DI CRAVEGGIA REGIONE PIEMONTE PROVINCIA DEL VERBANO-CUSIO-

LEGGE REGIONALE 5 DICEMBRE 1977, n° 56 E SUCCESSIVE MODIFICHE E INTEGRAZIONI

CIRCOLARE DEL PRESIDENTE DELLA GIUNTA REGIONALE n° 7/LAP, 8 MAGGIO 1996

VARIANTE STRUTTURALE 1/2014, AI SENSI DELL’ART. 15 DELLA L.R. 56/1977 - PROGETTO PRELIMINARE -

A seguito delle Osservazioni della Regione Piemonte, Direzione Opere Pubbliche, Difesa del Suolo, Economia Montata e Foreste, Settore Prevenzione Territoriale del Rischio Geologico – Area di Torino, Cuneo, Novara e , nota del 18-06-2014, prot. n. 32251/DB14/20

RELAZIONE GEOLOGICA GENERALE REL.1

Data: Dicembre 2015

Il Sindaco Il Segretario Com.le Il Progettista P. Giovanola Dott. D. Cerizza Dott. Geol. F. D’ELIA

Il Responsabile del Procedimento Dott. D. Cerizza

STUDIO GEOLOGICO D’ELIA Via Roma 3/a - 28802 (VB) - Tel. & fax 0323/80206 - e-mail: [email protected] STUDIO GEOLOGICO D’E LIA

SOMMARIO

1 PREMESSA ______4 2 LINEAMENTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI ______6 2.1 Inquadramento geografico ______6 2.2 Cenni geologici regionali ______6 2.3 Inquadramento geologico e strutturale locale ______8 2.4 Inquadramento geomorfologico ______9 3 Commento della documentazione cartografica di base ______11 3.1 Carta geologica (Tavola 1) ______11 3.1.1 Cenni metodologici ______11 3.1.2 Commento della carta realizzata ______11 3.2 Carta geomorfologica (Tavola 2) ______16 3.2.1 Cenni metodologici ______16 3.2.2 Commento della carta realizzata ______16 3.3 Carta geoidrologica (Tavola 3) ______21 3.3.1 Metodologia applicata ______21 3.3.2 Commento della carta realizzata ______21 3.4 Carta litotecnica (Tavola 4) ______22 3.4.1 Considerazioni generali ______22 3.4.2 Commento della carta realizzata ______23 3.5 Carta delle opere di difesa idraulica (Tavola 5) ______24 3.5.1 Commento della carta realizzata ______24 3.6 Carta dell’acclività (Tavola 6) ______25 3.6.1 Metodologia utilizzata ______25 3.6.2 Commento della carta realizzata ______26 4 CONOIDI ALLUVIONALI DEL RIO BONDONE E DEL RIO PONTEONE (ALLEGATO 5) ______27 4.1 Elementi di morfometria fluviale ______27 4.1.1 Generalità ______27 4.1.2 Elaborazione dei dati e commento dei risultati ______28 4.1.2.1 Bacino Rio Bondone ______28 4.1.2.2 Bacino Rio Ponteone ______32 4.2 Valutazioni di massima della pericolosità dei conoidi ______34 4.2.1 Metodi per la valutazione della pericolosità ______35 4.2.1.1 Metodo di Aulitzky (1973) ______35 4.2.1.2 Commento dei dati ottenuti ______37 4.2.1.3 Indice di Melton ______37 4.2.2 Metodi per la determinazione della magnitudo ______38 4.2.2.1 Metodo di D’Agostino ______38 4.2.2.2 Metodo di Takei ______39 4.2.2.3 Metodo di Marchi ______40 4.2.2.4 Metodo di Hampel ______40 4.2.2.5 Dati ottenuti ______40 4.2.3 Relazione tra la magnitudo di un evento di trasporto solido ed i parametri morfometrici del bacino del Rio Ponteone ______41

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5 PROPENSIONE AL RISCHIO SISMICO ______43 6 PROPENSIONE AL DISSESTO E DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI IDONEITA’ URBANISTICA ______44 6.1 Generalità ______44 6.2 Cartografia di sintesi: Carta della pericolosita’ geomorfologica e dell’idoneita’ all’utilizzazione urbanistica (tav. 7). ______44 6.3 Classi di idoneità urbanistica ______45 6.3.1 Settori in cui non sussistono condizioni di pericolosità geologica (Classe I) ______46 6.3.2 Settori con condizioni di moderata pericolosità geologica (Classe II) ______46 6.3.3 Settori in cui sussistono condizioni di pericolosità geologica (Classe III) ______47 7 CARTA DI SINTESI DELLA PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA E DELL’IDONEITÀ ALL’UTILIZZAZIONE URBANISTICA - NORMATIVA GEOLOGICO-TECNICA ______49 7.1 Definizioni e modalità esecutive delle indagini geologiche da sviluppare a supporto degli interventi urbanistici ammessi ______49 7.2 Classe di idoneità I ______50 7.3 Classe di idoneità II ______50 7.4 Classe di idoneità III ______52 7.4.1 Sottoclasse di idoneità IIIA ______54 7.4.2 Sottoclasse di idoneità IIIB2 ______55 7.4.3 Sottoclasse di idoneità IIIB3 ______57 7.4.4 Sottoclasse di idoneità IIIB4 ______58 7.5 Fasce di rispetto dei corsi d'acqua ______60 7.6 Fasce di rispetto delle opere di presa idropotabili ______61 7.6.1 Zona di tutela assoluta ______61 7.6.2 Zona di rispetto ______61 7.7 Norme di carattere generale ______61 BIBLIOGRAFIA ______64

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ELENCO ELABORATI

Ultimo aggiornamento

Relazione geologica generale Dicembre 2015 Controdeduzioni alle Osservazioni della Regione Dicembre 2015 Piemonte Relazione geologico tecnica Dicembre 2015 (L.R. 56/77, art. 14, punto 2, lettera B) Tavole Carta geologica, scala 1:10.000 Febbraio 2011 1a/1b Tavole Carta geomorfologica e dei dissesti, scala 1:10.000 Febbraio 2011 2a/2b Tavole Carta geoidrologica, scala 1:10.000 Febbraio 2011 3a/3b Tavole Carta litotecnica, scala 1:10.000 Febbraio 2011 4a/4b Tavole Carta delle opere idrauliche, scala 1:5.000 Febbraio 2011 5a/5b Tavole Carta dell’acclività, scala 1:10.000 Febbraio 2011 6a/6b Tavole Carta di sintesi della pericolosità geomorfologica e Febbraio 2011 7a/7b dell’idoneità all’utilizzazione urbanistica, scala 1:10.000 Tavole Carta di sintesi della pericolosità geomorfologica e Dicembre 2015 9a/9b/9c/ dell’idoneità all’utilizzazione urbanistica, scala 1:2.000 9d/9e Tavole Cronoprogramma degli interventi di riassetto, scala Febbraio 2011 10a/10b 1:10.000 All. 1 Ricerca storica Febbraio 2011 All. 2 Schede dei fenomeni franosi Febbraio 2011 All. 3 Schede dei processi alluvionali Febbraio 2011 All. 4 Schede Sicod Febbraio 2011 All. 5 Schede dei conoidi Febbraio 2011 All. 6 Stralcio cartografia PAI Febbraio 2011 Tavola 11 Carta degli effetti dell’evento del 1978 (tratta dalla carta Febbraio 2011 dei dissesti del Servizio Geologico Regione Piemonte) Tavola 12 Carta degli effetti alluvionali dell’evento del 1978 (tratta Febbraio 2011 dalla carta dei dissesti di Polithema)

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1 PREMESSA

Dovendo l’Amministrazione Comunale di Craveggia procedere all’elaborazione della Variante Generale del PRG, gli scriventi sono stati incaricati di curare l’indagine geologica, geomorfologica e geologico-tecnica, al fine di valutare le nuove esigenze in relazione all’assetto del territorio. Il presente lavoro integra e completa la precedente indagine geologica e idrogeologica, redatta nel 1998/2000 prima dell’entrata in vigore del PAI - Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico per il Bacino Idrografico del Fiume (PAI). Dal punto di vista normativo, l’indagine fa quindi riferimento alla D.G.R. n° 31-3746 del 06.08.2001 “ Adempimenti regionali conseguenti l’approvazione del Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI). Procedure per l’espressione del parere regionale sul quadro del dissesto contenuto nei PRGC, sottoposti a verifica di compatibilità idraulica ed idrogeologica. Precisazioni tecniche sulle opere di difesa delle aree inserite in classe IIIB, ai sensi della Circ. 7/LAP/96 ”, alla D.G.R. n° 45-6656 del 15.07.2002 “ Indirizzi per l’attuazione del PAI nel settore urbanistico ” e alla D.G.R. n° 1-8753 del 18.03.2003 “ Nuove disposizioni per l’attuazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI) a seguito della modifica dell’art. 6 della Deliberazione n° 18/2001 del Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino del fiume Po ”. Per ottemperare a quanto sopra espresso, con la Variante Generale al PRGC, è stata innanzitutto aggiornata e completata la precedente carta geomorfologica e dei dissesti, facendo riferimento a quanto previsto nella “Legenda Regionale per la redazione della carta geomorfologica e del dissesto dei P.R.G. redatta in conformità alla Circ. 7/LAP e successiva N.T.E./99”. A seguito dell'esame degli elaborati geologici, datati agosto 2010, dal Settore Prevenzione Territoriale del Rischio Geologico - Area di Torino, Cuneo, Novara e Verbania e dal Settore OO.PP. e Difesa Assetto Idrogeologico decentrato di Verbania, furono formulate alcune richieste di modifiche/integrazioni/correzioni, recepite con l’Aggiornamento febbraio 2011 degli elaborati geologici a supporto della Variante Generale al PRG, il cui Progetto Preliminare è stato quindi adottato con D.C.C. n. 5 del 19-03-2013. Successivamente, con la presentazione della Proposta Tecnica del Progetto Preliminare della Variante Strutturale n. 1/2014 al PRGC ai sensi della L.R. 56/77 e s.m.i., furono avviate le procedure di cui all’art. 15, c. 6 della L.U.R. Nel corso della prima riunione della 1° Conferenza di Copianificazione e Valutazione, tenutasi il giorno 22-05-2014, furono presentate una serie di osservazioni, contributi e richieste di integrazioni, da parte degli Enti convocati, formalizzate con Nota del 3- 10-2014 della Regione Piemonte – Direzione Programmazione Strategica, Politiche Territoriali ed Edilizia, prot. 25727/DB0800. In particolare, in Allegato a tale Nota, è stato trasmesso il parere unico della Direzione Opere Pubbliche, redatto dal Settore Prevenzione Territoriale del Rischio

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Geologico-Area di Torino, Cuneo, Novara e Verbania, redatto con nota prot.n.3225/DB 1420 del 18.06.20 14, in merito agli aspetti di carattere geologico. Tale Parere, esaminava la Relazione Geologico-Tecnica, contenente le schede descrittive degli interventi previsti dalla Variante allo Strumento Urbanistico e, inoltre, segnalava che, in data 7-04-2014, è entrata in vigore la D.G.R. n. 64-7417 (la quale ha fornito, tra l’altro, i criteri indicativi per la determinazione dell’aumento di carico antropico, proponendo una tabella relativa alle tipologie d’intervento consentite nelle Sottoclassi IIIb2, IIIb3 e IIIb4), richiedendo di rendere coerenti gli interventi ammessi, indicati sia nella Carta di Sintesi della pericolosità geomorfologica ed idoneità all’utilizzazione urbanistica, che nelle NTA, con quanto disposto dalla citata D.G.R. n. 64-7417 . In accoglimento a tale Richiesta, si è pertanto provveduto ad aggiornare la Relazione Geologica Generale del PRG, contenente le NTA di tipo geologico (cap. 7.4, 7.4.2, 7.4.3, 7.4.4), e la legenda delle Carte di Sintesi, relativamente alle tipologie di interventi ammessi nelle Sottoclassi IIIb; per tale motivo, tali Elaborati vengono ripresentati, nell’ambito della procedura di Valutazione Ambientale Strategica della Variante Strutturale in esame.

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2 LINEAMENTI GEOLOGICI E GEOMORFOLOGICI

2.1 INQUADRAMENTO GEOGRAFICO

Il territorio di Craveggia è ubicato in posizione intermedia nella Val Vigezzo, Alpi Lepontine, e si sviluppa per la maggior parte sul versante settentrionale della stessa sino a raggiungere la Valle ed il confine svizzero. Ad oriente la zona è delimitata dal Monte Ziccher (1967 m), dalla Cima di Caneto (1913 m) e dalla sponda destra del Rio di S. Antonio; il confine sud-orientale è costituito dal Rio Isornino, affluente di sinistra del Torrente . Le propaggini meridionali del territorio comunale si estendono sino al versante opposto della Val Vigezzo, a quote dicirca 1400 m s.l.m. (Costa di Fracchia). A settentrione, come si è detto, il limite è indicato dal versante sinistro del Torrente Onsernone e dal confine Italo - Svizzero, nei pressi del quale si trovano i Bagni di Craveggia mentre ad occidente il confine segue il corso del Rio Bondone, raggiungendo Cima Trubbio (2061 m). Su base cartografica il territorio è rappresentato nel Foglio n° 16 della Carta d’Italia, tavolette “Bagni di Craveggia” IV S.O. e “Santa Maria Maggiore” III N.O. in scala 1:25.000; è inoltre rappresentato nelle Carte Tecniche Regionali, in scala 1:10000, Sezioni n° 052060 – 052070 – 052020 – 052030 – 036140 – 036150.

2.2 CENNI GEOLOGICI REGIONALI

L’orogenesi alpina ha portato alla formazione di una catena a falde, risultato diretto della collisione tra due paleocontinenti, africano ed europeo, e della conseguente subduzione della crosta oceanica interclusa. L’arco montuoso costituito dalle Alpi può essere suddiviso in quattro domini strutturali composti a loro volta da unità tettoniche minori, rappresentati dalle falde di ricoprimento. Seguendo la successione dalle zone interne meridionali a quelle esterne settentrionali, si incontrano: 1. Dominio Sudalpino - costituito dalle zone meno deformate del margine continentale Adriatico e caratterizzato da due unità principali (Serie dei Laghi e Zona Ivrea-Verbano) che formano il basamento cristallino delle Alpi Meridionali; 2. Dominio Austroalpino - composto da elementi crostali paleoafricani e rappresentato dalla “Zona Sesia - Lanzo”; la linea del Canavese lo separa dal dominio precedente, linea che segna il passaggio tra catena a vergenza africana o sud-vergente (Sudalpino) e catena a vergenza europea (Austroalpino, Pennidico ed Elvetico - Delfinese); una fascia modesta e discontinua di ofioliti piemontesi mesozoiche lo separa dal Dominio Pennidico; 3. Dominio Pennidico - costituito dai resti del prisma di accrezione formatosi nel Cretaceo e da lembi della crosta oceanica della Tetide; è suddivisibile in Dominio Pennidico Superiore, rappresentato dalla “Zona Monte Rosa” e costituito, insieme al Pennidico Medio, da

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elementi crostali paleoeuropei; Dominio Pennidico Medio , che decorre con andamento sub- parallelo alla linea tettonica - Sempione e al fondovalle della Val Vigezzo, è separato dal Pennidico Superiore per mezzo di ofioliti mesozoiche ed è costituito dalla “Serie Moncucco - Orselina”, localmente chiamata “Serie Orselina”; Dominio Pennidico Inferiore, affiorante al di sotto della linea del Sempione e costituito dalle falde della “Pioda di Crana” e del “Monte Leone”; 4. Dominio Elvetico - rappresenta il margine continentale paleoeuropeo con i rispettivi sedimenti permo-mesozoici sradicati.

Dal punto di vista geodinamico, l’evoluzione pre-alpina è segnata da una iniziale orogenesi paleozoica (?- 450 ÷300 Ma) dovuta alla subduzione della litosfera oceanica per attivazione di un margine convergente: diretta conseguenza è la formazione, in corrispondenza dell’Europa centrale, della Catena Ercinica, successivamente ridotta dall’erosione. Il periodo Permo-Mesozoico è caratterizzato da distensione litosferica (290-150 Ma), con conseguente smembramento del megacontinente Pangea da parte di un ampio ma poco profondo bacino, la Neo-Tetide, che ricopre una crosta continentale continua. Spostamenti relativi dell’attuale Africa rispetto all’Eurasia culminano con un rifting continentale: la Pangea viene articolata in più placche, progressivamente separate da bacini che assumono progressivamente le caratteristiche di veri fondi oceanici. In particolare la storia evolutiva delle Alpi si sviluppa attorno all’oceano Ligure-Piemontese ed al suo prolungamento nord- orientale. Alla fine del Giurassico, variazioni nelle velocità di spostamento delle placche in concomitanza a movimenti rotazionali comportano l’innesco di fasi di compressione tra i due blocchi continentali, che iniziano il loro avvicinamento: la crosta oceanica interclusa scorre verso Sud sotto il blocco africano, instaurando un processo di subduzione. Queste condizioni convergenti coincidono con l’orogenesi alpina, che viene comunemente suddivisa in tre stadi principali. Fase eo-alpina (130-70 Ma): consumato per subduzione il fondo oceanico e chiuso quindi l’oceano Ligure-Piemontese, la collisione della placca europea con quella africana porta alla subduzione della prima sotto la seconda; si formano così falde a vergenza europea e si generano le unità ofiolitiche. Fase meso-alpina (45-35 Ma): dopo un periodo di stasi, i movimenti subiscono un nuovo forte impulso. Si verifica l’ispessimento e l’espansione sul piano orizzontale della catena, dovuta all’aggregazione, alla pila delle falde eoalpine, di porzioni sempre più estese del margine passivo della placca europea. Il processo produce deformazioni duttili nei settori più caldi e metamorfici della pila delle falde, le prime grandi rotture dell’avampaese europeo ed il distacco delle coperture sedimentarie dal basamento in scorrimento al di sotto della parte frontale della catena, con deformazioni di sottili falde di scollamento. Nell’Oligocene superiore (33-29 Ma) si assiste ad una nuova fase di rilassamento, che permette l’intrusione di dicchi e corpi plutonici.

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Fase neo-alpina (29-10 Ma): riprendono ad agire vigorosamente le azioni compressive. Si sviluppa in modo dominante la struttura a doppia vergenza: la catena alpina s.s. continua a propagarsi verso l’avampaese europeo, con formazione di nuove rotture litosferiche e di ulteriori sistemi di falde sempre più esterne e recenti. Il sistema Sud-vergente delle Alpi Meridionali, invece, si sviluppa sul versante interno, svincolato dalla catena a vergenza europea con l’attivazione del lineamento Periadriatico. La storia successiva delle Alpi è rappresentata dalla sua ulteriore frammentazione, dal suo sollevamento alla velocità media di circa un millimetro all’anno e dalla sua erosione.

2.3 INQUADRAMENTO GEOLOGICO E STRUTTURALE LOCALE

L’area compresa tra la Val Vigezzo e la Valle Onsernone rientra nel Dominio Pennidico che, formando la parte più profonda della catena alpina, è messo a nudo dall’erosione nella zona tra il Monte Rosa e la Val Malenco: in particolare si riconoscono la Serie Orselina e la Falda Pioda di Crana, entrambe vergenti verso Nord. Più in particolare lungo in versante meridionale della Val Vigezzo, affiorano gli ortogneiss della “Zona Monte Rosa” (Pennidico superiore), a metamorfismo alpino e derivati da graniti del Carbonifero: il substrato tettonico di questa unità è rappresentato da una sottile fascia di ofioliti mesozoiche (definite come “Zona di Antrona” e non affioranti nel territorio comunale). Lungo il fondovalle ed in parte sul versante settentrionale, affiorano le unità stratigraficamente sottostanti della “Serie Orselina”, costituite in prevalenza da gneiss, paragneiss e da due scaglie di serpentiniti e di anfiboliti, appartenenti al sistema Pennidico medio del Gran San Bernardo. Questa unità appartiene al sistema delle “radici”, attualmente definito come zona con giacitura molto inclinata ( steep belt ), ed è dissecata alla base dalla linea tettonica Centovalli-Sempione. A settentrione, si individua il contatto tra Serie Orselina e le falde dell’unità “Pioda di Crana” (Pennidico inferiore), che affiorano estesamente, al di sotto della Linea del Sempione, fino alla valle del T. e sono rappresentate da gneiss granitoidi. Dal punto di vista strutturale, la valle è percorsa dalla linea tettonica regionale Centovalli- Sempione, interpretata come faglia distensiva poco inclinata e da almeno tre sistemi tettonici locali responsabili dell’intensa fratturazione e dell’assetto locale delle unità del substrato. In generale i banchi rocciosi che costituiscono queste unità mostrano una certa omogeneità giaciturale: nella parte più meridionale, in corrispondenza della Linea Centovalli - Sempione i paragneiss hanno una direzione prevalente NE - SW e, con il loro assetto sub-verticale, costituiscono un apparato radicale; procedendo verso Nord, invece, si ha una generale riduzione di inclinazione nei piani di scistosità delle differenti litologie. Osservando con maggior dettaglio, si può notare come, spostandosi dal margine Sud-Ovest verso Nord, vari l’inclinazione sia dei paragneiss della Serie Orselina che degli gneiss della Zona Pioda di Crana; parallelamente al decrescere dell’inclinazione, si ha una modificazione dell’immersione che da SSE passa gradualmente ad E, o addirittura, a ENE. Nella zona di contatto tra la Serie Orselina e la Zona Pioda di Crana, dal Pizzo Formalone alla Cima di Caneto,

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le rocce mafiche ed ultramafiche assumono un’inclinazione elevata, probabilmente dovuta ad un diverso comportamento, rispetto alla deformazione, di queste rocce e degli gneiss della Zona Pioda di Crana, meno competenti.

2.4 INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO

La costituisce un corridoio naturale di collegamento tra l’Ossola ed il Verbano, rappresentando dunque una facile e diretta via di comunicazione tra le due valli. Dal punto di vista morfologico la Valle Vigezzo è una valle di tipo conseguente rispetto al tracciato della Valle Ossola e sospesa rispetto ad essa, denunciando la sua chiara origine glaciale. Caratteristica è infatti la soglia di , alla confluenza tra il T. con il F. , solo minimamente mascherata dagli ampi conoidi di deiezione del Melezzo stesso e del T. Isorno. Il tracciato vallivo è impostato lungo il lineamento tettonico regionale Centovalli – Sempione che, con direzione approssimativa Ovest-Est, disseca la valle sino all’altezza di S. Maria Maggiore, insinuandosi quindi lungo il corso del T. Isornino. Le valli secondarie sono anch’esse di tipo conseguente, con prevalente andamento ortogonale rispetto all’asse vallivo principale: fa eccezione evidente il tracciato dell’Isornino, controllato tettonicamente. La morfologia della valle è tipicamente glaciale, con “spalle” ben visibili lungo i versanti ed un profilo concavo, in parte regolarizzato al fondovalle dall’accumulo dei sedimenti di facies fluvioglaciale e di conoide. La confluenza tra i numerosi corsi d’acqua del reticolo idrografico e l’asse vallivo è caratterizzata infatti da numerosi e ampi conoidi di deiezione, sovente reincisi, coalescenti e terrazzati dai corsi d’acqua principali. Morfologie di origine glaciale si riscontrano inoltre alla testata dei principali corsi d’acqua, che reincidono gli antichi circhi glaciali: ben evidenti sono quelli del T. Melezzo orientale e del Rio Vasca sul versante settentrionale. Altra caratteristica della Valle Vigezzo è data dalla presenza di due sbarramenti di ablazione glaciale in corrispondenza degli abitati di Re e di Gagnone che hanno dato luogo alla sedimentazione di depositi fini, con abbondanti resti vegetali, attribuiti a facies lacustri interglaciali. Infine, a livello morfologico generale, si evidenzia come la forma valliva sia influenzata nettamente dalla presenza di un displuvio di fondovalle, posto al confine tra gli abitati di S. Maria Maggiore e , dando origine ai due corsi d’acqua principali, con opposta direzione di scorrimento, costituiti dal Melezzo occidentale ed orientale. Il reticolato idrografico minore è caratterizzato in genere da pattern subdendritici o subparalleli, per quanto riguarda i corsi d’acqua che scorrono lungo il versante meridionale (esposto dunque a nord) mentre appare più ramificato per i corsi d’acqua del versante opposto, vergente a sud. Entrambi i reticoli possiedono comunque aste principali prevalentemente rettilinee, chiaramente influenzate dai lineamenti tettonici locali. I processi morfogenetici tuttora attivi sono da riferire principalmente alla forte energia di rilievo che caratterizza la valle, con corsi d’acqua che non hanno ancora raggiunto il profilo di equilibrio, elevata acclività dei versanti con coperture di diamicton o colluvi a matrice fine,

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intensa fratturazione del substrato roccioso. Tali fattori sono predisponenti di violente attività torrentizie, con elevato trasporto solido dovuto sia ad erosione diretta che a frane per scalzamento e per degradazione, e di dissesti coinvolgenti prevalentemente la coltre superficiale, pur non mancando crolli variamente diffusi.

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3 COMMENTO DELLA DOCUMENTAZIONE CARTOGRAFICA DI BASE

3.1 CARTA GEOLOGICA (T AVOLA 1)

3.1.1 Cenni metodologici

Per quanto riguarda la redazione della carta geologica si è fatto innanzitutto riferimento alla bibliografia geologica ufficiale (Carta Geologica d’Italia a scala 1:100.000 - Foglio 16 “” – “Carta Geolitologica delle Valli Vigezzo, Fenecchio e Basso Isorno” del Servizio Geologico della Regione Piemonte, in scala 1:25.000) e al rilevamento geologico inedito della Dr. P. Lazzaroni Problematiche geologico-applicative per la realizzazione della strada di collegamento tra la Valle Vigezzo e la Valle dei Bagni di Craveggia, con particolare riguardo al tratto a cielo aperto compreso tra le sezioni 1 e 220 (Tesi di Laurea A.A. 1997-1998, Università degli Studi di Milano – Dip. Scienze della Terra). Si sono inoltre seguite le indicazioni riportate dal Quaderno Serie III volume 1 pubblicato dal Servizio Geologico Nazionale. Essendo il territorio comunale caratterizzato dalla presenza di depositi superficiali pleistocenici ed olocenici e da una intensa attività tettonica, per la redazione della carta geologica si è proceduto inoltre allo studio delle fotografie aeree, che hanno permesso di distinguere i lineamenti tettonici fondamentali su base principalmente morfologica. Si è quindi proceduto alla verifica sul terreno, anche attraverso l’analisi delle sezioni presenti lungo sezioni naturali e/o artificiali.

3.1.2 Commento della carta realizzata

Dal rilevamento in sito e dall’analisi delle fotografie aeree, sono state individuate le differenti unità litologiche, di seguito brevemente descritte. Per una migliore illustrazione dell’assetto stratigrafico-strutturale, nella carta è stato inserito anche uno schema geologico-strutturale, tratto dalla Carta Geolitologica delle Valli Vigezzo, Fenecchio e Basso Isorno (1981) del Servizio Geologico, Assessorato alla Pianificazione Territoriale, della Regione Piemonte.

UNITA’ PREQUATERNARIE

ZONA PIODA DI CRANA La Zona Pioda di Crana è l’unità strutturale inferiore ed affiora in corrispondenza dell’incisione del Rio Vasca e dei suoi tributari, nella zona tra il ponte della Fracchia e l’Alpe Marco e in finestra tettonica nel Rio Vocogno; inoltre si rinviene, con maggiore continuità, a Nord dello spartiacque (non cartografata). Knup l’ha petrograficamente divisa in zona meridionale e settentrionale: nella prima (zona gneissica della Forcoletta) sono prevalenti gneiss a feldspato alcalino e a due miche, con struttura finemente granulare; nella seconda predominano gli gneiss biotitici ad oligoclasio ed a grana da piccola a media, raramente occhiadini.

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PARAGNEISS Questo litotipo è delimitato da contatti graduali e presentano una serie di termini di passaggio con le litologie adiacenti (gneiss, micascisti). Sono rocce a grana minuta e media, con tessitura scistosa e colori variabili dal bruno al grigio, fino a grigio - verde per la presenza dell’anfibolo (orneblenda). Il quarzo compare spesso sotto forma di filoncelli che seguono la scistosità, come, per esempio, lungo lo spartiacque. In alcuni campioni è possibile riconoscere macroscopicamente individui di granato di buone dimensioni. Si possono osservare inoltre caratteristiche bandature che sfumano una nell’altra: sono dovute ad alternanze chiaro - scure non molto nette mentre le lineazioni sono dovute alla disposizione orientata delle miche sui piani di scistosità.

MICASCISTI A GRANATO E STAUROLITE I micascisti sono percentualmente scarsi rispetto agli altri litotipi e sono caratteristicamente presenti in orizzonti di potenza limitata (da pochi centimetri fino a 4 - 5 m). Sono ricchi di granati che raggiungono anche buone dimensioni e presentano una colorazione grigio - brunastra, con riflessi argentei dovuti alle miche che, presenti in notevole quantità, conferiscono, in alcuni punti, una scistosità molto accentuata. Questa è stata interessata da una forte crenulazione, ben visibile. I due litotipi, paragneiss e micascisti, non cartografati separatamente, affiorano con buona continuità a nord dello spartiacque e lungo gli alvei del Rio Vocogno e del Rio Vasca.

GNEISS Sono caratterizzati da un’alternanza di bande chiare, più ricche di muscovite, e scure, con spessore variabile anche nell’ambito dello stesso affioramento. La grana è sempre minuta; in alcuni campioni sono visibili “occhi” feldspatici, allungati secondo la scistosità, con lunghezze dell’ordine del centimetro. La struttura è gneissica, variabile da scistosa, con andamento per lo più planare, ad occhiadina, mentre la tessitura è listata e tabulata. Da un confronto con gli ortogneiss della Serie Orselina, risulta che gli gneiss della Zona Pioda di Crana si differenziano praticamente solo per la grana più minuta e per una maggiore laminazione. Esiste una zona di passaggio tra la Serie Orselina e la Zona Pioda di Crana, costituita da gneiss massicci scarsamente micacei e da intercalazioni più fini, scistose, con granato ed alto contenuto micaceo (paragneiss). Questa alternanza affiora lungo il sentiero Vocogno - Piana di Vigezzo, dove le intercalazioni scompaiono alla quota 1230 m (la giacitura è 160/50), ma anche nella zona compresa tra la Piana di Vigezzo e le Bocchette di Muino.

SERIE ORSELINA Le unità di questa serie si trovano in posizione strutturale superiore rispetto alla Zona Pioda di Crana. Caratteristica di tale zona è la stratificazione concordante di tutte le specie di rocce che la costituiscono e la loro tipica struttura a ventaglio.

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PARAGNEISS ANFIBOLITICI Sono molto frequenti al contatto tra la Serie Orselina e la Zona Monte Rosa. Hanno colorazione grigio scura, a volte rossastra probabilmente per una patina di alterazione, e tessitura scistosa molto marcata. Presentano intercalazioni da centimetriche a metriche di anfibolite di colore verde scuro con grana variabile da minuta a media, che formano masserelle scistose e pieghettate incluse negli gneiss.

PEGMATITI (non cartografate) I filoni pegmatitici, essendo prodotti anatettici, testimoniano un aumento della temperatura; nella zona rilevata questo graduale riscaldamento si è sviluppato da Ovest ad Est, dove infatti le pegmatiti sono più numerose. Secondo Knup esse sono, con buona probabilità, da riferire a due distinte generazioni: endogena l’una, esogena ed un po’ più tarda l’altra. Le prime, concordanti rispetto la roccia incassante, sono ben distinte, di potenza per lo più esigua (qualche decimetro) e piuttosto affini nella distribuzione dei medesimi componenti; le seconde, discordanti, spiccano facilmente sia per la potenza maggiore, sia per l’irregolarità dell’infiltrazione e dell’andamento generale che per la grossezza della grana. Comunque sono tutte più o meno granatifere, anche tormalinifere, qualche volta berillifere. Roggiani sostiene che i giacimenti filoniani sono i più interessanti per la presenza, fra i componenti secondari, del berillo oltre che della tormalina e dei granati e, fra gli accessori, di specie minerali anche rare. Presso il Piano del Lavonchio (lungo l’alveo del Rio Vasca), i blocchi di pegmatite presenti nei detriti e nei residui del materiale scavato circa trent’anni fa per sistemare le tubazioni dell’acquedotto hanno fornito materia per una lunga serie di studi che, iniziati nel 1882, continuano ancora. In essa sono stati rinvenuti : quarzo, feldspati, biotite e muscovite, granato (almandino e spessartina), ilmenite, tormalina nera, berillo, columbite e, qui riscontrati in natura per la prima volta, struverite e delorenzite; quest’ultima è stata poi identificata con la tanteuxenite. L’elenco comprende anche ortite, zircone, bismutinite, titanite, clinozoisite, laumontite, pirite, apatite e tapiolite, allanite, monazite e xenotime. Altro filone pegmatitico, con probabili relazioni genetiche ed evidente analogia con la precedente ed oggetto di una coltivazione saltuaria ed ormai conclusa (nel 1952 circa, fu aperta una cava di pegmatite), giace in regione Siaulèr, località Eglio, sulla destra della strada che conduce da Craveggia al Ristoro della Vasca.

GNEISS GRANITOIDI O FLASERGNEISS Gli gneiss granitoidi della Serie Orselina sono rocce metamorfiche, derivate probabilmente da graniti a grana grossolana, di colore grigio chiaro, grana medio-grossolana e tessitura che varia da occhiadina a flaser per la presenza dei caratteristici occhi di feldspato potassico molto appiattiti, fino a laminata, dove questi ultimi sono difficilmente riconoscibili. Questo litotipo affiora estesamente nel settore centro-meridionale dell’area in esame e forma i rilievi del Sassetto e del M. Ziccher. Si presenta in banchi di differente spessore in cui a volte

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prevalgono bande chiare, separate tra loro da sottili letti micacei e lenti allungate e schiacciate, costituite in massima parte da elementi leucocratici. La lineazione è determinata dalle miche orientate decisamente in letti paralleli.

ANFIBOLITI Le metabasiti (anfiboliti e serpentiniti) caratterizzano un ampio settore dell’area rilevata e costituiscono un lembo “spremuto” tra i paragneiss ed i sovrastanti ortogneiss dal comportamento più rigido. Hanno grana fine, colore verde scuro e sono micropieghettate, ovvero presentano minuscole ondulazioni dovute al corrugamento. La tessitura è massiccia, mentre la foliazione appare poco evidente. Al Pizzo Formalone si trovano anfiboliti a tessitura flaser con grossi relitti di orneblenda; è possibile osservare anche anfiboliti a chiazze conseguenza di una probabile derivazione eclogitica. Alla testata del Rio Marco, come alla Bocchetta di S. Antonio, affiorano potenti masse anfibolitiche di colore verde-bruno, listate e micropieghettate con pegmatoidi di plagioclasio.

SERPENTINITI Le rocce ultramafiche, serpentiniti e peridotiti, sono strettamente associate alle anfiboliti dell’orizzonte Sassetto-Rovina ed affiorano a sud del Pizzo Formalone. La roccia, intensamente laminata, ha colore verde ferrugginoso e contiene, oltre che olivina, molto anfibolo. In genere le serpentiniti sono di colore scuro, con porzioni più chiare orientate secondo la scistosità, costituite da plaghe di talco e clorite, o tremolite e clorite. La roccia è grigio - verde su superficie fresca, tendente al rossiccio su quella alterata. Di aspetto compatto, è untuosa al tatto e con tessitura massiccia. Le porzioni periferiche del corpo ultramafico sono sovente rappresentate da scisti cloritico - anfibolitici, sempre di colore verde e intensamente micropieghettati. Un piccolo lembo di serpentine affiora anche in località Eglio, tra gli gneiss della Serie Orselina. Il complesso di rocce mafiche e ultramafiche costituisce l’elemento separatore tra la Serie Orselina e gli “gneiss di passaggio” della Zona Pioda di Crana.

ROCCE CARBONATICHE Associati alle rocce ultramafiche, presso il Pizzo Formalone, vi sono piccoli lembi di rocce carbonatiche di scarso spessore (pochi metri) che appaiono come scaglie, generalmente limitate, di colore chiaro. Sono rocce a composizione prevalentemente calcarea costituite da marmi, marmi a silicati debolmente scistosi, scisti micacei carbonatici e calcari compatti debolmente metamorfici.

UNITA’ QUATERNARIE

DEPOSITI GLACIALI Consistono prevalentemente di diamict con blocchi e ciottoli da subangolosi a subarrotondati, in abbondante matrice limo-argillosa, riferibili a facies glaciali di fondo (till di alloggiamento) e

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presenti soprattutto nella zona orientale del territorio. Localmente sono presenti sedimenti a granulometria più grossolana, attribuibili a facies glaciali di ablazione. I depositi in parola affiorano con buona continuità lungo il fondovalle del Rio Isornino e nel bacino del Rio Vasca, fino a quote mediamente elevate, come lungo la valle del Rio Onsernone.

DEPOSITI IN FACIES DI CONOIDE ALLUVIONALE E FLUVIALE S .L. Corrispondono a sedimenti a tessitura prevalentemente grossolana, matrice sabbiosa, relativi a facies di conoide alluvionale, fluvioglaciali e fluviali, organizzati in terrazzi digradanti verso il fondovalle principale del Melezzo. Sono stati suddivisi in base alla loro posizione stratigrafica, dai più antichi fino ai sedimenti degli alvei attuali, sebbene non sia stata definita la successione cronostratigrafica, non avendo a disposizione elementi utili per effettuare datazioni precise. In particolare si individua una prima fascia altimetricamente più elevata, costituita da una serie di conoidi coalescenti, in parte smembrate dall’erosione, sulla quale insiste l’abitato di Craveggia, alla quale segue una seconda fascia a quote inferiori, ubicata tra il concentrico di Craveggia e il T. Melezzo. Lungo l’alveo del Rio Ponteone, poco a monte del ponte sulla S.P., sono stati rinvenuti, nell’ambito di questa seconda fascia terrazzata, affioramenti di ghiaie a supporto di matrice sabbiosa, con clasti appiattiti, da subangolari (prevalenti) a subarrotondati ed orientati secondo la stratificazione, con intercalazioni lenticolari di sabbie medio-fini e rare ghiaie minute, che ricoprono ciottoli e ghiaie subangolari, a supporto clastico e matrice sabbiosa. La stratificazione è decimetrica, inclinata verso valle con angolo di circa 25°; in funzione delle loro caratteristiche giaciturali e tessiturali e dell’assetto morfologico dell’area, tali sedimenti possono essere attribuiti a facies di delta-conoide. A quote ancora inferiori si individuano sedimenti in facies di conoide di deiezione distale e in facies fluviale che costituiscono la piana sulla quale è sito il comune di S. Maria Maggiore e la località Siberia. Infine come ultima unità litostratigrafica sono stati distinti i sedimenti in facies di barra longitudinale e di canale degli alvei attivi, prevalentemente ciottolosi.

DEPOSITI DI VERSANTE Sono costituiti da sedimenti a granulometria eterogenea in funzione dei meccanismi deposizionali responsabili della loro messa in posto. Sono stati infatti raggruppati in questa unità sia depositi detritici di versante, grossolani, stabilizzati e ricoperti da una coltre pedogenetica, sia depositi colluviali ed eluvio-colluviali, a tessitura prevalentemente fine. Questi depositi affiorano estesamente su tutto il territorio con spessori variabili nei vari settori.

FALDE E CONI DETRITICI Rappresentano porzioni limitate del territorio comunale, posti in genere a quote elevate; sono costituiti da sedimenti a pezzatura grossolana ai quali a volte si interpongono accumuli di frane di crollo.

LINEAMENTI TETTONICI L’assetto strutturale dell’area, già in parte descritto nei capitoli precedenti, è governato dal passaggio, al fondovalle, della linea regionale delle Centovalli, interpretata come faglia

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distensiva poco inclinata, che divide in due parti le unità del Pennidico medio, della Serie Orselina. Ad essa si aggiungono tre grandi sistemi tettonici locali, rispettivamente con direzione Ovest-Est o OvestSudOvest-EstNordEst, parallelo alla linea delle Centovalli, NordEst-SudOvest e NordOvest-SudEst. A questo sistema tettonico si adeguano con buona regolarità i reticoli idrografici dei corsi d’acqua e le valli entro le quali scorrono, sia relativamente all’allineamento fondovalle principale - T. Isornino, sia per gli alvei minori, con direzione normale rispetto all’allineamento predetto.

Infine nella carta geolitologica sono state indicate le misure giaciturali dei piani di scistosità del substrato prequaternario, i conoidi alluvionali ed i coni detritici.

3.2 CARTA GEOMORFOLOGICA (T AVOLA 2)

3.2.1 Cenni metodologici

Lo studio dell'area in esame è stato affrontato secondo due diversi tipi di metodologie, comunque fra loro complementari: 1. attraverso lo studio delle fotografie aeree; 2. attraverso la ricerca sul terreno sia in fase preliminare, sia dopo lo studio delle fotografie aeree come verifica dei dati ottenuti attraverso di esse. Per ciò che riguarda la legenda utilizzata per la stesura della carta, si è fatto riferimento a quanto riportato dal Quaderno Serie III volume 4 pubblicato dal Servizio Geologico Nazionale, e prendendo anche in esame lo schema proposto dal prof. Mario Panizza ( Schema di legenda per carte geomorfologiche di dettaglio , 1972), dal Gruppo Nazionale Geografia Fisica e Geomorfologia ( Proposta di legenda geomorfologica ad indirizzo applicativo , 1993) e da C. Bisci e F. Dramis ( Il concetto di attività in geomorfologia: problemi e metodi di valutazione , 1991).

3.2.2 Commento della carta realizzata

Numerose sono le forme rinvenute nel territorio in esame, riferibili ai processi di seguito descritti, e comunque raggruppabili in due grandi sistemi morfogenetici: un sistema glaciale e periglaciale, inattivo, ed un sistema fluviale e di versante, tuttora attivo, che si sovrappongono ad una base litologica prevalentemente scistosa ed interessata da diversi sistemi di fratturazione regionale e locale. Al primo sistema sono da riferire le grandi forme presenti, quali morfologia tondeggiante dei fondovalle, orli di circo e creste, superfici blandamente ondulate e poco acclivi, ed i depositi ad esse relativi, ad abbondante matrice fine per i depositi glaciali, a pezzatura grossolana per i prodotti periglaciali. Al sistema fluviale e di versante sono da riferire le forme giovanili del reticolo idrografico (valli a “V”, ruscellamenti concentrati, forre, ecc., ed i relativi depositi che hanno interessato soprattutto il fondovalle principale, costituiti in gran parte da apparati di conoide coalescenti, reincisi e terrazzati.

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A questi due sistemi devono essere quindi ricollegati i processi di tipo gravitativo, che si esplicano sotto forma di frane, con diversi meccanismi di movimento, e di depositi detritici, interessanti vasta parte del territorio. Nel caso di questi ultimi processi, è stata aggiunta alla usuale distinzione in forme attive e inattive, la forma quiescente . Secondo quanto espresso da BISCI & DRAMIS (1991), infatti, le forme attive sono quelle forme che si evolvono per mezzo dei processi morfogenetici che l’hanno originata mentre inattive sono quelle forme che hanno terminato l’evoluzione per mezzo di quei processi: con altra definizione, le forme attive possono essere tuttora modificate dagli stessi fattori che le hanno generate, le forme inattive sono quelle rimodellate o modificate da processi diversi da quelli che le hanno generate o che necessitano di sostanziali mutamenti (variazioni climatiche o movimenti tettonici) perché i processi originari possano ritornare ad agire. Riguardo al modo di evoluzione della forma nel tempo, gli stessi Autori distinguono 4 differenti tipologie: forme ad attività continua, intermittente, alternata e ad attivazione unica . Il primo è il caso di movimenti continui, tipo creep , a velocità costante; il secondo è il caso di processi sismici, tettonici o vulcanici e di gran parte dei fenomeni franosi, con periodi lunghi di inattività che si interpongono a periodi molto più brevi di intensa attività; nel terzo caso si annoverano processi caratterizzati da periodi di lenta evoluzione alternati a periodi ad evoluzione veloce, quali ad esempio i processi di erosione fluviale e calanchiva, i soliflussi, ecc.; l’ultimo infine caratterizza fenomeni di tipo catastrofico che si esauriscono in un unico evento. Come si può osservare quindi la distinzione tra le diverse modalità di evoluzione è direttamente legata ai tempi di ritorno, che possono variare in funzione ad esempio dei diversi ambienti sedimentari. Anche le modalità di attivazione e di cessazione delle forme possono essere diverse: forme ad attivazione (o cessazione) improvvisa dell’attività (crolli) e graduale (erosione areale). In funzione quindi dei tempi di ritorno, gli Autori propongono di inserire le forme ad attività continua, alternata o intermittente, con tempo di ritorno annuale, tra le forme attive s.s. mentre tra le forme quiescenti devono essere inserite quelle ad attività intermittente, con tempi di ritorno più lunghi, prodotte da agenti morfogenetici non presenti attualmente o presenti con bassa efficacia, ma che possono riprendere la loro attività senza richiedere cambiamenti sostanziali del sistema morfoclimatico.

FORME GLACIALI Sono forme inattive e si distinguono in forme di accumulo e di erosione: tra le prime sono stati riconosciuti i cordoni morenici, non sempre ben conservati, ed i depositi glaciali s.l., a tessitura prevalentemente eterogenea in abbondante matrice fine; tra le seconde si annoverano gli orli di circo, tra i quali di ragguardevoli dimensioni è quello che delimita il bacino del Rio Vasca. Altre forme tipo rocce montonate e terrazzette erbose, rinvenute saltuariamente nel settore settentrionale del territorio, non sono state cartografate date le loro ridottissime estensioni.

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FORME FLUVIALI , FLUVIOGLACIALI E DI VERSANTE Si suddividono anch’esse in forme di accumulo e di erosione, con l’ulteriore distinzione tra forme attive ed inattive. Forme di accumulo Si segnalano i conoidi alluvionali, ed i depositi ad essi connessi, che occupano il fondovalle principale ed il concentrico di Craveggia fino al Rifugio Vasca. In particolare, partendo da Est, il primo apparato di conoide, relitto, si rinviene all’Alpe Siauler, smembrato in sinistra dal Rio Vasca che ha dato origine ad un’alta scarpata, terrazzato nella parte distale e reinciso da apparati minori a loro volta terrazzati e reincisi. Proseguendo verso Ovest, si possono osservare ulteriori conoidi di deiezione disposti lungo una fascia parallela al versante, che si protrae fino all’abitato di Vocogno, in parte smembrati dall’erosione, terrazzati e reincisi. A valle di questa fascia di conoidi coalescenti, è stata individuata un’altra serie di conoidi relitti, disposti tra l’abitato di Prestinone e Zornasco, formanti ampie superfici poco inclinate: come per gli apparati sopra descritti, anche questi ultimi si presentano terrazzati e reincisi, sebbene morfologicamente meglio conservati rispetto ai precedenti. Gli apparati di conoide attivi si ubicano alla confluenza dei corsi d’acqua minori con il T. Melezzo e, in particolare, allo sbocco del Rio Bondone, del Rio Ponteone e del Rio Vocogno: sono apparati di ridotte dimensioni, costruiti a valle dei conoidi sopra descritti e, rispetto ad essi, decisamente incassati, essendo delimitati sui fianchi da alte scarpate. Piccoli conoidi riattivati nel corso dell’evento alluvionale del 1978 si individuano anche nella località Regione In Re e sul versante opposto, in sinistra idrografica del T. La Riana, in località Siberia. Altri conoidi, di dimensioni limitate e in parte attivi, sono presenti lungo l’asse vallivo del rio Onsernone e del rio Vasca. Ai vari apparati di conoide riconosciuti è stato associato un grado di pericolosità in relazione al loro stato di attività, alla presenza o meno di opere idrauliche migliorative ed all’intensità dei processi presenti o verificatisi in passato, anche sulla scorta di valutazione empiriche della pericolosità in conoide, trattate in dettaglio nei capitoli successivi. Infine tra queste forme si segnalano i depositi alluvionali ciottolosi e ghiaiosi dell’alveo attivo del T. Melezzo e del T. La Riana e quelli costituiti da blocchi e massi ritrovati lungo il medio- basso corso del Rio Vasca. Forme di erosione Tra queste forme si elencano processi di ambiente fluviale/fluvioglaciale e processi di versante. Forme di origine fluviale sono gli orli di terrazzo, che si distinguono in attivi ed inattivi: i primi sono ubicati lungo i corsi d’acqua maggiori (T. Isornino, Rio Vasca, T. Melezzo, T. Onsernone e T. La Riana) mentre i secondi delimitano gli apparati di conoide inattivi nella zona di Eglio, a valle del concentrico di Craveggia e nella zona di Formonfracchio. Altre forme di origine fluviale sono le tracce di antichi corsi d’acqua (paleoalvei) che si possono facilmente individuare soprattutto nella zona di fondovalle e legate a divagazioni del paleo-Melezzo e del La Riana nella zona distale del conoide sul quale sorge S. Maria Maggiore.

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In senso generale si può comunque ricordare che le aste fluviali sono soggette a processi di accumulo e di erosione, sia di sponda che di fondo, che si alternano da tratto a tratto lungo lo stesso alveo. In particolare il tratto terminale dei corsi d’acqua che sfociano nel T. Melezzo e, segnatamente, il Rio Vocogno e il Rio Bondone, sono caratterizzati da intesi processi erosivi di sponda e di fondo, che hanno dato origine ad alte scarpate di degradazione, reincidendo gli antichi apparati di conoide, attualmente sospesi sul fondovalle e non più raggiungibili da eventi alluvionali. Tra le forme di versante, a testimonianza dell’alta energia di rilievo, sono state individuate numerose vallecole a “V” che sottolineano il processo di approfondimento degli alvei e che si trasformano in forre, profondamente incise nel substrato roccioso, nel tratto terminale dei corsi d’acqua maggiori (ad esclusione ovviamente del T. Melezzo). Di particolare interesse è il sistema di vallecole che caratterizzano un paesaggio quasi di tipo “calanchivo” osservato sul versante sud-occidentale del P.zo Formalone, legato all’intensa fratturazione delle anfiboliti. Alle numerose vallecole si affiancano aree caratterizzate da ruscellamento concentrato, sviluppato soprattutto nelle zone soggette a grandi dissesti di tipo gravitativo, e solchi di ruscellamento concentrato, da collegare alla mediamente alta acclività che contraddistingue i versanti e ad un reticolato idrografico non ancora completamente sviluppato. Relativamente ai dissesti di tipo torrentizio/fluviale, sulla base delle indicazioni contenute nell’Allegato 2 alla DGR 45-6656/02 “ Legenda Regionale per la redazione della carta geomorfologica e del dissesto di PRGC redatta in conformità alla Circ. 7/LAP e successiva NTE ”, punto 3 “Dissesti legati alla dinamica fluviale e torrentizia”, si è proceduto innanzitutto ad una distinzione tra dissesti di tipo lineare e di tipo areale. Per non sovraccaricare di simboli la carta in parola, si è deciso di attribuire al simbolo delle vallecole a V anche il grado di intensità dei processi lineari (suddivisi in intensità molto elevata ed elevata, sulla base delle fonti storiche e delle caratteristiche geomorfologiche dei versanti e dei bacini ad essi sottesi, esaurientemente rappresentate nella tavola in oggetto, e contraddistinti da diverso colore) mentre i dissesti rappresentabili arealmente sono stati graficamente perimetrati e suddivisi in aree a pericolosità molto elevata e aree a pericolosità media/moderata. I dissesti areali a pericolosità medio moderata comprendono le piccole colate da trasporto in massa (mud flow – debris flow), che hanno avuto luogo nel corso dell’alluvione del ’78 in corrispondenza del ponte sul Rio Vasca (ricompreso nel piccolo conoide alluvionale attivo posto in sinistra idrografica del rio Vasca, immediatamente a monte del ponte della strada comunale) e nella Regione In Re (per quest’ultimo si tratta, ad ogni modo, di un evento di dimensioni molto limitate che ha movimentato materiale fine) oltre che le aree marginali ubicate in sinistra idrografica del rio la Riana, interessate da allagamenti senza deposizione di materiale e senza fenomeni erosivi, individuate mediante foto interpretazione delle fotografie aeree relative all’evento del 1978. Tali aree si collocano in posizione esterna a quelle individuate nello studio di Polithema del 1981 come zone sovralluvionate e come zone esondate ed alluvionate con depositi minuti (cfr. GEO 18).

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Le aree a pericolosità molto elevata corrispondono invece ai settori soggetti ad importanti processi di alluvionamento ed esondazione lungo i corsi d’acqua di maggiore dimensioni, quali il torrente Melezzo, Onsernone, La Riana, Vasca, Isornino, Tiedo e Bondone Per la perimetrazione e la definizione della pericolosità dei suddetti dissesti sono state utilizzate, oltre che l’analisi foto interpretativa, le informazioni contenute nella “Carta dei dissesti – tratto Buttogno-” del dicembre 1981, alla scala 1:5.000, redatta da Polithema nell’ambito dello “Studio di coordinamento tra le componenti di struttura, idrogeologiche ed ambientali del territorio della Valle Vigezzo” – Comunità Montana di Valle Vigezzo, di cui viene fornito un estratto nella tavola 12 elaborato GEO 18. Nella tavola sono state inoltre riportate anche le localizzazioni dei principali danni a strutture e infrastrutture, evidenziati per mezzo della ricerca storica.

FORME DI VERSANTE DOVUTE ALLA GRAVITÀ I processi gravitatiti sono stati suddivisi in attivi, quiescenti e stabilizzati ed in forme di denudazione e forme di accumulo. Forme di denudazione Consistono di forme di dissesto gravitativo, governate da differenti meccanismi: frane di crollo nel substrato lapideo e nelle coltri di copertura (per scalzamento al piede da parte dei corsi d’acqua), frane di scivolamento traslativo, colamenti. Come detto in precedenza, sono suddivise in forme attive, nelle quali i processi geomorfici sono stati riconosciuti tuttora in atto e forme quiescenti, nelle quali i processi sono attualmente inattivi ma con possibilità di riattivazione sia nell’ambito della singola forma sia nelle zone adiacenti, se sussistono le medesime condizioni al contorno e forme stabilizzate nei casi dove successivi interventi di tipo antropico hanno modificato le condizioni al contorno, stabilizzando le superfici. Dall’esame della carta, si può agevolmente osservare che sono numerosissimi i processi di dissesto che si sono verificati, o che tuttora sono presenti, nel territorio di Craveggia, sia a scapito della coltre di copertura sia nel substrato roccioso: è ovvio che un gran numero dei dissesti classificati come quiescenti è da attribuire al singolo evento meteorico del 1978. Tra i dissesti tuttora attivi si vogliono ricordare le scarpate di degradazione ubicate lungo le sponde dei corsi d’acqua e, in particolare, del Rio Vasca, Vocogno e Bondone (questi ultimi presso il tratto terminale) e lungo le sponde del Melezzo, potenzialmente soggette ad erosione regressiva anche se protette al piede da opere di difesa radenti. Forme di accumulo Tra queste si elencano gli accumuli di frana (per le frane inattive gli accumuli e le colate sono state ricostruite mediante la fotointerpretazione delle riprese aeree effettuate dopo l’alluvione del 1978) ed i depositi detritici di versante, distinguendo tra quelli attivi e quelli stabilizzati dalla vegetazione e coperti da coltre pedogenetica. Per le forme gravitative vale quanto già commentato in precedenza a proposito delle vallecole a V: sulla base dei disposti della Legenda Regionale, alle varie situazione di dissesto è stato

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associato un codice alfanumerico che ne caratterizza la tipologia di movimento e lo stato di attività.

FORME ANTROPICHE Le forme antropiche, anche se presenti, non sono state riportate sulla carta, data la scala di rappresentazione in relazione alle loro limitate dimensioni. Si segnalano comunque in molti punti del territorio opere di difesa lungo i corsi d’acqua (censite nella Carta delle opere idrauliche), terrazzamenti artificiali, piccole opere di sostegno lungo versante, ecc..

FORME ED ELEMENTI DELL’IDROGRAFIA Sono qui raggruppati le zone a drenaggio difficoltoso individuate nei pressi del concentrico di Craveggia, limitrofa alla sponda destra del T. Isornino, e nella zona immediatamente a monte del concentrico (Passeggiata dei Vecchi). Appartengono alla base cartografica e quindi non sono stati riportati in legenda, i corsi d’acqua del reticolo principale e minore, rappresentati in azzurro nelle tavole.

SUBSTRATO ROCCIOSO INDIFFERENZIATO Nella carta è rappresentato il substrato roccioso, raggruppato in base alle caratteristiche di scistosità e, quindi, distinto in due grandi gruppi: rocce prevalentemente scistose e rocce prevalentemente massive, allo scopo di suddividere la base litologica esistente in funzione delle caratteristiche fisico-meccaniche.

3.3 CARTA GEOIDROLOGICA (T AVOLA 3)

3.3.1 Metodologia applicata

Scopo di questa carta è “ la rappresentazione del territorio sulla base del reticolo idrografico superficiale naturale ed artificiale, dei relativi bacini e sottobacini e dei complessi litologici omogenei dal punto di vista del comportamento geoidrologico ”.

3.3.2 Commento della carta realizzata

In considerazione delle caratteristiche litologiche e tessiturali dei depositi presenti, si è ritenuto opportuno distinguere diversi complessi litologici aventi comportamento geoidrologico omogeneo. Depositi di alluvionali e di conoide: si tratta di depositi caratterizzati in genere da una permeabilità da buona ad alta (10 -1 ÷ 10 -3 m/s), in funzione della granulometria prevalentemente grossolana che li contraddistingue. Interessano tutti i conoidi presenti sul territorio, i terrazzi fluviali e fluvioglaciali ed i depositi degli alvei attivi. Depositi detritici a tessitura grossolana: possiedono valori di permeabilità alti (≥ 10 -2 m/s), in funzione della pezzatura prevalentemente grossolana che li caratterizza, unitamente alla scarsità di matrice fine interclusa. Depositi glaciali e detritico-colluviali: caratterizzati in genere da una permeabilità bassa (10 -5 ÷ 10 -7 m/s) e comunque estremamente variabile a causa della disomogeneità tessiturale e della

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maggiore o minore presenza della matrice limo-argillosa. Ad essi sono paragonabili anche i depositi di origine colluviale, costituiti prevalentemente da sedimenti di suolo con scarso scheletro. Substrato roccioso: sono state raggruppate le diverse formazioni rocciose metamorfiche, caratterizzate in genere da una permeabilità bassa nel caso di gneiss scistosi e paragneiss e prevalentemente per fessurazione. Anche la permeabilità per fratturazione, che si esplica in genere lungo i piani di discontinuità della roccia (scistosità, giunti di stratificazione, fratture, ecc.) è in questo caso pressoché inesistente in quanto i paragneiss e gli gneiss scistosi tendono a dare luogo lungo questi piani, per alterazione, a illiti (minerali del gruppo delle argille) tendenzialmente impermeabili. Nelle altre formazioni rocciose presenti invece questa permeabilità può avere un’importanza più elevata.

Dal punto di vista idrogeologico si è preferito non redigere la carta piezometrica, in considerazione della situazione stratigrafica locale, caratterizzata in genere, come si è visto, da coperture di scarsa potenza su substrato impermeabile: la circolazione idrica sotterranea in queste condizioni è contraddistinta da falde freatiche di limitata estensione e soggiacenza che determinano locali emergenze, di portata notevolmente influenzata dalle variazioni nelle precipitazioni, ad eccetto del tratto di piana alluvionale di fondovalle, dove comunque, data l’estensione limitata, è stata ritenuta poco significativa, per gli scopi del presente lavoro, la ricostruzione della superficie piezometrica. Relativamente ai corsi d’acqua che attraversano gli abitati è stata segnalata, con apposita simbologia, la presenza di restringimenti della sezione naturale degli alvei, corrispondenti a sezioni di deflusso di manufatti idraulici ritenute insufficienti in base ad osservazioni di campagna, a dati ricavati da testimonianze orali e ad indicazioni dei tecnici comunali sulla scorta di eventi verificatisi in tempi anche molto recenti. Per meglio illustrare questi parametri, sono state elaborate le schede informative SICOD, che descrivono in modo sintetico i dati raccolti nel corso dei rilevamenti sul terreno. Sono state indicate inoltre le aree di salvaguardia delle captazioni per uso idropotabile, sorgenti e pozzi, distinguendo le Zone a Tutela Assoluta e le Zone di Rispetto. Si tratta di due pozzi comunali idropotabili, ubicati rispettivamente in località Prestinone e Siberia, e di una serie di sorgenti distribuite sulla parte montana del territorio comunale. Infine nella tavola sono stati distinti con diversa colorazione i corsi d’acqua in sede propria da quelli con sedime demaniale e/o iscritti all’elenco delle acque pubbliche.

3.4 CARTA LITOTECNICA (T AVOLA 4)

3.4.1 Considerazioni generali

Sulla base dei dati ottenuti dal rilievo geologico e da parametri ricavati dal lavoro inedito della Dr. P. Lazzaroni (op. cit.), è stata redatta la carta della caratterizzazione litotecnica con lo scopo di raggruppare i terreni in base alle loro caratteristiche geotecniche. Data la variabilità tessiturale dei materiali, si è preferito definire, per diversi gruppi identificati,

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un “range” di valori piuttosto che attribuirne loro uno specifico: è chiaro che, in questa fase, l’intervallo di valori attribuito alle differenti litologie riconosciute, vuole essere solo indicativa della qualità generale dei terreni e delle rocce ed è stato utilizzato quale elemento concorrente alla realizzazione della zonizzazione geologico-tecnica del territorio. Come valori di riferimento è stata utilizzata la tabella di M. Jamiolkowsky e E. Pasqualini “Valori orientativi dei parametri che caratterizzano la curva sforzi-deformazioni di forma iperbolica – primo carico”, opportunamente integrata con alcuni dati puntuali ricavati da indagini geotecniche in sito effettuati dagli scriventi nel territorio comunale. Analisi puntuali dovranno dunque essere intraprese a livello di singolo lotto edificatorio, al fine di individuare la precisa parametrazione geotecnica da utilizzare in fase di progettazione esecutiva.

3.4.2 Commento della carta realizzata

Per quanto riguarda le caratteristiche tecniche dei terreni, il territorio comunale è stato suddiviso in cinque grandi gruppi.

Unità litotecnica 1 – Depositi alluvionali e di conoide In questa unità sono stati riuniti i depositi caratterizzati da una granulometria medio- grossolana, relativi a facies sedimentarie in ambiente fluviale s.l.: si tratta in prevalenza di ghiaie e ciottoli, da poco a mediamente arrotondati, in matrice sabbiosa più o meno abbondante. A questi depositi, che affiorano soprattutto nella parte centro meridionale dell’area in esame, può essere attribuita la seguente parametrazione geotecnica: angolo di attrito di picco pari a circa 30°÷ 34° e coesione nulla. Unità litotecnica 2 – Depositi detritici a tessitura grossolana Si tratta di materiali a pezzatura tendenzialmente grossolana, costituiti da grossi blocchi e ciottoli spigolosi con matrice da scarsa ad assente. In funzione delle caratteristiche dei materiali è possibile attribuire una parametrazione geotecnica cautelativamente così riassumibile: un angolo di attrito di picco pari a circa 30° ÷ 33° e una coesione nulla. Unità litotecnica 3 - Depositi glaciali e eluvio-colluviali Si tratta di materiale a granulometria medio-fine e comunque eterogenea, ai quali è possibile attribuire un valore di angolo di attrito di picco pari a circa 26° ÷ 28° e una coesione nulla (cautelativamente): in taluni casi è possibile osservare anche una certa coesione a breve termine in questi depositi. Affiorano su gran parte del territorio, anche se va ricordato che gli spessori possono subire sostanziali variazioni da luogo a luogo, con riduzioni anche sensibili fino a rappresentare solo sottili coltri giacenti sopra il substrato roccioso. Unità litotecnica 4 – Rocce metamorfiche scistose Dai dati della letteratura e del lavoro inedito sopra ricordato, è possibile attribuire una valore di angolo di attrito di picco pari a circa 30 ÷ 35° e coesione compresa tra 5 e 15 t/m 2; rappresentano la maggior parte del substrato roccioso presente in zona.

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Unità litotecnica 5 – rocce metamorfiche massive Sono presenti solo in settori limitati della zona in esame: si ritiene opportuno attribuire a questa unità valori di angolo di attrito di picco di circa 30° ÷ 35° e di coesione pari a circa 20 t/m 2. Nella tavola sono inoltre indicate le località coinvolte da fenomeni franosi per le quali sono state compilate le schede di censimento delle frane (allegato 2), come richiesto dalla N.T.E. alla Circolare 7/LAP, riunendole in aree che racchiudono gruppi a tipologia omogenea, alle quali corrisponde una singola scheda, georiferita rispetto al baricentro di ogni singola area.

3.5 CARTA DELLE OPERE DI DIFESA IDRAULICA (T AVOLA 5)

In questa tavola sono riportate le varie opere di regimazione e di difesa idraulica, utilizzando il sistema SICOD (Sistema Informativo Catasto Opere di Difesa) proposto dalla Regione Piemonte – Direzione Difesa del Suolo e CSI “… come strumento per redigere il catasto delle opere idrauliche, così come richiesto dai piani regolatori …”. La documentazione richiesta dalla Direzione Difesa Suolo della Regione Piemonte e compresa negli elaborati formanti il presente lavoro sono: Carta delle opere di difesa; schede cartacee delle opere (Allegato 4); data base su supporto informatico. Le opere idrauliche presenti sul territorio sono distinguibili in opere trasversali, longitudinali, attraversamenti di corsi d’acqua e canali di gronda. A ciascuna opera censita è associata una scheda, secondo le indicazioni della Regione Piemonte, contraddistinta da sigla e numerazione relativa. Inoltre, sono state messe in evidenza le opere idrauliche (trasversali e longitudinali) che sono state realizzate a seguito dell’evento alluvionale dell’agosto 1978. In particolare, si tiene a ribadire che, nonostante la mancanza di vere operazioni di manutenzione ordinaria e straordinaria alle suddette opere di difesa e regimazione idraulica nel corso degli anni, le stesse hanno svolto un’efficace funzione durante gli eventi alluvionali avutisi nel corso degli anni, sia di difesa delle sponde dall’azione erosiva, che di regimazione dell’attività torrentizia, dei corsi sui quali le stesse sono state costruite.

3.5.1 Commento della carta realizzata

In questa tavola sono riportate le varie opere di difesa idraulica, presenti nel territorio ed il reticolato idrografico di riferimento. A ciascuna opera censita è associata una scheda contraddistinta da sigla e numerazione in funzione del tipo di opera. 1. Opere longitudinali: sono rappresentate le difese spondali presenti lungo il T. Melezzo, costituite da un’opera rigida sormontata da un sistema semirigido in gabbioni, realizzate negli anni immediatamente successivi all’alluvione del 1978. Lungo i corsi d’acqua del reticolo minore, le opere sono state distinte in base alle varie tipologie (scogliere, muri in cls, ecc.). 2. Opere trasversali: sono suddivise in briglie, costruite in gran numero lungo il corso del Melezzo con funzione stabilizzatrice, e soglie, presenti lungo i corsi d’acqua minori.

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3. Ponti, canalizzazioni ed attraversamenti: sono stati segnalati con apposita simbologia gli attraversamenti che, all’atto dei sopralluoghi di campagna, evidenziavano criticità idrauliche per restringimenti della sezione di deflusso o con criticità individuate da pregressi eventi alluvionali. 4. Scolmatori e canali di gronda, costituiti da modesti canali (fossi) a cielo aperto, ubicati principalmente a monte dell’abitato di Vocogno. L’allegato 4 riporta le schede delle opere censite: le verifiche puntuali hanno permesso di evidenziare che tali opere sono ancora generalmente in buono stato di efficienza e conservazione. Si prescrive tuttavia di effettuare una periodica manutenzione, con pulizia dalla vegetazione infestante in alveo e il ripristino dei punti sottoposti ad erosione di fondo.

3.6 CARTA DELL ’ACCLIVITÀ (T AVOLA 6)

3.6.1 Metodologia utilizzata

Il problema della redazione di una carta dell'acclività, sta nella difficoltà di poter confrontare i dati ottenuti con quelli ricavati da indagini svolte da operatori diversi. Per tentare di ovviare a questo problema, si è fatto riferimento a quanto proposto da G. Brancucci e P. Maifredi ( Contributo alle tecniche di elaborazione delle carte dell'acclività ). Il metodo proposto dagli autori prevede la preparazione, su un supporto di materiale indeformabile, di una griglia suddivisa in maglie di 1 cm di lato, con inscritto un cerchio di diametro pari a 1 cm. Gli autori hanno proposto l'utilizzo di una maglia circolare, in sostituzione di quella quadrata, per la necessità di avere misure rilevate sempre lungo la linea di massima pendenza, che può essere orientata in modo diverso in ogni singola maglia. Sovrapponendo quindi il trasparente alla base topografica, vengono contate, per ciascuna maglia, le fasce altimetriche (intervallo tra due isoipse successive) presenti. Per le fasce che risultano incluse solo parzialmente vengono presi in considerazione i due tratti estremi, e si vede se la somma è superiore o inferiore a mezza fascia, attribuendo così la maglia alla classe superiore oppure a quella inferiore. La pendenza media di ciascuna classe si otterrà nel seguente modo: Pm% = (n ⋅e/d) x 100 dove: Pm = pendenza media n = numero di intervalli contati e = equidistanza (in m) d = diametro della cella (in m) Si procede quindi alla trasformazione della matrice di dati così preparata, in carta dell'acclività; tale operazione può essere effettuata manualmente separando le diverse classi e sovrapponendo il lucido della matrice alla carta topografica originaria ed interpolando visivamente i dati.

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3.6.2 Commento della carta realizzata

Sono state distinte 6 classi di acclività, relative a differenti intervalli di pendenza:

• classe I: pendenze comprese tra 0° e 5°

• classe II: pendenze comprese tra 6° e 11°

• classe III: pendenze comprese tra 11° e 17°

• classe IV: pendenze comprese tra 18° e 27°

• classe V: pendenze comprese tra 28° e 35°

• classe VI: pendenze maggiori di 35°. La scelta di questo tipo di suddivisione delle pendenze è stata dettata dalla volontà di delineare con buona approssimazione sia le aree subpianeggianti dei fondovalle alluvionali sia le classi medio-alte, al fine, relativamente a queste ultime, di evidenziare i pendii soggetti a eventi franosi. Osservando la rappresentazione del territorio in esame, si evidenziano nettamente gli antichi orli di circo glaciale, caratterizzati da pendenze elevate. Chiaro è anche l’andamento del fondovalle principale, a bassa acclività, e quello dei settori occupati da conoidi di deiezione inattivi, disposti lungo una fascia con direzione Est-Ovest. In particolare si può osservare il cambio di pendenza al quale sono soggetti i corsi d’acqua tributari del T. Melezzo e del T. Isornino, con una graduale diminuzione dell’acclività dalle zone di testata alla confluenza. Un raffronto tra le pendenze e gli episodi di dissesto gravitativo mette in evidenza che le frane di colamento si innescano, in corrispondenza delle coltri di copertura quaternaria, già a partire dalla classe IV di acclività mentre i dissesti nella classe inferiore si individuano in prossimità del reticolo idrografico, connessi sostanzialmente a processi di tipo erosivo. Va anche sottolineato, a questo proposito, che la scala e l’equidistanza delle curve di livello della CTR non consente sempre di dettagliare le situazioni locali di aumento dell’acclività, quali le zone di scarpata fluviale che quindi appaiono talora ricadenti in zone ad acclività inferiore a quella realmente verificabile in sito.

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4 CONOIDI ALLUVIONALI (ALLEGATO 5)

4.1 PREMESSA

In Comune di Craveggia non si segnalano conoidi attivi che vadano ad interessare direttamente i nuclei edificati. Data la conformazione del fondovalle, caratterizzato da un corso d’acqua principale al quale confluiscono ripidi alvei montani, profondamente incassati, si osserva unicamente la presenza di modesti apparati di deiezione, posti nelle zone di confluenza e marginali rispetto ai centri abitati. Si segnala tuttavia la presenza di un insediamento turistico ricettivo (campeggio) ubicato in gran parte sul conoide del rio Ponteone e la presenza di alcuni edifici residenziali sul terrazzo soprastante il conoide attivo del rio Bondone. Per questi due apparati di conoide è stata pertanto sviluppata l’analisi morfometrica ed analizzata in dettaglio la pericolosità di potenziali eventi di debris-flow. Il conoide dei rio del Tiedo invece non interessa direttamente nuclei edificati ma lambisce l’estremità orientale del campeggio suddetto: in questo caso lo studio di dettaglio si è limitato unicamente alla valutazione della pericolosità in conoide, finalizzata alla perimetrazione delle aree a differente idoneità urbanistica.

4.2 ELEMENTI DI MORFOMETRIA FLUVIALE

4.2.1 Generalità

La morfometria ha come oggetto la misura delle forme, ovvero delle caratteristiche geometriche del rilievo o di qualsiasi elemento naturale sia esso vegetale o animale. Si usa il termine morfometria fluviale per indicare le misure delle caratteristiche geometriche delle forme di un sistema di erosione fluviale. Gli elementi di forma fondamentali che caratterizzano un paesaggio d’erosione fluviale sono le proprietà lineari di una rete idrografica: lo studio infatti, si riduce all’analisi di un insieme ramificato di linee. Se non si considerano le larghezze degli alvei, tutti i corsi d’acqua vengono trattati come semplici linee aventi una larghezza infinitamente piccola. Le proprietà lineari sono perciò limitate ai numeri, alle lunghezze, e all’ordinamento degli insiemi dei segmenti. Sebbene queste linee, in realtà, siano inclinate rispetto al piano orizzontale (tutti i fiumi devono avere una pendenza), l’analisi delle proprietà lineari viene effettuata sulla proiezione della rete idrografica su un piano orizzontale. Un tale studio si dice planimetrico, intendendo che le misure vengono eseguite in un unico piano. La seconda categoria di elementi che caratterizzano le forme di un sistema di erosione fluviale riguarda le proprietà areali dei bacini idrografici. Anche in questo caso la superficie del terreno viene proiettata su di un piano orizzontale e perciò si tratterà di uno studio planimetrico. Le proprietà areali comprendono sia le aree superficiali dei bacini idrografici sia la descrizione delle forme di questi bacini.

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Generalizzando si può dire che le aree assolvono meglio la funzione di intercettare le precipitazioni e di fornire i detriti rocciosi, mentre le linee (alvei) hanno la funzione di trasportare l’acqua e i detriti fuori dall’area. La terza categoria di elementi che determinano le forme di un sistema di erosione fluviale è pertinente alle proprietà del rilievo . Il rilievo è definito dalle altezze relative dei punti delle superfici e dei sistemi lineari, a partire dal piano orizzontale di riferimento. Le proprietà del rilievo sono caratterizzate dalla terza dimensione, perpendicolare alla base orizzontale sulla quale si eseguono le misure planimetriche. L’insieme di dati relativi alle tre dimensioni esprime le caratteristiche del rilievo, che è definito dai valori di altezza dei punti sulla base planimetrica, o dalla differenza di quota fra questi due punti dati. Un altro gruppo di elementi, atti a definire le forme in questo sistema, è costituito sia dalle pendenze dei versanti che dalle superfici del terreno e degli alvei fluviali. Tali misure caratterizzano la velocità di deflusso delle acque correnti e l’intensità dei processi di erosione e di trasporto.

4.2.2 Elaborazione dei dati e commento dei risultati

Dovendosi trattare i due bacini separatamente, si propone qui di seguito l’analisi morfometrica relativa ad ognuna di essi. La metodologia applicata è la medesima per ciascun bacino: nell’Allegato 5 si trovano i diagrammi che riassumono graficamente i dati ottenuti e

la “CARTA DELLE FASCE ALTIMETRICHE E DELLA GERARCHIZZAZIONE ” in scala 1:10.000 di entrambi i bacini, nella quale sono evidenziate, con colori differenti, le fasce altimetriche ed i vari ordini del reticolo idrografico, con i relativi sottobacini.

4.2.2.1 Bacino Rio Bondone

CURVA IPSOMETRICA Il bacino del Rio Bondone si sviluppa in sinistra idrografica del Torrente Melezzo Orientale; nel complesso la sua forma è abbastanza irregolare: dalla sezione di chiusura, posta a quota 848 m s.l.m., fino ad una quota di circa 1100 m s.l.m., in corrispondenza del brusco gomito dell’asta principale del rio dovuto alla presenza di un faglia, il bacino presenta una forma piuttosto stretta ed allungata verso Nord; al di sopra dei 1100-1200 m di quota il bacino si allarga a causa delle numerose ramificazioni, raddoppiando l’ampiezza e mantenendola fino allo spartiacque, con culminazione costituita da La Cima, posta a quota 1803 m s.l.m.. Come si può osservare dalla carta in scala 1:10.000 nell’Allegato 5, il reticolato idrografico è abbastanza sviluppato, pur trattandosi di un bacino di dimensioni limitate, con aste che si estendono fino allo spartiacque: i rami di I° ordine sono impostati in impluvi poco incisi e spesso mal delineati; i rami di II° ordine invece risultano molto incisi e subiscono un controllo tettonico da parte di un sistema di faglie con direzione prevalente NE-SO e NO-SE. Per quanto riguarda la lunghezza del corso d’acqua e l’area sottesa si rimanda alla tabella sottostante.

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BACINO SEZIONE DI CHIUSURA L UNGHEZZA ASTA PERIMETRO SUPERFICIE (m s.l.m.) (km) (km) (kmq)

Rio Bondone 848 2,6308 6,0376 1,4779

Per la costruzione della curva ipsografica, il bacino è stato suddiviso in fasce altimetriche con equidistanza di 100 m, visibili nella “CARTA DELLE FASCE ALTIMETRICHE E DELLA GERARCHIZZAZIONE ”, le cui superfici sono riassunte nella tabella seguente:

FASCIA ALTIMETRICA S UPERFICIE (m s.l.m.) (kmq)

< 900 0,0302 900 ÷ 1000 0,0766 1000 ÷ 1100 0,1171 1100 ÷ 1200 0,1552 1200 ÷ 1300 0,2153 1300 ÷ 1400 0,2332 1400 ÷ 1500 0,2213 1500 ÷ 1600 0,1885 1600 ÷ 1700 0,1531 1700 ÷ 1800 0,0874

La maggior distribuzione areale delle fasce altimetriche è compresa tra 1100 e 1700 m s.l.m.; le fasce inferiori a 1100 m e superiori a 1700 m s.l.m. hanno superfici molto ridotte, che determinano una curva ipsografica caratterizzata da un tratto centrale abbastanza dolce e da tratti leggermente più ripidi alle estremità; l’altitudine media e il flesso, ricavati dalla curva in questione sono i seguenti:

BACINO Altitudine media (m Flesso (%) s.l.m.)

Rio Bondone 1352,57 55,3 che permettono di classificare il bacino del Rio Bondone come bacino in fase matura .

GERARCHIZZAZIONE Nella medesima carta delle fasce altimetriche è stata evidenziata la gerarchizzazione dei segmenti fluviali, organizzati in tre ordini e contraddistinti da differente colorazione. Sono inoltre rappresentati il limite del bacino idrografico ed i limiti dei sottobacini relativi a ciascun ordine gerarchico. Si propongono nella seguente tabella i dati morfometrici calcolati per il bacino del Rio Bondone:

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ORDINE NUMERO LUNGHEZZA LUNGHEZZA PENDENZA AREA MEDIA FLUVIALE DEI MEDIA MEDIA MEDIA BACINI 2 u SEGMENTI SEGMENTI CUMULATIVA Pu (%) Au (km ) Nu Lu (m) Lu (m) 1 15 235,7 235,7 34,5 0,0496

2 4 408,8 644,5 24,4 0,2384

3 1 1710 2354,5 14,2 1,4779 Tot.: 20 - - - -

TABELLA 1: CARATTERISTICHE BACINO IDROGRAFICO

ORDINE 1 2 FLUVIALE u 1 - - 2 12 - 3 3 4

TABELLA 2: CONFLUENZE TRA GLI ORDINI

ORDINE R R I S FLUVIALE u b bd b u 1 3,75 3 0,7 0,8 5 8 2 4 4 0.0 1 Media 3,87 2.2 0.0 0.1 5 3 7 5

TABELLA 3: PARAMETRI MORFOMETRICI

Considerando che il minimo teorico del rapporto di biforcazione è 2 e quello massimo è 5, per

il bacino del Rio Bondone esso è risultato pari a 3,875 (valore medio tra gli Rb dei due ordini), indicativo di un buon grado di gerarchizzazione del bacino corrispondente. Osservando la stessa tabella 3 è possibile confrontare inoltre, i valori di Rb e Rbd per i vari ordini: valori differenti, indicano la presenza di confluenze anomale, ossia confluenze di ordine u in segmenti di ordine u+2 o superiore. La diversità fra i rapporti Rb e Rbd è stata rilevata solo per i segmenti di I° ordine, tra i quali effettivamente solo tre solo sono anomali (si faccia riferimento alla tabella 2).

Si è passati così al calcolo degli indici di biforcazione Ib e di conservatività Su, medi :

Ib = 3,875 – 2,3 = 1,575 ;

Su = (3,875/2) - 1 = 0.9375 . Normalmente i valori dell’indice di biforcazione sono compresi tra 0.2 e 4; quando tale indice assume valore nullo ( Rb = Rbd ) significa che il bacino ha raggiunto il massimo grado di gerarchizzazione: nel nostro caso Ib = 1,575 dimostra che la gerarchizzazione del Rio Bondone è buona, a conferma di una fase del bacino matura (si faccia riferimento al flesso della curva ipsografica pari al 55.3%).

Anche l’indice di conservatività conferma quanto detto: più Su si avvicina allo 0 più il grado di

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gerarchizzazione è alto, e infatti lo 0.9375 calcolato, dimostra il buon grado conservativo del reticolo del Rio Bondone.

L’ottimo grado di gerarchizzazione è dimostrato anche dal numero di anomalia gerarchica Ga uguale a 3, dovuto ai tre impluvi anomali di I° ordine che confluiscono nel ramo di III°; i rispettivi valori di densità e indice di anomalia gerarchica, sono quindi risultati: 3 D = = 2,03 ; ga 1,4779 3 I = = 0,2 . ga 15

Come indicato nel precedente paragrafo “GENERALITÀ ” sono stati infine, calcolati il coefficiente di uniformità Kc, il rapporto di circolarità Kr, la frequenza di drenaggio Fr e la densità di

drenaggio Dr.

= 6,0376 = Kc 1,4010 ; 2⋅ π ⋅1,4779 1,4779 K = = 0,51 ; r 0.0796 ⋅ ()6,0376 2 6,780 D = = 4,5876 km/kmq ; r 1,4779 20 F = = 53,13 . r 1,4779

I primi due parametri kc e kr, discostandosi molto dall’unità, sono indice di bacini dalla forma

tipicamente allungata; i restanti parametri Fr e Dr forniscono indicazioni circa il grado di sviluppo del reticolo idrografico: entrambi i valori sono molto alti (mediamente infatti essi oscillano tra 2 e 4 per Dr e tra 6 e 12 per Fr) a conferma del buon grado di gerarchizzazione raggiunto dal reticolato caratterizzato da un pattern subdendritico e del grado di evoluzione medio-alta del bacino. Nell’Allegato 5 si propongono da ultimo quattro grafici che permettono di caratterizzare meglio la morfometria del bacino: 1. Il primo grafico rappresenta il numero dei segmenti in base al numero d’ordine corrispondente . I punti si allineano bene lungo la retta prevista dalla legge di Horton. I rapporti di biforcazione variano da un minimo di 3,75 ad un massimo di 4,0 e dunque crescono blandamente all’aumentare dell’ordine. Questo andamento indica che la geologia e la tettonica influenzano l’idrografia di superficie. 2. Il secondo grafico lunghezza dei segmenti - numero d’ordine mostra invece, un andamento che si discosta in modo più marcato dalla retta rappresentativa della legge di Horton (è la lunghezza media dei segmenti del II° ordine che determina la distorsione dall’andamento rettilineo). Le ragioni possono essere spiegate considerando un controllo strutturale dell’idrografia.

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3. Il terzo diagramma area dei bacini - numero d’ordine risulta descrivibile abbastanza bene da una retta in base alla legge delle aree del bacino, sempre ispirata alla legge di Horton: si può osservare uno spostamento molto blando dalla retta vera e propria in corrispondenza delle aree medie sottese dai segmenti di II° ordine, i cui valori più alti non si allineano perfettamente con gli altri punti. I motivi potrebbero essere attribuiti anche in questo caso ad un controllo tettonico sull’idrografia superficiale. 4. L’ultimo diagramma proposto è quello pendenza dei segmenti - numero d’ordine . Questa distribuzione si discosta da un andamento rettilineo in modo più accentuato rispetto ai precedenti a conferma del controllo tettonico. Il controllo tettonico evidenziato in modo particolare da alcuni dei diagrammi proposti, riflette effettivamente l’assetto strutturale locale, infatti la porzione meridionale del territorio comunale è attraversata da Est a Ovest dalla Linea delle Centovalli e dalla sue vicarianti, che interessano direttamente il bacino in esame.

4.2.2.2 Bacino Rio Ponteone

CURVA IPSOMETRICA Il bacino relativo al Rio Ponteone, anch’esso in sinistra idrografica del T. Melezzo Orientale, è molto meno sviluppato rispetto a quello precedentemente analizzato, la cui superficie è circa 3 volte superiore: la forma è anche in questo caso abbastanza irregolare, con un’appendice cuneiforme allungata verso Nord fino alla quota massima del bacino corrispondente a 1350 m s.l.m.. La forma del bacino e le sue limitate dimensioni sono dovute probabilmente all’influenza dei due rii maggiori, Bondone e Vocogno, tra i quali il Rio Ponteone si trova costretto. Il corso d’acqua presenta un’unica biforcazione a circa 870 m s.l.m., in corrispondenza della località Vocogno. I principali parametri fisici del bacino sono riassunti nella seguente tabella:

BACINO QUOTA SEZIONE DI LUNGHEZZA ASTA PERIMETRO SUPERFICIE CHIUSURA (km) (km) (kmq) (m s.l.m.)

Rio Ponteone 780 1.3 3,5 0,476

Per la costruzione della curva ipsografica è stato utilizzato il metodo precedentemente descritto: i risultati sono riassunti nella tabella seguente e rappresentati graficamente nella carta allegata:

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FASCIA ALTIMETRICA SUPERFICIE (m s.l.m.) (kmq)

< 800 0,017 800 ÷ 900 0,167 900 ÷ 1000 0,173 1000 ÷ 1100 0,073 1100 ÷ 1200 0,032 1200 ÷ 1300 0,013 > 1300 0,001

La terminazione a cuneo del bacino, con la conseguente diminuzione del valore della aree determina una caratteristica curva ipsografica, descrivibile come un ramo di iperbole coricato, con il tratto sinistro lievemente discendente e la parte destra molto ripida. I valori di altitudine media e del flesso, ricavati dalla curva ipsometrica sono i seguenti:

BACINO Altitudine media (m s.l.m.) Flesso (%)

Rio Ponteone 1044,01 49,1

Tali risultati permettono di definire il bacino del Rio Ponteone in fase matura .

GERARCHIZZAZIONE Si propongono nella seguente tabella i dati morfometrici calcolati per il bacino del Rio Ponteone (si rimanda invece, alla “Carta delle fasce altimetriche e della gerarchizzazione” per la suddivisione dettagliata degli ordini, segmenti e relativi bacini):

ORDINE NUMERO LUNGHEZZA LUNGHEZZA AREA MEDIA PENDENZA FLUVIALE DEI MEDIA MEDIA BACINI MEDIA 2 u SEGMENTI SEGMENTI CUMULATIVA Au (km ) Pu (%) Nu Lu (m) Lu (m) 1 3 570 570 31,4 0,115

2 1 400 970 20 0,476

Tot.: 4 - - - -

TABELLA 1: CARATTERISTICHE BACINO IDROGRAFICO

Non è stato calcolato il rapporto di biforcazione e quello di biforcazione diretta, perché il bacino analizzato è caratterizzato soltanto da due ordini e quindi non è possibile fare dei confronti tra i rapporti, al fine di definire se il reticolato idrografico è soggetto a controllo tettonico e geologico. Inoltre, avendo solo due ordini, risulta evidente che i segmenti di I° ordine confluiscono solo in quello di II°: ne consegue che il grado di gerarchizzazione è

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sempre massimo e gli altri parametri morfometrici (indice di biforcazione, indice di conservatività, numero di anomalia gerarchica, ecc.) perdono di significato.

Sono stati invece calcolati il coefficiente di uniformità Kc, il rapporto di circolarità Kr, la

frequenza di drenaggio Fr e la densità di drenaggio Dr. 3,5 K = = 43,1 ; c 2⋅ π ⋅ 476,0 0,476 K = = 0.49 ; r 0.0796 ⋅ ()3,5 2 2,11 D = = 43,4 km/kmq ; r 0,476 4 F = = 4,8 r 0,476

I due parametri kc e kr si discostano molto dall’unità, indicando bacini dalla forma tipicamente

allungata; i restanti parametri Fr e Dr forniscono indicazioni circa il grado di sviluppo del reticolo idrografico: entrambi i valori sono molto alti (mediamente infatti essi oscillano tra 2 e

4 per Dr e tra 6 e 12 per Fr) a conferma del buon grado di gerarchizzazione raggiunto dal reticolato e avvallano la fase matura del bacino. Non sono stati realizzati i quattro grafici relativi alle caratteristiche morfometriche del bacino (numero aste , lunghezza aste, area bacini , pendenza segmenti in relazione al numero d’ordine ) dal momento che lo stesso è costituito esclusivamente da due ordini: rappresentando graficamente i dati, si sarebbero ottenuti diagrammi costituiti unicamente da rette.

4.3 VALUTAZIONI DI MASSIMA DELLA PERICOLOSITÀ DEI CONOIDI

Per la valutazione del grado di pericolosità geomorfologica degli apparati di conoide, sono state compilate in primo luogo le schede di rilevamento fornite dalla Regione Piemonte, Settore Prevenzione del Rischio Geologico, Meteorologico e Sismico. Tali schede comprendono una parte (schede-allegato 1) di rilevamento dei caratteri fisici del conoide ed un’altra parte (schede-allegato 2) relativa al rilievo dei tributari. Il rilievo di dettaglio ha permesso di definire le caratteristiche morfologiche e tipologiche essenziali, unitamente a vari dati dimensionali sia del conoide che dell’alveo e del relativo bacino idrografico. In secondo luogo sono stati applicati differenti metodi di valutazione della pericolosità da esondazione e di stima della magnitudo di un possibile evento alluvionale. Premesso che la stima del trasporto di sedimenti, che possono essere coinvolti da un torrente, costituisce una problematica fondamentale per la valutazione del rischio a cui sono sottoposte le aree soggette ad alluvioni, sono state considerate in questo lavoro diverse relazioni empiriche che tentano di dare una stima quantitativa sulla base di diversi parametri. Va detto innanzitutto che i singoli metodi sono stati elaborati secondo un criterio statistico: i vari Autori si sono basati infatti su situazioni reali e specifiche. Una tale condizione limita

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quindi notevolmente l’uso di tali metodi quando vengono riferiti a casi diversi da quelli per cui sono stati formulati: le differenze litologiche, morfologiche e climatiche, infatti, possono essere tali da non rendere confrontabili aree differenti e l’applicazione delle relazioni considerate può risultare in realtà opinabile. La litologia, ad esempio, risulta essere, a parità di estensione del bacino, un parametro in grado di amplificare anche di due o tre volte il volume di sedimenti prodotto da un debris flow ; allo stesso modo le precipitazioni possono manifestarsi con intensità differente, dando luogo ad eventi impulsivi e violenti. Nei paragrafi seguenti verranno brevemente presentati i metodi utilizzati per la stima della pericolosità e della magnitudo di una possibile colata. Per quanto riguarda la prima, sono stati presi in considerazione due metodi: il metodo di Aulitzky e l’indice di Melton; per la seconda le relazioni proposte da D’Agostino, Takei, Marchi ed Hampel. Con il primo metodo è stata valutata la pericolosità da esondazione per i tre conoidi, alla quale è seguita l’applicazione degli altri metodi elencati, unicamente per il conoide del Rio Ponteone, interessato dall’insediamento turistico ricettivo.

4.3.1 Metodi per la valutazione della pericolosità

4.3.1.1 Metodo di Aulitzky (1973)

Il metodo si basa sull’osservazione ed il rilevamento in campagna dei cosiddetti “segni muti” che ogni torrente lascia lungo il suo conoide e che, se giustamente interpretati, danno una buona indicazione dell’entità di eventi di piena passati, presupponendo che quanto avvenuto in passato possa ripetersi in futuro. La prima operazione consiste nel cartografare le possibili vie preferenziali di disalveamento, sulla base delle osservazioni della morfologia del terreno, fatte sia con sopralluoghi sia con l’aiuto delle foto aeree, al fine di restringere l’area nella quale sviluppare le successive indagini; segue poi il rilevamento specifico che consiste nel rispondere a sei domande. Per ciascuna di esse il metodo prevede quattro possibili risposte alle quali sono associati quattro diversi punteggi (vedi tabella seguente). I quesiti riguardano la dimensione massima del materiale trasportato o eroso di recente, il massimo spessore del singolo strato dei depositi, la pendenza della conoide, la copertura vegetale predominante, la morfologia del terreno, le condizioni di deflusso.

OSSERVAZIONI E DOMANDE PUNTEGGIO OSSERVAZIONI E DOMANDE PUNTEGGIO 1. Dimensione massima del materiale 5. Morfologia del terreno in relazione trasportato o eroso di recente all’erosione: a) 1 mc e oltre 4 a) Alla sommità del conoide la dorsale 4 b) tra 0.2 mc e 1 mc 3 presenta una solcatura prodotta c) tra 0.01 mc e 0.2 mc 2 dall’erosione di grossi massi, che d) inferiore a 0.01 mc 1 classifica queste aree tra quelle già colpite o con possibilità di colata

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2. Massimo spessore del singolo strato concentrata e compatta ad alta dei depositi riconoscibili, differen-ziato velocità dall’orizzonte umifero o da uno strato b) Sono presenti poche forme di 3 con differente struttura: deposito circoscritte, che sono state a) 1 m e oltre 4 disseminate dalla dilagante colata, b) da 0.5 a 1 m 3 oppure che sono state sommerse in c) da 0.1 a 0.5 m 2 occasione dell’ulteriore dilagare della d) meno di 0.1 1 colata stessa 3. Pendenza del cono di deiezione: c) Superfici chiaramente sopraelevate, 2 a) superiore al 15% 4 pensili rispetto al livello del torrente, b) tra 7 e 15% 3 che potrebbero essere colpite solo in c) tra 2 e 7% 2 caso di una progressiva ostruzione d) inferiore al 2% 1 dell’alveo normale d) Superfici fortemente sopraelevate 1 rispetto al letto del torrente profondamente incassato, che non possono più essere raggiunte dal torrente, ma in cui i punti di collegamento tra le due sponde possono essere ancora portati via. 4. Attuale copertura vegetale 6. Condizioni di deflusso: predominante: a) Area contraddistinta dalla presenza 4 a) vegetazione in prevalenza rustica, 4 di manufatti che impediscono consorzi ontano-salice su substrato fortemente il deflusso o altri ostacoli grossolano, sassoso, fino ad una al deflusso, a monte, a valle o a lato successione di specie di origine della zona in esame (pendenza < anemofila con larici, pini e abeti 3%, curve strette, sezione ristretta) b) Successione già evoluta, progredita 3 che in presenza di maggiore fino a formazioni coetanee formate materiale trascinato dall’acqua da larici, pini, betulle e abeti, su possono provocare traci-mazioni. substrato grossolano e sassoso b) Area contraddistinta da analoghe c) Prati e pascoli, talvolta intercalati da 2 situazioni, in cui solo legname 3 muretti di sassi o da terrazzamenti trascinato o materiale di deposito formati da sassi lavorati; terreno grossolano provocherebbero traci- misto con piccoli sassi mazioni d) Prevalgono i campi senza muretti di 1 c) Area contraddistinta dalla mancan- sassi o i terrazzamenti formati da za di opere che ostacolino o 2 sassi lavorati; pochi o piccoli sassi facilitino il deflusso, in presenza di nel terreno un alveo abbastanza profondo e non troppo piano e di una sufficiente capacità di deflusso d) Area contraddistinta dalla presenza di tipi di opere facilitanti il deflusso 1 lungo il corso inferiore, in grado di contenere anche le portate di piena prevedibili.

Al fine di valutare in modo adeguato i processi dominanti, il conoide viene suddiviso in settori, in base alle diverse condizioni morfologiche: a ciascun settore (che non è necessariamente assimilabile ad una figura geometrica regolare) viene associato un punteggio in funzione della risposta ai quesiti sopra elencati. Alle aree con uguale punteggio sono associati specifici colori, al fine di rappresentare in carta, separatamente, ciascuna domanda: sovrapponendo le sei carte parziali così ottenute e dividendo il punteggio ottenuto in ciascun settore, per il numero dei parametri analizzati, si ottiene il punteggio finale che viene confrontato con la seguente classificazione di pericolosità:

punteggio totale < 1.6 PERICOLOSITÀ BASSA

1.6 < punteggio totale < 2.6 PERICOLOSITÀ MEDIA

punteggio totale > 2.6 PERICOLOSITÀ ALTA

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il risultato finale è rappresentato da una carta della pericolosità nella quale sono differenziati i vari settori del conoide (date le limitate dimensioni degli apparati in esame, è stato deciso di riunirli in un'unica carta, in scala 1:5.000).

4.3.1.2 Commento dei dati ottenuti

1. Rio Bondone – la parte di recente costruzione dell’apparato, presente alla confluenza con il T. Melezzo, risulta caratterizzata da pericolosità alta: data la sua posizione, ad ogni modo, questo settore non costituisce motivo di pericolo per gli insediamenti adiacenti, ad eccezione, come più volte detto, di quanto può avvenire per erosione spondale. Non si deve tuttavia dimenticare la costruzione recente di opere di difesa radenti, di trattenuta e di stabilizzazione del fondo, che devono però essere soggette a costante manutenzione. 2. Rio Ponteone – in questo caso il conoide, di piccole dimensioni, è caratterizzato da pericolosità media, per il settore attivo e pericolosità bassa per le zone sopraelevate laterali, corrispondenti a porzioni stabilizzate del conoide. 3. Rio del Tiedo – come il rio Bondone, anche il conoide del Tiedo è contraddistinto da pericolosità elevata, limitatamente alla porzione attiva posta alla confluenza con il torrente Melezzo

4.3.1.3 Indice di Melton

Il numero di Melton è un importante parametro per la valutazione del grado di pericolosità di un conoide: si tratta infatti di un indice espressivo delle sue condizioni di rilievo ed acclività. Tale indice viene determinato con l’espressione: − Mel = A 5,0 ⋅ (H max − H min ), in cui

- A è la superficie del bacino in km 2 - (Hmax - Hmin) è la differenza, espressa in km, fra la quota massima del bacino e la quota della sezione di chiusura, che coincide generalmente con l’apice del conoide. Appartengono alla categoria dei bacini a rischio di debris flow e/o debris flood quelli caratterizzati da valori di Mel ed S (espressa in gradi) tali da soddisfare la disequazione: S > 7-14 Mel Nel caso in cui non sia presente o non sia morfologicamente ben definito il cono di deiezione, occorre far riferimento unicamente al numero di Melton: se quest’ultimo supera il valore critico di 0,5 si ha rischio di debris flow e/o debris flood. E’ possibile considerare la tipologia dei fenomeni alluvionali ai quali è soggetto un conoide, mettendo in relazione l’ indice di Melton e la pendenza dei conoidi. Diagrammando tali dati, si ottiene una ripartizione dei processi costitutivi dei conoidi in tre classi: conoidi da debris flow, da trasporto solido e di tipo misto.

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Per quanto riguarda il bacino del Rio Ponteone , affluente del T. Melezzo Orientale, il valore dell’indice di Melton è pari a: Mel=0,826 e la pendenza media della conoide (espressa in 0.30 percentuale) è: S=7% a- conoidi da trasporto solido b - conoidi miste La trasposizione grafica 0.25 c - conoidi da debris flow dei risultati consente

0.20 quindi di differenziare il conoide sulla base dei 0.15 c processi e di trasporto

0.10 solido prevalenti. Pendenza della conoide Pendenza b 1 Rio Ponteone Da quanto detto, emerge

0.05 a che il bacino del Rio Ponteone si trova in una 0.00 0.00 0.25 0.50 0.75 1.00 1.25 1.50 condizione di possibile formazione di fenomeni Numero di Melton di debris flow .

4.3.2 Metodi per la determinazione della magnitudo

4.3.2.1 Metodo di D’Agostino

Il primo metodo considerato è quello di D’Agostino, Cerato & Coali (1996), che hanno modificato la relazione semi-empirica di Kronfellner-Kraus (1984, 1985), basata su numerosissimi dati relativi al territorio austriaco, e, selezionando gli eventi alluvionali di maggiore entità verificatisi nel corso di oltre un secolo, l’hanno estesa ai bacini montani di piccola e media estensione del Trentino Orientale. Gli Autori hanno determinato alcune espressioni in grado di correlare i volumi di sedimento convogliati sulla conoide con le principali variabili che condizionano l’entità del fenomeno: superficie del bacino, pendenza del collettore, forma di trasporto, geologia, grado di sistemazione. E’ stata condotta un’analisi di regressione multipla utilizzando delle equazioni non lineari di forma monomia e considerando le combinazioni più favorevoli delle variabili ritenute indipendenti. La relazione da noi utilizzata è quella con la condizione di minimo dell’errore quadratico medio σ, che dà anche una stima del grado di accuratezza raggiunto dalla regressione:

1 2 σ = [()G − G n]2 ∑ = ,1 ni ,cs ,os i

Essendo n la dimensione del campione, Gs,c e G s,o rispettivamente i volumi calcolati ed i volumi osservati. E’ stato inoltre calcolato l’errore medio ε:

ε = [(G − G ) n] ∑ = ,1 ni ,cs ,os che indica la tendenza media ad una sovrastima o ad una sottostima.

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L’equazione applicata ai bacini esaminati è stata quindi la seguente:

= 5,1 ( )( )− 3,0 ε σ Gs 39 Ai GI .. TI .. ( =3,4; =49,4) dove 3 − Gs è il volume di sedimento prodotto dall’evento estremo (espresso in m ), 2 − A è la superficie del bacino chiuso all’apice della conoide (espressa in km ),

− i è la pendenza media dei collettori del bacino che risultano “influenti” sul trasporto solido,

− I.G. è l’indice geologico dei detriti che alimentano la rete idrografica. Questo parametro può essere dedotto considerando le litologie che contribuiscono alla formazione dei detriti asportabili, ed in particolare è stata utilizzata la seguente tabella di riferimento:

Classe litologica Punteggio

Copertura morenica, alluvionale e di falda 5

Rocce metamorfiche: filladi, gneiss, ecc. 4

Rocce “terrigene”: marne, strati del Werfen, ecc. 3

Rocce laviche degradate, tufi basaltici, brecce 2

Rocce calcaree 1

Rocce porfiriche, granitiche, dioritiche 0

L’indice geologico si calcola moltiplicando la presenza percentuale di ciascuna classe per il rispettivo punteggio e sommando successivamente i vari addendi (nel nostro caso risulta pari a 4,5).

− I.T. è l’indice di trasporto, al quale è stato assegnato un valore inversamente proporzionale, seppure in forma qualitativa, alla concentrazione dei sedimenti nella corrente. I.T. =1 per i debris flow , I.T. =2 per i debris flood , I.T. =3 per il trasporto di fondo ( bedload ): per quanto esposto precedentemente e per quanto riguarda i bacini da noi considerati, il valore di tale indice è pari a 1.

4.3.2.2 Metodo di Takei

Takei nel suo lavoro “ Interdependence of sediment budget between individual torrents and a river system ” (1984) propone una semplice relazione per la stima dei volumi rimobilizzati da un fenomeno di debris flow , utilizzando i dati, raccolti sistematicamente tra il 1972 e il 1977, relativi a 551 eventi verificatisi in Giappone. L’equazione utilizzata per il calcolo della magnitudo delle colate detritiche (in m 3) è la seguente:

M =13600 ⋅ A 61,0 dove A è la superficie del bacino idrografico (in km 2). Il valore dell’esponente nell’espressione evidenzia un incremento della magnitudo, all’aumentare della superficie del bacino, meno accentuata rispetto ai bacini dell’Italia

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settentrionale. Ciò sembra essenzialmente dovuto alla presenza, fra i dati giapponesi, di numerosi eventi di notevole gravità in bacini di piccole dimensioni (<0,5 km 2) (L. Marchi, P.R. Tecca, 1996).

4.3.2.3 Metodo di Marchi

Un metodo che richiama molto da vicino quello di Takei è quello cosiddetto “di Marchi”, che mostra la relazione diretta tra la superficie del bacino idrografico e il valore di magnitudo. Marchi & Tecca (1996) hanno raccolto i dati sulla magnitudo delle colate detritiche, ovvero sul volume complessivo dei materiali depositati durante un singolo evento, per circa 45 debris flow avvenuti nelle Alpi Orientali a partire dal secolo scorso. Dal loro lavoro risulta che per bacini di superficie compresa tra 0,1 e 20 km 2 la magnitudo (espressa in m 3) può essere calcolata mediante la semplice equazione: M = 70000 ⋅ A dove A è la superficie del bacino (espressa in km 2). Lo studio ha messo in luce che un’attenuazione dell’incremento della magnitudo al crescere dell’area del bacino sembra delinearsi solo per le unità idrografiche di maggiore estensione. Tale attenuazione può essere attribuita alla possibilità che solo parte dell’unità idrografica sia interessata dagli eventi torrentizi.

4.3.2.4 Metodo di Hampel

Hampel (1977) propone una ulteriore formula empirica per lo studio della magnitudo delle colate detritiche, nella quale vengono calcolati i volumi di sedimento trasportati dalle stesse in base all’area del bacino e alla pendenza del conoide alluvionale:

3.2 M =150 ⋅ A (S − 3)

dove A = area del bacino espressa in km 2 S = pendenza del conoide in % Per bacini aventi conoidi alluvionali poco acclivi, cioè con S < 10%, la formula di Hampel dà luogo ad una netta sottostima dei volumi di sedimenti trasportati (Marchi e Tecca, op. cit.) rispetto alla realtà; nel caso in cui le pendenze dei conoidi siano invece maggiori risulta essere cautelativa rispetto ai dati disponibili per i debris flow effettivamente avvenuti.

4.3.2.5 Dati ottenuti

I valori di magnitudo, espressi in m 3, ottenuti dall’applicazione dei metodi sopra presentati al bacino del Rio Ponteone sono riassunti nella tabella seguente:

Metodo di D’Agostino Metodo di Takei Metodo di Marchi Metodo di Hampel

Rio Ponteone Gs=16130 M = 8647 M = 33320 M = 1731

Come già accennato, questi valori vanno presi come stime indicative: le differenze di

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magnitudo ottenute sono infatti dovute ai diversi parametri impiegati da ciascun metodo; sarebbe quindi auspicabile avere a disposizione un metodo creato su misura per il territorio in esame. Infatti d’Agostino (1996) ricorda che “ La stima della magnitudo di un evento di trasporto solido torrentizio di tipo estremo può essere operata con difficoltà ricorrendo ad una metodologia puramente deterministica, poiché le variabili idrologiche, sedimentologiche e morfologiche coinvolte nel fenomeno sono affette da un non trascurabile grado di incertezza e da una distribuzione disomogenea all’interno del bacino “. In funzione di quanto espresso nei paragrafi precedenti, si ritiene maggiormente valida la stima di D’Agostino, che tiene conto di parametri geologici-geomorfologici non presi in considerazione dagli altri metodi e del tipo di processo dominante. Sembra essere sottostimato il valore ottenuto con la relazione di Hampel.

4.3.3 Relazione tra la magnitudo di un evento di trasporto solido ed i parametri morfometrici del bacino del Rio Ponteone

Nella tabella riportata di seguito sono raccolti i principali dati morfometrici del bacino del Rio Ponteone e l’indice di Melton:

2 -1 Bacino A (km ) Hm (m) Iv (%) Ic (%) L (km) D (km ) Mel

Ponteone 0.476 1044 35 32 1.3 4.43 0.826

− A è la superficie del bacino

− Hm è l’altitudine media del bacino

− Iv è la pendenza media del bacino

− Ic è la pendenza media del collettore principale − L è la lunghezza del collettore principale − D è la densità di drenaggio − Mel è l’indice di Melton

Considerando i risultati degli studi condotti da vari Autori in relazione ad eventi eccezionali di trasporto solido, è possibile ricostruire diverse correlazioni tra i parametri riguardanti la morfologia dei bacini ed il tipo di trasporto solido che li caratterizza. Il primo parametro da prendere in esame è la pendenza dell’alveo del corso d’acqua principale: in base al suo valore si possono distinguere diverse categorie di trasporto solido. La prima di queste categorie è il debris flow (colata di detriti caratterizzata da un moto pulsante e gravitativo e da un fluido di tipo non newtoniano); secondo alcuni Autori la pendenza dell’alveo per avere questo tipo di flusso deve essere superiore al 27%, mentre per altri è sufficiente che superi il 20%. Con un campo di pendenze comprese tra il 14% e il 27% si ha rischio di debris flood (flusso di massa ad alta concentrazione di detriti e con caratteristiche di fluido ancora di tipo newtoniano); al di sotto di un valore di pendenza del 14% per alcuni autori, dell’11% per altri, si avrebbe invece bedload (trasporto di fondo per scorrimento del letto). Per quanto riguarda il bacino considerato, dai valori della pendenza del collettore principale

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risulta evidente che il tipo di trasporto solido predominante è il debris flow : l’inclinazione (32%) supera infatti abbondantemente la soglia del 27%. Queste conclusioni sono quindi totalmente in accordo con i risultati ottenuti tramite la relazione tra l’indice di Melton e la pendenza del conoide. A tale proposito va tuttavia considerato che il profilo longitudinale del corso d’acqua presenta pendenze maggiori nel tratto in testata e minori nel tratto a valle, dove si attesta su un valore del 20% e quindi al limite di pendenza con la classe di eventi di tipo debris flood. Un’altra relazione da valutare è quella tra la magnitudo di un debris flow e l’area del bacino: soprattutto i bacini più piccoli sono soggetti a rischio di debris flow , poiché in quelli di dimensioni maggiori, sebbene vi sia una maggiore produzione di sedimento, vi è anche, potenzialmente, un numero superiore di luoghi disponibili per la deposizione dei materiali trasportati (es. tratti a bassa pendenza, casse di espansione naturale, soglie di valli sospese, ecc.). La relazione diretta tra pendenza conoide e tipo di processo, evidenzia, secondo Pasuto et Alii (1992), pendenze maggiori per i conoidi costruiti da processi di debris-flow , con trasporto di materiali di grandi dimensioni e deposizione sul corpo del conoide e, in gran parte, nella zona apicale, al contrario degli altri tipi di processo che convogliano gran parte del sedimento fino al corso d’acqua principale: nel caso in esame, il conoide è caratterizzato da una pendenza non molto elevata (7%). Per quanto riguarda l’indice di Melton, sono state trovate dagli Autori delle correlazioni con la pendenza media dell’asta torrentizia, con la densità di drenaggio, con la lunghezza del collettore principale e con la superficie del bacino idrografico. In particolare l’indice di Melton risulta direttamente proporzionale ai primi due parametri, anche se in misura meno accentuata per quanto riguarda la densità di drenaggio, e inversamente proporzionale agli altri due. In conclusione, i dati ricavati mostrano minime incongruenze nella valutazione della tipologia di processo prevalente, facilmente interpretabili se si ipotizza che il processo al quale è soggetto il conoide del rio Ponteone si trova al limite tra debris flow e debris flood . Variazioni maggiori invece, sono state osservate nel calcolo della stima della magnitudo di un evento alluvionale: come già anticipato, tali metodi possono fornire solo indicazioni approssimative, comunque utili per la valutazione di pericolosità dell’area e per una prima analisi sul dimensionamento di eventuali opere di difesa.

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5 PROPENSIONE AL RISCHIO SISMICO

La Variante Generale al P.R.G. di Craveggia (agg. febbraio 2011), dal punto di vista normativo, ha fatto riferimento alla: - Legge Regionale 5 dicembre 1977, n° 56 e s.m.i.; - Circolare P.G.R. del 08.05.1996, n° 7/LAP “ Specifiche tecniche per l'elaborazione degli studi geologici a supporto degli strumenti urbanistici ”, e successiva N.T.E. dic. 1999; - D.G.R. n° 31-3746 del 06.08.2001 “ Adempimenti regionali conseguenti l’approvazione del Piano per l’Assetto Idrogeologico (PAI). Procedure per l’espressione del parere regionale sul quadro del dissesto contenuto nei PRGC, sottoposti a verifica di compatibilità idraulica ed idrogeologica. Precisazioni tecniche sulle opere di difesa delle aree inserite in classe IIIB, ai sensi della Circ. 7/LAP/96 ”; - D.G.R. del 15/07/2002 n. 45-6656, approvazione della “ Legenda Regionale per la redazione della carta geomorfologica e del dissesto dei P.R.G.C. ”; - D.G.R. n° 1-8753 del 18.03.2003 “ Nuove disposizioni per l’attuazione del Piano Stralcio per l’Assetto Idrogeologico (PAI) a seguito della modifica dell’art. 6 della Deliberazione n° 18/2001 del Comitato Istituzionale dell’Autorità di Bacino del fiume Po ”. - Ordinanza P.C.M. n. 3274 del 20 marzo 2003, successiva D.G.R. del 17/11/2003 n. 61- 11017 e Circ. P.G.R. 1/DOP 27-04-2004; Successivamente, con D.G.R. n. 11-13058, del 19/01/2010 , pubblicata sul B.U.R. n. 7 del 18/02/2010, il Comune di Craveggia è stato inserito in Zona 3 ; la nuova classificazione sismica, a seguito di ripetute proroghe, è entrata in vigore dal 01/01/2012. Lo Studio Geologico, è stato quindi approfondito in merito agli aspetti sismici, recependo gli aggiornamenti normativi in materia, con specifico riferimento a: - D.G.R. n. 17-2172 del 13/06/2011 “O.P.C.M. 13/11/2010 in materia di contributi per interventi di prevenzione del rischio sismico. Individuazione dei criteri per la realizzazione degli studi di microzonazione sismica e per la concessione di contributi per interventi di miglioramento sismico ”, che individua negli “Indirizzi e criteri generali per gli studi di Microzonazione Sismica” (IMCS) , l’elaborato tecnico di riferimento per il territorio regionale; - DGR n. 4-3084 del 12.12.2011 “D.G.R. n. 11-13058, del 19/01/2010 – Approvazione delle procedure di controllo e gestione delle attività urbanistico-edilizie ai fini della prevenzione del rischio sismico attuative della nuova classificazione sismica del territorio piemontese ”; - D.D. n. 540 del 9/03/2012 “Definizione delle modalità attuative in riferimento alle procedure di gestione e controllo delle attività Urbanistiche ai fini della prevenzione del rischio sismico, approvate con D.G.R. n. 4-3084 del12.12.2011 ”. Le risultanze degli approfondimenti così sviluppati, sono state sviluppate nello specifico “Studio Geologico finalizzato alla prevenzione del Rischio Sismico”, gennaio 2013.

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6 PROPENSIONE AL DISSESTO E DEFINIZIONE DEI LIVELLI DI IDONEITA’ URBANISTICA

6.1 GENERALITÀ

I fenomeni di instabilità naturale che si possono verificare nel territorio di Craveggia, sono essenzialmente legati ai rischi di frane ed alluvioni, correlati a fattori litologico-strutturali e morfo-topografici ed innescati da fenomeni meteorici che, periodicamente, possono far registrare eventi di particolare intensità e/o durata, determinando cospicue portate nei corsi d’acqua. Gli eventi critici hanno in genere una durata di 1-3 giorni e frequenza molto elevata; in media ogni 5 anni la Val d’Ossola viene colpita da fenomeni meteorici particolarmente intensi 1, i cui effetti investono sia la rete idrografica principale e secondaria, sia i versanti, con rilevanza soprattutto sulle forme di instabilità che coinvolgono i terreni superficiali di copertura e le porzioni più superficiali e fratturate del substrato roccioso (coltri regolitiche). Altrettanto frequenti, anche se meno strettamente legati alla distribuzione delle precipitazioni, ma piuttosto ai processi crioclastici (gelo-disgelo) ed a quelli di degradazione chimico-fisica della roccia, sono i fenomeni gravitativi che coinvolgono più o meno profondamente il substrato roccioso, i quali si manifestano generalmente con frane di crollo, spesso in corrispondenza di un substrato fortemente fratturato e tettonizzato. Il rilascio continuo di materiale lapideo ha provocato, soprattutto alle alte quote, la formazione di potenti ed estese falde detritiche al piede dei versanti.

6.2 CARTOGRAFIA DI SINTESI: CARTA DELLA PERICOLOSITA ’ GEOMORFOLOGICA E

DELL ’IDONEITA ’ ALL ’UTILIZZAZIONE URBANISTICA.

La conclusione delle analisi geologiche, geomorfologiche e storiche illustrate nei precedenti capitoli, ed evidenziate in maniera dettagliata nelle varie carte tematiche, è sintetizzata dalla Carta di Sintesi della pericolosità geomorfologica e dell’idoneità all’utilizzazione urbanistica, redatta alla scala 1: 10.000 per l’intero territorio comunale (tavv. 7a/7b). Tale carta ha lo scopo di sintetizzare i dati raccolti sul territorio e di individuare, al suo interno, aree omogenee sotto il profilo della pericolosità (tipo e quantità di processi geomorfici attivi o potenzialmente attivabili), cui competa, conseguentemente, una diversa propensione all’uso urbanistico, distinta secondo tre classi di idoneità. Si tiene a precisare che nel predisporre la “Carta di Sintesi della Pericolosità Geomorfologica e dell’Idoneità all’Utilizzazione Urbanistica”, si è tenuto conto di tutto quanto è stato evidenziato nelle carte di analisi, dei tematismi analizzati dalle carte della Banca Dati Geologica, nonché di una serie di notizie storiche, riguardanti il territorio in esame; in particolare, nello studio dell’attività idraulica del T. Melezzo Orientale e della pericolosità geomorfologica delle conoidi

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dei corsi d’acqua tributari dello stesso, condotta secondo il metodo di Aulitzky, si è tenuto conto della realizzazione e del potenziamento delle attuali arginature, che hanno efficacemente protetto i settori mediani e distali delle conoidi nel corso degli eventi successivi alla alluvione del 1978. La sintesi della pericolosità geomorfologica e di idoneità all’utilizzazione urbanistica è stata ulteriormente dettagliata alla scala di piano, ossia alle scale 1 : 5000 e 1:2.000.

6.3 CLASSI DI IDONEITÀ URBANISTICA

La Carta ha lo scopo di sintetizzare i dati raccolti sul territorio e di individuare, al suo interno, aree omogenee sotto il profilo della pericolosità (tipo e quantità di processi geomorfici attivi o potenzialmente attivabili), cui competa, conseguentemente, una diversa propensione all’uso urbanistico, distinta secondo differenti classi di idoneità, così definite dalla circolare 7/LAP, in funzione del grado di pericolosità:

- Porzioni di territorio dove le condizioni di pericolosità geomorfologica sono tali da non porre limitazioni alle scelte urbanistiche (Classe I );

- Porzioni di territorio nelle quali le condizioni di moderata pericolosità geomorfologica possono essere agevolmente superate attraverso l’adozione ed il rispetto di modesti accorgimenti tecnici, realizzabili a livello di progetto esecutivo esclusivamente nell’ambito del singolo lotto edificatorio o dell’intorno significativo circostante. Tali interventi non dovranno in alcun modo incidere negativamente sulle aree limitrofe, né condizionarne la propensione all’edificabilità (Classe II );

- porzioni di territorio nelle quali gli elementi di pericolosità geomorfologica e di rischio, derivanti questi ultimi dall’urbanizzazione dell’area, sono tali da impedirne l’utilizzo, qualora inedificate, richiedendo, viceversa, la previsione di interventi di riassetto territoriale a tutela del patrimonio esistente (Classe III ).

La Classe III, viene a sua volta così suddivisa: - Classe IIIA : Porzioni di territorio inedificate che presentano caratteri geomorfologici o idrogeologici che le rendono inidonee a nuovi insediamenti. Per le opere infrastrutturali di interesse pubblico non altrimenti localizzabili vale quanto indicato all’art. 31 della L.R. 56/77.

- Classe IIIB : Porzioni di territorio edificate nelle quali gli elementi di pericolosità geologica e di rischio sono tali da imporre in ogni caso interventi di riassetto territoriale di carattere pubblico a tutela del patrimonio urbanistico esistente. In assenza di tali interventi di riassetto saranno consentite solo trasformazioni che non aumentino il carico antropico. Per le opere di interesse pubblico non altrimenti

1 AA.VV. - Società Geologica Italiana - Guide Geologiche Regionali. Le Alpi dal M. Bianco al Lago Maggiore (1992).

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localizzabili vale quanto indicato all’art. 31 della L.R. 56/77. Nuove opere o nuove costruzioni saranno ammesse solo a seguito dell’avvenuta eliminazione e/o minimizzazione della pericolosità.

- Classe IIIC : Porzioni di territorio edificate ad alta pericolosità geomorfologica e ad alto rischio, per le quali non è proponibile un’ulteriore utilizzazione urbanistica neppure per il patrimonio esistente, rispetto al quale dovranno essere adottati i provvedimenti di cui alla Legge 9.7.1908 n° 445. Per le opere infrastrutturali di interesse pubblico non altrimenti localizzabili vale quanto indicato all’art. 31 della L.R. 56/77.

6.3.1 Settori in cui non sussistono condizioni di pericolosità geologica (Classe I) Si tratta di porzioni di territorio tendenzialmente stabili dal punto di vista geologico ed idrogeologico, nelle quali, quindi, non vengono poste particolari limitazioni alle scelte urbanistiche; gli interventi, pubblici e privati, sono di norma consentiti nel rispetto delle prescrizioni del D.M. 11.03.1988 e del D.M. 14-01-2008. Rientrano in questa categoria le aree ricadenti nel settore del concentrico edificato, la zona di In Re, parte di Prestinone e la zona della piana compresa tra il Melezzo e La Riana.

6.3.2 Settori con condizioni di moderata pericolosità geologica (Classe II) Si tratta di porzioni di territorio nelle quali sono presenti elementi di moderata pericolosità geomorfologica, ben individuabili e circoscrivibili nello spazio, efficacemente superabili nell’ambito del singolo lotto o di un intorno significativo, attraverso l’adozione ed il rispetto di modesti accorgimenti tecnici; le aree incluse in questa categoria sono sostanzialmente rappresentate da:

1) Fasce di territorio ubicate in prossimità di versanti e scarpate acclivi: sono fasce dislocate tra versanti acclivi e fondovalle, dove non sono stati individuati indizi di instabilità pregresse, ma si ritiene, tuttavia, preferibile, in caso di nuova edificazione, effettuare una verifica di stabilità del versante sovrastante o del ciglio del terrazzo. Ricadono in questa tipologia ad esempio le aree della Piana di Vigezzo, le fasce limitrofe alle scarpate fluviali del T. Melezzo e degli altri corsi d’acqua del reticolo idrografico minore, le aree immediatamente a monte del concentrico (zona Passeggiata dei Vecchi), le aree di delimitazione dei pianori di Vocogno e del concentrico.

2) Zone potenzialmente soggette ad esondazioni : sono le aree con possibilità di modeste esondazioni con limitata energia e con tiranti idrici minimi da parte del reticolo idrografico minore. Rientrano in questa categoria ad esempio la fascia in sinistra idrografica de La Riana e la zona di In Re limitrofa al Rio Calcestre.

3) Terreni di copertura con acclività moderata e mediocri caratteristiche geotecniche: date le caratteristiche di media e bassa acclività e la presenza di coltri di sedimenti glaciali o detritico-colluviali in molte aree del territorio, si prescrive che l’edificazione, in queste

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zone, sia subordinata all’esecuzione di indagini geognostiche e geotecniche di dettaglio, atte a verificare la compatibilità delle opere in progetto con la stabilità dei versanti. Rientrano in questa tipologia le aree a monte di Vocogno, la zona di in Bies e l’area della Passeggiata dei Vecchi. Sono comprese anche talune aree sartumose, soggette a deboli ristagni di acqua per scarsa permeabilità dei depositi superficiali. Anche per gli interventi previsti classe 2, valgono le norme contenute nella legislazione vigente, con particolare riferimento al D.M. 11.03.1988 e D.M. 14-01-2008.

6.3.3 Settori in cui sussistono condizioni di pericolosità geologica (Classe III) Si tratta di porzioni di territorio nelle quali siano stati individuati elementi di pericolosità geomorfologica, tali da impedirne l’utilizzo qualora inedificate, richiedendo, viceversa, la previsione di interventi di riassetto territoriale a tutela del patrimonio esistente ed, eventualmente, di nuove edificazioni. Schematicamente, questa classe comprende aree direttamente interessate da due principali categorie di fenomeni: processi di versante e/o dinamica delle acque (prevalentemente incanalate).

1) Aree direttamente interessate da processi di versante:

- Aree ad elevata acclività (indicativamente, inclinazione superiore a 25 ÷30°), caratterizzate da elevati gradienti topografici, in cui le condizioni geomorfologiche ed altimetriche sconsigliano qualunque utilizzazione urbanistica. Data l’ubicazione marginale degli estesi versanti montani rispetto al contesto antropico, non sono stati analizzati in dettaglio, ad esempio, gli alpeggi di media ed alta quota, ubicati prevalentemente su ripiani di origine glaciale. In caso di interventi in queste aree, dovranno essere svolte analisi specifiche preventive che comprendano anche l’intorno significativo, al fine di valutare le effettive condizioni di pericolosità e di rischio, così come previsto al punto 6.2 della N.T.E. della Circ. 7/LAP.

- Aree interessate da dissesti gravitativi : si tratta di zone coinvolte in fenomeni di frana, attivi o potenziali, di aree soggette ad erosione accelerata e/o regressiva, oppure di aree rappresentanti settori di accumulo, non ancora stabilizzati, degli stessi fenomeni.

2) Aree direttamente interessate dalla dinamica delle acque:

- Alvei attivi dei corsi d’acqua e fasce spondali coinvolte in processi di erosione laterale, trasporto solido ed, eventualmente, deposito.

- Aree soggette a fenomeni alluvionali con trasporto in massa ; si tratta, in particolare, dei settori potenzialmente riattivabili di alcune conoidi.

- Aree di fondovalle soggette a possibile esondazione fluviale ; sono aree prospicienti i corsi d'acqua maggiori, dei quali talvolta rappresentano l'alveo straordinario e che

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possono essere coinvolte da inondazioni ad energia da elevata a molto elevata, accompagnate da erosione laterale e deposito.

All'interno di questa classe, per le aree edificate, in funzione del grado di pericolosità geomorfologica, sono state introdotte tre ulteriori sottoclassi della sottoclasse IIIB (IIIB2, IIIB3 e IIIB4), caratterizzate da un grado di pericolosità crescente.

- Rientrano nella classe IIIB2 (pericolosità media) aree ubicate nei settori marginali di conoide, al margine delle scarpate o nella fascia montana del territorio, in zone non direttamente interessate da dissesti torrentizi o gravitativi. Per queste aree l’edificabilità è condizionata alla stesura di un cronoprogramma delle opere che ne preveda la realizzazione ove necessario oltre che il costante controllo e manutenzione.

- Rientrano nella classe IIIB3 e IIIB4 le zone edificate ubicate in prossimità o all’interno delle fasce spondali di corsi d’acqua, in conoidi ad elevata pericolosità, in zone colpite da dissesti torrentizi a pericolosità molto elevata, in zone interessate da dissesti gravitativi attivi o riattivabili. Corrispondono alle aree con rischio elevato e molto elevato, nelle quali non è consigliabile prevedere espansioni urbanistiche, in considerazione degli intensi processi geomorfologici che le caratterizzano.

Si tiene a precisare che non sono state perimetrate aree nella classe IIIC.

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7 CARTA DI SINTESI DELLA PERICOLOSITÀ GEOMORFOLOGICA E DELL’IDONEITÀ ALL’UTILIZZAZIONE URBANISTICA - NORMATIVA GEOLOGICO-TECNICA

In ottemperanza a quanto prescritto dalla Circolare del P.G.R. n° 7/LAP dell'08.05.1996, il territorio comunale è stato suddiviso in tre classi di idoneità all’utilizzazione urbanistica, a ciascuna delle quali corrisponde un’area specificamente vincolata. Il presente capitolo indica la normativa geologico-tecnica alla quale deve essere assoggettato qualunque intervento urbanistico o edilizio, previsto nell’ambito del territorio comunale, in ragione dell’appartenenza ad una delle diverse classi di idoneità urbanistica. Per ciò che riguarda gli interventi urbanistici ammessi, trattasi di indicazioni validate dall'urbanista ed inserite nelle N.T.A., dove assumono carattere prescrittivo; qualora un fabbricato appartenga a due o più classi di zonizzazione differenti si applica, per l’intero edificio, la classe di idoneità più restrittiva. Vengono, inoltre, fissate le norme che definiscono e regolano le fasce di rispetto dei corsi d’acqua e delle risorse idropotabili. Alla fine di questo capitolo verranno elencate, infine, le prescrizioni di carattere generale, valide per l’intero territorio comunale, indipendentemente dalla classe di appartenenza.

7.1 DEFINIZIONI E MODALITÀ ESECUTIVE DELLE INDAGINI GEOLOGICHE DA SVILUPPARE A SUPPORTO DEGLI INTERVENTI URBANISTICI AMMESSI

I. Prima del rilascio del Permesso di Costruire per nuove costruzioni, il richiedente dovrà produrre dichiarazioni nelle quali professionisti abilitati in materia, a seguito di indagini geognostiche, geotecniche ed idrogeologiche, certifichino, in relazione alla natura del terreno interessato dalla costruzione e con riferimento al progetto delle strutture relative all'edificio ed alla sistemazione del terreno, il rigoroso rispetto delle condizioni di sicurezza. II. Tale indagine, composta da una parte analitica e da una parte sintetica, dovrà includere un rilievo geologico-geomorfologico di campagna a scala operativa (1: 1.000 o 1: 500) e una relazione in cui si definiscano: a) le caratteristiche litologiche delle formazioni geologiche affioranti e la loro tendenza evolutiva dal punto di vista geologico-tecnico; b) la giacitura delle formazioni e del loro insieme, le loro condizioni di equilibrio in relazione agli interventi previsti; c) la valutazione qualitativa e quantitativa delle coperture dei materiali incoerenti o pseudocoerenti in piano ed in pendio e la stima delle loro condizioni di equilibrio; d) le caratteristiche idrogeologiche con individuazione delle eventuali falde, definizione del grado di permeabilità delle singole formazioni, localizzazione delle vie d'infiltrazione e delle linee di deflusso sotterraneo, definizione del reticolo idrografico superficiale ed, infine, valutazione delle portate di massima piena (tempi di ritorno di 100 e/o 200 anni) nel caso in cui l'intervento sia prossimo ad un corso d'acqua; e) indicazioni sulle interazioni tra le opere da realizzarsi e quanto già esistente nelle aree circonvicine;

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f) elaborati grafici e dati di calcolo relativi ai punti di cui sopra. g) l’eventuale esistenza di terreni di riporto con caratteristiche geotecniche scadenti e, in caso positivo, le indicazioni sugli accorgimenti tecnici atti al superamento di tale problematica. A tal fine il Tecnico predisporrà le indagini che riterrà più opportune per l’elaborazione delle soluzioni progettuali. III. Il committente titolare del Permesso di Costruire, i professionisti incaricati degli accertamenti geognostici e geotecnici, il progettista delle strutture relative al manufatto, il direttore e l'assuntore dei lavori sono responsabili, per quanto di rispettiva competenza, di ogni inosservanza sia delle norme generali di legge e di regolamento, sia delle modalità esecutive che siano fissate dal Permesso di Costruire.

7.2 CLASSE DI IDONEITÀ I

Ai sensi della Circ. P.G.R. 7/LAP, la classe I riguarda “ Porzioni di territorio dove le condizioni di pericolosità geomorfologica sono tali da non porre limitazioni alle scelte urbanistiche: gli interventi sia pubblici che privati sono di norma consentiti nel rispetto delle prescrizioni del D.M. 11 marzo 1988 ”. Per le aree appartenenti a questa classe non sono stati messi in rilievo elementi di pericolosità geomorfologica od idrologica e non si prevedono limitazioni di carattere geoambientale, per cui sono ammessi tutti gli interventi di trasformazione urbanistica tipo MO, MS, RC1, RC2, RE1, RE2, DS, DR, SE, AS, MD, Nca, RU, C (NCr-NCp), NI (NCr-NCp) 2, nel rispetto ed in ottemperanza del D.M. 11.03.1988 e del D.M. 14.01.2008 “ Norme tecniche per le costruzioni ” e delle prescrizioni tecniche dettate dall’O.P.C.M. n. 3274/2003, con verifica del tipo di suolo di fondazione (Allegato 2 – punto 3.1), per edifici ed opere infrastrutturali di nuova costruzione strategici, secondo quanto disposto dalla D.G.R. del 23-12-2003 n. 64-11402, Allegato B. Prima della realizzazione di nuovi interventi edilizi arealmente significativi, dovrà essere valutato l’incremento dei deflussi derivante dall’aumento della superficie impermeabilizzata connesso agli interventi edificatori previsti, verificando l’adeguatezza delle opere di regimazione idraulica esistenti a valle, prevedendone l’adeguamento in caso di inidoneità.

7.3 CLASSE DI IDONEITÀ II

Ai sensi della Circ. P.G.R. 7/LAP, la classe II riguarda “ Porzioni di territorio nelle quali le condizioni di moderata pericolosità geomorfologica possono essere agevolmente superate attraverso l’adozione ed il rispetto di modesti accorgimenti tecnici esplicitati a livello di norme di attuazione ispirate al D.M. 11 marzo 1988 e realizzabili a livello di progetto esecutivo esclusivamente nell’ambito del singolo lotto edificatorio o dell’intorno significativo circostante ”. Per tali aree si rende, quindi, necessario un approfondimento di carattere idrogeologico e geologico-tecnico, sviluppato secondo le direttive del D.M. 11.03.1988 e del D.M. 14.01.2008 “Norme tecniche per le costruzioni ” e secondo la procedura definita al precedente paragrafo 7.1, finalizzato all’individuazione, alla progettazione ed alla realizzazione degli interventi

2 MO: manutenzione ordinaria; MS: manutenzione straordinaria; RC1: restauro conservativo; RC2: risanamento conservativo; RE1: ristrutturazione edilizia senza aumento di volume; RE2: ristrutturazione edilizia con aumento di volume; DS: demolizione senza ricostruzione; DR: demolizione con ricostruzione; SE: sostituzione edilizia; AS: ampliamenti e sopraelevazioni; MD: modifica di destinazione d’uso; Nca: nuova costruzione fabbricati accessori; RU: ristrutturazione urbanistica; C: interventi di completamento (comprendenti gli interventi NCr – NCp); NI: interventi di nuovo impianto (comprendenti gli interventi NCr – NCp).

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tecnici necessari ad annullare la situazione di moderata pericolosità geomorfologica ed a superare le limitazioni di carattere urbanistico. Tutti gli interventi di trasformazione edilizia (MO, MS, RC1, RC2, RE1, RE2, DS, DR, SE, AS, MD, Nca, RU C, NI) sono ammissibili ma, tranne i primi sette tipi (MO, MS, RC1, RC2, RE1, RE2, DS) sono condizionati al rispetto delle norme tecniche indicate in questo paragrafo e definite attraverso l’approfondimento puntuale dell’indagine geologica, oltre che al rispetto delle prescrizioni tecniche dettate dall’O.P.C.M. n. 3274/2003, con verifica del tipo di suolo di fondazione (Allegato 2 – punto 3.1), per edifici ed opere infrastrutturali di nuova costruzione strategici, secondo quanto disposto dalla D.G.R. del 23-12-2003 n. 64-11402, Allegato B. Nel dettaglio l’indagine geologica deve avere le seguenti finalità: a) Aree prive di instabilità ma potenzialmente soggette a dinamiche gravitative (in roccia o caratterizzati da depositi di copertura), corrispondenti alle fasce di territorio ubicate presso versanti o scarpate acclivi : si dovrà analizzare la stabilità globale del versante, sia nello stato di fatto, sia, soprattutto, nello stato indotto dalla presenza delle opere in progetto, con verifiche condotte nelle condizioni potenzialmente più gravose (saturazione, sovraccarico ed eventuale azione sismica), individuando le eventuali ed opportune opere di difesa attiva o passiva, necessarie ad annullare o minimizzare il pericolo; ogni nuovo intervento deve, inoltre, prevedere la raccolta e lo smaltimento delle acque di ruscellamento superficiale, oltre ad individuare, in presenza di corsi d’acqua, gli eventuali accorgimenti tecnici per eliminare l’eventuale rischio di esondazioni a bassa energia. Per le aree prossime a scarpate, sebbene queste zone siano pianeggianti o poco acclivi, la presenza di versanti limitrofi fortemente acclivi, suggerisce di subordinare la costruzione di nuove opere a verifiche di stabilità, atte, anche in questo caso, ad accertare il grado di sicurezza dei terreni in relazione al progetto. In particolare, le suddette scarpate si trovano nelle porzioni di territorio che delimitano il concentrico di Craveggia, di Vocogno, di Prestinone, lungo il bordo del terrazzo in destra idrografica del T. Melezzo Orientale e presso alcuni corsi d’acqua del reticolo idrografico minore. In queste zone sono compresi anche i settori interessati, nel corso dell’alluvione del 1978, da piccole colate di terra o da smottamenti limitati, originatisi nelle scarpate sovrastanti; in questi casi deve essere prevista, in fase di progettazione, l’analisi geomorfologica di dettaglio e lo studio adeguato delle opere di regimazione (fossi di guardia) delle acque superficiali e meteoriche. b) Aree in cui siano stati individuati modesti fattori di rischio connessi all’attività idraulica dei corsi d’acqua (inondazioni a bassa energia dell’altezza di qualche decimetro): si dovrà verificare lo stato di fatto ed individuare (per quanto di pertinenza del lotto in esame) eventuali interventi (regimazione e/o arginatura e/o adeguamento degli attraversamenti), necessari a garantire lo smaltimento delle portate di massima piena (calcolate sulla base di precipitazioni critiche con tempi di ritorno di almeno 100 anni per tutti i corsi d'acqua minori), incrementate da eventuale carico solido. Per le nuove edificazioni, il primo piano abitabile fuori terra dovrà, di norma e salvo situazioni particolari, essere impostato ad una quota non inferiore a +0.50 m dal preesistente piano campagna. Dovrà comunque essere verificato che la ricarica del terreno, non abbia un’incidenza negativa di qualunque tipo sull’edificato esistente. c) Aree caratterizzate da difficoltà di drenaggio, potenzialmente soggette a ristagno d’acqua con terreni caratterizzati da scadenti qualità geotecniche : verificare lo stato di fatto e individuare la quota più opportuna per il piano di imposta dei locali abitabili e le soluzioni tecniche atte ad impedire infiltrazioni; si dovrà inoltre indagare la natura dei terreni, al fine di ricercare la soluzione più idonea per quanto riguarda le opere di fondazioni.

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d) Aree mediamente acclivi, in cui i terreni di fondazione richiedano una verifica delle caratteristiche geotecniche : date le caratteristiche di media acclività e la presenza di coltri eluvio-colluviali e di sedimenti glaciali in s.l., l’edificazione è condizionata all’esecuzione di indagini geognostiche e geotecniche di dettaglio, atte ad indagare la natura dei terreni, riconoscendo le variazioni verticali ed orizzontali, al fine di individuare la soluzione più idonea per quanto riguarda le fondazioni, verificando, altresì, la compatibilità delle opere in progetto con la stabilità dei versanti interessati. In tutte e quattro le suddette situazioni, prima della realizzazione di nuovi interventi edilizi arealmente significativi, dovrà essere valutato l’incremento dei deflussi derivante dall’aumento della superficie impermeabilizzata connesso agli interventi edificatori previsti, verificando l’adeguatezza delle opere di regimazione idraulica esistenti a valle, prevedendone l’adeguamento in caso di inidoneità.

7.4 CLASSE DI IDONEITÀ III

Ai sensi della Circ. P.G.R. 7/LAP, la classe III riguarda “ Porzioni di territorio nelle quali gli elementi di pericolosità geomorfologica e di rischio, derivanti questi ultimi dalla urbanizzazione dell’area, sono tali da impedirne l’utilizzo qualora inedificate, richiedendo, viceversa, la previsione di interventi di riassetto territoriale a tutela del patrimonio esistente ”. La classe III (entro la quale, in generale, è consentita la sola realizzazione di opere di interesse pubblico non altrimenti localizzabili, secondo quanto previsto dall’art. 31 L.R. 56/77), in funzione dell’uso attuale del territorio e del grado di pericolosità riscontrato (da medio-basso ad elevato) viene ulteriormente suddivisa nelle sottoclassi IIIA e IIIB, così definite dalla Circ. P.G.R. 7/LAP: Sottoclasse IIIA : “ Porzioni di territorio inedificate che presentano caratteri geomorfologici o idrogeologici che le rendono inidonee a nuovi insediamenti (aree dissestate, in frana, potenzialmente dissestabili o soggette a pericolo di valanghe, aree alluvionabili da acque di esondazione ad elevata energia). Per le opere infrastrutturali di interesse pubblico non altrimenti localizzabili (con specifico riferimento ad es., ai parchi fluviali) vale quanto già indicato all’art. 31 della L.R. 56/77 ". Sottoclasse IIIB : " Porzioni di territorio edificate nelle quali gli elementi di pericolosità geologica e di rischio sono tali da imporre in ogni caso interventi di riassetto territoriale di carattere pubblico a tutela del patrimonio urbanistico esistente. In assenza di tali interventi di riassetto saranno consentite solo trasformazioni che non aumentino il carico antropico, quali ad esempio, interventi di manutenzione ordinaria, manutenzione straordinaria, risanamento conservativo, ecc…; per le opere di interesse pubblico non altrimenti localizzabili varrà quanto previsto all’art. 31 della L.R. 56/77. Nuove opere o nuove costruzioni saranno ammesse solo a seguito dell’attuazione degli interventi di riassetto e dell’avvenuta eliminazione e/o minimizzazione della pericolosità. Gli strumenti attuativi del riassetto idrogeologico e i Piani Comunali di protezione civile dovranno essere reciprocamente coerenti ". In funzione del grado di pericolosità geomorfologica del territorio comunale analizzato, dell’effettiva possibilità di eliminare o ridurre il rischio e del livello di efficacia delle opere di attenuazione del rischio presenti, nel territorio di Craveggia sono state introdotte tre ulteriori sottoclassi della sottoclasse IIIB (IIIB2, IIIB3 e IIIB4 caratterizzate da un grado di pericolosità crescente) entro le quali sono ammissibili interventi differenziati, così schematizzabili:

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Tabella di comparazione tra Classi di pericolosità geomorfologica ed interventi ammessi nella Variante al P.R.G. in adeguamento al PAI, e Tabella di cui al punto 7.1, Allegato A della D.G.R. n. 64-7417 del 07-04-2014

INTERVENTI SOTTOCLASSE GRADO DI URBANISTICI RIFERIMENTI ALLA TABELLA DEL PUNTO DI IDONEITÀ PERICOLOSITA' CONSENTITI ALLO 7.1, ALL. A, DGR 64-7417 URBANISTICA GEOMORFOLOGICA STATO ATTUALE Manutenzione ordinaria e straordinaria, Restauro e Risanamento Conservativo (senza cambio di MO, MS, RC1 α, RC2 α, 1 destinazioni d’uso), Adeguamento igienico- Ai-f, RE1, DS, AS , funzionale (ampliamento max 25 mq), IIIB2 Medio-moderato Nca Ristrutturazione Edilizia senza demolizione e (senza aumento del ricostruzione, Demolizione, Ampliamento in carico antropico) sopraelevazione, cambi d’uso funzionali senza aumento del carico antropico (box, magazzini, ecc.) e nuova costruzione fabbricati accessori

Manutenzione ordinaria e straordinaria, Restauro MO, MS, RC1 α, RC2 α, e Risanamento Conservativo (senza cambio di Ai-f, DS, Nca destinazioni d’uso), Adeguamento igienico- IIIB3 medio-elevato funzionale (ampliamento max 25 mq), (senza aumento di Demolizione, cambi d’uso funzionali senza carico antropico) aumento del carico antropico (box, magazzini, ecc.) e nuova costruzione fabbricati accessori

MO, MS, DS elevato e/o molto Manutenzione ordinaria e straordinaria, IIIB4 elevato (senza aumento di Demolizione carico antropico)

INTERVENTI POSSIBILITÀ DI URBANISTICI SOTTOCLASSE ELIMINARE O CONSENTITI DOPO RIFERIMENTI ALLA TABELLA DEL PUNTO 7.1, DI IDONEITÀ RIDURRE IL ELIMINAZIONE O ALL. A, DGR 64-7417 URBANISTICA RISCHIO RIDUZIONE RISCHIO Manutenzione ordinaria e straordinaria, Restauro e Attraverso Risanamento Conservativo, Adeguamento igienico- MO, MS, RC1, RC2, Ai- interventi di funzionale, Ristrutturazione Edilizia (senza f*, RE1, RE2, DS, Nca, riassetto locali demolizione e ricostruzione / con demolizione e DR, AS, SE, MD, C (Cronoprogramma) ricostruzione), Demolizione, cambi d’uso funzionali IIIB2 (interventi urbanistici e/o manutenzione senza aumento del carico antropico (box, di completamento, delle opere esistenti magazzini, ecc.) e nuova costruzione fabbricati possibili solo nel e/o rispetto di accessori, Ampliamento in pianta, Sopraelevazione, territorio di fondovalle) norme tecniche Sostituzione edilizia, cambio di destinazione d’uso, nuova costruzione

Manutenzione ordinaria e straordinaria, Restauro e Risanamento Conservativo, Adeguamento igienico- MO, MS, RC1, RC2, Ai- funzionale (ampliamento max 25 mq), Attraverso f, RE1 β, RE2 β, DS, DR β, Ristrutturazione Edilizia (senza demolizione e interventi di Nca, AS γ, MD β ricostruzione / con demolizione e ricostruzione, a IIIB3 riassetto globale o seguito approfondimenti par. 6, All. A), locale previsti nel (possibile un modesto Demolizione, cambi d’uso funzionali senza aumento Cronoprogramma aumento di carico del carico antropico (box, magazzini, ecc.) e nuova antropico) costruzione fabbricati accessori, ampliamento in pianta, Sopraelevazione, cambio di destinazione d’uso (a seguito approfondimenti par. 6, All. A)

Attraverso MO, MS, RC1 α, RC2 α, Manutenzione ordinaria e straordinaria, Restauro e interventi di Ai-f, DS Risanamento Conservativo, Adeguamento igienico- IIIB4 riassetto globale funzionale (ampliamento max 25 mq), previsti nel (senza aumento di adeguamenti igienico-funzionali di 25 m 2 max, Cronoprogramma carico antropico) Demolizione

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Ai-f: Adeguamento igienico-funzionale, con ampliamenti fino ad un max di 25 mq (Ai-f* - Classe IIIb2 a seguito degli interventi di riassetto: possibili ampliamenti >25 mq) AS 1: possibili ampliamenti solo in sopraelevazione α : Interventi per cui non sono previsti cambi di destinazione d’uso β : Fabbricati in Classe IIIB3 (individuati con apposito simbolo grafico ∗ nella Cartografia di sintesi in scala 1: 2.000), per i quali valgono specifiche NTA, che definiscono le quantità edificatorie ammesse e compatibili con i livelli di pericolosità e rischio rilievati. γ : Fabbricati in Classe IIIB3, per i quali sono ammessi ampliamenti fino ad un massimo del 20% o 200 mc.

Per ciò che riguarda gli interventi urbanistici ammessi, trattasi di indicazioni validate dall'urbanista ed inserite nelle N.T.A., dove assumono carattere prescrittivo. Si sottolinea che l'articolazione proposta nell'ambito della Classe IIIB, si attiene alle indicazioni della N.T.E. (suddivisione all'interno della Classe IIIB in relazione alla pericolosità rilevata nell'area e delle opere di sistemazione idrogeologica presenti o prevedibili), precisando che, nella Sottoclasse IIIB2, dopo la realizzazione degli interventi del crono programma, sono ammessi interventi urbanistici di completamento C (NC r-NC p) solo nelle porzioni di territorio ubicate nel fondovalle.

7.4.1 Sottoclasse di idoneità IIIA

Riguarda aree, inedificate , in cui siano stati evidenziati elementi di pericolosità geomorfologica tali da renderle inidonee all’utilizzazione urbanistica; in tali zone sono ammessi unicamente i seguenti interventi: - opere infrastrutturali di interesse pubblico non altrimenti localizzabili, secondo quanto previsto dall'art. 31 della L.R. 56/77 (opere previste dal Piano Territoriale, opere dichiarate di pubblica utilità, opere attinenti il regime idraulico, le derivazioni d'acqua, gli impianti di depurazione, gli impianti di produzione di energia idroelettrica, gli elettrodotti, gli impianti di telecomunicazione ed altre attrezzature per l'erogazione di pubblici servizi); - opere di sistemazione idrogeologica e di regimazione delle acque; - interventi di consolidamento dei versanti o di stabilizzazione di fenomeni di dissesto; - attività estrattive autorizzate ai sensi della L.R. 69/78 e L.R. 44/2000; - strade di servizio alle attività estrattive o agro-silvo-pastorali chiuse al traffico pubblico e piste tagliafuoco e forestali, nonché accessi carrai ad aree inserite in altre Classi di idoneità urbanistica. Tali opere dovranno essere supportate da specifiche indagini geologiche, geomorfologiche ed idrogeologiche ed essere progettate nella scrupolosa osservanza di quanto stabilito dal D.M. 11.03.1988 o del D.M. 14-01-2008 e prevedere tutti gli accorgimenti tecnico-operativi atti a minimizzare la vulnerabilità e la pericolosità geomorfologica nell’area di intervento. Per quanto attiene eventuali aree, caratterizzate da acclività moderata, aventi un particolare interesse ai fini agricoli, zootecnici ed agro-silvo-pastorali, un’eventuale utilizzazione urbanistica, per gli scopi di cui sopra, dovrà essere preceduta da uno studio di grande dettaglio, che: - valuti a priori la possibilità e l'opportunità degli interventi; - ne definisca i precisi orientamenti in ordine alla tipologia, che dovrà essere compatibile con le caratteristiche del territorio;

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- verifichi la stabilità dell'insieme opere-versante; - indichi, infine, le modalità costruttive.

Con specifico riferimento a quanto esposto al punto 6.2 della N.T.E. alla P.G.R. 8/5/1996 n. 7/LAP, del 1999, a cura della Regione Piemonte – Direzione Regionale Servizi Tecnici di Prevenzione – Settori Prevenzione Territoriale del Rischio Geologico, per quanto attiene l'edificato sparso (comprensivo delle eventuali aree residuali) ascritto alla sottoclasse IIIA, che ricade in settori non interessati da dissesti attivi o incipienti l.s., potranno essere rilasciati titoli abilitativi per l’esecuzione di interventi di manutenzione dell'esistente, ampliamento funzionale e ristrutturazione finalizzate al recupero agro-silvo-pastorale ed alla residenza temporanea; nel caso di ampliamento funzionale o ristrutturazione, il rilascio del titolo abilitativo per il singolo intervento dovrà essere preceduto da uno studio di compatibilità geomorfologica e da un'analisi di tipo geologico-tecnico, finalizzata a definire le locali condizioni di pericolosità e di rischio e, quindi, a proporre eventuali opere di sistemazione o specifici accorgimenti tecnici da adottare in fase esecutiva, nel rispetto delle definizioni e delle modalità riportate al precedente paragrafo 7.1. Qualora l’intervento edilizio di ampliamento funzionale o di ristrutturazione comporti variazioni planimetriche, oltre alla realizzazione di interventi di riassetto idrogeologico, dovranno essere recepiti i seguenti principi: - allontanamento del nuovo edificato dalla fonte di pericolo (dissesto, reticolo, ecc.); - migliorare le condizioni di funzionalità idraulica del reticolo idrografico eventualmente presente in prossimità dei previsti ampliamenti edilizi, impedendo la diminuizione delle aree di laminazione delle portate di piena. Nel caso specifico di attività agricole sarà eventualmente possibile la realizzazione di nuove costruzioni, di volumetria contenuta, strettamente connesse all'attività agricola ed alla conduzione aziendale; tale opportunità, dovrà essere valutata ed eventualmente riconosciuta attraverso studi specifici (indagini geologiche, idrogeologiche, geognostiche, in ottemperanza a quanto previsto dai DD.MM. 11/03/88 e 14-01-2008), che dovranno: - approfondire l’analisi del territorio, evidenziando eventuali tendenze al dissesto; - definire una tipologia d’intervento, compatibile con le caratteristiche del territorio; - verificare la stabilità dell'insieme opere-versante; - indicare le modalità costruttive ed individuare gli accorgimenti tecnici necessari alla riduzione ed alla mitigazione del rischio e dei fattori di pericolosità.

7.4.2 Sottoclasse di idoneità IIIB2

Si tratta di aree edificate caratterizzate da un grado di pericolosità geomorfologica medio- moderato. Nelle porzioni di territorio ricadenti in questa sottoclasse sono, in ogni caso, consentiti interventi di manutenzione e ristrutturazione dei fabbricati esistenti, senza cambio di destinazione d’uso (MO, MS, RC1 α, RC2 α, RE1, DS), ampliamenti solo con sopraelevazioni per problematiche idrauliche (AS1), adeguamenti igienico-funzionali (Ai-f, ampliamento max 25 mq) e la realizzazione di nuove costruzioni di fabbricati accessori (Nca), che non comportino aumento del carico antropico. È inoltre comunque ammessa la realizzazione di: - opere infrastrutturali di interesse pubblico non altrimenti localizzabili, secondo quanto previsto dall’art. 31 della L.R. 56/77 (opere previste dal Piano Territoriale, opere dichiarate di pubblica utilità, opere attinenti il regime idraulico, le derivazioni d’acqua,

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gli impianti di depurazione, gli impianti di produzione di energia idroelettrica, gli elettrodotti, gli impianti di telecomunicazione ed altre attrezzature per l’erogazione di servizi pubblici); - opere di sistemazione idrogeologica e di regimazione delle acque; - interventi di consolidamento dei versanti o di stabilizzazione dei fenomeni di dissesto; - attività estrattive autorizzate ai sensi della L.R. 69/78 e L.R. 44/2000; - strade di servizio alle attività estrattive o agro-silvo-pastorali chiuse al traffico pubblico e piste tagliafuoco, nonché accessi carrai per raggiungere aree ascritte alle altre Classi di idoneità urbanistica. Per i territori attribuiti alla Sottoclasse IIIB2 la realizzazione di interventi di tipo Rc1-2, l’adeguamento igienico-funzionale con ampliamenti anche maggiori di 25 mq (Ai-f*), ristrutturazione edilizia con aumento di volume (RE2), demolizioni con ricostruzione (DR), ampliamenti in pianta ed in sopraelevazione (AS), sostituzione edilizia (SE), cambio di destinazione d’uso (MD), e, limitatamente alle parti di territorio di fondovalle, di completamento (C), è subordinata a :

- verifica e certificazione delle condizioni di adeguatezza delle opere di difesa e di attenuazione del pericolo esistenti (argini, briglie, difese spondali, ecc.) da parte dell'Ufficio Tecnico del Comune oppure da professionisti esterni abilitati in materia, all’uopo incaricati dall’Amministrazione Comunale (ai sensi delle NTE/99 alla Circ. PGR 7/LAP/96, punto 7.10) ; - esecuzione di Piani di Riassetto di carattere locale (o, eventualmente, globale), così come previsto nel Cronoprogramma , per l’adeguamento di opere di difesa esistenti (nel caso non fossero efficaci) oppure mirati all’introduzione di più opportuni interventi di mitigazione per risolvere le situazioni di dissesto in atto o potenziali.

Le indagini geologiche, di supporto agli interventi edilizi / urbanistici, dovranno rispettare le definizioni e le modalità riportate al precedente paragrafo 7.1. I Piani di Riassetto Idrogeologico potranno essere legati ad iniziativa pubblica o privata, anche attraverso la costituzione di consorzi tra soggetti. La progettazione degli interventi di riassetto territoriale dovrà essere preceduta da uno studio geologico di dettaglio, mirato ad individuare le cause di dissesto ed a proporre i più opportuni interventi di mitigazione; tale approfondimento dovrà essere esteso ad un ambito territoriale significativo in relazione al processo geomorfico dominante; nel caso di interventi edilizi / urbanistici ricadenti in conoide di deiezione, le indagini geologiche per la verifica e/o progettazione delle opere di difesa, dovranno essere effettuate tramite uno studio che analizzi l’intero bacino del corso d’acqua. Le opere di riassetto, dovranno essere progettate nella scrupolosa osservanza di quanto stabilito dal D.M. 11.03.1988 e dal D.M. 14.01.2008, prevedendo tutti gli accorgimenti tecnico-operativi atti a minimizzare la vulnerabilità ed il rischio geomorfologico ed idraulico nell’area di intervento. L’Amministrazione Comunale deve, in ogni caso, garantire la sorveglianza della funzionalità delle opere di sistemazione idrogeologica presenti nel territorio del Comune, stendendo periodici rapporti tecnici che ne certifichino lo stato di conservazione; deve, altresì, programmare gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di difesa e degli alvei dei corsi d’acqua. Per le porzioni di territorio ricadenti in questa Sottoclasse è impedita l’utilizzazione come aree per attrezzature di interesse comune (religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie); è, invece, ammessa la realizzazione di aree attrezzate per lo sport e la ricreazione.

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Le aree appartenenti a questa Sottoclasse dovranno essere inserite nel Piano Comunale per la Protezione Civile.

7.4.3 Sottoclasse di idoneità IIIB3

Si tratta di aree edificate caratterizzate da un grado di pericolosità geomorfologica medio- elevato. In totale mancanza o inadeguatezza di opere di attenuazione della pericolosità geomorfologica e senza la preventiva realizzazione di Piani di Riassetto territoriale, in tali aree, saranno comunque ammessi i seguenti interventi: - manutenzioni e ristrutturazioni dei fabbricati esistenti, senza modifica di destinazione d’uso, che non aumentino il carico antropico e demolizioni senza ricostruzione (MO, MS, RC1 α, RC2 α, DS), compresa la realizzazione di fabbricati accessori (Nca) e adeguamenti igienico funzionali (Ai-f, con ampliamenti < 25 mq); - opere infrastrutturali di interesse pubblico non altrimenti localizzabili, secondo quanto previsto dall'art. 31 della L.R. 56/77 (opere previste dal Piano Territoriale, opere dichiarate di pubblica utilità, opere attinenti il regime idraulico, le derivazioni d'acqua, gli impianti di depurazione, gli impianti di produzione di energia idroelettrica, gli elettrodotti, gli impianti di telecomunicazione ed altre attrezzature per l'erogazione di pubblici servizi); - opere di sistemazione idrogeologica e di regimazione delle acque; - interventi di consolidamento dei versanti o di stabilizzazione di fenomeni di dissesto; - attività estrattive autorizzate ai sensi della L.R. 69/78 e L.R. 44/2000; - strade di servizio alle attività estrattive o agro-silvo-pastorali chiuse al traffico pubblico e piste tagliafuoco , nonché accessi carrai per raggiungere aree inserite in altre Classi di idoneità urbanistica.

Per le parti di territorio attribuite alla Sottoclasse IIIB3, la realizzazione di interventi di ristrutturazione e di trasformazione urbanistica (RE1, RE2, DR, MD, AS) con modesto incremento di carico antropico è subordinata a: - verifica e certificazione delle condizioni di adeguatezza delle opere di difesa e di attenuazione del pericolo esistenti (argini, briglie, difese spondali, ecc.) da parte dell'Ufficio Tecnico del Comune oppure da professionisti esterni abilitati in materia, all’uopo incaricati dall’Amministrazione Comunale (ai sensi delle NTE/99 alla Circ. PGR 7/LAP/96, punto 7.10) ; - esecuzione di piani di riassetto territoriale di carattere globale (o, eventualmente, locale), così come previsto nel Cronoprogramma , per l’adeguamento di opere di difesa esistenti (nel caso non fossero efficaci) oppure mirati all’introduzione di più opportuni interventi di mitigazione per risolvere le situazioni di dissesto in atto o potenziali.

Inoltre, anche a seguito dell’attuazione dei piani di riassetto idrogeologico: − per gli interventi di tipo AS, saranno possibili ampliamenti massimi del 20% o di 200 mc; − per tutti i fabbricati individuati con apposito simbolo grafico ( ∗) nella Carta di Sintesi della Pericolosità Geomorfologica ed Idoneità all’Utilizzazione Urbanistica (in scala 1: 2.000), gli interventi di tipo RE1, RE2, DR e MD, non potranno prevedere

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frazionamenti degli edifici e gli eventuali ampliamenti, non potranno superare il 10% od un massimo di 100 mc

Limitatamente al Rifugio Vasca, ascritto a questa sottoclasse, anche in presenza di opere di difesa verificate e certificate, non sarà possibile l'incremento del carico antropico. Le indagini geologiche, di supporto agli interventi edilizi / urbanistici, dovranno rispettare le definizioni e le modalità riportate al precedente paragrafo 7.1. I Piani di Riassetto Idrogeologico potranno essere legati ad iniziativa pubblica o privata, anche attraverso la costituzione di consorzi tra soggetti. La progettazione degli interventi di riassetto territoriale dovrà essere preceduta da uno studio geologico di dettaglio, mirato ad individuare le cause di dissesto ed a proporre i più opportuni interventi di mitigazione; tale approfondimento dovrà essere esteso ad un ambito territoriale significativo in relazione ai processi geomorfici dominanti; nel caso di interventi edilizi / urbanistici ricadenti in conoide di deiezione, le indagini geologiche per la verifica e/o progettazione delle opere di difesa, dovranno essere effettuate tramite uno studio esteso all’intero bacino del corso d’acqua. Le opere di riassetto, dovranno essere progettate nella scrupolosa osservanza di quanto stabilito dal D.M. 11.03.1988 e dal D.M. 14.01.2008, prevedendo tutti gli accorgimenti tecnico-operativi atti a minimizzare la vulnerabilità ed il rischio geomorfologico nell’area di intervento. Per tutti gli interventi di ristrutturazione e trasformazione urbanistica (RE2, AS, MD), posti nelle vicinanze di corsi d’acqua, è di norma preclusa la realizzazione di locali interrati o seminterrati, provvedendo, eventualmente, all’impermeabilizzazione di quelli già esistenti. Per questa Sottoclasse, anche a seguito della realizzazione di interventi di riassetto e sistemazione idrogeologica, si prescrive di orientare gli interventi edilizi, comportanti variazioni planimetriche, il recepimento ed il rispetto dei seguenti principi: - allontanamento del nuovo edificato dalla fonte di pericolo (dissesto, reticolo idrico, ecc.); - migliorare le condizioni di funzionalità idraulica del reticolo idrografico eventualmente presente in prossimità dei previsti ampliamenti edilizi, impedendo la diminuzione delle aree di laminazione delle portate di piena. L’Amministrazione Comunale dovrà garantire la sorveglianza sulla funzionalità delle opere di sistemazione eventualmente già esistenti e/o di quelle di nuova realizzazione, stendendo periodici rapporti tecnici che ne certifichino lo stato di conservazione; deve, altresì, programmare gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di difesa e degli alvei dei corsi d’acqua montani. Per i territori ricadenti in questa Sottoclasse è impedita l’utilizzazione come aree per attrezzature di interesse comune (religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie). Le aree appartenenti a questa Sottoclasse dovranno essere inserite nel Piano Comunale per la Protezione Civile. Sono inoltre da ascriversi a questa sottoclasse edifici isolati, ubicati sia nel territorio montano, che nel fondovalle, nonché quelli isolati dal contesto urbano, che, nella Cartografia di Sintesi della pericolosità geomorfologica e di idoneità all’utilizzazione urbanistica, sono stati indicati, per ragioni di opportunità grafica, con la retinatura caratteristica della classe IIIA.

7.4.4 Sottoclasse di idoneità IIIB4

Si tratta di aree edificate caratterizzate da un grado di pericolosità geomorfologica elevato e/o molto elevato. In totale mancanza o inadeguatezza di opere di attenuazione della pericolosità geomorfologica e senza la preventiva realizzazione di Piani di Riassetto territoriale, in tali aree, saranno comunque ammessi solo i seguenti interventi:

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- manutenzioni dei fabbricati esistenti che non aumentino il carico antropico (MO, MS, DS); - opere infrastrutturali di interesse pubblico non altrimenti localizzabili, secondo quanto previsto dall'art. 31 della L.R. 56/77 (opere previste dal Piano Territoriale, opere dichiarate di pubblica utilità, opere attinenti il regime idraulico, le derivazioni d'acqua, gli impianti di depurazione, gli impianti di produzione di energia idroelettrica, gli elettrodotti, gli impianti di telecomunicazione ed altre attrezzature per l'erogazione di pubblici servizi); - opere di sistemazione idrogeologica e di regimazione delle acque; - interventi di consolidamento dei versanti o di stabilizzazione di fenomeni di dissesto; - attività estrattive autorizzate ai sensi della L.R. 69/78 e L.R. 44/2000; - strade di servizio alle attività estrattive o agro-silvo-pastorali chiuse al traffico pubblico e piste tagliafuoco, nonché accessi carrai ad aree inserite in altre Classi di idoneità urbanistica. La realizzazione di interventi tipo RC1α e RC2α, oltre agli adeguamenti funzionali Ai-f con ampliamenti < 25 mq (senza aumento del carico antropico) è vincolata all’attuazione di interventi globali di riassetto territoriale , previsti nel Cronoprogramma, la cui incidenza e le cui proporzioni possono esulare dalle potenzialità e competenze del singolo intervento; pertanto, l’esecuzione delle necessarie opere di salvaguardia delle aree edificate soggette a rischio, potrà essere di iniziativa pubblica o privata, eventualmente anche attraverso la costituzione di consorzi tra soggetti. Le indagini geologiche, di supporto agli interventi edilizi / urbanistici, dovranno rispettare le definizioni e le modalità riportate al precedente paragrafo 7.1. Per questa Sottoclasse, anche a seguito della realizzazione di interventi di riassetto e sistemazione idrogeologica, si prescrive di orientare gli interventi edilizi, comportanti variazioni planimetriche, il recepimento ed il rispetto dei seguenti principi: - allontanamento del nuovo edificato dalla fonte di pericolo (dissesto, reticolo idrico, ecc.); - migliorare le condizioni di funzionalità idraulica del reticolo idrografico eventualmente presente in prossimità dei previsti ampliamenti edilizi, impedendo la diminuzione delle aree di laminazione delle portate di piena. L’Amministrazione Comunale deve assicurare la sorveglianza sulla funzionalità delle opere di sistemazione eventualmente già esistenti e/o di quelle di nuova realizzazione, stendendo periodici rapporti tecnici che ne certifichino lo stato di conservazione; deve, altresì, programmare gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria delle opere di difesa e degli alvei dei corsi d’acqua montani e di stabilizzazione dei versanti a tutela del patrimonio urbanistico esistente. La progettazione degli interventi di riassetto territoriale previsti nel Cronoprogramma dovrà essere preceduta da uno studio geologico di grande dettaglio mirato ad individuare le cause di dissesto ed a proporre i più opportuni interventi di mitigazione; tale approfondimento dovrà essere esteso ad un ambito territoriale significativo in relazione ai processi geomorfici presenti. La certificazione di idoneità di opere di difesa già esistenti potrà essere prodotta dall’Ufficio Tecnico del Comune oppure da un professionista esterno abilitato in materia, all’uopo incaricato dall’Amministrazione Comunale (ai sensi delle NTE/99 alla Circ. PGR 7/LAP/96, punto 7.10) . Qualunque intervento da realizzare nell’ambito di questa Sottoclasse dovrà essere progettato nella scrupolosa osservanza di quanto stabilito dal D.M. 11.03.1988 e dal D.M. 14.01.2008, e

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prevedere tutti gli accorgimenti tecnico-operativi atti a minimizzare la vulnerabilità ed il rischio geomorfologico nell’area interessata. Per i territori ricadenti in questa Sottoclasse è impedita l’utilizzazione come aree per attrezzature di interesse comune (religiose, culturali, sociali, assistenziali, sanitarie e sportive-ricreative). Le aree appartenenti a questa Sottoclasse dovranno essere inserite nel Piano Comunale per la Protezione Civile. Sono inoltre da ascriversi a questa sottoclasse gli edifici isolati, ubicati nelle fasce di rispetto dei corsi d’acqua e nelle porzioni di conoide attivo a pericolosità elevata, sia nel territorio montano che nel fondovalle i quali, nella Carta della Zonizzazione, sono stati indicati, per ragioni di opportunità grafica, con la retinatura caratteristica della classe IIIA.

7.5 FASCE DI RISPETTO DEI CORSI D 'ACQUA

Tenuto conto degli aspetti ambientali e di tutela della pubblica sicurezza, per tutti i corsi d'acqua iscritti al registro delle acque pubbliche, nonché quelli appartenenti al demanio, ancorché non iscritti ai precedenti elenchi, (il cui alveo è rappresentato da doppia linea continua sulla cartografia catastale), si applicano le disposizioni del Regio Decreto 25 luglio 1904 n. 523, che all’art. 96, punto f), stabilisce che la fascia di rispetto a cui bisogna attenersi non può essere inferiore a “ dieci metri per le fabbriche e per gli scavi” , misurati a partire “dal piede degli argini e loro accessori” o, in assenza di argini in rilevato o a raso, dalla sommità della sponda incisa. Le fasce di rispetto dei corsi d’acqua così individuate sono riportate ed evidenziate nella cartografia di sintesi della pericolosità geomorfologica e dell’idoneità all’utilizzazione urbanistica in scala 1 : 5000 / 1 : 2000. La rappresentazione grafica dell'andamento dei corsi d'acqua e delle relative fasce di rispetto, è da intendersi come puramente indicativa e infatti, in fase esecutiva degli interventi, si dovranno verificare le differenze tra l’andamento dei corsi d’acqua demaniali, così come riportati sulle mappe catastali, rispetto al reale percorso planimetrico, e la misurazione delle fasce di rispetto, dovrà avvenire di volta in volta, mediante verifica in sito. Resta inteso che le fasce di rispetto ai sensi del R.D. 523/1904 si applicano alla linea di drenaggio attiva, rimanendo di proprietà demaniale l’area abbandonata ai sensi e per gli effetti della L. 37/94 nonché in ragione dell’art. 32, comma 3, Titolo II delle N.d.A. del PAI. Per le aree ricadenti all’interno delle fasce di rispetto dei corsi d’acqua demaniali assoggettati al R.D. 523/1904, ancorché non iscritti all’elenco delle acque pubbliche, siano essi a cielo aperto o tombinati, le utilizzazioni consentite sono esclusivamente quelle previste dal 3° comma dell’art. 27 - L.R. 56/77 e s.m.i, e dell’art. 96 del R.D. n. 523/1904; si applicano, inoltre, le limitazioni d’uso della Classe IIIA o della Sottoclasse IIIB4 (se già edificate). Eventuali recinzioni dovranno essere ubicate, di norma, ad una distanza non inferiore a 4 m dalla sommità della sponda del corso d'acqua e dovranno essere di tipo rete metallica e pali infissi nel terreno, per evitare possibili ostruzioni al deflusso delle acque.

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7.6 FASCE DI RISPETTO DELLE OPERE DI PRESA IDROPOTABILI

Per le opere di presa delle acque da destinare al consumo umano (sorgenti montane), indicate nella Tav. 3 “Carta Geoidrologica” e nella “Carta di Sintesi della Pericolosità Geomorfologica e dell’Idoneità all’Utilizzazione Urbanistica”, vengono qui di seguito definite le aree di salvaguardia; tali aree possono essere modificate solo a seguito di indagini idrogeologiche specifiche per ciascuna opera di presa, che ne ridetermini l’estensione della suddetta fascia di rispetto approvata dalla Regione Piemonte - Settore Gestione delle Risorse Idriche, ai sensi del nuovo Regolamento Regionale, approvato con D.P.G.R. dell’11-12-2006 n. 15/R. Nel territorio comunale, le aree di rispetto delle sorgenti ad uso idropotabile, di nuova costruzione, “Cortignasco”, “Pidella” e “Ruggiun”, sono state definite in tal senso ed approvate dalla Regione Piemonte, Direzione Ambiente, Settore Servizio Idrico Integrato, con Determinazione numero 22 del 31 gennaio 2011.

7.6.1 Zona di tutela assoluta La zona di tutela assoluta (costituente l’immediata pertinenza delle captazioni), secondo il D.Lgs. n°152/2006 e s.m.i, è adibita esclusivamente ad opere di presa ed a costruzioni di servizio e deve avere un’estensione di raggio non inferiore a 10 m (ove possibile); la zona deve essere recintata e provvista di canalizzazione per le acque meteoriche. Nella zona di tutela assoluta viene esclusa qualsiasi attività salvo la gestione e la manutenzione delle opere di presa.

7.6.2 Zona di rispetto La zona di rispetto, nella quale sono vietate numerose attività o destinazioni, possibili fonti di inquinamento (specificate dal D.Lgs. n°152/2006 e s.m.i), deve avere un’estensione di raggio pari a 200 m (minimo stabilito dalla suddetta normativa).

7.7 NORME DI CARATTERE GENERALE

Le disposizioni qui di seguito riportate hanno validità per l’intero territorio comunale. 1. Per tutti i corsi d’acqua montani, stagionali o perenni, siano essi di proprietà pubblica o privata, oltre alle limitazioni prescritte nel precedente punto 7.5 “Fasce di rispetto dei corsi d’acqua”, devono essere applicate le seguenti disposizioni: - tutti gli interventi di manutenzione idraulica dovranno avvenire nel rispetto della normativa di settore, tra cui si cita la L. 37/94 e la D.G.R. n° 44-5084 del 14/01/2002. In generale qualunque intervento sul reticolo idrografico demaniale sarà subordinato al parere vincolante dell’Autorità idraulica competente; - lungo i tratti tombinati del reticolo idrografico, localizzati in aree urbanizzate, assoggettati al R.D. 523/1904, si prevede una fascia di rispetto cautelativa di profondità non inferiore a 10 metri dall’opera, in ragione della pericolosità indotta dalla artificializzazione, volta a minimizzare l’incremento del carico antropico; - tranne che per i casi imposti dalla legge (ragioni di tutela della pubblica incolumità), è vietata la copertura dei corsi d’acqua mediante tubi o scatolari, anche se di ampia sezione, così come prescritto dall’art. 115 del D. Lgs. 152/2006 “Testo unico (Norme in materia ambientale)”; - le opere di attraversamento stradale sui corsi d’acqua dovranno essere realizzate mediante ponti, in maniera tale che la larghezza della sezione di deflusso non vada in alcun modo a ridurre la larghezza dell’alveo “a rive piene”, misurata a monte dell’opera; questo indipendentemente dalle verifiche per il calcolo delle portate di

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massima piena; in tali verifiche, le portate di massima piena, dovranno sempre essere maggiorate di una congrua aliquota per il trasporto solido. Le opere di attraversamento dei corsi d’acqua dovranno avere la larghezza strettamente necessaria per consentire il passaggio dell’infrastruttura viaria; - sono vietate opere che comportino variazioni nel corso o nel deflusso delle acque, restringimenti di sezioni e quant’altro possa comportare instabilità delle scarpate e delle sponde; - in nessun caso è ammessa l’occlusione, anche parziale, dei corsi d’acqua, comprese le zone di testata, tramite riporti vari; - in ogni caso è vietata qualunque edificazione (ivi comprese autorimesse, tettoie ecc.) al di sopra delle tratte d'alveo coperte o tombinate. 2. Le opere di sistemazione idrogeologica e di regimazione delle acque mireranno a: - garantire sezioni di deflusso regolari e tali da consentire lo smaltimento di portate di massima piena, calcolate sulla base di eventi meteorici critici, con tempi di ritorno di 100 anni per i rii minori e di 200 anni per i corsi d’acqua principali e comunque con sezioni che garantiscano il deflusso di contributi non inferiori a 15 m 3/sec/Km 2 di bacino; - assicurare la periodica pulizia degli alvei e delle opere idrauliche, prevedendo, altresì, l’asportazione della vegetazione arborea ed arbustiva cresciuta in alveo e/o al piede delle sponde; - nel caso di corsi d’acqua arginati e di opere idrauliche, deve essere garantita la percorribilità, possibilmente veicolare, delle sponde a fini ispettivi e manutentivi; - non sono ammesse opere, ivi comprese le recinzioni, che impediscano l’accesso pedonale all’alveo e alle opere di difesa idraulica e che impediscano la percorribilità pedonale longitudinalmente all’alveo stesso; - non sono ammessi scarichi di rifiuti sulle fasce spondali dei corsi d’acqua e sui versanti, ivi compresi i materiali inerti provenienti da demolizioni e scavi e gli scarti vegetali provenienti dalle pratiche agrarie e dalla manutenzione di orti, parchi e giardini; - eliminare le tratte d’alveo coperte o confinate, anche parzialmente, in manufatti tubolari e/o scatolari, di sezione chiaramente insufficiente. 3. Per quanto riguarda interventi di ampliamento o di modifica di destinazione d’uso o di nuova edificazione in aree medio-apicali delle conoidi classificate a rischio (esclusa la Classe IIIB4), i piani terreni dei fabbricati non dovranno presentare aperture (porte, finestre) sul lato rivolto all’apice della conoide stessa, ovvero nella direzione di possibili linee di esondazione. 4. Prima della realizzazione di nuovi interventi edilizi arealmente significativi, deve essere valutato l’incremento dei deflussi derivante dall’aumento della superficie impermeabilizzata connesso agli interventi in previsione urbanistica e, di conseguenza, deve essere verificata l’adeguatezza delle opere di regimazione idraulica eventualmente esistenti a valle, prevedendone, se del caso, l’adeguamento o la realizzazione. 5. In merito alla stabilità dei versanti, dovranno essere rispettate le seguenti disposizioni: - nelle zone acclivi, particolare attenzione dovrà essere posta nella regimazione delle acque superficiali, che andranno captate, regimate e convogliate negli impluvi naturali;

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- nelle zone acclivi caratterizzate dalla presenza del substrato roccioso subaffiorante, i manufatti dovranno essere impostati direttamente in roccia; - dovrà essere costantemente garantita la manutenzione dei muretti a secco limitrofi agli insediamenti previsti, ripristinando quelli che mostrano segni di ammaloramento e di instabilità; - nelle zone ubicate alla base ed alla sommità dei versanti dovrà essere mantenuta una fascia di rispetto dal piede e dal ciglio del versante non inferiore a 10 metri. 6. Per quanto attiene le aree di fondovalle, leggermente depresse morfologicamente o caratterizzate da scarso drenaggio, il ricorso alla riquotatura è ammesso solo ed esclusivamente se viene dimostrato che, in condizioni ordinarie e straordinarie (nell’eventualità di fenomeni di esondazione) tale operazione non costituisca aggravante e causa di maggiori danni per le aree limitrofe già edificate. 7. Per tutti gli interventi edilizi od opere infrastrutturali strategici e rilevanti, rientranti nella Normativa Sismica, in fase progettuale dovranno essere acquisiti gli aspetti topografici, ove possibile la profondità del substrato, la successione stratigrafica, la caratterizzazione delle coltri di copertura e l’eventuale presenza di terreni suscettibili di liquefazione, con le modalità e fino alle profondità richieste dall’Ordinanza P.C.M. n. 3274/2003, eventualmente verificando la stabilità dei pendii nei confronti dell’azione sismica. Sui terreni di riporto, non dotati di caratteristiche granulometriche e geotecniche adeguate, sarà sempre vietata la posa delle opere di fondazione degli edifici, ricorrendo, in tal caso, alla bonifica dei terreni di fondazione, oppure adottando opere di fondazione profonde (pali); in presenza di coltri di copertura con caratteristiche geotecniche scadenti, si dovrà procedere all’esecuzione di studi di dettaglio per la definizione del profilo di velocità delle onde di taglio (VS30) e dei possibili fenomeni di amplificazione sismica locale, allo scopo di ricorrere a soluzioni adeguate nella scelta delle opere fondali. 8. Infine, nelle fasi previste dall’art. 15 della L.R. 56/77, in tutte le aree interessate da fenomeni di dissesto, così come sono definiti dall’art. 9 delle Norme di Attuazione del PAI, il Comune sarà tenuto ad informare il soggetto attuatore delle previsioni urbanistiche, sulle limitazioni di cui al suddetto art. 9 delle N.T.A. del PAI, facendo sottoscrivere allo stesso soggetto attuatore un atto liberatorio, così come prescritto dal 7° comma dell’art. 18 delle Norme del PAI. 9. Per ogni tipo di costruzione sul territorio comunale vigono le norme di cui al D.M. 14.01.2008 Testo Unico “Norme tecniche per le costruzioni” alle quali fare riferimento per gli elaborati di progetto. 10. Nelle aree soggette a vincolo idrogeologico vigono le norme di cui alla L.R. 45/89 “Nuove norme per gli interventi da eseguire in terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici” cosi come modificate dalla L.R. 4/09 e dalla L.R. 30/09.

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