I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 127

IL FASCISMO DI SINISTRA A TRIESTE NEL QUINQUENNIO 1922-1926

IVAN BUTTIGNON CDU 329.18(450.361)”1922/1926” Università di Trieste Saggio scientifico originale Gennaio 2012

Riassunto: Questo articolo scientifico esplora ed esamina il tema della complessità struttu- rale del Partito nazionale fascista triestino. Più precisamente, intende mettere in evidenza i tratti specifici delle componenti cosiddette “di sinistra” e indagare le evoluzioni di queste dal 1922 al 1926. Il periodo che va dall’ascesa al potere dei fascisti alla confluenza nel Pnf locale da parte delle organizzazioni combattentistiche democratiche e repubblicane (in altre parole, la “sinistra nazionale”) è particolarmente rilevante perché permette di coglie- re le dinamiche politiche tutte interne al Partito. Spesso le manovre politiche dell’ammini- strazione cittadina rappresentano reazioni di assecondamento o di contrapposizione, rispetto alla minoranza “di sinistra”. Da lì si risale ai condizionamenti operati dal “fascismo progressista” in seno alla compagine amministrativa. Summary: “Leftist” (fascism “of the left”) of the five year period in Trieste 1922-1926 - The present scientific article explores and examines the theme of structural complexity of the of Trieste. More precisely, it’s intended to highlight the specific features of the members of the so-called “Leftists (di sinistra)” and investigate the evolution of these from 1922 to 1926. The period between the rise to power of fascists to the confluence of the local National Fascist Party (PNF) of the veterans’ democratic and republi- can organizations (in other words, the “National Left”) is particularly important because it allows us to capture all the political dynamics inside the Party. Often the political maneuvers of the municipal administration are reactions of appeasement or contrast, as compared to the “Leftist” minority. From there it goes back to the influences made by the “Liberal Fascism” within the administrative structure.

Parole chiave / Keywords: Trieste, Partito nazionale fascista di Trieste, fascismo di confine / Trieste, National Fascist Party of Trieste, Border Fascism.

Un quadro d’insieme

“Si tratta di guardare dentro queste realtà complesse. Il fascismo è come la balena di Moby Dick, una ricerca senza fine, seguendo l’interesse psicologico e umano per un certo tipo di personaggio, il fascista delle origini, dalla coerenza fisica e luciferina ma disinteressato, come i giacobi- 128 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

ni, con quel loro quid psicologico inafferrabile”1. Così sentenzia lo storico Delio Cantimori, prima mazziniano, poi aderente al fascismo e infine comunista, che invita a non considerare il fascismo come una unità, un blocco granitico, cosa che appunto non è mai stato. Dentro e attorno al Partito, operano diversi gruppi politici, che qual- cuno definisce componenti ma che sono, de facto, macrocomponenti. Sovente si confonde il fascismo con una forza reazionaria. Bene, quella è solo una macrocomponente del fenomeno fascista, precisamente quella dei conservatori, vale a dire la destra, propensi alla conquista dello Stato in chiave autoritaria ma passando attraverso il Parlamento, senza quindi passaggi più o meno rivoluzionari. La seconda macrocomponente è quella dei revisionisti, capeggiata da Giuseppe Bottai con la sua “Critica Fasci- sta”, ma seguita anche da Augusto De Marsanich, il sindacalista rivoluzio- nario e anarchico Massimo Rocca, nonché le riviste come “Nuovo Paese”, “Epoca” e “Il Corriere Italiano”2. Ad affiancare i revisionisti, con un pizzico di carica rivoluzionaria in più, intervengono “La Rivoluzione Fa- scista” a Pisa e poi a Firenze, diretta da Gherardo Casini e da Nino Sammartano; “La Montagna”, di Bruno Spampanato a Napoli; la “Gran- de Italia”, di Guido R. D’Ascoli ad Ancona. Infine, la più radicale di tutte, tanto da venire sconfessata, “Polemica Fascista” di Avolio Cipriani3. Questi auspicano la “normalità”, intesa come pace sociale e istituzio- nale, per iniziare così un processo di rinnovamento culturale del fascismo. Ciò è da leggere come una reazione alla perdita di identità del fascismo, causa la fronda conservatrice che appiana le istanze rivoluzionarie del fenomeno. Il gruppo politico più consistente del e nel fascismo è quello degli “intransigenti”, composto da coloro che sostengono la creazione di uno Stato nuovo e che si trovano in contrasto con tutti i principi di fondo del Governo Mussolini4. L’“intransigentismo” conosce al suo interno diverse componenti. In

1 G. BOCCA, Il filo nero, Mondadori, Milano, 1995, p. 11. 2 R. DE FELICE, Mussolini il fascista (1921-1925) 1. La conquista del potere, Einaudi, Torino, 1966, pp. 318-517. 3 G. PARDINI, Curzio Malaparte. Biografia politica, Luni Editrice, Milano-Trento, 1998, pp. 110-111. 4 R. DE FELICE, Mussolini il fascista I. La conquista del potere (1921-1925), Einaudi, Torino, 2005, pp. 540-547. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 129

primis la sinistra sansepolcrista, fedele al programma repubblicano e di estrema sinistra dei Fasci di Combattimento. Poi, i sindacalisti integrali, che propongono l’inquadramento del leghismo autonomo dei ceti padro- nali in un’unica organizzazione, nella quale sarebbero presenti anche le organizzazioni dei lavoratori5. Ancora, i vari futuristi, dannunziani, arditi che hanno già conosciuto una rottura con Mussolini ai tempi del congresso dei Fasci del 24-25 maggio del ’20 e che mal sopportano le sbandate a destra del Duce. Infine, i farinacciani, spesso definiti dalla storiografia “intransigenti stricto sensu”. L’arcipelago “intransigentista”, “movimentista”, che comprende tutte queste isole, può allora definirsi degli “intransigenti lato sensu”. All’inter- no di questo cartello agiscono varie posizioni, che si confrontano in un coacervo di interessi e volontà rivoluzionarie6. Capita sovente che la Sinistra fascista, poco rappresentata a Roma, si schieri contro i presunti estremisti che a Roma vivono da nababbi recitan- do da commedianti in Parlamento. Un attacco eloquente al finto estremi- smo proviene per esempio da Malaparte, che nel suo articolo “Di’ ben so’, fantèsma... ovvero i nuovi compiti dell’estremismo” discerne i falsi fascisti dagli estremisti veraci. “De Bono, al quale va oggi, ancora una volta, il nostro affettuoso e deferente saluto di fedeli gregari della Rivoluzione d’Ottobre, – spiega Malaparte – non è un fantasma. Italo Balbo non è un fantasma. Ma sono fantasmi, e dei più pericolosi, tutti quei capi mediocri che, dopo essersi trastullati per mesi e mesi con gli strumenti del potere senza mai riuscire a combinare qualcosa di sodo e di serio, ingannando in tal modo il Fascismo e la Rivoluzione, si aggrappano oggi alle falde di questo o quello, facendo risonare coi gomiti i “tam-tam” e i “gongs” dell’estremismo, con la speranza di sorprendere la buona fede e l’ingenui- tà degli estremisti e di spuntar nuovamente fra le quinte a far l’attor giovine della commedia politica”. L’estremismo parolaio e opportunista dei “fantasmi” va soppiantato dall’“estremismo necessario” e disinteressa- to dei veri fascisti. Ecco quindi il rimedio: “Conviene che i valorosi e generosi squadristi si guardino dall’estremismo interessato dei fantasmi, i quali risiedono per lo più a Roma, dove brancolano e cianciano, parlando

5 I. BUTTIGNON, Compagno Duce. Fatti, personaggi, idee e contraddizioni del Fascismo di sinistra, cit., p. 46. 6 G. PARDINI, Curzio Malaparte. Biografia politica, cit., p. 110. 130 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

male di Tizio e Caio e mostrandosi irriverenti perfino nei riguardi del Duce. È necessario che tutti i fascisti si rendano conto che un solo estre- mismo è legittimo e ammissibile: quello che non mira a soddisfare i rancori e i puntigli dei capi di secondo ordine andati a male per insufficienza propria, ma tende a creare e a mantenere nel partito un clima di passione e di fede indispensabile al sempre maggior potenziamento della Rivolu- zione”7. Il lato sensu dell’intransigenza fascista, particolarmente forte nella Valle Padana e in Toscana, è compatto e fermissimo nelle posizioni fondamentali: per esempio sono contrari alla fusione con l’Associazione Nazionalista del ’23 e alla collaborazione con i Combattenti dell’ANC e i Mutilati dell’ANMIG. I primi sono infatti conservatori (liberali di destra) e le altre due organizzazioni sono di ispirazione moderata, se non addirit- tura liberalsocialista. Il “cartello intransigentista” è inoltre compatto, manganello alla mano, nel rilancio della famigerata “seconda ondata squadristica”8. Ancora, il conte Fani Ciotti, in arte Volt, fascista rigorosamente “di destra”, individua cinque tendenze principali all’interno della compagine fascista: un’estrema sinistra di Suckert e dei repubblicani nazionali; un centro sinistra di Rossoni, Grandi, Panunzio, Olivetti, Ciarlantini, ecc. che rappresenta “in seno al fascismo, il gruppo più numeroso”9; un’estrema destra, vale a dire il gruppo de “L’Impero”; un centro destra, composto da ex nazionalisti e dagli integralisti stile Bottai; una frangia revisionista collegata al gruppo fiorentino di “Rivoluzione Fascista”10. Va molto di moda, nella misura in cui non se n’è parlato per tanto tempo, il processo di redenzione che un numero elevatissimo subisce negli anni Quaranta, passando dalle fila fasciste (spesso con compiti di rilievo: intellettuali, ufficiali della Milizia, Segretari di varie Opere…) a quelle di estrema sinistra, in primis marxista. Questi protagonisti del trapasso - comunista sono, durante il Ventennio, giovanissimi “di fede”. Giovani che credono ciecamente e spesso gratuitamente in Mussolini11 e nel suo Sta-

7 Il Selvaggio, 5-11 luglio 1925, n. 22-23. 8 G. PARDINI, Curzio Malaparte. Biografia politica, cit., pp. 112-113. 9 Corsivo mio. 10 Volt [V. Fani Ciotti], “Le cinque anime del fascismo”, in Critica Fascista, 15 febbraio 1925. 11 Le colpe degli errori del Regime sono sistematicamente attribuite agli altri, escludendo puntualmente il Duce dal novero dei responsabili. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 131

to12. Giovani che sognano costantemente un ritorno al fascismo delle origini (un mito che non hanno vissuto e del quale sentono solo parlare) e la possibilità di realizzare, prima o poi, la tanto agognata rivoluzione sociale13. La loro giovane età non li aiuta nel ricordare le diverse svolte a destra di Mussolini, cui la prima, com’è noto, si concretizza già nel ’20, ben due anni prima della celebre ascesa al potere. In conseguenza alla sconfitta elettorale del ’19, infatti, il fascismo inizia un cambiamento di rotta, che viene sancito al congresso nazionale di Milano (24-25 maggio 1920). Abbandona il programma radicale del 1919 e i tentativi d’intesa con le altre sinistre interventiste e nazionali (repubblicani, socialisti nazionali, nazionalisti democratici, libertari dannunziani) per riproporsi come orga- nizzazione politica della borghesia e dei ceti medi che non si riconoscono nei partiti tradizionali e nello Stato liberale in generale. Questa svolta politica provoca la frattura con i futuristi, con gli arditi e con D’Annunzio. Proprio il poeta, qualche mese dopo, è costretto con la forza ad abbandonare l’avventura fiumana alla fine del 1920 (“Natale di sangue”). È Giolitti l’artefice dell’azione coercitiva, svolta in ottemperan- za al Trattato di Rapallo stipulato fra l’Italia e la Jugoslavia (12 novem- bre). Questo patto riconosce alla città adriatica lo status di “territorio libero”14; libero ancora per poco, visto che diventa italiano con il Trattato di Roma del 27 gennaio 1924. Le tensioni tra i fascisti e quei movimenti (dannunziani, futuristi, arditi) sono parzialmente sanate grazie a un fattore che si rivela presto formidabile. Quello fascista è l’unico partito in grado di far proprie le istanze che questi promuovono, che sono soprattutto insurrezionali e nazionalistiche. Nonostante gli slittamenti a destra, quindi, l’asse fascismo – movimenti sembra tenere. Mussolini riesce quindi a evitare (ma non sempre) scontri frontali con

12 Che i protagonisti del passaggio tra il fascismo e la sinistra del dopoguerra siano, quasi esclusivamente, i “giovani del regime” è ben chiaro. Le generazioni difficilmente possono, infatti, essere confuse: quella che sul finire dell’età liberale aveva appoggiato, tollerato o subito l’avvento del fascismo al potere si oppone politicamente e culturalmente a un’altra. E cioè quella che si trova oggetto di indottrinamento nella fase cruciale della propria formazione. S. LUPO, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, Donzelli, Roma, 2000, p. 405. 13 P. BUCHIGNANI, Fascisti rossi. Da Salò al Pci, la storia sconosciuta di una migrazione politica 1943-53, Mondadori, Milano, 2007, p. 20. Nella Rsi Mussolini sarebbe tornato “alle sue origini socialiste” ed il “suo testamento spirituale e politico” sarebbe costituito dal Manifesto di Verona. 14 E. GENTILE, Fascismo. Storia e interpretazione, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 10. 132 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

l’universo movimentista e scollamenti da parte dei giovani fascisti di sinistra. Tutti giovani, questi, che non perdono di vista, e anzi propugnano con forza, gli ideali rivoluzionari e socialisteggianti del fascismo sansepolcrista. Sono quelli che si riconoscono in specifici settori culturali fascisti: dal sindacalismo rivoluzionario al futurismo, dal repubblicanesimo mazzinia- no al socialismo risorgimentale, dall’anticlericalismo radicale al populi- smo antiborghese, dallo squadrismo alla mistica del lavoro e della tecnica. Tutte sezioni che vanno a comporre una macrocomponente massiccia ma tormentata; tesa tra l’adesione autentica al fascismo (di solito, eccessiva- mente idealizzato) e la tendenza al dissidentismo (paradossalmente, sem- pre in nome del “vero” fascismo). Dissidentismo combattuto tra la condi- visione sincera dei miti fascisti e l’avversione nei confronti della élite fascista, troppo compromessa con il retaggio liberale ottocentesco15.Èla componente dei fascisti, come loro stessi amano qualificarsi, rivoluzionari. D’altronde, anche la storiografia contemporanea, specialmente dopo la lezione defeliciana, riconosce l’esistenza, prima che la convivenza, di diverse anime che strutturano il fenomeno fascista16. Come testimonia anche Giorgio Bocca, che il fascismo lo vive internamente, c’è un fascismo di sinistra, uno clericale, uno monarchico, uno agrario, uno dei manganel- latori nemici giurati dei cattolici di don Sturzo. Tutti all’ombra di Musso- lini, ma tutti, a volte profondamente, diversi17. Anime diverse, quindi, ognuna con la propria specificità. E ognuna portatrice, all’interno dell’allora costituendo fascismo, di una buona dose di complessità. L’eterogenea impostazione ideologica del movimento fa- scista, difatti, conferisce al regime seri motivi di dibattito. Dibattito spesso acceso e talora decisamente violento18. Dibattito che, come vedremo, appare assolutamente endemico al fascismo. In barba a tutte le imposta- zioni teoriche che dipingono il fenomeno come un blocco granitico. Visio-

15 G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, Il Mulino, Bologna, 2000, p. 14. 16 Ibidem, p. 8. Renzo De Felice non è il primo studioso del fenomeno a evidenziare la poliedricità del fascismo. Già nel 1925, Volt individua cinque componenti politiche del fascismo. All’estrema sinistra colloca Malaparte e i repubblicani nazionali, al centro sinistra i sindacalisti rivoluzionari, al centro destra gli ex nazionalisti e i bottaiani, all’estrema destra il gruppo de “L’Impe- ro” e gli ultimi epigoni del revisionismo. Volt [V. Fani Ciotti], “Le cinque anime del fascismo”, cit. 17 G. BOCCA, Il filo nero, Mondadori, Milano, 1995, p. 76. 18 G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, cit., pp. 8-9. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 133

ne che è stata smontata da Delio Cantimori in tempi cui parlarne poteva costituire un rischio sociale (non era infrequente venire emarginati dall’arena intellettuale se boicottati) ma anche biologico.

Destra contro sinistra fasciste

Il fascismo rivoluzionario, definito altrimenti “di sinistra”, coincide in buona parte con quello che il più grande storico del fascismo di ogni tempo definisce Movimento. Ossia quell’area politica dalle velleità tipicamente rivoluzionarie che si contrappone al Regime, che si considera struttural- mente compromesso con la classe dirigente dell’“Italietta” liberale, e perciò tendenzialmente conservatore. È una dicotomia, quella di Renzo De Felice che suggerisce forse una diarchia. Il potere politico (e non solo quello) alberga infatti tanto nel Regime, alleato con le forze tradizionali ad esso antecedenti, quanto nel Movimento, riferimento delle avanguardie, degli intellettuali e delle organizzazioni, sindacali e non. Puntualizza così Emilio Gentile: “La tensione tra movimento e regime aveva, quindi, caratteristiche propriamente fasciste e si manifestava nell’impazienza del movimento per il modo in cui il fascismo procedeva verso l’attuazione dello Stato totalitario”19. Il movimento accuserà il regi- me di poggiarsi su un equilibrio, ambiguo e confuso, fra autoritarismo e totalitarismo. Equilibrio che è risolto in maniera anomala; e cioè con l’assenza di dinamismo sociale e quindi nel mantenimento dei privilegi borghesi della società italiana20. Addirittura, c’è chi, come il direttore del giornale “Lavoro Fascista”, Fontanelli, pone insistentemente le condizioni per un vero e proprio sganciamento del Movimento fascista dal Regime.Le condizioni di questo sganciamento sono in seguito addirittura ufficializza- te dallo stesso Fontanelli, assieme ad altri sindacalisti, attraverso il prome- moria che invia a Pavolini il 27 novembre 194321. Posizione estrema e isolata quella di Fontanelli, ma che tradisce una forte frizione piuttosto condivisa nei settori più politicizzati della dittatura fascista.

19 E. Gentile, Il mito dello Stato nuovo dall’antigiolittismo al fascismo, Laterza, Roma-Bari, 1982, pp. 236-237. 20 G. PARLATO, La sinistra fascista. Storia di un progetto mancato, cit., p. 176. 21 U. MANUNTA, La caduta degli angeli. Storia intima della Repubblica Sociale Italiana, Azienda Editoriale Italiana, Roma, 1947, pp. 151-168. 134 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

Ciò che i fascisti di sinistra osteggiano in modo risoluto è il persistente tentativo (in gran parte riuscito) della componente nazional-conservatrice di impedire l’instaurarsi di un sistema totalitario22. Sistema bramato, inve- ce, da tutta la porzione di sinistra del fascismo, che lo considera meta finale (o forse è meglio definirla iniziale) del percorso rivoluzionario. Meta che, seppur definita in modo preciso nei programmi e nello spirito del fascismo, non sarà mai completamente raggiunta. Ecco perché il totalitarismo del fascismo italiano si dice incompiuto. In altre parole, lo Stato fascista italiano non risulta essere, in alcun momento della sua storia, uno Stato compiutamente totalitario. E proprio questa manchevolezza del progetto totalitario ha permesso la persistenza di quei poteri forti prefascisti (Chiesa Cattolica, Corona e Senato del Regno, Esercito, Magistratura, Amministrazione, struttura economica privata) che condizionano il Regime, impedendo una totale fascistizzazio- ne del paese23. Ricordiamo anche che nella pubblica amministrazione fascista la componente (più o meno) conservatrice rappresenta la schiac- ciante maggioranza. Tanto che, almeno fino allo scoppio della guerra d’Etiopia, è quella che, nientemeno, determina in gran parte le linee guida del Regime. Il tentativo messo in atto dal fascismo attraverso le organizzazioni di massa (dai sindacati alla Milizia) è quello di “occupare” sia lo Stato che la società. E di riplasmare così questi due ambiti, facendo leva soprattutto sui giovani. Da questo punto di vista il Regime fascista si rivela decisamente totalitario, almeno nei presupposti teorici. Ma alle intenzioni non sempre corrispondono i risultati. Questa volta non corrispondono affatto. E le ragioni sono diverse. Il fascismo, nel tentativo di permeare di sé la società, incontra diversi e complessi ostacoli. Il maggiore si rivela essere, senza ombra di dubbio, la Chiesa. L’Italia di allora conta un mastodontico 99% dichiarato di fede catto- lica. La pratica religiosa è diffusa in modo a dir poco capillare. Le parroc- chie rappresentano spesso l’unico centro di aggregazione sociale e cultu- rale. Governare contro la Chiesa o senza trovare con questa un modus

22 G. PARLATO, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948,Il Mulino, Bologna, 2006, p. 17. 23 M. GASLINI, Sulla „Struttura“ degli Enunziati costituzionali, Giuffrè Editore, Milano, 2002, pp. 3-4. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 135

vivendi è pressoché impossibile24. Ma è anche vero, dopotutto, che con l’avvento (febbraio ’22) del nuovo papa Pio XI, le tendenze più conserva- trici riprendono il sopravvento. Il nuovo corso del Vaticano è quindi favorevole a quello politico. Un accordo con la Chiesa, così, è da una parte obbligatorio e dall’altra vantaggioso25.

Di sinistra. Ma fascista

Già all’indomani dell’ascesa al potere del fascismo, il deragliamento del Duce e del suo Regime verso la sponda reazionaria non comporta, come abbiamo visto, un’emorragia di rivoluzionari. Diventa però ben presto motivo di contrasti e divisioni all’interno del fenomeno fascista. Discussioni sostenute proprio da quei fascisti che si dicono di sinistra. Le divergenze politiche tra questa parte e quella “del compromesso” con la Corona e il mondo capitalista e affarista (quei fiancheggiatori che Mussolini nel ’44 indicherà quali attori principali della disfatta italiana), iniziano a distinguersi in maniera lampante. L’atteggiamento del Duce è talvolta altalenante, al limite del parossi- stico. Spesso è proprio lui, in prima persona, a disegnare scenari che mettono in seria difficoltà i volti più noti della componente “di sinistra”. Capita per esempio che siano estromessi dalle cariche apicali i soggetti più intransigenti (soprattutto futuristi, sindacalisti rivoluzionari, “ex” socialisti massimalisti e farinacciani della prima e dell’ultima ora) e che siano trapiantati in terreni dove il germe rivoluzionario non possa sbocciare. Infatti, Mussolini inserisce a forza talune “teste calde” rivoluzionarie in ambienti istituzionali e, preferibilmente, centrali (dove cioè non è possibile coltivare un proprio orticello: il caso dei ras – plenipotenziari

24 G. SABBATUCCI, V. VIDOTTO, Storia contemporanea. Il Novecento, Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 139. È anche vero, di converso, che dopo l’avvento (febbraio ’22) del nuovo papa Pio XI, le tendenze più conservatrici stanno riprendendo il sopravvento. Un accordo con la Chiesa, quindi, è sì obbligatorio ma anche relativamente agevole. Ibidem, p. 83. Questa prospettiva sarà infatti tradita dai fatti l’11 febbraio 1929, con la firma dei Patti Lateranensi. Patti negoziati tra il cardinale Segretario di Stato Pietro Gasparri per conto della Santa Sede e , capo del Fascismo, come primo ministro italiano. I Patti vanno a regolare i rapporti tra il Regno d’Italia e lo Stato della Città del Vaticano, prima disciplinati dalla “legge delle Guarentigie”, approvata dal Parlamento italiano il 13 maggio 1871 dopo la presa di Roma. 25 G. PARLATO, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, cit., p. 22. 136 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

Berto Ricci, fascista di sinistra nelle loro province – insegna). Estrapolandoli da un contesto politico e inserendoli in uno più “tecnico”, il Duce fa sì che questi gerarchi recitino una parte differente, normalizzata. Due paradigmi in questo senso sono Ricci e Turati, protagonisti passivi del processo normalizzatore di segno mussoliniano. Il primo, da istigatore dello sciopero di Carrara diventa capo dell’Opera nazionale balilla. Il secondo, organizzatore in pompa magna della protesta degli operai bresciani, sostituisce Farinacci alla guida del Partito nazionale fascista. Né l’uno né l’altro dei due pericolosi bolsce- vichi del 1925 si qualifica più, nel prosieguo della vicenda, come esponente di un qualche fascismo di sinistra26. D’ora in poi toccherà loro di organiz-

26 S. LUPO, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, cit., pp. 212-214. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 137

zare uomini e mezzi piuttosto che fare politica in senso stretto. Si può parlare di una certa direzione comune imboccata dalla sinistra fascista e da Mussolini appena durante gli anni Trenta. Ciò avviene, dal punto di vista squisitamente formale, in coincidenza alla campagna anti- borghese, che aggiunge al mito dell’“uomo nuovo” una forte connotazione populista e anticapitalistica. La propaganda fascista inizia ad abbattere violentemente (ma solo sul piano retorico) i cliché borghesi. I “poderosi cazzotti nello stomaco”, cioè i provvedimenti antiborghesi (abolizione della stretta di mano e sostituzione del lei con il voi quale forma di cortesia i principali), non sono naturalmente apprezzati dalla classe dirigente dell’Italia liberale che in gran parte si è annidata nelle strutture del Regime. Così anche i liberalconservatori confluiti nel Pnf nel ’23 attraver- so l’Associazione Nazionalista. Eppure tutto il ceto borghese - di destra o meno - inizia a percepire, per la prima volta dopo il “biennio rosso”, un serio rischio. Rischio che produce una profonda frattura nella società italiana e anche all’interno delle strutture fasciste. Come si diramino le crepe nei rapporti tra il Regime e la borghesia è magistralmente eviden- ziato da Renzo De Felice e poi rimarcato da Giuseppe Parlato nella sua recente opera Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, dove leggiamo: “La crisi del regime aveva radici antiche ma era sicuramente dovuta al conflitto, tanto è vero che fino al 1939 la situazione politica complessiva, anche dal punto di vista economico-finanziario, era sostanzialmente buona, sebbene vi fosse stata una diminuzione di consenso a causa dell’incrinarsi dei rapporti fra regime e borghesia, in seguito alla reiterata campagna antiborghese”27. Se de iure la campagna antiborghese restituisce ai fascisti rivoluzionari delle gratificazioni, quasi un senso di rivincita nei confronti dei destrorsi del Regime, de facto i provvedimenti legislativi di segno “socialisteggian- te” varati negli anni Trenta rappresentano un sollievo per i fascisti pro- gressisti che si riconoscono nuovamente nel Regime. D’altronde il Duce nei primissimi anni Trenta ha promesso alla luminosa figura di fascista di sinistra Berto Ricci di riportare al più presto la barra a sinistra. E così, almeno sul piano della retorica e su quello eminentemente economico, sembra fare.

27 G. PARLATO, Fascisti senza Mussolini. Le origini del neofascismo in Italia, 1943-1948, cit., p. 8. Corsivo mio. 138 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

Qualche storico insiste nel sostenere che gli intendimenti “di sinistra” di alcune correnti del fascismo siano un bluff, un tentativo di acquisire le masse più o meno socialiste alla causa fascista attraverso una retorica, delle parole d’ordine e dei simboli rivoluzionari. Allora non si spieghereb- be come mai le forze reazionarie si oppongono, e con toni perentori, alle iniziative dei fascisti rivoluzionari. Difatti, è proprio la componente più reazionaria del fascismo che, attorno al 1937, giunge a denunciare possibili collusioni tra fascismo di sinistra e bolscevismo. Ne sono bersaglio quanti, per il loro passato di sinistra o per semplici interessi di studio sul comunismo e l’Urss, sono tout court “indiziati” di bolscevismo. Tra i principali accusati: Tommaso Napo- litano, Gaspare Ambrosiani, Corrado Alvaro, Berto Ricci, Corrado Perris, Ugo Spirito, Bruno Spampanato, Agostino Nasti, Edoardo Weiss, Arnal- do Volpicelli, Filippo Vassalli28.

Il caso di Trieste

Tutto inizia nel ’21, anno in cui la forza del Pnf dimostra la sua massima duttilità, a Trieste ben più che altrove. I programmi sono infatti continuamente riscritti e lo stesso ruolo del Partito è differente da zona a zona29. Nella città il Partito è di massa, costituita da vecchi e nuovi immigrati italiani (chiamati “regnicoli”), antagonisti da sempre delle orga- nizzazioni sindacali socialiste triestine30. Secondo gli operai triestini i “regnicoli” rappresentano quei crumiri che gli industriali facevano lavora- re, dietro compensi inaccettabili per chi ha famiglia a Trieste, durante gli scioperi. Il fascio ha qui buon gioco a inasprire lo scontro e farlo passare per lotta politica e nazionale. Nelle campagne, invece, il Partito altro non è che il braccio armato dei proprietari terrieri locali. Gli stessi proprietari che gli impediscono di permeare politicamente nell’ambiente rurale31. Nell’estate del ’22 i fascisti sono de facto governatori del triestino. In quel momento, con le spalle coperte grazie all’acquiescenza delle forze

28 ACS, Ministero cultura popolare, b. 126, fasc. “Centro studi anticomunisti”, s.f. “Napolitano”. 29 D. MATTIUSSI, “Il Partito Nazionale Fascista”, in Friuli e Venezia Giulia. Storia del ’900, IRSMLFVG, Leg, Gorizia, 1997, p. 261. 30 Ibidem,p.262. 31 Ivi. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 139

dell’ordine, spazzano via i centri di autogoverno locale, compresi quelli – e qui il dato si fa sensazionale – controllati dagli alleati di Governo32.In ottobre lo smantellamento coinvolge il Consiglio comunale di Gorizia e diversi Consigli socialisti e slavofili dell’Isontino e dell’. Capodistria resiste fino alla fine dell’anno. Trovare argomentazioni a detrimento del sindaco socialista Nobile, noto per la correttezza e l’efficienza nell’eserci- zio della sua carica politica, non è affatto semplice. Tuttavia, poco dopo la “marcia su Roma” la federazione triestina inizia a essere scossa da laceranti lotte intestine. Il dissenso si insinua in un più ampio contrasto che attanaglia anche Gorizia e l’Istria. I primi provve- dimenti del Governo Mussolini non sono congeniali ai Partiti fascisti locali che si cimentano ben presto in reazioni imprevedibili. Il fascismo goriziano – riluttante all’idea che la città sia aggregata alla Provincia di Udine in qualità di sottoprefettura – e quello istriano – la creazione della Provincia di Pola scontenta anzitutto Parenzo –, nel gennaio del ’23, organizzano violente sollevazioni in coincidenza alla creazione delle nuove circoscrizio- ni provinciali. Le manifestazioni e gli scontri si esauriscono solo grazie all’incisivo ammonimento romano33. A Trieste il problema delle aggregazioni, che vede Monfalcone, Ron- chi, Doberdò, Postumia, Grado e altri territori unirsi alla Provincia di Trieste, provoca problemi meno vistosi. La questione determina reazioni più tiepide di quelle infervorate nel resto della Venezia Giulia. Le tensioni triestine affondano le radici in ben altri dissidi. A Trieste i conflitti più aspri si hanno quando dirigenti locali, nazio- nalisti, si scontrano con quelli “regnicoli”, fascisti della “prima ora”. Il duello, apparentemente solo ideologico, tradisce ben presto il suo caratte- re classista. I “regnicoli”, sovente di bassa estrazione sociale, aspirano alla promozione sociale. Queste aspirazioni collidono però con la difesa delle gerarchie interne alla borghesia triestina, vale a dire nazionalisti e liberal- nazionali, che provengono da classi sociali più elevate34. Il potere persona- le di “regnicoli” come Francesco Giunta viene ridimensionato già nelle elezioni del ’24. Questa fazione viene così messa definitivamente da parte. In tutti i sensi, visto che, scalzati dal centro urbano, dovranno accontentar-

32 A. APOLLONIO, Dagli Asburgo a Mussolini, Leg, Gorizia, 2002, p. 536, n. 10 e pp. 537 segg. 33 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 34, fascicolo “Circoscrizioni provinciali - agitazioni per novità amministrative” 34 D. MATTIUSSI, “Il Partito Nazionale Fascista”, cit., p. 264. 140 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

si di presidiare armi in pugno la periferia35. Con la costituzione ufficiale della MVSN, alle tensioni che contrap- pongono i locali ai “regnicoli” iniziano ad affiancarsi quelle che vedono affrontarsi destra e sinistra fasciste. Sono infatti sempre più numerosi i fascisti che vedono nel Governo Mussolini una sconfitta della frangia “movimentista”, fagocitata nel detestato sistema monarchico-liberale36. Non è un caso che le dieci squadre d’azione fasciste triestine non aderisca- no, in prima battuta, alla Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Questo – si dice – per non ricadere sotto la giurisdizione dei Tribunali Militari. Mentre alcuni, di lì a poco, desistono e accontentano il Duce, altri continuano a operare da irregolari37. In altre parole, da una parte i fascisti più conformisti si allineano alla Milizia senza protestare, dall’altra i “criti- ci” e gli esterni al Partito scelgono di disertare. Le squadre dissidenti, che nel biennio 1921-22 troviamo accanto a quelle “regolari”, iniziano ad ingrossarsi. Questo atteggiamento recalcitrante provoca uno svilimento della Milizia triestina, che dal ’25 al ’30 rappresenta un modesto quanto limitato centro di potere all’interno o a fianco del Partito38. Nel marzo del 1923 le cosiddette Corporazioni dell’Industria (questo il nome dei sindacati fascisti di allora) proclamano al cantiere di Monfal- cone, quale protesta contro i licenziamenti, uno sciopero che rappresenta un successo. Successo che si spiega con il supporto dei “rossi”, i quali aderiscono in massa all’iniziativa. Ma la tregua nero-rossa, seppur effime- ra, non piace agli industriali e alla destra, così che il Segretario sindacale fascista di Monfalcone viene addirittura rimosso39. Il Segretario Federale Morara Sassi tenta ogni conciliazione, ma il potere dei Cosulich di concer- to con quello del loro affiliato Prefetto Crispo Moncada basta a dettare legge senza subire ingerenze federali40. Morara Sassi, che è anche il braccio destro di Francesco Giunta, non

35 Ivi. 36 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 35, fascicolo “fascisti dissidenti”, fascicolo “Muggia”, Busta 55, fascicolo “Trieste - federazione provinciale fascista 1923”. 37 A. CIFELLI, I prefetti del regno nel ventennio fascista, Roma, 1999, pp. 142-143. 38 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, LEG, Gorizia, 2004, pp. 30-31. 39 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 71, fascicolo “Monfalcone cantieri sciopero”, fascicolo “Sciopero statistica”. 40 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 71, fascicoli “Monfalcone Cantieri sciopero” e “Sciopero statistica”. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 141

ci sta e presenta al Duce un memoriale di denuncia nei confronti dei Cosulich. Alla regia di questa operazione si trova il professor Masi, che in tal modo inizia la sua offensiva “di sinistra” contro quella ch’egli definisce la “camorra giuliana”, ovvero l’intrigo tra i poteri politici reazionari e gli interessi economici di alcuni imprenditori. Se è vero che in ambiente fascista sono oramai diversi mesi che si vocifera delle malefatte dei Cosulich, è lo scontro sindacale del marzo che porta l’astio a livelli apicali. D’altronde il clan dei Cosulich, famiglia che appartiene originariamente al blocco nazionale croato, alieno al movi- mento nazionale più o meno liberale della Venezia Giulia, resta legata alle consorterie austro-ungaro-asburgiche fino al crollo dell’Impero41; dopodi- ché tenteranno di imporre un loro ordine, venendo a patti con i poteri locali. Nel ’23 la situazione interna al Partito appare ambigua. Parecchi squadristi non risultano iscritti al Pnf ma le assemblee, spesso tempestose, vedono la presenza di diverse correnti. Tra queste spiccano quella dei Dompieri, quella dei sindacalisti, quella dei vecchi squadristi, dei giuntiani fedelissimi e dei fascisti “puri”42, facenti capo al prof. Masi. Proprio quest’ultimo, ex combattente trasferitosi a Trieste nel ’21 dopo l’esperien- za fiumana, diventa Segretario della sezione della Città e ispiratore del Federale Morara Sassi, secondo un’intesa politica “di sinistra”. Il Federale viene però ucciso nell’agosto del ’23, e sostituito proprio dal prof. Masi, che quindi lascia il posto di Segretario per sostituire Morara Sassi43.La contestuale nomina del Prof. Coceancig al Direttorio del fascio locale non è apprezzata dalla “sinistra” del Partito. La frattura avviene in odio ai Cosulich, fomentata dai sindacalisti44. Le tensioni si accompagnano per tutto il ’24 ma il prof. Coceancig resta al suo posto. Nel frattempo il Governo di Roma delibera la fusione del Partito Nazionale Fascista con l’Associazione Nazionalista di Federzoni e Rocco.

41 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 49. 42 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 36, fascicolo “Partito fascista - informazioni”. 43 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 46. 44 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 55, fascicolo “Trieste - Federazione provinciale fascista” relazione del Questore del 19.11.1923 sui “fascisti dissidenti del territorio”. 142 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

Callisto Cosulich

L’operazione a Trieste diventa particolarmente arroventata. Gli equilibri già precari del Partito vanno incontro a uno sconvolgimento complessivo. La Struttura apre sia ai nazionalisti di vecchio conio (e in storico odio ai movimentisti) come il professor Coceancig (poi incluso nel direttivo della sezione triestina del Partito) e l’Onorevole Suvich, sia a un’ampia cortigia- neria di neoaffiliati liberali ormai da tempo intrufolati e ben mimetizzati nei ranghi dell’Associazione Nazionalista. All’interno di quest’ultima, i liberali rappresentano addirittura la maggioranza. Come ben spiega Apol- lonio, la sezione triestina del Pnf viene letteralmente annacquata dai “neofascisti”, che in sostanza di fascista hanno molto poco45.

45 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 46. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 143

Lo scontro più feroce deflagra in tutta la sua veemenza durante un’assemblea cittadina il 2 dicembre del ’23. All’ordine del giorno c’è la conferma di Coceancig nella carica, punto che crea un evidente disaccor- do. L’opposizione intende scalzare il professore dalla sua funzione cercan- do di far intervenire i dissidenti non iscritti. La seduta, dopo uno scambio di frasi inopportune, si conclude con un nulla di fatto. Viene coinvolta la Segreteria Nazionale, in particolare l’onorevole Giunta, che s’impone e nel gennaio del ’24 appiana la vicenda. Al Direttorio della sezione di Trieste restano gli oppositori di Coceancig, mentre la preparazione alle prossime elezioni impone l’adozione di profili bassi. Sempre in gennaio, al Direttorio Provinciale, compare un uomo del prof. Masi, il prof. Biagio Marin, in rappresentanza del Fascio di Grado. Il ’24 può considerarsi un anno felice per l’economia italiana in generale e triestina, soprattutto se consideriamo il commercio portuale, in particolare. Alla congiuntura si accompagna però un forte aumento del costo della vita che provoca dissidi all’interno del Partito. L’ala precipua- mente sindacalista si allinea ai sindacati antifascisti nell’insistente richiesta di aumenti di salario. Esattamente come succede durante gli scioperi di un anno prima, gli scontri si fanno più aspri nel monfalconese. Lì alcuni sindacalisti fascisti, affascinati dal carisma del fascista di sinistra prof. Masi, iniziano un’estenuante lotta per la conquista dei diritti economici, seguiti a ruota, ma (per ragioni di incolumità) timidamente dai sindacati “rossi”46. Questa nuova sessione nera-rossa che riapre un’altra stagione di lotte è di primaria importanza per capire le dinamiche interne al Partito. Almerigo Apollonio descrive con lucidità e chiarezza la gravità della situazione, tanto che vale riportare testualmente le sue parole: “Lo scontro tra il Sindacato fascista e i Cosulich non va […] sottovalutato per le conseguenze riprodottesi all’interno del fascismo giuliano, in quanto pro- vocò la continuazione e l’accentuazione di una lunga guerra intestina che, iniziata nel 1923, doveva trascinarsi a Trieste, entro il PNF, fino al 1926”47. Le ostilità deflagrano in tutta la loro acredine nell’aprile del ’24. Il 24 aprile il Questore riferisce al Prefetto la geografia politica degli schiera-

46 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 55, fascicolo “Monfalcone - Sindacati fascisti”. 47 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 66. 144 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

menti, così delineati: da una parte – che potremmo definire “di sinistra” – si trovano il Segretario Federale prof. Masi con i vecchi squadristi e i fascisti “regnicoli”; dall’altra – polarmente avversa alla prima – si schiera- no gli ex nazionalisti, Fresco, Coceancig, Jona, Illeni, Pieri e altri tutti intenti a conquistare completamente il Partito e sostenuti dalle Logge massoniche triestine, risentite per gli atteggiamenti antimassonici del prof. Masi48. Il tema della Massoneria triestina è di un certo rilievo. Relativamente alla Legge Mussolini - Rocco contro la Massoneria, il 16 maggio 1925 l’onorevole Antonio Gramsci interviene alla Camera con una sua invettiva per molti aspetti illuminante. Quando il presidente del Consiglio Benito Mussolini gli dà la facoltà di parlare questi rivela che il provvedimento antimassonico mascheri velleità dittatoriali dirette al divieto di associazio- ne49. Se è vero che i reali motivi della legge sono quelli accertati dal parlamentare comunista, la guerra alla Massoneria viene vissuta a Trieste come una rivoluzione tutta volta al rinnovo della classe politica. Comple- mentare a questo intento, la manovra mira a mettere alla prova la fedeltà della classe economica al Partito nazionale fascista. Il prof. Masi, Segreta- rio Federale fino all’ottobre del ’24 è ottimo amico di , uno dei maggiori fautori delle pressioni antimassoniche al Governo (ep- pure, egli stesso fino a poco tempo prima massone). Questa forte empatia politica tra Masi e Farinacci è determinante rispetto alla situazione triesti- na, dove il Segretario Federale si rivela oltranzista nel perseguire la direttiva antimassonica. Fedele alla norma, estromette tutti i fratelli “in sonno” inquadrati nel Partito locale. Da lì segue un’aspra lotta contro i fiancheggiatori del potere fascista che possano essere in odore di Masso- neria, a partire dal ceto dirigente economico triestino50. Il ’24 è anche l’anno dell’aberrante episodio del sequestro di Matteotti (dell’omicidio si saprà solo in agosto), che viene condannato in coro dalla società triestina. La CGL dispone una fermata di dieci minuti a partire dalle ore 10 del 27 giugno 1924 per commemorare lo scomparso. La

48 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 85, fascicolo “PNF sezione di Trieste” 1924 - relazione del Questore del 24.4.1924. 49 A. Gramsci, Scritti politici [a cura di Paolo Spriano], Editori Riuniti, Roma, 1967, p. 612. 50 A. Apollonio, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consolidamen- to della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., pp. 79-80. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 145

partecipazione triestina si esprime in dimensioni di massa, tanto che si aggregano allo sciopero i tram e le Cooperative Operaie. A Monfalcone, addirittura, si tenta di prolungare la protesta a tutta la giornata. Il tentativo non va in porto ma è un indice inequivocabile della vasta portata della protesta, che inquadra nella sua ampiezza anche diversi elementi fascisti e contribuisce ulteriormente a inasprire le polemiche all’interno del Pnf locale51. Nel delitto Matteotti non sono comunque coinvolti personaggi triesti- ni né legati in qualche modo al Fascio di Trieste. Si può forse dire il contrario. L’onorevole Giunta, per esempio, da Segretario del Partito, ordina un’azione squadristica contro il fascista dissidente pavese Forni nell’ambito della campagna elettorale in Lombardia e considerata paral- lela all’assassinio politico del deputato socialista. Di più, Giunta contribui- sce in modo determinante, già nell’estate del ’23, a far arrestare a Trieste nientemeno che il principale imputato dell’assassinio, il toscano Amerigo Dumini. L’ordine di arresto coincide con il viaggio di ritorno dalla Jugo- slavia che l’uomo della Ceka fascista compie dopo aver trattato un’impor- tante partita di armi. Questa, consistente in residuati bellici peraltro in ottime condizioni e in piena efficienza, sarebbe poi stata trasportata clandestinamente in Italia. La temerarietà di Giunta non si placa neppure quando denuncia a Mussolini che il losco figuro che sta per arrestare è strettamente legato al Ministero dell’Interno52. Discordie accanite dilaniano il Partito fascista giuliano anche in segui- to, per tutto il ’25-’2653. Nel marzo del ’25 si realizza una altro grande tentativo di resistenza allo strapotere della grande imprenditoria locale. I metallurgici della Fiom non hanno ancora dimostrato la loro combattività, così che i sindacati fascisti sfruttano lo spazio lasciato libero dai “cugini rossi” per guadagnarsi il consenso degli operai. Ecco che riprendono l’agitazione dell’anno pre- cedente chiedendo anzitutto alle direzioni dei Cantieri la concessione di

51 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 102, fascicolo “Agitazione per scomparsa on. Matteotti 1924-1926” e in particolare il relativo sottofascicolo “Fermata dieci minuti per Matteotti”. 52 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 63. 53 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 79, fascicolo “Trieste e provincia - situazione politica”. 146 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

Francesco Giunta con Grandi e Sardi congrui aumenti sindacali. Dal confronto ricavano un rifiuto, che natural- mente non viene gradito. I responsabili dei sindacati corporativi metallur- gici, Ciardi e Vitale, approntano così una reazione articolata e organica, ma all’insaputa dei vertici del Partito nazionale fascista. Dichiarano per- tanto uno sciopero congiunto degli stabilimenti cantieristici di Trieste e di Monfalcone per l’11 marzo. I protagonisti del sindacato fascista organiz- zano anche picchettaggi strategici, ma l’operazione non riscuote il successo sperato. Su circa seimila dipendenti, solo qualche decina si affilia alla decisione di scioperare. Tuttavia, se è vero che a questo punto il Fascio Provinciale decide di imporsi per punire l’“errore di comunicazione” dei sindacati fascisti ordinando ai propri aderenti la sospensione dello sciope- ro, questo prosegue. A Monfalcone, addirittura, procede sebbene in forma strisciante coinvolgendo anche i confederali e tutta la classe operaia me- tallurgica che espande di riflesso la protesta in tutta la provincia54.

54 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., pp. 74-75. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 147

Nominato il Lupetina come Segretario Federale e Giovanni Gasti (dopo la parentesi di Amedeo Moroni) come Prefetto55, si dà il via a una nuova stagione nel Pnf locale. È proprio il Prefetto ad accorgersi per primo della situazione raccapricciante che si stava delineando. Lupetina è sempre più odiato e circondato da veementi avversari, quanto a destra che a sinistra. Insomma, l’ostilità contro il Federale è unanime e vede da un lato tutta la corrente moderata, mentre dall’altro si trovano i seguaci del prof. Masi, vale a dire la componente di sinistra, ancora numerosissima56. A queste macrocomponenti si aggiungono gli squadristi, frammentati in molteplici gruppi e sempre in disaccordo al loro interno57. Un’altra com- ponente a sé stante è quella della Milizia, ondivaga e senza idee precise, che certo non contribuisce a stabilizzare il quadro58. Infine, dei sindacalisti fascisti, protagonisti dell’insistente contestazione, abbiamo già parlato. Lo schema si complica ancora di più, e Gasti se ne preoccupa sin da subito, considerando che “sotto sotto ardeva la lotta tra regnicoli e giuliani, per cui non si sapeva proprio se le correnti fossero otto o nove o due soltanto”, come da parole di Almerigo Apollonio59. Di lì a poco è spedito a Trieste, direttamente dalla Direzione del Pnf e come Commissario in sostituzione del dimissionario Lupetina, l’onore- vole Renato Ricci. Questi, non certo sconosciuto nella Venezia Giulia visti i suoi trascorsi dannunziani e attivamente fiumani, non sembra gradire l’incarico commissariale in terra giuliana. Il mandato coinvolge non solo la Federazione di Trieste, ch’egli snobba, ma anche quella friulana, dove gli scontri tra destra e sinistra fasciste si manifestano in modo persino più muscolare di quelli giuliani. Simpatico agli estremisti, riesce comunque a farsi nemici anche all’in- terno di quell’alveo, a partire dai famigerati fratelli Forti. Schieratosi dalla parte dei seguaci del prof. Masi, giunge inevitabilmente l’ora di firmare la cambiale politica. I masiani, più accesi che mai, chiedono a Ricci di fare

55 http://www.prefettura.it/trieste/contenuti/3085.htm, consultato il 12.10.2011. 56 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 114, fascicolo “Informazioni segrete”. 57 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 145, fascicolo “PNF situazione politica relazioni mensili”. 58 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 105, fascicolo “PNF situazione VG”. 59 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 85. 148 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

MVSN – IV Legione Ferroviaria della sede della Filarmonica Drammatica la dimora del Partito. Al tentativo di appropriazione violenta di quegli spazi da parte dei fascisti oltranzisti l’Arma Benemerita, coerentemente con la tradizione locale, adempie prontamente al proprio dovere. Va infatti ricordato che dall’avvento del Governo fascista non mancano gli episodi, anche a Trie- ste, in cui i Carabinieri si scontrino recisamente con i fascisti, facendo così prevalere la legge ogni volta che le Camicie Nere commettano aperte violazioni60. Analogamente quindi, la notte tra il 13 e il 14 settembre 1926 i Carabinieri che si trovano a fare la guardia alla Filarmonica sono ben decisi a far rispettare la legge. Durante gli scontri con una squadra fascista, partono alcuni colpi. Un sedicenne dalmata resta senza vita e un altro assalitore viene ferito in maniera grave61. È a questo punto che la vicenda rasenta il grottesco. I fascisti preten-

60 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 84, fascicolo “1926 crisi fascio di Trieste”. 61 A. Apollonio, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consolidamen- to della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 89. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 149

dono la sede per celebrare le esequie della vittima degli scontri. L’onore- vole Ricci, che come dicevamo in questo episodio gioca un ruolo fonda- mentale, accontenta i suoi sostenitori. D’altronde, è pur sempre il Vicese- gretario nazionale del Partito nazionale fascista e il potere non gli manca. Ma la celebrazione non si ferma lì e vuole diventare vendetta: i “camerati” attaccano infatti un posto della Polizia e dei Carabinieri nel centro di Trieste a colpi di bombe a mano. Vittime si aggiungono così ad altre vittime, perché i militari rispondono colpo su colpo al fuoco provocatore62. Il ’26 è anche l’anno in cui l’offensiva antifarinacciana si scatena in tutta la provincia italiana, partendo proprio dalla Venezia Giulia e dal Friuli. Un fido di Farinacci, il deputato cremonese Giuseppe Moretti, si trova impegnato – proprio durante la destituzione del suo capo dalla segreteria del Partito – quale commissario straordinario alle Federazioni di Udine e di Trieste. Quest’ultimo è mandato lì con l’incarico di rafforza- re gli amici come l’ex federale triestino Masi, e mettere fuori gioco i nemici (dicembre 1925 - marzo 1926). Asceso Turati alla segreteria, Moretti viene sostituito, e gli epuratori sono d’un tratto trasformati in epurandi63.La situazione si incrina ulteriormente quando Farinacci si reca in Friuli per sostenere i suoi uomini, che minacciano una “marcia su Udine” per mettere le cose in ordine. Il loro ordine, si capisce. Cantano, sull’aria di “Bandiera rossa” (sic!), “ma che ordine, che disciplina, carneficina”, finen- do per scontrarsi con i carabinieri. Il seguito è scandito da arresti, processi, espulsioni, e sospensione di Moretti per ogni attività politica64. A potenziare i ranghi della sinistra fascista locale contribuisce un altro fatto, datato 1926: il confluire dei repubblicani nel Pnf. Ogni buon irreden- tista della Venezia Giulia, si dice, è passato da giovane attraverso una fase repubblicana. I giovani e giovanissimi Volontari Giuliani della Guerra Mondiale sono in gran parte militanti della sinistra nazionale. L’avventura dannunziana crea le premesse per una rottura col fascismo mussoliniano, considerato, da larga parte dei più decisi dannunziani giuliani, un fenome- no reazionario, retrivo e traditore dei “nobili ideali patriottici”65.

62 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 105, fascicolo “Monfalcone e Muggia su incidenti tra MVSN e CCRR”. 63 S. LUPO, Il fascismo. La politica in un regime totalitario, cit., p. 262. 64 Relazione dei Carabinieri di Udine, 25 aprile 1926, in Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 42. 65 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 51. 150 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

Roberto Farinacci nel 1925

L’andata al potere di Mussolini appare ai gruppi di ex fiumani ed ex volontari di guerra come la conferma di quello che temono già da qualche tempo. Cioè che il fascismo sia un movimento vocato all’opportunismo, di destra, antidemocratico, affaristico e spregiudicato. Insomma, i giochi di potere mussoliniani che poco piacciono ai futu- risti, dannunziani, arditi sin dai tempi del congresso dei Fasci del 24-25 maggio del ’20, occasione in cui rompono per la prima volta col Duce, questa volta si fanno così audaci da rendersi insopportabili per chi crede ancora in una soluzione politica di sinistra, seppur antimarxista. Da ciò ne discende un’insofferenza e un’ostilità morali prima che politiche e che provocano inevitabilmente una violenta e netta scissione tra una componente filofascista e un’altra, all’opposto, risolutamente an- tifascista. Quest’ultima, seppur nell’impossibilità di svolgere una regolare I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 151

attività politica, pena la persecuzione da parte del Regime, si distinguerà per l’operosità e il dinamismo critici dispiegati in maniera esplicita sino al ’31. Dopo quell’anno, l’azione di avversione nei confronti del fascismo diventa sotterranea ma abbastanza forte moralmente da screditare il Regime di fronte a un ampio uditorio comprendente anche il combatten- tismo apparentemente fascistizzato66. In realtà, la sinistra nazionale di ispirazione più propriamente sociali- sta attua diversi tentativi miranti alla costituzione di una propria sede a Trieste. Il movimento dei socialisti nazionali filofascisti della Gironda, infatti, è già molto attivo in tutta la Venezia Giulia tra il 1920 e il 192267. Questo rappresenta l’ambiente del Psu, chiamato appunto gruppo della “Gironda” poi confluito nel Partito socialista nazionale, più disponibile (anzi, di fatto disponibile) alla collaborazione con il fascismo. L’ipotesi collaborativa non prosegue oltre la crisi Matteotti, pur dimostrando la sua debolezza già qualche mese in anticipo al sequestro e omicidio del parla- mentare socialista. Qualche tensione emerge in coincidenza al Patto di Palazzo Chigi del 19 dicembre 1923, dove la Confindustria e la Corpora- zione Nazionale di Rossoni convergono sul principio della collaborazione reciproca come strumento per un nuovo schema di relazioni nelle aziende e nella dialettica sindacale. Questa soluzione riconosceva al sindacalismo fascista una condizione privilegiata nella contrattazione, cosa che i socia- listi nazionali girondini danno mostra di non apprezzare68. Questa forza politica, nata a Venezia e avente tra i suoi capi un ex deputato socialista, non riesce nel suo intento di radicarsi a Trieste perché la sinistra nazionale è egemonizzata dai repubblicani, egemonici in questo ambito politico a Trieste, come a Grado e in Istria, e con largo seguito tra gli ex combattenti e mutilati di guerra, tra i marittimi, nel ceto medio impiegatizio e le altre categorie deluse della politica governativa69. Non a caso, alle elezioni politiche del marzo ’24 Trieste vive una situazione sui generis. Anzitutto perché all’appuntamento elettorale non si

66 Ibidem,p.52. 67 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 71, fascicolo “Partito socialista nazionale”. 68 F. BERTINI, Le parti e le controparti: le organizzazioni del lavoro dal Risorgimento alla Liberazione, Franco Angeli, Milano, 2004, pp. 199-200. 69 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 57. 152 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

presentano liste di disturbo come la temutissima “Patria e Libertà”, espressione dei fascisti dissidenti. È nel gennaio 1924 che Misuri fonda il movimento critico, di tendenza monarchica e nazionalista, assieme a Cor- gini, all’onorevole Cesare Forni e a Raimondo Sala, sindaco di Alessan- dria. “Patria e Libertà” partecipa alle elezioni politiche del ’24 con un simbolo costituito da un’aquila e una stella a cinque punte. Ma a causa delle violenze fisiche rivolte a Misuri e Corgini il movimento è costretto a limitare la competizione e presentarsi solamente in Piemonte e in Lom- bardia, ottenendo 18.062 voti (pari allo 0,3%) e un solo deputato: Cesare Forni, eletto in Lombardia. Tuttavia, è parimenti strano che in un territo- rio come quello triestino, dove vige un fascismo sicuramente eretico, alle elezioni non si presenti una forza che avrebbe rappresentato in maniera più fedele a quella del Listone la linea politica locale. Basti pensare che dopo le elezioni, ovvero quando gli si aggrega un altro illustre dissidente fascista come Massimo Rocca (sindacalista rivoluzionario, futurista e anarchico) espulso da poco dal Partito nazionale fascista, il movimento si rivolge espressamente ai ceti medi della nazione, quali protagonisti della autentica rivoluzione fascista contro la deriva governativa che va profilan- dosi. Una prospettiva politica così concepita poteva probabilmente essere congeniale all’eterodossia fascista triestina. Di tutt’altra natura è il secondo motivo di specificità della competizio- ne elettorale triestina del ’24. Il prof. Masi, e vedremo perché, permette a una (sola) delle forze antifasciste, il Partito repubblicano italiano, di svolgere comizi in favore della propria lista elettorale a patto di ammettere il contraddittorio. Lo stesso trattamento viene esteso anche al Partito sloveno “Edinost”, cui l’attività elettorale viene però fortemente limitata all’altipiano carsico70. D’altronde, il combattentismo democratico è moralmente troppo for- te innanzi al fascismo per poter essere aggredito ed espulso dalla vita pubblica. A Trieste, più che altrove, un’ampia fetta del nazionalismo italiano si esprime contro il Governo e a favore dei repubblicani antifasci- sti. I risultati elettorali non piacciono minimamente ai fascisti, che si aggrappano alle più disparate motivazioni come il malcontento per la situazione economica locale, per il nuovo dazio sui consumi, per la dimi-

70 Ibidem,p.55. I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156 153

nuzione dei salari e la disoccupazione. In realtà l’affermazione repubbli- cana indica la presenza politica attivissima di un radicalismo nazionale di segno antifascista. Legati ai valori dell’irredentismo e dal combattentismo ma nettamente contrapposti ai giubili patriottardi del fascismo inscindibil- mente connessi a uno schema di trasformazione dello Stato in una dittatu- ra carismatica, i repubblicani raccolgono consensi in termini di voti ma soprattutto in termini di sostegno politico71. Ma per il prof. Masi questa è un’anomalia da sanare: il volontarismo irredentista triestino deve essere integralmente cooptato nel fascismo. Altrimenti, sostiene, il Pnf sarebbe deprivato di una delle più importanti componenti della italianità giuliana72. Più tardi, nel ’26, le cose volgono in favore di Masi. Sedotti dalla sinistra fascista giuliana, che ha ben colto quanto gli ex repubblicani possano rafforzare la sinistra sociale e anticapi- talista del fascismo, a poco a poco confluiranno nel Partito fascista73. Significativa, in questo senso, l’eccezione di Giani Stuparich74. Nel vicino Friuli la sinistra fascista detiene un potere maggiore e vince una travolgen- te guerra intestina. I fascisti sono divisi tra una destra che fa capo a Pisenti e una sinistra prevalente ad Udine, cui esponenti sono Barnaba e Ravaz- zolo. Gli scontri si concludono con l’espulsione del destro Pisenti. Ora i sinistri delle Venezia Giulia credono di avere il potere per bissare il successo dei vicini friulani75, ma resterà un’illusione. Intanto, dietro le quinte continua ad ardere la lotta tra regnicoli e giuliani76.

71 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 64, fascicolo “Elezioni politiche del 1924 - esito - segnalazioni al Ministero”. 72 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 77. 73 Ibidem,p.87. 74 Gabinetto Prefettura Trieste in Archivio di Stato di Trieste, Busta 184, fascicolo “Stuparich Giani”. 75 Archivio Centrale di Stato, Segreteria particolare del Duce, carteggio riservato, Busta 48, cartella 242 r. 76 A. APOLLONIO, Venezia Giulia e fascismo. Una società post-asburgica negli anni di consoli- damento della dittatura mussoliniana 1922-1935, cit., p. 85. 154 I. Buttignon, Il fascismo di sinistra a Trieste (1922-1926), Quaderni, vol. XXIII, 2012, p. 127-156

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SA@ETAK

LJEVI^ARSKI FA[IZAM U TRSTU U RAZDOBLJU 1922.-1926. – Ovaj znanstveni ~lanak istra‘uje i razmatra tematiku strukturalne slo‘enosti tr{}anske Fa{isti~ke nacionalne stranke. To~nije, ‘eli evidentirati specifi~nosti njenih tzv. “ljevi~arskih” dijelova i prou~iti njihov razvoj u periodu od 1922. do 1926. Razdoblje od dolaska fa{ista na vlast do trenutka kada su se lokalnoj podru‘nici fa{isti~ke stranke priklonile demokratske i republikanske bora~ke organizacije (ili drugim rije~ima “nacionalna ljevica”) veoma je zna~ajno, jer omogu}ava shva}anje politi~kih kretanja unutar stranke. ^esto su politi~ki manevri gradske uprave predstavljali reakciju prilagodbe ili suprotstavljanja “ljevi~arskoj” manjini. Zbog toga je dolazilo do uvjetovanja koje je “napredni fa{izam” ostvarivao unutar upravnog sustava.

POVZETEK

FA[IZEM LEVE STRUJE V TRSTU V PETLETNEM OBDOBJU 1922-1926 – Prispevek raziskuje in preu~uje strukturno zapletenost tr‘a{ke Narodne fa{isti~ne stranke/Partito nazionale fascista. Njen namen je izpostaviti posebne lastnosti takoimenovanih “levih” pripadnikov in raziskati razvoj le-teh med leti 1922-1926. Obdobje vklju~uje vzpon na oblast fa{isti~ne stranke in zdru‘itev veteranskih demokratskih in republikanskih struj (z drugimi besedami “narodna levica”) v lokalno fa{isti~no stranko in je {e posebej zanimivo, ker omogo~a vpogled v notranje politi~ne dinamike stranke. Pogosto politi~ne odlo~itve ob~inskih uprav predstavljajo popu{~anje oziroma nasprotovanje “levi” manj{ini. Tako lahko sledimo vplivu “liberalnega fa{izma” v vodstvu stranke.