CASTELNUOVO BORMIDA E IL SUO MARCHESE

UNA STORIA CHE PARTE DA MOLTO LONTANO: IN PIEMONTE

ome in tutta la Penisola, il Medioevo si inaugurò qui con la dominazione di Odoacre in un C territorio in cui egli non suscitò divisioni e non cercò innovazioni rispetto al precedente ordinamento lasciato integro; sola trasformazione fu quella del sistema tributario, in cui si sostituì con la cessione del terzo delle terre agli invasori il tributo consueto del terzo dei redditi. La venuta di Teodorico nel 468, produsse gravi conseguenze, in quanto i borgognoni, sotto la guida di re Gondebaldo (492), soccorsero Odoacre compiendo devastazioni e prendendo numerosi prigionieri fra i quali Vittore, vescovo di Torino, poi riscattato da Teodorico (497). Anche quest'ultimo conservò l'ordinamento provinciale e municipale romano, sorretto dalle antiche magistrature accompagnate da talune nuove, necessarie ai vincitori. Tutto ciò non consentì che si effettuasse la fusione tra l'elemento romano e quello barbarico. Nella valle di Susa ci si avviò alla guerra fra bizantini e goti. Nel 553 morì Teia, l’ultimo re ostrogoto, e i bizantini si affermarono con la Prammatica sanzione di Giustiniano, il quale rispettò gli ordinamenti urbani esistenti. Con il 568 giunsero poi, i Longobardi che conquistarono la Penisola, dando luogo ad un frazionamento politico non più risoltosi. Così non tutto il Piemonte finì sotto il loro dominio ed essi arrivarono fino ai piedi delle Alpi ed in val di Susa, in val d'Aosta si stanziarono, invece, i franchi divenuti padroni degli antichi valichi alpini, delle suddette valli e di quella di Lanzo. Ogni altro territorio, infine fu raggiunto dai Longobardi che divisero il Piemonte in ducati, fra i quali noti quelli di Asti, di Torino e di Ivrea, oltre a quelli del Novarese. Rotari allargò, quindi, le conquiste al Piemonte meridionale e alla Liguria. Conseguente alla.conversione di Agilulfo fu la fondazione di nuovi monasteri, centri di vita intellettuale ed economica che la critica storica individuò come derivati dalla decisa contrapposizione all'influenza nemica, soprattutto verso le frontiere. Così nacquero i monasteri di Villar, di S. Costanzo presso Dronero, di S. Pietro in Svignano, di S. Dalmazzo nel cuneese e della Novalesa. La dominazione suddetta terminò con Carlo Magno nel 773. Carlo divise l'esercito in due tronconi di cui il primo entrò in Italia attraverso il Gran S. Bernardo. L'altro passò il Cenisio.lungo la Dora Riparia serrata dalle chiuse. Qui il re franco aggirò le posizioni nemiche e, vincendo, assunse,oltre a quello di re dei franchi, anche il titolo di re dei longobardi senza introdurre sensibili modificazioni all'ordinamento amministrativo. Perciò, in apparenza, il regno longobardo continuò inalterato, mentre più sensibile autonomia fu concessa ai comitati, alcuni dei quali corrisposero ai precedenti ducati come quelli di Torino e di Asti. Al ducato di Ivrea fecero riscontro invece, più comitati fra cui Ivrea stessa e Vercelli. Alla fine del IX secolo il Piemonte fu devastato dagli ungheri, che nell' 899 fecero strage del clero di Vercelli, poi dai Saraceni che, da Frassineto colpirono la regione, lasciando una scia di lutti e di odio. Nel secolo X la storia piemontese si fondò sulle vicende delle Marche occidentali italiane, cioè sui raggruppamenti di più contee detenute da potenti marchesi. La marca di Ivrea, successiva alla deposizione di Carlo il Grosso, comprese gran parte dell’attuale Piemonte, sdoppiandosi nelle marche di Torino, del Monferrato e di Ivrea.

1 Marchese di quest'ultima, alla fine del secolo X, fu Arduino; quella di Torino fu retta dalla famiglia degli Arduinici, distinta da quella di Ivrea. La Liguria occidentale fu degli Aleramici. Alla morte di Arduino capeggiò il Piemonte Olderico Manfredi , detentore di Torino ed Ivrea. Il potere passò poi a sua figlia Adelaide ed al marito di questa, Oddone di Savoìa, figlio di Umberto dalle Bianche Mani, i cui eredi si inserirono nel XII secolo in Saluzzo, Busca, Ceva e Cortemilia. Asti , Chieri, Torino, Savigliano, Cuneo e Mondovì divennero centri vitali ed influenti su cui la casa Savoia acquistò potere, in particolare sul marchesato di Saluzzo. Dopo la metà del ‘200 fece ingresso in Piemonte Carlo d'Angiò. Ebbero, poi, luogo contrastate Signorie dei Sabaudi, dei Monferrato e dei Visconti. Nel XV secolo il Piemonte si unificò con Amedeo VIII di Savoia che acquistò, oltre ai territori a occidente delle Alpi, la parte transalpina fino alla pianura Padana.

2 NOTIZIE IN BREVE, IN CUI, A TRATTI, COMPARE IL MONFERRATO

Alessandria La sua fondazione si fa risalire al 1168 ad opera della Lega Lombarda, di Alessandro III e del marchese del Monferrato, il quale, dopo la distruzione di Tortona e di Milano, si assicurò il punto d’incontro del Tanaro con la Bormida, passaggio obbligato dal Nord al Sud del Piemonte e di tutta la Padania. Alla città sorta dai primi quartieri edificati in brevissimo spazio di tempo, fu assegnato il nome di in onore del papa messosi a capo della Lega, il quale, col prestigio del nome legalizzò un corpo politico, cui mancò il riconoscimento dell’Impero. Nel 1174-1175 Alessandria sostenne vigorosamente l’assedio di un semestre impostole dall’imperatore Federico I Barbarossa. Dopo di che la città conobbe periodi di abbandono e di oblio fino a quando, passata alla fine del ‘300 e poi del ‘400 sotto i Visconti e gli Sforza, fu protagonista della vittoria di Jacopo dal Verme contro i francesi del d’Armagnac nel 1391.

Asti A partire dal X secolo, di fronte all’affievolirsi dell’autorità comunale, conobbe quella del vescovo che accanto al potere religioso esercitò la podestà civile. Importante fu la concessione di Ottone I che nel 961 confermò al vescovo Brunengo la giurisdizione della città e dei territori circostanti. Nella discesa del 1154 il Barbarossa la saccheggiò e la sottomise. Nel 1159 quel Comune podestarile fu riconosciuto dall’imperatore. Nel 1168 passò alla Lega Lombarda, per poi tornare al fianco di Federico I in occasione della sua quinta discesa. Nella tregua di Venezia del 1177 e nella pace di Costanza fu, infatti, dalla parte dell’Impero. La fine del ‘200 segnò per Asti l’inizio delle lotte intestine fra i Solaro e i Castello. Nel 1303 i Solaro vennero cacciati e nel 1304 stesso destino toccò ai Castello cui successero i Savoia, i Monferrato e i Visconti. Nel 1494 la città divenne centro dei francesi contro Milano.

Ivrea Antica colonia romana – Eporedia – divenne ducato longobardo, contea franca, centro della Marca d’Italia, poi da Guido da Spoleto fu concessa ad Anscario, al figlio Amedeo e ai suoi discendenti fra i quali il marchese Arduino che, per assicurarsi le sue prerogative, lottò contro i vescovi Woormando e Leone di Vercelli (998), entrambi decisi a dominare la città ed a scomunicare Arduino. Fra l’XI ed il XIII secolo Ivrea fu potente Comune, poi Signoria, ma ebbe, in seguito, la Signoria Monferrina ed Angioina, divenendo, infine, feudo dei Savoia con il conte Verde (1346).

Torino Tralasciando le vicende precedenti, assai complesse, ricordiamo che nel 1280 Tommaso III di Savoia costrinse il marchese del Monferrato a cedergli Torino il cui Comune, dopo un secolo e mezzo, fu condannato all’estinzione. I Savoia poi, ne fecero il centro del Piemonte sabaudo.

3 Liguria Dopo i saccheggi di Eruli e Goti, la Liguria restò bizantina, sinchè i longobardi ne occuparono la parte marittima prima di una più interna penetrazione nel 641. Nel secolo X ebbe luogo una divisione tra marche: l’Arduinica, l’Aleramica e l’Obertenga; e le tre famiglie marchionali dettero luogo alle più cospicue casate liguri. I maggiori centri della riviera: , , Alberga, Ventimiglia, Nizza, oltre a partecipare alle spedizioni contro i saraceni, intervennero nelle crociate, ottenendo non indifferenti concessioni, spesso trattate da Genova che si ritenne protettrice dei porti di quel litorale. Se la riviera di levante venne assoggettata a Genova, quella di ponente si rivelò di difficile sottomissione: Alberga, ad esempio, per non cadere nelle mani della “Superba” strinse rapporti con Savona, Ventimiglia e i Del Carretto.

4 CASTELNUOVO BORMIDA: SUE ORIGINI

I n età romana Castelnuovo Bormida doveva già esistere come un fondo rustico con posta per cavalli che transitavano sulla Via Aemilia; esso non fu abbandonato neppure nell’alto Medioevo, quando San Guido donò terre di questo villaggio ai monasteri di San Pietro e Santa Maria in Campi di Acqui. Non solo, già Ottone III cita, in un antico documento, la fondazione di Castellum Novum, intorno al quale si organizzò, in seguito, la schiera delle abitazioni rurali sede dei servi e dei contadini. Castelnuovo Bormida ebbe nel tempo diverse vicissitudini. Passò sotto i marchesi del Monferrato il cui capostipite, Aleramo, nel 967 ebbe dall’imperatore Ottone I il dominio su Monferrato, Acqui e Savona. Alla morte di Aleramo la famiglia si divise in due rami: i marchesi del Monferrato e i marchesi di Savona. In seguito, fino al 1191 fu possedimento dei marchesi di Incisa e quindi passò sui feudi di Sezzadio, per metà dei Monferrato e per metà del Comune di Alessandria che se ne impadronì alla fine del XIII secolo. Successivamente, però, il paese ritornò ai Monferrato e vi rimase ininterrottamente fino al 1713, quando fu annesso allo Stato Sabaudo. I Monferrato infeudarono Castelnuovo a molte famiglie. Dagli Adorno di Genova ai Porro, dagli Zoppi di Cassine al conte Beltramo Mosceni, dai Grasso di Strevi ai Grollo di Genova e ai Ferraro di Orsara, che lo tennero fino al 1960 circa. Il maniero ed il vicino ponte furono teatro di una sanguinosa battaglia l’11 gennaio 1704, nel corso della guerra per la successione al trono di Spagna, tra forze imperiali e truppe francesi al comando del maresciallo Vendome.

5 UNA STORIA DI CONTESE E SPARTIZIONI, DALLA PREISTORIA AL MEDIOEVO E OLTRE.

diversi rami che formano l’alto bacino del Bormida, detti Bormida di Millesimo, Bormida I di Pallare e Bormida di Mallare, confluiscono in due ampie aree geografiche conosciute come Valle della Bormida di Spigno e Valle della Bormida di Millesimo. Quest’ultima si identifica per la maggior parte, dal punto di vista amministrativo, col basso Piemonte, mentre l’altra si estende per un ampio tratto nel territorio ligure. Separate nelle loro estreme derivazioni da uno spartiacque attestato sui mille metri circa, esse costituiscono un ambiente storico-geografico composto da diversi elementi, dove l’economia agricolo-montana dell’alta valle si incontra con l’economia prevalentemente industriale dei centri maggiori del fondovalle. L’inesistenza, nel passato, come anche nel presente, di una espressione unitaria nella dimensione politico-istituzionale rispecchia chiaramente i caratteri di frammentarietà geografica, etnica e culturale propri di questa terra. La collocazione geografica che fece della Val Bormida la porta di transito fra l’entroterra piemontese lombardo e il mare, ha reso estremamente complesse le vicende storiche, sviluppando un modello culturale ampiamente influenzato da apporti sostanzialmente estranei che potrebbero, forse, trovare una sintesi unitaria solo nella lontana Preistoria. Il territorio compreso, infatti, tra Piana Crixia e Bardineto ha restituito una messe copiosa di reperti litici, in particolare, asce di selce levigate del periodo Neolitico. Assai più concreta appare la situazione relativa all’Età del Bronzo. Il rinvenimento di un ricco giacimento di materiale ceramico a Millesimo, sul Bric Tana, indica l’esistenza di un cospicuo nucleo umano. Ulteriori richiami alle culture megalitiche affiorano su un grande masso che sovrasta l’anfiteatro naturale del Bric Tana. Il masso mostra evidenti tracce di lavoro umano e presenta una serie di coppelle disposte a raggiera che rivelano una conoscenza, sia pur approssimativa, dei punti cardinali. La sua stessa posizione e la presenza di croci incise su un lato permettono di ipotizzare che assolvesse a qualche funzione culturale. Probabilmente, quella di ara votiva, punto focale per una popolazione in possesso di informazioni sui riti megalitici. Alla presenza megalitica si unisce spesso l’incisione rupestre; oltre il Bric Tana, la troviamo sulle vicine dorsali delle colline di Bistro, nelle zone del Bric della Costa e del Bric Gazzaro. Sulla roccia appaiono figure antropomorfe, segni scaliformi o simbolici, talora insieme a croci cristiane che parrebbero voler esorcizzare e “cristianizzare” i segni precedenti, ritenuti di origine diabolica o pagana. La tradizione di incidere sulla roccia si tramanda presso le popolazioni sino ad epoche recentissime. Una prova della sopravvivenza di questi legami culturali con la Preistoria è stata riconosciuta nelle “caselle”, piccoli edifici circolari la cui tecnica costruttiva ha origine nell’architettura spontanea di molti paesi mediterranei. Alcune di esse fanno bella mostra di sé sulle pendici del Melogno. Le genti che lasciarono queste tracce furono quasi certamente i Liguri, l'enigmatico popolo che la potenza romana quasi cancellò dal grande libro della storia. Proprio ad essi dobbiamo il nome dei tre rami della Bormida. Il toponimo del fiume pare legato al culto di Bormanus o Bormo, il dio celto-ligure delle “acque

6 calde e spumeggianti” venerato in un ambito geografico molto vasto che va dalla Francia al Portogallo. Roma volse lo sguardo verso le genti liguri. Fiere e gelose della propria indipendenza, esse resistettero valorosamente alla conquista, ma furono costrette a piegarsi di fronte alla macchina bellica del nemico. Nel 180 a.C. il console Lucio Emilio Paolo sconfisse gli Ingauni. Nel 173 a.C. Marco Popilio Lenate sottomise di nuovo i Liguri distruggendone la capitale Carystum. Nonostante le sanguinose disfatte, il popolo ligure non si piegò e fu necessaria un'altra campagna nel 163 a. C. da parte del console Sempronio Gracco per debellarne definitivamente la resistenza. Completata la conquista militare, i Romani organizzarono giuridicamente e amministrativamente il territorio, che venne inquadrato nella IX Regione e sottoposto alla giurisdizione del municipio di Alba Pompeia, iscritto alla tribù Camilia. Anche la rete viaria venne ridisegnata dai Romani. La via più importante della Val Bormida fu la Aemilia Scauri, fatta costruire nel 109 a.C. dal console Emilio Scauro, che univa il centro di Aquae Statiellae a Vada Sabatia passando per Piana, Cairo, Ferraia e Altare. La presenza romana viene anche, segnalata a , dove sono state trovate tombe a tegoloni. Più interessante è la piccola ara votiva di Millesimo, conservata presso la Biblioteca comunale. Si tratta di un altarino di pietra fatto erigere da un centurione della X Legione Pia Felice in scioglimento di un voto. La decadenza dell'lmpero Romano d’Occidente aprì la strada alle orde barbariche che percorsero la Via Aemilia Scauri portando ovunque, distruzione e rovina. Le convulse vicende dell'epoca non permettono una chiara visione della situazione storica. Unico punto fermo fu la riconquista. delle coste liguri da parte dei bizantini, che le inquadrarono nella Provincia Marittima Italicorum, difesa, sui crinali appenninici, da robuste fortificazioni. La Marittima Italicorum cadde sotto il dominio di Rotari. Completata la conquista, i Longobardi imposero il loro ordinamenti ,gettando le basi del sistema feudale. Labili tracce di influssi culturali bizantini si potrebbero trovare nelle dedicazioni a S. Nicolò di Bari e a S. Giorgio, il più venerato tra i santi di quelle genti. Ad essi si contrappose in seguito il culto di San Michele, patrono delle popolazioni longobarde. La conversione dei re longobardi al Cristianesimo diede nuovo impulso al monachesimo benedettino; rinacque nel 707, per opera di Ariperto II, il monastero di San Pietro di Savigliano e sorse, per volontà di Liuperto, l'abbazia di Gesù Salvatore a Giusvalla. Queste prime fondazioni monastiche sono il prologo di una parte importante della storia medievale valbormidese. La presenza monastica si accrebbe dopo la conquista franca del 774; a Carlo Magno si attribuisce, infatti, la costituzione del monastero di San Pietro in Varatela, che ebbe ampi possedimenti a Bardineto e Coalizzano con le chiese di San Giovanni e Santa Maria. Ma dopo l'889 i territori liguri subirono nuove devastazioni: le orde saracene, favorite dalle discordie feudali, misero a ferro e fuoco Acqui e l’Albese, distruggendo 1’abbazia di Giusvalla, nata nel 936, e attestendosi nella regione di Tortona intorno al 950. L'invasione costrinse Berengario II di Ivrea, re d'ltalia, a riorganizzare amministrativamente la Liguria suddividendola in marche. I frutti non tardarono a venire: nel 967 le truppe di Guglielmo di Provenza espugnarono il covo saraceno di Frassineto e in tal modo posero fine alla minaccia dell'Islam sulla Liguria e sulla Provenza.

7 FRA MONACI, FEUDATARI E PRIME NOTIZIE SULLA DINASTIA DEGLI ALERAMICI.

B erengario II ruppe definitivamente quell'assetto unitario che ricalcava ancora la struttura della bizantina Marittima Italicorunm, dividendo il territorio in tre marche : l'Obertenga, l'Aleramica e l'Arduinica; Nella marca Aleramica vennero compresi, come già detto in precedenza, i territori di Savona, Acqui e Monferrato, quest’ultimo marchesato storico, in seguito ducato. Geograficamente si estende dall 'Appennino ligure occidentale verso nord oltre il fiume Bormida e la valle mediana del Tanaro verso il Po, includendo gran parte del territorio che separa Torino da Alessandria. Ma il Monferrato storico ben presto fu diviso in una metà settentrionale ed una meridionale dalla contea di Asti e, inoltre aveva territori a nord del Po, con centri nel distretto di Vercelli e nel Canavese (la zona ad ovest del corso inferiore della Dora Baltea). La sua prima dinastia, gli Aleramici, ebbe le prime sedi a chiasso e a Moncalvo, ma i successori ebbero Casale come capitale dal 1435. Tornando alla marca Aleramica, la vita riprese vigore non più molestata dalle incursioni saracene: rinascita quanto mai necessaria se, nel 967, l’imperatore Ottone I, concedette ad Aleramo, di cui parleremo in seguito, anche quelle cortes in desertis locis che aveva tra il Tanaro, l’Erba e il mare. Nei desertis locis della marca emergono finalmente, le prime tracce documentarie dei centri abitati: Dego, Mioglia, Pruneto, Saliceto, Sassello, Giusvalla, Cortemilia. L’affermazione e il consolidamento della casa Aleramica, da un lato, e la nascita e l’espansione delle istituzioni monastiche, dall’altro, procedettero parallelamente e furono strettamente connessi tra loro. Com’è noto, per la concezione politica medioevale la giurisdizione civile e quella ecclesiastica si intersecavano in un complesso gioco di rapporti e di funzioni. I monasteri erano componenti del potere feudale e assolvevano a compiti precisi nell’organizzazione del dominio signorile. Nascevano lungo importanti vie di comunicazione o in prossimità di nodi strategico-territoriali, svolgendo un ruolo politico, economico e sociale per delega dell’autorità feudale. Anche gli Aleramici affidarono ai monaci questi ruoli: nel 991 il marchese Anselmo, figlio di Aleramo, costituì il monastero di San Quintino di Spigno, dotandolo dei beni della distrutta badia di Giusvalla e di molte terre in Cairo, Dego, Cosseria, Cortemilia e Levice. Nel 1079 un altro Aleramico, Bonifacio del Vasto affidò le terre di “Ferranica” ai monaci Agostiniani, fondando la canonica di Santa Maria, San Pietro e San Nicolò di Ferraia, che ebbe il controllo dei nodi strategici di Coalizzano, Saliceto e Carretto. In questa canonica venne a finire i suoi giorni Agnese di Poitiers, seconda moglie di Bonifacio, come testimonia una lapide funeraria. Nel 1111 Bonifacio ampliò le proprietà della canonica aggregandovi le terre di Biestro e i diritti su

8 Carcare, Cosseria e Millesimo. Alla sua morte avvenuta nel 1130, egli lasciò una fiorente comunità monastica che estendeva la propria influenza su molte chiese del Piemonte e della costa. Ma il dominio feudale di Bonifacio, già indebolito per la separazione del territorio monferrino, fu diviso fra i suoi sette figli. Nella ripartizione, le terre di Savona, Noli, Finale, Coalizzano, Millesimo, Cairo e Carretto andarono ad Enrico I detto il Guercio. Questi fu plenipotenziario del Barbarossa alla pace di Costanza del 1183 e lo seguì alla Crociata: personaggio fieramente filo imperiale, quindi baluardo di quella feudalità che si contrapponeva alla crescita dei liberi Comuni. Coerente con la linea del casato, fondò nel 1179 la chiesa-ospedale di Santa Maria dei Fornelli, posta nella Valle della Bormida di Pallare e in territorio di Cosseria. Intanto a Savona e Noli si intensificavano le spinte verso l’autonomia politica. Con la morte di Enrico il Guercio i suoi due figli, Ottone ed Enrico II, si divisero il feudo nel 1185, prendendo il nome di marchesi del Carretto. Savona si liberò di Ottone attorno al 1191, costringendolo a ridursi nel Cairese, mentre Noli, spalleggiata da Genova, acquistò l’autonomia tra il 1186 e il 1193. Enrico II portò a Finale la capitale del marchesato e rifondò nel 1206 il borgo di Millesimo, concedendo franchigie agli abitanti. Sui beni che il monastero di San Pietro di Savigliano possedeva in Millesimo, acquistati nel 1211, creò il monastero femminile di Santo Stefano affidandolo alle monache Cistercensi di Santa Maria di Bitumane (Betton, nella Savoia). Anche Ottone del Carretto di Cairo, convinto –secondo la tradizione- da San Francesco, volle fondare nel 1213 un grande monastero francescano: collocata sul tracciato della Magistra Langorum, questa fu l’ultima fondazione monastica della Val Bormida. A metà del XIII secolo su tutti i principali nodi viarii vi era una comunità di monaci. San Quintino di Spigno controllava la viabilità della valle verso Acqui, San Pietro di Ferraia quella su Ferraia e Coalizzano; mentre San Pietro di Varatela vigilava su Bardineto e sugli accessi alla Val Neva. Altare era sotto il controllo del monastero di Sant’Eugenio di Berteggi, le vie di Biestro e del Melogno erano protette da Santa Maria dei Fornelli, le strade di Roccavignale e Cengio da Santo Stefano di Millesimo. Sul nodo dei Ronchi di Origlia presidiava, invece l’ordine dei Cavalieri del Tempio, i Templari monaci guerrieri reduci dalla Terra Santa, i quali ebbero base presso la chiesa di San Giacomo dei Ronchi. Nel 1245 papa Innocenzo IV confermò a Ferraia il possesso di ventisei chiese, molti altri luoghi e un ospedale: il tutto distribuito tra la costa ligure e il Piemonte. Qualche anno prima, nel 1209, Ottone del Carretto aveva dovuto cedere al Comune di Asti i diritti su Cortemilia, Cagna, Torre Uzzone e altre terre. Le dispute tra i Comuni e la Repubblica di Genova coinvolsero i Carretteschi, dando avvio a una serie di trame che si sarebbero dipanate poi, nella vicenda valbormidese. La frammentazione politica dei borghi dell'entroterra, suddivisi tra gli eredi del feudo, troncò sul nascere ogni possibile difesa da parte dei signori delle terre. Così nel 1214, Genova riuscì ad ottenere da Ottone la Cessione dei diritti su Dego, Cairo, Carretto, Vigneroli e nelle metà di Carcare, Bogile, Ronco di Maglio e Moncavaglione. In questo modo si realizzò un autentico accerchiamento di Savona e di Finale, assumendo il controllo su gran parte degli accessi alla costa. Il marchese del Monferrato si cautelò, per proprio conto, comprando da Ottone la parte di Cortemilia, mentre il Comune di Savona riscattò i diritti di pedaggio di Carcare e Cairo.

9 Indebolito da queste vicende il feudo cairese andava verso il tramonto. Il marchesato di Finale, invece retto dai discendenti di Enrico II, riusciva a mantenersi unitario. Ma solo fino al 1268, quando Corrado, Enrico e Antonio, figli del marchese Giacomo, si divisero l'eredità paterna. A Enrico andarono i beni di Novello e dell'area piemontese, a Corrado quelli dell'area millesimese, mentre Antonio ebbe i beni del Finalese, di Coalizzano e della Valle di Pallare. Le labili linee di demarcazione sancite dalla spartizione durarono, con modeste modifiche sino all'inizio del XVIII secolo. I confini del nuovo feudo millesimese si identificarono con quelli delle terre di Cengio, Roccavignale, Mallare e Cosseria, con Biestro e Podio. Il feudo finalese si spinse , invece, sino alle terre di Coalizzano, incamerando poi, Murialdo, Origlia e la Valle della Bormida di Pallare, fino a Carcare. Con l'aggravante che i diritti su quest'ultimo borgo rimasero divisi fra i tre eredi. Ancorati agli antichi privilegi, dopo diverse vicissitudini, questi vedevano, intanto decadere,nel corso del XIII secolo, 1a loro supremazia a mano a mano che cresceva il potere della classe mercantile, che ben presto li avrebbe soppiantati: tale fu la sorte dei feudatari di Cairo. Nel 1322 Manfredo IV di Saluzzo riuscì ad acquistare da Manfredino e Ottone del Carretto le terre del Cairese, segnando con ciò il definitivo tramonto della dinastia. Non meno difficile si profilava la Situazione dei Carreteschi di Millesimo e Finale: nel 1390 quelli di Millesimo fecero donazione delle loro terre a Guglielmo del Monferrato, ricevendole in feudo dallo stesso. Nel 1393 fu la volta dei Carrettesi di Finale, che donarono a Teodoro II del Monferrato le terre di Coalizzano, Massimino, Origlia, Pallare e Carcare. Mentre i del Carretto di Millesimo ebbero, tuttavia cura di conservarsi Cengio, i Finalesi si garantirono la fedeltà di Murialdo mantenendone i diritti. Modesti possedimenti, votati, comunque a un destino, ormai segnato dalle scelte dinastiche. L'ultima parte del Basso Medioevo fu, per queste terre, un susseguirsi di atti di infeudazione e subinfeudazione, di divisioni e frazionamenti che produssero un panorama giuridico pressochè inestricabile e istituzionalmente disintegrato.

10 IL DOMINIO DELLE GRANDI POTENZE SU QUESTE TERRE

i Carreteschi di Millesimo la sottomissione al Monferrato parve il male minore di fronte A alle mire espansionistiche dei Savoia, mentre Galeotto del Carretto di Finale si alleò con Filippo Maria Visconti, duca di Milano, desideroso di impossessarsi di Genova e Savona. Le due grandi città della costa, divise da una rivalità profonda, vissero momenti travagliati nel 1409, quando, nel corso di una ennesima sommossa, Teodoro del Monferrato fu proclamato signore di Genova e gli Scarampi di Cairo si affrettarono a giurargli fedeltà. Teodoro fu costretto ad abbandonare Genova nel 1413, ma sei anni dopo la Superba dovette piegarsi alle truppe monferrine, viscontee e finalesi. Tra i Visconti e il Monferrato si stipulò un accordo nel 1434, in base al quale i feudatari cairesi poterono scegliere tra le due signorie. Tre quarti del feudo rimasero col Monferrato, il resto passò sotto i Visconti. Genova, però si risollevò, tanto che alla fine del Quattrocento la moneta di Savona fu quasi completamente soppiantata sui mercati da quella genovese. Ora poi, non erano più i tempi della conquista armata per i signorotti locali; il gioco era ormai in mano ai re di Francia e Spagna mentre, in sott'ordine, operavano i duchi di Milano, i Savoia, la Repubblica di Genova, il Monferrato. Nel 1531 sì verificò un avvenimento importante per la Val Bormida: Federico Gonzaga, duca di Mantova , sposò Margherita del Monferrato, e i due Stati vennero così fusi. In seguito, però, con l'indebolirsi del potere feudale, dissanguato dalle continue lotte ed incapace di adeguarsi ad un modello troppo lontano dalla sua visione del mondo, acquistò sempre più forza la borghesia mercantile e artigianale, mentre il popolo, in cambio di denaro, riusciva a strappare ai feudatari numerose concessioni. All'inizio del Cinquecento quasi tutte le comunità rurali della valle ebbero i loro statuti, ma la Val Bormida finì al centro delle contese tra i protagonisti dell'immane scontro che insanguinò l'Europa. La Spagna si assicurò le terre di Finale, Carcare, Pallare, Origlia Bormida, Ronco di Maglio, Coalizzano e Massimino; il controllo degli accessi al mare fu totalmente nelle sue mani. La situazione non poteva non preoccupare fortemente i franco-piemontesi. Nel 1636 il conte Nicolò del Carretto di Millesimo venne fatto prigioniero da Amedeo I di Savoia e costretto a cedergli Cengio e il suo castello. L'occupazione Piemontese di Cengio divenne una grave minaccia per gli Spagnoli, che passarono subito alla controffensiva. Il 30 marzo 1639, dopo una grande battaglia, il generale Antonio Sotelo ricevette la resa delle truppe franco-piemontesi di presidio al castello e col successivo trattato dei Pirenei del 1659 le fortificazioni furono rase al suolo. Con tale demolizione si chiuse anche, la storia dei castelli valbormidesi ridotti ad un ammasso di rovine; rimasero così a ispirare cupe leggende e favole di tesori nascosti. Consolidate le sue posizioni, la Spagna si accinse a realizzare lungo la Valle della Bormida di Pallare l'itinerario progettato. La gente della valle però, soffriva la fame non per mancanza di lavoro, ma per la politica economica seguita dalla Spagna che ricorse a una forte pressione fiscale imponendo dazi e gabelle sui generi di largo consumo. Nel 1702 i valligiani videro passare sulla “via di Spagna” un superbo corteo di nobili e cavalieri: Filippo IV stava accorrendo in Lombardia a guidare le sue truppe in difficoltà.

11 Fu questo l’ultimo grande corteo della dominazione spagnola: nel 1714, con il trattato di Rastatt, Madrid abbandonò il marchesato di Finale, che venne venduto da Carlo VI d'Austria alla Repubblica di Genova. Grande fu la delusione di Vittorio Amedeo II di Savoia, ancora una volta privato dell'accesso ai porti di Savona e di Finale: delusione ampiamente compensata, peraltro, dall'ottenimento della Sicilia, dell’Alessandrino e del Monferrato che gli consentì di occupare le terre valbormidesi soggette a quest’ultimo. Con la fine del secolo, tuttavia ben altre vicende preoccuparuno i Savoia. Gli effetti della Rivoluzione francese si fecero sentire oltre i confini e, ovviamente il Piemonte si unì all'Austria per far fronte alla minaccia di destabilizzazione. Intanto, nel 1793 la Repubblica di Genova venne occupata dai Francesi fino a Finale. Nel 1796 gli Austro-piemontesi affidarono il comando al generale Beaulieu per una rivalsa, mentre sull'altro schieramento assunse la guida delle operarioni un giovane ufficiale destinato ad una folgorante carriera: Napoleone Bonaparte. il 12 aprile le divisioni francesi investirono le truppe austriache, i Piemontesi abbandonarono la difesa di San Giovanni di Murialdo aprendo ai francesi le porte del loro Stato. Il 15 aprile si concluse la prima grande battaglia della campagna napoleonica. L’armistizio venne firmato a Cherasco e i Savoia uscirono dal conflitto. La guerra investì nuovamente la Val Bormida, nel 1799 gli Austro-russi la occuparono fino a Savona, ma furono respinti dai francesi. Nel 1805 l'agonizzante Repubblica Democratica Ligure fu annessa all'Impero francese. Si chiuse così un periodo denso di avvenimenti bellici e di accese passioni politiche. Era finito un secolo difficile, caratterizzato da un lento, inarrestabile declino economico. Nel 1732 abbiamo finalmente, l'annessione del Monferrato allo Stato sabaudo.

12 IL MARCHESE DEL MONFERRATO: NOTIZIE SUGLI ALERAMICI

L a storia del Monferrato e, quindi degli Aleramici, si apre con il marchese Aleramo, la cui origine è oscura, ma documenti del X secolo indicano che il primo nucleo del loro potere fu nella contea di Vercelli e che l'investitura del conte Aleramo, di una marca, era collegata con la riorganizzazione dell'Italia settentrionale da parte di Berengario di Ivrea (950 a.C.) e che, sotto il Sacro Romano Impero di Ottone I, successore di Berengario in Italia, Aleramo acquistò terre nel Monferrato geografico. Uno dei figli di Aleramo, Odo, fondò la dinastia del Monferrato. I discendenti di Odo, consolidarono il proprio potere in patria e si distitinsero come crociati. Guglielmo V il Vecchio, marchese dal 1135 al 1190, aiutò l'imperatore Federico Barbarossa contro Milano, quindi andò a combattere in Palestina, dove il suo primogenito, Guglielmo Lungaspada aveva già nel 1176 sposato Sibilla erede del regno di Gerusalemme. Il fratello di Guglielmo Lungaspada, Corrado, andò anch'egli in Palestina, dove sposò Isabella sorella di Sibilla e divenne così re di Gerusalemme. Un altro fratello Bonifacio I, poeta e patrono del trovatore Rimbaud de Vaqueyras, si unì alla quarta crociata e divenne re di Tessalonica. Guglielmo VII il Grande, pronipote di Bonifacio I, marchese dal 1253 al 1292, fu dapprima un capo dei Guelfi, ma in seguito divenne vicario imperiale e con l’aiuto del genero, l'imperatore bizantino Andronico II il Paleologo, si oppose a una lega comprendente Genova, Asti, Pavia, Milano, Cremona e Brescia. Fatto

prigioniero, dalla ribelle Alessandria, morì e la linea diretta maschile degli Aleramici si estinse nel

13 1306 ed il marchesato venne ereditato da Teodoro Paleologo, figlio cadetto del basileus bizantino e di Violante di Monferrato. I Paleologi si diedero alla costruzione di un principato omogeneo e coeso con norme ed apparati adeguati alle nuove necessità. Attraverso la cultura di corte fu promossa anche, una embrionale entità "nazionale", basata, fra l'altro, sull'appoggio accordato alle classi borghesi e sul buon rapporto con i sudditi. A coronamento di questo disegno, nel 1435, fu scelta una capitale definitiva a Casale che, venendo insignita della sede vescovile, assunse una dignità pienamente urbana. Nel XV secolo gli scontri fra gli stati e le potenze dell’Italia settentrionale coinvolsero con alterne fortune il Monferrato che dovette, anche far fronte al minaccioso espansionismo dei Savoia. All'incoronazione imperiale di Carlo V il marchese di Monferrato, in ragione del prestigio del suo lignaggio, precedette tutti i principi italiani ma, solo pochi anni dopo, nel 1533, si estinguerà, anche la dinastia paleologa; dopo la verifica imperiale delle posizioni di vari aspiranti (i Savoia, ma non solo) del marchesato, fu investito Federico Gonzaga, duca di Mantova, consorte della principessa Margherita Paleologo. I successori Guglielmo e Vincenzo Gonzaga promossero numerose innovazioni politiche, amministrative ed economiche che diedero al marchesato - promosso a ducato nel 1573- una definitiva e moderna forma statale. Nello stesso tempo il territorio monferrino, per la sua posizione geografica, fu turbato da gravi conflitti: per questo sullo scorcio del XVI secolo fu edificata la cittadella di Casale. Il controllo di questa formidabile piazzaforte fu una delle cause, nella prima metà del Seicento, delle guerre di Monferrato alla fine delle quali Alba e l'Albese furono ceduti ai Savoia, mentre si aprì una grave crisi economica. Il mutamento delle alleanze condusse, nel 1680 alla cessione della cittadella casalese a Luigi XIV. Per questo, l'imperatore dichiarò il duca di Mantova reo di fellonia, sancendo la fine della secolare indipendenza dell'antico dominio aleramico che venne annesso nel 1708 al ducato di Savoia. Il Monferrato che, nonostante le riforme, aveva sempre mantenuto alcune caratteristiche di uno stato medioevale morì così di "morte feudale”. Dopo l'annessione al Piemonte, le istanze centraliste della monarchia sabauda paiono sfavorite e le identità locali accelerarono 1' oblio.

14 LA LEGGENDA DI ALERAMO

a figura di Aleramo fece fiorire nel tempo una serie di leggende. L Si narra, infatti che nel 934 un gentiluomo di Sassonia, desideroso di prole, promise a Dio di andare pellegrino a Roma se avesse avuto la grazia di un figlio. Rimasta incinta la sua sposa, i due nobili coniugi partirono per esaudire il voto. Giunti a Sezzè, nella contea di Acqui, il viaggio non potè proseguire perchè il parto era vicino.

15 Nacque così un bel bambino cui venne posto il nome di Aleramo che voleva significare "allegrezza". Trascorso un mese dall'evento i genitori decisero di proseguire il viaggio; affidarono il bimbo alle affettuose cure dei signori del luogo con l'idea di riprenderlo al ritorno da Roma. Ma il loro fu un viaggio senza ritorno, perché, sorpresi dai briganti, trovarono la morte. Rimasto orfano, Aleramo fu allevato come un figlio dai signori di Sezzè che ne fecero uno scudiero. Quando l'imperatore Ottone cinse d'assedio la ribelle città di Brescia, tra i valorosi che accorsero a prestargli aiuto c'era anche il giovane Aleramo. Tali erano la grazia e la leggiadria del giovane che l'imperatore fu conquistato e subito lo volle cavaliere della sua famiglia affidandogli il compito di servitore di coppa presso la sua mensa. Dame e donzelle non avevano occhi che per lui e se ne disputavano la compagnia e il sorriso. Anche Adelasia, detta Alasia, la figlia dell'imperatore, non seppe resistere al suo fascino e ben presto se ne innamorò. Prontamente Aleramo ricambiò l'amore ardente, anche se combattuto tra il desiderio per l'amata e la riconoscenza per il suo re cui non voleva recare torto. Ma l'amore per Alasia era forte e le parole di lei erano dolci e convincenti al punto che in una notte buia, vestiti abiti dimessi, fuggì con la sua amata. Cavalcarono giorno e notte senza mai fermarsi, sempre andando per boschi e per selve, per valli e per montagne, finchè, braccati ed inseguiti, si rifugiarono sui monti di Alberga e Petra Ardena, dove spesso Aleramo si era recato a cacciare con i signori di Sezzè. Qui, finalmente si fermarono e subito furono colti da fame e sfinimento. Scorto un fuoco in lontananza, Aleramo vi si recò e là trovò degli umili carbonai che gli diedero di che sfamare sé e la sua compagna. Il giovane accettò l'offerta di estrarre carbone con loro e ben presto si adattò all'umile mestiere. Costruì una capanna per sé e per la sua sposa e con lei visse felice e sereno per lunghi anni, dimentico di ricchezze ed onori. La vita trascorreva lieta e semplice. Molti figli rallegrarono la loro casa. Quando il maggiore di essi ebbe compiuto dodici anni, il padre lo portò con sè ad Alberga dove lo affidò al vescovo, con il quale aveva intrecciato rapporti di amicizia, perché lo facesse suo scudiero. Nel frattempo avvenne che di nuovo Brescia si ribellasse ad Ottone e che questi di nuovo richiamasse a sé i suoi fidi. Anche il vescovo di Alberga corse al richiamo del re portandosi dietro sia il figlio di Aleramo che Aleramo stesso, in veste di aiuto cuoco. Giunti sotto le mura di Brescia subito si misero sotto il comando di Ottone e presero a combattere; Aleramo si teneva in disparte ed osservava di lontano le imprese del figlio. Quando però, vide le armate di Ottone incalzate e pressate dal nemico ruppe gli indugi e, afferrato al volo un cavallo, con grande genialità e tempestività, impugnò uno stendardo con sopra paioli, padelle, catene e si precipitò nella mischia respingendo in tal modo l'assalto dei nemici, che presi di sorpresa furono messi in fuga. Con il suo ardire le sorti del combattimento si erano capovolte con grande meraviglia di tutti, soprattutto dell'imperatore che volle subito vedere l'uomo dal gesto glorioso. Aleramo inutilmente si schernì , ma messo alle strette fu costretto a rivelare all'imperatore la sua identità. Gettandosi ai piedi del sovrano gli narrò con voce commossa, ma ferma, quanto era accaduto a lui e ad Alasia a partire da quella lontana notte in cui fuggirono. Al racconto l'imperatore si intenerì, perdonò l'eroe e subito volle che fossero condotti in sua presenza la figlia amatissima e i nipoti. Si fece grandissima festa e Aleramo fu fatto marchese.

16 A lui Ottone concesse tanto territorio quanto in tre giorni potesse percorrere a cavallo in quella terra montuosa che è il Piemonte. Aleramo, cavalcando senza posa notte e giorno, su tre cavalli velocissimi, percorse tutte le terre che si estendevano dal fiume Tanaro all'Orba , sino alla riva del mare. Si dice che Aleramo, volendo ferrare il cavallo prima di intraprendere la gran corsa e non trovando strumenti idonei, si sia servito di un mattone che, appunto nel volgare di quella regione è detto “mun”, e così il cavallo fu ferrato “frrha". Di qui il nome di Monferrato. Questa leggenda offre una delle più suggestive invenzioni etimologiche del nome della regione. Passando dalla leggenda alla realtà storica, i pochi documenti esistenti ce lo presentano come figlio di un certo conte Guglielmo di origine franca e testimoniano l'investitura di molte terre nel contado di Acqui, nel 933 ad opera dei re Ugo e Lotario. Nel 940 circa, alla guida del popolo di Acqui si sarebbe ricoperto di gloria sbaragliando, nei pressi di Vinchio, ingenti forze moresche. Alcuni autori riportano tale episodio glorioso proprio al 933 e vedono nell’investitura un riconoscimento regio al valore di Aleramo. Berengario II, come già detto, lo elevò al rango di marchese, e Ottone I gli confermò la dignità marchionale ed il possesso dei comitati che la marca riuniva. Della fantastica narrazione del suo gesto glorioso vi è poca documentazione. Certo è il documento che riguarda un diploma da Ravenna a lui conferitogli in data 23 Marzo 967 che lo crea marchese delle terre tra l’Orba, il Po, la Provenza e il mare. Certo non sembra, invece, che fosse la figlia del re ed imperatore Ottone I la donna con cui fuggì Aleramo. In realtà le carte e i diplomi regi imperiali del sec. XII permettono soltanto di stabilire che il 25 luglio 933 e il 6 Febbraio 940 i re Ugo e Lotario a Pavia investono Aleramo “fedele nostro. . conte” figlio di un Guglielmo il salico o borgognone, prima della corte di Auriola e dipendenze, nel comitato vercellese, poi in altra corte in quel di Acqui; e che solo dopo il 950, cioè dopo l'avvento di Benigario II al trono, Aleramo ha la dignità marchionale. Morto prima del 991 venne sepolto a Grazzano, dove ancora oggi all'interno della chiesa parrocchiale riposano le sue spoglie. Alla sua morte la marca, di cui era titolare, venne divisa tra i figli Oddone, cui andò il comitato di Acqui e Monferrato, ed Anselmo cui toccò il comitato di Savona.

BREVE DOCUMENTAZIONE SULLA DINASTIA DEI PALEOLOGI

l marchesato del Monferrato, come abbiamo visto, si costituì alla fine del sec. X o al I principio dell’XI in seguito allo smembramento della marca di Aleramo, ma è a cominciare dalla metà del sec. XII che appare bene individuato e la sua storia è documentata.

La dinastia dei Paleologi inizia con Teodoro e conta i marchesi: Teodoro I, 1305 - 1338;

17 Giovanni II, 1338-1372; Secodotto, 1372-1378; Giovanni III, 1378-1381; Teodoro II, 1381-1418; Giangiacomo, 1418-1445; Giovanni Iv, 1445-1464; Guglielmo VIII, 1464-1483; Bonifacio III, 1494-1518; Guglielmo IX; Bonifacio Iv, 1518-1530; Giangiorgio, 1530-1533.

Le circostanze che dettero inizio a tale dinastia partono dal gennaio 1305 con la morte, senza eredi e alquanto misteriosa, del giovane marchese Giovanni I detto il Giusto. Per dirimere la complicata successione tutti i signori del marchesato, compresi i consortili montigliesi, si riunirono a Trino, accogliendo le volontà del sovrano di nominare come successore uno dei figli di Violante, sorella di Giovanni I e Imperatrice di Costantinopoli: Teodoro I Paleologo fu il primo marchese del Monferrato. Aleramici e Paleologi difesero il loro patrimonio e dettero allo stato la conquista di grossi centri urbani quali: Acqui, Alba, Casale che compensarono le perdite e allargarono i confini dello stato. L'unità del marchesato fu salvata in ogni tempo dal principio dell'indivisibilità e della primogenitura. Il potere deliberativo, come in tutti gli altri feudi, veniva esercitato dal marchese con l'assistenza di un consiglio personale composto di congiunti del signore, di vassalli, di ecclesiastici, di uomini di legge. Organi centrali di governo erano la curia, presieduta dal giudice o vicario generale a cui faceva capo: l'amministrazione della giustizia, la camera o fisco, con alla testa il maestro delle entrate, per l'amministrazione finanziaria, la cancelleria diretta dal notaio generale e dal sacro palazzo. In seguito, nella seconda metà del sec. XV, la curia fu sostituita da un senato e la sede del governo fu Chivasso fino al 1435 e dopo Casale. Un buon numero di terre e di comunità rurali dipendevano direttamente dal marchese, che le governava per mezzo di castellani o vicari o rettori o podestà. Gli altri molti luoghi erano tenuti in feudo da nobili (conti di San Giorgio, di S. Martino, marchesi del Carretto, d'Incisa, di Cortemiglia,ecc.) o da consortili di famiglie di nobili uscenti da uno stesso ceppo, i quali si davano un ordinamento simile a quello delle comunità, talvolta escludevano i rustici soggetti da ogni partecipazione al potere e, talvolta concedevano loro alcune libertà che , comunque, non li ponevano in condizioni inferiori giuridicamente a quelle che godevano gli abitatori delle comunità dipendenti dai marchesi. Altre terre venivano date in affitto o amministrate per mezzo di gastaldi. L'ordinamento finanziario, militare e giuridico non era diverso dagli altri feudi ,anche se tra il secoli XII e XV le comunità conquistarono sempre più libertà e franchigie che crearono nuovi rapporti fra il marchese e i suoi sudditi, senza per questo scuotere il dominio e gli attributi del potere del marchese. Un segno dei mutati rapporti tra il marchese e i suoi sudditi fu l’istituto del parlamento, con nobili, rappresentanti di comunità ed ecclesiastici. L'assemblea faceva sentire la sua voce circa l’indirizzo politico dello stato, dava e negava l'assenso ai sussidi richiesti dal marchese, fissava i contingenti militari che comunità e vassalli dovevano fornire. Ma nel sec. XV si ridussero le autonomie e i poteri vennero accentrati nelle mani dei marchesi, gli

18 ordinamenti si uniformarono, si formò un diritto comune del Monferrato e il parlamento nel secolo XVI scomparve. L'agricoltura fu la principale attività dei monferrini e gli scambi commerciali avvenivano tra i comuni subalpini e tra la costa ligure e l'interno. Le strade del marchesato erano: la strada lombarda che congiungeva Milano e Vercelli con Torino passando da Chiasso, quella del Grande e Piccolo San Bernardo che univa Genova con Ivrea, attraverso il Monferrato, quella che collegava Asti e Alessandria lungo il Tanaro. Vi era una sola industria tessile piccola e per il consumo locale. Le vicende esterne di questo staterello agricolo-feudale si riassumono nelle lotte continue per difendersi dalle conquiste dei vicini. Pur incapace di rinnovarsi e di espandersi esso resistette tenacemente a violenze e insidie.

19 CASTELNUOVO BORMIDA OGGI

opo aver seguito la lunga e affascinante storia del territorio valbormidese, gettiamo uno D sguardo, sia pur rapido, all'attuale Castelnuovo, ridente ed accogliente paesino del Basso Piemonte, in cui si manifesta in pieno l'espressione di un tipico paesaggio rurale immerso in una natura che ne caratterizza la bellezza e la sobrietà. Castelnuovo Bormida come i suoi antichi marchesi, è oggi retto dal suo primo cittadino Mauro Cunietti che promuove sempre più le potenzialità di questo paesino con una tale creatività che chi ne sente parlare è spinto a scendere nella piazza principale o a sostare nelle varie aziende agricole e artigianali che offrono tipici prodotti locali assai apprezzati. Non sono, però, solo le prelibatezze culinarie ad attirare il turista, ma anche il magnifico castello simbolo dello stesso paese a cui dette il nome. Il castello, maestosa struttura in mattoni e dalla vaga forma trapezoidale, ricco di torre e fossato è stato oggetto di vari interventi. Della primitiva costruzione restano una porzione della cinta muraria e la base della torre. Altri interventi vi furono, poi, tra il secolo XIV e il XVIII, ed a partire dal Settecento un'ulteriore ristrutturazione tese a trasformare il castello in signorile dimora dei marchesi Ferrari fino alla metà del secolo scorso. Chissà se anche, in questo suggestivo castello, vedremo un giorno o l'altro comparire il suo fantasma. Non priva di artistica bellezza però, è la Chiesa Parrocchiale dedicata ai SS. Quirico e Giuditta. Le prime notizie della chiesa si hanno nel XIII secolo quando viva era la rivalità tra il Comune di Alessandria e Guglielmo VII di Monferrato. All’interno è possibile ammirare pregevoli opere d'arte. La facciata in stile neoclassico venne rifatta nella seconda metà del XVIII secolo ad opera di Pietro Morinino e su disegno dell'architetto Caretto. La torre campanaria è del 1751. La piazza sulla quale si affaccia è dedicata a San Giovanni XXIII, è decorata a scacchiera e sulla stessa ogni anno si svolge la caratteristica partita a scacchi con pedine viventi in costume rinascimentale. L'oratorio della Madonna del SS. Rosario si ritiene risalente alla fine del Cinquecento; ampliato nel 1738 con l'aggiunta della parte laterale sinistra; essa costituisce oggi il prospetto principale. Lo stesso edificio, a seguito di un accurato intervento di restauro, sarà utilizzato come centro multimediale, sala congressi e biblioteca civica.

20 La Cappella dedicata all'Immacolata Concezione ("Madonnina”), costruita nel 1721, ove già precedentemente sorgeva un pilone votivo dedicato al culto mariano, denota la devozione dì Castelnuovo alla Vergine Santa.

Terminiamo qui la presentazione di monumenti di carattere religioso, proprio perché desideriamo sollecitare il turista ad introdursi in questo "viaggio" suggestivo alla volta di Castelnuovo Bormida percorrendo magari l’antica via Emilia.

21 CARATTERISTICHE GENERALI DEL MEDIOEVO

ratteremo del Medioevo per quel tanto che interessa l’intersecarsi di quanto presentato T fino ad ora e prenderemo in considerazione, seppur brevemente, il monachesimo e il feudalesimo che riassumono un po’ lo spirito di questo grande periodo. I secoli dal VI al XIV sono stati per molto tempo soggetti a condanne sommarie e ingiustificate. Queste posizioni, infatti, non reggono al vaglio della storiografia recente. Oggi si riconosce che proprio nel Medioevo ha avuto origine la civiltà europea dalla fusione tra le due nuove forze, il Cristianesimo e il Germanesimo, e i valori espressi dalla civiltà greco- romana. Va, quindi, riconosciuto che nella spiritualità e, quindi anche nella cultura del Medioevo ha avuto importanza dominante la concezione cristiana della vita, col suo richiamo alla trascendenza; e ciò lo abbiamo constatato anche, attraverso le pagine precedenti quando, ad ogni nodo viario del territorio valbormidese vi era una comunità di monaci o, anche, quando le grandi famiglie marchionali, protagoniste della nostra trattazione, facevano a gara nella costruzione di monasteri e luoghi sacri. Scrive Rodolfo il Glabro che tre anni circa dopo il Mille ci fu in tutto il mondo e specialmente in ltalia una improvvisa corsa alla ricostruzione di chiese. Ogni aspetto della vita medioevale, dei rapporti fra gli uomini e della cultura gravita, quindi attorno a questa concezione spirituale o cerca di giustificarsi in relazione ad essa. Nella vita politica e civile si vagheggia un Impero universale che raccolga in un corpo unitario tutta la cristianità, come fa la Chiesa nel campo spirituale, e le assicuri la pace e la giustizia. Il primo periodo del Medioevo è caratterizzato dall'irruzione delle masse barbariche e dal costituirsi di nuove realtà politiche e statali nell'Occidente. Nel periodo delle invasioni la civilta' antica appare come travolta: si riscontra un declino quasi totale delle città e uno spostarsi degli insediamenti umani nelle campagne, accompagnato da un forte regresso economico e demografico, per via delle continue guerre e incursioni cui tengono dietro carestie e pestilenze. Una prima forma di riorganizzazione si ha, a partire all'incirca dal secolo VIII, con gli ordinamenti feudali, che, se assicurano forme più efficienti di governo e di difesa, comportarno tuttavia, una netta separazione fra le aristocrazie (nobili, alto clero) e le classi produttive (contadini, artigiani). Il secondo periodo ha inizio, all'incirca, intorno al Mille, quando la fine delle invasioni consente un modello di società più ordinato e più stabile. Si sviluppa così la vita economica, si ha un risoluto incremento demografico, dal rinnovamento della vita religiosa, operato da alcuni grandi pontefici e dagli Ordini benedettino, francescano e domenicano, dalle lotte fra Chiesa e Impero e fra Impero e Comuni emerge una concezione nuova dei rapporti umani. In quest'età ricca di contrasti la civiltà borghese del Comune porta all'affermarsi dì una nuova mentalità realistica, di una vita attiva e intraprendente, anche se la borghesia non riesce a sostituirsi pienamente come classe egemonica al mondo feudale. Nel campo delle lettere, delle arti e della cultura si ha il fiorire di una vita nuova: l’Europa si riveste delle grandi cattedrali romaniche e gotiche.

22 MONACHESIMO E FEUDALESIMO

ra le istituzioni ecclesiastico-religiose si distinse il monachesimo, fiorito in Oriente F secondo ideali ascetici e di fuga dal mondo e affermatosi in Occidente sulla base della vita cenobitica. L' esponente più noto di tale eccezionale forma di religiosità fu San Benedetto da Norcia (480-543), dapprima ritiratosi a Subiaco e, poi, nel 529, definitivamente stabilitosi a Cassino, ove dette vita all'Abbazia divenuta fra i centri più significativi della civiltà cristiana durante l'età di mezzo. A Montecassino, infatti fu emanata e diffusa la Regola, presto diventata la norma volta a guidare la vita di tutto il monachesimo occidentale. La Regola costituì la somma della saggezza romana e dell’umanitarismo e del solidarismo cristiano; essa si basò sulla rinuncia ai beni nonchè sulla preghiera e sull'esercizio di concrete attività lavorative. Il suo spirito si condensò dunque nell’espressione Ora et Labora, volta a conferire al lavoro stesso una funzione di elevazione e di redenzione pari alla preghiera. L’Italia e l'Occidente cristiano andarono popolandosi così di cenobi retti da abati. Nel corso dei secoli le abbazie divennero centri di alta spiritualità e di cultura: esse conservarono e tramandarono, infatti un alto numero di codici relativi ad opere della latinità classica e medievale. Dal VI all’VIII seco1o si moltiplicarono così i cenobi tanto che potè parlarsi di una vera e propria “età monastica”: sorsero così un’infinità di chiostri tra i quali ricordiamo quelli già nominati nella nostra trattazione, e cioè quelli della Novalesa e di Nonantola. Di un altro evento, che si intreccia alla nostra storia, dobbiamo, tuttavia fare cenno prima di dedicarci al delinearsi del vero e proprio Feudalesimo: intendiamo riferirci al cosiddetto incastellamento, ovvero al diverso rapporto che si venne creando a livello locale tra i signori e i territori da essi amministrati. Del fenomeno saranno protagonisti l'imperatore e i pochissimi grandi proprietari a lui in tutto fedeli che furono gli unici in grado di disporre di terreni e di assegnarli, mentre gli altri sudditi contarono assai poco e furono utilizzati, soprattutto per la coltivazione dei campi e per l’attività militare. Dopo l'età carolingia invece, quando l’autorità imperiale s'incrinò fortemente, i benefici vennero assegnati da un potere centrale più articolato e i grandi proprietari riuscirono ad emergere in quanto si sostennero a un gruppo attivo e produttivo di sottoposti. Nel secolo X il ceto dei sudditi fu coinvolto da un sistema nuovo e importante per i risultati raggiunti dal punto di vista economico e sociale: l'incastellamento, che può essere facilmente spiegato. Signori sia laici che ecclesiastici, i quali ebbero volontà e bisogno di accrescere le loro rendite fondiarie e rendere più sicuro il loro territorio da incursioni e invasioni, assunsero l’iniziativa di dar vita a nuovi centri fortificati denominati castra o castella in luoghi precedentemente spopolati e non coltivati. Lì si insediarono gruppi di famiglie e si crearono nuclei che divennero avamposti destinati a difendere il resto della contea da assalti e offese di vario tipo. Il fenomeno fu notevole in quanto si sviluppò in tutto l'Occidente cristiano, finendo col modificare l'intera struttura socio-economica e politica del continente. Esso ebbe anzitutto, la conseguenza di trasformare i precedenti insediamenti definiti a nebulosa

23 nell'Alto Medioevo in una espansione programmata che dette luogo alla costituzione di una nuova cellula, ossia alla castellania. L'incastellamento finì per imporsi piuttosto, agevolmente sulla vecchia curtis e favorì tentativi di dissodamento massicci e di bonifiche in precedenza attuate in misura assai ridotta. Alla lunga esso favorì un'economia di mercato che si sviluppò in nuovi borghi sorti nelle vicinanze del castello, a volte all’interno delle sue stesse mura, a volte al di fuori di esse, originando il potenziamento dei borghi. Con l’incastellamento e l'incremento dell’agricoltura e dell’economia l'Occidente cristiano cominciò, pertanto, a modificarsi e a ricomporsi dal basso, creando una geografia socio-politica diversa. Se, dunque ai tempi di Carlo Magno il potere, oltre che in mano dell'imperatore, era in quelle dei grandi proprietari terrieri, con l'infittirsi dell’incastellamento, si generò un vero e proprio pullulare di piccoli signori che vennero considerati “re nel loro territorio", dai quali non fu possibile a- spettarsi una cieca obbedienza e che dovettero essere continuamente guadagnati e attratti dalla parte dell'imperatore e della proprietà. Nel 924, dopo la scomparsa di Berengario I re d’Italia, l’Occidente non conoscerà più un solo imperatore ma, l’insieme di più sovrani tutti, in certa misura, discendenti dal primitivo ceppo carolingio. Non tenteremo, a questo punto, di fare una fotografia completa della situazione politica dell'Occidente. Basterà dire, tuttavia che in Italia si rafforzò un regno con capitale in Pavia, che seppe difendere la Penisola da Ungheri e Saraceni. In Germania Enrico di Sassonia svolse una notevole funzione di recupero. Suo figlio Ottone I, nel 936, fu incoronato re di Aquisgrana alla presenza di altri numerosi signori territoriali e di proprietari di castelli che lo sostennero. Sarà Ottone che cercherà di fare della Chiesa l'istituto centrale del regno, dando autorità a numerosi vescovi dotati di prerogative, anche comitali. Ottone si inserì, inoltre nelle vicende interne dei singoli regni e, in particolare, di quelle del regno d’Italia. Nel 961 poi, egli venne chiamato da papa Giovanni XII che in Roma, il 2 febbraio 962 gli conferì la corona imperiale. In tal modo sembrò risorto a nuova vita il Sacro Romano Impero la cui base sociale ed economica fu largamente rafforzata dal ricordato evento dell'incastellamento e dallo sviluppo programmato della terra, l'elemento su cui si basò la potenza politica di Carlo Magno prima e di Ottone il Grande poi. Con la creazione ed il rafforzamento della nuova dignità imperiale e la formazione della Signoria rurale che consistette anzitutto, nella delega non giuridicamente assegnata, ma attuata di fatto, del potere di competenza dello Stato ai maggiori proprietari terrieri, questi ultimi, basandosi sulla loro potenza economica e sul loro patrimonio, esercitarono un reale e concreto predominio su quanti risiedettero sulle loro terre. Non tratteremo ora il Feudalesimo per filo e per segno, daremo soltanto alcune indicazioni utili a comprendere gli elementi essenziali del Feudalesimo stesso. La società feudale raggiunse il suo acme nel XII secolo, allorché in maniera sistematica i re francesi organizzarono il feudo nel loro regno e allorché i grandi feudatari, ossia i vassalli, titolari dei feudi maggiori, suddivisero a loro volta i possedimenti in feudi minori affidati ai valvassori e anche questi infine, crearono ulteriori suddivisioni di fondi assegnati ai cosiddetti valvassini. Lo stesso metodo venne attuato in Inghilterra con Guglielmo il Conquistatore ed Enrico I. In Germania il Barbarossa dette vita ad una spartizione ampia delle sue terre. Il feudo, comunque fu sinonimo di Medioevo, anzi possiamo dire che la prima età feudale va

24 dall'anno Mille all'incirca fino al 1160 e può denominarsi l'età dei castelli indipendenti. La seconda età feudale è stata, invece posta fra il 1160 e il 1240. Tornando, comunque ad Ottone I, con la sua incoronazione oltre ad assistere alla resurrezione dell'impero carolingio, vediamo che la società feudale assunse il suo aspetto più definitivo e completo. Tuttavia, fra l'impero carolingio e quello ottoniano debbono registrasi talune differenze che non staremo qui ad elencare e trattare, anzi termineremo qui l'argomento per immergerci nel mondo suggestivo e avventuroso della cavalleria.

LA CAVALLERIA

25 er comprendere il fenomeno della cavalleria bisogna tenere conto che essa prima di essere P un'istituzione storicamente riscontrabile, fu un'idea, fondata sulla pratica di alcuni comportamenti essenziali, attinenti a valori quali l’amicizia, la lealtà verso i propri nemici, il rispetto per la parola data, la pietà verso l'avversario battuto sul campo, la protezione dei deboli e la solidarietà verso il “popolo di Dio”, cioè l'umanità intera, nella sua globalità. Innestandosi su questo tessuto di valori, la fedeltà verso un signore o una fratellanza d'armi, si ebbe l'istituzionalizzazione della cavalleria e il suo ordinamento, quindi l'inizio della fase storica. La sovrapposizione o l'affiancamento della spiritualità religiosa a tali legami, con l'obbligo di difendere la fede contro qualsiasi nemico, completarono la sintesi di quelli che potremmo definire i caratteri essenziali della cavalleria. A questi se ne aggiunsero via via degli altri, determinati dalla contingenza storica e locale, man mano che gli ordini proliferarono in Europa e altrove. Per accedere alla comunità cavalleresca era richiesta una iniziazione complessa, una vera e propria investitura spirituale, che comportava il superamento di prove volte a sondare la volontà (e la capacità) di adempiere gli obblighi che la condizione di cavaliere comportava. Tale investitura poteva avvenire sul campo, da parte del signore o di un capo rappresentativo della sua autorità, di fronte a manifestazioni di generosità e di coraggio che già di per sè stesse corrispondevano al superamento delle prove altrimenti previste. Avveniva, però, il più delle volte, presso la corte del signore che il cavaliere si accingeva a servire, a conclusione di un tirocinio iniziato fin dall’adolescenza. Le origini della cavalleria sono leggendarie, ma la leggenda esprime in termini fantastici una realtà primordiale attendibile, in qualche modo riconducibile all'oscurità di un'età remota. Scrive Raimondo Lullo in un suo libro sulla cavalleria: “Vi fu in origine un evo barbaro, nel corso del quale scomparvero dal mondo la lealtà, la solidarietà, la verità e la giustizia, per cui dilagarono slealtà, inimicizia, ingiuria e falsità, provocando orrore e disordine nel popolo di Dio". Fu necessario, quindi restaurare la giustizia perduta e fu scelto da ogni mille uno che si distinguesse dagli altri per gentilezza d’animo, lealtà, saggezza e forza. A quest'uomo così straordinario fu dato per compagno quello che fra tutti gli animali è il più bello, il più veloce, il più pronto ad affrontare qualsiasi sacrificio, il più adatto a servire l'uomo, cioè il cavallo. Chi non ricorda nella leggenda cavalleresca ben lontana da qualsiasi riscontro storico, Re Artù e La Tavola Rotonda e Lancillotto e Ginevra; ma il passaggio dalla leggenda alla storia lo segnano i paladini di Carlo Magno. Se si volesse stabilire una data di trapasso dal mito alla realtà la si dovrebbe individuare nella notte di Natale dell’800, allorquando Carlo Magno cinge con la benedizione del pontefice Leone III la corona di sacro romano imperatore. Solo a quel punto la cavalleria esce dal sogno e tutto quello che era stato retaggio di fiaba diventa materia storica. E' così che intendiamo terminare il nostro breve viaggio attraverso il tempo e ci piace immaginare il valoroso Aleramo in sella al suo destriero percorrere a spron battuto queste nostre rigogliose e verdeggianti terre e chissà che qualcuno percorrendo la via Emilia verso Castelnuovo Bormida non

26 lo intraveda.

BIBLIOGRAFIA GENERALE

L'Italia nel Medioevo: Ludovico Gatto; Il Medioevo: Ludovico Gatto; Mille anni di storia: Rosario Villari; Storia d'Italia: Einaudi; Storia ed epopea della cavalleria: Franco Cuomo; Notizie sugli Aleramici: Enciclopedia Treccani vol. II; Una storia di contese e spartizioni: Carmelo Prestipino; Scrittori e critici: Mario Pazzaglia; Il feudalesimo: Ludovico Gatto; Libro dell'ordine della cavalleria: Raimondo Lullo.

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