riguarda le tracce materiali all’in- recente intervento di restauro che ha rivelato terno della platea del Borgo superiore, nel la presenza di resti molto ben conservati di corso degli ultimi anni, alcuni interventi di una cellula riconducibile al XIII secolo. ristrutturazione e di recupero delle facciate Il profilo della facciata oggetto di studio è hanno messo in evidenza numerosi elementi caratterizzato da un fronte aggettante, pre- risalenti all’epoca medievale. Sul lato meri- sente a partire dal primo piano, sorretto da dionale di piazza Vittorio Emanuele II nel una possente cornice che in corrisponden- 2011 è stata riportata alla luce gran parte di za della ritana è conclusa da un elemento una cellula duecentesca di tre piani con una in materiale lapideo (fig. 3). Va sottolineato loggia al primo piano, mentre sulla fine degli che, per quanto è possibile affermare oggi, anni novanta del secolo scorso erano emerse questo edificio è l’unico all’interno del cen- le tracce di tre cellule sul lato orientale. tro storico di Ceva a essere caratterizzato In piazza Gandolfi, sempre nel 2011, in oc- dalla presenza di questo particolare tipo di casione della ristrutturazione di un edificio, cornice; in tutti gli altri casi rilevati l’agget- sono state rinvenute alcune porzioni appar- to, di uno o più livelli, è sostenuto da archet- tenenti a due cellule quattrocentesche sul ti pensili di differenti tipologie. lato nord e in seguito due ghiere di aperture Il fronte di questo edificio è stato interessato a sesto acuto sul lato occidentale. da un intervento di ristrutturazione nel cor- so dell’estate del 2006 e in questa occasione sono stati riportati in vista alcuni elementi L’analisi termografica in piazza Vittorio- Ema riconducibili all’epoca medievale. Nel det- nuele II: i due casi studio taglio, a livello del primo piano è stata por- tata alla luce la parte sommitale di un arco Tra i numerosi campioni d’indagine si è scel- a sesto acuto caratterizzato dall’alternarsi to di presentare gli esiti relativi a due fronti di conci in arenaria e mattoni (fig. 4). All’e- prospicienti piazza Vittorio Emanuele II in stremità destra del secondo piano è stata quanto significativi per l’evoluzione urbana messa in evidenza una regolare muratura in della platea e per le caratteristiche architet- laterizio nella quale si identifica una ghiera, toniche emerse, talvolta uniche nel contesto anch’essa in laterizio, di un’apertura arcua- edilizio di riferimento. In particolare testi- ta (probabilmente a tutto sesto) sormontata moniano una struttura che i rilievi termo- da un bardellone liscio e impostata su una grafici hanno rivelato avere in passato una cornice marcadavanzale in pietra che in forma particolare (cfr. caso 1) e la presenza epoche successive è stata spicconata per es- di una cellula che fa riferimento a modelli sere livellata e portata a filo facciata (fig. 5). architettonici non tipici dell’area piemonte- Questi elementi forniscono, a priori rispetto se e su cui l’indagine ha fornito una serie di all’indagine all’infrarosso, una serie di in- nuove informazioni (cfr. caso 2)14. formazioni: questo edificio aveva raggiun- to l’attuale sviluppo verticale già in epoca 1. Caso 1, piazza Vittorio Emanuele II 1 medievale; probabilmente era costituito da Il primo caso studio è posizionato al centro una muratura di mattoni; al primo piano era del lato meridionale di piazza Vittorio Ema- presente una bucatura che per forma (a se-

88 saggi Monica Volinia e Michele Cocca

Fig. 1. Planimetria del centro storico di Ceva, i campioni oggetto di studio

sto acuto) e materiali (pietra e mattoni) era differente rispetto a quella del secondo pia- no (a tutto sesto e in mattoni). L’analisi termografica condotta sul prospet- to ha fornito informazioni suppletive: è stato evidenziato il segnale relativo alla presenza di una muratura caratterizzata dall’impie- go di materiale differenziato nella parte che sovrasta il cavalcavia su via Roma (fig. 6, punto 3). Si tratta probabilmente di una muratura a fasce composte da grossi bloc- chi in materiale lapideo disposti orizzon- talmente e alternati con laterizio. Un simile tipo di muratura si riscontra nelle mensole a sostegno delle strutture a sbalzo su strada all’interno del centro storico di Ceva dove è possibile osservarne a occhio nudo la loro conformazione, costituita dall’alternarsi di laterizio con grandi blocchi monolitici in pietra di forma rettangolare e disposti oriz- zontalmente in modo da riportare in asse in carico dello sbalzo ed evitare il ribaltamento della facciata (fig. 7). Sulla base della parti-

Fig. 2. Caso studio 1, piazza Vittorio Emanuele II 1

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Fig. 3. Caso studio 1, aggetto della facciata in corrispondenza del primo piano

Fig. 4. Caso studio 1, dettaglio della porzione di arco Fig. 5. Caso studio 1, cornice marcadavanzale spicco- a sesto acuto in arenaria e mattoni al primo piano nata e muratura di mattoni al secondo piano colare forma del segnale di temperatura rile- e la mensola di appoggio si sviluppava per vato si può perciò ipotizzare che si trattasse meno della metà del piano del piano terra e di una cellula dotata di uno sbalzo laterale non per un intero livello come nel caso ana- del secondo piano su via Roma e che questo lizzato. Non si esclude però che la partico- fosse sorretto da una mensola che interes- lare conformazione del segnale sia da attri- sava l’intero sviluppo del primo piano. Si buirsi a interventi che hanno compromesso tratta di un caso unico all’interno del tessu- l’integrità della tessitura muraria, piuttosto to urbano di Ceva, nel quale le cellule carat- che alla presenza di uno sbalzo laterale. terizzate da uno sbalzo avevano l’avanza- Il secondo aspetto emerso dalle indagini ter- mento del fronte a partire dal primo piano mografiche è la presenza a livello del primo

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Fig. 6. Caso studio 2, indagine termografica piano di due ampie bucature arcuate a sesto acuto binate (fig. 6, punto 4 e fig. 8), di cui quella sinistra corrisponde alla porzione di ghiera riportata alla luce durante l’interven- to del 2006. Le due aperture poggiavano su un sostegno centrale comune ed erano pro- babilmente impostate su una cornice mar- cadavanzale in materiale lapideo. Le analisi IR hanno rivelato trattarsi di due aperture le cui ghiere sono costituite da una serie di conci che presentano un segnale termico compatibile con la presenza di materiale la- pideo naturale e artificiale (probabilmente conci in arenaria – considerando la porzio- ne portata in vista – alternati in modo rego- lare a porzioni in laterizio). Dalle indagini termografiche condotte sul campione del tessuto edilizio di Ceva è emerso che solo questo fronte è caratterizzato da aperture di tale tipologia. A livello del secondo piano è stata rilevata la presenza di un elemento orizzontale in materiale lapideo riconducibile alla corni- ce marca davanzale (fig. 6, punto 2), poiché questo si trova alla stessa quota delle por- zioni di cornice picchettata riportata in vi- sta sulla destra della facciata (fig. 5). Nella porzione a sbalzo della facciata, impostata sulla sopracitata cornice è inoltre emersa la possibile presenza di un’apertura tampo- nata, arcuata a tutto sesto (fig. 6, punto 1). Nonostante le indagini siano state ripetute Fig. 7. Mensola a sostegno della facciata, via Amedeo in condizioni ambientali diverse nell’arco Derossi 27

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della stessa giornata, non è stato possibile dal 1203 (come documenta l’atto rogato in correlare in modo inequivocabile il segnale Ceva, nel palazzo di Guglielmo marchese rilevato alla presenza di un tamponamento di Ceva15, e pochi anni dopo, nel 1213, l’atto di un’apertura, poiché non è mai stata indi- rogato nel palazzo con lobia nuova di pro- viduata la presenza della ghiera. L’analisi prietà del medesimo Guglielmo16). del segnale ha rivelato che a questo livello, Questo edificio viene ricondotto per tra- contrariamente a quanto accade per il pri- dizione alla famiglia Gioggia/Geogiae per mo piano, è presente un intonaco dal com- l’emblema in pietra presente poco sopra la portamento termico tale da non consentire chiave d’arco del sovrappasso stradale17, la lettura della tessitura muraria; inoltre la ma anche per un documento del 1419 («in presenza delle imposte aperte al secondo platea Burgi superioris ante domum here- piano non ha permesso di indagare in modo dum Manfredini Geogiae»)18 che posiziona completo l’intera superficie del fronte. dunque la proprietà dei membri di questa In corrispondenza della cornice di sostegno famiglia nella piazza. dell’aggetto del primo piano l’indagine IR Alla luce di dati desunti dall’indagine ter- ha rilevato un segnale non uniforme ricon- mografica è ipotizzabile che questa cellula ducibile all’utilizzo di materiale differen- corrisponda al locum ubi ius redditur di pro- ziato (fig. 6 punto 5), ed è dunque possibile prietà di due membri di questa famiglia ipotizzare che la cornice sia costituita da una nel 1351 (senza specificarne l’ubicazione) 19 serie di elementi, forse in laterizio, ai qua- e coincida con il locum iustitiae20, ovvero il li sono interposti con cadenza regolare dei tribunale, al quale si fa riferimento negli sta- conci in materiale lapideo, presumibilmente tuti del 1357. della stessa conformazione di quello visibile Nell’ambito dei caratteri tipologici il model- all’estremità destra della facciata (fig. 3). lo di riferimento delle aperture del primo L’indagine termografica ha confermato l’i- piano è chiaramente quello astigiano21, che potesi secondo la quale ai due livelli fossero ha caratterizzato in modo evidente la pro- presenti due tipologie di aperture diverse duzione edilizia duecentesca di questa città tra loro (fig. 9). Una simile conformazione e che ha trovato numerose applicazioni in delle aperture (ampie al primo piano e di altri centri del Piemonte, come sulla Piazza dimensioni più ridotte al secondo) si può vecchia di Savigliano (oggi piazza Santaro- osservare anche nella cellula adiacente sulla sa). destra, all’interno di un edificio ristruttura- Ad Asti, dove il modello è nato, il mate- to nel 2010 e noto come palazzo dello Zodia- riale lapideo da interporre tra i laterizi era co (fig. 10). un’arenaria bianca che creava un evidente La presenza di aperture molto ampie al contrasto con il colore dei mattoni mentre al primo livello è riconducibile a dei locali di primo piano del fronte oggetto di studio, su uso pubblico o destinati a un utilizzo solo quella che poi si è rivelata essere la cuspi- parzialmente residenziale, mentre al secon- de della bucatura sinistra, si può osservare do livello è ipotizzabile che vi fossero degli che il tipo di pietra utilizzata sia invece la ambienti a uso domestico, che giustifica le tipica arenaria cebana, di color grigio sab- aperture di dimensioni più ridotte e la pre- bia. Nell’ambito delle decorazioni murarie senza, nel caso dell’adiacente palazzo dello rilevate a Ceva, il modello astigiano verrà Zodiaco, di finestre di cortesia per lo smal- ripreso anche come decorazione pittorica timento dei fumi dei bracieri, assenti invece dei laterizi, colorati di bianco per simula- al primo piano. re le ghiere astigiane. Un simile comporta- L’edificio oggetto di analisi rientra perciò mento è forse conseguenza del fatto che il nella casistica dei palacia, che dalle fonti contrasto tra i colori ottenibile con la pietra documentali sappiamo esistere a Ceva già cebana era relativamente modesto, al pun-

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Fig. 8. Caso studio 1, immagine termografica del primo piano, bucature arcuate a sesto acuto tamponate to che probabilmente si preferì evitare la e il profilo del fronte principale aggettante a realizzazione di ghiere con l’inserimento di partire dal primo piano sorretto da una cor- materiale lapideo (più costose e dal risultato nice di chiara derivazione ligure. poco soddisfacente) costruendole invece in mattoni e successivamente dipingere i conci 2. Caso 2, piazza Vittorio Emanuele II 8 bianchi come rilevato anche su alcune cellu- Il secondo caso studio si trova, come il pre- le architettonicamente molto ricche (si veda, cedente, sul lato meridionale di piazza Vit- per esempio, il palazzo dello Zodiaco). torio Emanuele II, nell’angolo sud-occiden- Per quanto riguarda la datazione, basandosi tale della piazza al civico 8 (fig. 1). Questa esclusivamente sulle ghiere, confrontando- cellula è l’unica all’interno del tessuto ur- le con quelle di Asti, è possibile ricondurle bano di Ceva a essere dotata di uno sbalzo a una produzione duecentesca22, con una sull’affaccio principale e di architetti pensili sostanziale differenza: si tratta di aperture ad avanzamento progressivo (fig. 11). L’o- arcuate a sesto acuto mentre gli esempi asti- rigine medievale di questa struttura è pale- giani sono perlopiù a tutto sesto, con l’ec- se, considerando il gran numero di caratteri cezione dei portali. Considerando le altre tipici di quest’epoca visibili a occhio nudo, caratteristiche delle aperture del secondo perciò l’indagine termografia ha avuto lo piano, come le ghiere in laterizio con bardel- scopo di ricercare ulteriori aspetti nascosti, lone liscio e la presenza di cornici marcada- nell’ipotesi che le strutture murarie ricon- vanzale in arenaria, è possibile far risalire la ducibili all’epoca di fondazione siano rima- cellula alla metà del Duecento. ste pressoché inalterate. A livello morfologico, oltre alla forma parti- Analizzando nel dettaglio il fronte, emerge colare, questa cellula rimane un caso unico come la cellula abbia mantenuto solo par- in quanto in essa coesistono caratteri tipica- zialmente lo sbalzo della facciata del primo mente piemontesi, come le ghiere astigiane, piano rispetto al piano terra, che è tuttora

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Fig. 9. Caso studio 1, ipotesi di ricostruzione del sistema delle bucature visibile solo sul lato destro, mentre la por- verso l’esterno del profilo della facciata, so- zione rimanente è stata in seguito tampo- stenuto da due sequenze di archetti pensili. nata portando a terra la proiezione dell’ag- Analizzando le cornici nel dettaglio emerge getto, anche se non è da escludere che la che gli archetti pensili del secondo piano struttura sia nata con questa conformazione sono a sesto leggermente acuto e ricoperti da specifica. La parte a sbalzo è sostenuta da uno strato di intonaco sul quale sono anco- una mensola in materiale lapideo costituita ra visibili i resti di una decorazione pittorica da tre elementi in pietra di importanti di- bicromatica tipicamente ligure, unico caso mensioni, sovrapposti e scolpiti (fig. 12). Si in tutto il centro di Ceva dove vi sia la com- tratta dell’unica mensola a sostegno di uno presenza di decorazione pittorica e archetti sbalzo composta interamente da materiale pensili (fig. 13). Gli archetti sono sostenuti lapideo e dal profilo sagomato riscontrata da piccole mensole trapezoidali che sono si- all’interno del tessuto urbano di Ceva, poi- mili a quelle a sostegno di archetti prefabbri- ché in tutti gli altri casi rilevati le mensole cati in cotto, a differenza della maggior parte hanno la forma di un triangolo rettangolo e di quelle rilevate a Ceva che sono in mate- sono realizzate da blocchi monolitici in pie- riale lapideo e di dimensioni maggiori. La tra alternati a corsi di mattoni. sequenza degli archetti era a sua volta sor- Ai piani superiori si osserva una serie di tre montata da una cornice lineare in cotto, della cornici marcadavanzale di diversa fattura. quale è rimasta visibile solo qualche traccia. Nello specifico a livello del primo piano è Al terzo piano la facciata è sostenuta da una presente una cornice lineare in materiale la- sequenza di archetti pensili trilobati (unica pideo che non va ad alterare il profilo della applicazione di questa tipologia all’interno facciata, mentre al secondo e al terzo piano del tessuto edilizio di Ceva), probabilmen- alle cornici corrisponde un avanzamento te prefabbricati, sormontati da una cornice

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Fig. 10. Palazzo dello Zodiaco, piazza Vittorio Emanuele II 3 lineare in cotto della quale è possibile osser- vare alcune tracce verso le due estremità del prospetto (fig. 14). Le mensole degli archetti di questo livello non hanno nulla in comune con quelle del piano inferiore, né per forma né per dimensioni. L’analisi del segnale infrarosso acquisito su questo fronte ha evidenziato una disu- niformità del comportamento termico della facciata, forse riconducibile all’impiego di una muratura di tipo misto (anche se non si esclude l’utilizzo di mattoni ferrioli) nella quale la concentrazione di materiale lapideo naturale decresce con lo sviluppo verticale della facciata lasciando sempre più spazio al laterizio (fig. 15). Si tratta di un dato fonda- mentale in quanto indica che molto proba- bilmente il fronte era ricoperto da uno strato di intonaco fin dalla sua origine, a testimo- nianza che nel Trecento la produzione edili- zia cebana non era completamene monopo- lizzata dalle facciate in cotto a vista.

Fig. 11. Caso studio 2, piazza Vittorio Emanuele II 8

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Una costruzione edificata con questo cri- terio è il campanile della cattedrale di San Michele di Albenga (gli ultimi tre livelli) la cui realizzazione risale all’ultimo decennio del Trecento (1392-1398)23. Il legame di que- sta cellula con l’area ligure è ulteriormente sottolineato dalla decorazione bicromatica, i cui resti si osservano sugli archetti del se- condo piano. L’arrivo a Ceva di una moda- lità costruttiva presente ad Albenga è facil- mente giustificabile dalla posizione di Ceva lungo l’asse di collegamento con i porti del- la Riviera di Ponente. Un secondo elemento utile alla datazione sono gli archetti trilobati del terzo piano che hanno una forma relativamente semplice, simile a quella degli archetti pensili prefab- bricati dei primi decenni del Trecento. Tali archetti (trilobati semplici), a differenza di Ceva, sono molto diffusi in altri insedia- menti; l’intervallo di utilizzo è relativamen- te ampio, dalla fine del Duecento (Alba)24 fino al tardo Trecento (Asti25, Genova) con una maggiore articolazione degli stampi Fig. 12. Caso studio 2, mensola a sbalzo in pietra con il procedere del tempo. La stessa datazione (primi del Trecento) po- Nell’ambito delle aperture, a livello del pri- trebbe essere attribuita anche agli archetti mo piano l’analisi del segnale ha evidenzia- del piano inferiore. to la presenza di una nicchia o di una picco- Sommando i dati raccolti è possibile ricon- la apertura tamponata, riconducibile a una durre questa cellula alla prima metà del finestra di cortesia per lo smaltimento dei Trecento e tale datazione testimonia come fumi dei bracieri, anche se non sono state la tipologia delle cellule a sbalzo su mensole osservate alcune tracce riconducibili a una sia rimasta in uso a Ceva per un intervallo ghiera di coronamento (fig. 15, punto 5). di tempo che va oltre la normale periodiz- Al secondo piano l’indagine ha rivelato zazione, che vede sparire questa tipologia la presenza di due aperture costituite da di costruzioni nel corso del Duecento. Per ghiere di mattoni a tutto sesto in una delle esempio ad Asti, una delle città piemonte- quali si intravvede la traccia di una bifora. si più importanti nel XIII secolo, non se ne Le aperture hanno subito pesanti rimaneg- osserva nessun esempio e lo stesso vale per giamenti tra cui è evidente l’inserimento di Alba o Savigliano. piattabande in laterizio (fig. 15, punto 1). In funzione della datazione attribuita, Inoltre l’analisi ha rilevato che gli archetti dall’indagine termografica di questo fronte pensili del secondo piano sono in mattoni. ci si aspettava di rilevare una muratura in Basandosi esclusivamente sulla tipologia mattoni e, eventualmente, i resti di aperture della facciata, ad avanzamento progressivo, arcuate a sesto acuto in linea con i modelli e sulle tipologie di archetti pensili, è già pos- liguri che hanno chiaramente influenzato la sibile avanzare una ipotesi di datazione di costruzione di questa cellula. Al contrario è questa cellula. stata rilevata una presumibile muratura di

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Fig. 13. Caso studio 2, archetti pensili del primo piano tipo misto e aperture a tutto sesto. Questi processo di sviluppo e delle trasformazioni elementi contribuiscono a delineare un qua- alla quale è stata sottoposta la platea tra XIII dro complesso che vede l’incontro di carat- e XIV secolo. teri morfologici provenienti da aree e epo- Dal punto di vista dello sviluppo urbano, i che diverse all’interno della stessa struttura. due fronti dimostrano chiaramente come la In questa cellula della metà del Trecento si costruzione del lato meridionale della platea osservano elementi tipicamente liguri, come del Borgo superiore sia il risultato di un pro- la decorazione bicromatica e la facciata dal cesso edificatorio lento, durato non meno di profilo ad avanzamento progressivo, e allo un secolo. A sua volta, dal lavoro di ricerca stesso tempo aperture a tutto sesto lega- condotto su tutta la piazza emerge che i pri- te alla tradizione piemontese duecentesca, mi interventi edificatori hanno interessato il senza considerare il fatto che si tratta di una lato meridionale e sono contestuali all’epoca cellula a sbalzo su mensole che fa riferimen- di costruzione di via Marenco (metà del XIII to a un modello costruttivo nato nel XII se- secolo), mentre quelli più tardi riguardano colo; perciò non è da escludere che si tratti di il fronte settentrionale e sono databili come un caso di «modo di costruire tradizionale» metà del XIV secolo. già rilevato su alcune cellule a Savigliano26. A livello funzionale la presenza di una pla- tea all’interno di un tessuto urbano che nasce da chiare esigenze commerciali sviluppate Conclusioni, spunti di riflessione sullo sviluppo lungo un determinato asse stradale che non urbano e sull’architettura della platea interessa la piazza stessa, è una particolarità degna di nota. Infatti l’attuale via Marenco a L’analisi IR di questi due fronti contribui- partire dalla metà del XIII secolo si doveva sce, in modo altrimenti non possibile con al- già presentare come uno spazio altamente tre tecniche diagnostiche, alla comprensio- specializzato e attrezzato per soddisfare le ne delle possibili ragioni di fondazione, del esigenze legate all’attività commerciale. Si

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Fig. 14. Caso studio 2, archetti pensili trilobati del secondo piano trattava perciò di una platea sviluppata ad hoc palacia, ovvero il primo caso studio e l’adia- per andare incontro alle esigenze mercatali cente palazzo dello Zodiaco; infatti non è del borgo, in sostituzione di quella preceden- da escludere che funzioni molto diverse tra te, a sud dell’abitato, lungo l’asse stradale loro a un certo punto abbiamo avuto la ne- primitivo nella attuale via Derossi, divenu- cessità di disporre di propri spazi separati, ta inadatta accogliere le attività commerciali con una zona prettamente destinata al com- della metà del XIII secolo e che probabilmen- mercio e un’altra all’amministrazione pub- te in seguito mantenne un assetto puramen- blica e alla politica. te funzionale di attraversamento viario. Lo Nessun luogo era migliore come la parte sdoppiamento funzionale tra strada com- settentrionale della bassa pianura alluvio- merciale e strada di attraversamento è una nale, un ampio spazio vuoto che non inter- ipotesi verosimile e già dimostrata in altri feriva con i flussi mercatali, in diretta con- contesti come a Giaveno, Caselle e Priero27. trapposizione alla collina del castrum, sede Il nodo da sciogliere a Ceva era la compre- rappresentativa del potere marchionale, il senza di due platee: via Marenco dalla forma quale però doveva aver imposto su di esso allungata tipica degli insediamenti su base una qualche forma di controllo, anche solo commerciale (che ritroviamo per esempio a visivo. Dall’analisi della lottizzazione e de- Cuneo) e lo spazio delle due attuali piazze gli accessi originali alle due piazze è emerso (Piazza Vittorio Emanuele II e Piazza Gan- un particolare collegamento tra quello che dolfi) che ritroviamo nei borghi che aveva- era il centro della platea e l’attuale cosiddet- no una base economica legata all’attività to Castello rosso di proprietà dei marchesi agricola (per esempio Savigliano). Pallavicino. Si tratta di via Giorgio II, un vi- Dunque a Ceva si devono essere presentate colo chiuso in epoca recente che metteva in particolari esigenze tali per cui si sia mani- comunicazione la piazza con via Pallavicino festata la necessità di disporre di entrambi all’altezza della piazzetta di fronte al teatro gli spazi. Un indizio utile ci è dato dalla pre- Marenco. Il percorso proseguiva inerpican- senza delle due cellule riconducibili a due dosi ulteriormente sulla collina con un varco

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Fig. 15. Caso studio 2, indagine termografica tra le case fino a intercettare la ripida salita Infatti, a causa della sua posizione sulla al Castello. Il passaggio è documentato nella collina, il castrum, verso la seconda metà mappa francese del 1796 ed è indicato come del XIII secolo non disponeva di un pro- un pendio inverdito tra le case. Osservando prio spazio di proiezione diretta del potere con attenzione una qualsiasi planimetria si sull’abitato, fisicamente non esisteva una può notare come questo passaggio potesse platea castri. L’espansione dell’abitato verso generasse una sorta di cono ottico incen- nord è allora forse da vedersi come un’o- trato sulla odierna Sala delle colonne del pera programmata da parte dei marchesi Castello rosso, una grande caminata, proba- di Ceva, al fine di consolidare la propria bilmente uno dei pochi ambienti del com- posizione con la fondazione di una piazza plesso del castrum aleramico conservati. Si del castello all’interno del borgo, con un trattava perciò di una sorta di “occhio” del forte collegamento visivo con il castrum che castello che proiettava il potere marchiona- lo dominava dall’alto. Questa modalità di le sulla platea. Non è neppure da escludere intervento, con un confronto dialettico tra i un collegamento visivo diretto tra le strut- simboli del potere, è già stata rilevata negli ture più antiche del castrum (con eventua- interventi di rifondazione o ampliamento le torre), poste sulla sommità della collina di matrice signorile per consolidare il po- e non più esistenti. Benché oggi da piazza tere in seguito a passaggi di mano a partire Vittorio Emanuele II non sia possibile vede- dalla metà del XIII secolo, come per esem- re la collina (se non la chioma degli alberi pio a Pontestura e Chivasso28. spostandosi sul lato orientale della piazza) Dunque su quella che sarebbe dovuta di- bisogna considerare come nel XIV secolo gli ventare la platea castri incominciarono ad edifici posti sul lato occidentale della platea allinearsi le varie curie di proprietà delle fossero almeno un piano più bassi di quelli famiglie più facoltose, tra le quali prese- attuali, così come dimostrato dall’indagine ro posto anche quelle di origine marchio- termografica, che ha evidenziato numerose nale (non è da escludere che gli esponenti sopraelevazioni. più ricchi e facoltosi avessero, verso la fine

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del XIII secolo, il loro personale “ufficio” Per questo motivo nel corso del XIV secolo amministrativo nell’abitato). non si osserva la costruzione di edifici a desti- Questa ipotesi circa le originali motivazioni nazione pubblica e i vuoti della platea vengo- sulla fondazione di questo spazio è ulterior- no completati con cellule a destinazione com- mente avvalorata dalla presenza del locum merciale al piano terra e residenziali a quelli iustistiae, ovvero il tribunale, individuato nel superiori. La presenza di numerose cellule primo caso studio dall’analisi documentale edilizie residenziali trecentesche (tipo il caso in associazione con l’indagine termografica. 2) dimostra un palese tentativo di conversione Il luogo dove si esercitava la giustizia era funzionale di questo spazio, da piazza politi- proprio uno dei poli del potere sui quali l’au- ca a platea commerciale secondaria e aggiunti- torità marchionale cercava di esercitare una va rispetto a quella principale (via Marenco). sorta di controllo. Nonostante si sia parlato Anche con questo cambio di destinazione d’u- di “fondazione” non è da escludere che la so la piazza non raggiunge la maturità, forse forma della platea sia figlia di tracciati di per- per via della sua posizione commercialmente corsi già esistenti che sono stati mantenuti, sfavorevole, leggermente scartata dal traffico; sagomando in parte questo neonato spazio. di conseguenza la piazza mantiene un peri- Finora sono state chiarite le motivazioni fun- metro irregolare, probabilmente perché poco zionali che hanno portato alla realizzazione tutelata nel decoro o perché alcuni fronti ri- di questa platea, ma bisogna ancora capire mangono arretrati senza generare portici in per quale ragione questo spazio è stato com- quanto ritenuti poco convenienti. pletato più di un secolo dopo i primi inter- In conclusione i due esempi presentati han- venti e dunque perché le curie duecentesche no fornito un notevole contributo al fine di (caso 1) coesistano con edifici residenziali di comprendere modalità e tempistiche del metà Trecento (caso 2) morfologicamente e processo di sviluppo della platea del Borgo funzionalmente lontani tra loro. superiore, colmando la carenza delle fonti. Facendo un rapido riepilogo, dalle analisi Ne è emerso un quadro mutevole nel bre- condotte su tutto l’edificato, all’epoca della ve periodo, ma soprattutto si è evidenzia- fondazione dell’antico borgo commerciale to come le variazioni funzionali o l’assetto nel XII secolo il potere era evidentemente gestionale possa riflettersi sulla produzione ancora gestito dal centro e le funzioni pub- edilizia portando a profonde variazioni del- bliche erano concentrate sulla collina del ca- le caratteristiche dell’edificato. strum (infatti non sono stati rilevati edifici Per quanto riguarda l’architettura basso me- con funzioni pubbliche lungo il primitivo dievale cebana i due casi che sono stati svi- asse commerciale). luppati indicano dunque come l’edilizia di All’epoca del primo ampliamento (via Ma- Ceva abbia una stratigrafia complessa, nel cui renco e inaugurazione del lato meridionale quadro si fa piuttosto evidente la tendenza a di piazza Vittorio Emanuele II), che interes- riplasmare i modelli provenienti da diverse sa la seconda metà del XIII secolo, si assiste aree geografiche. Ancora una volta, dunque, a una sorta di condivisione del potere che oltre all’evidente utilità pratica della specifica vede la costruzione di numerose logge pub- tecnica di indagine, appare opportuno sotto- bliche riconducibili alle famiglie più potenti. lineare l’urgenza di avviare campagne di co- Nel terzo periodo, quello trecentesco, si assi- noscenza del patrimonio edilizio cosiddetto ste al completamento della piazza (lato nord) “minore” di ampia portata, onde evitare di e l’espansione al Borgo inferiore; il potere continuare a cadere nel fraintendimento di tornava a concentrarsi, probabilmente, nelle considerare tout court “medievali” edifici e ar- mani dei marchesi (in questo periodo il ramo chitetture non solo scalati nel tempo con inter- di Giorgio II detiene saldamente il potere, valli talvolta secolari, ma che paiono frutto di senza condividerlo con il resto della famiglia). complesse e mutevoli rielaborazioni culturali.

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1 M. Cocca, Ceva nel basso medioevo. Analisi e ipote- Piémontaise appuyé au / Fort de Ceva / attaqué par l’Armée si ricostruttive dell’assetto urbano e dell’architettura con il Française le / 30 Germinal an 4 (17 avril 1796 V.S.) et / contributo della T IR, rell. C. Cuneo, E. Lusso, M. Voli- abandonné la même nuit). nia, Tesi di Laurea magistrale in Architettura per l’am- 10 C. Rovere, Il Piemonte antico e moderno delineato e biente costruito, Politecnico di Torino, a.a. 2011-2012. descritto, Savigliano 2002, p. 540, n. 1775, Ceva-Piazza 2 G. Olivero, Memorie storiche della città e del Mar- Maggiore, 31 agosto 1855. chesato di Ceva, Torino 1858. 11 ASTo, Corte, Provincia di Mondovì, Ceva e mar- 3 G. Brino, G. Palma, G. Scazzino, F. Zoppi, Appunti chesato, m. 48, Statuta Cevae, Taurini 1586. sul colore e sull’arredo urbano di Ceva, Fossano 1984. 12 Olivero, Memorie storiche cit., p. 20. 4 La termografia all’infrarosso è una tecnica di in- 13 G. da Bra, Ceva in tutti i tempi, Cuneo 1952, p. 165. dagine non distruttiva e non invasiva che opera sulle 14 Le immagini termografiche riportate in questo superfici senza contatto e rileva l’energia emessa dai testo sono di proprietà del Laboratorio di Restauro del corpi nella banda dell’infrarosso. L’impiego di una Politecnico di Torino e sono state prodotte esclusiva- termocamera consente l’acquisizione di immagini mente ai fini di questa specifica ricerca; di conseguenza termiche degli oggetti inquadrati, ossia di mappe di un qualsiasi utilizzo da parte di terzi per usi diversi dai temperatura degli ambienti in esame (termogrammi), quali per cui sono state realizzate, senza una specifica che vengono convertite in immagini in falsi colori nel- autorizzazione rilasciata dal Laboratorio di Restauro le quali a ogni intervallo di temperatura è associato un del Politecnico di Torino, è perseguibile per legge. colore. La temperatura rilevata è indicativa dello stato 15 A. Ferro, Ceva e la sua zona, Vicoforte 2001, p. 214. dell’oggetto solo se questo è sottoposto a un adegua- 16 Ibid., p. 217. to flusso termico. La termografia infrarossa permette 17 Si tratta dello stemma della famiglia Ceva (scu- tra l’altro di valutare la presenza e la localizzazione di do a sei fasce orizzontali) con una fascia trasversale eventuali strutture nascoste, consente la visualizzazio- con incise tre «G». ne della tessitura muraria e la definizione del quadro 18 Olivero, Memorie storiche cit., p. 74. fessurativo. Le discontinuità e le regioni che presenta- 19 Il Liber instrumentorum del Comune di Ceva, a cura no anomalie sono localizzate attraverso l’analisi delle di G. Barelli, Torino 1936 (Biblioteca della Società Sto- differenze di segnale termico che, a parità di sollecita- rica Subalpina, 147/1), pp. 7-9. zione termica, presentano diverse temperature in fun- 20 Olivero, Memorie storiche cit., p. 74. zione delle caratteristiche fisiche dei materiali. Even- 21 G. Bera, Asti. Edifici e palazzi nel Medioevo, Asti- tuali disuniformità di temperatura possono indicare Savigliano 2004, p. 570. pertanto anomalie o discontinuità anche non rilevabili 22 Ibid. mediante un’analisi visiva diretta. 23 F. Cervini, Liguria romanica, Milano 2002, p. 56. 5 Archivio Storico del Comune di Ceva (di seguito 24 Una città nel Medioevo, archeologia e architettura ad ASCCeva), serie VII, Liti, fald. 156. Alba dal VI al XV secolo, a cura di E. Micheletto, Alba 1999. 6 Quali: temperatura dell’aria, umidità relativa, ve- 25 Bera, Asti cit., p. 562. locità del vento e intensità dell’irraggiamento solare. 26 P. Chierici, G. Donato, E. Micheletto, “Piazza 7 Ceva, civica antiqua. Marchionatus eiusdem nomis Vecchia” a Savigliano, fonti materiali per una storia delle caput, in Theatrum statuum regiae celsitudunis Sabadiae trasformazioni edilizie, in Case e torri medievali, Atti del II ducis, Pedemontii principis, Cypri regis, II, Amsterdam Convegno di Studi «Le città e le case. Tessuti urbani, 1682, tav. 111. domus, e case-torri nell’Italia Comunale (secc. XI-XV)» 8 La città di Ceva nel Piamonte, olio su tela, Ceva, (Città della Pieve, 11-12 dicembre 1992), a cura di E. Palazzo di Città, Sala vecchia del Consiglio comunale. De Minicis, E. Guidoni, I, Roma 1996, p. 37. 9 Archivio di Stato di Torino (di seguito ASTo), 27 E. Lusso, Forme dell’insediamento e dell’architettura Ufficio Generale delle Finanze, Tipi sez. II, Ceva, mar- nel basso medioevo, La Morra 2010, p. 24. chesato, Ceva 23AI rosso (Camp retranché / de l’Armée 28 Ibid., p. 33.

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La Fede e le Opere. La Città di San più ampio progetto dedicato ai Santi sociali Giuseppe Benedetto Cottolengo tra piemontesi, «Uomini e donne di fede nel Ri- Settecento e Ottocento, a cura di Bia- sorgimento». Si tratta di un originale sguar- gio Conterno ed Emanuele Forzinetti, do sulla città tra il XVIII e il XIX secolo, con- Città di Bra, Bra 2014, pp. 80, ill. col. dotto dalla prospettiva di una famiglia di commercianti, artisti e santi, i Cottolengo, e di alcune figure di spicco dell’ambiente ec- clesiastico braidese. Scrive Biagio Conterno: «Dalle relazioni del convegno nacque un interessante e per certi aspetti inedito quadro storico-culturale de- gli anni cruciali per la crescita umana e cri- stiana del futuro Santo della carità, nel più generale contesto delle vicende piemontesi e nazionali che si apprestavano, non senza contraddizioni, a porre le premesse per l’u- nificazione sotto l’egida della monarchia sa- bauda. Traendo spunto dalla grande quan- tità di documenti consultati e da ulteriori percorsi di ricerca, il paziente lavoro degli autori è continuato nei tre anni successivi e si è concretizzato in questo volume, che mette a disposizione degli studiosi e dell’in- tera comunità un originale sguardo sulla nostra città, condotto dalla prospettiva di un’illustre famiglia di immigrati, ben presto radicatasi con ottimi risultati nel contesto economico e sociale, e di alcune figure di spicco dell’ambiente ecclesiastico». Tra le novità librarie dell’area braidese è da Partendo dall’arrivo a Bra dei fratelli Jean segnalare la pubblicazione del volume La Baptiste, Pierre e Joseph Couttolenc dal pic- Fede e le Opere. La Città di San Giuseppe Bene- colo comune dell’Alta Provenza di Saint- detto Cottolengo tra Settecento e Ottocento, cu- Pons, Maria Teresa Colombo ha tracciato un rato da Biagio Conterno ed Emanuele For- documentato e interessante confronto tra gli zinetti. Il volume contiene anche importanti elementi della cultura braidese e quelli dei contributi di suor Maria Teresa Colombo e luoghi di origine, senza tralasciare il ruolo di don Lino Piano, attuale superiore gene- delle scuole di carità e di alfabetizzazione rale della Piccola Casa e biografo del santo femminile in Piemonte. che ha tracciato una sintetica cronologia del- Emanuele Forzinetti si è invece occupato la vita del Cottolengo. della formazione braidese del santo, anche Il libro ha le sue origini nel convegno tenu- attraverso lo studio delle figure del teologo tosi in città nel 2011 e dedicato, in occasione Emanuele Amerano, priore di Sant’Andrea del 150° anniversario dell’Unità d’Italia al dal 1789 al 1841, e del teologo Guglielmo santo sociale bardese. Un’iniziativa orga- Audisio, nominato da Carlo Alberto preside nizzata con l’Associazione Vita Consacrata della Reale Accademia di Superga, istituto in Piemonte e Valle d’Aosta, la Piccola Casa di perfezionamento per ecclesiastici, lasciata della Divina Provvidenza e le comunità par- poi a metà Ottocento, dopo un duro scontro rocchiali della città di Bra, all’interno di un con lo stato sabaudo, per recarsi a insegnare

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presso la Pontificia Università della Sapien- gure e momenti storici della città, nella quale za di Roma. La ricostruzione del contesto in s’intrecciano vita spirituale e carità sociale. cui visse Giuseppe Benedetto Cottolengo di- venta l’occasione per rievocare e scoprire fi- Francesco Panero

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Riviste per la storia del territorio rassegna a cura di Enrico Lusso

Bollettino della Società per gli Studi rum della curia di Teodoro I Paleologo (1323- Storici, Archeologici ed Artistici della 1325), pp. 59-136; A. Oliveri, Un inedito sta- Provincia di Cuneo tuto per il plebanato di «Castrum Turris» ema- Semestrale, numero 151, fascicolo II, 2° se- nato dal visitatore Eusebio da Tronzano, vicario mestre 2014, Cuneo 2014. Contiene Guida al del vescovo di Vercelli Uberto Avogadro (luglio Museo della civiltà cavalleresca. Il Marchesato 1319), pp. 171-188; A. Fiore, Dal prestito al di Saluzzo e l’Europa. feudo. Percorsi di affermazione signorile nel Pie- monte meridionale nel Trecento, pp. 189-225. Bollettino della Società per gli Studi Storici, Archeologici ed Artistici della Monferrato arte e storia. Provincia di Cuneo Associazione Casalese Arte e Storia Semestrale, numero 152, fascicolo I, 1° se- Semestrale, anno 26, dicembre 2014, mestre 2015, Cuneo 2015. Contiene Devo- 2014. zioni nel mondo alpino. In evidenza: In evidenza: F. Romanoni, «Intrare vel exire non poterant G. Coccoluto, Sulle dipendenze delle abbazie nisi aves». L’assedio di Casale del 1370, pp. 15- di San Dalmazzo di Pedona e di San Costanzo, 26; B. Ferrero, «Extensis mensis in quodam pp. 9-40. prato…». Sei lettere inedite del marchese Teo- doro II di Monferrato e dei suoi familiari (1409- 1417), pp. 37-56; C. Aletto, A. Angelino, Bollettino storico-bibliografico subalpino Presiliano, ossia San Nicolao, ossia Pastrona. Semestrale, numero CXII, 2° semestre 2014, Toponimi e stratificazione cronologica, pp. 57- Torino 2014. 74; L. Fois, Il monastero di Sant’Ambrogio e In evidenza: Paciliano tra XIII e XIV secolo. Alcune note e G.G. Fissore, La strategia documentaria di un nuovi documenti, pp. 75-113; A. Perin, C. So- comune al tramonto: Asti al tempo di Enrico larino, La donazione del palazzo marchionale VII, pp. 417-446; E.C. Pia, Riscoperta e usi detto “di Gian Giorgio” alle monache dell’ordine del Medioevo: la lettura di Renato Bordone, pp. di Santa Caterina da Siena di Casale Monferrato 543-550. (6 luglio 1528), pp. 115-124.

Bollettino storico-bibliografico subalpino Il Platano Semestrale, numero CXIII, 1° semestre 2015, Rivista di cultura astigiana Torino 2015. Periodicità non determinata, anno XXXIX, 2014, Asti 2014. In evidenza: A.A. Settia, Una pieve nel cuore del Monferra- In evidenza: to: «Castrum Turris». Dati, problemi e spunti di E.C. Pia, Dal territorio alla città: un avvio della ricerca, pp. 5-57; P. Buffo, Il Liber maleficio- lezione di Renato Bordone, pp. 17-18; A. Ghia,

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Asti 1803. Un censimento (terza parte), pp. 29- menti ecclesiali nella Diocesi acquese a fine Ot- 50; E.C. Pia, Medioevo astigiano: il percorso di tocento. La figura del vicario generale can. Giu- una rinascita, pp. 53-56; A. Gamba, Guido da seppe Pagella (seconda parte), pp. 255-356; F. Montefeltro, un ghibellino in esilio ad Asti, pp. Cacciabue, Abazia frazione di Masio: un’identi- 57-61; E. Rasero, I Serviti in Asti (1273), pp. tà antica per una recente unità amministrativa, 63-66; G. Donato, Tra Asti, Alba e Genova. pp. 357-378. Le torri, il palio, la cultura urbana, pp. 67-74; D. Ferro, Il Missale Anticuum della Bibliote- Studi piemontesi ca del Seminario di Asti, pp. 75-76; V. Croce, Semestrale, anno XLIII, fasc. 2, dicembre Francesco Panigarola Vescovo di Asti. Riflessio- 2014, Torino 2015. ni a margine del convegno astigiano, pp. 85-91; I. Bologna, Asti nel Seicento. Artisti e commit- In evidenza: tenti in una città di frontiera: la Grande Bellezza G. Tesio, La parola non è (solo) una “questione di Asti nel XVII secolo, pp. 93-95; D. Nebiolo, privata”. Per un panorama letterario di Langhe Inventari post-mortem delle biblioteche private Roero e Monferrato, pp. 345-354; D. D’Urso, astigiane (sec. XVII), pp. 97-107; C. Distefanis La vigilanza poliziesca sui “funerali rossi” ad Quaranta, Vicende giudiziarie di una discussa Alessandria durante il ventennio fascista, pp. figura di sacerdote nella campagna astigiana del 427-434. Settecento, pp. 109-118; F. Ratti, La confrater- nita di San Rocco di Antignano, pp. 119-133; Studi piemontesi F. Zampicini, Letterati ed eruditi di Montechiaro Semestrale, anno XLIV, fasc. 1, giugno 2015, d’Asti tra Seicento e Novecento, pp. 137-156; C. Torino 2015. Bruschi, Giuseppe Morando: architetto militare astigiano, pp. 171-178; P. Sacco, Il complesso In evidenza: degli edifici del “Casermone”, pp. 203-207; P. R. Livraghi, Le origini dei Carabinieri Reali in Sacco, Asti ed i Bersaglieri, pp. 208-210; C. Alessandria (1814-1821), pp. 135-142. Cuminetti, San Damiano d’Asti: nascita di un acquedotto, pp. 235-243; G.G. Fissore, La pre- Urbs silva et flumen. Periodico dell’Acca- coce attestazione della presenza ebraica nell’A- demia Urbense di Ovada stigiano. L’edizione della pergamena 1 dell’Ar- Trimestrale, anno XXVII, numeri 3-4, set- chivio capitolare di Asti, pp. 253-256. tembre-dicembre 2014, Ovada 2014.

In evidenza: Rivista di storia, arte, archeologia per le B. Chiarlo, In una lettera a Cicerone (43 a.C.) province di Alessandria e Asti D. Bruto scrive «Antonius… ad Vada venit»: Annuale, anno CXXIII, 2014, Alessandria un palese riferimento ai guadi di Ovada e non 2015. a Vada Sabatia (Vado Ligure), pp. 179-188; P. In evidenza: Piana Toniolo, Le campane dell’Annunziata di A. Di Raimondo, Gavi e la Val Lemme (1746- Ovada, pp. 206-212; S. Arditi, Alcune nuove 1748). Devastazioni e danni collaterali durante tracce del “Maestro di Sant’Innocenzio”, pp. la guerra di successione austriaca, pp. 147-162; 213-229; F. Caneva, L’organo Serassi-Bianci B. Gallizzi, La politica ecclesiastica subalpina dell’Oratorio della SS. Annunziata di Ovada, tra Restaurazione e Stato costituzionale e la ri- pp. 229-230; A. Petrucci Tabbò, Invito a una cezione degli strumenti giurisdizionalisti nello sacra conversazione. L’oratorio della Annunzia- Statuto albertino, pp. 191-254; L. Rapetti, Fer- ta di Ovada, pp. 231-241.

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