✯ Ugolino della Gherardesca I DELLA GHERARDESCA Dai longobardi alle soglie del Duemila

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ISBN 88-7741-872-9

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Fotolito Cliché, Firenze I DELLA GHERARDESCA Dai longobardi alle soglie del Duemila PREMESSA

Nel progettare l’impostazione di questo vio di famiglia che si arricchiva di documenti mio lavoro, avevo immaginato una sua suddi- e di epistolari di cui non avevo invece trovato visione per evi storici. Infatti quasi in perfetta traccia per i secoli precedenti. Sembrava qua- coincidenza con la conclusione di tali evi, ai si che i Gherardesca avessero imparato a scri- Gherardesca era sempre accaduto qualche e- vere solo arrivando a Firenze, ed anche se vento particolare che ne aveva profondamen- non credo che essi, più abili nel maneggio te influenzato la storia. Gli ultimi decenni del della spada che non della penna, avessero mai XV secolo avevano segnato la chiusura defi- brillato nel Medio Evo per particolari doti let- nitiva del ciclo pisano della famiglia e dato terarie1, mi stupiva tuttavia che avessero la- più deciso avvio a quello fiorentino, mentre sciato così esigue testimonianze scritte delle la fine del 1700 quasi coinciderà con la perdi- proprie pur prestigiose imprese medievali. ta delle ultime vestigia d’indipendenza signo- Sono così giunto alla conclusione che tali rile sino ad allora goduta dai Gherardesca tracce dovevano certamente esserci state, ma nella propria contea maremmana. che, nel corso dei secoli, erano andate perdute Quanto da me programmato non faceva a causa delle tante tumultuose vicende nelle dunque una piega, anche se, per ragioni pra- quali la casata si era trovata ad essere coinvol- tiche, all’Evo Moderno ho poi dovuto ag- ta. Avevano certo contribuito alla pressoché giungere uno spezzone di quello Contempo- totale dispersione degli archivi dell’antica raneo per arrivare fino alla costituzione ed ai schiatta, la distruzione, prima, delle torri e primi anni del Regno d’Italia. Il mio lavoro del palazzo pisano del «dantesco» conte Ugo- termina infatti con la morte del mio bisnonno lino; poi, l’identica sorte toccata, pochi anni Ugolino avvenuta nel 1882, con ciò evitando- più tardi, al palazzo del conte Nieri, signore mi di dover disquisire dei suoi successori che, di Pisa; quindi le accanite guerre in Sardegna per la maggior parte, ho conosciuti nel corso con la perdita finale di Villa di Chiesa e delle della mia esistenza e dei quali non avrei quin- tre roccaforti isolane; ed infine lo smantella- di potuto parlare con quel necessario distac- mento dei maggiori castelli maremmani della co che costituisce la base di una corretta o- casata. biettività storica. Tale plausibilissima ipotesi spiega la neces- In realtà, solo più tardi mi sono reso conto sità, da me incontrata, di dover raccogliere le che l’impostazione per evi storici mi sarebbe memorie medievali dei Gherardesca, attin- comunque stata suggerita da un’altro altret- gendo soprattutto da quanto hanno di loro tanto valido argomento. Ho infatti scoperto scritto storici che per il proprio lavoro si sono che con il «trasferimento» fiorentino della ca- avvalsi di documenti conservati in archivi di- sata veniva a registrarsi un corposo aumento versi da quello della casata comitale. Invece della documentazione disponibile nell’archi- proprio nelle filze di quest’ultimo, ad iniziare

1 G. DEL GUERRA, Pisa attraverso i secoli, Giardini, Pisa 1967, pp. 64-67. È citata una contessa di Montescudaio che nel XIII secolo, sotto lo pseudonimo di Madonna Bombaccaia, fu in Pisa una sorta di Bertoldo in gonnella. I detti d’amore della contessa pisana si trovano ricordati nel codice n. 2197, conservato presso la Biblioteca Riccardiana di Firenze. 8 I della Gherardesca dalla seconda metà del 1400, ho trovato un di oltre dodici secoli di storia. Non credo ricco materiale documentale che meglio mi purtroppo di essere un tal genere di scrittore. ha permesso di «personalizzare» la seconda Nemmeno intendo spacciarmi per uno stori- parte di questo mio lavoro, rendendola, mi co particolarmente ferrato, poiché in pratica auguro, più digeribile per il lettore, ed indu- sono riuscito a sviluppare una mia ricerca au- cendolo così ad arrivare fino alla conclusione tonoma solo su pochissimi temi, mentre per il di questa lunga storia dei Gherardesca. resto ho attinto notizie da testi di studiosi più Comunque, a mia eventuale discolpa, in- di me qualificati, limitandomi a riordinarle al tendo sottolineare che tracciare in forma sin- fine di ricomporre, nella forma più organica tetica ed, al medesimo tempo, facilmente leg- possibile, il complesso mosaico della secolare gibile, le vicende di una famiglia così antica, vicenda della famiglia. rappresenta comunque un progetto ambizio- Voglia pertanto il lettore scusarmi se, con so per chicchessia. Avrei pertanto voluto es- prosa spesso poco fluida, lo tedierò come sere uno scrittore dalla penna scorrevole per scrittore e se, con qualche intuizione perso- rendere quanto meno pesante possibile que- nale, e quindi opinabile, rischierò d’ingannar- sto mio racconto, che si dipana lungo l’arco lo come storico. PARTE PRIMA Una grande casata guerriera del Medio Evo Abbreviazioni AAL = Archivio Arcivescovile di Lucca. AAP = Archivio Arcivescovile di Pisa. ACP = Archivio Capitolare di Pisa. AGV = Archivio Generale di Volterra. AF = Archivio della famiglia della Gherardesca. ASF = Archivio di Stato di Firenze. ASL = Archivio di Stato di Lucca. ASP = Archivio di Stato di Pisa. ASS = Archivio di Stato di Siena. CAPITOLO PRIMO

Le origini leggendarie e storiche della famiglia

Le radici lontane so del Predil e proveniendo dalla Pannonia, valicarono le Alpi orientali i Winnili, gente di I Della Gherardesca hanno sempre vanta- origine scandinava, ribattezzati «Longobar- to origini longobarde e su tale assunto non vi di» nel corso del loro prolungato peregrinare sono ragionevoli dubbi: oltre ad una ben ra- per le regioni germaniche dell’Europa cen- dicata tradizione familiare, la conferma pro- 1 trale. Questo loro nuovo appellativo derivava viene anche da un antico manoscritto , non- forse dalle lunghe alabarde (lang bard) che ché dall’avallo di qualificati storici. La fami- costituivano l’armamento tipico dei guerrieri glia però si richiama in particolare ad una di- di questo popolo, o piuttosto dalla stranezza scendenza da S. Walfredo, fondatore nel 754 della pettinatura dei loro uomini che porta- e primo abate del monastero di S. Pietro in vano la testa rasata nel bel mezzo e due lun- Palazzuolo presso Monteverdi, nell’odierna ghe trecce di capelli che ricadevano sulle go- provincia di Pisa. A sostegno di tale ipotesi te dando l’apparenza di fluenti barbe (lang non è dato peraltro produrre la prova inop- bärte). Condottiero di questa migrazione era pugnabile di documenti, ma è solo consenti- un capo di nome Alboino, figlio di re Adui- to richiamarsi a secolari memorie e ad alcuni no. riscontri territoriali che sarà mio compito evi- È possibile immaginare che quando i Lon- denziare con esposizione quanto più convin- gobardi, dopo aver scavalcato le montagne, si cente possibile. affacciarono sulle ridenti vallate friulane, ve- Infine si vorrebbe far discendere questo nissero pervasi da quella medesima inebrian- Walfredo da Ratcauso o Ratchait, figlio di te sensazione provata dagli Ebrei allorché, Pemmone, duca longobardo del Friuli. per la prima volta, si trovarono dinanzi alla Muovendo pertanto da una breve sintesi terra loro promessa da Dio. Se questa è una storica delle vicende di questo Ducato, cer- semplice illazione, un fatto certo è invece che cherò di rendere meno leggendarie queste Alboino intuì subito l’importanza strategica vantate discendenze; e per raggiungere l’in- di tali vallate quale via di accesso all’Italia tento, utilizzerò qualche indizio maturato da anche per altri popoli invasori che avessero intuizioni che, anche se saranno probabil- seguito le orme della sua gente e di conse- mente poco apprezzate da storici più ferrati guenza decise di presidiarle saldamente. Fu di chi scrive, hanno pur sempre una loro così che, eletto re dei Longobardi nell’anno fondatezza in quanto scaturite da ragiona- successivo e prima d’inoltrarsi ulteriormente menti logici. nella penisola italica, egli volle proteggersi le spalle lasciando nel Friuli, o Foro Julio come Le ascendenze leggendarie allora si chiamava questa regione, un forte contingente militare capeggiato da suo nipo- Attorno all’anno 568, attraversando il pas- te Gisulfo.

1 ASF, Carte del Comune di Volterra. Documento del 1008 in cui Gherardo 2°, conte di Frosini, professa formalmente la propria osservanza della legge longobarda. 12 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 13

Fu dunque questi il primo di una lunga se- un ordine che dovrebbe risultare basato sulla rie di duchi del Friuli 2 che, nell’ambito della cronologia delle loro nascite: Ratchis, Rat- massima gerarchia del proprio popolo, quella chait ed Aistulfus. ducale appunto, seconda solo all’autorità re- Di questi tre fratelli si conoscono bene le gia, conservarono sempre una posizione di vicende che riguardano Ratchis (o Rachis) ed particolare preminenza in relazione ai delicati Aistulfus (o Astolfo), i quali, l’uno dopo l’al- e fondamentali compiti loro affidati. Del resto tro, divennero prima duchi del Friuli e poi re Alboino aveva visto giusto poiché dal Friuli, dei Longobardi, mentre di Ratchait (o Rat- in seguito ed a più riprese, tentarono di pene- causo) le notizie che ci sono pervenute sono trare popolazioni di prevalente ceppo slavo, inspiegabilmente assai scarse. Di lui infatti il come gli Avari e gli Schiavoni, attratte an- Diacono solo narra che fu uno dei giovani co- ch’esse da quanto si andava magnificando cir- mites e che ebbe «vari figli maschi» con i qua- ca le ricchezze, le bellezze ed il clima tempe- li, in uno dei suoi scritti, il celebre storico di- rato dell’Italia. ce, senza peraltro citarne i nomi, di essere sta- A Gisulfo, morto proprio combattendo to una volta commensale alla corte di re Ra- contro gli Avari, subentrarono nel Ducato i fi- chis a Pavia 3. gli Tasso e Caco. Ma, dopo di essi, l’incarico Eugenio Stolfa, nel suo trattato su I duchi conservò carattere di nomina regia, e quindi longobardi del Foro Giulio, fidandosi dell’or- prettamente non ereditario, fino alle soglie dine adottato dal Diacono, considera Ratcau- del 700, allorquando fu fatto duca un certo so come il secondogenito e ne ipotizza la na- Corbulo, da cui procedette invece una vera e scita nel 705, intermedia a quelle di Rachis propria dinastia che detenne il potere in Friu- [702] e Astolfo [708]. li per i successivi ottant’anni circa [tav. 1]. Riguardo all’attendibilità di queste date Corbulo era un fedele amico di Liutpran- non ho trovato né conferme né smentite, ma do, re dei Longobardi, ma un giorno, tradito qualche cosa sembrerebbe non quadrare, poi- con false accuse dai suoi stessi baroni, fu dal ché Pemmone che, sempre secondo lo Stolfa, re medesimo fatto accecare e deposto dalla risulterebbe nato nel 660, sarebbe divenuto carica ducale. padre del suo primogenito Rachis a quaranta- Gli subentrò nel 705 il nipote Pemmone, due anni d’età ed a ben quarantotto dell’ulti- figlio di una sorella andata sposa ad un valo- mogenito Astolfo. Inoltre, come se non ba- roso guerriero di nome Billone, a sua volta di- stasse, sempre Pemmone sarebbe stato depo- scendente dalla famosa stirpe longobarda dei sto dall’incarico di duca nel 735, quando era Remona di Belluno. Di Pemmone parla diffu- ormai settantacinquenne. samente lo storico Paolo Diacono [720-799], Francamente tutto ciò appare alquanto a- che fu a suo tempo fra i giovani comites am- nomalo per un’epoca nella quale la vita media messi ad una sorta di accademia istituita da umana era generalmente assai breve ed in cui Pemmone stesso nella sua corte ducale, allo ci si sposava giovanissimi al punto che una scopo di forgiare i figli dei nobili longobardi, legge di re Liutprando considerava età valida sia addestrandoli alle armi, che preparandoli per il matrimonio i dodici anni per le femmi- alla responsabilità delle più alte cariche pub- ne ed i tredici per i maschi 4. bliche. Nella sua Storia dei Longobardi, il Dia- Ritornando a Ratcauso, è il caso di sottoli- cono ci racconta che Pemmone sposò Ratper- neare, una volta ancora, che egli praticamen- ga, donna assai brutta ma ricca di eccezionali te non ricompare più in alcun altro docu- doti di carattere, dalla quale ebbe tre «glorio- mento che citi fatti rilevanti della sua esisten- sissimi» figli che lo storico menziona secondo za; lo stesso Diacono, dopo averlo definito

2 E. STOLFA, I duchi longobardi del Foro Giulio, Edizione Saggi Storici, Venezia 1939, pp. 32-33. 3 A. MANCINI, La storia di Lucca, Pacini Fazzi, Lucca 1975, p. 19. 4 R. DAVIDSOHN, Storia di Firenze, Sansoni, Firenze 1978-81, vol. I, p. 99. 14 I della Gherardesca

«glorioso e valoroso», non ci giustifica la ra- l’attributo conferito dal Diacono ai giovani gione di tali attributi e mai più lo menziona longobardi che frequentarono l’istituzione nel corso della sua cronaca, nella quale inve- fondata nel Friuli dal duca Pemmone, è più ce accenna ripetutamente agli altri due figli tipico dell’ordinamento pubblico franco che di Pemmone, anche prima che essi ascenda- si affermò in Italia solo dopo la caduta del Re- no al trono. Ratcauso non è infatti citato co- gno longobardo. Il gastaldo o gasindo era un me presente a Pavia nemmeno quando Liut- funzionario regio che presidiava, per conto prando destituì Pemmone da duca del Friuli, del monarca, una città strategicamente impor- per aver egli ingiustificatamente imprigionato tante dove non risiedeva un duca; in essa il Callisto, patriarca di Aquileia. Per tale suo er- gastaldo esercitava veri e propri poteri ducali, rore, il duca fu sostituito nell’incarico dal fi- fra i quali, in primis, il comando militare. Fra glio Rachis, che, nella particolare circostanza, il re e il suo gastaldo esisteva un rapporto di dimostrò al suo sovrano la propria fedeltà, in- fiducia analogo a quello che in seguito le- tervenendo persino contro il fratello Astolfo gherà il comes carolingio al suo sovrano. La quando questi, per vendicare l’affronto arre- nomina di Ratcauso a gastaldo avvenne forse cato al padre, snudò la spada contro Liut- in concomitanza con la definitiva conquista di prando stesso. Pisa da parte dei Longobardi. Ma dove era dunque Ratcauso nel momen- Vari studiosi, come ad esempio Mario A- to in cui gli altri figli di Pemmone erano con il scari nel suo trattato su La Corsica nell’anti- padre a Pavia? Era forse morto? Non sem- chità, collocano tale conquista attorno al 725, brerebbe proprio, poiché il Muratori colloca data dalla quale si può anche far decorrere la sua scomparsa attorno al 754, due anni do- l’annessione dell’isola corsa al Regno longo- po cioè che egli era divenuto duca del Friuli, bardo6. È infatti da ricordare che la Corsica, preceduto in tale carica, come abbiamo visto, come del resto Pisa e tutto il litorale toscano, non solo dal fratello maggiore Rachis nel 735, fino a quel momento era rimasta sotto il con- ma, con inspiegabile sovvertimento di ogni trollo dei bizantini e che solo quando l’argina- normale scala successoria, anche da quello mi- mento dell’avanzata saracena assunse caratte- nore Astolfo nel 744. Da tale anomalia sem- re prioritario, i Longobardi, che inizialmente brerebbe quasi potersi dedurre che, in quel si erano limitati alla conquista ed al controllo 744, Ratcauso si trovasse assente dal Friuli; ciò dell’entroterra, decisero di assicurarsi anche potrebbe avallare l’ipotesi di alcuni studiosi, i le coste e le isole maggiori, in precisa funzio- quali sostengono che, per le sue doti di corag- ne antisaracena. È quindi senz’altro possibile gio e le sue capacità di comando, re Liutpran- che a Pisa, sulla quale il duca longobardo in- do avesse a lui affidato, sin da giovanissimo, sediato a Lucca non aveva alcuna giurisdizio- un prestigioso incarico militare in altra parte ne, venisse nominato un gastaldo civitatis con della penisola. Qualcuno anzi identifica tale la precipua incombenza di gestire le operazio- incarico con quello di gastaldo o comes 5 a Pi- ni guerresche che avrebbero appunto avuto la sa, con specifici compiti miranti al conteni- loro base di partenza in Pisa e nel suo porto mento delle scorrerie che i Saraceni andavano naturale in foce d’Arno. intensificando in quell’epoca sia in Corsica A questo punto vale la pena di aprire una che lungo tutte le coste della Tuscia. parentesi per sottolineare che, fino ad allora, È probabile che Ratcauso sia stato nomina- Pisa era stata ignorata dai popoli germanici to «gastaldo civitatis», poiché il titolo di co- che, in più ondate, avevano invaso l’Italia. mes, anche se in qualche modo riecheggia Questi popoli ben poco infatti sapevano di

5 A. FALCE, La formazione della Marca di Tuscia, Fiorentina, Firenze 1930, p. 23. Vi si legge: «poiché gli ultimi re, da Liutprando a Desiderio, miravano costantemente a sostituire i duchi ereditari ed indipendenti con gastaldi elettivi forniti di giurisdizione, cioè con una specie di conti fedeli in tutto e per tutto alla corte di Pavia». 6 Anche A. SOLMI, La Corsica, Edizioni Tyrrhenia, Milano 1925, e P. ARRIGHI, Histoire de la Corse, Puf, Paris 1969, con- fermano tale ipotesi. Una grande casata guerriera del Medio Evo 15 mare, di arte nautica e di navi in genere, e babile che, nello spazio di soli quarantanove quindi si erano sempre limitati al controllo anni, quanti ne intercorrono dal 705 al 754, dei territori più interni, lasciando in potere Walfredo, nato da Ratcauso, abbia a sua volta dei bizantini tutte o quasi le coste con i relati- potuto procreare figli già in età da potersi far vi approdi portuali. Fu dunque proprio dai monaci, così come ci segnala l’atto di fonda- bizantini che ai pisani venne inculcata quella zione del monastero di S. Pietro in Palazzuolo cultura marinara e mercantile che in seguito [figg. 1-2]. Non rimane quindi che immagina- caratterizzò Pisa rispetto alle altre città tosca- re, per Ratcauso e per i due suoi fratelli, date ne, rappresentando la probabile origine stori- di nascita un poco anteriori a quelle indicate ca di quella diversità socio-economico-politi- dallo Stolfa, il che del resto meglio sistemereb- ca che nel Medio Evo la contraddistinse dagli be anche il rapporto generazionale fra Pem- altri Comuni del retroterra. mone ed i suoi figli. Resta comunque accerta- Chiusa la parentesi, torniamo a Ratcauso. to che il longobardo Walfredo fu un notabile Questi, dall’incarico ricevuto, se mai lo rice- della sua epoca7, anche se di questo personag- vette, trasse un interesse di tale rilevanza da gio, che si vorrebbe far discendere dai duchi indurlo a mantenersi lontano dalla pur presti- del Friuli e che i Gherardesca vanterebbero giosa corte del Ducato friulano e da consi- fra i propri progenitori, si conoscono solo al- gliarlo a non concorrerne alla successione, al cune notizie ricavate da due soli documenti: momento in cui suo fratello maggiore Rachis, l’atto di fondazione del monastero di S. Pietro dopo la morte di Liutprando, venne eletto re in Palazzuolo8 e la Vita di S. Walfredo9 redatta dei Longobardi lasciando vacante la sede du- da Andrea, terzo abate del convento medesi- cale. Quanto esposto è una pura congettura, mo, nonché nipote del Santo in quanto figlio non suffragata da documenti, ma è indubbio del di lui cognato, il lucchese Gunvaldo. che misteriosa rimane l’esistenza di questo e- Analizziamo pertanto con la massima meti- minente personaggio longobardo i cui figli e- colosità questi due preziosi manoscritti, onde rano così considerati da poter frequentare la spremerne tutto quanto possa aiutarci ad in- corte regia di Pavia malgrado che loro padre dividuare l’ascendenza e la discendenza di non risultasse depositario di alcun potere, né Walfredo. Iniziamo dunque dall’atto di fon- tanto meno figurasse di aver realizzato alcun- dazione del monastero che venne redatto il 6 ché di notevole nel corso della propria vita. luglio 754, essendo re dei Longobardi Astolfo D’altro canto anche la presunta data di morte [Appendice, doc. 1]. di Ratcauso nel 754 circa non ci aiuta, se non La prima notizia che vi si raccoglie è che il a rilevare che precedette sia quella di Astolfo, fondatore era figlio di un Ratcauso, cittadino morto nel 756 cadendo accidentalmente da pisano («filio quodam Ratcausi civis pisane»). cavallo, che quella di Rachis, spirato invece di Ma di quale Ratcauso si tratta? E perché la morte naturale attorno al 763, quando era mo- formula «filio quodam Ratcausi» è così spo- naco benedettino a Montecassino. glia da qualsiasi riferimento ad eventuali qua- Per consentire a questo punto una discen- lifiche o cariche ricoperte da Ratcauso stesso denza di Walfredo da questo Ratcauso, senza che, purtuttavia, doveva essere un personag- dover ricorrere a forzature poco plausibili, sa- gio eminente se, come vedremo, era riuscito a rebbe necessario disporre di un arco di tem- trasmettere al figlio domini territoriali di va- po più ampio di quello che ci verrebbe con- stità tale da estendersi, nel loro insieme, su di cesso se effettivamente Ratcauso di Pemmone un territorio grande come un Regno? Ebbene fosse nato nel 705. È infatti piuttosto impro- tale formula era semplicemente una fra quelle

7 G. VOLPE, Toscana medievale: Massa Marittima, Volterra, Sarzana, Sansoni, Firenze 1964. Viene ipotizzato che Walfre- do fosse della famiglia dei duchi di Lucca. 8 ASS, Carte del Comune di Massa Marittima. 9 Biblioteca della città di Trier (Treviri), Carte del monastero di S. Eucarius-Passionale di S. Massimino, Manoscritto (Hs) 1151/453, vol. I, fal. 37/40, Vita di S. Walfridi (Abate di Tuscia), BHL 8792. 16 I della Gherardesca

I ruderi del monastero di S. Pietro in Palazzuolo a Monteverdi [fig. 1] Una grande casata guerriera del Medio Evo 17

I ruderi del monastero di S. Pietro in Palazzuolo a Monteverdi [fig. 2] 18 I della Gherardesca in uso da parte dei notai dell’epoca, ed anche le la pena di segnalare che la moglie di Rachis re Astolfo, in un documento del 75110, viene era una nobile romana chiamata Tassia, omo- menzionato come «filio quodam Pemone» nimo al femminile di Tasso. Ricordiamo inol- senza cenno alcuno alla carica ducale a suo tre che Rachis di Pemmone divenne duca del tempo ricoperta dal padre. Non ci si stupisca Friuli nel 735 ed è quindi in omaggio ad uno dunque di questa prima parte del documento zio duca ed a sua moglie che Walfredo bat- che riguarda Walfredo, la cui figliolanza da tezzò con i loro nomi due dei suoi figli, che, un Ratcauso puro e semplice non esclude as- pertanto, quando con lui si fecero monaci, solutamente un’ascendenza di maggior cara- potevano già avere la più ragionevole età di tura11. D’altra parte, pur ponendo ancora una diciotto o diciannove anni. Del quarto figlio volta in debito rilievo le difficoltà prima se- Gunfredo non è invece ipotizzabile l’origine gnalate a riguardo dello spazio temporale, ul- del nome, che potrebbe forse derivare da teriori elementi, contenuti nel manoscritto in qualche avo materno; di lui, che sarà il secon- esame, militerebbero a favore di una stretta do abate di S. Pietro in Palazzuolo, avrò mo- parentela fra Walfredo e i duchi del Friuli. do di riparlare in seguito, sottolineandone la Esaminiamo, ad esempio, i nomi dei quat- particolare considerazione di cui fu fatto se- tro figli che con lui entrarono in convento: gno sia da parte di papa Adriano I che da Benedetto, Rachis, Tasso e Gunfredo. Il pri- Carlo Magno, re dei Franchi. mo di loro potrebbe essere stato così battez- Del resto anche Walfredo aveva dato mo- zato in ossequio a S. Benedetto, al quale era- stra di quale grado d’indipendenza e di pre- no devotissimi gli ultimi duchi del Friuli e per stigio godesse, sottraendo il proprio monaste- il cui ordine monastico, prima Pemmone, e ro alla protezione di chicchessia e conferen- poi tutti i suoi tre figli ed infine il «presunto» dogli una precisa autonomia sia nei confronti nipote Walfredo, fondarono numerosi con- della pur potentissima Diocesi di Lucca, nella venti dotandoli di cospicue donazioni di loro cui giurisdizione ricadeva il convento, sia nei beni. Diverso è il discorso per i nomi Rachis e riguardi delle confinanti Diocesi di Populonia Tasso. Si potrebbe immaginare in prima istan- e Volterra12. za che Rachis derivasse il suo nominativo per Proseguendo ora nell’analisi del mano- un omaggio all’omonimo re dei Longobardi, scritto in esame, non si può non rimanere at- ma occorre allora evidenziare che Rachis, di toniti nello scorrere l’interminabile elenco Pemmone, non doveva ancora essere stato in- dei beni che Walfredo assegna al suo mona- coronato quando nacque questo figlio di Wal- stero. La prima considerazione, che scaturi- fredo che ne ripeteva il nome. Rachis ascese sce da tale lettura, è che Walfredo doveva infatti al trono nel 744 e non è pertanto pen- provenire da una famiglia così potente e fa- sabile che Walfredo traesse con sé in conven- coltosa da poter controllare possedimenti to un bambino di soli nove o al massimo dieci disseminati non solo in tutto il vastissimo ter- anni. Cadrebbe così l’ipotesi che il nome fos- ritorio del Ducato di Lucca13, ma addirittura se stato scelto in onore di un sovrano che non ubicati anche in Corsica dove per l’appunto poteva ancora essere tale. A questo punto va- avevano tentato d’insediarsi quei Saraceni

10 L. SCHIAPPARELLI-C. BRUHL, Codice diplomatico longobardo, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1929, vol. III, p. 120. 11 F. BRUNETTI, Codice diplomatico toscano, Pagani, Firenze 1806-33, vol. I, parte I, p. 227. Si asserisce che Ratcauso era un nobile pisano. 12 Nell’atto di fondazione del monastero di S. Pietro in Palazzuolo si legge: «ut nullus Episcoporum aut Judicum ibi per- veniat imperio, neque aliquis de filiis vel heredum meorum typo superbie inflati». 13 FALCE, op. cit., p. 49. Così viene delimitato il territorio del Ducato di Lucca: «Il Ducato di Lucca comprendeva adun- que tutta la Garfagnana, poi scendendo la valle del Serchio […], abbracciava tutta la Val di Nievole […] e toccava l’estremo limite orientale di S. Miniato. A questo punto il Ducato lucchese si abbassava a sud ovest e toccando Capannoli comprendeva Appiano, Ponsacco, , Fauglia, Termoleto, Trippole, […] Gello, Montalto, Palazzuolo, Monteverdi, Gualdo di Popu- lonia, Rocciano presso Soana, Tufo, Cornino e si spingeva verso nel grossetano, estremo limite meridionale». Una grande casata guerriera del Medio Evo 19 contro i quali si suppone che Liutprando a- sia vera e propria, ma anche nelle Marem- vesse inviato a combattere Ratcauso. me17 e più precisamente nei distretti di Soa- Sempre dal documento che stiamo esami- na, Roselle, Massa Marittima e Populonia, nando, lo stesso Walfredo ci fa intuire una nei quali pure ricadevano i beni che Walfre- sua passata presenza nell’isola dove dichiara do assegnò al monastero da lui fondato e, ai di essere patrono del monastero di S. Pietro fini della tesi che andrò a sostenere per cer- in Accio od Accia, le cui rovine sono tutt’og- care di dimostrare la discendenza dei Ghe- gi visibili in una zona interna, a sud-ovest di rardesca dal Santo, nei quali soprattutto rien- Bastia. Non è pertanto da escludere che egli treranno, due secoli e mezzo dopo, quelli che abbia anche partecipato a qualche azione Gherardo 2°, conte di Frosini e progenitore guerresca in Corsica, in analogia a quanto, storico della casata comitale, donerà al mona- nei medesimi anni, fece il vescovo di Lucca, stero di S. Maria di Serena che egli fondò nel Walprando, che la storia ricorda come segua- 1004 [Appendice, docc. 2-3]. ce in guerra di re Astolfo e che, prima di par- Fino a questo punto ho cercato d’indivi- tecipare ad una spedizione militare, fece re- duare tutto quanto possa ricollegare Walfre- digere il proprio testamento, giunto sino a do a Ratcauso del Friuli (ed in seguito scopri- noi, con cui, nel caso di morte in guerra, la- remo altri interessanti indizi); ora indagherò sciava la gran parte dei propri domini ai suoi su ciò che possa comprovare una sua apparte- due fratelli, Perprando14 e Pertinfunso15. In nenza alla genealogia dei Gherardesca. In as- tale manoscritto16, Walprando lasciò anche senza d’inoppugnabili documenti che ricolle- «parte de pecunia nostra in Corsica»; è cu- ghino Walfredo agli antenati storici di questa rioso far rilevare che pure Walfredo donò al famiglia, non mi resta che affidarmi, per que- suo monastero «portionem meam de pecunia sta ricerca, ad una scrupolosa analisi di alcuni nostra in insula Corsica», adottando una for- dati di carattere territoriale da cui si possono mulazione del tutto analoga a quella usata trarre convincenti riscontri logici a sostegno dal vescovo longobardo di Lucca, suo con- della mia tesi. A tale specifico scopo appare temporaneo. Altro elemento di contatto fra i di determinante interesse quanto riporta l’at- due, è il monastero lucchese di S. Frediano to di fondazione del monastero di S. Maria di che Walprando, nel suo testamento, beneficò Serena sito presso Chiusdino, nell’antico di- con un generoso lascito e che Walfredo col- stretto volterrano. In questo manoscritto si locò fra gli arbitri che avrebbero dovuto in- legge infatti che il conte Gherardo 2° dotò il tervenire, se mai si fossero registrate diffi- convento di propri beni sparsi nei territori di coltà nella nomina di un abate per il mona- «Volterra, Lucca, Populonia, Roselle e persi- stero di S. Pietro in Palazzuolo. Ultimo ele- no Orvieto». Orbene, come è possibile verifi- mento infine che accomuna il vescovo e il care, questa delimitazione territoriale è quasi santo abate è quello della dislocazione dei ri- esattamente circoscritta dalle donazioni fatte, spettivi domini. Walprando aveva infatti ere- duecentocinquanta anni prima, da Walfredo ditato dal padre Walperto, duca di Lucca, al suo convento, nell’evidente intento di sal- immensi possedimenti non solo nella lucche- vaguardare il complesso patrimoniale della

14 A. MURATORI, Antichità del Medio Evo, vol. III. Perprando era signore del castello di Rosignano, così come del resto conferma il doc. 13 riportato da N. CATUREGLI, Regesto della Chiesa di Pisa, Istituto Storico Italiano, Roma 1938. Secondo quanto poi dice E. REPETTI, Dizionario geografico fisico storico della Toscana, Tip. A. Tofani e G. Mazzoni, Firenze 1833-45, vol. IV, p. 824, i Gherardesca attorno al 1000 avevano possedimenti in territorio di Rosignano. SCHIAPPARELLI, op. cit., doc. 28 dell’anno 720, riporta che questo Perprando, a somiglianza di Walfredo, era titolare di una arimannia situata presso Ari- na, ed inoltre, come Walfredo, era devoto a S. Pietro. 15 B. ANDREOLLI, Uomini del Medio Evo: studi sulla società lucchese dei secoli VIII-XI, Pàtron, Bologna 1983, vol. I, p. 21. Vi si asserisce che Pertinfunso fu comes. 16 AAL, doc. 47. 17 D. BARSOCCHINI, Sulle cause che nel Medio Evo produssero la divisione dei domini in minute parti in Toscana, Giusti, Lucca 1857. 20 I della Gherardesca propria casata, così come del resto fecero altri l’abate Andrea nella sua Vita di S. Walfredo, notabili longobardi nel medesimo periodo nella quale ci parla di un quinto figlio del storico. Santo dicendoci che questi si chiamava Rat- Non voglio tediare il lettore elencando causo (come il nonno) e che era il primogeni- dettagliatamente in queste righe tali donazio- to. D’ora in poi, per non confondere fra loro ni e procedendo poi al loro accostamento questi due omonimi, cosa che è accaduta in con i domini Gherardesca, così come risulta- passato ad opera di alcuni studiosi, io li citerò no dai documenti dell’Alto Medio Evo. Rin- come Ratcauso 1° (il nonno) e Ratcauso 2° (il vierò pertanto chi sia particolarmente inte- nipote). ressato ad approfondire questa ricerca fonda- Prima di procedere oltre, desidero sottoli- mentale, a consultare gli inserti 1 e 2 con la neare che la scoperta di questo Ratcauso 2° relativa cartina geografica illustrativa che ho mi risulta del tutto inedita; nel corso dei miei collocato nell’Appendice a fine testo. Sono studi non ho infatti trovato alcun altro storico convinto che il mio accurato raffronto e le che ne abbia fatto menzione, anche se negli considerazioni che ne possono scaturire, co- Annali Camaldolesi si riporta che Walfredo stituiscono un indizio più che sufficiente a ebbe «cinque» figli maschi. Inoltre, che Rat- dimostrare una volta per sempre che Walfre- causo 2° si sia conservato allo stato laicale, ce do fu un ascendente dell’antica casata comi- lo conferma appunto l’atto di fondazione del tale. monastero nel quale per ben due volte sono A sostegno di una tesi contraria ad una di- citati con chiarezza i suoi quattro fratelli fatti- scendenza dei Gherardesca da S. Walfredo, vi si monaci, senza mai includerlo fra di essi. è chi fa rilevare: Non si deve poi dimenticare che Paolo Dia- – che Walfredo non ebbe in pratica di- cono parlò di «figli» di Ratcauso 1° e quindi scendenza, poiché tutti i suoi figli si fecero di «fratelli» di Walfredo, sempreché venga ac- monaci con lui; cettata la discendenza di quest’ultimo dai du- – che il culto di S. Walfredo è stato prati- chi del Friuli. È comunque un dato di fatto cato dai Gherardesca solo ad iniziare dal XIX che Walfredo, nell’elencare le sue donazioni secolo e cioè da quando papa Pio IX lo auto- al convento, precisa sempre che trattasi di rizzò su istanza del cardinale Cosimo Corsi, «portionem meam», lasciando con ciò inten- arcivescovo di Pisa, il quale, aggiungo io, sol- dere che altri familiari possedessero con lui la lecitando detta autorizzazione, poteva anche parte residuale del tutto, così come del resto perseguire un interesse familiare in quanto fi- prevedeva la legge longobarda in materia di glio di una Gherardesca; patrimonio parentale, argomento che illu- – che il nome di Walfredo non compare strerò più avanti. La continuità della schiatta mai nella più antica genealogia della famiglia può pertanto essere stata assicurata sia da comitale, ma compare invece, per la prima Ratcauso 2° come pure da altri consaguinei di volta, nel 1800 per i motivi di cui al punto Walfredo che con lui risultavano comproprie- precedente. tari dei possedimenti donati parzialmente al Esaminiamo dunque la fondatezza o meno monastero. di queste tre contestazioni. Per quanto riguarda poi il culto del Santo, Walfredo intanto non dice che tutti i suoi posso senz’altro contestare che esso sia stato figli entrarono con lui in convento, ma accen- praticato dai Gherardesca solo ad iniziare na anzi ripetutamente a propri eredi che egli dalla seconda metà del XIX secolo, poiché, diffida dall’agire in sfavore delle sue elargizio- ad esempio, è comprovato che già nelle prime ni al monastero; parrebbe quanto meno scon- decadi del XVII secolo, Cosimo della Ghe- certante che tale monito fosse diretto proprio rardesca, vescovo di Colle Val d’Elsa, nel ri- a coloro che con lui avevano abbracciato la strutturare il duomo di quella cittadina, da vita claustrale. Per quanto riguarda uno alme- pochi anni elevata a sede di diocesi, vi consa- no di tali eredi, ci viene in determinante aiuto crò una cappella dedicata a S. Walfredo. Una grande casata guerriera del Medio Evo 21

Nell’archivio della famiglia comitale, oggi de- desca, che, nel farsi monaca, volle essere chia- positato presso l’Archivio di Stato di Firenze, mata Suor Gherardesca. ho inoltre trovato che nel 1748 fu fatto acqui- Al contrario, nella più antica genealogia sto di un’antica medaglia di bronzo raffigu- della casata ci si imbatte continuamente in rante Walfredo e sua moglie e che due anni nomi di antenati distintisi nell’arte della guer- prima erano stati finanziati alcuni scavi, fra le ra o del governo della cosa pubblica, come rovine del convento di Palazzuolo, tesi alla ri- quelli di Gherardo (o il suo abbreviativo cerca del corpo o quanto meno della tomba Gaddo), di Tedice, di Guelfo, di Ranieri, di del Santo18. L’attribuzione di S. Walfredo al- Bonifazio e di Ugolino (con l’abbreviativo U- l’ascendenza dei Gherardesca si trova anche go e gli accrescitivi Ugone ed Uguccione). Per riportata in trattati storici del Settecento e meglio comprendere il tutto, ritengo ci si prima ancora; fra di essi, ad esempio, l’Histo- debba ricalare nelle due diverse realtà stori- ria ecclesia pisana di Anton Felice Mattei (to- che vissute dalla schiatta, e cioè quella ghibel- mo I, p. 130). È indubbio quindi che il culto lino-pisana fino alla fine del XIV secolo e familiare per il presunto capostipite, risale ad quella guelfo-fiorentina che i Gherardesca si assai prima della data della sua formale eleva- trovarono ad affrontare dopo la loro pace con zione alla gloria degli altari. Firenze nel 1405. Rimane infine da giustificare la quasi totale Fino a quando la famiglia comitale si mosse assenza del nome Walfredo nella genealogia all’interno della prima delle due realtà, ebbe più antica dei Gherardesca. Ho detto quasi, certo più interesse a vantare quei propri per- poiché in realtà un Walfredo s’individua at- sonaggi che bene avevano operato al servizio torno al 112619 ma debbo sottolineare che, dell’Impero e del comune ghibellino di Pisa. nel corso dei primi secoli della loro storia, i Poi, quando dopo il 1405, i Gherardesca si Gherardesca furono di accanito orientamento trovarono a doversi confrontare con le grandi ghibellino, poco incline dunque all’ecclesiasti- famiglie mercantili fiorentine, che certo non co, anche se, in una casata così antica, non so- contavano molti importanti guerrieri fra i loro no ovviamente mancati alcuni alti prelati della non troppo antichi ascendenti e che, essendo Chiesa e, frammisto ad una maggioranza di di orientamenti guelfi, tenevano piuttosto a guerrieri e uomini di governo, qualche perso- vantare successi conseguiti nell’ambito della naggio che si dedicò alla vita spirituale e morì Chiesa, anche i Gherardesca cominciarono a in odore di santità. Anche il nome di Wido o rispolverare i loro ascendenti santi o quasi. Guido, portato da un antenato dei Gherarde- Del resto, il ripetersi o lo scomparire di de- sca vissuto nel XII secolo e beatificato nel terminati appellativi in una famiglia è sempre 1459, scomparve dopo di lui quasi del tutto stato condizionato da opportunità politiche nella genealogia discendente della famiglia, contingenti che hanno consigliato o sconsi- mentre vi era apparso con grande frequenza gliato l’uso dell’uno o dell’altro nominativo in nella sua parte ascendente. Lo stesso fatto av- particolari momenti storici. Ad esempio il no- venne anche nel caso della beata Gherardesca me di Ugolino, bollato da Dante come tradi- della Gherardesca, il cui nome, prima di lei tore, scompare quasi per due secoli dalla ge- portato da una delle figlie del dantesco Ugoli- nealogia della famiglia per poi ricomparirvi, no, dopo la morte della Santa ricomparirà so- dopo la pace con Firenze, nella meno com- lo una volta ancora per battezzare una nipoti- promettente versione abbreviata di Ugo. An- na della stessa e nel 1637 verrà riesumato da che in tempi assai più remoti abbiamo visto Anna, figlia del conte Ippolito della Gherar- che il nome di Pemmone, duca del Friuli, non

18 Nel 1781 furono poi eseguiti altri scavi che sono descritti da G. CACIAGLI, Pisa, Colombo Cursi Editore, Pisa 1970, Istituto Storico delle Provincie d’Italia, vol. II, pp. 606-608. Tali scavi portarono alla luce tre scheletri dei quali uno, il me- glio conservato, fu rinvenuto con il cranio appoggiato ad un mattone con su incisa la parola «Santo». 19 MURATORI, op. cit., vol. III. Vi è riportato un documento che riguarda Walfredo, di Enrico conte di Donoratico, che vende alla Mensa di Pisa una parte del castello di Lavaiano. Anche CATUREGLI, op. cit., docc. 218 e 317. 22 I della Gherardesca venne nemmeno usato per battezzare i suoi costituita una famiglia assicurandosi una di- nipoti. A tale proposito non si deve infatti di- scendenza; a quanto narra l’abate Andrea, al- menticare che, durante il Regno longobardo, meno uno di essi, Gunfredo, ad un determi- forse non era opportuno ricordare un duca nato momento, lo fece, fuggendo dal conven- caduto in disgrazia, mentre dopo, al tempo to dove, però, nolente o volente, venne presto della dominazione franca, era altrettanto i- ricondotto. nopportuno insistere con appellativi longo- Ma torniamo a trattare ora di Ratcauso 2°, bardi che potevano suonare come nostalgici o figlio primogenito di Walfredo, il quale meri- peggio ancora come revanscisti. ta un particolare cenno, poiché della sua vita Nella genealogia antica dei Gherardesca ho potuto formulare una ricostruzione so- troviamo peraltro un Pepone, menzionato in stanzialmente innovativa riguardo agli avveni- un documento del 1133, che ha una singolare menti intervenuti in Italia nei primi anni del assonanza con il nome del duca del Friuli e Regno franco. Cominciamo innazi tutto con il più tardi s’individuano due membri della fa- ricordare che suo nonno, Ratcauso 1°, aveva miglia che si chiamarono Ramone o Rainone, presumibilmente abbandonato il Friuli poco risvegliando nella memoria la presunta origi- più o poco meno che ventenne, per assolvere naria discendenza dalla schiatta longobarda ai compiti affidatigli dal suo re e che, assorbi- dei Remona, progenitori di Pemmone. to in tale incarico, per molti anni non aveva Dunque le tre contestazioni mosse all’ipo- più partecipato alle vicende del suo Ducato tetica e vantata discendenza da Walfredo, non d’origine. È possibile che per i meriti da lui sono di spessore tale da annullare gli indizi fa- acquisiti nell’espletamento delle sue mansio- vorevoli da me raccolti. È soprattutto quella ni, prima re Liutprando e poi i di lui succes- di una mancata discendenza dal Santo che ri- sori, che, fra l’altro, erano fratelli di Ratcauso sulta la più inconsistente, considerato quanto stesso, lo abbiano ricompensato, donandogli ho potuto appurare dal manoscritto dell’aba- un ingente patrimonio fondiario ricavato di- te Andrea. Del resto nemmeno può escludersi rettamente dai possedimenti (o gualdi) che la che i figli di Walfredo, con lui entrati in con- corona aveva conquistati lungo il litorale della vento, non abbiano alternato periodi di vita Tuscia, all’atto della cacciata dei bizantini da laica a quella religiosa, come era abituale a detto territorio. È anche probabile che Rat- quei tempi nei quali i familiari, che seguivano causo 1° sia inoltre riuscito ad assicurarsi del- in monastero il fondatore del medesimo, non le consistenti quote delle arimannie 20 che fu- erano nemmeno tenuti a pronunciare i voti di rono impiantate presso Pisa dai sovrani lon- castità monacale. gobardi. Di un’alternanza del genere ci fornisce pro- Secondo il Muratori, Ratcauso 1° ricom- va proprio re Rachis, che prima lasciò il trono parve nel Friuli solamente attorno al 752: al fratello Astolfo e si ritirò a vita claustrale a quando, lasciata, probabilmente ad uno dei Montecassino, poi, alla morte di Astolfo, uscì suoi figli o ad altro suo consanguineo, la cari- nuovamente dal monastero per tentare la ri- ca di gastaldo di Pisa 21, assunse l’incombenza conquista dello scettro regale in concorrenza ducale che da tempo gli sarebbe spettata e con Desiderio. Fallito però questo progetto, che conservò fino al 754, allorché, contempo- Rachis tornò a fare il monaco benedettino. raneamente e quasi come per intesa con Wal- Anche i figli di S. Walfredo potrebbero dun- fredo, egli si ritirò a vita monastica, in non ca- que aver abbandonato S. Pietro in Palazzuolo suale concomitanza con gli avvenimenti legati per alcuni periodi di tempo ed essersi magari alla prima discesa in Italia dei Franchi, guida-

20 Le arimannie erano terre donate dal re ai guerrieri longobardi più meritevoli, e ciò a titolo definitivo e con possibilità di trasmissione ereditaria. 21 A. CIANELLI, Documenti del Ducato di Lucca, R. Accademia di Lucca, Lucca 1813-80, vol. I, p. 49. Vi si legge che, al tempo di Liutprando, gastaldo di Pisa era Tagipertum (Tachiperto). Una grande casata guerriera del Medio Evo 23 ti dal loro re Pipino, detto il Breve. La dina- quale aveva contrastato l’ascesa al trono di stia di Pemmone non s’interruppe tuttavia in Desiderio, nemico giurato di re Carlo stesso. Friuli, poiché il Ducato passò nelle mani di È opportuno ricordare, a questo proposito, un cugino di Ratcauso 1° di nome Pietro. Ri- che alla Dieta Longobarda, convocata in To- guardo alla morte di Ratcauso 1° non abbia- scana per scegliere il successore di Astolfo, mo notizie certe, ma sempre il Muratori ipo- Pisa, della quale doveva essere gastaldo un tizza che egli sia deceduto poco dopo essersi parente del sovrano deceduto, votò a favore ritirato dalla vita pubblica. di Rachis 25. Ma ecco che compare ora alla ribalta il ni- È anche noto che, nei primi anni dopo la pote Ratcauso 2°, ingenerando, a causa della conquista dell’Italia, i Franchi evitarono di sua omonimia con il nonno, non poca confu- sconvolgere il tessuto organizzativo dei Lon- sione fra alcuni pur autorevoli storici, fra i gobardi e preferirono lasciare ai posti di co- quali in particolare il Pizzetti, il Cianelli ed il mando quei loro capi che avevano dimostrato Falce22; essi, ignorando l’esistenza del nipote, una certa lealtà nei confronti dei nuovi padro- seguitano infatti ad attribuire erroneamente ni del Regno italico. Da alcuni documenti è all’avo alcuni eventi che illustreremo in segui- anzi riportato che Ratcauso 2° (e non già Rat- to. È anche possibile che, per un certo tempo, causo 1° che a quell’epoca risultava già morto Ratcauso 2° abbia pure lui ricoperto l’incari- da dieci anni) rimase alla guida del Ducato co di gastaldo, ma egli, come la storia ci con- friulano per diretta riconferma di re Carlo26; ferma, nutrì ambizioni che andavano ben ol- il quale con ciò forse intese ricompensare tre questa pur prestigiosa incombenza. l’aiuto prestatogli da questo notabile longo- Occorre altresì segnalare che, secondo al- bardo nel corso della guerra contro Deside- cune fonti storiche, quando nel 754 Walfredo rio, che, come noto, si concluse con la resa di fondò il suo monastero, era forse già duca di quest’ultimo nel giugno del 764. Lucca, o stava per diventarlo, Tachiperto23, È dunque dopo il consolidamento del suo pure lui «filio Ratcausi de Pisa» e quindi con incarico ducale che Ratcauso 2°, approfittan- buone probabilità, fratello dello stesso Wal- do della lontanaza dall’Italia di re Carlo, im- fredo e zio di Ratcauso 2° 24. Non meraviglie- pegnato in una spedizione contro i Sassoni, rebbe daltronde che, ancora regnante Astol- reputò di essere ormai abbastanza potente da fo, se ne trovino i parenti più stretti alla gui- tentare la scalata ad un rinascente trono lon- da d’importanti ducati come quello di Luc- gobardo, che già era stato appannaggio dei ca, con Tachiperto, e quello del Friuli, con suoi familiari 27. Fingendosi partigiano di una Ratcauso 1°. Più tardi, quando, per la secon- restaurazione di Adelchi, sfortunato figlio di da volta i Franchi intervennero in Italia, gui- Desiderio, che si trovava esule a Bisanzio, dati questa volta dal loro re Carlo (futuro Ratcauso 2° si alleò allora con Rengimbaldo Carlo Magno), non è nemmeno improbabile duca di Chiusi, con Ildebrando duca di Spo- che abbiano reputato affidabile questa schiat- leto e con Arechi duca di Benevento, tutti, ta longobarda, imparentata con re Rachis, il come lui, longobardi che re Carlo aveva rite-

22 Questi tre eminenti storici, ignorando l’esistenza di un nipote omonimo di Ratcauso, padre di Walfredo, identificarono il nonno con quel duca del Friuli che fu sconfitto ed ucciso dai Franchi nella battaglia dell’anno 776. Essi non si erano però resi conto che, a quel tempo, Ratcauso 1°, ipoteticamente nato nel 705, e forse addirittura prima, aveva già superato la settantina e non era pertanto più idoneo né a combattere in guerra né a coltivare ambizioni di una riconquista del trono longobardo. 23 S. GASPARRI, I duchi longobardi, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1978, p. 62. Vi si segnala che un do- cumento lucchese del 773 nomina «Tachipert dux». Si tratta sicuramente del duca di Lucca [AAL, doc. 95]. Nella nota 90 dell’opera citata, si precisa che il periodo del Ducato di Tachiperto potrebbe iniziare, al massimo, dal 754, e quindi proprio all’epoca in cui Walfredo fondò il suo monastero. 24 P.P. PIZZETTI, Antichità toscane, Rossi, Siena 1778-82, vol. I, p. 147 [albero genealogico], e vol. II, p. 276. Walfredo e Tachiperto sono considerati fratelli. 25 Ivi, vol. I, p. 292. 26 EGINARDO, Vita Karoli Imperatoris, a cura di G. Bianchi, Salerno, Roma 1980, p. 50. 27 S. ABEL-B. SIMSON, Jahrbücher des Fränkischen Reiches unter Karl dem Grosse, Duncker und Humblot, Leipzig 1883. 24 I della Gherardesca nuto di non dover rimuovere dai rispettivi o- gio e non già Ratcauso 1°, come erroneamen- riginari incarichi. All’inizio egli certo fece an- te scritto dal Pizzetti, il quale non tenne in de- che affidamento sul legame di sangue con Ta- bito conto che, pur accettando per buona la chiperto duca di Lucca, ma quando la con- data di nascita attribuitagli dallo Stolfa, Rat- giura abortì per le titubanze dei suoi alleati, causo 1° avrebbe avuto allora l’età, per quei Tachiperto probabilmente era già stato rimos- tempi veneranda, di settantun anni, certo ini- so dalla sua carica28. Caduto infatti in disgra- donea a permettergli di prender parte ad un zia con i Franchi, egli era stato sostituito da combattimento. Con la morte di Ratcauso 2°, Allone, pure lui di origine longobarda 29, ma svanì dunque l’ultima speranza dei Longobar- reputato più fedele a re Carlo. di di restaurare in Italia le loro antiche fortu- Quale diretta conseguenza di tale esautora- ne e con lui si esaurì non solo la dinastia rega- mento improvviso, si può meglio giustificare le di Pemmone, ma anche quella ducale, poi- la politica di Allone, astiosamente ostile ai di- ché re Carlo, dopo la vittoria, nominò a duca scendenti di Walfredo (e quindi di Tachiper- del Friuli un Franco di nome Markaire. to) confermata da alcune lettere indirizzate da Anche di Tachiperto si perdono per alcuni papa Adriano I a re Carlo30, con le quali il anni le tracce e l’ipotesi più probabile rimane pontefice prende risolutamente le difese di quella che egli sia stato portato in Francia Gunfredo, figlio di Walfredo e fratello di Rat- quale ostaggio, come nel medesimo periodo causo 2° nonché secondo abate di S. Pietro in avvenne per i vescovi di Lucca e di Pisa e for- Palazzuolo, per sostenerne le ragioni avverso se anche per l’abate Gunfredo che comunque al duca Allone che non solo aveva usurpato i fu alla corte di re Carlo per reclamare, con possessi di Gunfredo stesso nel distretto di successo, i diritti lesigli dal duca Allone. Ta- Populonia, ivi incluso Bolgheri (ribattezzato chiperto riappare invece in Toscana nel 784, «Sala di Allone»), ma aveva addirittura atten- come sottoscrittore di un documento con il tato alla vita dell’abate31. Un documento ri- quale Perprando, figlio del già duca di Lucca portato dal Muratori in Antichità del Medio Walperto e fratello del vescovo Walprando, Evo segnala inoltre che Allone vendette alcu- vendette alcuni possedimenti in Rosignano33; ni beni che gli erano pervenuti, senza specifi- tale ulteriore accostamento fra i figli di Wal- care come, da un Teudiperto che potrebbe perto ed i familiari di Walfredo riconferma u- forse identificarsi col Tachiperto zio di Gun- na contiguità, quanto meno di consorteria, fra fredo. le due schiatte. Che Tachiperto e Ratcauso 2° Ratcauso 2°, nel contempo, malgrado gli abbiano poi avuto o meno discendenza non è fossero venuti a mancare i principali alleati, a tutt’oggi documentato, per quanto sia plau- proseguì con ostinazione nel suo ormai dispe- sibile che, tramite essi o qualche altro loro rato tentativo di rivolta contro i Franchi, po- consanguineo, sia stata assicurata la continuità tendo ormai contare solo sull’appoggio di suo della prosapia proceduta da Ratcauso 1°. suocero Stabilino, duca di Treviso, e su quello Quando nel X secolo storicamente s’indivi- di Gaido, duca di Vicenza. Nello scontro de- dua una potente casata comitale di ceppo lon- cisivo, che ebbe luogo nel 776 in territorio gobardo, quella appunto dei Gherardesca, e- friulano nei pressi di Livenza, Ratcauso 2° ri- sattamente arroccata in quei medesimi terri- mase però sconfitto da re Carlo ed ucciso sul tori che furono di Walfredo e del suo paren- campo di battaglia32. Fu pertanto Ratcauso 2° tado, e che Walfredo intese proteggere ricor- a battersi in quel frangente con eroico corag- rendo a quella che si potrebbe contraddistin-

28 CIANELLI, op. cit., vol. I, p. 58. 29 PIZZETTI, op. cit., vol. I, pp. 234-35, e vol. II, p. 285. 30 Codex Carolinus, epp. III, docc. 51 del 775 e 57-58 del 776. 31 CIANELLI, op. cit., vol. I, pp. 57-58. 32 Codex Carolinus, edizione Gundlach in M.G.H., epp. III, p. 582, doc. 77. 33 CATUREGLI, op. cit., doc. 13. Una grande casata guerriera del Medio Evo 25 guere come l’operazione monastero, è plausi- per le quali avevano avuto origine queste rag- bile che la si supponga derivata da quelle me- guardevoli acquisizioni patrimoniali e di con- desime robuste radici. Anche se nessun docu- trollo territoriale. Trovata la risposta a questi mento rinvenuto od interpretato34 sino ad og- postulati, si sarà risolto il problema della coin- gi, fornisce notizie della famiglia anteriormen- cidenza territoriale delle donazioni fatte da S. te al X secolo, è alquanto improbabile che i Walfredo con i domini successivi dei Gherar- suoi membri fossero insediati in posizioni do- desca, tenendo pur sempre ben in evidenza, minanti sin dai primi decenni del Novecento, come vedremo tra poco, che le leggi longo- senza che alle loro spalle non vi fosse stato un barde in materia ereditaria vincolavano ogni adeguato humus di potenza e ricchezza, che patrimonio a mantenersi all’interno del nu- non poteva essere, a quei tempi, frutto di ca- cleo parentale originario per sette generazioni sualità. Si può invece ipotizzare che gli avi dei e cioè circa duecento anni. Gherardesca, malvisti dai Franchi in quanto Una considerazione conclusiva, infine. Que- Longobardi inaffidabili, abbiano perduto tut- sta schiatta longobarda forse aveva potuto te le loro cariche pubbliche ed abbiano dovu- conservare il proprio potere territoriale, an- to defilarsi, ritirandosi nei propri vasti e forti- che grazie al fatto che i Franchi, nella loro ficati domini; ciò sino agli inizi del X secolo conquista del Regno italico, non avevano pro- quando, caduto il governo franco, subentra- ceduto ad alcuna migrazione di massa di loro rono in Italia altre dinastie e soprattutto quel- popolazioni (come invece era avvenuto nel la sassone degli Ottoni, più affine alla gente caso dei Longobardi), ma solo esercitato un longobarda in quanto di origine germanica, controllo militare sulla propria conquista. In che consentirono loro di recuperare le accan- Tuscia, ad esempio, essi avevano limitato det- tonate posizioni di potere e prestigio. to loro controllo alla dorsale Firenze-Roma (e È chiaro che questa tesi è solo basata su de- Siena venne da loro potenziata a tale precipuo duzioni logiche, non essendovi documenti che scopo), trascurando di estenderlo ad altre zo- possano avallarla, ma d’altra parte non è facile ne della regione, quali ad esempio quella vol- immaginare come avrebbero potuto fare que- terrana e quella più litoranea, dove i discen- sti Longobardi a trovare così tanto credito ai denti dai Longobardi ebbero quindi buon primi del X secolo, se non fossero già stati gioco a conservare integro il proprio potere preventivamente potenti. Gli estesissimi do- senza troppi problemi. mini dei Gherardesca, ampiamente documen- tati da numerosi manoscritti, fra cui, in primis, l’atto di fondazione del monastero di S. Maria Le prime tracce storiche di Serena del 1004, dovevano essere giocofor- za derivati da un’acquisizione precedente al- Lo storico tedesco Hansmartin Schwarz- l’arrivo dei Franchi in Italia. È alquanto im- maier, nel suo trattato su Lucca e l’Impero, probabile infatti che dei Longobardi abbiano fornisce una propria ricostruzione della ge- potuto costituirsi un tale potente sistema di- nealogia dei Gherardesca [tav. 2], partendo fensivo di rocche e castelli ed un così ingente da un conte Ghisolfo35 che risulterebbe de- patrimonio fondiario proprio durante il go- ceduto prima del 941, come documenta un verno di un popolo loro ostile. Non esiste in- manoscritto nel quale si cita uno dei suoi fi- fatti un solo documento che registri un acca- gli, Rodolfo, qualificandolo quale «comes i- dimento così anomalo, segnalando le ragioni stius comitatus pisensis».

34 Il termine interpretato sta a significare quanto segue. Dal momento in cui i discendenti di Walfredo caddero in disgra- zia con i Franchi, non ricoprirono più cariche pubbliche. Nei documenti che li riguardavano non apparvero pertanto parti- colari attributi oltre ai loro nominativi puri e semplici, e pertanto ne risulta assai difficile l’individuazione. È chiaro invece che nel secolo X, e cioè da quando ai Gherardesca fu attribuito il titolo di comites, divenne assai più agevole riconoscere i componenti della schiatta. 35 CATUREGLI, op. cit., docc. 44-45. 26 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 27

Di questo Ghisolfo non mi risulta si sappia si familiari era solidissima mentre tendeva a diventa- alcunché d’altro che lo possa ricondurre al re virtuale nella parentela allargata che recuperava ceppo dei Gherardesca, ma a me piace far ri- prerogative e diritti solo quando la famiglia ristretta marcare che egli ripeteva il nome di Gisulfo, non aveva prosecuzione (Edit. Rot., c. 158, p. 41). La coesistenza di diritti di padre e figli sui beni fami- primo duca del Friuli, e che il ritorno nel- liari era espressa dalle regole che proibivano agli uni la prosapia comitale agli originari appellativi ed agli altri di alienarli unilateralmente anche solo in longobardi, quali quello di Teuperto (che si parte (Edit. Rot., c. 170, p. 41). Ad evitare dispersio- richiama a Tachiperto), di Gottifredo e di Pe- ni e commistioni, la proprietà familiare si trasmette- pone, diviene significativamente più frequen- va solo in linea maschile. Le figlie avevano solo dirit- te dopo l’avvento in Italia di dinastie imperia- to ad una costituzione dotale, il «ferdafio», sulla li germaniche, sicuramente più ben disposte quale rimanevano del resto operanti i diritti della fa- ad una rivalutazione delle radici longobarde miglia di origine che tornavano efficaci se, rimaste vedove, rientravano a vivere nella casa paterna. della schiatta. Del resto una conferma di tale mia ipotesi proviene dal già menzionato do- Orbene queste norme i Gherardesca sono cumento del 1008, con il quale il conte Ghe- riusciti praticamente ad osservarle, fino quasi rardo 2°, presunto pronipote di Ghisolfo, tie- alla fine del 1700; questa è stata la ragione pri- ne fieramente e pubblicamente a dichiarare di maria per la quale l’originario nucleo patrimo- essere seguace della «legge longobarda», alla niale della casata ha potuto conservarsi sem- quale assicura di aver aderito anche sua mo- pre intatto, a dispetto della graduale estinzio- glie, Willa Berardenghi, che pur era di origi- ne nel tempo di tante ramificazioni genealogi- naria «legge franca o salica». che della schiatta. Dopo il 1700, a seguito di A questo punto intendo aprire una breve accadimenti che riporterò più dettagliatamen- parentesi per chiarire cosa potesse significare te in altra parte di questo lavoro, la tradizione seguire la legge longobarda, codificata nell’e- ereditaria longobarda venne meno ed il patri- ditto di Rotari. In particolare intendo eviden- monio della famiglia, in poco più di un secolo ziarne l’istituto della proprietà familiare, il ri- e mezzo, si polverizzò, anche se ai Gherarde- spetto delle cui norme avrà, nei secoli, gran- sca rimangono tuttora alcuni dei loro più anti- de influenza sulle sorti del complesso patri- chi domini come Castagneto e Donoratico. moniale dei Gherardesca. Riporterò dunque Non vi è da stupirsi eccessivamente per que- qui di seguito alcuni brani tratti dalla Storia sto plurisecolare rispetto dei dettami di re Ro- d’Italia diretta da G. Galasso, nei quali l’au- tari se si considera, ad esempio, che nel berga- tore, P. Delogu, commenta adeguatamente al- masco le ultime leggi longobarde furono di- cuni specifici aspetti dell’editto rotariano. chiarate decadute solo nel 1430 ed alcuni co- dicilli delle medesime, riguardanti il regime Nel diritto longobardo la proprietà si articolava delle acque, sono stati rispettati fino ai primi in raggruppamenti familiari tenuti assieme da soli- 36 darietà che si manifestava in una sorta di correspo- del 1900 . Anche Pisa del resto dichiarava nel sabilità patrimoniale (gafand). Solidarietà di onore e 1114 di osservare ancora «legem Romanam di interesse familiare costituivano, almeno nella vita retentis quibusdam de lege Longobarda». giuridica, la manifestazione delle parentele fondate Ma torniamo ora al conte Ghisolfo e alla sull’affinità di sangue trasmesso in linea maschile e sua discendenza. Lo Schwarzmaier fa nascere documentata dalla memoria analitica della discen- da lui, come già detto, un figlio Rodolfo, co- denza comune; esse si estendevano, per gli effetti mes di Pisa (menzionato in due documenti giuridici, a comprendere il gruppo dei consanguinei del 949 e 964), una figlia Rotia che andò spo- individuato da un antenato comune alla settima ge- sa a Ranieri di Froalmi, visconte di Lucca nerazione con vincolo dunque che era efficace fino al settimo grado (Edit. Rot., c. 153, p. 30 ss.). All’in- nonché capostipite della casata che sarà poi terno del gruppo coniugale la concorrenza d’interes- detta dei «da Corvaja», ed infine un altro fi-

36 G. BONACINA, I Longobardi. Quattordici secoli fa la calata degli uomini dalla lunga ascia, in «Storia illustrata». [Il testo in fotocopia è in possesso dell’autore, ma senza frontespizio]. 28 I della Gherardesca glio di nome Gherardo. Quest’ultimo sarebbe re del monastero di S. Maria di Serena. An- appunto quel Gherardo 1°, morto anteceden- che Gherardo 1°, padre dei tre, fu probabil- temente al 980, dal quale procede la genealo- mente comes di Volterra, sempreché lo si vo- gia dei Gherardesca, stilata e riconosciuta co- glia identificare con uno dei sottoscrittori di me valida dalla maggior parte degli studiosi37. un placito lucchese del 9 agosto 964. Prima dell’ipotesi avanzata dallo Schwarz- È comunque accertato che i Gherardesca, maier, questo Gherardo è sempre stato consi- già nel X secolo, erano così potenti da con- derato il capostipite storico della casata, che, trollare Volterra, una delle maggiori città to- da lui e da altri Gherardi che ne arricchirono scane dell’epoca, e da mantenere posizioni nei secoli le vicende, venne forgiandosi quel dominanti sia a Pisa che a Lucca. Le radici cognome di Della Gherardesca, cioè di stirpe della famiglia dovevano essere ben profonde della terra dei Gherardi, individuata appunto e forti, poiché non si potrebbe proprio conce- come La Gherardesca [fig. 3] fino ad oltre la pire che questo primato derivasse da casualità metà del 180038. Da questo progenitore è in- e non procedesse piuttosto da posizioni di fatti abbastanza agevole dipanare il filo con- potere acquisite ancor prima del X secolo. È duttore della genealogia, senza incontrare possibile anzi ipotizzare che la schiatta con- vuoti inspiegabili nel tempo o difficoltà insor- tasse su di un parentado ed una consorteria montabili, se si escludono quelle derivanti dal assai più estesi di quanto appaia, e che potes- frequente ripetersi, anche in medesime epo- se inoltre avvalersi di solide alleanze matrimo- che storiche, di appellativi identici che talvol- niali, come quelle conseguenti dalle unioni di ta mal consentono di attribuire, all’uno o al- Gherardo 2° con Willa Berardenghi, di Tedi- l’altro personaggio omonimo, un determinato ce 1° con Berta Aldobrandeschi, e di Rodolfo fatto riportato in un documento. Si sa co- 1° con Giulia di Landolfo, principe di Capua munque che Gherardo 1° ebbe almeno tre fi- e Benevento41. Non sono nemmeno da esclu- gli maschi 39 e che essi furono tutti di ragguar- dersi consanguineità con altre potenti prosa- devole rilevanza storica, in quanto due di essi, pie, come, ad esempio, quella dei Cadolingi. Rodolfo 1° 40 e Tedice 1° furono comites di Quest’ultima ipotesi, e cioè quella di una co- Volterra, mentre il terzo, Gherardo 2° conte mune ascendenza fra i Cadolingi e i Gherar- di Frosini, fu, come già anticipato, il fondato- desca, è assai controversa42 e non sembrereb-

37 P. LITTA, Famiglie celebri italiane, vol. IX; e M.L. CECCARELLI LEMUT, I conti Gherardeschi, in AA.VV., I ceti dirigenti in To- scana nell’età precomunale, Atti del I Convegno di Studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Pacini, Pisa 1981, pp. 165-90. 38 In quasi tutte le carte geografiche della Toscana redatte fra il XVI o il XVIII secolo, viene indicato come Gherardesca il territorio a sud del fiume Cecina. Anche il Repetti ed il Targioni Tozzetti, nei loro rispettivi trattati sulla Toscana, che menzioneremo più volte, così indicano detto distretto. Pure G. Carducci, nella sua ode Idillio di S. Giuseppe, canta: «ma da la Gherardesca da monti in circuiti foschi / di verde selva sulle ferrigne crete / venivan turchine poi nere le nubi / triste il li- beccio urlando sopra il pian di Vada». 39 H. SCHWARZMAIER, Lucca und das Reich bis zum Ende des XI Jahrhunderts, Niemeyer, Tübingen 1972, p. 214. A Ghe- rardo 1° viene attribuito anche un quarto figlio di nome Ranieri ed un quinto di nome Ildebrando, dal quale poi nascerebbe un altro Gherardo che potrebbe risultare il capostipite dei Gherardenghi, signori della Garfagnana. 40 F. SCHNEIDER, Regestum Volterranum, Loescher, Roma 1907, doc. 58, e placito tenuto dal marchese Oberto a Monte- voltraio alla presenza dell’imperatore Ottone I. 41 Ivi, doc. 104. Identifica il conte Rodolfo con un Aldobrandeschi anziché con Rodolfo 1°, comes di Volterra, morto at- torno al 992. Trattasi a mio avviso di un equivoco poiché lo Schneider non considera: 1/ che il manoscritto è stato conserva- to a Volterra, residenza del comes ma non degli Aldobrandeschi il cui territorio di influenza si trovava più a sud; 2/ che l’at- to cui si riferisce il documento, fu redatto a Papena, piccola rocca oggi scomparsa, ubicata fra Frosini e Miranduolo, in terri- torio dunque dominato all’epoca dai Gherardesca e non già dagli Aldobrandeschi; 3/ che se è esatto che Rodolfo Aldobran- deschi ebbe un figlio di nome Ildebrando, è vero anche che Rodolfo 1°, comes di Volterra, oltre a Teuperto, detto Teuzo, ebbe anche un altro figlio di nome Ildebrando che appare in un manoscritto del 1° febbraio 1006 conservato presso l’ASP e citato al n°14 del trattato di M. NANNIPIERI D’ALESSANDRO, Carte dell’Archivio di Stato di Pisa, Edizioni di Storia e Lettera- tura, Roma 1979. Detto documento, redatto in Chinseca, quartiere cittadino pisano dove risultano insediati i Gherardesca da tempo immemorabile, è anche sottoscritto da un Teuperto, fratello d’Ildebrando, e da Guido, suo cugino, conte di For- coli. La probabile confusione dello Schneider fra i conti Rodolfo, l’uno Gherardesca e l’altro Aldobrandeschi, è del resto re- sa plausibile anche per la quasi contestuale morte dei due omonimi. 42 SCHWARZMAIER, op. cit., lascia intuire l’origine comune delle due casate. Contra R. Pescaglini Monti. Una grande casata guerriera del Medio Evo 29 [fig. 3] Vaticano, Galleria del Mappamondo Affresco raffigurante la Toscana, con su indicata Gherardesca 30 I della Gherardesca be ammessa dalle più recenti ricerche; è mia Tedice 2° della Gherardesca, figlio del conte intenzione comunque di apportare un mode- Tedice 1° 44. sto contributo a supporto di quanti sostengo- Infine nell’albero genealogico dei Gherar- no tale comunanza di origini. desca, stilato da Pompeo Litta con la collabo- Per sviluppare questo contributo, proce- razione del Passerini, s’individua un’ulteriore derò all’esame di alcuni elementi che, se ana- unione fra Adelasia, del conte Guido 2° della lizzati indipendentemente l’uno dall’altro, Gherardesca [tav. 4] e quell’Ugo con il quale possono apparire più o meno validi, ma che i Cadolingi si estinsero nella prima metà del divengono assai più convincenti se assunti XII secolo. Di tale matrimonio non ho però nella loro globalità. Inizierò dagli indizi di mi- rinvenuto traccia nella genealogia dei Cado- nor spessore, come quello dell’identico titolo lingi redatta da alcuni studiosi quali il Repetti di comes, con il quale si fregiavano i compo- e la Pescaglini, ma è pur sempre possibile che nenti delle due casate e quello della singolare si sia trattato di una prima moglie avuta dal coincidenza negli appellativi nelle rispettive conte Ugo prima che, in seconde nozze, egli genealogie. In esse si trovano contemporanea- sposasse Cecilia, vedova di Opizio Upezzin- mente ripetuti i nomi di Tedice, Ranieri e Ugo ghi, unica consorte attribuitagli dai menziona- (con le relative varianti di Ugone e di Uguc- ti storici. A proposito di questo argomento, cione), tanto che di frequente s’ingenerano rinvio anche all’inserto 2, contenuto nell’Ap- difficoltà nell’attribuire un determinato docu- pendice, al punto in cui si accenna al castello mento all’una o all’altra prosapia. di Marti. Nella prima metà dell’XI secolo, s’indivi- Ma un argomento ancor più rilevante, a so- dua poi un Guglielmo Cadolingi, detto il stegno di una tesi di una qualche colleganza Bulgaro, in strana assonanza con Bolgheri, u- fra i Gherardesca e i Cadolingi, è forse quello no dei più antichi e riconosciuti domini dei che emerge dalla politica territoriale sviluppa- Gherardesca nella Maremma Pisana; ed in ta dalle due casate, quasi perseguendo un questo caso l’accostamento fra le due schiatte preciso progetto di contiguità dei rispettivi è ancor più significativo se si considera che il domini e senza tuttavia che tale confinanza conte Ugo, figlio del predetto Bulgaro, cedet- abbia mai intaccato la loro solidarietà paren- te nel 1089 alcuni suoi possessi presso Casta- tale e portato le due schiatte ad entrare in gneto43 che da tempi immemorabili, e senza conflitto fra di loro. Troviamo infatti domini ombra di dubbio, fu ed è territorio in cui si contigui nella Val d’Era, dove fra l’altro i Ca- erano insediati i Gherardesca. Un secondo dolingi fondarono a uno dei quattro indizio, già più consistente, è quello dei reite- monasteri benedettini edificati nei propri ter- rati legami familiari costituitisi nel tempo fra ritori, in analogia con quanto i Gherardesca le due nobili prosapie. Infatti Cadolo, dal avevano fatto e continuavano a fare nei loro; quale deriva il patronimo dei Cadolingi, e in Val d’Arno, dove i Gherardesca si attesta- che visse verso la metà del X secolo, risulta rono da Pisa ad occidente di S. Miniato e i essersi sposato (forse in seconde nozze) con Cadolingi da oriente di S. Miniato stesso fino Gemma, figlia del principe Landolfo di Ca- quasi a Firenze, alle cui porte fondarono il pua e Benevento, e sorella quindi di quella monastero di Settimo; ed infine nella vallata Giulia che, a mio giudizio, fu moglie di Ro- ad oriente di Lucca, dove i Gherardesca eb- dolfo 1°, comes di Volterra. Cadolo e Ro- bero possessi a Marlia, Segromigno, Lunata, dolfo furono dunque cognati fra di loro, ma i Lammari e Porcari, mentre i Cadolingi s’inse- legami fra le due casate si rinsaldarono ulte- diarono da Pescia verso Pistoia. Le due fami- riormente nella generazione successiva con il glie ebbero inoltre signoria in comune a Ca- matrimonio fra Adelagita, figlia di Cadolo, e stelfalfi, (in terra Ghisolfinga) e

43 Scritture dei canonici di S. Martino, vol. XI, n. 89. 44 SCHNEIDER, op. cit., doc. 113. Una grande casata guerriera del Medio Evo 31

Barbialla45, oltre che, come abbiamo accen- Cadolingi forniva loro una sicurezza lungo i nato, a Castagneto e Marti. Comprendo bene confini orientali, prevalentemente fiancheggia- che tutti questi argomenti, così succintamen- ti dai possedimenti di quest’ultima casata. te esposti, non saranno sufficienti da soli a Dopo aver dato una scorsa a queste prime convincere circa la fondatezza della tesi so- generazioni storiche dei Gherardesca, credo stenuta, ma dovrebbero pur sempre stimola- sia il caso di sottolineare ancora una volta che re altri studiosi ad un riesame riguardo all’e- è poco credibile che questa potente famiglia ventualità di un legame di sangue fra le due comitale, nel X secolo, si limitasse ad essere prosapie, come del resto sembra adombrare composta dai soli tre personaggi riconosciuti- lo Schwarzmaier nel suo trattato prima men- le, fino ad oggi, dagli storici e dai genealogisti. zionato. Nel Medio Evo, la vigoria delle prosapie era Torniamo ora alla storia dei Gherardesca, soprattutto fondata sull’estensione del paren- interrotta al conte Tedice 1°, comes di Volter- tado e della consorteria, né si può pensare ra, che sposò Berta Aldobrandeschi, figlia del che un dominio vasto come quello individua- conte Rodolfo46 e morì attorno al 1000. Da bile dalle ingenti donazioni di castelli e terre questo Tedice nacquero sei figli maschi: Tedi- fatte da Gherardo 2° al suo monastero di S. ce 2°, Gherardo 3°, Guido 1°, Rodolfo 2°, U- Maria di Serena, che si estendevano dal lago go od Ugone 1° ed Enrico o Arrigo. Questi di Bolsena (castello di Bisenzio) al Senese, dal sei fratelli sono rimasti storicamente legati fra grossetano fiume Bruna a Populonia e di lì fi- di loro per aver fondato assieme, nel 1022, il no alla Lucchesia, potesse essere controllato e monastero di S. Giuliano di Falesia, nei pressi difeso da solo tre Gherardesca (Gherardo 2°, di Piombino47. Non mi risulta che di essi ac- Rodolfo 1° e Tedice 1°), i quali, oltre a tutto, cennino altri manoscritti per riportarne fatti risultavano essere particolarmente impegnati di un qualche rilievo, oltre quello che riguar- nel solo distretto di Volterra. da detto monastero e che fu redatto presso S. I Gherardesca dovevano dunque essere più Miniato nel castello di Vetrugnano, detto og- numerosi, anche se non ce ne danno confer- gi Montebicchieri [Appendice, doc. 4]. ma i documenti trovati, consultati, interpreta- Di due di questi fratelli conosciamo però i ti e pubblicati sino ad oggi dagli studiosi. Del matrimoni, che ritengo opportuno citare in resto la rapida espansione della famiglia dopo quanto significativi al riguardo delle alleanze il suo capostipite storico, Gherardo 1°, è un perseguite a quei tempi dai Gherardesca. Te- indizio di quanto altrettanto estese potessero dice 2° sposò, come detto, Adelagita Cadolin- essere le sue ramificazioni a monte di tale per- gi ed Ugo 1° si unì con Iulitta Aldobrande- sonaggio. Già nella seconda generazione do- schi, mentre, come già sappiamo, il loro zio po Gherardo 1° si possono individuare sette Gherardo 2° si era ammogliato con Willa Be- od otto discendenti maschi dai quali ebbero rardenghi. Appare dunque evidente che i origine i diversi segmenti in cui si suddivise la Gherardesca, imparentandosi con tali potenti prosapia dopo l’XI secolo. Per inciso antici- schiatte, miravano soprattutto a proteggere i però che i Gherardesca raggiungeranno la lo- confini dei loro domini, cioè quelli a sud del ro massima estensione numerica fra il XIII e fiume Bruna, nel distretto di Roselle, alleando- la prima metà del XIV secolo e, quasi come si agli Aldobrandeschi attestati nella Marem- diretta conseguenza, il culmine della loro po- ma Grossetana; quelli ad est di Frosini e Chiu- tenza, concretizzatasi con l’affermazione della sdino, collegandosi con i Berardenghi domi- loro signoria su Pisa. nanti nel Senese, mentre la colleganza con i Proprio a causa di questa rigogliosa ramifi-

45 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 270. 46 SCHNEIDER, op. cit., doc. 93. 47 M.L. CECCARELLI LEMUT, Il monastero di S. Giustiniano di Falesia e il castello di Piombino, Il Telegrafo, Livorno 1972. Inoltre da una bolla di papa Innocenzo III, datata 22 aprile 1138, risulta che abate di questo convento fu anche un Gherar- do della Gherardesca, forse figlio di Aliotto. 32 I della Gherardesca cazione genealogica ho reputato problematico vo, nemmeno per le famiglie del ceto più ele- riuscire a dare un inquadramento organico al- vato erano ancora stati forgiati cognomi ben le più salienti vicende della famiglia, senza definiti; esse pertanto venivano generalmente prima sfrondarne l’albero da quei numerosi individuate con riferimento al loro capostipite rami, i cui vari personaggi, anche se storica- più eminente (i Berardenghi da Berardo, gli mente di un qualche rilievo, sembrano funge- Ildobrandeschi o Aldobrandeschi da Ilde- re più da cornice che non da quadro centrale brando, i Cadolingi da Cadolo, i Pannocchie- degli eventi che cercherò di trattare unitaria- schi da Pannocchia ed infine i Gherardesca o mente, dopo aver proceduto a questa preven- Gherardeschi, come furono anche detti nei tiva e necessaria potatura. Inoltre, nel corso primi secoli medievali, dai tanti Gherardi che del mio racconto, quando risulterà opportu- arricchirono nel tempo la loro vicenda stori- no, non mancherò di attirare l’attenzione del ca), o, alternativamente, con un determinato lettore anche sulle unioni matrimoniali di al- titolo nobiliare spesso non ricollegabile ad u- cuni componenti della casata, poiché tali u- na precisa investitura, ma piuttosto al luogo nioni, spesso, più di molti documenti, posso- nel quale i suoi membri risiedevano ed opera- no darci un’esatta percezione degli orienta- vano. menti e del peso politico dei Gherardesca nei Prima dell’adozione in via definitiva del co- diversi periodi storici. Bisogna infatti tenere in gnome di Della Gherardesca, il riferimento evidenza che per molti secoli il matrimonio primario fu dunque quello di conti di Dono- fra membri di famiglie potenti fu assai rara- ratico, essendo l’omonimo castello ciò che og- mente un atto d’amore, bensì, quasi sempre, gi chiameremmo la casa madre della schiatta un preciso contratto nel quale prevalevano a- e, come riferimento secondario, quello di una spetti politici, territoriali e patrimoniali. roccaforte dove risiedeva in permanenza, o Per tradurre in pratica il mio progetto nar- anche occasionalmente, un certo personaggio rativo, mi baserò fondamentalmente sulla ge- cui si riferisca un documento. nealogia della casata predisposta dal Litta, Pertanto i conti di Suvereto, di , di non già perché la ritenga assolutamente esatta Frosini e Miranduolo, di Castagneto, di Cam- e completa, ma perché, al momento, non ho piglia, di Segalari, di Biserno e di Montescu- trovato argomenti e documenti certi che pos- daio e Guardistallo, rimangono pur sempre sano far privilegiare genealogie, parzialmente della medesima prosapia nota poi come quel- diverse, redatte da altri storici anche più re- la dei Della Gherardesca in quanto signori di centi. È infine opportuno che io premetta che quelle terre, di comune proprietà parentale, i riferimenti nobiliari con i quali verranno che furono denominate La Gherardesca. Del contraddistinti i vari rami della prosapia, so- resto, a più riprese ed in epoche diverse, no puramente convenzionali e solo indicativi membri della casata furono citati come conti del principale luogo di residenza o di azione di Pisa48, senza che ciò abbia mai significato di un determinato personaggio o gruppo fa- una vera e propria investitura di un tale titolo, miliare, che genealogicamente apparteneva e così può anche dirsi per gli altri titoli occa- pur sempre all’originario ceppo parentale dei sionalmente apparsi in alcuni documenti, conti di Donoratico, al cui titolo comune si ri- quali quelli di conte di Capannoli, di Strido, chiamarono sempre anche i componenti della di Cornino, di Bolgheri e di Casale. schiatta che andrò invece a collocare nei di- È ipotizzabile che, nell’antichità, i Gherar- versi segmenti della medesima. desca fossero più semplicemente noti a Pisa Occorre ricordare che, nell’Alto Medio E- come i Conti ma che, diversamente dai Vi-

48 Gherardo 7° viene indicato come «conte di Pisa» nel documento con il quale Federico I, detto Barbarossa, confermò alcuni privilegi ai canonici di Pisa. Ranieri, conte di Segalari, mentre risiedeva a Costantinopoli negli ultimi anni del XII se- colo, era conosciuto come il «conte dei Pisani». Ranieri, detto Nieri, e Bonifazio Novello, detto Fazio Novello, conti di Do- noratico entrambi e signori di Pisa, sono citati in una lettera di re Giacomo II d’Aragona come «conti di Pisa». Una grande casata guerriera del Medio Evo 33 sconti che travasarono nel cognome l’origina- «motivo del cognome ed arme della famiglia rio loro titolo di vice comes, i primi, nel for- Gherardesca usati da detto signore»49. Il giarsi il patronimo, anziché al titolo nobiliare convenuto aveva infatti formulato l’elemen- di comites, si siano richiamati ai loro avi più tare assunto che se i Visconti derivavano dai illustri e rappresentativi che in gran numero si vice comites, lui con il suo cognome di Conti chiamarono Gherardo. doveva a buon titolo discendere dai comites Che questa mia ipotesi non sia fantasiosa, e poteva quindi fregiarsi dei relativi simboli. lo confermano vari autorevoli storici e, in Malgrado questa sua logica pseudostorica, forma quasi aneddotica, un processo che, Iacopo Conti perse la causa e di conseguen- nel 1590, i Gherardesca intentarono nei con- za fu costretto a rinunziare alle sue velleità a- fronti di un certo Iacopo Conti di Lajatico a raldiche.

49 AF, f. 100.

CAPITOLO SECONDO

I rami genealogici minori della famiglia

I conti di Suvereto secondo Ugo, conte di Suvereto, si narra che da giovane militò nell’esercito della contessa Suvereto è un paese della Maremma, un Matilde di Toscana, combattendo anche con- tempo pisana ed oggi livornese, arrampicato tro l’imperatore Enrico IV. Più tardi però su di una collina ad est di Campiglia e collo- tradì la contessa, passando a servire sotto le cato lungo l’antichissima strada che serpeggia insegne imperiali. Questa slealtà non deve al disopra della vallata del fiume Cornia. Da però stupirci più di tanto, poiché, analoga- quando il litorale tirrenico toscano prese ad mente a lui, agirono in quegli anni molti con- impaludarsi per l’abbandono da parte dei co- ti della Tuscia come pure vari Comuni, fra loni delle sue fertili pianure, troppo soggette cui Pisa che, partigiana prima dell’imperato- alle ormai frequenti scorrerie dei pirati sara- re, passò poi dalla parte di Matilde e di con- ceni, questa strada collinare era divenuta il seguenza del papa, al solo scopo di ottenere cammino più salubre e sicuro per chi avesse da quest’ultimo che la Corsica ricadesse sotto voluto viaggiare fra Pisa e Roma. A Suvereto la giurisdizione religiosa del vescovo pisano. sopravvivono ancora vistose rovine di una po- Ottenuto tale beneficio che, oltre ad elevare tente rocca che nell’XI secolo fu dominata dai ad arcivescovato la sua diocesi, offriva al co- Gherardesca. mune pisano assai meno religiosi ma più pro- Il ramo della famiglia che s’identificò con il fittevoli risvolti economici, Pisa tornò a so- titolo di conti di Suvereto, ebbe origine da stenere Enrico IV ospitandolo persino fra le quel Rodolfo 2°, figlio di Tedice 1°, che con i sue mura. suoi cinque fratelli fondò il monastero di S. Secondo la genealogia del Litta, il ramo dei Giustiniano di Falesia [tav. 3]. Dal conte Ro- conti di Suvereto si estinse con questo Ugo, dolfo 2°, detto forse Buonridolfo, nacque un ma il Repetti accenna invece ad un suo fratel- Ugo che sposò Iulitta, figlia del marchese Gu- lo, Rodolfo, che sposò un certa Ghisla e da lei glielmo di Corsica1 e questo conte Ugo è cita- ebbe un figlio di nome Uguccione. Questi tre to in un manoscritto del 1052, con cui egli ef- personaggi appaiono in due documenti datati fettuò una sostanziosa donazione al monaste- rispettivamente 28 dicembre 1104 e 12 gen- ro di S. Pietro in Palazzuolo (di cui, tre secoli naio 11052. Nel secondo documento, Ghisla, prima, era stato fondatore S. Walfredo, suo con il consenso del figlio Uguccione, dona al- probabile antenato). cuni suoi beni alla solita abbazia di S. Pietro Da Ugo e Iulitta nacque un figlio, anch’e- in Palazzuolo. Dopo di ciò nient’altro ci è da- gli di nome Ugo, il quale sposò Teodorun- to sapere di questo ramo della prosapia, che da di Ugo Alberto, signore di Montegrossoli, dovrebbe essersi pertanto estinto nella prima progenitore della casata Ricasoli. Di questo metà del XII secolo.

1 Questo matrimonio, citato anche dal Repetti nel suo ben noto Dizionario, rappresenta un primo legame storico fra i Gherardesca e i marchesi di Massa, discendenti dagli Obertenghi, che dominarono in Corsica e signoreggiaranno in seguito il Giudicato di Cagliari. 2 REPETTI, op. cit., vol. V, pp. 490-94. 36 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 37 [fig. 4] Proprietà real casa di Inghilterra L. da Vinci, Veduta dei castelli della costa pisana e del suo immediato retroterra 38 I della Gherardesca

I conti di Forcoli nel quale egli figura donatore di alcuni suoi beni in Guardistallo. Forcoli era un castello, oggi trasformato in Notizie più copiose si rinvengono invece di villa signorile, ubicato poco lontano dall’at- suo figlio, Guido 2°, che fu in effetti il primo tuale paese di Capannoli ed eretto sulle piag- ad essere menzionato come conte di Forcoli. ge cretose al di sopra del fiume Era e del tor- A quanto risulterebbe, egli continuò l’aggres- rente Roglio. Di probabile origine romana siva politica paterna nei riguardi del vescovo (Castrum Furcolae), la sua posizione strategi- di Lucca della sua epoca, tanto da costringere ca era eccellente poiché poteva controllare lo la contessa Matilde di Toscana ad intevenire sbocco della Val d’Era ed affacciarsi nel con- per ben due volte contro il suo «pur buon a- tempo sulla valle inferiore dell’Arno, guar- mico» Guido, al quale, fra l’altro, nel 1068, a- dando verso Pontedera. Forcoli era inoltre veva concesso l’investitura su alcune terre si- un’importante cerniera di un’articolato com- tuate in Usciana, non lontano da Forcoli [Ap- plesso di roccheforti dominate dai Gherar- pendice, inserto 1, voce «Padule Actioni»]. Il desca, che, dopo essersi esteso ad est fino primo intervento della contessa è sotto forma quasi a raggiungere S. Miniato, si sviluppava di un arbitrato del 1° gennaio 1071, con cui lungo tutte le colline che da quest’ultima cit- ella ingiunse a Guido di risarcire alcuni danni tadina menano fin verso Volterra, fiancheg- da lui arrecati ai possedimenti del vescovo; in giando il torrente Egola. calce a tale manoscritto4 si può anche leggere Il ramo della casata che si qualificò come che il conte Guido, trovandosi a Pisa «in pa- conti di Forcoli, ebbe origine da Guido 1°, latio», vendette al vescovo danneggiato i beni fratello del menzionato Rodolfo 1°, conte di e le chiese che il conte stesso possedeva in Pe- Suvereto [tav. 4]. Anche Guido 1° risultava rignano, nel pisano, in cambio di un simboli- fra i fondatori di S. Giustiniano di Falesia, co anello d’oro. Credo che questo sia il primo ma a dispetto di questo suo atto esemplar- documento in cui si accenni ad un palazzo pi- mente cristiano, non doveva essere in pratica sano dei Gherardesca. Il secondo arbitrato è un grande stinco di santo. È soprattutto ri- di epoca più tarda poiché redatto il 16 giugno cordato infatti quale acerrimo avversario di 1099; con esso venne imposto a Guido di re- Giovanni, vescovo di Lucca, e delle violente stituire al vescovo lucchese Rangerio il castel- controversie fra i due ci tramandano memo- lo di Capannoli che il conte aveva usurpato 5. ria due membrane lucchesi del 1051 e del E dire che Guido, poco prima di questo se- 10523. Esse ci riportano che due nipoti del condo placito, e forse per espiare qualche predetto Guido 1°, Ugo e Tedice 3°, figli del peccato di troppo, che si sentiva gravare sulla conte Tedice 2°, s’impegnarono a fornire o- coscienza, fu per breve periodo in Terra San- gni loro possibile sostegno al menzionato alto ta, per assolvere ai suoi doveri di cristiano, prelato, in tutto il territorio compreso fra partecipando alla crociata del 1096. Porcari e Roselle, nel caso che il loro parente Se tutto sommato questo Gherardesca non avesse insistito nel commettere soprusi alla fu quell’anima pia che volle far credere facen- diocesi lucchese, ed assicurarono inoltre di dosi crociato, d’indole totalmente diversa fu non voler far pace con il loro turbolento zio suo figlio Pietro, il quale invece divenne un senza il preventivo consenso del vescovo. ecclesiastico di ragguardevole caratura. Di es- Non risulta se questi accordi ebbero pratica so vale la pena di sintetizzare la vita. Cappel- attuazione. Di Guido 1° si rintraccia ancora lano e scrittore di Sua Santità, conseguì giova- solo una notizia in un documento del 1056, nissimo il galero cardinalizio che gli fu impo-

3 D. BARSOCCHINI, Memorie e documenti per servire all’istoria del Ducato di Lucca, R. Accademia di Lucca, Lucca 1841, p. 242. 4 R. PESCAGLINI MONTI, Un inedito documento lucchese della marchesa Beatrice e alcune notizie sulla famiglia dei ‘domini’ di Colle tra X e XI secolo, in AA.VV., Pisa e la Toscana occidentale nel Medioevo, Gisem-Ets, Pisa 1991, vol. I, p. 145. 5 D. BERTINI, Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, Tip. Bertini, Lucca 1818, vol. IV, doc. III. Una grande casata guerriera del Medio Evo 39 40 I della Gherardesca sto da papa Pasquale II 6. Fu principe della ebbe un primo significativo successo, nel Chiesa anche sotto i pontefici Gelasio II, O- 1190, con la nomina a podestà di Pisa del norio II e Innocenzo II, e di loro godette la conte Tedice di Forcoli, figlio del menzionato stima fino ad essere inviato con l’incarico di Ugolino e di Gena Visconti. Legato Apostolico in Corsica, nel 11207. Du- Il Volpe, nelle sue Istituzioni comunali a Pi- rante il papato d’Innocenzo II, Pietro commi- sa, avalla l’attribuzione del podestariato a que- se però il grave errore di concorrere all’ele- sto Tedice, pur doverosamente segnalando la zione degli antipapi Anacleto e Vittore. Penti- contemporanea presenza fra i Gherardesca di tosi, tornò in seguito all’obbedienza del legit- altri due suoi omonimi: Tedice conte di Biser- timo pontefice e fu da questi perdonato, po- no e Tedice conte di Segalari. Tedice di For- tendo così morire, nel 1145, riconciliato con coli fu dunque il primo podestà di Pisa che la la Chiesa. storia ricordi; di lui si narra che fu guida ca- Dei vari fratelli di questo cardinale, si co- pace e prestigiosa per l’emergente città tosca- noscono i nomi, ma non vicende particolari na, tanto da meritarsi la rielezione all’incarico, della loro vita, ad eccezione dei loro matri- dopo la conclusione del suo primo mandato. moni. I conti Ranieri e Ugolino sposarono Per quasi dieci anni, cioè fino alla vigilia della due donne di casa Visconti mentre un altro sua morte, avvenuta poco prima del 1200, Te- loro fratello, Guido 3°, detto Malaparte, si dice fu il principale ispiratore della politica e- ammogliò con Galliana, figlia di Ermanno da spansionistica di Pisa, cercando di conqui- Uzzano. Sottolineerò ancora una volta che starle sempre nuovi e più ricchi sbocchi di nei secoli passati gli imparentamenti fra le ca- mercato. Nel 1192 e poi nel 1198 egli rinnovò sate più potenti rappresentavano una precisa infatti vantaggiosamente i fondamentali ac- linea di lettura da seguire per comprenderne i cordi commerciali fra Pisa e gli imperatori disegni politici, e, nel caso specifico, coglia- d’Oriente, Isacco Camneo e Alessio III, mol- mo la conferma che, con il legame matrimo- to probabilmente avvalendosi nelle trattative niale di Guido 3°, i Gherardesca miravano a della collaborazione del suo consanguineo, mantenere un solido contatto con Lucca, ma, Ranieri conte di Segalari, il quale, dopo aver con gli altri due sposalizi, gettavano soprat- partecipato alla crociata indetta nel 1188, ave- tutto un ponte verso Pisa, dove, a quell’epo- va preso dimora stabile in Costantinopoli, do- ca, i Visconti godevano di un’assoluta supre- ve, fungendo in pratica da ambasciatore di mazia. Occorre ricordare che i Visconti de- Pisa, era conosciuto come il conte dei pisani. rivavano da quei vice comites che Ottone I Tedice fu convinto assertore per Pisa di u- ritenne opportuno insediare a Pisa quando na politica filoimperiale, verso la quale dove- trovò questa città abbandonata a se stessa dai vano anche incoraggiarlo i suoi parenti del ra- comites, che avevano evidentemente preferito mo di famiglia che, convenzionalmente, de- spostare il proprio campo d’azione verso di- nominerò in seguito come quello dei conti di stretti che, a quel tempo, apparivano più ap- Donoratico. Nel 1192 egli dette così ospitali- petibili, come ad esempio quello volterrano. tà cittadina all’imperatore Enrico VI, figlio di Ora invece, presagendo una decadenza politi- Federico Barbarossa; al monarca egli poi ca di Volterra, dominata del resto ormai dai fornì anche l’appoggio di navi ed armati pisa- suoi vescovi, i Gherardesca tendevano a riav- ni nella spedizione contro Tancredi, re di Sici- vicinarsi a Pisa, che già aveva avviato con lia. Per riconoscenza, l’imperatore riconfermò buon successo la propria espansione maritti- a lui, quasi a titolo di feudo ad personam9, tut- ma e mercantile 8. Questo loro orientamento ti i privilegi che suo padre aveva accordati a

6 P. TRONCI, Memorie istoriche della città di Pisa, Forni, Bologna 1967, p. 58. 7 A.F. MATTEI, Historia Ecclesia Pisana, Venturini, Lucca 1768, vol. I, p. 204. 8 G. VOLPE, Studi sulle istituzioni comunali di Pisa, Nistri, Pisa 1902, p. 273; e W. HEYWOOD, A History of Pisa. Eleventh and Twelth Centuries, University Press, Cambridge 1921. 9 DAVIDSOHN, op. cit., vol. I, p. 919. Una grande casata guerriera del Medio Evo 41

Pisa con il diploma del 1162. Inoltre il conte popolare tramanda che egli fosse particolar- Tedice fece ricostruire e rafforzare il castello mente devoto alla Madonna e che, più volte di Bonifacio, che controllava lo stretto di tentato dal demonio, si affidasse alla Vergine mare fra le isole di Corsica e Sardegna, tra- per respingerlo, finché Satana, sconfitto, non sformandolo in un munito covo di corsari sprofondò in un baratro che da allora fu de- pisani che per qualche tempo da lì operaro- nominato Salto del Diavolo. Non si sa l’anno no contro le navi genovesi che si avventura- esatto in cui Guido rese la sua santa anima a vano in tali acque. A questo proposito biso- Dio, ma una leggenda racconta che, quando gna ricordare che, da alcuni decenni, Pisa a- egli morì, le campane delle chiese dei villaggi veva iniziato una sua penetrazione politica in vicini suonarono da sole, tutte assieme ed a Sardegna e quindi Bonifacio, in questa cor- stormo. Il suo corpo venne tumulato nella nice, avrebbe rappresentato un importante cappella che sorgeva subito al difuori delle avamposto. mura del castello di Donoratico11 ed ivi ripo- Tutta l’azione di questo Gherardesca fu sarono ancor dopo che la fortezza venne rasa quindi volta a valorizzare la potenza marinara al suolo attorno al 1448. di Pisa, favorendone una sempre maggiore af- Si narra che, uno o due inverni successivi fermazione in tutto il Mediterraneo. Il presti- alla distruzione di Donoratico, nevicò nella gio del conte Tedice fu rilevantissimo in tutta zona con inconsueta copiosità e che due bo- Italia, tanto che nel 1198 il papa Innocenzo scaioli trovandosi a transitare, proprio nel III ritenne opportuno inviargli una propria giorno dell’Epifania, nei pressi del castello or- ambasceria di due cardinali, per discutere un mai diruto, notarono, con loro grande stupo- progetto di riappacificazione generale della re, una profumatissima erica completamente Toscana. Per sfortuna dei suoi concittadini, e- in fiore, a dispetto del gelo e del periodo sta- gli venne però a morte alcuni mesi dopo, gionale inappropriato per una tale fioritura. quando da poco doveva aver superato la set- Sotto le radici di questa miracolosa erica12 tantina10. venne rinvenuto il corpo incorrotto dell’ere- Indole del tutto diversa da quella di Tedice, mita Guido che con solennità, fu subito tra- ebbe suo fratello Guido: quanto il primo si e- sferito nella chiesa del castello Gherardesca ra appassionato al governo della cosa pubbli- di Castagneto. Nel 1451 le autorità di Pisa, ca, altrettanto il secondo fu attratto da una vi- venute a conoscenza dello straordinario rin- ta religiosa solitaria e contemplativa. Da gio- venimento, chiesero ai Gherardesca che il vanetto Guido abitò certamente nel castello corpo del Santo venisse traslato nella prima- di Donoratico, che da sempre rappresentava ziale pisana. Sei anni dopo, papa Callisto III, la comune dimora parentale dei Gherardesca, con un suo breve, approvò tale traslazione, e, affascinato dal selvaggio panorama boscoso che venne così effettuata nel 145913. In segui- che circondava la grande fortezza, decise for- to, e precisamente nel 1689, il corpo di Gui- se già da allora di ritirarsi in quelle selve per do fu sistemato nell’altare di S. Ranieri, patro- condurvi vita eremitica. A tempo debito dun- no di Pisa. L’avvenimento fu poi celebrato que indossò il saio e, abbandonato il fasto con una tela che adornò le pareti del duomo della casa paterna, scelse a sua dimora una pisano e che oggi si trova nel Museo Naziona- piccola grotta situata nella stretta vallata che le della città [fig. 5]. oggi si chiama di Santa Maria. La tradizione Dopo la scomparsa di Tedice e Guido, il

10 Il già menzionato documento del 1133 che riporta il lodo fra il vescovo Crescenzo Pannocchieschi e Gena Visconti, vedova di Ugolino, conte di Forcoli, menziona Tedice come se fosse tuttora minore e quindi soggetto alla tutela materna. 11 Nel Medio Evo si usava costruire le chiese al di fuori delle cinte murarie dei castelli, sia per sottolineare l’indipenden- za del clero dal potere del castellano, sia confidando nel fatto che nessun nemico avrebbe mai profanato un luogo sacro e in- difeso. Tracce della facciata della chiesetta di Donoratico sono ancora individuabili sul retro di un edificio rustico, oggi ri- strutturato in albergo. 12 AF, f. 5, n. 4, a. 1597. 13 Annali Camaldolesi, vol. III, pp. 50 e 162. 42 I della Gherardesca

Gian Domenico Ferretti, Il trasporto delle reliquie del beato Guido della Gherardesca, Museo Nazionale, Pisa [fig. 5] Una grande casata guerriera del Medio Evo 43 ramo dei conti di Forcoli iniziò il suo declino Pannocchieschi, vescovo di Volterra, e Gena fino ad estinguersi nell’arco di sole due altre Visconti, vedova del già menzionato Ugolino generazioni. Anche l’omonimo castello uscì conte di Forcoli, la quale, nella circostanza, a- del resto, nel 1182, dai domini della famiglia giva in nome e per conto, non solo dei suoi Gherardesca14. quattro figli minorenni (Tedice poi podestà di Pisa, Guido il santo, Pepone e Monaco), ma anche di tutti gli altri Gherardesca15. Proba- I conti di Frosini e Miranduolo bile ispiratore di detto lodo può darsi che sia stato il cardinale Pietro, cognato di Gena. Frosini, un castello oggi trasformato in villa I conti di Frosini sono nuovamente ricor- signorile, era ed è eretto su di un poggio alto dati nel 1186, allorché sottomisero il proprio e scosceso dalla parte del sottostante torrente castello al comune di Siena, dopo che già nel Feccia; la fortezza sbarrava uno degli accessi 1178 avevano donato al comune medesimo la alla vallata del fiume Merse. La sua posizione, rocca di Miranduolo16. Infine un manoscritto al confine fra il territorio volterrano e quello del 1204, conservato nell’Archivio di Stato di senese, era quindi strategicamente rilevante, Siena, riporta il giuramento fatto da un Ghe- tanto più che rappresentava il fulcro di un si- rardesca, conte di Frosini, ai Nove di Siena; tema fortificato dominato dai Gherardesca, di altri documenti menzionano a più riprese, e cui facevano pure parte le roccheforti di Pa- fino alla metà circa del XIII secolo, membri pena, Serena, Miranduolo e, forse, Chiusdi- della casata comitale come signori del castel- no. Oggi di Papena rimane solo il nome attri- lo, ma, come torno a ripetere, non credo pro- buito ad un casolare agricolo, mentre di Sere- prio che si possa parlare di un preciso ramo na e di Miranduolo sono tuttora visibili alcuni della casata, bensì di un riferimento locale u- ruderi [Appendice, inserto 2]. Per quanto ri- tile alla stesura di atti, ai quali di volta in volta guarda i Gherardesca, che per vari secoli si- parteciparono membri diversi della schiatta gnoreggiarono questo distretto, nel quale era- che annoverò Frosini e Miranduolo fra i pro- no fra l’altro incluse le miniere d’argento pri domini. presso Montieri, non credo che mai sia esisti- to uno specifico ramo della casata che, senza soluzione di continuità, si sia richiamato al ti- I conti di Castagneto tolo di conti di Frosini e di Miranduolo. Vero è invece che di tale titolo si fregiaro- Castagneto, ridente paese a sud di Cecina, no, di volta in volta, alcuni membri della casa- inerpicato sulla vetta di un colle olivato facen- ta comitale, primo fra tutti Gherardo 2°, fon- te parte della prima serie di alture prospicien- datore del monastero di S. Maria di Serena. ti al mare, sorse attorno alla roccaforte dei Ma Gherardo, morto attorno al 1014, non ri- Gherardesca in epoca certamente non troppo sulterebbe aver avuto una propria discenden- diversa da quella in cui fu edificato il grande za e da lui quindi non ebbe origine alcun seg- castello di Donoratico, situato poco distante. mento della schiatta Gherardesca. Il bastione castagnetano [fig. 6] costituì certa- Assai più tardi, invece, troviamo menziona- mente una cerniera importante del sistema ti, come conti di Frosini, altri membri della fortificato che la prosapia comitale realizzò in famiglia che facevano parte del ramo dei con- questa zona, nell’Alto Medio Evo, per proteg- ti di Forcoli. Essi sono citati in un lodo pro- gere, il litorale e soprattutto il suo retroterra nunciato da papa Innocenzo II, nel 1133, per dalle scorrerie dei Saraceni. dirimere una vertenza insorta fra Crescenzo Fra i tanti castelli e le rocche di cui dispo-

14 CATUREGLI, op. cit., doc. n. 558. 15 M. MACCIONI, Difesa del dominio dei Conti della Gherardesca, Riccomi, Lucca 1771, p. 29 [Sommario dei documenti]. 16 ASS, Kaleffo dell’Assunta, doc. del 19 settembre 1178. 44 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 45 nevano i Gherardesca nel territorio incluso Rainone) ebbero origine i conti di Campi- fra i fiumi Cecina a nord e Cornia a sud, Ca- glia, ai quali accennerò fra breve. Degli altri stagneto aveva la funzione di sbarrare la stra- due fratelli conosciamo solo i nomi; uno di da che, dall’acquitrinosa fascia costiera, mena- essi, Ugolino, risulta che abbia sposato una va e mena tuttora verso Sassetta, immettendo- donna della nobile casata pisana dei Gualan- si in quella via collinare che, come già spiega- di, dalla quale nacque quel conte Gualando to, rappresentava nell’antichità il collegamen- che alcuni storici, credo a torto, dicono esser to più praticabile fra Pisa e Roma. Le finalità morto nel 1268 assieme al suo consanguineo militari di questa roccaforte furono chiara- Gherardo, conte di Donoratico, quando mente ribadite nelle Capitolazioni in Acco- questi fu giustiziato a Napoli con il giovanis- mandigia del 1405 fra i Gherardesca e Firen- simo re Corradino di Svevia. Un cugino di ze, ma erano state precedentemente riconfer- Gualando, Uguccionello, fu podestà di Pog- mate dalla costruzione di una nuova torre che gibonsi nel 1225 e di Massa Marittima nel il conte Lorenzo fece erigere nel XVI secolo e 123018 ed un fratello di questi, Tancredi, eb- della quale conserva memoria una lapide an- be per moglie Beatrice, figlia di Guglielmo cor oggi murata su di una delle pareti esterne di Collebarotti, discendente dall’antichissi- dell’attuale fabbricato ristrutturato in tempi ma schiatta dei Gherardenghi di Garfagna- assai più recenti e trasformato in palazzo resi- na. Infine nel 1308, il conte Andrea, figlio denziale. Quando, attorno al 1448, venne di- del precitato Gualando, fu generale dei Vol- strutto il castello di Donoratico, l’abitato e la terrani nella guerra contro San Gimignano19. popolazione di Castagneto registrarono un re- Dopo questi personaggi di modesto valore pentino incremento dovuto alla necessità di storico, i conti di Castagneto, per alcuni de- dare asilo a tutti coloro che, avendo origina- cenni, svanirono dalla ribalta di una vita riamente avuto le proprie case attorno al ma- pubblica di un qualche peso ma non cessa- niero fatto saltare dai Fiorentini, furono in- rono di tessere quella trama di complessi in- dotti a traslocare, preferendo avvicinarsi ad trecci matrimoniali che, all’epoca, costituiva- un luogo più protetto da eventuali attacchi di no le premesse ed il barometro delle ambi- nemici e soprattutto dalle scorrerie dei pirati, zioni coltivate da un gruppo familiare. Ai ancor frequentissime a quell’epoca. primi del XIV secolo vennero infatti allac- Il ramo dei Gherardesca detto dei conti di ciati o riallacciati nuovi legami con i Belfor- Castagneto ebbe inizio nel XII secolo ad o- te, signori di Volterra, con le nobili casate pi- pera di un capostipite di nome Tancredi, fi- sane dei Gualandi, dei da Caprona, dei da glio di Tedice 4°; dopo di lui, l’espansione Corvaja, dei della Rocca ed infine con la po- numerica di questo segmento della casata tente famiglia dei Gonzaga di Mantova. I comitale fu assai rapida, ma, a dispetto di frutti non tardarono a manifestarsi. Ed infat- ciò, il suo peso politico rimase sempre infe- ti i due fratelli, conti Dea e Giovanni, furono riore a quello di altri rami della famiglia. A senatori di Pisa, rispettivamente nel 1349 e cominciare infatti dai quattro figli maschi nel 1357; alcuni anni dopo, nel 1370 20, fu il del conte Tancredi, poco o niente di loro ci conte Gualando, figlio di quel Lorenzo che tramanda la storia. Sappiamo solo che Al- aveva eretto l’ultima torre del bastione casta- berto fu canonico della Metropolitana di Pi- gnetano, ad essere inviato ambasciatore dei sa e, secondo alcuni studiosi17, anche vesco- Pisani a Roma e poi, nel 1373, ad essere elet- vo di Massa Marittima, e che da Remone (o to vicario nella città di Perugia, dove, fra

17 G. ROSSETTI, Pisa nei secoli XI e XII. Formazione e carattere di una classe di governo, Pacini, Pisa 1979, p. 104, nota 62. Cita il conte Alberto come canonico e visconte di S. Maria; G. VOLPE, Toscana medievale: Pisa, Sarzana, Massa Marittima, Sansoni, Firenze 1964, pp. 17-18, cita il conte Alberto come vescovo di Massa Marittima. 18 ASS, Cartapecore di Massa; e VOLPE, Toscana medievale, cit., p. 105. 19 AF, f. 98, a. 1308. 20 R. SARDO, Cronaca pisana dall’anno 962 al 1400, Istituto Storico Italiano per il Medio Evo, Roma 1963, p. 180, n. 2. 46 I della Gherardesca [fig. 6] Proprietà Gherardesca Ricostruzione pittorica della rocca e dell’antico borgo di Castagneto. Sulla sinistra si intravede Segalari Una grande casata guerriera del Medio Evo 47 l’altro, stese il suo testamento21. che fu detto dei conti di Campiglia [tav. 6]. A questo punto è interessante evidenziare Per questo riferimento vale quanto già ricor- che tutti questi incarichi vennero conferiti ai dato precedentemente e cioè che l’aggiunta di conti di Castagneto, solo dopo che si era con- un richiamo geografico al titolo di conte, co- clusa a Pisa la signoria dei loro parenti, conti mune a tutti i componenti della schiatta, non di Donoratico; tale circostanza potrebbe in- aveva assolutamente valore di investitura feu- durre a pensare che il precedente disimpegno dale bensì di più agevole individuazione del di questi Gherardesca fosse ricollegabile a territorio operativo di un determinato nucleo qualche loro dissapore familiare o politico della casata. con la più potente e ricca componente della Un documento del 19 giugno 1139 riporta, casata. ad esempio, che il conte Ildebrando di Biser- La ripresa del ramo dei conti di Castagneto no cedette alla Mensa di Pisa la parte dei pro- risultò tuttavia di breve respiro, poiché essi pri possedimenti ubicati nel distretto di Cam- vennero falcidiati dalla grande pestilenza del piglia, confermandoci in tal modo che anche 1348 e questo segmento dei Gherardesca si e- questo ramo dei Gherardesca vantava suoi stinse verso la prima metà del XV secolo, do- domini nell’area. Altro manoscritto del 127422 po aver peraltro fatto a tempo a ratificare gli ci narra di Preziosa dei conti di Campiglia an- accordi del 1405 fra la Repubblica Fiorentina data sposa a Veltro da Corvaja, ma questa fi- e la loro schiatta. glia del conte Uguccionello di Castagneto A seguito di tali intese la fortezza castagne- non faceva assolutamente parte di quel ramo tana conservò le proprie originarie finalità di- della famiglia che si fregerà con continuità del fensive, ma poi, con il graduale venir meno titolo in argomento a partire da Remone, zio dei suoi antichi scopi militari, modificò il suo di Preziosa. aspetto arcigno e turrito nelle più pacate sem- Da quanto sopra si può concludere che a bianze di un «palazzo baronale» (come lo de- Campiglia fecero riferimento pure altre ramifi- finisce il Repetti), che solo per l’abnorme cazioni dei Gherardesca, anche se solo nel spessore dei propri muri ricorderà sempre il XIII secolo un particolare segmento della pro- vero fine per il quale questo bastione fu co- sapia si richiamò ad esso con maggiore insi- struito tanti secoli orsono. stenza. I conti di Campiglia furono dunque o- riginati dal suddetto Remone e si protrassero per appena quattro generazioni senza che nes- I conti di Campiglia suno di essi ci abbia lasciato tracce d’imprese realizzate, o di cariche pubbliche ricoperte, o Campiglia Marittima è oggi una cittadina di significative alleanze matrimoniali contrat- collinare che, affacciandosi verso la vallata te, salvo quella di un loro conte Lodovico con del fiume Cornia, guarda verso l’ampio golfo Ghiga dei Belforti, signori di Volterra. di Piombino. Un tempo sorgeva forse su quello che oggi è detto Monte di Campiglia Vecchia, e probabilmente si trattava ancora di I conti di Segalari un piccolo castello, quando, nel 1004, il conte Gherardo 2° della Gherardesca ne assegnò la Segalari era una rocca eretta su di un rilie- propria metà al monastero di S. Maria di Se- vo poco distante da Castagneto. Dell’origina- rena da lui fondato. La signoria della casata rio edificio non restano oggi tracce tali da comitale su Campiglia risale dunque ad un consentire una sia pur approssimativa rico- periodo assai più remoto rispetto a quello in struzione immaginaria del suo primitivo a- cui s’individua quel ramoscello della prosapia spetto. L’attuale immobile è frutto infatti d’in-

21 AF, f. 153, a. 1374. 22 GUIDONE DA CORVAJA, Cronaca pisana. 48 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 49 numerevoli ritocchi apportati nel corso di e- gio in ogni battaglia a cui prese parte. Alla poche diverse, a seconda della destinazione di conclusione della crociata, Ranieri, affascina- volta in volta attribuita alle sue strutture mu- to da quel mondo così diverso da quello in rarie. In posizione isolata, rispetto al fabbrica- cui era nato e vissuto, decise di stabilirsi a to principale, rimane invece ancora una delle Costantinopoli e da lì, in buona sintonia con originarie torri del castello. Come il vicino ra- il suo consanguineo Tedice conte di Forcoli, mo dei conti di Castagneto, anche quello dei eletto in quei medesimi anni podestà di Pisa, conti di Segalari [tav. 7] procedette da un fi- curò con successo i rapporti con gli impera- glio omonimo di Tedice 4°, da cui si dirama- tori bizantini che, anche per merito suo, rin- rono due segmenti della progenie: quello di novarono con Pisa quegli accordi commer- Segalari, al quale accennerò nel presente pa- ciali che tanto interessavano alla Repubblica ragrafo, e quello dei conti di Settimo, del qua- per rafforzare la propria attività mercantile in le tratterò più a lungo in seguito collegandone Oriente. le vicende con quelle dei Gherardesca, conti Nel 1201, però, quando ormai Tedice era di Donoratico e signori di Pisa. defunto, Ranieri compromise le sue buone Prima d’inoltrarmi però nel breve compen- entrature a corte, favorendo la fuga in Occi- dio della storia dei conti di Segalari, penso sia dente del principe Alessio, che intendeva opportuno segnalare il matrimonio contratto chiedere aiuti alle nazioni europee in favore dal loro capostipite, Tedice 5°, con Preziosa, di suo padre, Isacco III, che era stato detro- figlia di Costantino Lacon Serra, giudice di nizzato dal fratello, Alessio III 23. A seguito Cagliari. Occorre ricordare in proposito che, di questa sua intromissione nelle faccende nel Medio Evo, la Sardegna era suddivisa in interne dell’impero, il conte di Segalari do- quattro regni, detti giudicati, dei quali quello vette sloggiare in tutta fretta da Costantino- di Cagliari era di gran lunga il più esteso ed poli e rientrare a Pisa. Egli non era però uo- importante. mo da stare con le mani in mano e così, nel Il matrimonio fra Tedice e Preziosa rappre- 1202, fu ancora alla ribalta comandando le sentò un primo significativo segno dell’inte- truppe pisane che conquistarono Siracusa24, ressamento dei Gherardesca per la Sardegna e tenendola sotto loro controllo nei successivi da quel momento l’influenza della casata co- due anni. Poi, nel 1211, ancora Ranieri ca- mitale nell’isola si accentuò in misura vieppiù peggiò una rivolta di coloni pisani che si era crescente, fino a marcarne profondamente ol- installati nell’isola e che, partigiani dell’im- tre un secolo e mezzo di storia. Di tutte que- peratore Ottone IV, si erano ribellati al gio- ste vicende sarde parlerò fra non molto in un vanissimo Federico di Svevia, re di Sicilia, da apposito capitolo, mentre ora mi limito solo poco eletto anch’egli imperatore in contrap- ad illustrare i fatti che più specificatamente ri- posizione ad Ottone stesso. Questa volta tut- guardano il ramo dei conti di Segalari. tavia la buona sorte abbandonò l’avventuro- Questo spezzone dei Gherardesca mise su- so conte di Segalari: fatto prigioniero dai sol- bito in evidenza due personaggi di ragguar- dati di Federico, fu portato via con sé dallo devole spessore: i fratelli Ranieri e Alberto, Svevo nel marzo del 1212, quando questi, figli di Tedice 6°. Il primo, Ranieri, fu soprat- dopo aver eluso il blocco navale dei Pisani, tutto un guerriero, ma, in un particolare mo- si recò in Germania per farsi riconfermare la mento della sua vita, seppe anche dimostrarsi nomina imperiale e diventare quel Federico abile negoziatore in favore degli interessi pi- II che tanta influenza poi ebbe nella storia i- sani nel Medio Oriente. Ancor giovanissimo, taliana tutta, ma in particolare in quella pisa- egli partecipò, nel 1188, alla terza crociata in na ed in quella della famiglia Gherardesca. Terra Santa, distinguendosi per doti di corag- Da tale forzoso viaggio Ranieri mai più fece

23 W. HEYD, Histoire, vol. I, p. 265; VOLPE, Studi sulle istituzioni comunali di Pisa, cit., p. 326. 24 VOLPE, Studi sulle istituzioni comunali di Pisa, cit., pp. 345-47. 50 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 51 ritorno e di lui si persero da quel momento Dopo questo personaggio non ho trovato le tracce. però nient’altro di notevole che concerna i Suo fratello Alberto privilegiò invece la cu- conti di Segalari e pertanto non mi resta che ra delle faccende di governo rispetto a quelle segnalare che, nel 1434, il castello uscì par- guerresche; fu infatti podestà di Volterra negli zialmente dai domini dei Gherardesca, allor- anni 1215 e 122625 e forse ancora una volta quando un altro conte Alberto, morendo sen- nel 1252, quando riuscì a sottomettere a Vol- za discendenza e non essendo più legato da terra il castello di Montevoltraio26. Nel perio- vincoli parentali di solidarietà patrimoniale, do intercorrente fra i suoi due ultimi mandati per essere state superate le sette generazioni podestarili, questo conte di Segalari ricoprì a dall’avo in comune con i conti di Settimo, la- Pisa la carica di console nel 1235 e quella di sciò erede della sua porzione di possesso il ni- senatore nel 1237. Alla sua morte, i volterra- pote Guglielmo Ceuli di Pisa28. ni, riconoscenti per i tanti servigi resi loro sia Venticinque anni dopo, Bartolomea, figlia in pace che in guerra da questo Gherardesca, del conte Duccio di Castagneto, a sua volta vollero che a sua memoria fosse apposta una vendette ai Ceuli la propria caratura su Sega- lapide nel battistero di Volterra, mentre il suo lari che in tal modo uscì completamente dai stemma gentilizio ancor oggi adorna una delle domini della casata comitale 29. In tempi assai facciate dell’antico palazzo comunale, a ricor- posteriori, i Gherardesca ripresero in affitto do dei suoi podestariati. dai Ceuli questi loro antichi possessi; a quel- Sulla base dell’albero genealogico stilato l’epoca il castello era ormai stato destinato ad dal Litta, con inspiegabile avarizia per quan- uso agricolo. Di questa affittanza rimane, to riguarda questo ramo dell’antica casata, nell’archivio Gherardesca, il curioso contrat- nient’altro dovrei aggiungere alla storia dei to che fra le altre clausole, prevede l’annua conti di Segalari. consegna di alcuni maiali da portarsi... alle Tuttavia, questa volta, farò uno strappo alla porte di Pisa o di Pontedera. Solo sul finire regola impostami e mi riferirò ad alcuni docu- del 1800, mio nonno Walfredo Tedice, dopo menti, nonché agli studi di altri genealogisti alcuni contrattempi30, riuscì a ricomprare Se- più recenti, per segnalare le vicende di perso- galari e subito pose mano alla ristrutturazio- naggi di questo segmento familiare trascurati ne, rimasta peraltro incompiuta, di quanto dal Litta nella sua opera, malgrado che di vari residuava del corpo edilizio principale, orien- di essi io abbia trovato precise tracce nell’ar- tandosi, secondo il gusto imperante a quell’e- chivio Gherardesca, certo consultato anche poca, verso l’attuale discutibile aspetto neo- dal Litta stesso. Compaiono così due podestà gotico. di Campiglia, Bartolomeo e Giovanni, e un senatore di Pisa, Coscio, tutti e tre figli di quel conte Gano che è ricordato per essere stato al I conti di Biserno comando di una delle galee pisane che prese- ro parte alla sfortunata battaglia della Melo- Biserno era una rocca ubicata nella parte ria. Inoltre risulterebbe anche che il conte Al- meridionale di quelle alture che dal fiume Ce- berto, quello che era stato podestà di Volter- cina si elevano parallelamente al mare fino al ra, avesse avuto un figlio di nome Rinaldo che fiume Cornia e che per secoli furono dette fu, a sua volta, podestà di Massa Marittima 27. Monti della Gherardesca. Di essa non riman-

25 AF, f. 98, aa. 1215 e 1226. 26 AF, f. 95, n. 14. 27 AF, f. 98, a. 1232. 28 AF, f. 99, a. 1434. Questo conte Alberto venne sepolto nella chiesa di S. Giovanni a Volterra. 29 AF, f. 98, aa. 1434 e 1459; e f. 99, a. 1434. 30 In un primo tempo i Ceuli vendettero ai Merlini di Castagneto e furono dunque questi ultimi a rivendere Segalari ai Gherardesca. 52 I della Gherardesca gono oggi nemmeno i ruderi, anche se è opi- ceppo principale della prosapia, con la quale nione generale che dovesse trovarsi situata ad peraltro essi seguitarono ad avere intensi rap- est dell’attuale paese di S. Vincenzo, in zona porti sia per la contiguità dei rispettivi terri- oggi occupata dalle cave della Solvay. tori in Maremma che delle proprie torri in La memoria più antica di questa roccaforte Pisa. risale ad un documento in essa redatto Il ramo dei Biserno fu abbastanza fronzuto, nell’anno 80131, ed il dominio dei Gherarde- ma, a dispetto di tale rigoglio, i suoi perso- sca sulla medesima è attestato dall’atto di fon- naggi degni di nota non furono molti. Il pri- dazione del monastero di S. Maria di Serena mo ricordato dalla storia fu il conte Ildebran- nel 1004, quando il conte Gherardo 2° men- do 2°, che nella guerra fra Pisa e Lucca del ziona la propria metà della «corte di Biserno» 1171, fu «signifer et vexillifer»32 dei Pisani. [tav. 8]. In seguito un ramo della grande casa- Anche suo figlio Tedice fu fra i condottieri in ta comitale si fregiò del titolo di «conti di Bi- tale conflitto, e poi partecipò anche alla guer- serno»; questi Gherardesca, trovandosi a di- ra contro Genova, controfirmandone la pace fendere il lembo meridionale dei domini fa- del 1188. Inghiramo 1°, nato da detto Tedice, miliari, più che verso Pisa, gravitarono, grada- fu forse podestà di Volterra nel 1210, ma di tamente nel tempo, prima verso Massa Marit- questo evento ho solo trovato un accenno ma tima e poi, in ultimo, verso Siena, quando nessun documento certo, ed il conte Iacopo, questo comune estese la propria influenza suo figlio, fu senatore di Pisa nel 1241. Pochi sulla Maremma Massetana. In Pisa, infatti, i anni prima, e più esattamente nel 1237, era conti di Biserno, pur possedendovi torri e pa- stato firmato un solenne accordo di riappaci- lazzi nel quartiere di Chinseca come altri rami ficazione fra i Visconti, i Gherardesca e varie dei Gherardesca, ebbero influenza e poteri li- comunità del contado di Pisa. Fra i firmatari mitati. Per questa loro «marginalità», da alcu- del documento figurarono due conti di Biser- ni storici è stata persino ventilata l’ipotesi che no: il summenzionato Iacopo che, per essere essi non appartenessero nemmeno alla stessa di tendenze guelfe, si allineò con i Visconti, e stirpe longobarda dei Gherardesca, ma è pro- suo fratello Guglielmo che, da buon ghibelli- prio richiamandosi a tale origine che si può no, si associò invece al comune di Pisa assie- invece meglio comprendere l’effettiva posi- me agli altri componenti della schiatta Ghe- zione di questo spezzone della famiglia rispet- rardesca. Questo conte Guglielmo sarà poi to al restante parentado. inviato in Sardegna come vicario della Repub- Per l’editto di Rotari, infatti, un nucleo fa- blica Pisana ma di lui parlerò nuovamente a miliare era considerato tale fino alla settima tempo debito. generazione, partendo da un antenato comu- Il personaggio storicamente più rilevante ne. Orbene nel caso dei conti di Biserno, par- dei da Biserno è, senza ombra di dubbio, il tendo da Gherardo 5°, progenitore in comu- conte Inghiramo 2°, che, convinto assertore ne con altri Gherardesca, le generazioni del del partito guelfo, fu sostenitore del dantesco segmento andarono ben oltre il suddetto limi- conte Ugolino, quando questi cercò di orien- te e pertanto, secondo la legge longobarda ri- tare la politica pisana verso una maggiore in- spettata dalla loro schiatta, essi, ad iniziare tesa con i confinanti comuni della Taglia dall’ottava generazione, non furono più ob- Guelfa. Quando infatti Ugolino fu esautorato bligati da vincoli di proprietà e di solidarietà ed imprigionato dai suoi avversari, Inghira- familiare con coloro che rimanevano a far mo fu il solo a tentare di portargli concreto parte dell’originario nucleo parentale. aiuto; mosse infatti guerra a Pisa, ponendosi Solo in questo senso dunque i conti di Bi- in marcia contro di essa alla testa delle sue serno potevano considerarsi distaccati dal truppe. Come prima iniziativa egli strappò ai

31 REPETTI, op. cit., vol. I, pp. 328-29. 32 VOLPE, Toscana medievale, cit., p. 32. Una grande casata guerriera del Medio Evo 53 54 I della Gherardesca

Palazzotto dei conti di Biserno nella piazza del duomo di Massa Marittima [fig. 7] Una grande casata guerriera del Medio Evo 55

Pisani il castello di Vada, lasciandoselo alle zione. In effetti Inghiramo 2° morì nel 1313, spalle custodito da una sua guarnigione. Ag- non già a Biserno bensì a Massa Marittima, di girando poi i monti del Gabbro, si portò nel- cui era divenuto cittadino e nella quale posse- la piana di Collesalvetti, onde investire Pisa deva una casatorre che ancor oggi si può am- da posizione strategicamente più favorevole, mirare nella splendida piazza principale della ma lì trovò ad attenderlo Conticino de’ Pan- cittadina [fig. 7]. Egli fu solennemente sepol- nocchieschi, che aveva invece condotto i pro- to nel duomo di Massa Marittima, e sulla pa- pri armati a sostegno dei ghibellini pisani, ne- rete esterna destra della chiesa fu apposta una mici di Ugolino. Nello scontro violento che lapide per tramadare ai posteri la memoria di ne seguì, la vittoria arrise al conte di Biserno questo grande guerriero. ma il successo d’Inghiramo non valse a salva- Dopo la sua scomparsa, seguirono altre tre re il suo consanguineo che nel frattempo si e- generazioni dei conti di Biserno ed alcuni di ra spento con i suoi familiari nella tragica essi sono menzionati nella pace che fu stipula- Torre della Fame. Fallito il suo progetto, ad ta nel 1329 fra Pisa, Firenze e Massa Maritti- Inghiramo non rimase allora che rientrare ma. Verso la metà del XIV secolo, questo ra- nelle sue terre e, in seguito, far pace con Pisa, mo della casata però si estinse ed i suoi posse- cui restituì anche il castello di Vada. dimenti, non più vincolati da solidarietà pa- Questo bellicoso personaggio sarà di nuo- rentale, si dispersero in gran parte al di fuori vo alla ribalta quando, nel 1296 e nel 1297, del dominio della prosapia d’origine, anche se venne nominato Capitano Generale della Ta- rimane notizia che il conte Duccio di Casta- glia Guelfa e cioè della lega che univa fra di gneto acquistasse, nel 1334, varie terre in Bi- loro i vari comuni toscani di tendenza guelfa. serno nei pressi della rocca o di quanto di essa La radicata fede politica d’Inghiramo si scon- rimaneva33. Altri documenti34 accennano an- trò dunque ancora una volta con il risorgente che a locazioni, compere e spartizioni di beni ghibellinismo pisano; e così, nel 1296 prima e che furono dei conti di Biserno, ma nessuna nel 1304 poi, Pisa attaccò la rocca di Biserno, notizia certa ci è mai pervenuta di quando e sottoponendola ad assedi che probabilmente perché la rocca venne completamente rasa al costituirono l’avvio della sua completa distru- suolo.

33 AF, cartapecora n. 51. 34 E. CRISTIANI, Nobiltà e popolo nel Comune di Pisa. Dalle origini del podestariato alla signoria dei Donoratico, Istituto I- taliano di Studi Storici, Napoli 1962, p. 386.

CAPITOLO TERZO

Le prime generazioni dei conti di Donoratico

Il castello di Donoratico e l’autonomia tovenere a Civitavecchia. In detto diploma, dei Gherardesca in Maremma tuttavia, si evita con cura di menzionare, quali oggetto di tale imperium, località comprese Un’ipotesi suggestiva farebbe derivare il fra i fiumi Cecina e Cornia, a dispetto del fat- nome di Donoratico da «Dominus hierati- to (e forse proprio per il fatto) che in tale ter- cus» e cioè da S. Walfredo in quanto «signore ritorio ricadessero castelli e rocche dell’im- ieratico (sacerdotale)». Forse però la denomi- portanza di quelle dei Gherardesca. In base a nazione che fu data al grande castello dei tale assegnazione, la giurisdizione di Pisa po- Gherardesca, eretto fra il X e l’XI secolo so- teva estendersi su tutto quanto essa avesse pra uno sprone collinare prospiciente al ma- posseduto «toto retro trigintas annos» ed è re, a sud di Castagneto, trova il suo vero eti- quindi evidente che la formula escludeva quei mo in «Domno-ra-aticus» e cioè «Residenza domini sui quali i Gherardesca vantavano an- dei signori». Che sia corretta o meno que- tichissime origini allodiali. st’ultima etimologia, resta comunque di fatto Una spiegazione di tutto ciò la fornisce che Donoratico rappresentò per secoli il sim- Maria Sacerdotti nel suo saggio Il diploma di bolo del potere della prosapia dei Gherarde- Federico Barbarossa ai Pisani [Mariotti, Pisa sca ed il perno fondamentale di quell’articola- 1924, p. 17], quando non può fare a meno di to sistema di fortificazioni che la schiatta co- rilevare che, a fronte del contado vero e pro- mitale si costruì a difesa dei propri domini. Il prio dominato da Pisa, esisteva un «vetus co- castello, da posizione quasi baricentrica, con- mitatus» sul quale dominavano invece i conti trollava infatti quel territorio, compreso fra i Gherardesca. Anche Michele Luzzatti, in un fiumi Cecina e Cornia, che fu signoria della suo studio apparso nella Storia d’Italia a cura casata comitale per tutto il Medio Evo e che di G. Galasso, nel disquisire sulla nascita del anche nell’Evo Moderno conservò peculiari comune di Pisa, ci conferma che dalla giuri- caratteristiche di vero e proprio stato indi- sdizione del comune pisano, rapidamente e- pendente entro i confini medesimi del Gran- stesasi in tutto il contado, si preservarono pe- Ducato di Toscana. Tale aspetto dell’enclave raltro alcuni «grossi complessi signorili come in argomento è stato del resto chiaramente e- è il caso dei Gherardesca» che conservarono videnziato, nel corso dei secoli, da documenti una «speciale giurisdizione» sui territori ma- e fatti che di seguito elencherò brevemente, remmani da loro dominati1. riservandomi, per alcuni di essi, una trattazio- Per meglio intendere il processo che si svi- ne più ampia e dettagliata in altra parte di luppò nell’Alto Medio Evo, con l’espandersi questo lavoro. del potere di quei comuni nel cui contado ri- 1/ Con il diploma imperiale del 6 aprile cadevano i possessi dell’antica schiatta comi- 1162, Federico I, detto il Barbarossa, assegnò tale, e comprendere le ragioni per cui alcuni a Pisa la sovranità, peraltro in gran parte pla- di questi domini si preservarono dagli effetti tonica, sui territori litoranei tirrenici da Por- di tale espansione, rinvio il lettore ad un esa-

1 Storia d’Italia, a cura di G. Galasso, Utet, Torino 1987, vol. VII, p. 580. 58 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 59 me dell’inserto 2 dell’Appendice al presente tamente delimitati nel precitato trattato del lavoro ed in particolare alla cartina geografica 1405, ribadendo con tale delibera la loro par- che ne fa parte. Sarà con essa facile visualizza- ticolare indipendenza. re come l’enclave fra la Cecina ed il Cornia si 5/ Dal 1405 sino a ben oltre la metà del trovasse assai defilato rispetto a tutti i più im- 1700, i Gherardesca, a più riprese e sempre portanti comuni toscani dell’epoca (Volterra, ottenendone soddisfazione, richiamarono la Pisa, Siena ed infine Firenze), e quindi lonta- Repubblica Fiorentina prima, la Signoria di no dalle loro brame espansionistiche. Da que- Firenze poi ed infine il Granducato di Tosca- sto dato di fatto, non sarà difficile compren- na, al rispetto delle varie clausole dell’Acco- dere il motivo per cui i Gherardesca poterono mandigia, e ciò ogni qual volta esse vennero in tale territorio mantenere a lungo la loro au- disattese dalle autorità fiorentine4 che con il tonomia giurisdizionale. trascorrere dei secoli, sopportavano con sem- 2/ In base ad un documento del 22 luglio pre maggior insofferenza le pastoie imposte 12132, i Gherardesca, agendo in assoluta indi- da questo antico trattato di «durata perpe- pendenza, sottoscrissero un trattato di allean- tua». za con Gullo, podestà di Volterra, impegnan- 6/ Questa situazione di autonomia fiscale, dosi a difendere tale comune nel caso fosse militare e, in parte, giurisdizionale, bene o stato aggredito da un qualche nemico, a patto male si protrasse senza intralci fino al 1766 e che esso si astenesse dall’intraprendere azioni cioè fino all’arrivo a Firenze del diciottenne ostili ai danni di Pisa. Incidentalmente segna- granduca Pietro Leopoldo I di Lorena, figlio lo che l’accordo venne stipulato a nome di dell’imperatore Francesco I e di Maria Teresa tutta la «domo Gherardesca», rivelandoci che d’Austria. Il giovane principe, con inaspettato questo cognome della schiatta era già in uso zelo, pose subito mano ad una sostanziale o- in quella lontana epoca. pera di svecchiamento del suo nuovo Stato Non si vede proprio come la casata comita- che la fiacchezza degli ultimi Medici e la lun- le avesse in tal modo potuto agire se fosse ga inerte reggenza per tutto il periodo duran- soggiaciuta alla giurisdizione di Pisa stessa, te il quale Francesco I, solo nominalmente, e- oggetto invece, in questo caso, della «prote- ra rimasto granduca di Toscana ma in realtà si zione» dei Gherardesca. era solo dedicato alle cure dell’impero au- 3/ In tempi assai successivi, l’indipendenza striaco, non avevano certo contribuito ad ade- dei Gherardesca venne sancita dalle «Capito- guare alle mutate esigenze dei tempi. Fra gli lazioni in Accomandigia» stipulate nel 1405 altri provvedimenti, miranti al riordino del- fra la Repubblica Fiorentina e la casata comi- l’amminstrazione statale, Pietro Leopoldo de- tale, senza che alla firma di questo fondamen- cise quello di un aggiornamento del catasto di tale patto intervenisse alcun altro soggetto tutte le proprietà fondiarie. Per far ciò egli che potesse vantare diritti sul territorio che, partì dal «Libro dei Feudi», istituito da suo da sempre, era di esclusiva signoria dei Ghe- padre con una legge promulgata nel 1749, rardesca stessi. quando, per soli tre mesi (prima di essere e- 4/ Ulteriore riprova dell’autonoma posizio- letto imperatore d’Austria), egli fu di persona ne dei Gherardesca rispetto a Pisa, proviene a Firenze in qualità di primo granduca di To- da un documento del 12 giugno 14143, suc- scana della famiglia Lorena. cessivo pertanto alle «Capitolazioni», nel qua- Fu a quel momento che Pietro Leopoldo le, in occasione di alcune sanzioni inflitte dai constatò che i Gherardesca, pur proprietari di fiorentini ai pisani, si escludono dalle medesi- vastissime tenute nella Maremma Pisana, non me tutti i domini dei Gherardesca, dettaglia- figuravano fra gli inscritti in tale libro e che,

2 SCHNEIDER, op. cit., doc. 313. 3 AF, cartapecora n. 51; e f. 58, n. 6, a. 1414. 4 M. LUZZATI, Firenze e l’area toscana, in Storia d’Italia, a cura di G. Galasso, Utet, Torino 1987, vol. VII, p. 669; e Ap- pendice, inserto 3. 60 I della Gherardesca per di più, nei loro domini essi esercitavano 7/ La posizione di autonomia signorile go- un autonomo potere che costituiva un indub- duta dalla schiatta comitale, è anche compro- bio problema per un corretto ed autorevole vata dai tanti matrimoni da essa contratti con funzionamento di un governo centralizzato, prosapie regnanti, che li consideravano dun- così come lo concepiva il giovane granduca. que loro pari grado. Basti citare, in primis, i Egli ingiunse allora ai Gherardesca di produr- due sposalizi con la casata imperiale degli re, in tempi ristrettissimi, i titoli che compro- Hohenstaufen, e poi quelli con i Gonzaga di vassero la natura allodiale (e non feudale) dei Mantova, i Medici di Firenze, i Carraresi di loro possedimenti. Allo straniero Lorena tale Padova, i Pio di Carpi, gli Appiano d’Arago- natura non appariva infatti altrettanto chiara na di Piombino, i Belforti di Volterra e i Ca- di quanto sempre fosse apparsa, in passato, ai stracane degli Antelminelli di Lucca. toscanissimi suoi predecessori Medici. Fu in È dunque verità difficilmente confutabile tal modo avviata una controversia giudiziaria, che nel Medio Evo i Gherardesca gestirono in peculiare nel suo genere, il cui esito, come ve- assoluta indipendenza i loro domini marem- dremo in altra parte di questo lavoro, andò mani, dai quali, per secoli, trassero i soldati profilandosi talmente incerto ai fini delle in- per i loro eserciti, dei quali curarono in pro- tenzioni ammodernatrici del granduca, da prio la difesa e nei quali esercitarono una consigliarlo a… tagliar corto. Prima pertanto completa giurisdizione sia civile che penale, che venisse emmessa dalla magistratura una quest’ultima parzialmente ridotta nel 1405, sentenza sfavorevole ai suoi desiderata, Pietro quando la famiglia comitale si raccomandò al- Leopoldo, nel 1775, promulgò un rescritto (o la Repubblica di Firenze. È vero peraltro che, motu proprio) con il quale impose ai Gherar- prima di allora, la Repubblica Pisana si era desca d’iscriversi nel famoso «Libro dei Feu- talvolta intromessa nella signoria dei Gherar- di» e di ricevere di conseguenza formale inve- desca sul loro territorio; ciò deve però inter- stitura feudale per quei domini che in realtà e- pretarsi non già come un fatto sostanziale, ma rano pervenuti loro, nell’Alto Medio Evo, per piuttosto come un atteggiamento formale vo- conquista longobarda ed erano quindi di na- luto ed accettato dai Gherardesca stessi per tura allodiale. I Gherardesca, consci dell’inuti- opportunità politica5, e consigliata dalla ne- lità e dell’impossibilità di continuare a contra- cessità di non apparire stranieri agli occhi dei stare, come per il passato avevano fatto, l’a- Pisani, nei cui affari di governo i conti ma- vanzare dei tempi nuovi, accettarono a malin- remmani, per secoli, vollero intromettersi. cuore il diktat granducale e, dopo dieci secoli, persero così le ultime prerogative di governo autonomo che ancora godevano nella loro I conti di Donoratico da Gherardo 3° Contea, in forza del trattato del 1405. a Gherardo 5° Anche se giuridicamente discutibili, le ra- gioni del granduca erano comprensibilissime, Ma torniamo ora a Donoratico, cioè a quel- poiché l’autonomia di questo enclave mal si la grande fortezza di cui oggi rimane solo il contemperava con gli schemi di un’ammini- troncone di una delle torri ed alcune tracce strazione statale più moderna, e rappresenta- delle cinte murarie. Come ho già avuto modo va soprattutto un pericoloso, e talvolta esplo- di spiegare, tutti i componenti della prosapia sivo, elemento d’attrito fra i Gherardesca ed i Gherardesca, e non solo quindi uno specifico loro sudditi delle comunità presenti nella ramo della medesima, sempre si qualificarono Contea. come conti di Donoratico. È pertanto unica-

5 Nel 1340, in piena signoria dei Gherardesca, Pisa inviò propri capitani a Castagneto, Bolgheri e Donoratico. Nel far questo, era evidente che si intendeva solo rendere un servigio ai propri signori. Peraltro due anni prima [G. ROSSI SABATINI, Pisa al tempo dei Donoratico (1316-1347), Sansoni, Firenze 1938, p. 69] era stato costruito un ponte sul fiume Cecina alle cui testate erano state apposte, da un lato, le armi del comune di Pisa e, dall’altro, quelle dei Gherardesca quasi a segnare il con- fine fra i due stati diversi. Una grande casata guerriera del Medio Evo 61 mente per esigenze narrative che io indicherò possibile che Gherardo 5° abbia partecipato a come tali solo i membri di quello spezzone questa spedizione guerresca, ma è comunque della schiatta che ebbe origine dal conte Ghe- certo che egli era stato a Napoli anche alcuni rardo 3°, figlio di Tedice 1° e di Berta Aldo- anni prima, e più esattamente nel 1059, allor- brandeschi. ché figurò fra i «grandi» che assistettero al si- Per la verità, in un primo momento, avevo nodo tenuto a Benevento da papa Niccolò II. pensato di accennare a questo segmento della Fu pertanto in una di queste due circostan- casata comitale come a quello dei «Gherarde- ze che egli ebbe modo di conoscere e di spo- schi», così come in effetti furono chiamati alla sare Stefania, figlia del duca Sergio, assieme loro epoca, poiché fu appunto con essi che si alla quale, attorno al 1090, egli fondò poi, a consolidò il cognome che portiamo tutt’oggi. Montescudaio, il convento di S. Maria per In ogni loro generazione figura infatti almeno suore benedettine, dotandolo, secondo l’uso un Gherardo e vari di tali Gherardi furono dei tempi, di consistenti suoi beni6. storicamente famosi. Ho tuttavia concluso che nessuno meglio di questi «Gherardeschi» potesse riconoscersi nell’originario titolo no- Il conte Gherardo 6° e la conquista biliare comune, e solo per essi dunque ho vo- delle Baleari luto adoperare questo riferimento. Come accennato, il capostipite del ramo fu Gherardo e Stefania procrearono numerosi il conte Gherardo 3°, fondatore con gli altri figli, dei quali uno, Ildebrando 1°, fu il capo- suoi cinque fratelli del monastero di S. Giu- stipite del ramo dei conti di Biserno, ed un al- stiniano di Falesia. Per le prime due genera- tro, Gherardo 6°, fu uno dei dodici condottie- zioni, la sua discendenza non ci ha lasciato ri che, nel 1113, guidarono i Pisani alla vitto- tracce di un qualche rilievo e bisogna pertan- riosa conquista delle isole Baleari, nelle quali i to arrivare fino al conte Gherardo 5° per tro- Saraceni avevano impiantato alcune potenti vare argomenti d’interesse storico da riporta- basi, da cui partivano per effettuare scorrerie re. Prima occorre però ricordare che, a metà lungo le coste spagnole, francesi ed italiane. dell’XI secolo, reggeva Napoli il duca Sergio Nel corso delle battaglie che si combatterono V e che attorno al 1076, egli venne attaccato per tale conquista, Gherardo 6° ebbe modo di dal normanno Roberto il Guiscardo e da Ric- distinguersi per coraggio e capacità di coman- cardo, principe di Capua, i quali cinsero in u- do, tanto che, rientrato a Pisa dopo la favore- na morsa la città partenopea sia da terra che vole conclusione della guerra, fu prescelto a dalla parte del mare. La resistenza di Napoli far parte degli ambasciatori inviati a papa Pa- non avrebbe pertanto potuto protrarsi a lun- squale II a Roma, per informarlo del buon esi- go, se non le fosse venuta in soccorso Pisa, to della spedizione contro i mussulmani7. che, con una sua flotta, ruppe l’assedio marit- timo e tolse il duca e i suoi sudditi da una si- tuazione alquanto critica. Questo intervento Il conte Gherardo 7°, alleato di Federico pisano fu dettato dall’interesse della Repub- Barbarossa blica Marinara che, per i propri traffici com- merciali, in Napoli poteva contare su di una Gherardo 6° si era sposato con certa Ade- ben attrezzata base portuale d’appoggio, sen- lasia di Guidalduccio e da lei aveva avuti tre za dover temere concorrenza alcuna da parte figli maschi: Ranieri, Enrico e Gherardo 7°. dei partenopei che non disponevano né di Quest’ultimo fu un altro personaggio di cui la un’adeguata flotta né di una tradizione mer- storia ci ha tramandato le gesta. cantile confrontabile con quella di Pisa. È Nel 1158 egli comandò le milizie che Pisa

6 MACCIONI, op. cit., p. 15-22 [Sommario dei documenti]. 7 AF, f. 99, a. 1114. 62 I della Gherardesca inviò in aiuto all’imperatore Federico I, detto quella di aver partecipato anche lui alla guer- Barbarossa, impegnato nell’assedio di Milano. ra del 1171 fra Pisa e Lucca; di lui sappiamo Le cronache riportano che proprio per l’ini- anche che ebbe quattro figli maschi e che da ziativa ed il valore di Gherardo 7°, fu resa uno di essi, Enrico detto Enrigetto, ebbe ori- possibile la conquista di Crema da parte delle gine un’altra progenie collaterale dei conti di forze imperiali. Poi, come capo della consor- Donoratico, estintasi solo nel 1348 a seguito teria dei Gherardesca, partecipò alla Dieta della mortifera peste nera che in tale anno fla- convocata il 20 marzo 1160 a S. Genesio8. gellò Pisa e il contado. Questi conti di Dono- Nel 1171 fu fra i condottieri nella guerra che ratico furono, come vedremo, a volte alleati Pisa mosse a Lucca onde evitare che questo ed a volte antagonisti di quel loro ramo più comune riuscisse a controllare il porticciolo importante che ebbe modo di distinguersi in di Motrone, in Versilia, che, nei disegni dei Sardegna, e, soprattutto, di raggiungere la si- Lucchesi, avrebbe dovuto diventare concor- gnoria su Pisa. rente di quello pisano in foce d’Arno. Nel 1173, sempre Gherardo guidò un’ambasceria inviata da Pisa all’imperatore Federico Barba- Ranieri, conte di Bolgheri, detto rossa e, nel medesimo anno, fu uno dei «gran- «il Piccolino» di» che assistettero il monarca stesso all’atto della firma del diploma imperiale con cui fu- Della discendenza di Enrigetto avrò modo rono riconfermati alcuni privilegi ai Canonici di riparlare estesamente, mentre mi limiterò di Pisa; in tale circostanza il Gherardesca ven- ora a tratteggiare la vita di due personaggi as- ne citato come «comes di Pisa». Infine nel sai interessanti, che di Enrigetto erano nipoti. 1175 fu fra i delegati che parteciparono alle Il primo è Ranieri, figlio di Ugolino, che trattative di pace con Genova. Sposatosi in amò qualificarsi come conte di Bolgheri ma età avanzata con Adelasia della potente fami- che fu soprannominato «il Piccolino», forse glia genovese dei Grimaldi, egli ebbe da lei per la sua ridotta struttura corporea ma non un’unica figlia che andò sposa al senese conte certo per il notevole livello delle imprese da Emanuele Pannocchieschi. lui compiute. Da giovane, Ranieri fu castella- no della città di San Miniato, da dove, dopo esser rimasto vedovo di una prima moglie, I conti Enrico e Ranieri, fratelli della quale non è dato sapere né il nome né la di Gherardo 7°, e le loro discendenze famiglia di provenienza, nel 1232, partì per la Sardegna per guerreggiare contro i Visconti; I due fratelli di Gherardo 7°, Enrico e Ra- questi infatti, con i loro alleati da Capraia, o- nieri, in fatto di eredi maschi, furono più for- steggiavano Benedetta, alleata di Pisa e dei tunati. Dal primo, noto come conte di Strido Gherardesca nonché figlia di Guglielmo di (una rocca che i Gherardesca dominavano Massa [tav. 10], alla cui morte era subentrata nell’alta Val d’Era) conosciamo il nome di nel governo del Giudicato di Cagliari. Secon- due figli: Walfredo, già menzionato nel primo do Alberto Boscolo9 ed altri storici, Ranieri capitolo, e Aliotto, da cui proverrà, come ve- condusse con sé nell’isola, non solo suo figlio dremo, una progenie che darà molto lustro al- Lamberto (di cui inspiegabilmente non esiste la casata comitale. traccia nella genealogia redatta dal Litta), ma L’altro fratello di Gherardo, Ranieri, non anche un giovanissimo congiunto di nome U- lasciò tracce importanti della sua vita, salvo golino, che la storia renderà famoso soprat-

8 DAVIDSOHN, op. cit., vol. I, p. 698. La borgata di S. Genesio era situata in una vasta pianura presso S. Miniato. Costitui- va un luogo di agevole accampamento situato in posizione quasi baricentrica rispetto alle principali città toscane e sin dai tempi di Enrico III fu prescelto quale sito ideale per importanti convegni. 9 A. BOSCOLO, La Sardegna dei Giudicati, Edizioni della Torre, Cagliari 1979, p. 53; e AF, f. 153, a. 1234. Una grande casata guerriera del Medio Evo 63 64 I della Gherardesca tutto per la drammatica morte per fame e Domenico da Peccioli e conservata nell’archi- che, accompagnando il conte di Bolgheri, fe- vio di S. Caterina, si legge infatti che Ranieri ce la sua prima conoscenza dell’isola, nella «nam graziosissime predicabat». quale avrebbe poi speso tanti anni della sua e- sistenza. In Sardegna, «il Piccolino» non si limitò a La beata Gherardesca della Gherardesca combattere i Visconti, ma contrasse anche un secondo matrimonio con Agnese, sorella di Altrettanto edificante fu la vita di Gherar- Benedetta e figlia dunque anch’essa di quel desca, figlia del conte Gherardo 8° e cugina Guglielmo di Massa che, come narrerò nel quindi del «Piccolino»10. Fin dalla fanciullez- prossimo capitolo, fu grande amico ed alleato za ella provò una forte vocazione a farsi mo- dei Gherardesca. Questo matrimonio di chia- naca. Per obbedienza ai desideri della madre, ro significato politico, che seguiva di qualche accettò però di sposare certo Alfiero di Ban- anno quello del conte Tedice 5° con Preziosa dino. Rimasta tuttavia fedele, nel suo intimo, Lacon Serra, zia di Agnese, ribadì l’interesse ai propri profondi sentimenti religiosi, riuscì, dei Gherardesca a rafforzare parentalmente la con il tempo, a convertire ad essi anche il ma- loro presenza nell’isola, caduta ormai in gran rito ed a convincerlo ad abbracciare con lei la parte sotto l’influenza pisana. vita monastica. I due si fecero così camaldole- Ranieri ed Agnese non dettero comunque si11, ma prima di ritirarsi in convento, Ghe- origine ad alcun ramo della prosapia, poiché rardesca volle donare ai poveri tutti i suoi be- da loro nacquero, in rapida sequenza, solo ni, onde aver modo di condurre una vita in quattro figlie. Nel frattempo la guerra fra «il assoluta povertà, fino alla sua morte che av- Piccolino» e i Visconti con i loro alleati non a- venne attorno al 126012. Di lei rimase una re- veva avuto soste, malgrado che in quegli stessi liquia nel convento di S. Silvestro dove si era anni fosse venuta a morte la povera Benedet- spenta, un’immagine dipinta da frà Lorenzo ta, relegata dai suoi nemici nella fortezza di degli Angeli nella sacrestia di S. Michele in Gilla o Igia. Nel 1237, però, in concomitanza Borgo, a Pisa, ed un’antica cronaca su carta- con la riappacificazione firmata a Pisa fra i pecora che un tempo si conservava nell’archi- Gherardesca e i Visconti, anche Ranieri con- vio del monastero nel quale ella era vissuta. cluse un accordo con Rodolfo da Capraia, Nel 1858, papa Pio IX, su istanza del cardina- suo più diretto antagonista, e pose in tal mo- le Cosimo Corsi, arcivescovo di Pisa (e figlio do fine al sanguinoso conflitto che si era pro- di Maddalena della Gherardesca), ne approvò tratto nell’isola per quasi cinque anni. Poi, ufficialmente il culto. per qualche tempo ancora, egli rimase al fian- Potrei ora continuare ad illustrare altre fi- co di Agnese che aveva assunto la reggenza gure salienti di queste prime generazioni dei del Giudicato in nome del nipotino Gugliel- conti di Donoratico, ma sento la necessità di mo, orfano di Benedetta, ma infine decise di aprire una parentesi e raccogliere in un appo- rientrare a Pisa. Poco tempo dopo si fece fra- sito capitolo le vicende della casata comitale te domenicano nel convento di S. Caterina, in Sardegna, dove i Gherardesca, per oltre un dove concluse la propria esistenza ricordato secolo e mezzo, ebbero rilevante influenza ed negli annali del monastero come monaco interessi, i cui segni premonitori furono le u- molto pio e di discrete capacità predicatorie. nioni matrimoniali di Tedice di Segalari, pri- In una cronaca, scritta prima del 1408 da frà ma, e di Ranieri «il Piccolino», poi.

10 Secondo genealogisti diversi dal Litta, la beata Gherardesca era invece figlia del conte Uguccionello di Castagneto, mentre Gherardesca, figlia di Gherardo, sarebbe andata sposa ad Inghiramo 1°, conte di Biserno, così come riporta un do- cumento menzionato da VOLPE, Studi sulle istituzioni comunali di Pisa, cit. 11 AF, f. 103, n. 16 1/2. 12 AF, f. 98, a. 1260. Tommaso Mini, camaldolese, ne parla nel suo Catalogo dei Santi e dei Beati dell’Ordine edito nel se- colo XVII. CAPITOLO QUARTO

L’epopea dei Gherardesca in Sardegna

Il conflitto a Pisa fra Gherardesca risultava infatti in quegli anni orfana di quella e Visconti probabile primitiva conduzione dei suoi co- mites di origine longobarda che da lei si era- La cronistoria dei rapporti che, dalla fine no forse allontanati per sfuggire all’ostilità di del XII alla metà del XIV secolo, si sviluppa- cui erano stati fatti segno durante il governo rono fra i Gherardesca e la Sardegna, può so- dei Franchi. Ottone I nominò allora un vice lo essere affrontata dopo che sia stato ap- comes, confermando con tale provvedimento profondito l’esame di alcuni eventi verificati- che, da qualche parte, anche se necessaria- si in epoche precedenti, ma che di detti rap- mente non a Pisa, un comes doveva pur esser- porti costituirono l’originaria premessa. Biso- ci. La sua scelta certo cadde su di un’antica e gna tornare dunque a quando, nel 965, l’im- nobile casata, ma quale sia stata tale casata peratore Ottone I il Grande visitò Pisa e da non è dato saperlo poiché, con il trascorrere tale suo soggiorno trasse due precise convin- degli anni, i vice comites si identificarono con zioni. il loro incarico al punto da assumere il patro- La prima fu quella d’intuire che Pisa, go- nimo di Visconti, senza più alcun riferimento dendo di un’eccellente posizione aperta verso alla schiatta dalla quale derivavano. il mare, al quale la collegava l’Arno che alla In uno studio del Gabotto si ipotizza addi- foce si apriva con un ben protetto porto natu- rittura una parentela con gli stessi Gherarde- rale, era particolarmente indicata per una ra- sca, ma non mi risulta che questa asserzione pida e profittevole espansione nel campo dei trovi attendibile conferma, tranne che nella traffici marittimi, verso cui la sospingeva an- considerazione che, a quanto sembrerebbe, i che la consolidata vocazione dei suoi abitanti Visconti di Fucecchio sfoggiavano lo stesso che avevano assimilato tale cultura dai loro stemma gentilizio dei Gherardesca1. antichi dominatori bizantini. Ottone dovette Sta di fatto che i vice comites, o Visconti anche rilevare che, in quell’epoca, lungo tutto che dir si voglia, trovarono aperto di fronte a il litorale tirrenico della Toscana, non esiste- sé quello che oggi si direbbe un ampio spazio vano scali altrettanto grandi e sicuri come politico, e di ciò non mancarono di approfit- quello pisano. tare, assicurandosi rapidamente in Pisa una La seconda convinzione alla quale perven- posizione di assoluta preminenza ed avviando ne l’imperatore, fu che tale espansione non a- la città verso quelle mete mercantili saggia- vrebbe potuto realizzarsi, senza che vi fosse mente intraviste da Ottone I. stato, in loco, un’autorità permanente in gra- Nel frattempo gli antichi comites seguiva- do di stimolarla, favorirla ed orientarla. Pisa no e reggevano, probabilmente con maggior

1 Da studi condotti da O. Banti, docente presso il Dipartimento di Storia Medievistica dell’Università di Pisa, risulta che una lapide (la n. 174) della cappella così detta Gherardesca nella chiesa di S. Francesco a Pisa, è relativa alla tomba di un Vi- sconti di Fucecchio pur essendo fregiata con lo stemma gentilizio dei Gherardesca. Essendo Fucecchio antica signoria dei Cadolingi, ci si potrebbe anche domandare se non fu un membro di questa schiatta ad essere nominato vice comes di Pisa da Ottone I. In tal caso lo stemma, identico a quello dei Gherardesca, avvalorerebbe l’ipotesi di un’origine comune delle due casate comitali. 66 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 67 interesse ed impegno, le sorti di città toscane bardo. La lotta fra le due casate si radica- già ben affermate nel X secolo, quali Volter- lizzò, raggiungendo il suo culmine al tempo ra e Lucca, anziché quelle di Pisa che ancora del conte Gherardo 7° di Donoratico, che, non doveva apparire come un appetibile come narrato nel capitolo precedente, fu ri- centro di potere. Tale atteggiamento andò soluto sostenitore di una stretta alleanza pisa- comunque modificandosi nella prima metà na con l’imperatore Federico I di Svevia. Se dell’XI secolo, quando anche i Gherardesca mai vi fu un periodo nel quale parve possibi- compresero alfine le grandi prospettive of- le trovare un accomodamento a tale insanabi- ferte da quest’ultima città ed iniziarono una le antagonismo, fu forse quando Tedice, con- vera e propria marcia d’avvicinamento verso te di Forcoli e figlio di Gena Visconti, fu elet- di essa con l’intenzione di riconquistarvi l’o- to primo podestà (storico) di Pisa. Pare infat- riginaria probabile antica influenza2. Questo ti che Gena, donna d’indubbie qualità, si sia riavvicinamento non fu tale solo nel senso adoperata con ogni sua energia per sanare i geografico della parola, come potrebbe sug- contrasti fra la sua gente di origine e quella gerire il fatto che la casata comitale sempre alla quale si era legata sposandosi, ma anche i maggiormente fece sentire la propria potente suoi sforzi non sortirono il risultato voluto. presenza nei castelli che dominava fra la Val Infatti proprio con i podestariati di Tedice d’Era e la Val d’Arno inferiore, bensì anche ebbe avvio la definitiva decadenza viscontea in senso politico, cercando cioè di gettare in Pisa, anche se, dopo di lui, si ricordano al- ponti di collegamento con i Visconti, tramite tri podestà di questa casata. In contrapposi- le abituali alleanze matrimoniali. Come già il- zione diretta con la graduale perdita di pote- lustrato nel paragrafo loro riservato, furono re da parte dei Visconti, si accentuò l’affer- in particolare i conti di Forcoli che si appli- marsi dei Gherardesca, che ebbero l’accor- carono a quest’ultima incombenza; a dispet- tezza di allearsi strettamente con il comune, to tuttavia dei numerosi imparentamenti fra acquisendo in esso quella veste di «primi cit- le due casate, lo scontro fra di esse si pro- tadini» che, agli inizi del XIV secolo, li por- spettò subito come inevitabile, poiché ormai terà a conquistare una formale e piena signo- i Visconti avevano ben compreso le intenzio- ria su Pisa. ni dei Gherardesca di scalzarli dal potere in Pisa e conquistare, o riconquistare, nella città una propria supremazia. A tal fine i comites I Giudicati di Sardegna e le mire pisane avevano iniziato ad erigere le proprie torri sull’isola nel quartiere pisano di Chinseca, il quale, per l’importanza che venne così ad assumere, Prima di procedere oltre, occorre fare un fu collegato con una nuova cinta muraria alla passo addietro di alcuni decenni e tornare alla città vecchia in cui i Visconti si erano arroc- seconda metà del XII secolo, allorché la Re- cati nel quartiere di Borgo Largo. pubblica Pisana, in aperto contrasto con Ge- Con il trascorrere degli anni, i rapporti fra nova, accentuò le proprie mire espansionisti- le due famiglie si andarono deteriorando ul- che in Sardegna, allo scopo di assicurarsi in teriormente, per aver i Visconti assunto un o- essa approdi per le proprie navi e nuovi sboc- rientamento politico contrapposto a quello chi commerciali 3. dei Gherardesca, apertamente favorevoli al A quei tempi l’isola era suddivisa in quat- partito imperiale, così come lo divenne il co- tro regni, detti «Giudicati»: Torres o Logodu- mune di Pisa, influenzato in tal senso dalla ro, Arborea, Gallura e Cagliari. Di essi il più poderosa ed antica schiatta di ceppo longo- importante era indubbiamente il Giudicato di

2 Sia G. Volpe che W. Heywood, nei loro studi, confermano questo particolare orientamento dei Gherardesca dopo il se- colo XI. 3 Pisa aveva peraltro già allacciato rapporti con la Sardegna sin dal 1080. 68 I della Gherardesca

Cagliari; e fu soprattutto verso di esso che Pi- desimo 1162, assalì e conquistò Cagliari, cac- sa appuntò i propri interessi, attratta in parti- ciandone l’ostile Pietro. colare dalla posizione strategicamente favore- Si trattava ora di consolidare il successo vole del suo approdo. La sorte volle che Co- conseguito, prima di una ipotizzabile reazione stantino Lacon Serra, giudice in quell’epoca genovese; pertanto fu eletto nuovo giudice ca- di Cagliari, ai fini di una successione, non po- gliaritano, Guglielmo di Massa, figlio di O- tesse contare su eredi maschi, ma solo su tre berto e nipote di Costantino Lacon Serra. femmine [tav. 10]. Fu dunque verso di queste che si appuntarono le attenzioni di due gran- di prosapie alleate di Pisa, le quali valutarono I Gherardesca s’insediano che eventuali matrimoni con le figlie di Co- nel Giudicato di Cagliari e i Visconti stantino avrebbero rappresentato un sistema in quello di Gallura pratico per assecondare, non solo il raggiun- gimento delle mete perseguite dal comune pi- Alla scelta di questo nuovo giudice non do- sano, ma anche per coltivare le ambizioni che vettero restare estranei i Gherardesca, tant’è le predette due casate già nutrivano nei con- vero che Guglielmo li ricompensò assegnado fronti dell’isola. loro alcuni possedimenti nei distretti del Si- Avvenne quindi che di dette tre donnicelle, gerro e del Sulcis, territori potenzialmente una, Preziosa, sposò Tedice della Gherarde- ricchi sotto il profilo minerario. La grande fa- sca, conte di Segalari, ed un’altra, Giorgia, si miglia comitale fu ben lieta di assicurarseli, maritò con Oberto, marchese di Massa, di- forte anche della sua passata esperienza in scendente dalla grande stirpe degli Oberten- materia di sfruttamento di miniere, per essere ghi. Solo la terza figlia, della quale non è per- stata proprietaria di argentiere nel distretto venuto il nome, contrasse un matrimonio iso- volterrano di Montieri 4. lano, unendosi con Pietro di Torres, il quale, Quando nel 1214 Guglielmo morì, il go- per essere l’unico sardo fra i tre generi di Co- verno del Giudicato passò nelle mani della stantino, gli succedette nella carica di giudi- sua primogenita Benedetta, la quale però si ce, quando questi venne a morte nel 1162. trovò ad essere fortemente osteggiata dai Vi- Quanto però il suocero si era mostrato di- sconti che, sul cagliaritano, avanzavano loro sponibile ad intese con Pisa, altrettanto Pie- pretese per il matrimonio intervenuto fra El- tro se ne dimostrò subito avverso, cercando dito e l’unigenita figlia di Pietro di Torres. anzi di favorire gli interessi di Genova. Tutto Nel 1217, con i loro alleati da Capraia, essi questo a dispetto persino del fatto che nel riuscirono anzi ad occupare il castello di Ca- frattempo egli si era imparentato con i Vi- gliari e ad esautorare Benedetta, relegandola sconti, tramite il matrimonio dell’unica sua nella non lontana fortezza d’Igia. figlia con Eldito, rampollo della nobile fami- Nel contempo i Visconti si erano mossi con glia pisana, che, con tale unione, cercava an- decisione e successo anche verso il Giudicato ch’essa una propria via di penetrazione nell’i- di Gallura, a nord di quello cagliaritano, di sola. Pisa allora, che certo non era rimasta e- cui s’impossessarono nel 12155. L’eccessivo stranea all’intreccio di tutti questi sponsali potere che essi andavano in tal modo acqui- intessuti dai Massa, dai Gherardesca ed infi- sendo nell’isola allarmò, com’è ovvio, la Re- ne dai Visconti, si trovò costretta a ricorrere pubblica Pisana e con essa i Gherardesca che alle armi. Con l’aperto e determinante soste- non perdevano occasione per tenere sotto tiro gno delle tre grandi casate appena menziona- la casata loro nemica, con la quale, nel 1225, te, la Repubblica Marinara toscana, nel me- si registrò a Pisa un ennesimo scontro armato

4 F. SCHNEIDER, Regestum Senese, Loescher, Roma 1911, doc. 286. Redatto a Sovicille il 19 dicembre 1178, menziona la cessione delle argentiere di Monte Beccaro da parte del conte Tedice, di Ugolino, che poi sarà podestà di Pisa. 5 A. BOSCOLO, L’Abbazia di S. Vittore, Pisa e la Sardegna, Cedam, Padova 1958, p. 76. Una grande casata guerriera del Medio Evo 69 a seguito del quale i Visconti furono addirit- Guglielmo di Biserno, conte di Donoratico tura cacciati dalla città. Dopo la partenza di Ranieri dalla Sarde- gna, risulterebbe che nell’isola sia approdato Altri cenni storici su Ranieri, «il Piccolino» un altro Gherardesca, inviatovi da Pisa in qualità di suo vicario. Ho attinto tale notizia Fu più o meno a quell’epoca che, in accor- da uno scritto del critico Nicola Valle che rac- do con il comune pisano ed i suoi stessi fami- conta che l’architetto Dionigi Scano, noto so- liari, il conte Ranieri di Donoratico, detto «il printendente alle Belle Arti in Cagliari, colpi- Piccolino», si portò in Sardegna per rintuzza- to da un dipinto eseguito nel 1925 da Filippo re con le armi le velleità viscontee. Dal 1232, Figari nel salone consiliare del locale palazzo Ranieri, che, forse in quel medesimo anno, si comunale e raffigurante un fantomatico «vi- era sposato con Agnese, sorella di Benedetta, cario di Pisa», chiese al pittore a quali fonti guerreggiò con successo contro i Visconti, ri- storiche si fosse ispirato nel rappresentare tale conquistando loro i territori del cagliaritano e personaggio. Il Figari rispose che era solo portandosi persino ad insidiarli nella Gallura. frutto di fantasia, ma, per strana coincidenza, Quando nel 1237, come ho già narrato, il co- un anno dopo fu rinvenuto ad Iglesias un’an- mune di Pisa con i Gherardesca, da un lato, e tico sigillo di bronzo con lo stemma dei Ghe- i Visconti, dall’altro, stipularono nel conti- rardesca e la dicitura: «Guglielmo conte di nente l’ennesima quanto vana pace generale, Donoratico, vicario di Pisa in Sardegna». Con anche Ranieri concluse con una tregua la sua buona probabilità si trattava di quel Gugliel- guerra in Sardegna. Questi accordi posero co- mo, conte di Biserno, che figurò fra i firmata- munque la parola fine, per i successivi cin- ri del patto di riappacificazione del 1237, as- quant’anni, ad ogni ulteriore intromissione sieme agli altri Gherardesca alleati del comu- nel governo di Pisa da parte dei Visconti stes- ne di Pisa, e che, forse, in ricompensa alla sua si, i quali, vedendosi sbarrare quello spazio affidabilità, dal comune stesso fu nominato a politico del quale avevano così largamente u- suo rappresentante nell’isola. Da sottolineare sufruito finché i Gherardesca erano rimasti ora che questo conte di Biserno, in Sardegna, assenti dalla ribalta cittadina, per varie gene- tenne a richiamarsi al comune titolo familiare razioni volsero tutte le loro attenzioni alla cu- di «conte di Donoratico», cui, in base alle leg- ra del Giudicato di Gallura [tav. 11]. gi longobarde in materia, aveva diritto, rien- Il conte Ranieri nel frattempo, conclusa trando egli ancora entro la settima generazio- con successo la missione affidatagli, si insediò ne da un antenato in comune con l’originario a Cagliari, dove sua moglie Agnese era suben- nucleo parentale. trata nel governo del Giudicato alla sorella Benedetta, deceduta in quegli anni in prigio- nia lasciando un figlioletto in tenera età. An- Gherardo il Vecchio, conte di Donoratico, che il conte di Donoratico venne nominato e Ugolino, conte di Settimo rector del Giudicato6, ma già sappiamo che, dopo qualche tempo, egli lasciò moglie, figlie Ma torniamo ai Visconti, ai quali altro non ed isola per far ritorno a Pisa ed entrare in era rimasto se non dedicarsi al loro Giudicato convento per il resto dei suoi giorni. di Gallura, mentre a Pisa andava sempre più Agnese, per parte sua, continuò a governa- consolidandosi la vigorosa personalità di re fino al 1256; poi rinunziò a tutti i suoi dirit- Gherardo 10°, conte di Donoratico, che fu ti ereditari sul Giudicato a favore del nipote, detto in seguito «il Vecchio», per distinguerlo orfano di Benedetta. da un suo omonimo nipote che sarà signore

6 A. BOSCOLO, Aspetti della società e dell’economia in Sardegna nel Medio Evo, Edes, Cagliari 1979; e P. TOLA, Codex Di- plomaticus Sardiniae, in Monumenta Historiae Patriae, Augustus Taurinorum 1841. 70 I della Gherardesca di Pisa e che, di contro, verrà ricordato come rente. Anche sotto questo aspetto, Ugolino e- «il Giovane». Il conte Gherardo, per oltre ra quindi assimilabile ai Visconti, poiché, per mezzo secolo, fu l’effettiva guida del comune tutti loro, la Sardegna venne a rappresentare pisano, indirizzandone la politica verso una una valvola di sfogo per irrealizzabili ambizio- sempre più vincolante intesa con la dinastia ni di supremazia cittadina. imperiale degli Hohenstaufen o Svevi. Non si pensi peraltro che l’orientamento da lui soste- nuto non incontrasse robuste opposizioni, sia, La conquista pisana di Cagliari a viso aperto, da parte dei Visconti e dei nobi- e la spartizione del Giudicato li pisani loro alleati, sia, più larvatamente, da parte di un parente stesso del conte di Dono- A dispetto tuttavia di quanto fin ora detto, ratico, e cioè di quell’Ugolino che si qualificò a Gherardo, ad Ugolino e ai Visconti fu anco- anche come conte di Settimo, per l’omonimo ra una volta possibile trovarsi alleati fra di lo- castello che egli dominava nei pressi di Pisa. ro e con la Repubblica Pisana, quando que- Si tratta di quel personaggio del quale st’ultima, nel 1257, fu costretta a riconquista- Dante canterà le tragiche vicende nella sua re con la forza Cagliari per sloggiarne i Geno- Divina Commedia e che, come abbiamo visto, vesi che vi si erano insediati; la sconfitta dei aveva fatto le sue prime esperienze guerre- genovesi da parte dei pisani maturò nella sche in Sardegna sotto la guida di Ranieri, «il grande battaglia di S. Igia. Gherardo il Vec- Piccolino». Pur dissimulando a Gherardo i chio, che aveva preso parte alla spedizione suoi veri sentimenti, Ugolino fu sempre di guerresca, fu armato cavaliere alla conclusio- tendenze che potrebbero definirsi moderata- ne vittoriosa di questo scontro, in riconosci- mente guelfe o comunque tali da avvicinarlo mento del grande valore di condottiero da lui alle posizioni politiche dei Visconti, con i dimostrato in tale frangente. Da quel momen- quali si era anche imparentato grazie al matri- to Pisa confermò in via definitiva il proprio monio di una delle sue figlie con Giovanni dominio sul Giudicato cagliaritano per un pe- Visconti, giudice di Gallura. Malgrado tutta- riodo di quasi settant’anni, e cioè fino al via tali suoi celati sentimenti, Ugolino, che e- 1326, allorché ne venne a sua volta sloggiata videntemente conservava nei suoi cromosomi da un’armata spagnola inviata nell’isola da re una buona dose della ghibellinità della fami- Giacomo II d’Aragona. glia di appartenenza, non si oppose al proget- Dopo la vittoria sui Genovesi, Pisa volle to di Gherardo di stringere maggiori legami mantenere sotto il proprio diretto controllo fra gli Hohenstaufen e i Gherardesca ed ac- solo Cagliari, con il suo porto ed il suo pode- cettò che suo figlio maggiore Guelfo si spo- roso castello, suddividendo il resto del Giudi- sasse con Elena, unigenita di Adelasia di Tor- cato fra i Visconti, i da Capraia e i Gherarde- res7 e di Enzo di Svevia8, che il padre Federi- sca [fig. 8]. Questi ultimi conservarono i pro- co II aveva nominato re di Sardegna. Ma pro- pri originari possessi ottenuti anni prima da prio il lunghissimo soggiorno del conte «dan- Guglielmo di Massa, ampliandoli con gran tesco» nell’isola, anche se giustificabile con la parte del Campidano, ivi inclusi i distretti di necessità di curare i consistenti interessi che Decimo e Nora. ormai vi vantava la sua casata, è forse il segno Fra i rami della casata più direttamente im- più evidente del disagio che egli provava nel pegnati nell’isola, quello di Gherardo si assi- trovarsi relegato a Pisa in una posizione di se- curò il Sulcis e quello di Ugolino il Sigerro, condo piano rispetto al più carismatico pa- mentre rimasero completamente ed inspiega-

7 Adelasia di Torres era figlia di Barisone e di Agnese di Massa. Quest’ultima, rimasta vedova del primo marito, si risposò con Ranieri «il Piccolino», conte di Bolgheri. 8 Arrigo, detto Enzo, era figlio di Federico II di Svevia e di una dama tedesca di nome Adelaide, che fu l’amante dell’im- peratore prima che questi sposasse Isabella di Brienne. Una grande casata guerriera del Medio Evo 71

I quattro Giudicati della Sardegna medievale e la suddivisione del Giudicato di Cagliari dopo il 1257 [fig. 8] 72 I della Gherardesca bilmente esclusi i conti di Donoratico del ra- quello di Torres, in quanto figlia ed erede mo dal quale era proceduto Ranieri «il Picco- dell’ormai defunto giudice Mariano; su quello lino», che pur tanto aveva dato per l’affer- di Cagliari, per essere figlia di Agnese di Mas- marsi degli interessi pisani in Sardegna. sa, risposatasi dopo la morte di Mariano con Da segnalare inoltre che, forse già prima Ranieri «il Piccolino»; infine su quello di Gal- del 1257, i Gherardesca avevano eretto i loro lura, essendo vedova di un Visconti. tre grandi castelli sardi di Acquafredda presso Per re Enzo dunque, le prospettive di raf- Siliqua [fig. 9], di Gioiosa Guardia oggi detta forzare rapidamente e concretamente i suoi Villamassargia e di Gonnesa. È chiaro che la platonici attributi reali, si presentarono allet- spartizione del Giudicato cagliaritano rappre- tanti, ma il giovane svevo non seppe o non in- sentò il compenso che Pisa dovette corrispon- tese sfruttarle e, appena un anno dopo il suo dere alle precitate tre grandi prosapie, sue al- matrimonio con Adelasia, abbandonò la più leate che, nella circostanza, non solo avevano anziana sposa e la neonata figlioletta Elena, assolto a funzioni di comando durante la per rientrare in continente ed assolvere al guerra vittoriosa, ma avevano contribuito in nuovo incarico, conferitogli dal padre, di vica- maniera sostanziale al suo buon esito, appor- rio imperiale per l’Italia. Peraltro, almeno for- tandovi proprie milizie e profondendovi pro- malmente, il governo del Giudicato di Torres prie risorse finanziarie. Sta di fatto che, da al- rimase nelle mani di Enzo, il quale a sua volta lora, i rappresentanti di dette famiglie, ciascu- provvedette a nominarvi suoi vicari, fra i quali no per la propria parte di territorio, assunsero anche il conte Ugolino che stava accentuando le vesti di iudices9 o meglio di domini Sardi- la sua presenza in Sardegna per le ragioni che nee10. ho già illustrate. Egli infatti si era sempre più stabilmente insediato nei suoi domini sardi, dedicandosi con impegno ed abilità allo svi- Il conte Ugolino in Sardegna luppo, soprattutto minerario, dei distretti che ricadevano sotto la sua giurisdizione. Per pri- Occorre ora fare un passo indietro, per ri- ma cosa mise mano alla trasformazione in ve- cordare che nel 1238 Federico II aveva inteso ra e propria città del piccolo agglomerato di riaffermare la propria sovranità sulla Sarde- Villa di Chiesa, oggi Iglesias, che egli volle di- gna, in contrapposizione alle speculari pretese venisse il centro principale della zona delle del pontefice, ed aveva proclamato re dell’iso- «fosse argentifere», che era sua ferma inten- la il suo figlio spurio Arrigo, detto Enzo, che, zione sfruttare al meglio. In pochi anni Villa in quello stesso anno, l’imperatore fece sposa- di Chiesa, originariamente sorta attorno ad u- re con Adelasia, ultratrentenne giudice di na bella basilica dedicata a S. Chiara, fu am- Torres, da poco rimasta vedova di Ubaldino pliata e racchiusa entro una robusta cinta mu- Visconti11. A quanto riportano le cronache, in raria, con venti torri e quattro porte di acces- un primo momento, Adelasia fu ben lieta di so [fig. 10]. La cittadina divenne così il secon- accoppiarsi con il giovanissimo ed aitante do centro abitato della Sardegna meridionale principe germanico, ma, più tardi, le pressio- dopo Cagliari. Due lapidi murate sulla faccia- ni della Chiesa Romana le fecero comprende- ta del duomo d’Iglesias ricordano ancor oggi re di aver fatto una mossa politicamente sba- che questo edificio fu fatto costruire ai tempi gliata. Da parte sua l’imperatore la mossa l’a- di Ugolino. Il Gherardesca si preoccupò inol- veva invece teoricamente azzeccata, poiché A- tre di far amministrare la nuova città da un delasia riuniva nelle sue mani sostenibili pre- podestà di propria nomina e la dotò di un tese su ben tre dei quattro Giudicati sardi: su particolare statuto comunale a carattere si-

9 TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, in Monumenta Historiae Patriae, Torino 1861, vol. II. 10 S. PETRUCCI, Re in Sardegna, a Pisa cittadini, Cappelli, Bologna 1988, pp. 68-69. 11 P. TOLA, Dizionario biografico degli uomini illustri della Sardegna, Chini e Mina, Torino 1837, p. 55. Una grande casata guerriera del Medio Evo 73

Le rovine del castello Gherardesca di Acquafredda che si affacciava sul Campidano di Cagliari [fig. 9]

Lo stato attuale della cinta muraria di Villa di Chiesa (oggi Iglesias) [fig. 10] 74 I della Gherardesca gnorile, che egli promulgò sotto forma di un unico del re nell’isola e pervenne anche ad «Breve» diviso in quattro volumi, suddivisi a occupare con le armi il Giudicato di Torres e loro volta in vari capitoli. Questa considerevo- la città di Sassari, mantenendola per anni in le opera legislativa si conserva ancora nell’ar- suo possesso e suscitando con ciò una decisa chivio comunale d’Iglesias, anche se non nella reazione del papa che lo diffidò più volte a ri- sua veste originale, bensì in una versione par- tirarsi dal Logoduro ed infine gli inflisse la zialmente rielaborata in tempi successivi, pri- scomunica14. Ugolino tentò anche di afferma- ma dai Pisani, quando cacciarono gli eredi di re la propria completa indipendenza da Pisa, Ugolino dal Sigerro, e poi, nel 1324, dagli A- rifiutandosi di versarle quei tributi a suo tem- ragonesi, dopo che questi conquistarono a lo- po concordati per i distretti sardi affidati dal- ro volta Villa di Chiesa, togliendola a Pisa. Il la Repubblica ai Gherardesca dopo il 1257; quarto volume di tale «Breve» rappresenta però, come vedremo, per tale atto di aperta addirittura il primo organico codice minerario ribellione, il conte di Settimo dovette subire italiano, e forse del mondo, con il quale si ten- anche un breve periodo di prigionia a Pisa, deva a regolamentare lo sfruttamento delle dalla quale fu poi bandito. fosse di minerale argentifero. Ugolino promosse poi un’attiva politica di ripopolamento dei suoi territori per richia- La morte sul patibolo angioino marvi la manovalanza occorrente per le mi- di Gherardo il Vecchio e il ritorno a Pisa niere, nonché gli specialisti necessari per la del conte Ugolino gestione della zecca che egli volle fosse im- piantata a Villa di Chiesa onde trasformare Nel frattempo, e cioè nel 1268, era scom- subito in moneta sonante il nobile metallo e- parso dalla ribalta politica pisana il conte Ghe- stratto dai giacimenti. Sorsero in tal modo rardo il Vecchio, il quale, fedele all’impero fi- nuovi villaggi e tutto il distretto fruì di una no al supremo sacrificio della vita, aveva se- vera e propria rinascita che stimolò anche i guito il giovanissimo re Corradino di Svevia Sardi, dediti fino a quel momento alla pastori- nel fallito tentativo di riconquistare il Regno zia e ad una primordiale agricoltura. Dalle di Napoli, assegnato dal papa alla dinastia cronache storiche si apprende che i paesi do- francese degli Angiò. Durante tale sfortunata minati dai conti di Donoratico furono ben impresa, l’ormai settantenne conte di Dono- cinquantacinque12. ratico capeggiò le truppe che i ghibellini ita- Pur curando, con impegno e grande capa- liani, con Pisa alla loro testa, avevano messo a cità amministrativa, i propri interessi e quelli disposizione di Corradino. Il 23 agosto 1268, del ramo della famiglia che faceva capo a nei pressi della località di Alba, si svolse una Gherardo il Vecchio, Ugolino cominciò però grande battaglia che, in seguito, fu erronea- a risentire in quegli anni la suggestione del mente detta di Tagliacozzo15, durante la quale suo solitario imperium ed iniziò ad atteggiarsi l’armata dello Svevo, dopo un primo favore- quale unico e libero «signore, re et domino» vole andamento dello scontro, per un fatale dei suoi possedimenti13, facendosi forte del errore di uno dei suoi condottieri germanici, fatto che da pochi anni si era tradotto in subì una sanguinosa e definitiva disfatta ad o- realtà il progettato sposalizio fra suo figlio pera degli Angioini. Guelfo ed Elena, figlia di re Enzo di Svevia. Pochi giorni dopo tale sconfitta, Corradino Pian piano cominciò ad atteggiarsi a vicario cadde prigioniero dei suoi nemici, assieme ad

12 J. DAY, La Sardegna e i suoi dominatori dal secolo XI al secolo XIV, in Storia d’Italia, a cura di G. Galasso, vol. X, p. 93. Vi è riportata una cartina geografica su cui sono indicati i 55 centri abitati, di signoria dei Gherardesca nelle tre zone caglia- ritane di loro influenza (Sigerre, Sulcis, Campadano). 13 PETRUCCI, op. cit. 14 E. BESTA, La Sardegna medievale, Forni, Bologna 1966, vol. I, p. 242. 15 DAVIDSOHN, op. cit., vol. III, p. 53. Una grande casata guerriera del Medio Evo 75 alcuni dei suoi fedelissimi, fra i quali il vec- I conti Guelfo e Lotto in guerra contro Pisa chio conte di Donoratico. Tradotti a Napoli, furono tutti quanti sottoposti ad un farsesco Guelfo, rimanendo in Sardegna, ebbe la processo e quindi fatti decapitare da re Carlo ventura di trovarsi lontano allorché, alcuni d’Angiò. La sentenza fu eseguita su un pati- anni dopo, i propri più stretti familiari, fra bolo eretto fuori dalle mura della città, nel cui uno dei suoi figli, Ugolino, detto Nino il luogo dove oggi sorge la centrale Piazza del Brigata, vennero incarcerati dai Pisani e fatti Mercato. Oltre al non ancora diciassettenne morire di fame. La reazione che il conte Hohenstaufen, vennero con lui giustiziati il Guelfo ebbe a seguito di questo tragico acca- cugino Federico, duca d’Austria, il conte Ghe- dimento, fu improntata al più sanguinario rardo ed altri otto seguaci di Corradino, fra i spirito medievale di vendetta. Giustiziato quali, sembra, un secondo Gherardesca, Gua- barbaramente l’ambasciatore che Pisa gli ave- lando di Castagneto. I sogni svevi di una ri- va inviato17 per convincerlo a rientrare in pa- conquista dell’Italia andavano così frantu- tria dall’isola, con il chiaro proposito di fargli mandosi ad uno ad uno, poiché, due anni pri- fare la medesima fine dei suoi parenti, Guelfo ma di Corradino, era rimasto ucciso nella bat- si proclamò indipendente dalla Repubblica, taglia di Benevento un altro figlio di Federico emulando in ciò, ma questa volta con un cer- II, Manfredi, autoproclamatosi re di Sicilia. to successo, quanto in passato aveva vana- Quattro anni dopo la morte di Corradino, mente tentato di fare suo padre. Poi mosse nel 1272, anche re Enzo, a suo tempo fatto guerra a Pisa, occupando con le sue milizie prigioniero dai Bolognesi nello scontro di gran parte del cagliaritano, ivi inclusi i terri- Fossalta, si spense nella città felsinea, lascian- tori che appartenevano agli eredi di Gherar- do per testamento i suoi teorici diritti sovrani do il Vecchio; subito dopo conquistò anche sulla Sardegna e su altri territori italiani, ai Cagliari, trucidandovi quanti più ghibellini propri nipoti maschi, già nati o nascituri, «ex pisani ebbe in sorte di acciuffare. excellenti filia nostra Helena et viro magnifi- Per otto lunghi anni il conte Guelfo riuscì a co Guelfo de Donoratico»16. Fu probabil- difendere questa sua indipendenza, della qua- mente a seguito di tale investitura che i Ghe- le fu emblematica riprova l’emissione di alcu- rardesca si sentirono autorizzati a qualificarsi ne proprie monete fatte battere nella zecca di «signori della terza parte del Regno di Caglia- Villa di Chiesa. Si trattò di un «aquilino mi- ri» e il conte Ugolino si reputò svincolato nuto», analogo a quello genovese, e di un dall’obbligo di pagare i noti tributi a Pisa. grosso «tornese» d’argento18, coniato ad imi- Con la morte di Gherardo si era comunque tazione della prestigiosa moneta francese riaperta per il conte di Settimo la possibilità dell’epoca. Detto tornese riportava su di una di riproporre la propria candidatura alla gui- faccia lo stemma dei Gherardesca e sull’altra i da della Repubblica Pisana, cui poteva rinfac- nomi di Guelfo e di suo fratello Lotto [fig. ciare l’insuccesso di una politica troppo asser- 11]. Va infatti detto che il conte Lotto, caduto vita alle declinanti fortune dell’impero svevo. prigioniero dei Genovesi durante la battaglia L’ormai già anziano conte concluse allora il navale della Meloria, era stato liberato nel suo lungo «esilio» in Sardegna e, lasciata al fi- 1292 grazie all’intervento di Firenze e della glio Guelfo la cura e la difesa dei domini fa- Taglia Guelfa, che avevano versato a Genova miliari nell’isola, rientrò a Pisa per andare fa- un riscatto di tremila fiorini genovesi19; poi e- talmente incontro al suo drammatico destino. ra stato finanziato anche da Genova stessa af-

16 L. FRATI, La prigionia di re Enzo, Zanichelli, Bologna 1902. Il testamento del sovrano è riportato alle pp. 125-31. 17 L’ambasciatore pisano si chiamava Vanni Gubetta da e la sua morte fu orribile, poiché egli, dopo essere sta- to legato a due cavalli, venne squartato dai due animali sospinti a galoppo in direzioni opposte. 18 A quanto risulta un esemplare di detto tornese si conservava a Berlino, prima della seconda grande guerra mondiale, ed un altro si trova tuttora presso la collezione Sellai di Sassari. 19 ASF, Arch. Riformagioni, doc. 84; e AF, f. 98, a. 1292. 76 I della Gherardesca

mancò di reagire alla rivolta inviando nell’iso- la un buon nerbo di truppe, al cui comando, fra gli altri condottieri, pose pure il conte Ra- nieri di Donoratico, figlio di Gherardo il Vec- chio; egli, da accanito ghibellino quale era, non aveva del resto mai nascosto la propria avversione alla politica fatta adottare al gover- no della Repubblica Pisana da Ugolino, al suo rientro dalla Sardegna. Il rapporto di forze schierate nell’isola risultò ben presto a sfavore dei ribelli, poiché essi potevano contare solo sulle proprie risorse locali, mentre i Pisani, sia pur fiaccati dalla sconfitta della Meloria, po- tevano ancora, bene o male, attingere da più consistenti apporti di uomini ed armi prove- nienti dal continente. Il conte Guelfo, che fa- ceva anche affidamento sui suoi tre ben ar- roccati castelli sardi, iniziò allora a ripiegare, combattendo, verso Villa di Chiesa, entro le cui solide mura contava di poter meglio soste- nere l’urto delle preponderanti forze avversa- rie; ma fu proprio durante un’audace sortita da questa città, nell’intento di raggiungere il castello di Acquafredda, che il conte ribelle venne gravemente ferito in uno scontro. Soc- corso dai suoi uomini, fu trasportato, si dice, in un ospedale dei Gerosolimitani, situato presso Settefuentes 20, dove, malgrado le cure, morì e fu sepolto. La sua tomba però non fu

Il tornese d’argento coniato dai conti Gherardesca mai più rinvenuta e pertanto la fine del pri- Proprietà Sollai, Sassari mogenito di Ugolino è rimasta avvolta nel mi- [fig. 11] stero. Fu comunque suo il primo ma non ultimo sangue che i Gherardesca versarono sull’a- finché equipaggiasse proprie truppe e corres- spro terreno sardo nell’intento di difendere le se in Sardegna a dar man forte al fratello loro conquiste nell’isola. Guelfo nella lotta contro l’ormai comune ne- Lotto, dopo la morte del fratello, ormai mico pisano. convinto dell’impossibilità di protrarre oltre Si dice anche che, poco più tardi, un terzo la guerra in Sardegna, rientrò a Genova dove fratello, Matteo, andasse ad affincarli, ma di subì un ulteriore breve periodo di carcere, a ciò rimangono versioni contradittorie, mentre causa della sua impossibilità di rimborsare ai risulta con certezza che tutti e tre questi Ghe- Genovesi i prestiti avuti per organizzare la rardesca, in odio alla loro patria d’origine, sua spedizione sarda. Matteo si rifugiò invece chiesero ed ottennero in quegli anni la cittadi- a Bologna, conseguendone la cittadinanza nel nanza genovese. Dal canto suo, Pisa non 129621.

20 F.C. CASULA, La storia di Sardegna, Edizioni Ets-C. Delfino Editore, Pisa 1992, pp. 241 e 334. Settefuentes è ubicata a nord di Iglesias, a qualche chilometro da Santu Lussurgiu. 21 L. WANDINGO HIBERNO, Annales, Roma 1733, vol. V. Una grande casata guerriera del Medio Evo 77

I discendenti di Gherardo il Vecchio nunciabile protezione della Chiesa Romana. e le loro vicende in Sardegna papa Bonifacio VIII non apprezzò tuttavia l’i- niziativa e, intervenendo di persona nel 1297, Conclusosi nel modo che ho descritto il lun- non ratificò tale nomina e diplomaticamente go conflitto con i figli del conte Ugolino, Pisa assegnò al domenicano Gherardesca la dioce- ne confiscò i domini sardi, mentre ai conti Ra- si corsa di Sagona che, a quei tempi, ricadeva nieri e Bonifazio di Donoratico la Repubblica ancora formalmente sotto la giurisdizione lasciò la loro quota di quei possedimenti, che dell’arcivescovo di Pisa, anche se in realtà e- erano stati di loro padre Gherardo, ma nei rano i Genovesi a dominare ormai l’isola. quali non erano però incluse le ricche argen- Questo vescovo Bonifazio doveva comunque tiere e la zecca di Villa di Chiesa. essere abbastanza inviso al Pontefice, poiché Né Ranieri né Bonifazio tuttavia, impegna- questi, nel 1306, lo spostò ancora di diocesi, tissimi nella restaurazione del potere ghibelli- destinandolo alla lontana Chirone, nell’isola no in Pisa, risiedettero mai più stabilmente di Creta, dove mai egli si recò, così come non nell’isola; solo una lapide, apposta sulla fac- risulta che in precedenza avesse mai posto ciata di una chiesa di Villamassargia, ricorda piede nell’ostile Corsica. A ritorsione dell’ar- il conte Ranieri quale signore di quelle terre, meggio papale in suo sfavore, Bonifazio, poco mentre un’altra lapide riferisce come egli vol- prima di morire, si vendicò, figurando fra i le che, in quel medesimo villaggio, fosse crea- cardinali scismatici che elessero l’antipapa to un ospedale. Niccolò V; ma a questa vicenda accennerò nel Iniziava in tal modo il declino di quel pe- capitolo che segue, mentre tornerò ora a par- riodo magico che i Gherardesca avevano go- lare della parabola discendente dei Gherarde- duto nell’isola e che Giosuè Carducci, in Fai- sca in Sardegna, poiché quel declino non da di Comune, sintetizzò così bene nel verso: mancò di aspetti drammatici. Altri nipoti di «Voi che siete re in Sardegna ed in Pisa citta- Gherardo il Vecchio versarono infatti il loro dini». Fu proprio questa cittadinanza che for- sangue per sostenere nell’isola gli interessi se costituì il freno maggiore per le ambizioni propri e quelli di Pisa. Verso la fine del XIII sarde della casata comitale, la quale, troppo secolo, papa Bonifacio VIII aveva offerto a re interessata a conservare una supremazia a Pi- Giacomo II d’Aragona la sovranità sull’isola, sa, proprio con il conte Ugolino, mancò l’op- che il sovrano spagnolo aveva accettato senza portunità d’imprimere un più decisivo slancio però esercitarne le prerogative per alcuni de- alla sua espansione in Sardegna, anche al di là cenni. dei confini del pur ricco distretto cagliaritano. Durante tutto questo periodo di disinteres- In realtà, dopo il fallimento della ribellione se aragonese, Pisa fece ogni sforzo pur di riu- del conte Guelfo, un evento sembrerebbe a- scire quantomeno a preservare le posizioni dombrare un progetto di rafforzamento nel- già acquisite nel cagliaritano. Tuttavia, dopo l’isola del potere dei conti di Donoratico. È la cocente sconfitta subita alla Meloria ad o- di quell’epoca infatti la nomina a vescovo di pera dei Genovesi, la Repubblica non era più Solci22, voluta dal clero sardo, del domenica- in grado di sostenere le proprie velleità con no Bonifazio, figlio del conte Ranieri, del ra- l’antica vigoria delle armi, e si era affidata mo secondario dei Donoratico, e di Sofia di pertanto ad una fitta rete di contatti diploma- Monferrato23. La mossa fu forse architettata tici con i d’Aragona, cercando nel contempo nell’intento di costituire nell’isola una base di di continuare la sua originaria e ben collauda- potere che potesse contare anche sulla irri- ta politica d’intrecci matrimoniali fra membri

22 D. SCANO, Ricordi di Sardegna nella Divina Commedia, A. Pizzi, Cinisello Balsamo 1982. 23 AF, f. 102, n. 24; e WANDINGO HIBERNO, op. cit., vol. V; M. RONZANI, Famiglie nobili e famiglie di popolo nelle lotte per l’egemonia sulla chiesa cittadina a Pisa fra il Due e il Trecento, in AA.VV., I ceti dirigenti nella Toscana tardocomunale, Atti del III convegno di studi sulla storia dei ceti dirigenti in Toscana, Papafava, Firenze 1983. 78 I della Gherardesca delle sue maggiori casate e donne sarde che attaccarono, prima di tutto, Villa di Chiesa, potessero vantare pretese su qualcuno dei conquistandola ed assicurandosi i suoi ricchi quattro Giudicati dell’isola. Nelle trattative giacimenti argentiferi; la città venne da allora avviate con gli Spagnoli, ebbero gran parte i ribattezzata Iglesias. Da lì puntarono poi su conti di Donoratico, discendenti da Gherar- Cagliari, dove i Pisani si erano asserragliati do il Vecchio, i quali potevano vantare una nel ben munito castello dominante la città, buona entratura presso i reali d’Aragona, es- con l’evidente intenzione di tentare una di- sendo con loro imparentati24; nella corrispon- sperata resistenza ad oltranza, nella speranza denza che in quell’epoca intercorse fra Giaco- che dalla patria fosse loro inviato soccorso. mo II e Ranieri di Donoratico, detto Nieri, La Repubblica però, come già ricordato, non questi è più volte citato dal sovrano come era più in grado di sostenere adeguatamente «conte di Pisa»25 e chiaramente indicato co- le proprie ambizioni nell’isola. me interlocutore preferito. Malgrado questa Malgrado questo stato di fatto, con uno benevola disposizione d’animo del monarca, sforzo eccezionale, Pisa riuscì ad armare una il Gherardesca riuscì solo a strappargli tran- flotta di una quarantina fra galee e legni28, quillizzanti assicurazioni circa il mantenimen- che salpò da Piombino con a bordo soldati e to futuro dei residui possedimenti Gherarde- cavalieri al comando del giovane conte Man- sca in Sardegna, ma non riuscì ad evitare che, fredi, figlio di Nieri di Donoratico, nominato più tardi, scoppiasse un conflitto armato fra nell’occasione capitano generale. Circa l’effet- gli Spagnoli e i Pisani26, benché questi ultimi tiva consistenza delle forze messe a disposi- avessero giocato un’ultima carta disperata of- zione del Gherardesca, le opinioni degli stori- frendo Pisa stessa in feudo a re Giacomo. ci divergono sostanzialmente, poiché quelli i- Per quanto poi riguarda le alleanze matri- berici tendono, per motivi comprensibilissi- moniali che avrebbero dovuto contribuire a mi, a dilatarla, mentre, per ragioni opposte, rafforzare la traballante posizione pisana nel- quelli italiani parlano di solo poche migliaia l’isola, quella che più direttamente riguarda la di fanti ed alcune centinaia di cavalieri merce- casata comitale fu lo sposalizio intervenuto, nari tedeschi. Sta di fatto che Manfredi non attorno al 1315, fra Giacomina, vedova di un doveva reputarsi superiore di forze, tant’è ve- giudice d’Arborea27, e il conte Tedice di Do- ro che, giunto in vista delle coste sarde, dopo noratico, detto Tige, lontano congiunto di una traversata ostacolata dal maltempo, com- Nieri stesso. Tale unione mirava evidentemen- prese il rischio di far vela direttamente su Ca- te a predisporre ipotetiche pretese sul Giudi- gliari, assediata anche dal mare da una grossa cato d’Arborea, cosa che, come vedremo nel flotta aragonese, e preferì ricorrere ad uno prossimo capitolo, regolarmente fu tentata, strattagemma. Sbarcate nottetempo le sue ma senza alcun esito pratico. truppe a Capo Carbonara, all’imbocco orien- Le manovre per il controllo dei quattro tale del golfo cagliaritano, rispedì indietro le Giudicati ed i relativi intrighi rappresentaro- sue navi, dopo averle opportunamente zavor- no invece la motivazione per la quale gli Ara- rate, onde dare ad intendere, ad eventuali ve- gonesi, incitati dal papa, decisero infine d’in- dette nemiche, che esse fossero ancora cari- tervenire in Sardegna, sbarcandovi nel 1323 che di armati e che egli avesse dunque rinun- una poderosa armata di oltre diecimila soldati ziato a porre piede in Sardegna. Poi, con ca- al comando dell’infante Alfonso. Gli Spagnoli valieri e fanti, iniziò la marcia di avvicinamen-

24 Costanza, figlia maggiore di re Manfredi di Svevia, aveva sposato il re Pietro III d’Aragona, mentre la figlia minore Beatrice si era unita in matrimonio con Ranieri, detto Nieri, conte di Donoratico. 25 SALAVERT, Cerdeña. 26 H. FINKE, Acta Aragonensia, Rothshild, Berlin-Leipzig 1908. 27 CASULA, La storia di Sardegna, cit., p. 334. Si afferma che si tratta di una delle figlie del conte Ugolino dantesco andata sposa a Giovanni di Mariano, giudice diArborea, ma è da sospettare che l’ipotesi nasca da un equivoco con la figlia dello stesso Ugolino che si maritò con Giovanni Visconti, giudice di Gallura, e da cui nacque «il gentil Nino». 28 TOLA, Codex Diplomaticus Sardiniae, cit., vol. I, p. 672, doc. XXVI. Una grande casata guerriera del Medio Evo 79 to alla città assediata, tentando di cogliere, di tima circa una conservazione dei propri do- sorpresa, alle spalle gli Spagnoli, più numero- mini in Sardegna. si e meglio armati dei Pisani. L’astuta mano- Dopo la morte del conte Manfredi, la resi- vra ebbe un successo iniziale allorché, nelle stenza pisana a Cagliari si protrasse ancora al- vicinanze di Lococisterna, si verificò l’im- cuni mesi, ma nel 1326 la Repubblica dovette provviso contatto fra i due opposti schiera- cedere, firmando con gli Spagnoli un gravoso menti, ma la spericolata strategia di Manfredi trattato di pace che, di fatto, la escludeva da contava anche su di una contemporanea sor- ogni sua ingerenza nell’isola. I Gherardesca tita, che era stata preventivamente concorda- invece, grazie ad un’abile trattativa finale con- ta con i Pisani assediati, e che invece inspie- dotta dal conte Bonifazio Novello, detto Fa- gabilmente non avvenne. Con il protrarsi del- zio Novello, nipote di Nieri, riuscirono a sal- la battaglia, lo squilibrio numerico a favore vare parte dei loro possessi sardi, conseguen- dei soldati di Alfonso che, nel frattempo si e- done investitura feudale dal re d’Aragona31. rano ripresi da un primo sbandamento per Ben poco però rimase loro rispetto agli opimi l’attacco improvviso, cominciò a farsi sentire domini del passato anche se, come magra sempre più, finché i pur valorosi Pisani inizia- consolazione, essi ottennero in compensazio- rono ad essere sopraffatti. ne dagli Aragonesi due tenute in Spagna, che Si narra che il conte Manfredi fosse esem- credo mai visitassero, ma che sono citate nel pio a tutti per l’eroismo con cui si batté, ma testamento di Fazio Novello32. poi, ferito gravemente, non ebbe altro scam- Le ultime vestigia del passato potere dei po che sfondare le linee nemiche con i suoi Gherardesca nel cagliaritano si conservarono cavalieri e rifugiarsi con i superstiti dello fin verso il 1355; però già nel periodo fra il scontro nel castro cagliaritano29. Grazie alla 1343 e il 1346, un consigliere catalano del re sua giovane tempra, il Gherardesca riuscì mi- d’Aragona formulò un progetto di «conquista racolosamente a ristabilirsi in breve volger di definitiva della Sardegna», proponendo fra tempo e, non appena fu in grado di farlo, vol- l’altro di riscattare i feudi concessi ai conti di le riassumere il comando dei suoi guidandoli Donoratico. Il piano non ebbe attuazione ma ancora una volta in un’improvvisa sortita dal comunque vano risultò il tentativo dei figli di castello, tesa ad alleggerire la pressione del- Nieri di scongiurare, ancora per del tempo, l’assedio. Questa sua azione scompaginò le questa ineluttabile evenienza. truppe spagnole, colte ancora una volta di Lo tentò prima il conte Bernabò e, dopo la sorpresa, ma Manfredi fu nuovamente ferito, sua morte avvenuta appunto in Sardegna nel e questa volta a morte; ai suoi cavalieri non ri- 1349, suo fratello Gherardo, il quale riuscì mase che riportarne a Cagliari il corpo ormai solo ad impegolarsi malamente in un’oscura senza vita30. La sua eroica morte smentisce da vicenda che lo condusse a morte violenta. In- sola quei cronisti partigiani che, in seguito, fatti, nella guerra che nel 1353 scoppiò fra gli insinuarono che il figlio di Nieri non s’impe- Aragonesi e Mariano IV, giudice d’Arborea33, gnò troppo in questa spedizione armata, per Gherardo si schierò inizialmente a fianco de- non guastare i buoni rapporti che intercorre- gli Spagnoli; dette però poi l’impressione di vano fra gli Aragona e la sua famiglia e non esser passato nel campo di Mariano, allorché pregiudicare quindi le aspettative di quest’ul- questi, per sferrare un suo attacco a Cagliari,

29 P. TRONCI, Annali pisani, Forni, Bologna 1975, vol. I, p. 624. 30 G. GALGANI, Duemila anni di storia in Maremma: da Biserno a S. Vincenzo, Il Telegrafo, Livorno 1973. Vi si narra che Manfredi venne sepolto nel castello di Siliqua (che viene probabilmente confuso con quello vicino di Acquafredda), ma non si accenna alla fonte dalla quale è stata attinta la notizia. Invece da una lapide ancora in possesso dei Gherardesca risultereb- be che egli fu tumulato nello stesso sepolcro del conte Nieri, suo padre. 31 FINKE, op. cit., pp. 390, 603 e 628. 32 1 AF, cartapecora n. 23 /2. 33 G. ZURITA, Anales de la corona d’Aragon, Zaragoza 1967-74 (di cui un estratto si conserva nell’AF, f. 103, n. 1); e G. MELONI, Mediterraneo e Sardegna nel Basso Medioevo, Edizioni Ets, Pisa 1988, pp. 99-121. 80 I della Gherardesca passò senza colpo ferire attraverso il Campi- ri» non venne più menzionata in alcun altro dano, dove il conte di Donoratico aveva i documento della famiglia, dopo che per l’ulti- suoi feudi. La rivolta del giudice d’Arborea ma volta lo fu nel codicillo al testamento che fu sedata poco dopo dagli Spagnoli, ma il il conte Bernabò fece rogare a Cagliari nel conte Gherardo, morto nel frattempo, chi di- 1349. A testimonianza delle vicende sarde ce in battaglia e chi invece ucciso da Mariano della schiatta comitale, non rimasero nell’isola stesso, fu a torto o a ragione accusato di fello- che i ruderi dei vecchi castelli, le aquile sulle nia dal parlamento aragonese e, di conse- facciate del duomo d’Iglesias e della chiesa di guenza, si procedette alla completa confisca Nostra Signora di Pilar a Villamassargia, alcu- degli ultimi domini sardi dei Gherardesca, ne lapidi, il «Breve» del conte Ugolino, il si- che ancora comprendevano vaste estensioni gillo di quest’ultimo34 e quello del conte Gu- terriere nelle curatorie di Decimo e di Nora. glielmo di Biserno, un paio di tornesi d’argen- È pertanto attorno al 1355 che dovrebbe to (unici esemplari della moneta battuta dai essersi conclusa l’epopea dei Gherardesca in Gherardesca) ed alcune nenie popolari, che Sardegna; da allora, quella che era stata la narrano dell’eroismo ma anche di un certo parte da loro dominata nel «Regno di Caglia- qual... caratteraccio dei Gherardesca stessi.

34 Questo sigillo si conserva nel Museo di Cagliari. CAPITOLO QUINTO

I conti di Donoratico e la loro Signoria su Pisa

Altri cenni storici su Gherardo il Vecchio derico II da leale e profonda amicizia, egli fu e sui suoi figli, Nieri e Fazio strenuo difensore della causa degli Svevi in I- talia, fino all’estremo sacrificio della propria Concluso il racconto delle imprese dei vita. Gherardesca in Sardegna, occorre ora rianda- Questo conte di Donoratico si era sposato re molto indietro nel tempo e riportarci in Pi- con Teodora dei marchesi di Monferrato e da sa dove, nei primi decenni del XIII secolo, si lei aveva avuto due eredi maschi, Bonifazio era consumata la decadenza politica dei Vi- detto Fazio e Ranieri detto Nieri, nonché una sconti ed era salito alla ribalta il carismatico femmina, Teccia, che andò sposa ad Anselmo Gherardo, conte di Donoratico. Risultando da Capraia, giudice di Arborea in Sardegna. praticamente impossibile narrare le vicende Come vedremo fra breve, i due figli furono di questo ramo della casata comitale senza in- sempre i più convinti seguaci della politica fi- trecciarle con un altro segmento della medesi- loimperiale inspirata dal padre al governo di ma, convenzionalmente indicato come quello Pisa; e lo fu in particolar modo Nieri, il quale, dei «conti di Settimo» [tav. 12], ho riunito in dopo che il genitore fu fatto giustiziare a Na- un solo capitolo le vicende dei personaggi poli da re Carlo d’Angiò, per quella bramosia della schiatta che tanta influenza ebbero sulla di vendetta che mai più lo abbandonerà nel storia della Repubblica Pisana fra l’inizio del corso di tutta l’esistenza, si arruolò sotto le in- XIII secolo e la prima metà del XIV secolo. E segne aragonesi per combattere in Sicilia gli per meglio inquadrare tutto questo processo Angioini, nemici giurati della sua casata. Fu storico che culminò con l’instaurazione a Pisa appunto durante questa sua spedizione sici- della Signoria dei Gherardesca, ripartirò ap- liana che conobbe e sposò la giovanissima punto dal conte Gherardo il Vecchio. Beatrice, figlia ultimogenita del defunto re Secondo il Toscanelli1, Gherardo parte- Manfredi di Svevia e sorella quindi della regi- cipò, appena ventenne, alla quinta crociata na Costanza, moglie di re Pietro III d’Arago- promossa da papa Onorio III nel 1216; e in na. Con tale matrimonio, seguito a quello fra particolar modo durante l’assedio di Damiet- Guelfo ed Elena, fu allacciato un secondo le- ta, seppe mettere in evidenza eccezionali doti game fra i Gherardesca e gli Hohenstaufen e di coraggio guerresco. Se questa esperienza fu inoltre contratta quella parentela con gli A- giovanile da crociato sia stata vissuta o meno, ragona che, come abbiamo visto, non mancò non ho potuto accertarlo da alcun documen- di produrre i suoi benefici effetti allorché gli to, ma resta la certezza che, nella sua lunga e- Spagnoli conquistarono la Sardegna. Gli in- sistenza, questo Gherardesca dimostrò am- transigenti convincimenti ghibellini del conte piamente di essere un valoroso condottiero in Nieri furono esaltati da questo prestigioso guerra ed una saggia guida in tempo di pace, matrimonio, e si può quindi ben comprende- tanto da essere amato ed ascoltato dai Pisani re l’avversione da lui sempre provata nei con- per molti decenni. Legato all’imperatore Fe- fronti delle tendenze politiche del suo con-

1 N. TOSCANELLI, I conti di Donoratico della Gherardesca signori di Pisa, Nistri, Pisa 1937, p. 23. 82 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 83 sanguineo conte Ugolino, tutte mirate ad una era stata inviata a sostegno dei Visconti in migliore intesa non solo con le città guelfe Sardegna, nel periodo medesimo in cui, con- della Toscana, ma addirittura con gli stessi tro di loro ed in nome di Pisa, combatteva Angiò. Proprio per tale sua avversione, Nieri nell’isola Ranieri «il Piccolino». La seconda e scelse, per lunghi anni, di tenersi lontano da più importante battaglia navale si svolse il 3 Pisa, preferendo soggiornare nei suoi castelli maggio 1241 nelle acque fra le isole di Mon- maremmani e, per un breve periodo, rifugian- tecristo e del Giglio, dove la flotta pisana ca- dosi anche in Sardegna, dove fu fra l’altro o- peggiata da Guelfo e quella imperiale alle di- spite del cognato da Capraia, giudice di quel- pendenze di re Enzo di Svevia (che però non l’Arborea che confinava con i domini sardi fu presente allo scontro per essere rimasto a dei Gherardesca. Pisa), intercettarono e sbaragliarono una po- Suo fratello Fazio, invece, meno sanguigno tente flotta genovese, sulle cui navi erano im- e più diplomatico di lui, si mantenne al di barcati numerosi cardinali e vescovi diretti a fuori degli affari di governo della Repubblica, Roma per partecipare ad un concilio convo- ma non si dimostrò altrettanto apertamente cato dal pontefice Gregorio IX allo scopo di ostile al conte Ugolino, divenuto ormai di fat- far formalmente condannare la condotta anti- to il signore di Pisa. In questo atteggiamento papale dell’imperatore Federico II. Gli alti di Fazio, si può ritrovare qualche lato della prelati furono in gran parte fatti prigionieri 2 e prudenza che aveva contraddistinto la con- condotti a Pisa legati, si narra, con simboliche dotta di Gherardo il Vecchio, il quale aveva catenelle d’argento, ma la nobiltà di questo sempre avuto cura di operare in stretto accor- metallo non valse a stemperare lo sdegno del do con il ramo di famiglia dei conti di Settimo pontefice che subito lanciò anatemi contro re che, di tutto l’esteso parentado dei Gherarde- Enzo, contro Pisa e, significativamente, non sca, era quello a lui più vicino a Pisa. contro Guelfo bensì contro Gherardo, per il quale fu avviato un processo di scomunica. È chiaro che questa impresa militare era stata I conti di Settimo voluta dagli Svevi per umiliare il papa, con il quale essi si trovavano in insanabile contrasto All’epoca in cui Gherardo il Vecchio aveva politico però, a giudicare dalla reazione della esordito nella vita pubblica, a capo del ramo Chiesa, il conte di Donoratico doveva esserne dei conti di Settimo era il conte Guelfo, padre stato il principale ispiratore, anche se non ri- di Ugolino; più anziano del conte di Donora- sulta che egli abbia personalmente partecipa- tico, Guelfo ne intuì subito le eccezionali to alla battaglia. qualità e le indubbie doti carismatiche e mai Quando nel 1247 morì il conte Guelfo3, gli contese il primato nell’ambito cittadino, l’unico suo figlio maschio, Ugolino, gli suben- divenendone anzi fedele seguace nel disegno trò a capo del ramo dei conti di Settimo. politico e, quando se ne presentò l’occasione, affidabile alleato in guerra. Questo Guelfo, conte di Settimo, è storica- Il conte Ugolino e i prodromi mente ricordato soprattutto come uomo d’ar- di una tragedia mi e di lui si accenna in particolare in occasio- ne di due vittoriosi scontri navali nel corso Fu questi quel conte Ugolino del quale dei quali egli fu al comando delle forze pisa- Dante tramandò nei secoli il nome e le dram- ne. Il primo ebbe luogo nei pressi delle coste matiche vicende, narrandole magistralmente sarde e si concluse con la cattura di una nave in uno dei più bei canti della Divina Comme- dei da Capraia che, carica di armi ed armati, dia. Anche se in questo tragico modo Ugolino

2 Solo cinque galee genovesi riuscirono a salvarsi fuggendo, mentre tre furono affondate e ventidue catturate. 3 Poco prima era stato nominato senatore di Pisa. 84 I della Gherardesca divenne il personaggio popolarmente più no- larvati e più ragionati orientamenti guelfi, for- to, fra i Gherardesca, non ritengo che egli sia se coltivati più per opportunismo che per rea- stato di taglia superiore ad altre figure stori- le convinzione. La figlia maggiore, di nome che della sua schiatta, quali, ad esempio, Gherardesca, andò sposa a Guido Novello quelle di Gherardo il Vecchio, Gherardo il Guidi, conte di Modigliana e vicario generale Giovane e, soprattutto, Fazio Novello. Per la di re Manfredi in Toscana, e la seconda, Emi- notorietà conferita ad Ugolino da Dante Ali- lia, al conte Ildebrando Aldobrandeschi. Il ri- ghieri, gli storici hanno ovviamente appunta- svolto ghibellino di tali due imparentamenti è to la loro particolare attenzione più su di lui fuor di ogni dubbio, ma la terza figlia, della che su alcun altro dei personaggi appena cita- quale non ci è nemmeno pervenuto il nome, ti, ma non sempre hanno saputo soppesare le si maritò invece con il guelfo Giovanni Vi- vicende ugoliniane con la dovuta obiettività sconti, terzo giudice della sua casata nella sar- ed il necessario distacco dalla poetica e ro- da Gallura. Questo matrimonio costituisce manzata traccia dantesca. forse un primo segnale del mutamento in cor- Per quel che mi riguarda dunque, pur sof- so nelle vedute politiche del conte Ugolino, fermandomi quanto necessario su questo arci- che peraltro, nel frattempo, come sappiamo, noto Gherardesca, cercherò piuttosto di ana- aveva di buon grado accettato d’imparentarsi lizzarne il complesso carattere, così come cre- con la casa imperiale degli Hohenstaufen, do di averlo potuto ricostruire su base docu- grazie alle programmate nozze del suo primo- mentale, ed inquadrarne il valido disegno po- genito Guelfo con Elena di Svevia. litico, nella personale convinzione che esso, Come prima di lui aveva fatto suo padre, da solo, sia sufficiente ad assolvere storica- anche Ugolino mantenne sempre buoni rap- mente l’Ugolino dantesco ed a trarlo fuori... porti con il consanguineo Gherardo il Vec- dall’Inferno dove impietosamente lo cacciò il chio, ma non si può escludere che nel suo in- Sommo Vate. Le colpe addossate al conte di timo egli non covasse una punta d’invidia per Settimo travisarono o quantomeno trascesero le doti di condottiero di questo suo più anzia- la realtà e la vera sostanza dei fatti, e furono i- no parente che di fatto era divenuto il signore noltre dilatate a dismisura dalla rinomanza di Pisa, anche se di Signorie vere e proprie conferita loro dalle splendide ma fuorvianti non era ancora giunto il tempo di parlare in rime di Dante che, in effetti, intendeva con quel periodo di forte impegno comunale. Fu esse colpire Pisa, atavica nemica di Firenze, tuttavia a seguito di tale pur celato antagoni- piuttosto che lo stesso Ugolino. Prima dun- smo nei confronti del conte Gherardo, che U- que di accennare alle sue presunte colpe, cer- golino preferì sottrarsi ad una vita pubblica di cherò di tratteggiare il carattere del personag- secondo piano in Pisa e trasferirsi per tanti gio onde riuscire poi a meglio soppesarne i anni nei domini sardi della famiglia, dove si diversi comportamenti nelle varie fasi della sarebbe sentito meno condizionato dalla forte sua movimentata esistenza. personalità del congiunto e dove del resto, Ugolino si era sposato, ancor giovane, con come abbiamo potuto vedere nel capitolo Margherita dei conti Pannocchieschi di Mon- precedente, seppe mettere in mostra ragguar- tegemoli; con lei aveva messo al mondo una devoli doti di governo e di capacità ammini- prole assai numerosa che comprendeva sei fi- strativa. A Pisa egli infatti rientrò solo dopo la gli maschi4 e tre femmine. Partendo proprio tragica morte sul patibolo angioino di Gherar- da queste ultime, si può già intuire che i loro do. Apparentemente dimentico, a quel punto, matrimoni furono un significativo indizio del- della parentela di suo figlio Guelfo con gli le incertezze politiche che tormentavano il Hohenstaufen, alla quale senza dubbio aveva conte di Settimo, sempre in bilico fra il visce- tenuto molto in precedenza, Ugolino comin- rale ghibellinismo della famiglia ed i propri ciò a sostenere che era stato un grave errore

4 Landuccio (o Banduccio) era forse un figlio spurio allevato in casa. Una grande casata guerriera del Medio Evo 85 l’aver legato le sorti della Repubblica alla de- che procedere con energia nei confronti dei clinante stella degli Svevi, e soprattutto l’aver più sediziosi. Giovanni Visconti dovette allora praticato una politica ghibellina troppo in- darsi alla fuga, riparando sotto l’ala protettri- transigente che aveva contribuito ad inimicar- ce della lega dei comuni guelfi della Toscana, si sempre più i comuni di Firenze e Lucca, mentre lo stesso Ugolino che, oltre a tutto do- con i quali sarebbe stato assai più saggio e po la recente morte di re Enzo si era rifiutato conveniente per Pisa mantenere pacifiche re- di corrispondere a Pisa i tributi dovuti per i lazioni, onde sviluppare proficui flussi com- domini sardi assegnatigli in realtà dalla Re- merciali che avrebbero contribuito a risolle- pubblica ma che lui ora, per quanto disposto vare le sorti della sua traballante economia dal testamento di Enzo, considerava invece di mercantile. È bene ricordare che l’antica re- diretta investitura regia, fu imprigionato il 14 pubblica marinara aveva ormai perduto gran luglio 1274 e tenuto per qualche tempo in parte dei suoi sbocchi sui mercati d’Oriente, carcere a Pisa. Caldeggiato da Giovanni Vi- nei quali era stata soppiantata da Venezia, e sconti, scoppiò nel contempo l’ennesimo con- che per far sopravvivere il suo porto aveva un flitto fra i comuni della Taglia Guelfa e la Re- pressante bisogno di aprirsi al suo naturale pubblica Pisana. Ugolino, che gli incauti Pisa- entroterra, rappresentato appunto da Lucca ni avevano troppo frettolosamente scarcerato, e, soprattutto, da Firenze, dove stavano rapi- scese allora in campo quale alleato dei comu- damente espandendosi fiorenti attività artigia- ni guelfi ed invase con i propri armati vasti no-industriali. Il conte Ugolino, sotto questo territori pisani, distruggendo Montecchio e profilo, mostrò di avere una precisa nozione Bientina, portando guasti a Vico Pisano e del nesso che, ancor oggi, intercorre fra un Montecastello ed impadronendosi infine di S. porto ed il suo immediato retroterra, nonché Maria a Monte. La guerra si protrasse senza dell’estrema necessità che Pisa aveva di colle- soste fino al 1276, cioè fino a quando Pisa garsi con esso per ravvivare la languente atti- non si trovò costretta a firmare una pace con vità della propria flotta mercantile. In tale im- Firenze, in virtù della quale il conte Ugolino postazione economico-politica, il conte di Set- fu in grado di rientrare trionfalmente nella timo ebbe per alleato suo genero Giovanni sua città. Da quel momento fu per lui assai Visconti, il quale, proprio con i comuni guelfi più agevole incanalare la politica della Repub- della Toscana aveva sempre mantenuto ottimi blica sui binari di una ricerca d’intesa con i contatti ed intese. comuni dell’entroterra; probabilmente il suo Nel contempo andava anche maturando u- piano era anche quello di assicurare a Pisa na riappacificazione con re Carlo d’Angiò: il maggior tranquillità lungo i propri confini, relativo atto ufficiale venne firmato nel 1272, mentre andava profilandosi un inevitabile con comprensibile disappunto dei figli di scontro armato con la rivale Genova. Anche Gherardo il Vecchio, che appena quattro anni sotto questa angolazione, Ugolino perseguiva prima era stato fatto giustiziare dallo stesso una precisa strategia che nulla aveva a che fa- Angiò. A seguito di questa repentina inversio- re con tradimenti od altro. Anzi, al lume di ne della politica del governo pisano, in città quanto avvenne in seguito, sarei propenso cominciarono a scoppiare dei disordini fra i piuttosto a considerare lungimiranti le vedute sostenitori ugoliniani della nuova impostazio- che il vecchio conte volle imporre con cocciu- ne ed i loro avversari, fra i quali, più o meno taggine, nel fermo intento di procurare alla apertamente, dovevano anche annoverarsi i propria patria sia un profittevole retroterra conti Fazio e Nieri, i quali certo mal tollerava- commerciale che confini terrestri più pacifici no di vedere in tal modo sconfessata la linea e sicuri. politica sostenuta da loro padre. Questi san- Proprio in quegli anni venne però a man- guinosi tumulti si protrassero anche dopo che cargli il sostegno di Giovanni Visconti, che fu raggiunto l’accordo con gli Angioini, e, per morì lasciando a suo erede un giovanetto, o- sedarli, al comune di Pisa non restò altra via monimo del suo nonno materno conte di Set- 86 I della Gherardesca timo, ma che la storia e Dante ci hanno tra- Malgrado che da tempo avesse già superati mandato con il nomignolo di «Nino». Del- i settant’anni5, il conte Ugolino sembrava aver l’opposizione ai progetti di Ugolino da parte trovato una seconda giovinezza dedicandosi dei figli di Gherardo il Vecchio, ho già accen- con vigore al governo di Pisa, che egli confi- nato; di questi due Gherardesca non resta che dava di poter risollevare alle antiche glorie. sottolineare ancora una volta la diversità ca- Risale forse a quel periodo l’aneddoto su di ratteriale: violento e intransigente il conte lui, riportato in una lettera che nel 1625 si Nieri, più subdolo e prudente, invece, il conte trovava ancora nelle mani dello speziale fio- Fazio. Non si potrebbe altrimenti spiegare rentino Luca Chiari e della quale ho trovato quel grado di capitano generale che Fazio un estratto nell’archivio dei Gherardesca. In conseguì proprio in quegli anni dal comune, essa si racconta che, per festeggiare un suo con l’indubbio consenso di Ugolino che do- compleanno, Ugolino fece organizzare minava ormai la ribalta cittadina. una ricca festa dove ebbe figlioli et nipoti et tutto Agli inizi del 1284, Fazio fu infatti inviato suo legnaggio et parenti, uomini et femmine con in Sardegna, con tale roboante grado ma con grande pompa di vestimenta et di corredi et di ap- poche e vecchie galee; l’intenzione era quella parecchiamenti. Il conte mostrò la sua grandezza e ri rafforzare nell’isola le difese pisane in vista potenza ad un savio uomo di corte chiamato Marco della guerra con Genova, ma il Donoratico Lombardo et da questi ebbe per risposta che stasse non riuscì nemmeno a raggiungere la sua me- preparato alle disgrazie, perché a lui nulla mancava ta, poiché nelle acque dell’isola di Tavolara fu fuorché l’ira di Dio. E fu vero perché subito la for- sorpreso da preponderanti forze navali geno- tuna abbandonò il conte Ugolino et per lui comin- ciarono quelle sventure che lo portarono a tanta mi- vesi e fatto prigioniero. seranda fine. In effetti questa profetizzata ira divina co- La guerra contro Genova e la sconfitta minciò a manifestarsi quando, scoppiata la della Meloria guerra con Genova, la medesima si concluse in pochi mesi con la cocente disfatta di Pisa Prima che scoppiasse il conflitto vero e nella battaglia navale combattuta fra le due proprio con Genova, il conte di Settimo si era flotte nemiche, il 6 agosto 1284, nei pressi adoperato con ogni sua energia a stringere dell’isolotto della Meloria. In tale battaglia sempre più amichevoli rapporti con Firenze l’ormai ultrasettantenne conte di Settimo non e, almeno a giudicare dal mancato successivo ebbe gran parte attiva, poiché, pur rivestendo intervento di questo comune a favore dei ge- il grado di capitano generale e ammiraglio novesi, si dovrebbe concludere che l’azione di della flotta, assieme al podestà Alberto Moro- Ugolino ebbe pieno successo, almeno sotto sini, lasciò a quest’ultimo e all’ammiraglio Sa- questo aspetto. Ma se egli andava cercando di racini l’effettivo comando del grosso dell’ar- spengere i fuochi di guerra lungo i confini mata navale pisana, forte complessivamente terrestri della Repubblica Pisana, non altret- di 60 o 70 galee oltre ad un buon numero di tanto gli fu possibile fare per quelli marittimi, legni minori. Il vecchio conte si limitò invece dove il contrasto con la nemica di sempre si a capeggiare chi dice dodici e chi sole tre ga- radicalizzava ogni giorno di più, frazionando- lee, piazzate alla foce d’Arno per impedire si in una miriade di piccoli scontri navali, con che navi nemiche tentassero di forzare il por- cui le due Repubbliche rivali si ostacolavano a to per risalire poi verso la città. In tal senso si vicenda il regolare svolgimento dei rispettivi può ben dire che egli assolse al compito affi- traffici marittimi, linfa vitale per entrambi. datogli, perché, malgrado la disastrosa scon-

5 Ugolino era nato attorno al 1210 e non già nel 1220 come erroneamente sostenuto da alcuni storici. Se quest’ultima ipo- tesi fosse esatta, egli avrebbe infatti avuto il maschio primogenito Guelfo, che nacque nel 1234, a soli quattordici anni d’età né può esludersi che, prima di Guelfo, sia addirittura nata qualcuna delle figlie di Ugolino stesso. Oltre a ciò, nel 1232 egli andò a combattere in Sardegna con Ranieri «il Piccolino», e quindi, all’epoca, non poteva certo essere un fanciulletto. Una grande casata guerriera del Medio Evo 87 fitta subita dalla flotta pisana, che venne pra- tivo. Si narra anzi che egli, per assicurarsi la ticamente annientata, nessuna galea genovese neutralità fiorentina, non esitò nemmeno a re- osò attaccare direttamente Pisa. Secondo cro- carsi di persona nella città rivale. nache dell’epoca, peraltro in disaccordo fra Di fronte all’offerta dell’anomalo podesta- loro circa l’esatto numero di essi, risulta che i riato decennale, Ugolino, troppo ambizioso Genovesi alla Meloria fecero una strage di Pi- per rifiutarlo, si rese almeno conto che la sua sani ed un gran numero di prigionieri, fra i età avanzata non gli avrebbe probabilmente quali l’ammiraglio Morosini e il conte Lotto, consentito di espletarlo sino alla sua lontana figlio di Ugolino. Una lapide murata nella scadenza, e perciò chiese ed ottenne di poter- chiesa di S. Matteo a Genova parla di 9272 si associare nel potere il nipote Nino Visconti, nemici catturati (forse inclusi quelli fatti pri- il quale lasciò allora il Giudicato di Gallura e gionieri in altre battaglie che avevano prece- rientrò a Pisa per affiancare l’avo materno nel duto la Meloria); ma anche se detto numero governo della Repubblica. non fosse del tutto veritiero, rimane per certo I due signori, in perfetto accordo fra loro, che furono comunque così tanti da far circo- proseguirono nella politica di buon vicinato lare, in quegli anni, un mordace detto, forse con Fiorentini e Lucchesi e, pur di assicurar- di conio fiorentino, che così suonava: «Chi sene la non belligeranza, in un frangente così vuol veder Pisa vada a Genova». delicato per Pisa, non si tirarono indietro Alcuni storici, non del tutto imparziali, ri- nemmeno quando si trattò di restituire a tali collegarono le cause della disfatta della Melo- comuni alcune castella di confine, sottratte lo- ria a presunte responsabilità del vecchio conte ro dai Pisani anni prima. Inutile dire che det- di Settimo e quindi da esse le motivazioni del- ta pur saggia decisione dei due podestà, su- la triste sorte da lui subita pochi anni dopo. scitò un forte malcontento fra i ghibellini pi- Non si comprende però come Ugolino avreb- sani che ancora potevano contare su di un be potuto ribaltare le ormai ben delineate sor- forte seguito. Ugolino non si dette però per ti dello scontro, buttandovi dentro le poche e vinto e, per quasi due anni, governò con il ni- certo più vetuste navi al suo comando, mentre pote a dispetto degli avversari, promulgando assai più palese appare il rischio che avrebbe- addirittura un nuovo statuto per la Repubbli- ro corso Pisa e i suoi abitanti, se la bocca ca, i «Brevi Pisani Communis», la cui impo- d’Arno fosse rimasta del tutto indifesa. stazione tendeva già a prefigurare l’avvento nella città di una formale Signoria. Era la pri- ma volta che si tentava di indebolire le istitu- Dalla proclamazione di Ugolino a podestà zioni comunali ed è ovvio che da ciò prorup- per dieci anni al suo imprigionamento pero nuovi risentimenti da parte dei nemici e alla sua morte per fame del conte, i quali, fra l’altro, cominciarono ad accusarlo di non adoperarsi a sufficienza per Se veramente il conte di Settimo si fosse raggiungere una pace con Genova, che per- macchiato della colpa poi addossatagli, non si mettesse il rimpatrio dei tanti prigionieri pisa- spiegherebbe il motivo per il quale, due anni ni che ancora languivano nelle carceri della dopo la Meloria, i Pisani lo chiamassero a ri- città ligure. In realtà i due podestà non aveva- coprire la carica di podestà per l’eccezionale no mai cessato di trattare con i vincitori della durata di dieci anni, proclamandolo di fatto Meloria e nell’aprile del 1288 erano persino loro signore. Del resto, subito dopo la disa- riusciti a farsi da essi rimettere una bozza di strosa sconfitta navale, Ugolino era anche sta- proposta di tregua, sotto forma però di un to acclamato dai suoi concittadini «salvatore gravosissimo accordo che non venne firmato della patria» per essersi adoperato con suc- per insormontabili difficoltà pratiche di attua- cesso onde evitare che Firenze approfittasse zione; in esso, infatti, i Genovesi avevano pre- della situazione ed attaccasse Pisa dalla parte vista una complessa meccanica per il paga- di terra, infliggendole il colpo di grazia defini- mento di rilevanti penalità a loro favore, nel- 88 I della Gherardesca

Opera d’arte raffigurante la morte del conte Ugolino e dei suoi familiari. Pierino da Vinci, Bassorilievo in terracotta (già proprietà Gherardesca, oggi Antinori) [fig. 12] Una grande casata guerriera del Medio Evo 89

Opera d’arte raffigurante la morte del conte Ugolino e dei suoi familiari. Jules Jean Baptiste Carpeaux, Statua in marmo, Metropolitan Museum, New York [fig. 13] 90 I della Gherardesca l’ipotesi che i Pisani avessero trasgredito ai ziani, situato nella parte opposta della città ri- patti di pace. spetto al quartiere di Chinseca, dove erano u- Gli avversari di Ugolino, decisamente in bicate le torri dei Gherardesca. malafede, colsero allora l’occasione per rivol- Il conte di Settimo si recò a tale riunione gergli la demagogica accusa di non voler far senza sospetti ed accompagnato solo da alcu- rientrare i prigionieri stessi, nel timore che fra ni dei suoi figli e nipoti; ma giunto a destino, di essi si annoverassero più oppositori che so- fu subito fatto imprigionare assieme ai suoi stenitori della sua politica. Chi attaccava in tal familiari, e cioè a due figli, Gaddo e Uguccio- modo il conte di Settimo fingeva di non ricor- ne, e a due nipoti, Ugolino detto Nino il Bri- dare che, fra tali prigionieri, vi era anche un gata, figlio di Guelfo e di Elena di Svevia, e figlio di Ugolino, Lotto, oltre al consanguineo Anselmuccio, figlio di Lotto, ancora prigio- Fazio. Questi, per la verità, irritato anche per niero a Genova. Un terzo figlio del vecchio non essere ancora stato riscattato, si era la- conte, Landuccio, fu forse ucciso nel corso sciato coinvolgere dai Genovesi nella congiu- della difesa del palazzo e delle torri paterne, ra antiugoliniana che in Pisa andava sempre quando anch’esse vennero assalite dai congiu- più prendendo corpo proprio con l’appoggio rati nel tentativo di ammazzare o catturare esterno di Genova, la quale aveva addirittura tutti i componenti della famiglia del deposto promesso ai congiurati il blocco del porto pi- signore. sano con le proprie navi, non appena fosse I cinque Gherardesca, fatti prigionieri nel scoppiata la rivolta contro il conte di Settimo. Palazzo degli Anziani, furono rinchiusi in una Tali navi, su una delle quali era stato imbarca- torre appartenente alla casata dei Gualandi, to anche il conte Fazio, presero in effetti il che pare si appoggiasse al muro del palazzo mare, ma arrivarono solo a cose fatte poiché, precitato e che originariamente era denomina- mentre erano ancora in navigazione, l’arcive- ta «della muda», prima di essere ribattezzata scovo Ruggeri6, che capeggiava la fazione ghi- «della fame» per quanto vi avvenne. Una leg- bellina in Pisa, decise di rompere ogni indu- genda popolare, ripresa con fiorentina acredi- gio e di esautorare il conte Ugolino ricorren- ne da Dante, narra che, dopo averli rinserrati do ad uno strattagemma. Gli fece infatti cre- nella torre, venne gettata in Arno la chiave del dere che tutto il risentimento dei ghibellini si portoncino dell’improvvisato carcere, onde concentrava più che altro sul nipote Nino, scongiurare ogni rischio di una liberazione dei troppo acceso sostenitore della parte guelfa, e Gherardesca da parte dell’ancor potente loro convinse il vecchio conte a ritirarsi, momenta- consorteria. A carico dei malcapitati non fu neamente, nel suo castello di Settimo, onde celebrato alcun processo pubblico; ed anche consentire che i Pisani si rivoltassero contro se, sul conto di Ugolino, continuarono a cir- quel presunto unico bersaglio dei loro mal- colare le già note quanto infondate accuse, contenti. appare mostruosamente ingiusto che altri suoi Anche quasta versione postuma dei fatti ap- familiari, che da dette accuse non erano nem- pare tale da suscitare legittimi dubbi, però è meno lontanamente sfiorati, ne subissero an- vero che, in quei giorni, Nino si trovò costret- ch’essi le atroci conseguenze. Invano parenti to a fuggire dalla città ed a trovare rifugio ed amici dei conti di Settimo versarono, a più presso la Lega Guelfa, così come a suo tempo riprese, le forti somme di riscatto di volta in aveva dovuto fare anche suo padre Giovanni. volta richieste dagli Anziani di Pisa, i quali Convinto allora che ogni ribellione si fosse or- continuarono a reclamarne sempre di nuove e mai placata in Pisa, si dice che Ugolino rien- di maggiori, fino a quando il rivolo di denaro trasse in città con i suoi armati, ma il Ruggeri non giunse ad inaridirsi. lo attirò ancora in una trappola invitandolo a Il Davidsohn, nella sua bella Storia di Fi- presiedere una riunione nel Palazzo degli An- renze, narra che tutte quelle laboriose trattati-

6 Era della nobile casata degli Ubaldini. Una grande casata guerriera del Medio Evo 91 ve furono «ascoltate» per mesi anche dalle può forse non escludersi per Nino il Brigata, vittime che, alla meglio, potevano seguirle at- che era un violento e già era stato accusato traverso il muro in comune che separava la dell’assassinio di un avversario politico, altret- loro prigione dalla sala in cui si riunivano gli tanto non è comprovabile per gli altri suoi Anziani stessi, i quali, a loro volta, potevano congiunti. Ancor meno si può spiegare per- udire i gemiti dei disgraziati Gherardesca che ché venne crudelmente incarcerato, ma non andavano lentamente spengendosi di fame e nella torre della fame, anche un bisnipote del di stenti. Dopo nove mesi di prigione, Uguc- conte di Settimo, Guelfuccio, il quale, a quel- cione e Gaddo furono i primi a rendere l’ani- l’epoca, aveva appena compiuto tre anni8. La ma a Dio, mentre loro padre, a dispetto del- sua tenera età costrinse addirittura i suoi a- l’avanzatissima età, riusciva ancora incredibil- guzzini ad imprigionare con lui anche un’in- mente a resistere. Nessuno però volle, o poté, nocente nutrice affinché lo accudisse. Per togliere dalla cella i due primi cadaveri che ri- quasi venticinque anni i due poveretti langui- masero così a far macabra compagnia ai tre rono insieme nel carcere, fino a quando, nel superstiti. Sentendo ormai prossima anche la 1312, non intervenne in loro favore l’impera- sua fine, il vecchio Ugolino invocò a gran vo- tore Arrigo VII del Lussemburgo (il dantesco ce che gli fosse inviato un sacerdote o un frate «alto Arrigo») il quale ne ordinò la liberazio- che lo potesse confessare ed assolvere dai suoi ne. Per Guelfuccio era però ormai troppo tar- peccati7, ma, pur udendolo, gli Anziani nega- di, poiché, stremato dai troppi stenti sofferti, rono spietatamente anche questo estremo decedette poco tempo dopo. conforto. Poi, il 18 marzo 1289, ogni gemito Oltre a quelli sino ad ora citati, i rimanenti cessò e fu silenzio di morte. maschi della famiglia di Ugolino scamparono la vita o per aver avuto la buona sorte di tro- varsi lontani da Pisa o per essere riusciti ad al- La vendetta dei Pisani nei confronti lontanarsene prima di venir catturati. Tutti i di tutta la famiglia del conte di Settimo conti di Settimo superstiti furono comunque banditi dai territori della Repubblica e venne- Qualche giorno più tardi, gli Anziani, con- ro a loro confiscati dal comune i palazzi in vinti ormai che i prigionieri fossero tutti dece- città (che peraltro erano stati rasi al suolo) e i duti, decisero di far riaprire la porta della tor- possedimenti nelle immediate vicinanze di Pi- re dentro la quale furono rinvenuti, in stato di sa9, mentre nulla potette fare il comune mede- avanzata decomposizione ed orrendamente simo al riguardo dei loro domini maremmani rosicchiati dai topi, i corpi senza vita dei cin- in quanto beni indipendenti della comunità que Gherardesca. Forse proprio da quest’ulti- parentale dei Gherardesca. Il mancato inca- mo scempio perpetrato dai ratti, nacque la di- meramento delle quote di proprietà che gli e- ceria di un cannibalismo fra i malcapitati che redi di Ugolino vantavano su tali terre, non ri- Dante lascia intravedere nell’ambiguo verso sulta smentito da alcun documento; ci è con- che dice: «più che il dolor poté il digiuno». fermato anzi da un manoscritto del 28 novem- Alcuni commentatori di queste drammatiche bre 130410, nel quale si accenna a possedi- vicende hanno sostenuto, in difesa dell’opera- menti in Maremma degli eredi di Ugolino, ri- to degli Anziani di Pisa, che se i figli e i nipoti badendo con ciò la particolare autonomia di di Ugolino erano stati anche loro incarcerati e cui godeva l’enclave dei Gherardesca, sul qua- lasciati morire di fame, dovevano pur essersi le Pisa non poteva esercitare alcuna sostanzia- anch’essi macchiati di qualche crimine. Se ciò le giurisdizione.

7 Lo narra Scipione Ammirato il Vecchio. 8 Guelfuccio era un nipote di Guelfo e Elena, figlio di loro figlio Arrigo detto Enzo, come il nonno materno. 9 Tali beni non furono mai più restituiti ai conti di Settimo, malgrado che una condizione in tal senso sia stata inserita nei diversi trattati che Pisa dovette firmare con Firenze e i comuni di Taglia Guelfa, negli anni successivi alla morte di Ugolino. 10 AF, f. 153, a. 1304. 92 I della Gherardesca

Ma torniamo ora ai conti di Settimo super- aveva avuti dalla prima moglie. stiti. Di Guelfo, Lotto e Matteo ho già parlato Ho di proposito riportato i dettagli riguar- trattando delle vicende sarde della casata. Ag- danti le vicende dei vari discendenti del conte giungerò ora solo alcuni cenni relativi alla vita Ugolino, per meglio sottolineare che la perse- di Lotto e di Matteo, per eventi accaduti do- cuzione di questo ramo dei Gherardesca as- po la conclusione della rivolta in Sardegna di sunse contorni di una tale ferocia da travalica- questi Gherardesca. re qualsiasi colpa si volesse, a torto o a ragio- Lotto, durante il periodo della sua prigio- ne, addossare al vecchio conte di Settimo. Si nia a Genova, godette evidentemente di ri- trattò in effetti di una spietata caccia all’uomo guardi particolari, tanto da poter sposare in condotta dai capi della riscossa ghibellina, nel seconde nozze, proprio in quegli anni, una terrore di una ipotizzabile vendetta a loro ca- Spinola11, figlia di Oberto, capitano del popo- rico da parte di quei familiari di Ugolino che lo nella città ligure. Fu certo grazie a questa a lui fossero sopravvissuti. Ben si adattò quin- sua prestigiosa parentela, che Lotto poté an- di a quei pisani, e non già al popolo pisano che essere riscattato in anticipo, rispetto agli tutto, il dantesco attributo di «vituperio delle altri prigionieri pisani, ed aiutato a raggiunge- genti». re la Sardegna per combattere contro Pisa Le tre figlie del conte, che vivevano sposate con suo fratello Guelfo. lontano da Pisa, non poterono invece essere Matteo, invece, dopo essere forse stato an- perseguitate, anche se non si può escludere u- ch’egli, per un breve periodo, nell’isola, andò na tale intenzione da parte dei ghibellini del- successivamente a risiedere a Bologna, per poi l’arcivescovo Ruggeri. Persino l’anziana mo- ricomparire nel 1314 a fianco di Uguccione glie di Ugolino, Margherita, a quanto sappia- della Faggiola, quale uno dei maggiori prota- mo, dovette, infatti, lasciare in tutta fretta la gonisti della vittoriosa guerra di Pisa contro città e rifugiarsi presso i Malaspina in Luni- Lucca. A lui anzi si attribuisce lo strattagem- giana. La drammatica vicenda si concluse ma grazie al quale le truppe pisane riuscirono dunque con la totale dispersione del ramo dei ad aver ragione della resistenza nemica, vio- conti di Settimo e con la confisca di tutti quei lando le mura lucchesi e penetrando nella loro beni, sui quali alla Repubblica fu possibi- città attraverso le porte di S. Giorgio e di S. le allungare le mani. Frediano. Per non esaurire con tali dolorose note la Proprio in Lucca, anni prima, si era rifugia- narrazione delle vicissitudini ugoliniane, ri- to un altro Matteo, parente del primo perché porterò, a loro conclusione, un gustoso rac- figlio di Nino il Brigata. Questo bambino era contino che ho rinvenuto nell’opera più volte fuggito da Pisa con sua madre, una Capuana citata del Davidsohn. da Panico, onde evitare la medesima sorte che Gherardesca, la figlia del conte Ugolino che aveva era toccata al suo cugino e coetaneo Guelfuc- sposato Guido Novello dei conti Guidi del Casenti- cio. Madre e figlio vissero, in seguito, a Lucca no, stava un giorno passeggiando in compagnia di u- ed alla loro morte furono seppelliti nella chie- na cognata nei pressi di Campaldino. La prima delle sa lucchese di S. Romano, dove tutt’oggi si due dame era, come il padre, di larvata fede guelfa e può vedere la lapide del loro sepolcro12. Al di la seconda invece era di convinti sentimenti ghibelli- ni in quanto figlia di quel Buonconte da Montefel- fuori di Anselmuccio, di cui ci è nota la morte tro, che, proprio nella battaglia di Campaldino, era nella Torre della Fame, poco o nulla si sa inve- morto combattendo, contro i guelfi fiorentini, al ce delle peripezie occorse agli altri figli maschi fianco dei ghibellini d’Arezzo. Nell’attraversare i (Giovanni, Gaddo e Pietro) che il conte Lotto campi dove si era svolto quel sanguinoso scontro, la

11 Il suo nome era forse Leona. 12 F. DAL BORGO, Dissertazioni sopra l’istoria di Pisa, Giovannelli, Pisa 1761, vol. I, parte I, pp. 32-33. Si riporta quanto scritto dal domenicano Frà Tolomeo de’ Fiandoni nei suoi Annali. Lo scrittore lucchese era anche stato uno degli esecutori testamentari della contessa Capuana. Una grande casata guerriera del Medio Evo 93 figlia del conte Ugolino disse ad un certo momento Fu perciò gioco forza ricorrere ad una gui- alla cognata: Guardate, madama, come sono nate da forestiera e la scelta cadde su Guido, conte abbondanti queste biade e questo grano. Sono certa di Montefeltro, al quale, per il triennio dal che il terreno risente ancora di quella grassezza. 1289 al 1292, furono contemporaneamente Era lampante a qual tipo di concimazione inten- desse riferirsi Gherardesca. Ribatté allora pronta- assegnate le cariche di podestà, capitano del mente la figlia di Buonconte: Sono assai belli invero popolo e capitano generale di guerra. Si trat- ma speriamo che giungano a maturazione prima che tava in pratica di una vera e propria tempora- alcuno di noi non abbia a morir di fame. nea Signoria, anche se tale forma di governo, Anche i questo caso era facile intuire a che cosa che, all’epoca, non si era ancora affermata in volesse riferirsi la cognata di Gherardesca. Italia, presupponeva l’ereditarietà nell’eserci- Sarebbe così stata forgiata, alla fine del XIII zio del potere, prassi che Guido, alla fine del secolo, la prima delle tante storielle, sempre suo mandato, tentò del resto d’instaurare, fa- un po’ macabre, che fiorirono, e fioriscono cendosi succedere da suo cugino, Galasso da tuttora, attorno alla figura di questo disgrazia- Montefeltro. to personaggio dantesco13, sdrammatizzando- Quando Guido assunse il potere in Pisa, ne la truce vicenda. cercò innanzi tutto di rivitalizzare la tradizio- nale politica ghibellina e di riconquistare i ter- ritori e i castelli strappati alla Repubblica dai Il conte Guido da Montefeltro, signore confinanti comuni guelfi, nel periodo che ave- di fatto a Pisa, e i conti di Donoratico, va preceduto il suo avvento. Per tale impresa, Nieri e Neri con lui collaborarono anche due Gherardesca fra di loro omonimi e conosciuti con due so- Torniamo ora alla realtà storica, cioè agli prannomi tanto simili da creare qualche equi- avvenimenti che avevano spazzato via dalla ri- voco nella lettura dei documenti che li riguar- balta pisana sia i conti di Settimo che Nino dano. Si trattava di Ranieri, detto «Nieri», Visconti, unico della sua casata ad essere riu- conte di Donoratico e figlio di Gherardo il scito a riconquistare il potere in Pisa, dopo il Vecchio, e di Ranieri, detto «Neri», anche lui declino della supremazia viscontea sulla città. conte di Donoratico, ma figlio di un Giovan- Disorientata e scossa da quanto era seguito al- ni, che fu padre anche del beato Gaddo e del la sconfitta della Meloria e soprattutto alla ca- vescovo Bonifazio. duta della Signoria di Ugolino e Nino, la Re- Di Nieri avrò modo di parlare più estesa- pubblica Pisana si trovò a dover affrontare mente in seguito e per ora di lui mi limiterò a l’ultimo decennio del Milleduecento, senza dire che, all’epoca del conte di Montefeltro, poter più fare affidamento, per la prima volta fu al comando della cavalleria pisana; per il dopo due secoli di storia, sul sotegno di una o secondo invece cercherò di sintetizzare ora, in dell’altra delle due grandi prosapie che, fra le poche righe, i fatti salienti della sua esistenza sue mura, si erano a lungo contese il potere. di guerriero. Innanzi tutto Neri capeggiò i Forse una certa disponibilità avrebbe potu- ghibellini della Val d’Era, riconquistando con to sussistere nei conti di Donoratico, discen- essi, a Pisa, vari castelli di quella zona strate- denti da Gherardo il Vecchio, ma, di essi, Fa- gica. Condusse poi una vittoriosa spedizione zio era tuttora prigioniero a Genova e Nieri, su Castiglion della Pescaia e, di lì, si spinse fi- pur affidabile in guerra, era assai poco dotato no a Grosseto. Alcuni anni più tardi, e preci- di quelle caratteristiche diplomatiche, politi- samente nel settembre del 1304, fu al coman- che ed amministrative, di cui il governo di Pi- do dei rinforzi inviati da Pisa ai ghibellini di sa necessitava disperatamente in quel partico- Pistoia, quando questi vennero minacciati da lare frangente. Firenze; infine, nel 1308, guidò le truppe pi-

13 Nel castello Guidi sito a Poppi nel Casentino, sembra che si conservi un affresco in cui appare Gherardesca mentre racconta a Dante le vicende del padre Ugolino. 94 I della Gherardesca sane accorse in aiuto ai ghibellini d’Arezzo pretesa sulla Corsica, come pure su gran parte capeggiati, a quei tempi, da Uguccione della della Sardegna. In compenso rientrarono nel- Faggiola. In tarda età, Neri si ritirò a vita con- le loro famiglie i Pisani superstiti16, fra i quali ventuale nel monastero di S. Maria ad Marty- anche il conte Fazio che, dal carcere genove- res, a Donnino fuori Pisa, ma prima chiese ed se, non aveva mai cessato d’incitare i propri ottenne dai figli, in ossequio al disposto delle seguaci a ribellarsi alla politica seguita da U- leggi longobarde in materia, il consenso di golino e, a suo tempo, era stato anche segreta- poter donare al convento stesso alcuni beni mente inviato a Pisa, dall’arcivescovo Rugge- della famiglia siti a Rosignano14. ri, quale ambasciatore di Genova17. Sarà pro- I due conti di Donoratico omonimi ebbero prio Fazio di Donoratico a riprendere a Pisa dunque una parte di rilievo nel successo arriso quel posto di primo cittadino che era stato di all’energica politica militare di Guido da Mon- suo padre Gherardo, e ad ispirare per vari an- tefeltro, che, nel 1293, quando ormai questi e- ni la condotta politica del governo della Re- ra stato sostituito dal cugino Galasso, si con- pubblica. cretizzò nella pace stipulata a Fucecchio fra Pisa ed i comuni della Taglia Guelfa15. Fazio, conte di Donoratico, primo cittadino in Pisa La pace fra Pisa e Genova Contrariamente a suo fratello Nieri, Fazio Scarso rilievo storico ebbe per Pisa il quin- possedeva tutte quelle doti di prudenza che quennio successivo al podestariato del conte tanto necessitavano in quel momento per ri- Guido, ma c’è da immaginare che tutti gli sollevare il perduto prestigio di Pisa. Fu lui sforzi della Repubblica fossero concentrati infatti che, assecondato in questo dal fratello, sull’obiettivo di raggiungere la pace con Ge- avviò le trattative con re Giacomo II d’Arago- nova e ricondurre in patria i tanti suoi cittadi- na nel tentativo ufficiale, risultato vano, di ni che ancora languivano in prigionia. Questa salvaguardare i residui interessi pisani in Sar- tanto sospirata tregua fu alfine raggiunta il 31 degna, ma con il più celato ma felicemente luglio 1299, cioè ben dieci anni dopo la morte riuscito intento di preservare quelli che i del conte Ugolino. Tale dato di fatto eviden- Gherardesca ancora avevano nell’isola. La zia ancora una volta che questi non era stato il morte colse però Fazio troppo presto per con- solo ostacolo che si frapponeva alla pace, la sentirgli di concludere lui stesso questi con- quale trovava invece i suoi impedimenti in tatti con gli Aragona, che furono proseguiti motivazioni assai diverse. Le accuse quindi, dal fratello Nieri e definiti da suo nipote Fa- rivolte in tal senso al conte di Settimo, erano zio Novello. infondate, mentre è plausibile che fosse pro- Quando le doti diplomatiche non mostra- prio Genova a non aver mai avuto alcun inte- vano di raggiungere l’effetto desiderato, Fazio resse a rinviare a casa tanti potenziali soldati seppe anche impugnare le armi, come nel ca- nemici ed a cercare di procrastinare il più pos- so di alcune spedizioni guerresche da lui con- sibile la loro liberazione, frapponendo conti- dotte sia sul territorio di S. Miniato (con scar- nui intralci nelle trattative di pace. so successo) che su quello di Volterra (con e- Le clausole dell’accordo furono pesantissi- sito positivo). In questa ultima impresa egli me per Pisa che dovette rinunziare ad ogni coinvolse il comune di Pisa in faccende che

14 AF, f. 99, a. 1330. 15 AF, f. 98, a. 1293. Nella Pace di Fucecchio furono inclusi nell’accordo anche i figli superstiti del conte Ugolino. 16 Alcuni storici riportano che solo duemila furono i prigionieri che fecero ritorno a Pisa dopo la firma della tregua. A ta- le proposito occorre però ricordare che alcuni di essi, come ad esempio il conte Lotto di Ugolino, erano stati rilasciati in an- ni precedenti al 1299. 17 DAVIDSOHN, op. cit., vol. III, p. 433. Una grande casata guerriera del Medio Evo 95 riguardavano solo ed esclusivamente i Ghe- un’influenza diretta su tutti gli affari di gover- rardesca, i quali stavano soffrendo l’insolven- no e sulle nomine alle principali cariche pub- za del comune di Volterra, che tardava a rim- bliche; gli fu anche possibile incanalare la po- borsar loro un prestito fattogli nel 1303 dallo litica pisana entro i binari da lui preferiti, così stesso Fazio18. La commistione degli interessi come ad esempio avvenne nel 1307, quando della casata comitale con quelli di Pisa, assu- in odio ai Visconti, non solo ostacolò i proget- merà d’allora in poi carattere permanente, ma ti matrimoniali del suo parente Tedice, detto questa fu una delle caratteristiche comuni a Tige, che intendeva sposare Giovanna, figlia tutte le Signorie. di Nino Visconti ed ultima della sua casata a Nel documento transattivo finale firmato ricoprire la carica di giudice della Gallura, ma con Volterra, assieme al «comes Fatio», si spinse addirittura Pisa a conquistare con le menziona anche il «comes Loctus», confer- armi il Giudicato ed a cacciarne la stessa Gio- mandoci in tal maniera che questo conte di vanna. Pare che al conte Tige l’accaduto non Settimo, divenuto ora conte di Montescudaio piacque affatto, tanto che, si dice, egli fu so- e Guardistallo19, rientrato dalla sua prigionia spettato di un tentativo di assassinio di Fazio. genovese, si era reinsediato nei propri domini Solo dopo la morte di quest’ultimo, a Tige maremmani, mai confiscatigli da Pisa. Questo stesso fu possibile sposare Giacomina, vedova Lotto era infatti proprio quel figlio di Ugoli- di un Giovanni, giudice d’Arborea, e con ciò no che, grazie al suo imparentamento con la tentare di soddisfare le velleità sarde sue e potente casata genovese degli Spinola, ma an- forse anche del ramo di quei Donoratico, che che al pagamento di un sostanzioso riscatto, non erano mai riusciti a conquistarsi una con- era riuscito a ritornare nelle sue terre alcuni veniente base nell’isola, malgrado le imprese anni prima che, nel 1299, fosse raggiunta la guerresche di Ranieri «il Piccolino» e gli intri- tregua con Genova20. Già nel 1297, chiusa or- ghi ecclesiastici del vescovo Bonifazio. Dal ca- mai e... dimenticata la parentesi guerresca in pitolo precedente sappiamo però quanto in- Sardegna, lo troviamo infatti «vicarius mariti- soddisfatte rimasero le ambiziose pretese di me» a Cecina; poi, nel 1299, nominato suo Giacomina sul Giudicato del defunto suo pri- procuratore dal conte Fazio tuttora prigionie- mo sposo e, di conseguenza, quanto vane le ro e, in quel medesimo anno, eletto membro tardive speranze di Tige e del suo ramo di fa- del Consiglio di Credenza a Pisa21. Tutto ciò miglia, di sedersi anch’essi alla tavola del ban- dovrebbe far supporre che, sotto il profilo chetto sardo, ormai prossima ad essere... spa- politico, i discendenti diretti del conte Ugoli- recchiata. no fossero stati in un certo qual modo riabili- Anche delle trattative avviate da Fazio con tati dal comune pisano, che tuttavia esitava a i d’Aragona ho dato cenno, ed in proposito restituir loro l’antica potenza, tant’è vero che i non mi resta che confermare che in esse Fazio beni confiscati saranno ridati agli antichi pro- ebbe sempre al fianco il fratello Nieri, che, per prietari, solo assai parzialmente, nel 1318, quanto poco idoneo a qualsiasi azione diplo- quando la Signoria dei Gherardesca, conti di matica, era pur sempre l’anello di congiunzio- Donoratico, si era ormai stabilmente consoli- ne parentale fra i Gherardesca e gli Aragona data in Pisa. stessi. Dopo la morte di Fazio, infatti, fu pro- Da parte sua, come ho avuto modo di ac- prio Nieri a mantenere rapporti diretti con il cennare, Fazio aveva raggiunto nella città un sovrano spagnolo, così come conferma una prestigio tale da consentirgli di esercitare missiva inviata al re dal suo delegato Vidal de

18 AF, f. 102, n. 15. 19 AF, f. 58, n. 1, a. 1260; e SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 855. In precedenza anche Ugolino, padre di Lotto, si era richiamato al titolo di conte di Montescudaio e Guardistallo. 20 M.L. CECCARELLI LEMUT, I Pisani prigionieri a Genova dopo la battaglia della Meloria: la tradizione cronistica e le fonti documentarie, in AA.VV., 1284. L’anno della Meloria, Ets Editrice, Pisa 1984. 21 CRISTIANI, Nobiltà e popolo nel comune di Pisa, cit., p. 264, n. 105. 96 I della Gherardesca

Villanueva, con cui quest’ultimo informa il dove avrebbe dovuto cingere la prestigiosa suo re di aver ricevuto una lettera da Ranieri, corona del Sacro Romano Impero. Con lui «conte dei pisani». Risulta anche chiaro che scomparve un sovrano dalle idee grandiose, re Giacomo II, nelle trattative con Pisa, fece che aveva dato prova di equilibrio e lungimi- sempre molto affidamento sull’intermediazio- ranza nel suo pur breve passaggio in Italia, ne di questo suo «affine», tanto che il 13 giu- dove aveva giudiziosamente tentato di ripor- gno 1321 indirizzò in tal senso una lettera tar pace fra i ghibellini e i guelfi. Dopo alcuni personale al conte Nieri, il quale, risponden- anni, a Pisa, che con tanto giubilo lo aveva ac- dogli il 5 agosto successivo, gli assicurò signi- colto al suo primo arrivo, ritornarono solo le ficativamente che, «more solito», non avreb- sue spoglie mortali che i Pisani tumularono be mancato di fornire il suo personale e soler- con reverente amore in uno splendido sepol- te appoggio presso la Repubblica Pisana. In cro marmoreo, in stile gotico, opera di Tino pratica però tutti questi contatti personali ser- da Camaiano, che ancor oggi si può ammirare virono ben poco a Pisa mentre furono assai nel duomo cittadino. più utili agli interessi dei conti di Donoratico Nel medesimo anno in cui spirò l’impera- in Sardegna, perché, al momento della firma tore, anche il conte Fazio di Donoratico con- del trattato di pace del 1326, Pisa venne estro- cluse il suo cammino terreno e fu a sua volta messa dall’isola, mentre il re d’Aragona tenne sepolto in un grande mausoleo da lui stesso a precisare di escludere da tale cacciata i Ghe- commissionato [fig. 14]. rardesca, con i quali il monarca dichiarò di Questo monumento venne collocato all’in- voler trattare direttamente «graciose et specia- terno della chiesa pisana di S. Francesco, nel liter»22, come in effetti fece concludendo un cui chiostro esterno altri Gherardesca erano accordo separato con il conte Fazio Novello, stati sepolti; fra di essi anche il conte Ugolino nipote di Fazio. e i suoi familiari che, comunemente ma erro- Il momento di maggior popolarità di Fazio neamente, si pensava fossero lì stati tumulati, a Pisa fu raggiunto allorché egli, in qualità di perché non degni di essere accolti all’interno «comes pisanus», nel 1311 guidò l’ambasceria dell’edificio sacro, in quanto traditori della che la Repubblica inviò solennemente ad in- patria. In realtà, studi recenti hanno smentito contrare a Genova il giovane Arrigo VII di l’ipotesi, confermando che nel chiostro stesso Lussemburgo, primo imperatore a rimettere ambivano aver la propria tomba i ghibellini piede nella penisola dopo la fine della dina- più illustri della città. stia degli Svevi. In lui erano riposte le speran- Ma ritorniamo alla bellissima arca funebre ze revansciste di tutta l’Italia ghibellina e di di Fazio, anch’essa in stile gotico. Di essa non Pisa in particolare. L’esultanza dei Pisani rag- sappiamo chi sia stato l’esecutore, anche se il giunse il suo punto più elevato quando «l’alto Valentier propenderebbe ad attribuirla al mae- Arrigo» da Genova si trasferì nella loro città stro Lupo di Francesco24. dove, per la maggior parte del soggiorno, fu Il grande sepolcro che, dopo quelle di Fa- ospite nei palazzi dei conti di Donoratico nel zio, accolse le spoglie dei vari suoi discenden- quartiere di Chinseca23. Ma i sogni pisani di ti che furono signori di Pisa (Gherardo il riconquistare, con l’aiuto di questo imperato- Giovane, Fazio Novello e Ranieri Novello) ed re, le proprie antiche posizioni di preminenza anche quelle del piccolo Gherardo, fratello di all’interno ed all’esterno della Toscana, svani- Ranieri Novello, morto a soli quattro anni rono d’un sol colpo nel 1313, quando Arrigo d’età, rimase per alcuni secoli nella sua origi- VII morì improvvisamente a Buonconvento, naria collocazione nel transetto di destra della nel senese, mentre era in viaggio verso Roma, chiesa francescana. Poi, all’epoca dell’occupa-

22 F. ARTIZZU, Pisani e Catalani nella Sardegna meridionale, Cedam, Padova 1973, p. 123. 23 CRISTIANI, Nobiltà e popolo nel comune di Pisa, cit., p. 291, n. 219. 24 E. CARLI, Il monumento Gherardesca nel camposanto di Pisa, in «Bollettino d’Arte», marzo 1933. Una grande casata guerriera del Medio Evo 97 zione francese della Toscana, S. Francesco solito, tuttavia, mancano i soldi per dare attua- venne sconsacrata e trasformata in un acquar- zione alla delibera e questa volta temo proprio tieramento di truppe ed addirittura in una che non si trovi un Gherardesca disposto a scuderia per cavalli. È immaginabile lo scem- sobbarcarsene l’onere. pio a cui furono sottoposte le opere d’arte conservate nell’ex chiesa, che anche preceden- temente erano state spogliate per parziali ven- Uguccione della Faggiola dite abusive effettuate dai frati. e la sua temporanea Signoria Nel 1810, infine, Carlo Lasinio, soprinten- dente al cimitero monumentale di Pisa, decise Andiamo ora a vedere ciò che avvenne do- saggiamente di asportare da S. Francesco il se- po la morte del conte Fazio, allorché a Pisa si polcro dei Gherardesca, o quanto di esso ri- ripresentò il problema di trovare una nuova maneva a quel tempo, per ricollocarlo nel pre- guida al governo. I Pisani pensarono prima di detto cimitero monumentale che si trova ubi- rivolgersi ad Amedeo di Savoia e poi al conte cato di fianco al duomo cittadino. Forse man- di Fiandra, ma entrambi questi illustri perso- cavano però i soldi per attuare il progetto, ma naggi declinarono garbatamente l’invito. La alle spese provvedette allora il conte Guido scelta cadde allora su Uguccione della Faggio- Alberto della Gherardesca, mio trisnonno, e la, strenuo ghibellino e valoroso condottiero. così il trasferimento fu effettuato. Nella nuova Uguccione accettò di buon grado, per il trien- sistemazione fu rimontato però solo quanto ri- nio dal 1313 al 1316, le stesse cariche signorili maneva dell’arca sepolcrale dopo la vendita che qualche anno prima erano state ricoperte avvenuta in precedenza di vari suoi pezzi e do- dal conte Guido da Montefeltro. Si riporta po i danni subiti dai soldati e... dai cavalli na- che uno dei più convinti sostenitori della can- poleonici nonché quelli involontariamente ap- didatura del Faggiola, fu il conte Nieri di Do- portatigli all’atto del suo smontaggio da S. noratico, il quale, in più occasioni, aveva avu- Francesco. A quel momento l’aspetto del mo- to modo di apprezzare le capacità di comando numento, così come fu riassemblato, risultò di Uguccione, ben conosciuto del resto da già più modesto rispetto alla sua originaria tutti i Pisani per essere egli stato nella loro composizione architettonica [fig. 15]. E pur- città al seguito dell’imperatore Arrigo VII. troppo, a ridimensionarlo ulteriormente prov- Ci si potrebbe domandare ora per quale vedettero i danni arrecatigli da un bombarda- motivo il conte di Donoratico, che pur posse- mento aereo alleato del 1943: oggi l’arca è ve- deva doti caratteriali alquanto simili a quelle ramente ridotta ai... minimi termini [fig. 16]. di Uguccione della Faggiola, non abbia avan- L’odissea di questo stupendo monumento zato a quel momento una sua personale can- ho avuto modo di ricostruirla sulla base di didatura. A questo proposito si può avanzare quanto riportato nella bella tesi di laurea so- l’ipotesi che i Gherardesca, scottati dall’ancor stenuta, nell’anno accademico 1983-84, da A. recente e traumatica esperienza negativa del Martelli all’Università di Pisa in archeologia conte Ugolino, preferissero evitare un coin- medievistica ed intitolata Il monumento sepol- volgimento diretto nel governo della Repub- crale dei conti della Gherardesca: caratteristi- blica e cercassero di mantenersi in una posi- che tipologiche, iconografiche e epigrafiche.O- zione meno responsabilizzata, pur conservan- ra sembrerebbe invece che una speciale com- do un’influenza determinante nella direzione missione costituita dalla Soprintendenza pisa- politica di Pisa. na ai Beni Culturali, abbia recentemente deli- Del resto, oltre a Nieri, avrebbe potuto pro- berato di ritrasferire l’arca nella sua originaria porsi anche suo nipote Gherardo, figlio di Fa- sede in S. Francesco, previa una ricostruzione zio, che, per quanto in verde età, possedeva quanto più completa possibile del suo primiti- un’innata predisposizione ad assumere incari- vo aspetto, essendone stati rintracciati vari chi di governo; però, in quel frangente, anche pezzi sparsi nei depositi più disparati. Come al Gherardo, che sarà poi conosciuto come «il 98 I della Gherardesca

Il sepolcro dei conti di Donoratico secondo un’incisione di Carlo Faucci, Lucca 1771 [fig. 14] Una grande casata guerriera del Medio Evo 99

Come era ridimensionato il sepolcro allorché Carlo Lasinio, ai primi del 1800, ne fece ricoverare i resti nel camposanto urbano di Pisa [fig. 15]

La risistemazione del monumento dopo i danni arrecatigli dal bombardamento aereo del 1942 [fig. 16] 100 I della Gherardesca

Giovane», si mantenne prudentemente estra- sponendole per un prematuro avvento di una neo a quegli impegni che invece, pochi anni Signoria. La tragica sorte toccata al conte di dopo, non esiterà ad accettare. Settimo e ai suoi familiari, come già detto, più È forse ora il momento di comprendere che ad altri fantomatici tradimenti, fu forse meglio l’atteggiamento che i Gherardesca, ad dovuta proprio a tale ambizioso ed impru- eccezione del conte Ugolino, avevano fino ad dente progetto e ciò fu certo tenuto sempre allora mantenuto nei loro rapporti con il co- in debito conto dai successori di Gherardo il mune di Pisa. Vecchio, i quali si guardarono bene dall’af- Risaliamo a tale scopo alla fine del XII se- frettarsi a ripetere quel medesimo errore. La colo, cioè all’epoca di quelle accanite lotte di trasformazione dei comuni in Signorie era potere fra i Gherardesca e i Visconti, risoltesi, tuttavia in graduale evoluzione e l’affacciarsi come sappiamo, a favore dei primi. Sin da al- sempre più frequente di governi «tempora- lora i Gherardesca tennero sempre ad atteg- nei» a carattere signorile costituiva un preav- giarsi quali leali sostenitori del comune pisa- viso evidente di questo processo istituzionale, no e delle sue istituzioni, e, non a caso, ne ri- che comincerà ad affermarsi definitivamente coprirono per primi la carica di podestà con in Italia verso la fine del XIV secolo. A queste Tedice, conte di Forcoli. Questo loro orienta- considerazioni deve poi aggiungersi il fatto mento popolare li pose peraltro in contrasto che i Gherardesca, praticamente liberi signori non solo con i Visconti, ma anche con gran nei loro domini, non volevano forse giocarsi parte della più o meno recente nobiltà di Pi- tale privilegiata posizione, coinvolgendosi sa, che forse mal digeriva quel probabile at- troppo direttamente nel governo della Re- teggiamento di superiorità che i Gherardesca pubblica. La durissima lezione subita dai con- dovevano ostentare nei suoi confronti, sia per ti di Settimo rappresentava un chiaro monito la propria maggior antichità di lignaggio, che, da non sottovalutare e disattendere. Da qui la soprattutto, per quei poteri signorili che essi, costante influenza dei Gherardesca negli affa- e solo essi, potevano liberamente esercitare ri di governo, ma, solo più tardi, un loro di- ancora nei propri vasti domini maremmani. retto coinvolgimento nei medesimi. La conferma di un tal quadro proviene pro- Ma chiudiamo ora la parentesi aperta e ri- prio dall’accordo di riappacificazione sotto- portiamoci a Uguccione della Faggiola che a- scritto nel 1237 dai Gherardesca e dal comu- veva assunto a Pisa le principali cariche istitu- ne, alleati fra di loro, con i Visconti, collegati zionali, divenendone di fatto il signore per un invece con numerosi nobili della città e del triennio. Non è mia intenzione dilungarmi sui contado. A seguito di tale pace, i Gherarde- dettagli della temporanea Signoria di Uguc- sca assunsero definitivamente a Pisa la posi- cione; mi limiterò pertanto a ricordare che zione di primi cittadini, che permetteva loro nell’esercizio del potere egli si appoggiò so- di guidare dall’esterno le sorti del comune, prattutto al ceto nobiliare, inimicandosi, di senza mortificarne tuttavia gli organi istituzio- conseguenza, gli ancor ricchi e potenti mer- nali, ma limitandosi ad influenzarne la con- canti pisani, che furono i maggiori artefici del- dotta politica in generale. la sua cacciata nel 1316, pochi mesi prima che Nel XIII secolo i comuni erano ancora nel- si concludesse il mandato conferitogli. la loro piena vitalità e i tempi non erano quin- Avevo già anticipato che Uguccione non fu di maturi per forme di governo di tipo signo- uomo politico di particolare sensibilità, ma rile. Di ciò non si rese forse conto Ugolino, al- piuttosto un capace condottiero militare; or- lorché, conseguito l’incarico decennale di po- bene in tale veste egli raccolse appunto i suoi destà, pensò di approfittarne per modificare maggiori allori, culminati con la conquista di sostanzialmente le istituzioni cittadine, predi- Lucca nel 131425 e seguiti, un anno dopo, dal-

25 AF, f. 102, n. 8. In tale medesima circostanza Uguccione inviò Tedice, detto Tige, a Lucca in preventiva quanto vana ambasceria prima dello scoppio delle ostilità. Una grande casata guerriera del Medio Evo 101 la vittoriosa battaglia di Montecatini, nel cor- La Signoria su Pisa dei conti di Donoratico, so della quale egli inferse una pesante sconfit- Nieri e Gherardo il Giovane ta ai Fiorentini e ai loro alleati Angioini e guelfi. Persino un nipote omonimo di re Car- Caduta in tal modo la Signoria faggiolana, i lo d’Angiò 26 rimase ucciso in combattimento; conti di Donoratico ritornarono prepotente- e le cronache riportano che proprio su quel mente alla ribalta politica cittadina e questa cadavere angioino, dopo averlo profanato e volta non poterono o non vollero rimanere calpestato, il conte Nieri di Donoratico volle dietro le quinte e furono coinvolti diretta- essere armato cavaliere, a selvaggia vendetta mente nel governo della Repubblica, evento per l’esecuzione capitale subita a Napoli da questo scongiurato prudentemente per tanto suo padre Gherardo. Gli indubbi successi mi- tempo. Nell’aprile del 1316, si avviò dunque litari del Faggiola non valsero tuttavia a farlo in Pisa la trentennale Signoria di questo ramo amare dai Pisani, che mal tolleravano il suo dei Gherardesca27, che rappresentò per l’anti- dispotico modo di gestire il potere e lo accu- ca repubblica marinara un ultimo felice pe- savano di dilapidare le loro finanze. riodo di ripresa economica e politica. All’ini- In questo inquieto stato d’animo di tutto il zio di tale Signoria, il potere venne gestito in popolo, ma soprattutto del ceto mercantile comune dall’ormai anziano conte Nieri, che che era quello economicamente più tartassa- per primo venne eletto capitano del popolo, e to, trovò il suo lievito l’alleanza strumentale dal suo giovane nipote Gherardo, che, a sua fra il conte Gherardo il Giovane e Coscetto volta, venne nominato, nel 1317, capitano ge- dal Colle, un capopolo ambizioso ed arrogan- nerale del popolo e della masnada, nonché te, che poteva però contare su di un largo se- gonfaloniere di giustizia28. guito fra la classe cittadina più minuta. Ap- I due conti di Donoratico riuscirono ad in- profittando di una temporanea assenza di U- tegrarsi in perfetta armonia malgrado la rag- guccione, che si era recato a Lucca, della qua- guardevole differenza di età e, soprattutto, la le da poco era divenuto signore, i due dettero loro accentuata diversità caratteriale, poiché il via ad un tumulto popolare, cui le milizie quanto Gherardo era un uomo già proiettato faggiolane, rimaste a custodia di Pisa, non verso il luminoso Rinascimento, altrettanto seppero far fronte. Informato della ribellione Nieri era radicato nel più profondo Medio E- mentre si trovava ancora a Lucca, Uguccione vo. Equilibrato, giudizioso e diplomatico il prese la decisione di rientrare subito a Pisa primo; rude, prepotente e militaresco il se- con la forza e partì alla testa degli armati che condo. Ciò nonostante, l’affiatamento fra i aveva condotto con sé. I Lucchesi, però, rin- due fu ottimale. Gherardo mostrò sempre galluzziti dall’esempio dei Pisani, si ribellaro- grande rispetto e deferenza nei confronti del- no a loro volta e, guidati da Castruccio Ca- lo zio, che considerava quale capo di famiglia stracani degli Antelminelli, sbarrarono le por- e del quale apprezzava la comprovata capa- te delle mura cittadine dietro le spalle del ti- cità di condottiero in guerra, mentre il conte ranno. Uguccione, sorpreso da questo nuovo Nieri, ben valutando che il nipote era più di evento mentre si trovava in marcia verso Pisa lui dotato di tatto politico e di capacità di go- con le sue truppe, rimase così tagliato fuori verno, gli lasciò le redini del potere, riservan- contemporaneamente dalle due città e, com- do a se stesso la sola cura delle milizie, per il prendendo di non aver con sé le forze suffi- cui comando egli da sempre era stato versato. cienti per riconquistarle, dovette suo malgra- Di doti diplomatiche Gherardo ebbe senza do allontanarsene per sempre. dubbio bisogno per gestire i difficili rapporti

26 Si trattava di Carlotto, figlio di Filippo d’Angiò. 27 La Signoria dei Gherardesca ebbe solo un’interruzione di due anni circa al momento della discesa in Italia dell’impe- ratore Ludovico il Bavaro che li avversò per favorire Castruccio Castracani. 28 ROSSI SABATINI, Pisa al tempo dei Donoratico, cit., p. 98. 102 I della Gherardesca con il popolano Coscetto dal Colle, il quale della grande chiesa cittadina di S. Martino, tendeva ad attribuire solo a se stesso ogni me- che volle eretta a memoria della liberazione rito della cacciata di Uguccione della Faggio- dalla tirannide faggiolana. Infine fece comple- la, mal tollerando che di essa fossero andati tare in S. Francesco la grande arca sepolcrale tutti i meriti ed i vantaggi ai due conti di Do- del padre, dove egli stesso venne tumulato noratico. quando, non ancora cinquantenne, morì im- Finché visse, Gherardo seppe contenere provvisamente nel 1320, a causa di un colpo con saggia e paziente maestria l’irruento Co- apoplettico e non già per veleno come fanta- scetto, dedicandosi nel contempo, con ener- sticarono alcuni cronisti dell’epoca. gia e successo, agli interessi generali di Pisa. I Pisani piansero con sincerità, ed a ragio- Nel 1318, dopo laboriose trattative ed il sof- ne, la scomparsa del loro illuminato signore ferto assenso dello zio, riuscì a portare in por- che tanto aveva ricordato le elevate qualità di to una pace con re Roberto d’Angiò e i comu- Gherardo il Vecchio. Egli aveva governato la ni guelfi della Toscana sconfitti a Montecatini, Repubblica con saggia lungimiranza, cercan- i quali ultimi chiesero che con questo trattato do di raggiungere la pace sia all’interno che fosse ancora una volta assicurata la restituzio- all’esterno della cerchia delle mura cittadine e ne ai legittimi eredi dei beni confiscati al con- conseguendo un tal prestigio personale da far te Ugolino. La clausola fu regolarmente inse- sì che gli Anziani di Pisa, in occasione di rita ma mai rispettata, in realtà, se non forse un’accesa discussione sulla convenienza o me- in termini assai limitati; del resto non bisogna no di creare un porto fortificato alla foce del dimenticare che i maggiori oppositori ad una fiume Magra in Versilia, conclusero con il di- sua pratica attuazione, dovettero proprio es- re: «Volumus sicut dixit comes»29. sere i discendenti di Gherardo il Vecchio, i La morte di Gherardo non procurò inter- quali, almeno in Sardegna, si erano sicura- ruzioni nell’esercizio del potere da parte dei mente avvantaggiati delle traversie occorse ai Gherardesca, poiché il vecchio conte Nieri, loro parenti, incamerandone parte dei posse- ormai ultrasettantenne, riassunse nelle sue an- dimenti. Questa pace con i guelfi non impedì cor vigorose mani le redini del governo sino a ai conti di Donoratico di conservare stretti quel momento tenute dal nipote. In un primo rapporti con il ghibellino Castruccio Castra- momento sembrò che egli non volesse appor- cani, ormai divenuto signore di Lucca, e Ghe- tare alcun mutamento alle linee politiche se- rardo il Giovane riuscì anzi ad imparentarsi guite da Gherardo, ed anche all’interno della con lui per il matrimonio intervenuto fra suo città continuò ad appoggiarsi alle grandi fami- figlio Bonifazio, poi detto Fazio Novello per glie mercantili, tanto da far dire a Gioacchino distinguerlo dall’omonimo nonno, e Bertecca, Volpe che entrambi questi conti di Donorati- figlia del Castracani. co, furono «potestates mercatorum». Di tale Mostrando già uno spiccato senso rinasci- asserzione ce ne proviene conferma anche da mentale, Gherardo, nel corso della sua pur- un documento del 23 luglio 1322, con il quale troppo breve Signoria, curò anche con amore i fiorentini, in occasione di una controversia l’abbellimento della propria città in segno doganale insorta con i Pisani, chiesero la con- della recuperata potenza della medesima. Da vocazione di una riunione alla quale parteci- Tommaso Pisano fece infatti completare il passero i mercanti di Pisa assieme al conte campanile (già pendente) della primaziale, Nieri, citato come «dominus comes». con l’aggiunta alla sua sommità di quell’ele- In quel medesimo anno, Nieri fu nominato gante cella campanaria, ancor oggi oggetto di dai Pisani capitano generale e difensore del viva ammirazione. Fece iniziare la costruzio- popolo30. Ma il vecchio conte che, come già ne, poi terminata dal figlio Fazio Novello, detto, era privo di fiuto politico, nel volger di

29 Ivi, pp. 96-97. 30 CRISTIANI, Nobiltà e popolo nel comune di Pisa, cit., p. 116, n. 133. Una grande casata guerriera del Medio Evo 103 breve tempo cominciò ad alienarsi quelle sim- di un ritorno al potere di Uguccione della patie dei mercanti di cui inizialmente si era Faggiola. L’iniziativa di Nieri, caldeggiata pro- trovato a godere per merito della prudente babilmente dal Castruccio, provocò in città condotta tenuta dal nipote Gherardo nei con- malumori popolari che sfociarono in un vero fronti di quel potente ceto cittadino. Nieri e proprio tumulto, allorché Nieri, pochi mesi prese invece a tartassarlo con balzelli sempre dopo, fu costretto a soffocare nel sangue una più esosi e con la richiesta di prestiti forzosi congiura ordita ai suoi danni da quegli stessi che, a causa del decadimento economico del- Orlandi e Lanfranchi, con evidente appoggio le attività commerciali, la classe mercantile esterno del Castracane, il quale, nemmeno trovava crescenti difficoltà a soddisfare. Di ta- troppo segretamente, ambiva ad imporre la li prestiti ci fornisce il quadro un documento sua Signoria anche su Pisa. dell’epoca, nel quale fra l’altro si legge che es- È quasi superfluo aggiungere che Coscetto si sarebbero stati rimborsati «quando fosse dal Colle, sempre in prima fila in ogni som- piaciuto al comune e al conte» e, quindi, con mossa, non mancò di farsi portavoce dei sen- buona probabilità... mai 31. timenti popolari ostili alle iniziative del conte Come conseguenza di questa graduale per- di Donoratico, e fu in quel momento che la dita di favori da parte dei suoi iniziali sosteni- Signoria di quest’ultimo si trasformò decisa- tori, a Nieri non rimase che tentare di riavvi- mente in tirannide. Chi ne fece per primo le cinarsi ai nobili della città, accentuandone la spese fu l’animoso Coscetto, che Nieri aveva collaborazione nel proprio governo e cercan- sempre odiato e disprezzato, anche quando do di compensarne le scarse disponibilità fi- suo nipote Gherardo, con realismo politico, nanziarie con qualche ben retribuito incarico ne sopportava le intemperanze popolane. nella milizia, che il conte di Donoratico, da Coscetto, da parte sua, aveva erroneamente sempre versato nell’arte militare, andava or- valutato che fosse ormai maturo il tempo per ganizzando nell’apprezzabile intento di costi- disarcionare il dispotico signore ed aveva a tuire un esercito cittadino stabile che evitasse tal proposito fomentato una rivolta del popo- a Pisa di doversi dissanguare con il più onero- lo minuto che in effetti divampò in vari quar- so assoldamento di truppe mercenarie. tieri della città, ma in modo troppo fram- Anche nei rapporti con i comuni guelfi mentario e disorganizzato perché la ben in- confinanti, Nieri mutò la politica adottata da quadrata milizia del conte non ne venisse ra- suo nipote e, per le sue viscerali simpatie ghi- pidamente a capo, sedandola e costringendo belline, fu sempre più attratto verso un’intesa Coscetto stesso a darsi a precipitosa fuga ed a con Castruccio Castracani, che, come fra bre- nascondersi. Tradito probabilmente da un ve vedremo, non lo ripagò certo di ugual mo- suo seguace, il capopolo venne però snidato neta. Di questo mutamento degli equilibri dal suo nascondiglio ed orrendamente truci- precedenti si allarmarono giustamente i Fio- dato dai soldati del conte di Donoratico. Si rentini, con i quali sarebbe stato più conve- racconta pure che il vendicativo Nieri ordinò niente mantenere ed incrementare quel traffi- che fosse gettato in Arno quanto rimaneva co commerciale che ormai costituiva una del- delle sue misere spoglie e ciò alfine di cancel- le ultime risorse per la Repubblica Pisana e lare per sempre ogni memoria del ribelle pi- per la sua assottigliata flotta mercantile. sano. Altro grave errore del conte di Donoratico A seguito di questi eventi, il conte Nieri si fu quello di permettere il rientro a Pisa di al- trovò costretto a rompere ogni intesa con Ca- cuni membri ghibellini delle nobili casate de- struccio Castracani, magna pars in quei sub- gli Orlandi e dei Lanfranchi, che Gherardo il bugli, ed a porre sulla testa di lui una taglia di Giovane aveva precedentemente messo al diecimila fiorini, assicurando inoltre all’even- bando per essere stati troppo accesi partigiani tuale uccisore il condono di ogni altra pena

31 Ivi, p. 306, n. 272. 104 I della Gherardesca che gli fosse stata comminata in precedenza Il conte Fazio Novello: un signore per altri reati. Tutti questi fatti ebbero l’effet- rinascimentale to di radicalizzare il dispotismo innato del conte di Donoratico in quelli che furono i Pareva che la Signoria dei Donoratico a Pi- suoi ultimi anni di governo, nel corso dei sa volgesse ormai al tramonto, tanto più che, quali il suo carattere fu anche probabilmente di quel glorioso ramo dei Gherardesca, era inasprito dalla morte in Sardegna del suo pri- ormai rimasto in città solo il conte Fazio No- mogenito Manfredi, del quale già conosciamo vello, ventottenne figlio di Gherardo il Giova- le vicende e l’eroica fine. Il passato acceso ne. Egli, come sappiamo, si era imparentato ghibellinismo di Nieri subì invece un drastico con Castruccio Castracani, sposandone la fi- affievolimento, a seguito dei contrasti avuti glia Bertecca; è possibile che, dopo la morte con il Castracani e i suoi alleati ghibellini in di Nieri e per qualche tempo, tale legame ab- Pisa. Il suo voltafaccia politico fu così radica- bia condizionato il comportamento di Fazio le da indurlo a guardare con diffidenza verso Novello. Fu probabilmente per non entrare l’imperatore Ludovico, detto «il Bavaro», che in conflitto con il suocero, il quale ambiva ad si apprestava a scendere in Italia e che, agli una Signoria anche su Pisa, che il giovane occhi di Nieri, aveva il grave torto di appog- conte di Donoratico si mantenne inizialmente giarsi in modo particolare all’odiato Castruc- lontano da ogni velleità di governo della Re- cio. Sempre più isolato ed asserragliato nel pubblica. palazzo-fortezza che si era fatto costruire in Nel 1327 era nel frattempo sceso in Italia piazza S. Caterina a Pisa, il vecchio signore si l’imperatore Ludovico IV, il Bavaro, attorno spense nel 1326, senza lasciarsi alle spalle il al quale tentavano di ricompattarsi i ghibellini rimpianto dei suoi cittadini. Le sue spoglie più accaniti che con lui speravano di risolle- mortali trovarono pace assieme, forse, a quel- vare le sorti della loro parte. In prima fila fra le dell’amato Manfredi e di un altro suo figlio di essi spiccava il Castracani che, in compen- morto in tenera età; di tale sepolcro si sono so dei servigi resi al monarca, sperava di con- perdute le tracce, ma i Gherardesca conserva- seguire l’agognata investitura ufficiale a signo- no ancor oggi, nel castello di Castagneto, una re di Pisa. Invece, a dispetto di tutte le spe- frammentaria epigrafe32 che dovrebbe appar- ranze dei ghibellini, Ludovico mostrò ben tenergli. presto di non possedere la statura politica per Dopo la morte di Nieri seguì un periodo di poter condurre al successo i propri ambiziosi grande anarchia; e i Pisani, esasperati per la progetti. Attorniato da pochi e mal assortiti durezza del suo governo ed addebitando a lui seguaci, dotato di miope intelligenza, privo di anche la perdita della Sardegna a seguito dei sensibilità politica e, per di più, dilapidatore trattati firmati con gli Aragona nel 1324 e nel degli aiuti finanziari che egli pressantemente 1326, si accanirono contro tutto ciò che pote- richiedeva dai suoi alleati italiani, l’imperato- va ricordare loro il tiranno, fino a giungere al re perse ben presto ogni credibilità anche agli punto di radere al suolo anche il suo arcigno occhi dei suoi più accesi sostenitori. palazzo. Sembrava di essere tornati ai tempi Pisa oppose una lunga ed inaspettata resi- del conte Ugolino; del resto sotto certi aspet- stenza prima di accogliere fra le sue mura il ti, si può asserire che Nieri avesse rammenta- non gradito ospite. Anche il conte Fazio No- to ai suoi concittadini la dispotica testardaggi- vello, non più animato dagli ideali ghibellini ne del suo consanguineo. che avevano infiammato i suoi predecessori, Anche i due figli superstiti di Nieri, Ber- si annoverò fra coloro che si dichiararono nabò e Gherardo, invisi pur essi ai pisani, do- contrari ad ospitare l’imperatore e, di conse- vettero prontamente allontanarsi dalla città e guenza, non volle mettere a sua disposizione rifugiarsi nei loro sicuri castelli maremmani. il proprio palazzo, come in altre circostanze

32 L. BEZZINI, Castagneto epigrafica, Tip. Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1991, p. 3. Una grande casata guerriera del Medio Evo 105 truccio Castracani, vi sono anche raffigurati il conte Fa- [fig. 17] Cavalcata dell’affresco «Trionfo della Morte», un tempo nel camposanto urbano di Pisa. Con l’imperatore Ludovico il Bavaro e Cas zio Novello di Donoratico (con il falcone sul braccio) e sua moglie Bertecca Castracani (foto Alinari) 106 I della Gherardesca analoghe avevano sempre fatto in passato i versi andare ad insediare nella nuova Signo- Gherardesca, allorché sostava a Pisa un so- ria che, purtroppo per lui, riuscì solo a con- vrano. Il Bavaro fu pertanto ospitato nel me- servare per la durata di cinque mesi, essendo no fastoso palazzo comunale, da dove conti- egli morto il 3 settembre di quel medesimo nuò imperterrito a spremere i già esausti for- anno. zieri della Repubblica. Fortunatamente per i Nel frattempo anche Ludovico IV aveva la- Pisani, il soggiorno di Ludovico IV fu abba- sciato Roma per riprendere il suo cammino di stanza breve, poiché, agli inizi del 1328, egli si ritorno in Germania, con l’intenzione però di decise ad avviarsi, con il suo variegato segui- fare ancora una volta tappa a Pisa, con viva e to, alla volta di Roma, per cingere quella co- giustificata apprensione dei poveri Pisani che rona del Sacro Romano Impero che prima di già paventavano nuove spoliazioni. L’unica lui era stata di Carlo Magno e poi di altri im- che pensò invece di poter trarre vantaggio peratori più meritevoli e rappresentativi del personale da questo secondo soggiorno del Bavaro. Bavaro nella città, fu Giacomina, vedova di È ora opportuno ricordare che, da Avigno- Giovanni d’Arborea e moglie di Tige di Do- ne dove risiedeva, papa Giovanni XXII ave- noratico. Ella infatti brigò per farsi riconfer- va sempre avversato questo sovrano, giun- mare con un diploma imperiale (che dovette gendo persino a scomunicarlo e di conse- certo comportarle qualche esborso finanzia- guenza vietando ai suoi legati romani di sod- rio) tutti i diritti sul Giudicato del suo primo disfarne le ambizioni imperiali. Lodovico sposo, che in realtà essa, in seguito, non po- non ebbe allora altra scelta che quella di sca- tette mai esercitare34. valcare la legittima autorità pontificia, facen- Per l’imperatore giunse alfine il tempo, con do farsescamente eleggere un antipapa nella immaginabile sollievo dei Pisani, di riprende- modesta persona del frate minorita Pietro da re il viaggio verso la Germania; a custodia di Corvaja. Questi, assunto il nome di Niccolò Pisa, Lodovico lasciò una piccola guarnigione V, nominò a sua volta in fretta e furia un cer- al comando di Tarlatino Tarlati di Pietramala. to numero di cardinali che potessero attor- Il conte Fazio Novello intuì allora che era niarlo al momento di procedere all’incorona- giunto il momento propizio per agire in pri- zione dell’imperatore. Come narrato nel ca- ma persona e nel giugno del 1329 sollevò il pitolo sui Gherardesca in Sardegna, fra tali popolo e lo guidò contro quest’ultima vestigia porporati scismatici figurò anche un conte di del potere imperiale. Donoratico e più esattamente quell’intrigante Sconfitto il Tarlati, Fazio Novello fu accla- domenicano Bonifazio33 che, per volere del mato dai Pisani loro signore. Ebbe da allora i- papa legittimo, era stato trasferito dalla sua nizio quell’illuminato governo, ricco di tanti originaria diocesi sarda, prima a quella corsa successi, che si protrasse purtroppo per soli di Sagona e poi a quella ancor più lontana di dieci anni a causa della prematura morte del Chirone o Corona, a Creta. L’antipapa Nic- conte di Donoratico. È senz’altro possibile colò V, non solo impose a Bonifazio il galero asserire che questo Gherardesca rappresentò cardinalizio, ma lo mise addirittura a capo di la figura ideale del principe rinascimentale, tutto l’ordine domenicano. Questi intrighi quando tale epoca era ancora ai suoi primi al- dell’imperatore finirono con l’indispettire i bori. La sua Signoria, contrariamente alla con- suoi stessi seguaci, tanto che persino il Ca- suetudine dei tempi, non nacque dalla sopraf- stracani, conseguita la sospirata investitura a fazione delle istituzioni comunali, né fu inizia- signore di Pisa, nell’aprile del 1328 abban- ta con l’imposizione violenta, ma si andò pla- donò il monarca a Roma con la scusa di do- smando per volontà del comune e delle classi

33 E. CRISTIANI, Alcune osservazioni sui vescovi intervenuti all’incoronazione romana di Ludovico il Bavaro (17 gennaio 1328), in Miscellanea Gilles Gerard Meersmann, Antenore, Padova 1970. 34 AF, f. 153, a. 1329. Una grande casata guerriera del Medio Evo 107 popolari di cui i Gherardesca avevano mo- abbandonato all’atto del suo poco glorioso strato di essere alleati anche nel passato35. A rientro in Germania. Lo sfortunato Pietro da ragione G.B. Franceschi, nel tratteggiare que- Corvaja era stato per tre mesi ospite segreto sto personaggio, scrive: «Fu tollerante e beni- di Fazio Novello nel castello di Bolgheri, ma gno in mezzo a gente intollerante e faziosa»36. poi, nel timore che questo nascondiglio fosse Il suo infatti fu un esercizio del potere sen- stato individuato dai nemici del povero frate, za tentennamenti, ma al tempo stesso non ti- egli fu riportato a Pisa, dove, per altri dieci rannico, poiché essendo egli di sentimenti mesi, fu accolto nel palazzo cittadino del con- profondamente cristiani, mai venne meno a te di Donoratico. Fu certo nel corso di tali tali suoi principi; anche quando fu deciso e soggiorni che egli si fece convincere dal si- concreto nell’azione di governo, in nessun gnore di Pisa a far atto di sottomissione a pa- momento dimenticò i suoi doveri verso il po- pa Giovanni XXII. Ricevutone il consenso, polo pisano che lo aveva voluto a suo signore. Fazio Novello operò allora con grande diplo- Sin dagli inizi della sua Signoria, Fazio No- mazia onde garantirsi che, nell’evenienza, non vello mise in mostra le proprie doti di statista, fosse fatto alcun male a Pietro da parte del le- pervenedo nel 1329 ad un accettabile accordo gittimo Pontefice e solo dopo aver ottenuto di tregua con i confinanti comuni guelfi e ren- tutte le assicurazioni37, il conte consegnò ai dendo con ciò possibile una ripresa del nor- legati del papa, Pietro che, tradotto ad Avi- male flusso commerciale con essi ed in parti- gnone, fece l’atto di sottomissione promesso colare con Firenze, le cui attività industriali, in e, in rispetto agli accordi presi, fu ospitato per rapida espansione, sempre più necessitavano il resto dei suoi giorni da Giovanni XXII nel di un affidabile sbocco marittimo. Fu quello il suo palazzo avignonese, senza che gli venisse preludio ad un definitivo abbandono della torto un solo capello. Riconoscente per il sag- passata intransigente politica ghibellina di Pi- gio operato del conte di Donoratico, il Ponte- sa e, in un certo senso, la riabilitazione postu- fice volle che a lui fossero riconosciuti i diritti ma degli orientamenti sostenuti da Ugolino, sul castello di Pereta che la Chiesa possedeva forse con troppo anticipo rispetto ai tempi af- nel grossetano e, secondo quanto sostiene, a finché i suoi concittadini li potessero apprez- mio avviso erroneamente, il Davidsohn, an- zare. Il 21 giugno 1330, Fazio Novello riuscì che quelli sul castello di Montemassi, sempre anche a concludere con re Roberto d’Angiò nel medesimo territorio ma di proprietà del- un «trattato di fratellanza» che pose sollene- l’arcivescovo di Pisa38. mente fine all’antica e sanguinosa faida fra gli Queste azzeccate mosse diplomatiche di Fa- Angioini e i Gherardesca. zio Novello valsero a risollevare un poco l’im- Occorreva ora trovare un’intesa anche con magine appannata della Repubblica Pisana, la Chiesa che, per l’appoggio fornito, sia pure ma non riuscirono affatto gradite agli irriduci- a mala voglia, a Ludovico il Bavaro, aveva bili ghibellini, che già avevano considerato u- scagliato su Pisa un ennesimo anatema che fa- na viltà l’aver voltato le spalle a Ludovico il ceva seguito alla lunga serie d’interdetti pon- Bavaro. Guidati ancora una volta da un Lan- tifici che i Pisani avevano dovuto sopportare franchi e sostenuti da Mastino della Scala, da nel corso dei secoli, in punizione della loro fe- poco divenuto signore di Lucca, essi ordirono deltà all’impero. A tal fine il signore pensò di una congiura ai danni del conte di Donorati- far buon uso dell’imbarazzante presenza a Pi- co. La rivolta esplose tumultuosamente l’11 sa dell’antipapa Niccolò V, che il Bavaro, do- novembre 1335, ma Fazio Novello fu abile ed po averlo sfruttato per i suoi intrighi, aveva lì energico nel soffocarla, senza ricorrere alle

35 F. ARDITO, Nobiltà, popolo e Signoria del conte Bonifazio Novello, Sentinella delle Alpi, Cuneo 1920, pp. 171-80. 36 G.B. FRANCESCHI, Notizie del conte Bonifazio Novello, Ciardetti, Firenze 1834, p. 16. 37 AF, f. 109, 1329. 38 DAVIDSOHN, op. cit., vol. IV, p. 1207. 108 I della Gherardesca sanguinose rappresaglie che in genere, a quei spicui beni. Occorre ricordare che per tutto il tempi, caratterizzavano ogni evento analogo. Medio Evo i conventi, oltre ad essere centri Riconfermategli tutte le cariche pubbliche di spiritualità, avevano anche assolto alle pre- che lo rendevano loro signore, i Pisani vollero ziose funzioni di centri assistenziali e cultura- che da quel momento gli venissero anche as- li. Era però giunto il tempo di affidare tali segnati 1550 soldati da adibire alla sua perso- due ultime incombenze anche ad organismi nale sicurezza e poi, nel 1337, lo nominarono laici e Fazio ben intese questa esigenza inno- anche «civitatis dominus generalis». vativa, avvantaggiato indubbiamente dal fatto All’inizio di quel medesimo anno, essendo che Pisa già si trovava all’avanguardia in en- rimasto nel frattempo vedovo di Bertecca Ca- trambi i settori. Essa poteva infatti vantare stracani, Fazio Novello contrasse, in gran un’antichissima «Pia Opera della Misericor- pompa, nuove nozze39 con Contalda, della po- dia» che, da una cartapecora ancora conser- tente casata genovese degli Spinola, con la vata nell’archivio dell’istituzione, si dice esse- quale, come si ricorderà, i Gherardesca si era- re addirittura stata fondata nel 1053 per ini- no già imparentati alla fine del secolo prece- ziativa di dodici nobili pisani, fra i quali an- dente e che, attorno al 1330, aveva anche avu- che un Napoleone, conte di Donoratico. Se- to breve Signoria su Lucca. Questo nuovo le- condo vari esperti questo documento sarebbe game fu quasi sicuramente allacciato per fa- però apogrifo, ma nemmeno viene escluso vorire, come in realtà avvenne, una migliore che possa far riferimento a qualcosa di real- intesa fra Pisa e Genova per un maggior ri- mente accaduto, sia pure in epoca più tarda spetto dei reciproci traffici marittimi. rispetto alla data del manoscritto. Il signore di Pisa non trascurò nemmeno di Inoltre Pisa, prima in Toscana e seconda sviluppare ulteriormente le buone relazioni dopo Bologna in Italia, disponeva di un pro- instaurate con i Fiorentini, non mancando tut- prio «Studio», la cui costituzione si vorrebbe tavia d’inviare loro chiari segnali ed avverti- addirittura far risalire al tempo dei romani e menti ammonitori, come quello di procedere che comunque nel XIV secolo rappresentava al rafforzamento di alcuni castelli pisani di uno dei più importanti e considerati poli cul- confine, fra cui quello di Vico. Pure con Siena turali d’Europa. Orbene, nel 1320, Firenze usò un accorto pugno di ferro, allorché que- volle entrare in concorrenza con la Repubbli- sto comune intese insediarsi più saldamente ca rivale anche in questo settore della cultura nel territorio di Massa Marittima, minaccian- e istituì un proprio Studio cittadino. Fazio do, con tale atteggiamento, Pisa medesima, Novello, consapevole dell’importanza di con- ma soprattutto la frangia meridionale dei do- servare a Pisa il prestigioso primato in questo mini Gherardesca. campo, stimolò gli Anziani e il Senato affin- Se particolarmente intensa fu l’attività di ché provvedessero ad un deciso ampliamento Fazio Novello nel cercar di ricreare per la Re- delle discipline già facenti capo allo Studio pi- pubblica più promettenti prospettive di poli- sano, che venne quindi trasformato in «Stu- tica, che potremmo definire «estera», altret- dio Generale», cioè in quella che poi divenne tanto fattiva fu la sua opera per realizzare in l’odierna Università. Il conte di Donoratico i- Pisa stessa nuove iniziative che potessero ri- noltrò allora un’istanza al papa onde ottenere sollevarne il prestigio e il decoro. Ad esempio il suo avallo all’iniziativa, ma il pontefice, for- fece allargare ed abbellire la Piazza dei Signo- se per favorire il progetto di Firenze, cara al ri e, ispirato da sincero spirito religioso fondò, suo cuore per essere da sempre stata guelfa, nel 1332 in Chiseca, con esplicito consenso tardò a dar seguito alla supplica dei pisani papale, il monastero di S. Martino per mona- che decisero allora di procedere ugualmente che dell’ordine di S. Chiara, dotandolo di co- nei propri programmi40, chiamando ad inse-

39 ASP, Miscel. Manoscr., c. 7t. 40 A. FABRONIO, Historiae Academiae Pisanae, Mugnaini, Pisa 1791, pp. 46-63. Una grande casata guerriera del Medio Evo 109 gnare nel loro rinnovato Studio maestri insi- mente cristiano di Fazio Novello furono per- gni, quali Bartolo di Sassoferrato, Guido da fettamente rispecchiati dal suo testamento, Prato, Ranieri Arsendi e Giovanni d’Andrea con il quale egli dispose che fosse suddiviso di Mugello. Nell’intento poi di poter meglio in infiniti rivoli benefici il suo cospicuo patri- accogliere le nuove discipline d’insegnamento, monio «personale»42 nell’ipotesi, purtroppo Fazio Novello fece ristrutturare il Teatro delle poi verificatasi, che la sua discendenza diretta Scuole, onde in esso ricavare gli ambienti oc- fosse venuta meno. Egli infatti, a dispetto dei correnti allo Studio Generale. Tanto fervor di suoi tre sposalizi, aveva solo avuti tre figli: Ra- opere non fu però da lui potuto portare a ter- nieri Novello che, dei Gherardesca, sarà l’ulti- mine, per la sopravvenuta sua prematura mor- mo signore di Pisa; Emilia che andò sposa ad te. A Fazio pertanto non fu possibile veder Ugolino dei Gonzaga di Mantova; e Gherar- compiutamente realizzata la propria iniziativa do, che morì bambino prima che spirasse il ed esaudita la richiesta del riconoscimento pa- padre. pale, che giunse infatti solo nel 1343, sotto Nel suo corposo testamento, il conte Fazio forma di una Bolla di papa Clemente VI. Novello, qualificandosi innanzi tutto signore Poco prima della morte, il conte di Dono- della sesta parte del Regno di Cagliari, dispo- ratico, rimasto per la seconda volta vedovo, si se di essere tumulato, come i suoi predecesso- risposò con Isabella, figlia di Iacopo Savelli ri, nella chiesa pisana di S. Francesco. Segue proconsole di Roma41; e non è difficile intra- poi un interminabile elenco di legati, inco- vedere la longa manus del pontefice in tale minciando da quelli in favore dei poveri di Pi- matrimonio, poiché il papa non poteva non sa e del suo contado, della «Terris Gherarde- vedere di buon occhio l’imparentamento con sca» (che anche in questo caso costituisce il signore di Pisa di un suo alto rappresentan- un’entità a parte rispetto al contado pisano), te in Roma. Ma Fazio Novello era ormai pros- dei suoi territori sardi di Gonnesa e Gioiosa simo al traguardo della vita terrena ed infatti Guardia ed infine dei poveri di Vicarello, Luc- rese l’anima a Dio il 3 dicembre 1340, quan- ca, Pistoia, Parma, Reggio e della Garfagnana. do aveva appena compiuto quarantatré anni. Simili disposizioni farebbero quasi supporre Della sua morte il Tronci ci dice che «ne me- che, in tutte queste località menzionate, il noe Pisa gran duolo e tutta la Toscana», e pos- conte Fazio Novello avesse avuto propri inte- siamo ben credergli, cercando anche d’imma- ressi che peraltro non sono meglio specificati ginare quanto diverso sarebbe stato il destino nel documento in esame. Seguono poi i lasciti dell’antica Repubblica marinara, se questo a una dozzina di monasteri ubicati in Pisa o suo illuminato signore avesse ancora potuto nei suoi dintorni, a Carrara, a Pontremoli, in saggiamente governarla per altri quindici o Sardegna, a Piombino, a Castiglion della Pe- venti anni. scaia, a Suvereto, a Massa Marittima, alla Ver- I Pisani ne provarono sincero dolore, al na, a Guardistallo e ad Acquaviva, nei pressi punto da voler subito proclamare a loro nuo- della quale ancor oggi esiste una località detta vo signore l’unico figlioletto vivente di Fazio «il Romitorio» [Appendice, inserto 2]. Altre Novello, Ranieri Novello, che all’epoca conta- ricche regalie il conte di Donoratico dispose a va solo undici anni. Con tale atto si intese ri- favore dell’ospedale nuovo di Pisa e delle o- confermare la fiducia nella Signoria dei Ghe- pere pie della chiesa pisana. rardesca e, con l’ereditarietà dinastica, le si Particolarmente generose le sue donazioni conferì l’ultimo sigillo che ancora mancava a alla Pia Opera della Misericordia, alla quale, questa emergente forma di governo. fra l’altro assegnò i suoi possedimenti presso L’indole rinascimentale e l’animo generosa- Ganghi, nelle vicinanze di Castelnuovo, che

41 FINKE, op. cit., p. 430. 42 AF, cartapecora n. 23 bis. Nel testamento di Fazio Novello non vien fatto ovviamente riferimento al patrimonio pa- rentale in quanto regolato, da parte dei Gherardesca, dalla tradizionale osservanza delle leggi longobarde in materia. 110 I della Gherardesca da allora fu ribattezzato Castelnuovo della Mi- infine a sua moglie Contalda Spinola. Essen- sericordia43. Con tratto di grande signorilità, do peraltro quest’ultima premorta a Fazio Fazio Novello volle poi che fosse restituito alla Novello, che successivamente si risposò con Chiesa Romana il castello di Pereta donatogli Isabella Savelli, quasi in punto di morte, egli da papa Giovanni XXII, ma prima dispose detterà il già menzionato codicillo, onde asse- che ne venissero beneficati i poveri. Segue una gnare alla sua terza moglie gli stessi benefici a lunghissima lista di legati minori a presbiteri e suo tempo previsti per la seconda. conversi di Pisa, di Lucca e dei rispettivi con- Inoltre, il conte di Donoratico affidò a Ti- tadi; né il conte di Donoratico dimenticò i nuccio della Rocca, che aveva sposato Berar- propri servi, ai quali volle che venissero asse- da della Gherardesca, ed era quindi suo pa- gnati generosi lasciti in denaro. Dispose inol- rente, l’incarico di esecutore testamentario e tre alcuni regolamenti patrimoniali con i conti di tutore del piccolo Ranieri Novello fino al di Biserno, con i suoi tre cognati Castracani, raggiungimento della sua maggiore età. con i conti Pannocchieschi, con i suoi cugini, Bernabò e Gherardo, figli di Nieri, ed infine con i successori del conte Ugolino, ma queste La simbolica Signoria su Pisa e Lucca ultime disposizioni vennero in seguito sostan- del conte Ranieri Novello zialmente annullate da un codicillo che egli aggiunse al testameno, poco prima di morire. Anche se questo bambino fu platonica- Nel documento principale sono anche men- mente nominato capitano generale della Re- zionate due tenute spagnole, in Aragona e in pubblica, in pratica fu il Della Rocca a surro- Catalogna, frutto probabile di compensazioni garlo nell’effettivo esercizio del potere, per con il re d’Aragona per quanto da quest’ulti- quanto nei documenti ufficiali sia sempre Ra- mo era stato tolto ai Gherardesca in Sardegna. nieri Novello a figurare in prima persona. Altri domini citati nell’atto sono appunto ubi- Quando poi Pisa, nel 1341, conquistò Lucca, cati nell’isola ed altri ancora a Camaiano, sui in quella medesima cornice formale, il piccolo monti livornesi del Gabbro, a Colle Salvetti, in conte di Donoratico fu acclamato capitano Val d’Arno e in Val di Serchio. generale anche di quest’ultima città, della A questo punto non è possibile non sottoli- quale, l’anno successivo, diverrà «protettore, neare che egli non citò mai, se non per regola- difensore e governatore». Sempre nel 1342 menti interfamiliari, i suoi pur vasti possedi- Pisa stipulò anche un’alleanza con Luchino menti situati nell’enclave Gherardesca, ed è Visconti, duca di Milano, e pure in questa cir- opportuno ricordare che, per quanto atteneva costanza, come firmatario, figurò il conte Ra- a tali proprietà parentali, era inutile dare di- nieri Novello. A seguito di detti accordi, i sposizioni testamentarie in quanto per esse i conti di Donoratico, Bernabò44 e Giovanni, Gherardesca si regolavano sulla falsariga delle furono inviati quali ostaggi a Milano, a garan- leggi longobarde di Rotari, che consideravano zia del puntuale adempimento degli impegni i possessi comuni del nucleo familiare inalie- assunti dal signore di Pisa. Il potere nominale nabili da parte del singolo o comunque ince- di Ranieri Novello era, a quel momento, su- dibili nel caso di mancata sua discendenza. periore a quello detenuto a suo tempo dal pa- Fazio Novello non ne poteva dunque dispor- dre, e varie lapidi, pervenuteci, ne esaltano la re liberamente. potenza con vuota ampollosità. Egli si preoccupò invece di assicurare una Un documento, quasi sicuramente apo- vita confacente al loro rango a sua zia Tora, grifo, riporta addirittura che le nuove mura vedova di Paolo degli Alberti, a sua sorella A- cittadine, costruite in quegli anni fra la Porta gostina, vedova di Guido Orsini di Soana, ed Calcesana e quella del , furono per-

43 Un tempo detto Camaiano ed oggi Castelnuovo della Misericordia in provincia di Livorno. 44 AF, f. 99, a. 1342. Bernabò venne poi rilasciato nel 1346. Una grande casata guerriera del Medio Evo 111 sonalmente finanziate da questo imberbe con- ta dei Gherardesca, solo quelli che ho classifi- te di Donoratico, tanto che, nel 1346, gli An- cato come «conti di Settimo» e «conti di Do- ziani di Pisa vollero solennemente formalizza- noratico» avevano messo in evidenza una co- re per iscritto che dette mura appartenevano stante vocazione alla vita pubblica, politica e di diritto al Gherardesca. Non era però detto amministrativa di Pisa. Gli altri segmenti fa- nel libro del destino che Ranieri Novello arri- miliari, non ancora estinti nel XIV secolo, e vasse a poter dimostrare che, al di là di un cioè i conti di Biserno, di Segalari, di Casta- pomposo cerimoniale, egli possedeva effetti- gneto e di Campiglia, avevano prevalente- vamente le doti per essere signore di Pisa. Il mente privilegiato una politica localistica, vol- conte di Donoratico, dopo appena sei mesi ta più che altro alla cura ed alla salvaguardia dall’aver partecipato ad una grande festa data dei propri domini maremmani che li rendeva- in suo onore a Lucca45, morì infatti nel 1347, no sì potenti e ricchi, ma mai quanto i loro ad appena diciassette anni, ed alcuni mormo- consanguinei di Settimo e di Donoratico, che rarono che fosse stato avvelenato, come si u- avevano potuto rimpinguare le originarie so- sava subito sospettare, a quei tempi, per l’im- stanze comuni della casata con i proventi del- provviso decesso di un principe. le personali opime conquiste in Sardegna. Per concorrere al potere in Pisa, non bastava or- mai più sventolare soltanto l’antichità della I presunti motivi per i quali i Gherardesca progenie di appartenenza, ma occorreva con- dovettero rinunziare alla loro Signoria trapporre una propria potenza finanziaria a su Pisa quella sempre crescente della classe mercanti- le, che, con lo scorrere degli anni, si era anda- La scomparsa di Ranieri Novello creò un ta affermando nell’ambito cittadino. Una con- vuoto di potere entro il quale cominciarono ferma a tale ipotesi potrebbe provenire dalla ad azzuffarsi i seguaci dei due partiti in cui si sempre minor influenza avuta in Pisa da quei era suddivisa, a quel tempo, la cittadinanza conti di Donoratico che discendevano da En- pisana: quello dei Bergolini, favorevole ad u- rigetto. Sul piano economico questi ultimi na sempre maggiore intesa con i Fiorentini, e Donoratico erano infatti allo stesso livello de- quello dei Raspanti, decisamente contrario ad gli altri Gherardesca rimasti esclusi dalle for- una tale intesa. tune sarde e non potevano quindi vantare il La scarsa documentazione disponibile po- potenziale finanziario del quale disponevano i co aiuta a comprendere quale sia stata, in tale discendenti di Gherardo il Vecchio e di Ugo- frangente, la parte avuta dai Gherardesca e se lino. mai qualcuno di essi si sia fatto avanti per ri- Fermo quindi restando il minor peso poli- vendicare alla propria casata la continuità del- tico dei rami meno abbienti della prosapia, la Signoria, che divenne invece appannaggio vediamo quanto potevano pretendere di con- dei Gambacorta, mercanti e capi dei Bergoli- tare ancora in Pisa i due segmenti dei Gherar- ni. Proviamo quindi ad ipotizzare tutte le pos- desca testé citati. Dei successori del conte U- sibili ragioni per le quali la Signoria sfuggì golino già conosciamo le disavventure politi- dalle mani, in particolare, dei conti di Dono- che ed economiche, sulle quali non è necessa- ratico, che erano riusciti a conservarla per rio dilungarci ulteriormente. A quanto risulte- quasi un trentennio, ed, in generale, di tutti rebbe, di essi erano rimasti solo i discendenti gli altri membri della loro antica casata. di Lotto che, tuttora poco tollerati dalla Re- Va innanzi tutto ricordato che, dei vari ra- pubblica Pisana, vivevano asserragliati nei lo- mi in cui a quell’epoca era suddivisa la schiat- ro castelli maremmani; inoltre, in aggiunta ai

45 Nell’Inventario del regio archivio di Lucca, Giusti, Lucca 1872, p. 104, si trova che, in tale occasione, il pittore Petruc- cio Girondi raffigurò, sul muro del palazzo pubblico, l’effige di Ranieri Novello ai piedi dell’imperatore fregiandolo con il ti- tolo di «Nanus domini imperatoris». 112 I della Gherardesca loro possessi ubicati a Pisa e dintorni, aveva- vani, si erano fatti frati domenicani in S. Cate- no perduto anche i loro domini sardi, incame- rina di Pisa. Di questi due ultimi, già cono- rati dalla Repubblica, dopo la rivolta armata sciamo le peregrinazioni vescovili dell’ambi- di Guelfo e Lotto, e, almeno in parte, dai loro zioso Bonifazio, nonché le sue disavventure stessi parenti, conti di Donoratico, come è da- scismatiche al tempo dell’antipapa Niccolò V; to arguire leggendo il testamento di Fazio No- resta dunque solo da accennare al secondo, vello. La loro malferma posizione politica e il Gaddo, che mai mirò agli stessi traguardi loro debilitato potenziale economico li esclu- dell’intrigante fratello, contentandosi di una deva quindi da ogni velleità successoria nella più pacata e spirituale vita di convento47. Egli Signoria. visse infatti sempre fra le mura del monastero In situazione quasi analoga si trovavano i pisano, che lasciò solo in occasione di un suo figli del conte Nieri, Bernabò e Gherardo, i viaggio a Parigi, dove fu accolto fra i dottori quali, pur tuttora assai potenti sotto il profilo della Sorbona. Rientrato poi nella sua città, ri- finanziario, erano troppo invisi ai Pisani per prese l’umile vita di frate e morì in odore di l’ancor recente ricordo del tirannico dispoti- santità, ricordato negli Annali di S. Caterina smo del padre. Non è tuttavia da escludere per elevate doti cristiane e per colte predica- che alla morte di Ranieri Novello, i due ab- zioni. biano fatto qualche tentativo per proporre u- Con questa bella figura di religioso si chiu- na propria candidatura alla Signoria, e, anche de la panoramica delle ragioni contingenti, se non ne ho rintracciato alcuna conferma do- politiche ed economiche, che resero impossi- cumentale, il fatto che entrambi, nel 1349, sia- bile una continuazione della Signoria dei no stati contemporaneamente banditi da tutto Gherardesca in Pisa. Prima di concludere il il territorio della Repubblica, potrebbe avalla- tema, però, voglio porre in risalto un ultimo re tale ipotesi. È dunque certo che i figli del elemento che contribuì, non marginalmente, conte Nieri non riapparvero mai più in Pisa, alla repentina uscita di scena della grande ca- ma si rifugiarono in Sardegna, dove Bernabò sata comitale dal governo della Repubblica morì nell’anno medesimo della messa al ban- marinara, che tanto aveva invece influenzato do e Gherardo concluse drammaticamente la per oltre un secolo e mezzo. Tale elemento è propria esistenza, nel 1355, nel modo già nar- rappresentato dalla micidiale pestilenza che, rato. Di Bernabò è anche rimasto il testamen- nel 1348, ammorbò Pisa e il contado, falci- to, redatto a Cagliari, con il quale egli lasciò diando quasi il settanta per cento dei suoi abi- suoi eredi il fratello e la moglie Idanna, figlia tanti. Pare che il contagio fosse stato originato del conte Ruggero di Romea, la quale, pro- da alcune merci guaste, imbarcate su due ga- prio con quanto ereditato, fondò a Siena l’O- lee genovesi che, sul finire del 1347, prove- spedale della Scala46. nienti dall’Oriente, avevano fatto scalo nel A dispetto delle loro non eccezionali risor- porto pisano. Fra coloro che rimasero stermi- se economiche, rimanevano di fatto candida- nati dall’implacabile epidemia, si annoveraro- bili alla Signoria anche i quattro figli maschi no ben tredici maschi dei vari rami della pro- del conte Ranieri e di Sofia di Monferrato, genie Gherardesca, che rimase di conseguen- che facevano parte del ramo meno ricco dei za fiaccata e priva di quel sostegno, anche nu- Donoratico. L’unico di essi che ebbe però merico, di cui una consorteria aveva gran bi- ambizioni di vita pubblica, fu Napoleone che sogno in tempi di violenza e soprusi come nel 1350 venne nominato podestà di Lucca, quelli di cui parliamo. Con i ranghi drastica- mentre il secondo, Ottaviano, morì durante la mente ridotti, i Gherardesca non trovarono pestilenza del 1348, e gli altri due, ancor gio- forse più il vigore per reagire alle avverse for-

46 AF, f. 99, a. 1351; e f. 151, n. 9, a. 1351. 47 1 AF, f. 150, n. 7 /2. Vi si legge che Gaddo della Gherardesca fu l’84° frate del convento di S. Caterina in Pisa. Egli ri- sulterebbe morto verso il 1300. Una grande casata guerriera del Medio Evo 113 tune da cui erano stati ripetutamente colpiti, Ridotta ai limiti della sopravvivenza, ormai quali la tragica decapitazione di Gherardo il priva del sostegno di quelle grandi prosapie Vecchio, le drammatiche vicende del conte aristocratiche e guerriere che nel passato ave- Ugolino e dei suoi familiari, e le sanguinose vano rappresentato la sua spina dorsale, im- battaglie in Sardegna. poverita nella sua classe mercantile e dilaniata Anche Pisa uscì demograficamente pro- dalle lotte intestine dei due partiti che in città strata dalla pestilenza che si rinnovò nel 1363, si contendevano il potere, Pisa si avviava fa- assottigliando ulteriormente una popolazione talmente verso una sua definitiva resa di fron- già decimata dalla morte di tanti giovani du- te all’inarrestabile ascesa in Toscana della Re- rante le continue guerre combattute negli ul- pubblica Fiorentina. Dalla morte del conte timi decenni. La Repubblica si trovava ormai Ranieri Novello, nel 1347, alla conquista di nell’impossibilità di armare un esercito dome- Pisa da parte di Firenze, nel 1406, si sussegui- stico, in grado di assicurarle un’adeguata dife- rono nella Signoria prima i Gambacorta, sa, né tanto meno disponeva di risorse finan- quindi il doge Dell’Agnello, poi, per un altro ziarie che le consentissero di assoldare a tale breve periodo, ancora i Gambacorta ed infine scopo milizie mercenarie. Si andava insomma il d’Appiano, ma nessuno di loro ebbe la for- profilando la fine dell’indipendenza di quella za o la capacità di deviare il corso del destino che era stata una delle quattro gloriose repub- della Repubblica, volto ormai verso un inarre- bliche marinare d’Italia. stabile tramonto.

CAPITOLO SESTO

La pace con Firenze e le vicende che ne seguirono

Da conti di Settimo a conti caduto in disgrazia, come senza ombra di di Montescudaio e Guardistallo dubbio era avvenuto per i discendenti del conte Ugolino. L’artificio non servì tuttavia, Montescudaio e Guardistallo sono oggi in questo caso, a far riconquistare ai conti di due pittoreschi paesi arrampicati sulle alture Montescudaio il perduto prestigio a Pisa né litoranee che si elevano a sud del fiume Ceci- facilitò in alcun modo il recupero dei loro be- na; nel Medio Evo erano due munite fortezze ni incamerati dalla Repubblica. Lotto fu dun- dei Gherardesca, costruite a difesa del confi- que il capostipite di un ramo della prosapia ne settentrionale dell’enclave dominato dal- che mai poté avvantaggiarsi dei fasti della Si- l’antica casata comitale ed ubicate in posizio- gnoria pisana dei Gherardesca, né tanto me- ne strategicamente eccellente per sbarrare, as- no tornare a primeggiare nella città dopo la sieme alla rocca di Casaglia ed al vicino ca- morte del giovanissimo Ranieri Novello. stello di Casale, la grande vallata che da Vol- Del resto, nell’agonizzante Repubblica, a- terra si apre verso il mare, suddividendosi in vevano ormai prevalso i ceti mercantili, su- due rami all’altezza del torrente Sterza. bentrati nel potere alle antiche nobili casate Il segmento della schiatta che fu detto dei che mai più ebbero la forza e i mezzi per ri- conti di Montescudaio e Guardistallo [tav. conquistarlo. 13] è quello dal quale sono derivati gli odierni Gherardesca e nel quale, con il graduale e- stinguersi di tutti gli altri rami della casata, e Le prime generazioni dei conti sempre nel rispetto delle norme longobarde, di Montescudaio e Guardistallo confluirono nel tempo tutti i possedimenti dell’originario nucleo parentale, con la sola Alle prime generazioni di questo ramo dei parziale eccezione di quelli dei conti di Biser- Gherardesca toccò quindi il travaglio di do- no e dei conti di Segalari. versi destreggiare nella cornice di una nuova Il primo a richiamarsi stabilmente al titolo realtà politica. La condotta che essi, e gli altri di conte di Montescudaio e Guardistallo fu, a componenti della schiatta comitale, adottaro- quanto risulterebbe, Lotto, figlio di Ugolino, no negli anni che stavano concludendo il ci- che in queste fortezze trovò probabilmente ri- clo medievale della storia, potrebbe perfetta- fugio non appena poté rientrare in Toscana, mente essere raffigurata come la testa di Gia- dopo la lunga prigionia genovese e la conclu- no bifronte, di cui una faccia era rivolta verso sione sfortunata della guerra combattuta in un glorioso ma irripetibile passato, rappre- Sardegna contro Pisa. Come sappiamo, egli sentato da Pisa, e l’altra verso un incerto e più faceva parte del ramo dei conti di Settimo, ridimensionato futuro, costituito da Firenze. ma nel Medio Evo il fatto di cambiare la pro- Ma torniamo ora a Lotto. Come sappiamo, pria qualifica o il proprio cognome era costu- egli aveva contratto due matrimoni. Il primo, me corrente ogni qual volta l’opportunità po- vivente Ugolino, con Ghilla, della nobile ca- litica suggeriva di smorzare le antipatie popo- sata dei da Capraia, giudici in Arborea, ricon- lari verso un determinato gruppo familiare ferma le persistenti velleità dei Gherardesca 116 I della Gherardesca Una grande casata guerriera del Medio Evo 117 nei riguardi della Sardegna; il secondo, con finanziarie con re Edoardo III d’Inghilterra, una Spinola, sottolinea l’alleanza strumentale che i Medici e i Gherardesca allacciarono quel stretta, alla morte di Ugolino, fra i suoi suc- rapporto rivelatosi, con il passar degli anni, cessori e Genova per combattere, proprio tanto prezioso per la prosapia di Ugolino. nell’isola, l’ormai comune nemico pisano. Da I conti di Montescudaio, a dispetto dei tan- tali matrimoni provenne a Lotto una prole ti figli messi al mondo dal loro capostipite maschile piuttosto numerosa, che peraltro Lotto, rischiarono quasi subito l’estinzione e non comparirà mai sulla scena pisana, salvo sopravvissero soltanto grazie ad alcuni discen- Anselmuccio, morto con il nonno nella Torre denti di Giovanni Bacarozzo. Quest’ultimo della Fame. Non mi sembra che vi sia nulla di ebbe infatti sei eredi maschi, di cui ben quat- particolare da segnalare su questa prima ge- tro morirono per la terribile pestilenza del nerazione dei conti di Montescudaio, ad ec- 1348. Dei due superstiti, il personaggio di cezione di alcune loro unioni matrimoniali maggior spicco fu il conte Iacopo, detto «il che evidenziano una significativa tendenza Paffetta», della cui avventurosa esistenza vale dei Gherardesca a cercarsi alleanze in conte- la pena fornire un cenno. sti diversi da quelli tradizionalmente legati al- le vicende pisane e sarde. Giovanni, detto «Bacarozzo»1, figlio di Lotto, si sposò ad e- Il conte Iacopo, detto «il Paffetta» sempio con Iacopa della famiglia dei Carrare- si di Padova, grande casata di origine longo- Iacopo aveva sposato una donna della no- barda anch’essa, che di lì a poco conquisterà bile casata pisana dei Gualandi. la Signoria sulla propria città, mentre una so- Forse fu questo legame di parentela con i rella omonima di Giovanni e suo nipote Lot- Gualandi, che condusse ad un coinvolgimen- to sposarono rispettivamente Dante Scali e to del Paffetta nelle vicende interne di Pisa, Francesca de’ Bardi, inaugurando la serie de- da cui dovette però allontanarsi a causa dei gli imparentamenti con le più influenti fami- suoi sentimenti antifiorentini, in aperto con- glie fiorentine dell’epoca, e ciò nel chiaro in- trasto con l’orientamento politico dei Gam- tento di procurarsi qualche primo valido ag- bacorta, che, all’epoca, ne erano signori, con gancio con Firenze, con cui i Gherardesca già l’appoggio del partito fiorentineggiante dei presagivano di dovere avere a che fare ben Bergolini. Il conte Iacopo, pur di combattere presto. contro Firenze, si arruolò allora sotto le inse- In particolar modo è da mettere in eviden- gne lombarde dei Visconti; durante tale mili- za la parentela con i de’ Bardi, poiché essa tanza si conquistò la stima e l’amicizia dei du- rappresentò forse il punto di contatto fra l’an- chi, tanto da essere da loro prescelto a pode- tica schiatta comitale ed la grande famiglia e- stà di Milano nel 1354. mergente di mercanti, che più o meno un se- In quel medesimo anno valicò le Alpi, con colo dopo, perverrà al principato a Firenze; un seguito di 2500 cavalieri, Carlo IV del infatti proprio nei medesimi anni in cui un al- Lussemburgo, diretto verso Roma per porsi tro conte di Montescudaio impalmò Cecilia sul capo l’irrinunciabile corona d’imperatore di Agnoletto de’ Bardi2, Cosimo de’ Medici, del Sacro Romano Impero. Il monarca, pas- ricordato dalla storia come «il Vecchio», a sua sando per Padova, giunse il 3 dicembre 1354 volta sposò una donna (Contessina) della me- a Mantova, dove venne accolto con tutti gli o- desima casata. nori dai Gonzaga. Non altrettanto calorosi fu- Fu probabilmente quindi all’interno dei rono gli approcci con i Visconti; ed infatti, so- grandi palazzi che i de’ Bardi possedevano an- lo dopo laboriose trattative, cui certo parte- cora a Firenze, malgrado le loro disavventure cipò anche il conte Iacopo nella sua veste di

1 Bacarozzo aveva a quei tempi il significato di bandito e, probabilmente, nella fattispecie, di esiliato. 2 AF, f. 98, a. 1429. 118 I della Gherardesca podestà e forte anche del recente imparenta- volenza dimostratagli da Carlo IV, forse acca- mento dei Gherardesca con i Gonzaga, fu al- rezzò l’ambizioso sogno d’impadronirsi del fine concesso a Carlo IV di entrare in Milano potere in Pisa, o per consegnare la città ai Vi- il 6 gennaio 1355 e di cingere la corona del sconti, come ipotizzano alcuni storici, o piut- Regno Italico nella splendida basilica ambro- tosto, come sostengono altri, per tentare di siana. rinnovare in essa, ed in prima persona, le pas- Dopo alcune settimane di ospitalità offerta- sate fortune della famiglia. Tali suoi propositi, gli controvoglia dai Visconti, il futuro impera- forse troppo imprudentemente palesati, rap- tore riprese la strada verso Roma, con l’inten- presentarono invece la rovina del conte Iaco- to di fare una sosta a Pisa; fu probabilmente po che, caduto in sospetto dei suoi stessi al- allora che il Paffetta, esaurito il suo mandato leati pisani del partito dei Raspanti, non ap- podestariale, si aggregò al seguito del sovrano, pena l’imperatore lasciò la città per rientrare tant’è vero che proprio in quello stesso perio- in patria, fu imprigionato e mandato a morire do egli risultò anche suo ambasciatore a nella fortezza lucchese di Achosta (o Augu- Siena3. Il conte Iacopo fu dunque affidabile sta), in Val di Nievole, dove egli si spense nel alleato di Carlo IV, e ciò apparve ancor più e- 1357, ucciso forse da veleno. Matteo Villani, vidente quando lo dovette appoggiare con i nella sua Cronaca, di lui così scrisse: suoi armati in occasione di una violenta som- Messer Paffetta volea un certo tratto dare Pisa ai mossa scoppiata a Pisa contro il sovrano. A fo- Signori di Milano; grande loro amico era ma altro mentare la ribellione era stato il partito dei vero non se ne poté trovare; e stato alquanto in pri- Bergolini; al Paffetta, partigiano invece del gione, per tema che l’imperatore non lo ne facesse partito dei Raspanti, non parve vero di poter trarre o i Signori di Milano, di veleno o d’altra vio- mettere a ferro e fuoco le case degli avversari lenta morte celatamente lo fecero morire. e, in particolar modo, quelle dei Gambacorta, Quale sia quella vera, fra l’una o l’altra del- i quali dovettero precipitosamente allontanarsi le due ipotesi formulate circa le mire di Iaco- dalla città. Riconoscente per il risolutivo aiuto po su Pisa, non credo si potrà mai accertare; è offertogli, Carlo IV volle allora armare cavalie- invece possibile asserire che, fra i Gherarde- re il conte Iacopo, concedendogli anche di ap- sca di quell’epoca, nessuno meglio del Paffet- porre una corona d’oro sul capo dell’aquila ta impersonificò la faccia di Giano rivolta al imperiale che già figurava nello stemma genti- passato. lizio dei Gherardesca4, anche prima del loro imparentamento con gli Hohenstafen [fig. 18]. L’imperatore volle inoltre estendere la propria Il graduale avvicinamento dei Gherardesca riconoscenza ad altri membri della casata co- a Firenze mitale, dal che si può dedurre che, nel fran- gente, essi pure gli furono alleati, avendo ri- La faccia del dio romano, rivolta verso il spolverato il loro mai sopito spirito ghibellino. futuro fiorentino, potrebbe invece essere rico- Furono infatti armati cavalieri anche il conte nosciuta nel comportamento del già citato Ugo, fratello di Iacopo, e i conti di Donorati- conte Guido di Donoratico. Egli infatti, dopo co, Napoleone e Guido, suo figlio, del quale essere stato, come il padre, podestà di Lucca avrò modo di parlare fra breve 5. nel 1357, proprio nell’epoca in cui, non lonta- Ma torniamo ora al Paffetta che, incorag- no, vi moriva il suo consanguineo Iacopo, fu giato dalla vittoria sui Bergolini e dalla bene- podestà di Firenze tre anni dopo6 e da allora

3 F. SARDO, op. cit., p. 115. 4 P. GUELFI CAMAIANI, Dizionario araldico, Cisalpina Goliardica, Milano 1979, pp. 34, 36, 37 e 39. L’aquila nera in cam- po d’oro rappresentava l’Impero d’Occidente. Le famiglie tedesche e italiane che avevano l’aquila nel loro stemma gentilizio, la potevano esibire per concessione imperiale come simbolo di potenza e di vittoria. 5 SARDO, op. cit., pp. 118, 123 e 136. 6 AF, f. 98, a. 1360. Una grande casata guerriera del Medio Evo 119

Antichi sigilli dei Gherardesca. Il primo in alto è attribuito al conte Tedice, primo podestà di Pisa (proprietà Gherardesca). Notare nei quattro sigilli in basso, la corona sul capo dell’aquila, concessa dall’imperatore Carlo IV [fig. 18] 120 I della Gherardesca optò con convinzione per le buone fortune ni. Non fu allora difficile per Firenze fomen- della Repubblica Fiorentina, conscio dell’op- tare fra i Pisani una reazione alla Signoria del portunità di legare ad essa i destini della pro- Dell’Agnello e il conte Niccolò di Montescu- pria casata. Nel 1361, Guido, concluso il man- daio fu incaricato di capeggiarla. Quale gene- dato podestariale, fu inviato a Perugia al co- rale dei Fiorentini e dei fuoriusciti pisani, egli mando di cinque compagnie fiorentine di ma- mosse guerra a Pisa nel 1368 e, dopo averne snada, con il compito di porre un freno alle messo a ferro e fuoco il contado, occupò il ca- lotte intestine scoppiate in quella città, dove stello di Vada e da lì si portò minacciosamen- egli, operando con grande saggezza, ben as- te sotto le mura stesse di Pisa7. Il doge Del- solse anche a questo non facile incarico. l’Agnello venne sconfitto e cacciato dalla città; L’accostamento fra le due diverse anime nella Signoria gli subentrò nuovamente il filo- politiche di Iacopo e di Guido ha certo servi- fiorentino Pietro Gambacorta, il quale si af- to a fornire una migliore idea degli opposti o- frettò a firmare con Firenze un accordo per rientamenti che per alcuni decenni coesistet- cui Pisa parve divenire alfine quel bramato tero nell’antica prosapia comitale, allarmata sbocco al mare che da tempo i Fiorentini so- dal pericolo che Firenze poteva rappresenta- gnavano. re per una conservazione del proprio indi- Tre anni dopo, nel 1371, i conti Niccolò e pendente dominio nell’enclave maremmano. Arrigo furono ancora alla ribalta, nel mede- Occorre tenere in debito risalto che la deca- simo contesto politico, facendo parte del- denza di Pisa non poteva non aver rafforzato, l’ambasceria pisana che si fece incontro a pa- ma nel contempo isolato, tale autonomia, e pa Urbano VI8, allorché questi visitò Pisa. che il prevalere di Firenze sulla Repubblica Pure loro fratello Gabriello sembrò inizial- marinara costituiva una grossa incognita per i mente condividere i medesimi ideali politici Gherardesca, che da troppo poco tempo ave- favorevoli a Firenze, comparendo come al- vano incominciato a tessere trame matrimo- leato dei Gambacorta delle cui masnade fu niali per un loro maggior inserimento nel tes- capitano. suto delle più potenti famiglie fiorentine del- Improvvisamente però l’atteggiamento di l’epoca. questi tre conti di Montescudaio subì un ra- dicale ribaltamento, di cui non si afferrano bene le motivazioni, ma che venne probabil- I conti Niccolò, Gabriello e Arrigo mente a coincidere con il travagliato avvento di Montescudaio al potere a Pisa, nel 1392, di Iacopo d’Appia- no, spalleggiato dai Visconti di Milano in Di queste incertezze e di questi timori dei chiave antifiorentina. Nel 1391 il conte Ga- Gherardesca furono emblematici interpreti briello venne addirittura condannato a morte tre nipoti del conte Giovanni Bacarozzo: Nic- in contumacia dal capitano del popolo di Fi- colò, Gabriello e Arrigo. Prima però di parla- renze, sia per aver tentato di fomentare una re di questi tre conti di Montescudaio, è op- rivolta antifiorentina a San Gimignano, che portuno ricordare che dal 1364 era divenuto per aver effettuato con i propri armati delle signore di Pisa, il «doge» Giovanni Dell’A- devastanti scorrerie nel territorio di San Mi- gnello. Malgrado che fosse stato sostenuto dai niato. Raspanti, egli non risultò inizialmente inviso Immediata conseguenza di un tale voltafac- nemmeno ai Fiorentini, ma poi, avendo co- cia dei Gherardesca fu un attacco di truppe minciato a barcamenarsi fra Firenze e i Vi- fiorentine direttamente portato al castello di sconti di Milano, finì con lo scontentare sia il Bolgheri che, nel 1393, fu saccheggiato e de- suo partito che quello avversario dei Bergoli- vastato.

7 Questo fatto d’armi fu poi celebrato nel 1788 da un dipinto di Francesco Pascucci. 8 SARDO, op. cit., pp. 238, 240. Una grande casata guerriera del Medio Evo 121

Le «Capitolazioni in Accomandigia» cui godevano gli stessi Gherardesca rispetto a del 1405 Pisa, nel cui contado era pur sempre inserito il nucleo originario dei loro domini. Questa Era la prima volta che, dal lontano 11289, incontestabile realtà fu ancor più evidenziata un nemico riusciva a penetrare all’interno del allorché, alcuni anni dopo l’inizio delle pre- dispositivo fortificato che difendeva i domini dette trattative con Firenze, i Gherardesca più antichi della prosapia, e i Gherardesca scissero la propria posizione da quella pisana e dovettero trarne allarmanti conclusioni. Per condussero in porto un loro autonomo accor- secoli non avevano infatti subito invasioni dei do con la Repubblica Fiorentina, quasi due propri territori, ben protetti da castelli salda- anni prima che Pisa, comprata da Firenze ai mente impiantati sui rilievi collinari che si ele- Visconti e poi sconfitta con le armi sul cam- vano fra il fiume Cecina e la Cornia [fig. 35]. po, fosse sottomessa all’antica rivale. Non vi erano riusciti i Saraceni dalla parte del Nel 1405 i Gherardesca sottoscrissero in- mare; né i Senesi da sud dopo essersi assestati fatti le «Capitolazioni in Accomandigia» con fino a Massa Marittima; non avevano tentato, Firenze stessa10; le clausole di questo trattato o forse voluto tentare, i Pisani da nord; né al- costituirono il fondamento e il costante riferi- tri mai, sia esso imperatore o pontefice, aveva mento dei rapporti della prosapia comitale avanzato in passato proprie pretese su quel- con il governo di Firenze, per i quasi quattro l’enclave indipendente. Ora invece, Bolgheri, secoli che seguirono. uno dei castelli forse più antichi della schiat- Vale subito la pena precisare che la parola ta, collocato nel bel mezzo dei domini Ghe- «Capitolazioni» non ha assolutamente l’odier- rardesca, era stato semidistrutto, dimostrando no significato di «resa» bensì quello origina- la vulnerabilità di questo complesso di roc- rio di «insieme di capitoli», o regolamenti, cheforti sul quale la famiglia comitale aveva volti ad inquadrare i reciproci futuri diritti e fatto fino ad allora pieno affidamento. Pro- doveri fra due parti contraenti. In quanto al fondamente scossi da tale «profanazione», è termine «Accomandigia», è da ricordare che, assai probabile che i vari esponenti della pro- nel Medio Evo, esso veniva usato per indicare sapia si siano riuniti ancora una volta a Dono- l’accordo per il quale un libero signore, titola- ratico per esaminare il da farsi e, come con- re di territori di origine allodiale, si metteva fermano alcuni documenti, abbiano preso la sotto la protezione di un altro signore o entità decisione di avviare trattative con Firenze, politica di lui più potente. onde trovare un’onorevole intesa prima che Il trattato, del quale fra breve illustrerò gli fosse troppo tardi. aspetti salienti, ebbe immediata applicazione, Risulterebbe che, in una prima fase, tali tanto che già nel 1406 il conte Arrigo, prima trattative furono parallelamente condotte con citato assieme ai suoi due fratelli conti di altre impostate da Firenze con Pisa; questa i- Montescudaio, combatté come alleato dei Fio- potesi verrebbe confermata da alcune relazio- rentini capitanando «duecento lance» sotto le ni, fatte nel 1396 ai Dieci di Balia, da Matteo mura di Pisa assediata, che il 9 ottobre di quel Davanzati e Giovanni Biliotti, ambasciatori medesimo anno si arrese dopo accanita resi- della Repubblica Fiorentina incaricati di con- stenza. Il patto di pace fra i conti della Ghe- durre separati colloqui di pace con Pisa, da rardesca e la Repubblica Fiorentina era stato un lato, e i conti della Gherardesca, dall’altro. solennemente firmato il 28 gennaio 1405 a Fi- Da tale fatto si può ancora una volta trarre la renze, nel Palazzo del Popolo, e sottoscritto conferma della sostanziale indipendenza di da nove dei dieci membri di Balia e, per i

9 DAVIDSOHN, op. cit., vol. I, p. 601. Nel 1128 il castello di Bolgheri venne assediato e conquistato dal margravio Corra- do, rappresentante in Tuscia dell’autorità imperiale ed, in quell’occasione alleato di Lucca contro Pisa. In tale occasione al- cuni Gherardesca furono fatti prigionieri e rinchiusi in una fortezza senese. 10 Il documento originale è conservato nell’ASF (Riformagioni) ed è anche riportato da Maccioni nel sommario allegato alla sua op. cit. Si veda il doc. 5 dell’Appendice. 122 I della Gherardesca

Gherardesca, dai conti Giovanni e Gabriello. al castello di Rosignano. Da sottolineare che quest’ultimo si era potuto Nell’accordo con Firenze si menzionano recare a Firenze, essendogli stata revocata la molti altri territori, precisando però che non condanna a morte inflittagli quattordici anni risultavano «fortificati», quali quelli di Colle- prima. Le «Capitolazioni in Accomandigia» mezzano, Casaglia, Mele, Castelgiustri, Casti- furono poi ratificate, nei mesi successivi, da glion Mondiglio, Oliveto, Pietrarossa, Segala- tutti gli altri componenti maschi della prosa- ri, e, in parte, Biserno11. Si trattava di una fa- pia comitale, i quali s’impegnarono a rispet- scia, che oggi diremmo smilitarizzata, che an- tarne le condizioni anche a nome dei propri che Pisa aveva chiesto fosse creata attorno al- discendenti. la zona protetta dai maggiori castelli dei Ghe- Il documento era costituito da ventinove rardesca. clausole, precedute da una lunga premessa Firenze fu lungimirante a pretenderla an- con la quale i conti della Gherardesca assicu- ch’essa e ciò si evidenziò quando nel 1447 i ravano di voler rimanere per sempre «veri et Gherardesca si ribellarono alla Repubblica ri- devoti filii servitores et obbedientes» della conquistandole le fortezze di Montescudaio e Repubblica Fiorentina. Una formulazione di Guardistallo con l’intento di ricostituire la tal genere potrebbe trarre in inganno e far cintura difensiva settentrionale dei loro domi- pensare a qualche cosa di simile ad una resa ni. Incidentalmente anticiperò che tale mo- incondizionata dei Gherardesca stessi, ma, mentanea riconquista convinse Firenze della come vedremo, la sola intenzione di Firenze difficoltà di conservare nelle proprie mani fu quella di tarpare le ali e limare un poco gli queste lontane fortezze e di conseguenza del- artigli di questi potenti signori che per secoli l’opportunità di deliberarne lo smantellamen- le erano stati ostili, ma alla cui futura alleanza to nell’anno medesimo in cui fu anche raso al la Repubblica annetteva ragguardevole im- suolo il grande castello Gherardesca di Dono- portanza. Questa interpretazione viene con- ratico e, forse, anche quello di Casale. fermata sin dal primo dei capitoli dell’accor- Ma ritornando all’analisi delle «Capitola- do, dove si delimita il territorio che verrà la- zioni in Accomandigia», va sottolineato che, sciato alla «libera giurisdizione» dei conti, entro i confini del territorio assegnato loro, i precisandone i confini che saranno di poco Gherardesca conservarono una quasi comple- più ristretti rispetto a quelli dell’area origina- ta autonomia, pur dovendo sempre ricono- riamente dominata dalla prosapia e che si e- scere l’alto dominio fiorentino, in qualità di stendeva dalla Cecina alla Cornia. «solemniter constituti perpetui Vicari Comu- Vennero infatti incamerate da Firenze le nis et pro Comunis Florentiae»12. Libertà sole roccheforti di Montescudaio e Guardi- dunque ma... vigilata. stallo, la cui posizione era di troppo rilevante Con altre clausole dell’accordo si lasciava- valore strategico nel caso che i Gherardesca no ai Gherardesca tutti i frutti, i privilegi e i avessero... cambiato idea, mentre rimasero patronati da loro goduti in passato nei propri nelle mani della casata i castelli di Donorati- domini e si confermava loro la possibilità di co, Castagneto, Bolgheri, Casale e persino esercitarvi tutti i poteri giurisdizionali, con il quello di Bibbona che in realtà da tempo non solo divieto di comminare le pene capitali e era più dei Gherardesca stessi, essendo stato quelle «del taglione» che venivano avocate al- da questi restituito a Pisa nel 1395, dopo a- l’esclusiva competenza del capitano della Re- verglielo momentaneamente sottratto assieme pubblica, che da allora in poi si sarebbe inse-

11 AF, f. 99. Elenco dei possedimenti della famiglia redatto nel 1397. 12 F. BARBOLANI DI MONTAUTO, Sopravvivenza di Signorie feudali: le Accomandigie al comune di Firenze nel trecento e nel primo quattrocento, in AA.VV., I ceti dirigenti nella Toscana tardo comunale, Atti del III Convegno di Studi sulla storia dei ce- ti dirigenti in Toscana, Papafava, Firenze 1983. Da rilevare che Firenze aveva in genere sempre concesso Accomandige a ter- mine e cioè della durata di dieci o quindici anni rinnovabili alla loro scadenza. L’Accomandigia in perpetuo accordata ai Gherardesca rappresenta quindi una significativa eccezione. Una grande casata guerriera del Medio Evo 123 diato nel castello di Campiglia. alle quali la prosapia si era sempre attenuta, I Gherardesca potevano inoltre liberamente consentendole di conservare quasi intatto il imporre gabelle purché non risultassero di no- nucleo più antico dei suoi domini. cumento ai cittadini fiorentini e nel contempo essi ed i loro sudditi sarebbero stati esenti da qualsiasi gabella imposta dalla Repubblica. Il laborioso adattamento dei Gherardesca Nelle «Capitolazioni» furono poi precisati i alla nuova situazione politica termini dell’alleanza militare che, per sempre, avrebbe dovuto legare le due parti contraenti Non si deve immaginare però che la con- fra di loro. I Gherardesca dovevano conserva- creta attuazione delle clausole delle «Capito- re le proprie fortificazioni in buono stato di lazioni», non si sia presentata priva di diffi- efficienza e tenere sempre i loro armati a di- coltà, né che tutti i Gherardesca abbiano su- sposizione di Firenze, mentre la Repubblica pinamente accettato di buon grado questo vi- avrebbe assicurato ai conti la sua protezione cariato fiorentino, così diverso dalla loro ori- in caso di aggressioni nemiche. Ai Gherarde- ginaria dispotica autonomia. Già infatti nel sca, che si fossero recati a Firenze o a Pisa, ve- 1414 insorsero i primi contrasti con il capita- niva inoltre concesso di condurre con sé «fino no della Repubblica circa la corretta interpre- a dieci persone armate di armi difensive ed tazione di alcune clausole del trattato e, da al- offensive». lora, altre innumerevoli dispute seguirono fin Tutti gli altri capitoli riguardavano partico- quasi alla fine della seconda metà del Mille- lari regolamenti di carattere economico, che settecento, spezzettandosi in continue fasti- sarebbe ozioso illustrare in questa sede, e che, diosissime controversie tributarie, giudiziarie per chi lo desideri, sarà possibile individuare, ed amministrative15. Ma di tutto questo trat- consultando il documento 5 dell’Appendice al terò in seguito, in un apposito capitolo. Mi li- presente scritto. miterò ora a sottolineare che, se questo capar- Si può dunque concludere che, in base alle bio e continuo richiamarsi ai termini delle «Capitolazioni in Accomandigia», l’indipen- «Capitolazioni», fu un sintomo permanente denza dei Gherardesca nei loro domini risul- dell’insofferenza dei Gherardesca a rinunzia- tava ridimensionata ma non cancellata. In re alla propria antica indipendenza, le loro i- pratica essi divennero una sorta di confedera- niziali rivolte armate contro la Repubblica ti della Repubblica Fiorentina ed è appunto Fiorentina rappresentarono le vere e proprie in tale veste che essi figurarono fra i firmatari scosse di assestamento del terremoto subito della pace conclusa nel 1424 fra Firenze e nel 1405. Dopo tale data infatti i Gherarde- Gian Galeazzo Visconti, duca di Milano13. sca, per vari decenni, tentarono a più riprese Va rimarcato inoltre che le «Capitolazioni» di scuotersi di dosso il mal tollerato giogo fio- implicitamente ribadirono un principio fon- rentino, ma l’unico risultato che conseguiro- damentale per le consuetudini ereditarie dei no dalle ripetute ribellioni fu quello di farsi Gherardesca. Nel trattato si affermava infatti distruggere i propri principali castelli. Per che il diritto di vicariato perpetuo sui domini mancanza di adeguato supporto documenta- familiari era riferibile «a tutti i maschi della le, non mi è possibile ricostruire nei dettagli il casata» (e quindi solo ad essi), con pratica e- filo conduttore che forse lega fra loro dette ri- sclusione da ogni diritto di proprietà sui me- volte, ma, a conferma di esse, rimangono an- desimi da parte delle femmine della fami- cora varie sentenze di condanna dell’alta ma- glia14, e formalizzando in tal modo, per i se- gistratura della Repubblica Fiorentina, a cari- coli a venire, quel dettato delle leggi rotariane co di alcuni componenti della casata.

13 Cartapecora della Magliabeccana di Firenze, riportata da BARBOLANI DI MONTAUTO, Sopravvivenze di Signorie feudali, cit. 14 AF, f.ze 46, 47, 48, processo Gherardesca-Peruzzi. 15 Si veda l’inserto 3 dell’Appendice. 124 I della Gherardesca

La ribellione del conte Fazio ratico, ed egli volle andare a verificare il buon e la distruzione del castello di Donoratico andamento di tale lavoro. Va detto che a quell’epoca si usava ancora carbonizzare tutta La più dura di tali sentenze fu comunque la legna di diametro minore, e che il carbone, quella a sfavore del conte Fazio, figlio di Arri- che se ne ricavava, trovava numerosi impie- go e di Marchigiana Ricasoli, del quale for- ghi, oggi del tutto scomparsi. Le «carbonaie» nirò qui di seguito un breve cenno storico. Fa- venivano normalmente realizzate su «piazze», zio, poco più che ventenne, divenne un con- o meglio miniradure, ricavate nel bel mezzo dottiero fra le truppe spagnole di re Alfonso del bosco in taglio. Fu proprio nell’attraversa- V d’Aragona16, il quale era venuto, nel 1442, re una di tali «piazze carbonaie» da poco in Italia per consolidare i propri interessi nel- «scoticata», che mio padre vide luccicare la penisola e per dar manforte alle pretese an- qualcosa per terra e, chinatosi, raccolse un tifiorentine dei Visconti di Milano, suoi allea- «san Giovannino» d’argento, come era deno- ti. minata una delle monete fiorentine dell’epoca Non è dato sapere se questa iniziativa del in cui venne fatto saltare Donoratico. Il reper- giovane conte della Gherardesca fosse asse- to non era certo tale da testimoniare inequi- condata o meno da altri componenti della sua vocalmente l’intervento dei Fiorentini nella famiglia, ma è tuttavia ipotizzabile che la tota- distruzione del castello, ma a noi piacque lo le distruzione del castello di Donoratico, av- stesso immaginare le colorite invettive lancia- venuta ad opera dei Fiorentini, poco prima o te da quel soldato, venuto a minare la fortez- poco dopo che essi sconfiggessero gli Spagno- za, che aveva perduto quel «fiorino», ritrova- li, nel 1448, nella piana di Piombino, costitui- to dopo cinquecento anni da un discendente sca una riprova della vendetta di Firenze per del «traditore» Fazio. una ribellione dei Gherardesca nel loro insie- In quanto a quest’ultimo Gherardesca, egli me, e non di uno solo di essi. È comunque da doveva aver pur commesso qualche grosso ricordare che nel 1447 l’esercito regio spa- misfatto a giudizio di Firenze, poiché in se- gnolo aveva raggiunto Bolgheri e che i Ghe- guito fu bandito da tutto il territorio fiorenti- rardesca, o almeno alcuni di essi, con l’aiuto no e dovette riparare prima a Siena e poi a Vi- degli Aragonesi avevano riconquistato le roc- terbo, dove la sua discendenza si estinse nel cheforti di Montescudaio e Guardistallo. Per 1609 [tav. 14]. Non risulta che, nella medesi- quanto poi riguarda le circostanze esatte dello ma circostanza, siano stati castigati altri Ghe- smantellamento di Donoratico, questo evento rardesca, ma il fuoco della loro insofferenza manca a tutt’oggi di un’assoluta certezza sto- seguitò indubbiamente a covare sotto le fu- rica17, anche se un curioso episodio, occorso manti ceneri di Donoratico. a mio padre, sembrerebbe voler avallare l’ipo- tesi di un intervento punitivo delle truppe fio- rentine. La rivolta dei conti Simone e Gherardo Nel novembre del 1942, nel corso quindi della seconda grande guerra mondiale, mio Nel 1465 scoppiò un’altra rivolta nella qua- padre, che era stato richiamato alle armi, si le rimasero coinvolti i due fratelli Simone e trovò per alcuni giorni in licenza militare a Gherardo, figli del conte Bernabò della Ghe- Castagneto. Era da poco iniziato il taglio del rardesca. Con i due si alleò subito anche Fa- Matarocchio, un bosco che si estende tutto zio, rientrato momentaneamente dal suo for- attorno ai ruderi dell’antica fortezza di Dono- zoso esilio, ma anche tale ribellione fu sedata

16 ASF, Carte Pucci, manoscritto 597, n. 15. Vi si legge che il conte Fazio fu generale del re d’Aragona per la Toscana. 17 Con delibera dei Dieci di Balia, presa a Firenze nel 1448, si decise lo smantellamento delle roccheforti di Montescu- daio e Guardistallo, rioccupate dai Gherardesca a dispetto dei patti del 1405, e la distruzione di alcuni castelli dei Gherarde- sca stessi (forse Donoratico e Casale). Una grande casata guerriera del Medio Evo 125 126 I della Gherardesca da Firenze che questa volta deliberò la confi- 1502, compare fra gli Anziani di Pisa, è il sca di tutti i beni di Fazio stesso18, mentre Lo- conte Andrea, figlio del proscritto Fazio, il renzo Soderini, capitano della Repubblica a quale non aveva evidentemente nulla da per- Campiglia, condannò a morte, per decapita- dere nel caso di sfortunato esito di tale sua zione, i conti Simone e Gherardo, i quali pe- avventura pisana. raltro furono successivamente graziati dalla L’ago politico dei Gherardesca doveva dun- pena capitale e sostitutivamente condannati que essersi ormai decisamente orientato verso ad una pesantissima ammenda pecuniaria. Al una sempre maggiore intesa con Firenze e, so- conseguimento di tale parziale assoluzione prattutto, verso una stretta alleanza con i Me- contribuì forse il fatto che, fra il 1439 e il dici che nella città avevano primeggiato pro- 1441, il conte Gherardo aveva militato con o- prio fino al 1494. Questa mia ipotesi mi sem- nore a fianco dei vessilli fiorentini nel corso bra venga confermata da due documenti d’ar- della guerra contro Filippo Maria Visconti e chivio. Il primo è rappresentato da una lettera che inoltre, avendo sposato Caterina Caval- del 10 maggio 1471, indirizzata dal vescovo di canti, si era legato ad un’influente casata di Massa Marittima a Lorenzo il Magnifico, nel- Firenze, imparentata anche con i Medici19, la quale l’alto prelato, accennando ad alcune che forse intercedette in suo favore. Del resto, urgenti necessità della pieve di Bolgheri, sot- dopo il «fattaccio», Gherardo risiedette libe- tolinea l’amicizia che lega Lorenzo stesso ai ramente ed a lungo a Firenze stessa, dove Gherardesca e lo prega d’intervenire presso morì nel 1495 e fu sepolto nella chiesa di S. questi ultimi affinché... sciolgano i cordoni Felice in Piazza20. della loro borsa e sopperiscano alla lamentate necessità21. L’altro documento è del 1486 22 e ci fornisce una conferma della buona intesa Il canto del cigno di Pisa e la distruzione fra i Medici e i Gherardesca, riportando un del castello di Bolgheri «lodo arbitrale» pronunciato, sempre da Lo- renzo il Magnifico, per ristabilire la pace fra L’anno che precedette la morte del conte alcuni membri della famiglia comitale in lite Gherardo, e cioè il 1494, era disceso in Italia fra di loro. il re Carlo VIII e Pisa ne aveva approfittato Non bisogna però ora dimenticare che pro- per rivendicare la propria indipendenza da prio in quel medesimo anno 1494, in cui Pisa Firenze, riuscendo a conseguirla con l’aiuto riconquistò la propria libertà per merito di del monarca francese ed a conservarla poi per Carlo VIII, Pietro il Gottoso, figlio dell’ormai i successivi quindici anni, fino al 1509. Sarà il defunto Lorenzo, e tutta la famiglia Medici canto del cigno dell’antica Repubblica mari- furono cacciati da Firenze con la prospettiva nara, prima del suo definitivo riassorbimento di non potervi più rimetter piede. Per i Ghe- nella Signoria fiorentina. rardesca potrebbe quindi essersi prospettato Non mi è stato possibile rintracciare alcun il pericolo di risultare a loro volta mal visti documento che mi abbia consentito di farmi dalla restaurata Repubblica Fiorentina pro- un’idea ragionevolmente fondata su quello prio a causa della loro manifesta amicizia con che fu l’atteggiamento dei Gherardesca in gli appena defenestrati signori, e da ciò, forse, quel particolare frangente. Sta però di fatto la tentazione di riappoggiarsi a Pisa come ai che l’unico componente della casata che, nel vecchi bei tempi. Ritengo però di dover scar-

18 I beni di Fazio furono reintegrati ai Gherardesca con sentenza del 1469 conservata nell’AF. Ciò è significativo circa l’inscindibilità del patrimonio parentale sia secondo l’osservanza della legge longobarda che in base alle clausole delle Capi- tolazioni in Accomandigia del 1405 con Firenze. 19 Lorenzo, fratello di Cosimo il Vecchio de’ Medici, aveva sposato Ginevra Cavalcanti. 20 Il sepolcro di Gherardo non risulta oggi reperibile. 21 ASF, Arch. Medici, carte anteriori al Principato, f. 27. 22 AF, f. 3, n. 6 e f. 153, a. 1486. Una grande casata guerriera del Medio Evo 127 tare tale ipotesi, poiché ben poche attrattive lotta si prospettò dunque impari, anche se in doveva ormai esercitare sulla famiglia comita- una prima fase gli assediati parvero in grado le questa città che un cronista dell’epoca de- di sostenere l’urto dell’assai più agguerrito av- scrive come «ridotta in povertà grandissima e versario. Proprio nel momento cruciale della molto vota di abitanti e di esercizi». battaglia, il conte Arrigo venne però ucciso, È piuttosto assai probabile che questa volta mentre stava eroicamente battendosi al fianco i Gherardesca (salvo il precitato Andrea) si dei suoi uomini, che egli incitava a gran voce. siano mantenuti fedeli a Firenze; e l’attacco Una leggenda popolare narra che la sua portato nel 1496 al loro castello di Bolgheri giovane e bella moglie rivestì allora l’armatura da soldataglie tedesche al soldo dell’impera- dello sposo e, per ingannare il nemico, si tore Massimiliano I d’Asburgo ne potrebbe portò sugli spalti sostituendosi a lui e conti- risultare l’implicita riprova. Massimiliano in- nuando a far animo ai difensori del castello fatti, per i confusi intrighi politici di quella fin a quando anch’essa non rimase trafitta a tormentata epoca storica italiana, era passato morte. Fu questa la fine della battaglia che a sostenere Pisa, malgrado che l’indipendenza Giosuè Carducci canterà in una sua composi- della medesima fosse stata originariamente fa- zione giovanile dal titolo Il conte di Bolgheri. vorita da Carlo VIII, nemico dichiarato del- Il castello conquistato venne prima com- l’imperatore asburgico. Proprio nel 1496 le pletamente saccheggiato, poi dato alle fiam- truppe di quest’ultimo, venute appunto in To- me ed infine raso al suolo dai mercenari di scana per spalleggiare Pisa, avevano posto l’as- Massimiliano I, che sunguinariamente uccise- sedio a Livorno, piazzaforte difesa dai Fioren- ro tutti gli abitanti maschi di Bolgheri al di tini e sostenuta dal mare da Carlo VIII. sopra dei quindici anni d’età23. Della roc- Massimiliano I era giunto in Italia con po- caforte dei Gherardesca non rimasero che fu- che truppe ed ancor meno denari, e di conse- manti macerie; e così, appena quattro anni guenza i suoi mercenari rimanevano spesso e dopo che Cristoforo Colombo aveva raggiun- volentieri senza paga. L’attacco quindi a Bol- to le sue «Indie», scoprendo invece il conti- gheri, più che dettato da un preciso disegno nente americano, e ponendo «storicamente» militare e politico, fu forse dovuto ad un’au- fine al Medio Evo, per i Gherardesca si con- tonoma iniziativa presa da quelle mal remu- cludeva tragicamente quel loro epico ciclo nerate soldatesche, le quali, intente all’assedio medievale che, forse, li aveva visti duchi del di Livorno, sperarono di poter compensare il Friuli, ma certamente signori di Pisa, re in mancato loro soldo con un vantaggioso sac- Sardegna e liberi dominatori nei loro territori cheggio di questo non lontano castello. maremmani. Sta di fatto che Bolgheri venne attaccato e Perdute, per la pace con Firenze del 1405, cinto d’assedio dai germanici, a dispetto an- le roccheforti di Montescudaio e Guardistal- che di un «monitorio» di papa Alessandro VI lo, avuta distrutta attorno al 1448 la loro (Borgia), alleato di Massimiliano, con cui il grande fortezza di Donoratico e forse anche pontefice assicurava la sua protezione al con- la rocca di Casale, ed ora avuto raso al suolo te Arrigo della Gherardesca e al suo castello. l’antico castello di Bolgheri, i Gherardesca, Arrigo, presente al momento dell’attacco, si all’inizio dell’Evo Moderno, si trovarono co- apprestò coraggiosamente a difendersi, chia- me in mezzo ad un periglioso guado, la cui mando a raccolta quanti più armati gli fu pos- sponda di partenza, Pisa, era ormai lontana sibile radunare fra i sudditi della Contea, che ed inaffidabile, mentre quella di arrivo, Firen- non dovevano però essere troppo numerosi ze, appariva ancora quale approdo incerto considerato che Bolgheri, appena tre anni pri- per una stirpe ribelle ad ogni giogo e fiera ma, era stato colpito da una pestilenza. La della sua secolare indipendenza.

23 AF, f. 98, a. 1494 [?].

PARTE SECONDA Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia

CAPITOLO PRIMO

I della Gherardesca diventano fiorentini

Bagno di sangue nei primi decenni dice che derivasse da un ramo dei conti Pan- dell’Evo Moderno nocchieschi di Siena, e i Gherardesca avevano con essa allacciato legami di parentela già a Il Medio Evo si era appena concluso, partire dal XII secolo. A dispetto però di que- quando alcuni avvenimenti delittuosi minac- sti diplomatici contratti matrimoniali, un a- ciarono di troncare definitivamente la pluri- stioso antagonismo non cessò mai di guastare centenaria storia dei Gherardesca. Proprio i rapporti fra le due casate, fino a sfociare nel nel XV secolo si erano estinti tutti i rami della citato delitto ed a concludersi, nel 1514, con casata, ad eccezione di quello dei conti di un secondo assassinio, allorché Geremia Or- Montescudaio, che sarà l’unico a protrarsi si- landi uccise a pugnalate Fazio della Gherar- no ai giorni nostri e che, da ora in poi, citerò desca, in pieno paese di Castagneto. Per iro- più semplicemente come quello dei «Conti nia della sorte, Fazio si era sposato con Clari- della Gherardesca». A cavallo però del XV e ce, sorella di quel Ranieri che già si era mac- del XVI secolo, anche questo segmento del- chiato le mani del sangue del conte Ugo. l’antica stirpe longobarda rischiò seriamente Questo matrimonio avrebbe dovuto rappre- di essere spazzato via da alcuni violenti fatti sentare un atto di riappacificazione fra le due di sangue. Poco prima e poco dopo l’eroica famiglie e invece ne riacutizzò i contrasti, poi- morte del conte Arrigo nella difesa del castel- ché agli antichi rancori si assommò una nuova lo di Bolgheri, tutti e tre i suoi fratelli venne- ruggine per la truffaldina mancata correspon- ro assassinati l’uno dopo l’altro, e pochi anni sione a Fazio della dote promessagli per la di poi anche un loro cugino subì la medesima sposa. Di tutto quanto sopra ho rinvenuto sorte. traccia nell’archivio Gherardesca, dove è con- La tragica serie ebbe inizio nel 1487, allor- servato pure un «lodo» pronunciato il 31 gen- ché il conte Lorenzo, fratello di Arrigo, fu uc- naio 1507 da Iacopo Appiano d’Aragona, si- ciso in un agguato tesogli nei pressi di Bibbo- gnore di Piombino, per ingiungere proprio a na per motivi rimasti oscuri. Dieci anni dopo Ranieri della Sassetta di versare al cognato fu la volta degli altri due fratelli, Gabriello e questa dote indebitamente trattenuta1. Ugo; il primo pugnalato a Piombino, sembra Tutti questi omicidi pongono in evidenza la per questioni d’interesse, ed il secondo assas- crisi che in quegli anni stava attraversando la sinato al confine fra Bolgheri e Castagneto da casata comitale, tuttora in fase di laborioso a- Ranieri Orlandi della Sassetta. Di quest’ulti- dattamento alla nuova situazione venutasi a mo delitto si conosce per lo meno l’esatto creare per lei dopo la firma del trattato di Ac- movente che affondava le proprie radici in comandigia del 1405. I Gherardesca, finan- un’annosa lite insorta fra gli Orlandi e i Ghe- ziarmente assai indeboliti e privi ormai del rardesca in merito al confinamento dei rispet- supporto delle proprie principali roccheforti, tivi limitrofi domini. perdute a seguito del patto di pace con Firen- L’antica e nobile famiglia degli Orlandi si ze o andate distrutte a causa delle loro ripetu-

1 AF, f. 154, a. 1507. 132 I della Gherardesca Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 133 te ribellioni alla Repubblica Fiorentina, erano rardesca situate nei pressi di Donoratico. divenuti in quell’epoca facile bersaglio per i A questo punto, salta agli occhi il graduale vicini, i quali, con alla testa gli Orlandi, non affievolirsi del tono di queste tre ingiunzioni, volevano mancare l’occasione propizia per dopo quello minacciosamente ultimativo del- tentare di scalzare dai loro privilegi questi di- la prima; non dobbiamo però dimenticare spotici conti e li aggredivano con una ferocia che la posizione dei Medici a Firenze era in pari a quella di una muta di cani che, dopo quegli anni piuttosto traballante. La strategia lunghissimo inseguimento, abbia alfine rag- difensiva dei Gherardesca aveva dunque ri- giunto ed accerchiato un cinghiale ferito. sentito anch’essa di tali incertezze politiche e In quel periodo assai buio per i Gherarde- si era andata indebolendo trasformandosi da sca, l’unico punto di forza, sul quale essi po- un robusto fuoco di sbarramento in una più tessero fare affidamento, era forse rappresen- modesta cortina fumogena, dietro la quale la tato dalla solida intesa raggiunta con i Medici, prosapia comitale cercava di nascondere in con i quali da poco era anche stato stretto un qualche modo la propria temporanea debo- primo legame di parentela per il matrimonio lezza. celebrato nel 1507 fra il conte Neri e Lionar- Torniamo ora all’assassinio del conte Fazio, da, figlia di Bernardo de’ Medici2. Non si può i cui dettagli furono riportati in una lettera disconoscere che i Gherardesca seppero sfrut- del 7 gennaio 1514, conservata fra le carte me- tare al meglio questa carta a loro favore, che dicee, con la quale il conte Neri riferisce sul- tuttavia risultava più o meno efficace a secon- l’accaduto al suo «parente» Lorenzo de’ Me- da delle alterne vicende di potere dei Medici dici, duca d’Urbino4. Con la morte di Fazio a Firenze. L’antica prosapia, oppressa dalle venne a concludersi quel cruento periodo di tante difficoltà prima elencate, iniziò a farsi faide locali, dal quale i Gherardesca uscirono proteggere da una sorta di fuoco di sbarra- alquanto malconci ed a tal punto assottigliati mento rappresentato da una serie di «monito- nel numero, da far persino temere un’estin- ri»3 emanati dalla Chiesa che, a quell’epoca, zione dell’antica stirpe. Per fortuna, due anni era dominata o quantomeno fortemente in- prima della sua tragica fine, al conte Ugo era fluenzata, proprio dai Medici. nato un erede maschio, che era stato battezza- Il primo di tali «monitori» è del 17 feb- to con il nome di Simone. braio 1507, anno medesimo in cui Neri sposò Lionarda de’ Medici, e con esso papa Giulio II (della Rovere) scomunicò il comune e gli a- Il conte Simone 2°, detto «il Conticino» bitanti di Scarlino, in quanto rei di non aver rimborsato alcuni debiti contratti con i Ghe- Mi trovo costretto a cominciare a numerare rardesca. Passarono sette anni e l’8 aprile 1514 quest’ultimo nato come Simone 2°, per di- arrivò un altro «monitorio» emesso dal medi- stinguerlo da suo nonno, ma soprattutto dai ceo papa Leone X per minacciare la scomuni- tanti omonimi o quasi che lo seguiranno nelle ca a chiunque avesse osato trasmutare i termi- generazioni successive. Altrettanto bisognerà ni di confine dei possedimenti del giovanissi- fare con i Gherardesca di nome Ugo (il padre mo conte Simone, del quale avrò modo di di Simone 2° sarà pertanto Ugo 1°), affinché parlare fra breve. Infine, nel 1520, un terzo il lettore possa meglio districarsi nella selva dei «monitorio» del cardinale Giulio de’ Medici, Simoni e degli Ughi che per quasi tre seco- che poi sarà papa Clemente VII, condannò li, alternandosi metodicamente, imbottiranno l’abusiva occupazione di alcune terre dei Ghe- l’albero genealogico della casata.

2 ASF, Protocollo di S. Niccolò di A.F. Berni. Iacopo era del ramo della famiglia Medici trasferitosi a Milano, da cui pro- venne papa Pio IV, primo dei tanti pontefici della grande casata fiorentina. 3 AF, f. 154, aa. 1507, 1514, 1520. 4 ASF, Carte Medici avanti il Principato, f. 116. 134 I della Gherardesca

Riportiamoci ora proprio a quest’albero che chio»), bensì un poco più a monte, in posizio- era in procinto di seccare. Per la verità, oltre a ne strategicamente più appropriata, così co- quello di Simone 2°, soprannominato «il Con- me del resto consigliavano le recenti disavven- ticino», vi erano ancora altri tre segmenti de- ture sofferte ad opera delle soldataglie del- gli originari conti di Montescudaio che riusci- l’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Nella rono a protrarsi per altre due generazioni pri- decisione di procedere sollecitamente ad una ma di estinguersi del tutto. Uno di essi proce- ricostruzione di Bolgheri, dovette anche avere deva dal conte Fazio, ucciso da Geremia Or- un certo peso l’opportunità di rispettare quan- landi; un secondo dal fratello conte Neri, spo- to previsto nell’accordo di Accomandigia con so di Lionarda de’ Medici; ed un terzo da quei Firenze, che imponeva ai Gherardesca di Gherardesca che erano finiti in esilio a Viter- mantenere in buona efficienza le roccheforti bo. Di questi rami della prosapia daremo un lasciate sotto la loro giurisdizione. Tuttavia a cenno più avanti mentre ora proseguiremo a dispetto di tale esigenza, e certamente a causa narrare della vita di Simone 2° che, rimasto dei costi troppo elevati da sopportare, l’edifi- orfano di padre, venne prudenzialmente te- cazione del nuovo Bolgheri procedette a gran nuto per anni lontano dalle malsicure sue ter- rilento e venne spezzettata nel tempo in varie re maremmane ed allevato fra le più protette fasi successive, tanto che il castello, nell’attua- mura domestiche del palazzo fiorentino che i le aspetto in stile neogotico, fu ultimato solo genitori di sua madre, Elisabetta Spinelli, pos- sul finire del Milleottocento [fig. 25]. sedevano nel rione di S. Croce. I Fiorentini Assieme alle mura del suo maniero, cresce- sempre in vena di salaci battute, ribattezzaro- va intanto anche «il Conticino» che, nel 1519, no a tale proposito «il Conticino» come «Con- ormai ventiquattrenne, fece la sua prima com- te degli Spinelli». parsa pubblica accompagnando suo zio, il ca- Di questo Gherardesca ho rintracciato una nonico Leonardo Spinelli, quando questi ven- citazione storica nel 1529. Si tratta di un di- ne incaricato da papa Leone X di andare in ploma di Carlo V, anch’esso del tipo cortina missione pacificatrice in Inghilterra per con- fumogena, con il quale l’imperatore dichiara segnare a re Enrico VIII la pontificia onorifi- di prendere sotto la propria personale prote- cenza della Rosa d’Oro7. A quanto poco sia zione, Simone 2° nonché il suo castello di poi servito questo passo diplomatico del pon- Bolgheri5, o meglio... quanto di esso rimaneva tefice, lo si può dedurre dal successivo com- dato che la ricostruzione dell’edificio, dopo la portamento scismatico del sovrano inglese devastazione del 1496, era, sì, stata avviata che, blandito dal mediceo Leone X che gli at- dalla madre del «Conticino», ma procedeva tribuì persino il titolo di «Fidei Defensor», fu molto a rilento. L’onere per l’avvio di questi poi scomunicato nel 1533 dall’ugualmente primi lavori dovette fra l’altro incidere assai mediceo papa Clemente VII. Rientrato a Fi- pesantemente sulle esauste disponibilità eco- renze dopo questa esperienza all’estero, il nomiche della famiglia e tale ipotesi sembre- conte Simone 2° non lasciò altre sue tracce di rebbe avallata, oltreché dalla richiesta di pre- rilievo fino al 1528, anno nel quale si sposò stiti a banchieri fiorentini, anche da una con- con Marietta, figlia di Tommaso Soderini. sistente cessione di credito fatta nel 1502 pro- A questo punto bisogna ricordare che, sia prio dalla contessa Elisabetta, madre di Simo- nel 1494 che nel 1527, i Soderini avevano a- ne 2°, a Ferdinando d’Este, duca di Ferrara6. vuto una parte preminente nella cacciata dei Il castello, oggetto di tanti sacrifici finan- Medici da Firenze; si potrebbe quindi ipotiz- ziari, non venne riedificato nella sua posizio- zare un certo allineamento del «Conticino» ne originaria (zona detta oggi del «Castelvec- alla viscerale politica antimedicea dei nuovi

5 AF, f. 109, a. 1529, e cartapecora n. 109. 6 AF, f. 154, a. 1502. 7 AF, f. 98, a. 1519. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 135 parenti, considerato che il suo matrimonio rinnegare il ben noto trattato del 1405, come con Marietta era intervenuto poco dopo il se- ritorsione ad una loro ennesima infedeltà, ed condo allontanamento dei Medici stessi. È a questa ossessiva preoccupazione si deve for- però più credibile che siano stati invece i So- se il sollecito allineamento dei conti Iacopo e derini a cercare nel «Conticino» un appoggio Gherardo alla nuova situazione venutasi a in vista di un paventato possibile rientro dei creare nel 1527. principi, ai quali Simone 2° si era sempre Mentre delle vicende guerresche di Iacopo, mantenuto fedele, come starebbe a comprova- che faceva parte del ramo viterbese della ca- re quel diploma da lui ottenuto, nel 1529, dal- sata, non rimangono tracce, molto di più è l’imperatore Carlo V che, all’epoca, era stretto possibile sapere di quelle di Gherardo, figlio alleato del papa e di conseguenza dei Medici. di quel Fazio assassinato anni prima a Casta- Diversamente dal «Conticino» la pensaro- gneto. Gherardo infatti ricoprì incarichi di no invece due suoi consanguinei, i conti Iaco- particolare responsabilità alle dirette dipen- po e Gherardo, i quali si schierarono pronta- denze di Francesco Ferrucci, cioè di quel mer- mente e pubblicamente dalla parte della re- cante e condottiero che rappresentò il braccio staurata Repubblica Fiorentina, ponendosi in armato della Repubblica Fiorentina. Al co- armi al suo servizio. Ho già accennato al tra- mando di una schiera di cavalieri, questo Ghe- vaglio che i Gherardesca dovevano aver sof- rardesca partecipò, proprio con il Ferrucci, al- ferto all’atto del proprio inserimento nel con- la difesa di Empoli, e sempre con lui alla ri- testo fiorentino, nel quale non potevano non conquista di Volterra, città che fu poi incari- sentirsi trattati con una certa diffidenza, se cato di difendere allorquando il Ferrucci do- non altro per le «grane» da essi procurate a vette spostarsi con il grosso delle sue truppe, Firenze sia quando capeggiavano Pisa che in prima verso Pisa e da lì verso le montagne pi- occasione delle loro ribellioni più recenti. I stoiesi, dove a Gavinana fu sconfitto ed ucci- Gherardesca pertanto furono costretti, sul so. Correva l’anno 1530 quando questo valo- principio, a muoversi con circospezione nel roso fiorentino venne vilmente ammazzato da nuovo ambiente, nel quale non potevano mi- Fabrizio Maramaldo; e fu in quel medesimo nimamente ambire a raggiungere quella posi- anno che cadde la Repubblica e i Medici po- zione di preminenza di cui avevano potuto terono trionfalmente tornare al potere in Fi- godere a Pisa. Al contrario, era per loro vitale renze. Da allora, dei conti Iacopo e Gherardo assicurarsi solidi appoggi onde far sì che ri- si persero, per qualche tempo, le tracce; è manessero almeno operanti i patti delle «Ca- molto probabile che, more solito, essi si rifu- pitolazioni in Accomandigia» che, pur assog- giassero nei lontani e sicuri domini marem- gettandoli alla tutela fiorentina, assicuravano mani della casata, nel giustificato timore che i alla casata comitale un buon grado d’indipen- restaurati principi intendessero punirli per il denza signorile nei domini maremmani. loro comportamento infido. Fu proprio nella ricerca di tali sostegni che, Fu certo a quel momento che risultarono come già riferito, i Gherardesca ebbero la fe- loro utili le buone relazioni che «il Contici- lice intuizione di allearsi quanto più stretta- no» aveva sempre mantenute con i Medici, mente possibile con i Medici sin dal loro pri- durante il loro breve esilio; quale fosse il livel- mo emergere sulla ribalta politica di Firenze. lo di considerazione in cui egli era tenuto da Molti fatti già segnalati, ed altri ancora che in Cosimo I, ce lo indicano gli eventi che segui- seguito documenterò, stanno a convalidare rono. Nel 1543 infatti, dopo un salutare pe- questo costante orientamento, di cui fu em- riodo di... purgatorio, il granduca nominò blematico segnale lo sposalizio fra il conte Gherardo capitano delle Lance Spezzate, affi- Neri e Lionarda. Al momento, però, del se- dandogli la difesa del litorale toscano, sogget- condo esilio da Firenze dei Medici, alcuni to a frequenti scorrerie di pirati. Tale incom- Gherardesca ebbero forse qualche titubanza, benza potrebbe apparire oggi ai nostri occhi nel timore che la risorta repubblica potesse come incarico secondario, ma bisogna ricor- 136 I della Gherardesca dare che, ancor nel 1564, i Turchi sbarcarono a Simone 2° fu possibile dar corso, nel 1538, sulle spiagge maremmane ed assalirono Casta- all’acquisto, con i suoi personali denari, di gneto che subì gravi danni e dolorose perdite «una casa signorile di campagna», denomina- fra gli abitanti; nella circostanza i Medici re- ta Mondeggi e situata nel precitato piviere darguirono anzi i Gherardesca per il loro in- dell’Antella12. Mondeggi era stata residenza sufficiente impegno nella sorveglianza del lito- della famiglia de’ Bardi prima, poi di quella rale della Contea8. Anche il conte Iacopo ven- Portinari ed infine dei Guidetti, dai quali ap- ne in qualche modo perdonato, tant’è vero punto la comprò «il Conticino», che subito si che nel 1553 ne troviamo il figlio Fazio «alla preoccupò anche di ampliarne la circostante guardia» del castello di Scarlino, da dove in- tenuta agricola, come in seguito continuaro- trattenne un carteggio con Cosimo I per rela- no anche a fare i suoi successori. Con tale ac- zionarlo sul favorevole andamento della guer- quisto i Gherardesca fecero un primo passo ra e fornirgli ragguagli sulla presa di Buriano9. fondamentale verso un definitivo approdo su Con tale magnanimità, i Medici vollero dimo- quella sponda fiorentina del guado, ricordato strare la propria benevolenza nei confronti del alla conclusione del capitolo precedente, e conte Simone 2°, il quale, da parte sua, quasi a verso una più completa integrazione in quel voler festeggiare il definitivo ritorno al potere contesto piuttosto ostile, nel quale avevano dei suoi grandi alleati e protettori, nel 1534, cominciato a muovere i primi passi quasi due chiese ed ottenne la cittadinanza fiorentina. secoli prima. L’acquisto di una residenza di A dispetto, peraltro, della cittadinanza ac- campagna sembrerebbe tuttavia sottolineare, quisita, non mi risulta che i Gherardesca pos- una volta ancora, quello spirito d’insofferente sedessero, a quel tempo, un palazzo di loro indipendenza che ancora doveva animare i proprietà in città, tant’è vero che, nel 1545, conti maremmani; essi infatti, ad un palazzo «il Conticino» affittò da Filippo Spinelli una cittadino, preferirono una dimora sita al di porzione della stessa casa in cui era stato alle- fuori della cinta muraria, dentro la quale do- vato nella sua infanzia10. In realtà, il primo ac- vevano ancora sentirsi un po’ ostaggi ed og- quisto di beni, nel distretto di Firenze, da getto della sospettosa diffidenza prima accen- parte dei Gherardesca, dovrebbe essere avve- nata. L’onere finanziario che Simone 2° do- nuto nel 1531, allorché, utilizzando la dote di vette accollarsi, sia per la ricostruzione tutto- Marietta Soderini, furono comprati alcuni ra in corso di Bolgheri, che per l’acquisto di terreni nel piviere dell’Antella, che appartene- Mondeggi, lo costrinse probabilmente a ri- vano ai monaci di Montescalari. È evidente correre ad altri prestiti da qualche banchiere che alla famiglia comitale non era ancora con- fiorentino ed a vendere anche parte delle sue cesso di acquisire proprietà dirette in Firenze proprietà in Maremma. Del resto, già nel o nel suo dominio, e questa ipotesi è compro- 142713 e poi ancora nel 143814, si era andato vata dalla supplica avanzata nel 1534, dopo profilando un accentuato interesse di varie quindi aver conseguito la cittadinanza fioren- famiglie fiorentine a farsi rimborsare i prestiti tina, per essere in tal senso autorizzati11. fatti ai Gherardesca, assicurandosi la pro- Solo dopo l’accoglimento di tale supplica, prietà di quote delle loro lontane tenute. In

8 AF, f. 109, a. 1565. Lettera del futuro granduca Ferdinando I, con la quale egli ricorda ai Gherardesca l’obbligo di far buona guardia sul loro litorale, al fine di evitare scorrerie dei pirati turchi, come invece era accaduto in occasione dello sbar- co da questi effettuato nell’anno precedente, con conseguente attacco a Castagneto. 9 AF, f. 440, n. 1´, a. 1553. 10 AF, f. 147, n. 7. 11 AF, f. 2, n. 4. 12 S. MERENDONI, Inventario dell’archivio della fattoria di Mondeggi (1668-1957), C.C.S., Capannori 1991. Mondeggi ri- mase di proprietà dei Gherardesca dal 1538 al 1938 e fu poi venduto alla Soc. An. Agricola Mondeggi. Nel 1942 fu assegna- to ad Arturo Ascoli e, alla di lui morte, gli eredi lo vendettero nel 1952 ai Sig.ri Riva. Passò infine alla Provincia di Firenze, alla quale appartiene ancor oggi. 13 1 AF, f. 58, n. 1 /2, a. 1427. 14 AF, f. 2, n. 2. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 137 quegli anni, per esempio, alcuni pascoli di progressiva fiorentinizzazione dei Gherarde- Donoratico passarono attraverso varie mani. sca. Il conte Ugo 2°, appena ventiduenne, I primi acquirenti di tali terreni furono i Rica- sposò infatti Costanza figlia di Ottaviano de’ soli, poi i banchieri Peruzzi, quindi i Mazzin- Medici, nipote di Lorenzo il Magnifico, cugi- ghi, per terminare infine con Giovanni de’ na germana del granduca Cosimo I18 nonché Medici, figlio di Cosimo il Vecchio, il quale, sorella di quell’Alessandro de’ Medici che per un prestito fatto dal padre ai Gherarde- sarà cardinale di Firenze e poi papa con il no- sca, vantava un credito di 800 scudi. Nel me di Leone XI [tav. 16]. Fu questo un matri- 1464 detti pascoli passarono poi all’Arte del monio indubbiamente assai prestigioso che Cambio15 e nel 1517 da tale corporazione al- ancora una volta ci conferma la stretta intesa l’emergente famiglia dei Serristori, che, da al- esistente in quegli anni fra i Medici e i Ghe- lora, ne conservò il dominio fino alla sua e- rardesca. stinzione, avvenuta nel secolo in corso16. La maggiore delle sorelle del conte Ugo, E- Risulta da ciò evidente che, dai primi del lisabetta, si maritò con il senatore Luigi de’ XV secolo, i Gherardesca avevano dovuto ini- Nerli; la seconda, Maria, con il marchese Ber- ziare a vendere parte dei loro estesissimi pos- nardo Strozzi ed infine l’ultima, battezzata A- sedimenti, onde ricostituirsi quella indispen- lessandra in onore dello zio porporato, si im- sabile liquidità di cui difettavano da quando parentò... con mezza Firenze. Infatti inizial- erano loro venute meno le cospicue rendite mente si unì con Giovanni Corsi, poi, rimasta delle miniere sarde e, per di più, era iniziata la vedova, si risposò con Francesco Martelli e, decadenza economica delle loro terre marem- alla di lui morte, convolò ancora una volta a mane, la cui prevalente produzione di cereali nozze con Domenico Soderini. e legnami, a seguito del declino di Pisa, non Al riguardo di questa Alessandra, esiste un trovava ormai più il proprio originale e tradi- curioso carteggio intercorso fra Cosimo I e U- zionale sbocco di mercato. Già nel 1433, il go 2°, fratello della suddetta19. Cosimo I, che conte Enrico, figlio di Bernabò, aveva addirit- proprio in quegli anni si era risposato con l’a- tura dovuto cedere ad Albertaccio Peruzzi le mante, Camilla Martelli, scrisse al conte Ugo quote di sua proprietà dei castelli di Donora- per sottoporgli un suo progetto circa l’oppor- tico, Segalari e Bolgheri17. tunità che Alessandra, da qualche tempo ve- Chiudiamo ora la parentesi, per tornare a dova di Giovanni Corsi, si rimaritasse con parlare più direttamente del «Conticino» e Francesco Martelli, con il quale da poco il dei quattro suoi figli avuti da Marietta, dei granduca si era imparentato. Con tale propo- quali peraltro fu uno soltanto l’erede maschio sta Cosimo I intendeva rinsaldare i legami in grado di assicurare la continuità della con questi ancor troppo «forestieri» conti schiatta. Manco a dirlo, venne battezzato con maremmani; ed infatti egli così conclude la il nome di Ugo e per noi sarà quindi «Ugo sua lettera: «parendoci che questo parentado 2°». Prima d’inoltrarci nel resoconto della vi- sia utile per l’una parte e l’altra». Poco tempo ta di questo parsonaggio di notevole caratura, dopo fu la volta di Ugo, che inviò al granduca dal quale ebbe inizio la ripresa economica un cartoncino, a stampa nerissima ed alquan- della casata, è necessario accennare breve- to funerea, per comunicargli con parole am- mente ai matrimoni che furono contratti da pollosissime, come era in uso a quei tempi, Ugo e dalle sue tre sorelle, poiché attraverso che il contratto per il matrimonio «consiglia- essi, è possibile farci una più esatta idea della to» era cosa fatta. Nell’archivio Gherardesca

15 AF, f. 59, n. 10. 16 AF, f. 11, n. 1. 17 AF, f. 153, a. 1433. 18 Cosimo I e Costanza de’ Medici erano cugini carnali non già da parte Medici bensì da parte Salviati, da cui proveniva- no le rispettive madri, sorelle fra di loro e figlie di Iacopo Salviati. 19 AF, f. 101, n. 9. 138 I della Gherardesca Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 139 esiste anche la lista di coloro che vennero in- miglie fiorentine giunte sino ai tempi nostri. vitati al ricevimento dato per festeggiare quel- Nessun altro documento, meglio di questo le nozze, e non ho potuto fare a meno di os- elenco, sta a confermare che i Gherardesca, servare che, senza sostanziali variazioni, que- ormai inseriti nel tessuto principale della loro sto elenco potrebbe ancor oggi essere riutiliz- nuova patria, non erano più né «pisani» né zato per un qualsiasi invito mondano, dato «sardi», avevano sì perduta in parte la loro che vi compaiono tutti i medesimi nomi che «signorile indipendenza maremmana», ma e- tuttora portano i discendenti delle grandi fa- rano divenuti infine «fiorentini».

CAPITOLO SECONDO

Sotto l’ala protettrice dei Medici

Ugo 2° della Gherardesca e Costanza A parte questa considerazione, debbo ri- de’ Medici cordare che, fra i Medici e i Gherardesca, vi era già un primo vincolo di parentela e che, Il conte Ugo 2° venne alla luce nel 1530, oltre a tale legame diretto, esistevano tanti im- cioè nel medesimo anno in cui i Medici torna- parentamenti indiretti, per sposalizi contratti rono al potere in Firenze. Tale coincidenza dalle due casate con identiche famiglie fioren- rappresentò quasi un segno premonitore del tine e non fiorentine. Scorrendo i due alberi destino, poiché, sin dalla sua prima gioventù, genealogici, del periodo intercorrente fra i egli fu accolto nella ricostituita corte grandu- primi del Millequattrocento e le prime decadi cale divenendone, gradatamente nel tempo, del Milleseicento, ho infatti scoperto, quasi uno dei personaggi più in vista. A questo pun- per caso, un singolare parallelismo nella poli- to è bene ricordare che ai «signori accoman- tica matrimoniale seguita da entrambe le pro- dati», anche se ammessi a godere della citta- sapie, nel chiaro intento di costituirsi le al- dinanza fiorentina, come era nel caso dei Ghe- leanze più idonee [tav. 17]. Tale parallelismo rardesca, non era concesso tuttavia di ricopri- venne naturalmente a cessare non appena i re cariche pubbliche e ad essi venivano per- Medici, rafforzata la propria leadership, furo- tanto affidati solo incarichi militari, ambasce- no in grado di proiettarsi nell’empireo euro- rie ed importanti funzioni a corte1. Nel caso peo, iniziando ad imparentarsi con le maggio- specifico del conte Ugo, la benevolenza che ri case regnanti dell’epoca. Non posso crede- sempre i Medici gli dimostrarono, trovava le re che questa iniziale assonanza fosse pura- sue radici nei buoni rapporti che suo padre mente fortuita, e d’altro canto il carteggio fra Simone aveva saputo conservare con i princi- Cosimo I e Ugo 2°, riportato nel capitolo pre- pi anche durante la loro caduta in disgrazia; cedente, comprova la stretta intesa che, anche secondo un mio malizioso giudizio, tale com- sotto questo profilo, doveva a quei tempi sus- portamento dei Medici doveva anche essere sistere fra i Medici e i Gherardesca. alimentato da un certo snobismo che ancora Fu in tale cornice che, nel 1552, maturò il poteva serpeggiare nella grande casata di matrimonio fra Ugo e Costanza de’ Medici. mercanti fiorentini, ai quali faceva probabil- Nessuno può sapere con certezza se questa fu mente piacere di essere serviti e riveriti dai di- un’unione scaturita dal sogno d’amore di due scendenti di una schiatta di lignaggio longo- giovani che si erano incontrati nelle sale della bardo così antico e nobile da non averne u- corte medicea, o rappresentò piuttosto, come guali a Firenze. è probabile, il consueto contratto che sanciva Per la casata comitale, invece, la protezione l’alleanza fra due casate, i cui interessi comuni dei granduchi costituiva la più solida garanzia avevano convenienza a rinsaldarsi. Sicura- per un mantenimento del trattato di Acco- mente tali nozze furono sintomatiche dell’in- mandigia, che era il fondamento della loro re- teresse che i principi dovevano allora attribui- lativa indipendenza in Maremma. re al mantenimento di buone colleganze con

1 BARBOLANI DI MONTAUTO, Sopravvivenza di Signorie feudali, cit. 142 I della Gherardesca Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 143 quei turbolenti conti da poco divenuti cittadi- tempo per assolvere ai tanti incarichi di rap- ni fiorentini. Se poi la giovane Costanza ve- presentanza e fiducia che i Medici gli affida- nisse considerata bella o meno, per i gusti del rono lungo tutto l’arco della sua vita. Nel suo tempo, è ancor più problematico stabilir- 1560 fu lui, ad esempio, ad accompagnare a lo, dato che l’unico ritratto di lei, che si con- Ferrara la figlia di Cosimo I, Lucrezia, che an- serva fra i quadri dei Gherardesca, la raffigu- dava sposa al duca Alfonso II d’Este che, con ra in funeree vesti vedovili ed ormai appesan- questo suo primo matrimonio (in seguito ne tita dagli anni [fig. 19]. contrasse altri due), dette avvio al vano tenta- Il bambino che, riccamente abbigliato, ella tivo di scongiurare l’estinzione della sua anti- ha al suo fianco nel dipinto, è il futuro Cosi- ca e gloriosa prosapia, di origine longobarda mo II e la ragione di questa «raffigurazione anch’essa. La scelta per questa «scorta d’ono- congiunta» la scopriremo fra breve. re» cadde probabilmente su Ugo anche per i A giudicare comunque dal gran numero di cordiali rapporti che da tempo dovevano in- pargoli procreati da Ugo e Costanza, si do- tercorrere fra lui e lo stesso duca di Ferrara, vrebbe dedurre che la moglie non dispiacesse almeno a giudicare dal testo di una lettera in- troppo al figlio del «Conticino». Nei primi dirizzatagli da quest’ultimo alcuni anni prima, quindici anni di matrimonio essi riuscirono in- nella quale il duca apostrofa Ugo stesso con fatti a mettere al mondo ben dieci discendenti, un «amico carissimo»2. La missione venne solo due dei quali però furono eredi maschi, condotta a termine con buon esito, tant’è ve- mentre gli altri furono femmine che, come ve- ro che nel 1565 sarà ancora il conte della dremo in seguito, per questa loro abbondan- Gherardesca ad essere prescelto dal futuro za, crearono qualche problema di... colloca- granduca Francesco I per essergli al fianco, mento. quando il principe si fece incontro alla pro- Il maschio primogenito, interrompendo fi- messa sposa, Giovanna d’Asburgo, della qua- nalmente la serie dei Simone, fu battezzato le divenne damigella d’onore, Clarice, cugina Ottaviano in onore del nonno materno; l’ini- di Ugo 2°, che poi fu anche «aia» delle figlie ziativa avrebbe potuto agevolare questa croni- del granduca Ferdinando I. storia se, per disgrazia di Ottaviano e nostra, Quando nel 1574 morì Cosimo I, il Ghe- il piccolo non fosse morto a soli tre anni, la- rardesca figurò nel cerimoniale del corteo fu- sciando ai costernati genitori l’affannosa in- nebre, fra i «dinasti di Stato», e tale prestigio- combenza di metter in cantiere tante e tante sa collocazione indica con chiarezza in quale femmine prima di raggiungere l’obiettivo di grado di considerazione era tenuta la casata un secondo sospirato maschietto. Quando in- comitale dai Medici, ai cui occhi questi conti fine questi si decise a nascere, venne battezza- maremmani apparivano ancora come «liberi to con il nome di Simone Maria, facendo ri- signori alleati con il Granducato». Questo piombare chi scrive e chi legge nelle note dif- non è affatto un abbaglio, perché, nel 1544, ficoltà di orientamento causate dai tanti omo- in una supplica, poi accolta, che Angelo de’ nimi che, in particolare in quei secoli, com- Medici, vescovo di Assisi, indirizzò agli Otto paiono nella genealogia dei Gherardesca. L’ag- di Pratica, massima magistratura fiorentina, si giunta di un «Maria» al nome dell’avo pater- chiedeva al granduca che, in virtù delle ben no, fu una lodevole variante, ma non tale dal- note «Capitolazioni», i Gherardesca fossero lo sconsigliarmi di affibbiare un numero chia- esentati dal pagare qualsivoglia gabella sui ge- rificatore anche al nuovo nato che dunque di- neri che «dalla Contea venivano nel Grandu- verrà Simone Maria 3°. cato»3. Si trattava dunque di due entità terri- Fra così tante nascite e battesimi il conte toriali distinte fra loro, assoggettate a diversi Ugo fu molto impegnato, ma non gli mancò il regimi impositivi, come pure a separate giuri-

2 AF, f. 439, n. 10. 3 AF, f. 109, a. 1544. 144 I della Gherardesca

Santi di Tito (attribuzione), Costanza della Gherardesca de’ Medici, con in braccio il futuro granduca Cosimo II Proprietà Gherardesca [fig. 19] Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 145 sdizioni che ne facevano due Stati pressoché ro prestigioso cardinale; Virginia convolò a indipendenti, anche se collegati da un «vica- nozze con Annibale Orlandini; Settimia con riato perpetuo». Mi scusi il lettore se insito un Antonio Minerbetti5 ed infine Ottavia con A- po’ troppo nel mettere l’accento sulla peculia- lessandro Rinaldi. re situazione vigente nell’enclave dei Gherar- A questo punto la madre Costanza proba- desca, ma ciò, a mio avviso, è fondamentale bilmente emise un bel sospiro di sollievo e, per poi meglio comprendere la vera essenza come suol dirsi, ... tirò i remi in barca. Dal dell’accesa contesa giudiziaria che scoppierà canto suo, Ugo 2° aveva continuato invece sul finire del Millesettecento fra la casata co- imperterrito a curare la propria brillante car- mitale e il granduca di Toscana, che all’epoca riera di gentiluomo di corte; ed infatti, nel non era già più un Medici bensì un Lorena. 1589, sarà ancora lui a guidare la cavalcata Per farmi perdonare questa insistenza, pas- che si fece incontro a Cristina di Lorena, spo- serò ora a trattare il meno ponderoso e più sa di Ferdinando I. Questa però fu l’ultima salottiero argomento della sorte toccata alle sua missione perché, proprio nel giorno che otto figlie del conte Ugo 2° e di Costanza. U- concludeva quel medesimo 1589, il conte U- na di esse, Cammilla, morì da piccola, ed altre go morì improvvisamente quando ancora non due furono avviate alla vita conventuale, con aveva compiuto il cinquantanovesimo anno. conseguente discreto risparmio sulle eventua- La sorte, che gli era sempre stata benigna, li doti matrimoniali. Le altre cinque figlie fu- volle comunque che, prima di chiudere gli oc- rono invece destinate ad allacciare nuove pa- chi, egli potesse assaporare due appaganti rentele con le famiglie fiorentine più in vista, soddisfazioni. La prima gli provenne dall’uni- ma non si pensi tuttavia che il «piazzarle al co suo erede maschio, Simone Maria 3°, che meglio» abbia rappresentato opera di poco sposandosi con Barbara, figlia del conte Sigi- conto. Di tale complesso problema, ho trova- smondo Rossi di Sansecondo, generale della to traccia nell’archivio Gherardesca4, dove è cavalleria toscana, assicurò in breve la conti- conservata una significativa lettera di Cosimo nuità dell’antica stirpe con la nascita di un fi- I in risposta alla cugina Costanza, la quale lo glio, cui, come d’uso, fu apposto il nome del aveva evidentemente sollecitato a darle una nonno, e quindi sarà Ugo 3°. La seconda con- mano nella sofferta incombenza di sistemare solazione gli fu concessa dal granduca Ferdi- le figlie ancora nubili. Il granduca scrive te- nando I, che con proprio rescritto6 volle uffi- stualmente e... tutto d’un fiato: cialmente riconfermare ancora una volta la ci ricordate che non vi facciamo aiuto a maritare una validità di tutte le clausole del famoso trattato delle vostre figlie, il che abbiamo in animo di fare e d’Accomandigia, fra cui quella della giurisdi- lo faremo come ci troviamo meglio in comodo, che zione della casata comitale sui propri sudditi, di presente non troviamo il modo di poterlo fare. nonché il permanere delle sostanziose esen- Tenetelo ricordato che quando potremo lo faremo. zioni fiscali da essa e da questi godute, in Chissà se tale impegno fu mai realmente ri- quanto ricollegabili ai privilegi di cui i Ghe- spettato, ma sta di fatto che, con un po’ di pa- rardesca erano rimasti titolari per i patti sti- zienza, queste cinque Gherardesca si accasa- pulati nel 1405 con la Repubblica Fiorentina. rono tutte quante e neppure tanto male. Ma- La cronistoria della vita del conte Ugo 2° rietta sposò Roberto Pucci; Lucrezia si unì potrebbe anche a questo punto concludersi, se con Marcantonio Ubaldini, della medesima ancora non ci incuriosisse domandarci entro schiatta del tristemente noto arcivescovo Rug- quali mura domestiche egli e la sua numerosis- geri, divenendo madre a sua volta di un futu- sima famiglia avessero alloggiato in Firenze.

4 AF, f. 439, n. 12. 5 M. VANNUCCI, Le grandi famiglie di Firenze, Newton Compton, Roma 1993. Si legge che i Minerbetti discendevano da un ramo cadetto della medesima casata dell’arcivescovo Tommaso Becket, fatto assassinare da re Enrico II d’Inghilterra. Ta- le ramo cadetto (minor Becket), perseguitato in patria, si rifugiò a Firenze dove italianizzò il proprio cognome in Minerbetti. 6 AF, f. 12, n. 6, a. 1589. 146 I della Gherardesca

Sappiamo già che i Gherardesca non avevano sto di altri due grandi poderi. Questa prima potuto far acquisto d’immobili nell’area fioren- proprietà fiorentina dei Gherardesca si am- tina, fino a quando non ebbero conseguito la pliò in seguito, grazie ai benefici di una «com- cittadinanza nel 1534. Abbiamo inoltre appre- menda» che il cardinale Alessandro de’ Medi- so che «il Conticino», padre di Ugo 2°, era sta- ci istituì nel 1567 e che Cosimo I intestò prov- to allevato da bambino nella dimora dei nonni visoriamente a Simone Maria 3°. Nel 1601 il materni, della quale egli prese poi una porzio- granduca Ferdinando I assegnò poi «in per- ne in affitto, pochi mesi prima di morire. È petuo» ai discendenti primogeniti maschi dei dunque probabile che questa fosse ancora la Gherardesca tale «commenda» che, oltre a residenza cittadina dei Gherardesca al mo- comprendere varie case e terreni nei pressi di mento della morte di Ugo 2° e tale rimanesse Mondeggi, includeva alcuni edifici in Firenze fino a quando Costanza non ricevette in dono, e terre e fabbricati nel distretto mugellano di dal fratello cardinale Alessandro, il palazzo in Scarperia, che andarono a costituire il nucleo Borgo Pinti del quale tratterò più avanti. iniziale di una seconda proprietà agricola dei Il fatto poi che, agli inizi del Milleseicento, Gherardesca in territorio fiorentino. vari membri della famiglia abbiano trovato Ma torniamo ora a ciò che seguì dopo la sepoltura all’interno della chiesa fiorentina di morte di Ugo 2°. La contessa Costanza, rima- Ognissanti7 potrebbe far supporre una loro sta vedova e con tutte le figlie alfine sistemate, residenza entro i limiti circoscrizionali di tale non si sentì forse di continuare a vivere da so- parrocchia, mentre due documenti che ho la e si reinserì nel suo originario ambiente di trovati nell’archivio Gherardesca, accennano corte, assumendo l’incarico di «governatrice» alla locazione di alcune case di proprietà dei dei principini (otto in tutto) nati dai grandu- Rinaldi e di Alfonso Giglioli, vescovo di An- chi Ferdinando I e Cristina. Considerando i glona e nunzio apostolico, site in via Silvestri- tanti figli propri allevati da Costanza, era pre- na, «nel popolo di S. Michele Visdomini»8. sumibile che ella fosse allenata per ben assol- Ad ogni modo non mi sembra che in fatto di vere all’incombenza affidatale; ed infatti di- residenza cittadina, la famiglia comitale po- mostrò grande capacità, come ci conferma il tesse ancora minimamente competere con le contenuto di varie lettere trovate nell’archivio grandi casate della nobiltà mercantile fiorenti- della famiglia ed in particolare di una di esse na, ben sistemate nei loro severi palazzoni; mi con cui la granduchessa Cristina la ringrazia domando pertanto come i Gherardesca po- con enfasi per l’indefessa cura da lei dedicata tessero conservare una propria buona imma- all’educazione dei principini9. Altre lettere, in gine a corte senza l’adeguato supporto di una date posteriori, sono a lei indirizzate dai suoi vita di rappresentanza mondana. Il conte Ugo pupilli, dopo che erano ormai usciti dalla sua 2° dovette peraltro soggiornare a lungo nella tutela, e fra di esse ne ho rintracciata una del sua grande villa-palazzo di Mondeggi, che e- futuro Cosimo II (quello rappresentato fra le gli e Costanza ampliarono ed abbellirono no- braccia di Costanza nel ritratto prima men- tevolmente, tanto che, in segno di tale loro ini- zionato), che le scrive nel 1605 per rallegrarsi ziativa, ancor oggi i due stemmi gentilizi Me- della nomina a pontefice del fratello Alessan- dici e Gherardesca fanno bella mostra di sé dro, e conclude ricordando: sulla facciata principale dell’edificio in parola. l’obbligo che tengo in evidenza di aver ella confer- Se Ugo curò con particolare impegno la ri- mato più anni, con infinito amore, diligenza e pru- strutturazione della sua dimora di campagna, denza nella mia educazione. non ne trascurò nemmeno l’annessa tenuta a- gricola che estese ulteriormente con l’acqui- Altre missive, a lei indirizzate, provengono

7 AF, f. 96, n. 9. 8 AF, f. 147, n. 16 e f. 17, a. 1623. 9 AF, f. 439, n. 14. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 147 dalle principesse Eleonora e Caterina, le quali [fig. 20]. Non sappiamo invece chi ne dise- per molto tempo continuarono a mentenersi gnò, assai più tardi, lo splendido parco «ro- in contatto con la loro «governatrice» di un mantico» che ancor oggi è il più vasto in città tempo. dopo quello di Boboli13. Quando Bartolo- Al di là della corrispondenza con i suoi pu- meo si spense nel 1497, lasciò in eredità ai pilli, Costanza ci ha lasciato un epistolario as- suoi figli questo imponente complesso che ri- sai copioso ed interessante. Ho trovato, ad e- mase agli Scala fino al 1585, anno nel quale sempio, una lettera di Maria de’ Medici, regi- lo acquistò il cardinale Alessandro de’ Medi- na di Francia, con la quale ella annunzia alla ci14, che lo abbellì ulteriormente, ricorrendo sua parente che, dopo tanta ansiosa attesa, era all’opera di valenti artisti dell’epoca. alfine rimasta incinta e sperava dunque di po- Dopo che la contessa Costanza lo ebbe ri- ter dare un erede al trono francese10. Altre cevuto in dono dal fratello, questo palazzo, missive sono della duchessa Eleonora Gonza- per quasi tre secoli, costituì la residenza fio- ga, sorella della regina Maria. Con una di esse rentina dei Gherardesca che, nel vastissimo la duchessa annunzia il prossimo matrimonio terreno annesso, trovarono certamente un della propria figlia maggiore Margherita con compenso a quegli ampi e liberi spazi in cui il duca di Bari e principe di Lorena11. Ho in- sempre si erano trovati a loro agio. Simone fine rinvenuto un’altra lettera di Cosimo II, Maria 3° fu dunque il primo ad insediarvisi, e datata 1606 ed indirizzata, questa volta, al vi abitava da quattro anni allorché venne no- conte Simone Maria per esprimergli il pro- minato, dal suo grande protettore e zio appe- prio sincero cordoglio per la dolorosa scom- na asceso al soglio di Pietro, «prefetto e ca- parsa della contessa Costanza. stellano di Castel Sant’Angelo» a Roma15. Ma- lauguratamente quest’ultimo papa Medici morì dopo solo ventisei giorni di pontificato Il palazzo di Borgo Pinti ed altrettanto breve fu pertanto la durata e il conte Simone Maria 3° dell’incarico conferito a Simone Maria che, a quanto risulterebbe da un permesso scritto ri- Visto che sono venuto a parlare di Simone lasciatogli da Ferdinando I16, a Roma fece so- Maria, proseguirò ora ad occuparmi di lui. lo a tempo a fare una fugace apparizione. Re- Egli fu il primo dei Gherardesca che, nel sta il fatto che un pontefice aveva «indiretta- 1601, andò ad abitare nel grande palazzo in mente» sfiorato la casata dei Gherardesca e, Borgo Pinti che, come narrato, il cardinale come da consolidata consuetudine, non aveva Alessandro aveva donato alla sorella Costan- mancato di lasciargliene tangibili benefici, za. Questo bell’edificio, progettato da Giulia- materializzati nel palazzo di Borgo Pinti, nelle no da Sangallo, era stato costruito nel 1472 case in Firenze e nelle terre e nei fabbricati in per iniziativa di Bartolomeo Scala, illustre u- quel di Modeggi e di Scarperia, che certo va- manista e storico, che a lungo fu al servizio di levano assai di più dell’onorifico incarico che Lorenzo il Magnifico. Lo stesso Scala raccon- il conte Simone Maria 3° non ebbe nemmeno ta che egli comprò «una casa per mio abitare il tempo d’espletare. con orto posta nel popolo di S. Piero Mag- Da sua moglie Barbara, questo Gherarde- giore nella via de’ Pinti presso la porta»12 sca ebbe quattro figli: due maschi, Ugo 3° e

10 AF, f. 439, n. 18, a. 1601. 11 AF, f. 109, a. 1606. 12 AF, f. 163, n. 1. 13 AF, f. 171, a. 1776. Nel 1776, il parco investiva ancora solo una parte minore del terreno annesso al palazzo. La resi- dua maggiore porzione era occupata da un podere agricolo. 14 AF, f. 163, n. 3. Al contratto di acquisto del palazzo, il conte Ugo 2° figurò quale procuratore del cardinale Alessandro de’ Medici. 15 AF, f. 154, a. 1605. 16 AF, f. 109, a. 1605. 148 I della Gherardesca

Antica pianta della città di Firenze. Contrassegnata la «casa con orto» acquistata da Bartolomeo Scala Istituto Tedesco di Storia dell’Arte, Firenze [fig. 20] Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 149

Ippolito, e due femmine, delle quali una, An- sposa di Cosimo de’ Medici, che nell’anno gela, nemmeno citata nella genealogia del Lit- successivo succederà al padre Ferdinando I. ta, si fece monaca, e l’altra, Costanza, andò a Nel 1611, Ugo fu nominato «gentiluomo di suo tempo sposa al conte Francesco Mam- camera» del granduca Cosimo II, suo coeta- miani della Rovere, cugino del duca d’Urbi- neo, e da quel momento rimase sempre a cor- no. Simone Maria, per sua fortuna, aveva po- te espletando svariati incarichi. Nel 1619 egli tuto assicurarsi una discendenza senza patire venne fatto cavaliere dell’ordine militare di S. i medesimi affanni dei suoi genitori, poiché i Stefano, di cui divenne gran cancelliere nel due eredi maschi vennero alla luce per primi 1635. Risulta anche che il conte Ugo 3° go- e riuscirono entrambi a superare indenni i desse di grande stima per la sua erudizione, primi critici anni dell’infanzia, cosa di non soprattutto storica, tanto da guadagnarsi poco conto in un’epoca nella quale la morta- l’ammissione alla prestigiosa Accademia Fio- lità infantile registrava un tasso elevatissimo rentina, della quale fu uno dei membri più in- anche fra le famiglie più abbienti. fluenti. Proprio per tali meriti culturali, il Il secondogenito Ippolito viene ricordato, granduca, nel 1641, lo nominò senatore. appena diciottenne, al seguito di Giordano Quale storico, egli precedette il sottoscritto Orsini quando questi, nel 1608, fu inviato nel tentativo di riordinare le vicende della fa- quale suo procuratore dal granduca Cosimo miglia ma non posso onestamente dichiarare, II, a sposare in suo nome l’arciduchessa Mad- da quanto ho potuto leggere della sua ope- dalena d’Asburgo. Dopo tale promettente e- ra17, che la sua fama ne esca irrobustita. Da u- sordio, nulla più ho però rintracciato d’inte- na relazione da lui indirizzata nel 1631 a suo ressante che riguardi questo Gherardesca, il cugino Cosimo della Gherardesca, vescovo di quale, sposatosi ventiquattrenne con Maria Colle Val d’Elsa e come lui appassionato di Salviati, campò con essa appena dodici anni storia familiare, si apprende che Ugo, mo- prima di morire ancor in giovane età. Ippolito mentaneamente ritiratosi a vita privata dopo seppe tuttavia mettere a profitto il suo scam- dieci anni di servizio ininterrotto a corte, ave- polo di vita coniugale, procreando un discre- va in animo di approfittare di questa più tran- to stuolo di sei figli, dai quali non seguì peral- quilla parentesi esistenziale, per avviare un tro alcun altro ramo della prosapia. I suoi due corposo lavoro di ricerca sui Gherardesca, unici maschi non ebbero infatti discendenza che, nel suo ambizioso intento iniziale, imma- per essere l’uno, Simone, morto bambinetto ginava suddiviso in nientemeno che dodici nell’anno medesimo in cui spirò suo padre, e volumi. Di fronte a tale mastodontico proget- l’altro, omonimo del genitore, per aver ab- to il sottoscritto, dopo aver provato una pun- bracciato la carriera ecclesiastica pervenendo, ta di giustificata concorrenziale invidia, do- nel 1657, ad essere nominato canonico del vrebbe ammutolire per l’assai maggior mode- duomo di Firenze. stia del suo lavoro. Il conte Ugo 3° annunzia- va inoltre a Cosimo che tre di tali volumi era- Il conte Ugo 3°, letterato e storico no già pronti e che essi riguardavano la storia della famiglia dei Longobardi in generale, quella del Duca- to di Spoleto [?], ed infine tutte le notizie rac- Il conte Ugo 3°, fratello maggiore d’Ippoli- colte sulla schiatta longobarda dei Remona, to, lasciò invece tracce più marcate del suo dalla quale s’ipotizza possa discendere S. passaggio terreno, nel quale prevalentemente Walfredo e quindi i Gherardesca. svolse la sua attività presso la corte medicea. Quasi all’inizio della relazione inviata da U- Già nel 1608 lo troviamo a far parte del cor- go al vescovo di Colle Val d’Elsa, ho trovato teo che si fece incontro all’arciduchessa Mad- elencata una ricca bibliografia di riferimento dalena d’Asburgo, quando giunse a Firenze che mi aveva lasciato ben sperare sulla vali-

17 AF, f. 296, n. 2. 150 I della Gherardesca dità di questo lavoro e soprattutto mi aveva solo... metà di essa in quanto egli dominava stimolato a tentare un arricchimento del mio, l’Impero d’Occidente, ma non già quello d’O- ma quando sono andato a consultare alcuni riente. In tutto questo racconto la fantasia non dei testi citati non vi ho trovato alcun cenno fa certo difetto, ma, purtroppo per il suo e- che direttamente riguardasse i Gherardesca e stensore, autorevoli studi in materia conferma- quindi, mio malgrado, ho dovuto concludere no che gli stemmi gentilizi risalgono ad epoca che probabilmente il conte Ugo non li aveva assai posteriore a quella carolingia e che essi nemmeno scorsi ma solo menzionati per di- furono probabilmente adottati solo ai tempi mostrare la propria erudizione. Dopo questo delle prime crociate, allorché si rese necessario vacuo «exploit», la mia fiducia nel mio quasi contrassegnare le variegate componenti della omonimo concorrente aveva cominciato a va- «multinazionale» armata cristiana, raccolta cillare, tanto più che egli aveva iniziato subito sotto i bianchi vessilli dalla rossa croce. Non ad ingolfarsi in una confusa ricostruzione cir- che prima d’allora gli eserciti non avessero ca l’origine dello stemma gentilizio dei Ghe- marciato sotto insegne e labari, basti per que- rardesca, che egli intendeva addirittura far ri- sto ricordare le aquile delle legioni romane, salire ad epoca precedente a Carlo Magno. U- ma gli stemmi gentilizi veri e propri, se non e- go 3° racconta infatti che «l’arme» di famiglia sattamente alla prima crociata, apparvero mol- era inizialmente rappresentata da due sempli- to dopo la morte di Carlo Magno. ci bande orizzontali: quella inferiore argentea, Il conte Ugo 3° prende dunque un grosso a ricordare l’antica nobiltà della schiatta, e abbaglio che aggraverà, nel seguito della sua quella superiore rossa, a sottolinearne l’eroi- disquisizione, riferendosi alla Cronaca di Gio- smo guerriero. vanni della Grossa, detto il Corso18, e raccon- Fino a qui ci troveremmo sulla falsariga di tando che il precitato Gherardo fu anche no- quanto racconta il Toscanelli (speriamo non minato da Carlo Magno conte palatino e con- influenzato da Ugo 3°) nella sua opera, edita te di Corsica e che, da quest’ultima isola, egli nel 1937, su I Conti di Donoratico della Ghe- fece ritorno in Toscana, per riprendere pos- rardesca, e, soprattutto, in linea in fatto di aral- sesso degli antichi domini longobardi della dica dei colori. Ugo però prosegue narrando sua stirpe. Forse con l’impostazione di questa che, tuttora regnante Carlo Magno, un fanto- sua fantasiosa teoria, Ugo cercò in qualche matico Gherardo, figlio di S. Walfredo, ne modo di colmare quel vuoto documentale sposò la figlia Berta, recente vedova di Angil- che, dal 754 ai primi del X secolo, costituisce berto, nobile poeta di schiatta franca. un vero e proprio «black out» che tutt’oggi L’erudito conte della Gherardesca inciampa non permette e forse non permetterà mai di a questo punto in una prima grave inesattezza tracciare con ragionevole certezza la genealo- storica, poiché tutti gli annalisti, coevi a Carlo gia dei Gherardesca a monte di quel Ghisolfo, Magno, riportano che egli, gelosissimo delle cui fa cenno lo Schwarzmaier, o meglio di sue tre belle figlie, non acconsentì mai, finché quel Gherardo 1° che, con maggior certezza, visse, che esse si maritassero, anche se sembra rappresenta il progenitore storico riconosciu- che, in effetti, Berta fosse divenuta l’amante di to dalla generalità degli studiosi. Ugo 3° non Angilberto e che da tale relazione fossero per- volle o non seppe probabilmente accettare l’i- sino nati alcuni figli. Ugo poi commette un se- potesi più attendibile, e cioè quella che, du- condo sbaglio quando racconta che, a seguito rante il Regno franco in Italia, i predecessori del matrimonio fra Gherardo e Berta, l’impe- longobardi dei Gherardesca, privati dai vinci- ratore concesse che nello stemma dei Gherar- tori di qualsivoglia qualifica pubblica, si siano desca venisse inquartata l’aquila imperiale, ma anonimizzati, divenendo per tal fatto meno

18 G. Della Grossa, detto il Corso, visse nel XIV secolo e scrisse una Cronaca della Corsica che è considerata testo atten- dibile solo per la parte che attiene alle epoche più prossime a quella in cui visse l’autore. Il manoscritto si trova presso la Bi- blioteca Vaticana, Raccolta Urbinate. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 151 individuabili nei documenti dell’epoca che ri- teva aver raccolto buone referenze sul conto portano i loro nominativi puri e semplici, sen- di questo emergente pittore. za l’aggiunta di alcun titolo che possa facilitar- Nel corso della vita di Ugo, si estinsero tut- ne l’identificazione, come invece avvenne da ti gli altri rami della casata e il «patrimonio quando, nel X secolo, furono fatti comites. parentale» rifluì quindi nelle sue sole mani, D’altra parte io stesso, nei vari regesti con- così come dettava la perdurante osservanza sultati, ho rintracciato alcuni antichi docu- delle norme longobarde in materia. In parti- menti, nei quali sono citati nomi e località ri- colare egli rientrò in possesso delle tenute di conducibili forse all’antica casata longobarda Castagneto e Donoratico che, in precedenza, da cui discendono i Gherardesca, anche se erano state assegnate ai cugini Cosimo (il ve- poi non risulta possibile per nessuno di acqui- scovo) e Cammillo, figli del conte Bernardo e sirne un’assoluta certezza. Senza dunque vo- di Beatrice, sorella di Sforza Appiano d’Ara- ler ulteriormente infierire sulle doti storiche gona, signore di Piombino. di Ugo 3°, mi limiterò quantomeno a conclu- dere che forse, alla sua epoca, egli ebbe una troppo scarsa disponibilità di idonea docu- Cosimo della Gherardesca, vescovo mentazione, trovandosi, di conseguenza, nella di Colle Val d’Elsa e di Fiesole necessità di lavorare un poco di fantasia e, nella più generosa delle ipotesi, di dover ri- Quando Cammillo, nel 1606, morì scapolo, correre a tradizioni orali difficilmente con- le due tenute passarono a suo fratello Cosimo, trollabili. il quale, per quanto impegnato in una brillan- Per quanto se ne sappia, comunque, la mo- te carriera ecclesiastica, non mancò di occu- numentale opera storica programmata dal parsene nei limiti del possibile, anche dopo conte Ugo non vide mai la luce, almeno nella che divenne vescovo della neocostituita dioce- sua interezza, perché il suo autore fu richia- si di Colle Val d’Elsa. In questa cittadina si mato a corte e quindi non ebbe più il tempo conservano ancor oggi segni numerosi del suo di dedicarsi al completamento del proprio vescovato e soprattutto... tanti e tanti stemmi ambizioso progetto. di famiglia disseminati un po’ ovunque. Non s’immagini tuttavia che questo Ghe- Fra le sue varie iniziative, è da ricordare, rardesca, immerso negli studi ed assorbito per prima, quella dei lavori fatti nel duomo dalle tante incombenze cortigiane, sia solo cittadino, in cui ancora si conserva una prege- stato un sognatore ed abbia trascurato di oc- vole opera bronzea di Pietro Tacca, raffigu- cuparsi dei più concreti interessi patrimoniali rante una palma pasquale sulla cui base è ri- di famiglia, per i quali dimostrò invece un di- portato a sbalzo l’arme della casata comitale screto acume amministrativo. A lui, fra l’altro, di Cosimo. Sempre nel duomo egli fece con- va ascritto un notevole ampliamento della te- sacrare una cappella a S. Walfredo, leggenda- nuta agricola in Mugello che, nel 1618, egli e- rio progenitore della schiatta, ma non solo a stese acquistando dai Medici un grande ap- tale santo di famiglia egli mostrò di essere de- pezzamento di terreno il località «Le Mozze- voto, poiché si deve probabilmente a questo te», presso S. Piero a Sieve. Si deve inoltre ad vescovo il suggerimento di realizzare, nel mo- Ugo 3° un pregevole abbellimento del palaz- nastero di S. Lucchese presso Poggibonsi, un zo di Borgo Pinti, dove fece effettuare vari af- dipinto raffigurante il beato Guido della Ghe- freschi da Baldassarre Franceschini, detto il rardesca, sul cui conto, proprio pochi anni Volterrano [fig. 21]. È probabile che, verso prima, erano stati editi alcuni studi19. Nel tale artista, ancora giovanissimo, lo avesse o- 1634, Cosimo lasciò Colle dopo essere stato rientato il cugino Cosimo che, dalla diocesi di nominato vescovo di Fiesole, ma in questa Colle Val d’Elsa non lontana da Volterra, po- nuova sede non ebbe il tempo di dissemina-

19 S. RAZZI, Vita di Santi e di Beati toscani, Giunti, Firenze 1601, parte II. 152 I della Gherardesca re... stemmi, poiché la morte lo colse in quel da loro rispettate per tanti secoli e che venne- medesimo anno. Fu tumulato a Firenze nella ro osservate ancora per altri duecento anni basilica della SS. Annunziata, nel cui interno, circa. Infatti solo alla metà del Milleottocen- i Gherardesca divenuti ormai parrocchiani in to, i Gherardesca si trovarono a doversi ade- quanto residenti in Borgo Pinti, avevano le lo- guare a norme ereditarie «più moderne», con ro sepolture alla sinistra dell’entrata principa- la conseguenza di veder rapidamente uscire le, sotto il pavimento su cui oggi sorge la cap- dai domini di casa ciò che per tanto tempo e- pella dedicata alla Vergine Maria. Tali sepol- rano riusciti a mantenere unito, pur non a- ture furono smantellate nel Millesettecento, vendo mai ricorso all’istituto ereditario del in ottemperanza a nuove disposizioni di legge maggiorascato. che vietavano l’inumazione di morti nelle chiese, e le relativa lapidi andarono disperse. Costanza, sorella di Ugo 3°, si sposa

La vertenza giudiziaria fra Ugo 3° Nel 1614, anno nel quale aveva avuto inizio e Anfrosina Peruzzi la vertenza giudiziaria testé illustrata, la sorella del conte Ugo, Costanza, si sposò con il conte Francesco Mammiani della Rovere, cugino Dopo la morte del conte vescovo Cosimo, del duca d’Urbino. Fu sicuramente un matri- il rifluire di Castagneto e Donoratico verso il monio visto di buon occhio da tutta la fami- ramo principale della casata, non avvenne glia Gherardesca, in quanto collocava Costan- senza contrasti, poiché, contro ogni tradizio- za in una posizione di particolare prestigio ne passata e per la prima volta nella storia presso la corte dei Medici, con i quali, oltre ai della famiglia, una cugina di Ugo 3°, Anfrosi- legami diretti di sangue per parte dell’ava pa- na, figlia del conte Francesco della Gherarde- terna di cui portava il nome, Costanza s’impa- sca nonché vedova di Ugo Peruzzi, tentò di rentò ulteriormente tramite i Della Rovere opporvisi, rivendicando una sua spettanza su- che già vantavano lo sposalizio di un loro fa- gli antichi domini familiari. Di conseguenza, miliare con Claudia, figlia del granduca Fer- fu avviata una vertenza giudiziaria trascinatasi dinando I, e che, pochi anni dopo tale unio- per sei anni (i tempi delle cause nei tribunali ne, rinsaldarono i propri vincoli con la grande erano evidentemente più brevi di quelli odier- casata principesca fiorentina, per il matrimo- ni) e conclusasi con una sentenza particolar- nio del futuro granduca Ferdinando II con mente interessante20. La decisione finale dei Maria Vittoria, figlia del duca d’Urbino. Lea magistrati accolse integralmente la tesi difen- Rossi Nissim fornisce una gustosa e colorita siva degli avvocati del conte Ugo, sancendo descrizione dei preamboli a quest’ultimo e- che, nelle «Capitolazioni in Accomandigia», vento, in un libro dedicato alle Donne di ca- la Repubblica di Firenze aveva inteso asse- sa Medici 21. Ecco, qui di seguito, quanto ella gnare il «vicariato perpetuo», su tutti i pos- racconta: sessi elencati nell’atto, «ai soli maschi della fa- miglia Gherardesca», e che pertanto i domini Il 25 ottobre 1623 un corteo principesco muove- della casata appartenevano «solo ad essi e va da Palazzo Pitti per un solenne battesimo. non già alle femmine della prosapia». Anfro- La contessa Costanza della Gherardesca, moglie sina si vide rigettare le sue pretese, mentre ai di Giovan Francesco Mammiani recava in braccio u- na bimba vestita di un abito bianco e adorna di pre- Gherardesca fu sostanzialmente riconfermata ziosi gioielli e accompagnata da gentiluomini e paggi, la possibilità di continuare ad attenersi a quel- per il corridoio vasariano, giunse in Palazzo Vecchio le leggi longobarde, afferenti all’eredità nel- ove centotrenta dame erano riunite, con i loro son- l’ambito di un nucleo parentale, praticamente tuosi abiti di raso e velluto pieni di sbuffi e di gale.

20 AF, ff. 45, 46, 47. 21 Ed. Arnaud, Firenze 1968, p. 115. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 153

Palazzo della Gherardesca in Borgo Pinti a Firenze (proprietà SMI). Soffitto affrescato da Baldassarre Franceschini detto «Il Vol- terrano» e raffigurante «La Cecità della mente umana illuminata dalla Verità» [fig. 21] 154 I della Gherardesca

Da Palazzo Vecchio una lunga fila di quaranta- Casualmente ho anche scoperto quale fu la due carrozze ad otto e a sei cavalli condusse tutti gli residenza preferita da Costanza nelle Mar- illustri personaggi fino alla Cattedrale e a San Gio- che, poiché, trovandomi alcuni anni orsono a vanni, ove fu celebrato con grande pompa il battesi- trascorrere con mia moglie due giorni a Pesa- mo: era compare, a nome del papa, il cardinale Bor- romeo e tutto si svolse con il fasto e la minuziosa eti- ro, un pomeriggio chiesi al portiere dell’al- chetta propria del secolo. bergo in cui alloggiavamo, che cosa ci consi- La bimba, a cui erano riservati tanti onori, era gliasse di fare per impiegare alcune ore che ci Maria Vittoria della Rovere, aveva quindici mesi ed restavano ancora disponibili, ed egli, forse di era stata regolarmente battezzata all’atto della sua proposito, mi suggerì di visitare il giardino nascita avvenuta a Pesaro il 7 febbraio 1622. della... «Villa della Gherardesca». Non lasciai Il nuovo battesimo che le venne così solenne- trapelare la mia sorpresa nel sentirci menzio- mente impartito in San Giovanni in Firenze, non nare in una regione così distante dal nostro fu, come qualcuno potrebbe pensare, un omaggio speciale al Santo Patrono della città, ma fu un’affer- naturale «habitat» toscano, ma, rientrato a mazione di fiorentinità e soprattutto il suggello di Firenze, volli subito scoprire la ragione per la un patto fra la famiglia Medici e quella Della Rove- quale il cognome Gherardesca era stato attri- re perché la piccola Vittoria si considerasse fin d’al- buito a tale villa. Appresi allora, dalle carte lora la sposa del futuro granduca Ferdinando che d’archivio, che il figlio unigenito di Costanza, contava allora quindici anni e della bimba era cugi- Giulio Cesare, era deceduto a Roma in giova- no carnale. nissima età, così che sua madre aveva da lui Termina a questo punto la narrazione del- riereditato tutto il patrimonio che era stato di la Rossi Nissim e a me non resta che eviden- suo marito. La successione fu contrastata dal- ziare che, nella descritta fastosa cornice, la la Fabbrica di S. Pietro con motivazioni che contessa Costanza fu la persona adatta al po- sarebbe ozioso riportare in queste pagine, e sto adatto, perché nessuna dama più di lei po- la conseguente lite giudiziaria si protrasse a teva vantare titoli validi ad assolvere all’onori- lungo, per poi concludersi, nel 1666, con una fico incarico di recare fra le proprie braccia la sentenza favorevole a Costanza, che però rese battesimanda piccola Vittoria. l’anima a Dio proprio in quel medesimo an- Di Costanza c’è ancora da accennare che, no23. Le proprietà marchigiane del conte con immaginabile gioia del marito, seppe ben Francesco Mammiani erano sostanzialmente presto dargli un erede maschio che fu chia- costituite dal feudo di S. Angelo, da un pa- mato Giulio Cesare, ma che il padre, moren- lazzo ed altri immobili in Pesaro e dalla citata do assai presto, godette per poco tempo. Tale villa, con annesso giardino e peschiera, cono- evento costituì la premessa di vicende succes- sciuta in origine come «Villa la Fonte». Alla sive che anticipo e che riguarderanno diretta- morte di Costanza tutti detti beni, con esclu- mente i Gherardesca. Costanza, rimasta ve- sione del feudo di S. Angelo, furono ereditati dova, dovette preoccuparsi di amministrare dai nipoti Gherardesca della defunta e rima- di persona il cospicuo patrimonio che il ma- sero nel patrimonio familiare fino al 1788; da rito aveva lasciato al figlio ancora minorenne, ciò la nuova e per me inaspettata denomina- e, per farlo, dimorò a lungo a Pesaro, da do- zione della villa. ve non mancò di mantenere stretti rapporti con i Medici. In un voluminoso epistolario da essa lasciato22, ho rinvenuto lettere indi- Il matrimonio di Ugo 3° rizzatele dal granduca Ferdinando II, dalla di e la sua discendenza lui sposa Maria Vittoria e dalla principessa Margherita, sorella di Ferdinando e duchessa Torniamo ora a Firenze e facciamo uno dei di Parma. nostri frequenti passi indietro.

22 AF, f. 85. 23 AF, f. 79, nn. 1, 3. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 155

Veduta interna del palazzo della Gherardesca in Borgo Pinti a Firenze (proprietà SMI). Il salone da ballo [fig. 22] 156 I della Gherardesca

Nel 1626, anche Ugo 3°, che già contava tempi di Cosimo il Vecchio, aveva dato ab- trentott’anni, si decise a dar l’addio al celiba- bondanti frutti, ma ora, al momento della to e sposò Lucrezia, figlia del suo grande ami- morte del conte Ugo 3°, cominciarono a pro- co Pier Francesco Capponi e di Cassandra filarsi le prime avvisaglie di un mutamento de’ Bardi. Data la non più verdissima età, U- della situazione creatasi sin dal primo inseri- go dovette «bruciare le tappe» mettendo su- mento della casata comitale nel contesto fio- bito al mondo una discreta nidiata di cinque rentino. È chiaro che l’interesse familiare con- figli, fra i quali gli eredi maschi furono più sigliava di rimanere ancora, come prima, sot- numerosi che non nelle precedenti generazio- to l’ala protettrice dei principi, ma è altrettan- ni. Delle due uniche femmine, la primogenita, to evidente che questi ultimi, ormai affermati Cassandra, tenne fede al suo poco propiziato- nell’élite europea, si erano liberati da quello rio nome, ricevuto in onore della nonna ma- snobismo provinciale che li aveva inizialmen- terna, e morì quasi subito, mentre la seconda, te avvicinati ai Gherardesca; i Medici infatti battezzata Barbara come la nonna paterna, si consideravano ormai come una consuetudine fece monaca. Rimasero così alla vita «monda- acquisita, e niente più, l’opera prestata a corte na» i tre maschi, Guido, Piero e Simone Ma- da questi conti, tanto che il granduca Cosimo ria (4° per noi), i quali, alla morte del padre, III, nell’emettere una certa lettera di patente, nel 1646, erano tuttora poco più che infanti, concluderà il documento semplicemente rico- poiché il maggiore, Guido, contava quindici noscendo la «fedeltà e lo zelo» con cui i Ghe- anni ed il minore, Simone Maria, soltanto set- rardesca avevano sempre «servito» i suoi pre- te. Lasciamo ora crescere in pace questi pic- decessori 24. coli Gherardesca ed approfittiamone per ri- I Gherardesca, da parte loro, granduca do- flettere sulle vicende della famiglia nel primo po granduca, si erano sempre adoperati affin- secolo e mezzo dell’Evo Moderno. ché venisse periodicamente riconfermata la Da quando questi conti maremmani, la- validità del ben noto trattato di Accomandi- sciandosi alle spalle le ancor fumanti macerie gia, ed erano così riusciti a salvaguardare, nel- di Bolgheri si erano stabilmente insediati a Fi- la loro Contea maremmana, quei privilegi si- renze, le sorti della famiglia avevano senza gnorili che soddisfacevano il loro antico senso dubbio subito, almeno sotto il profilo econo- d’indipendenza e che certamente costituivano mico, una evoluzione positiva. Tale evoluzio- il più apprezzabile compenso per il loro «ser- ne era stata fondamentalmente favorita dalla vizio» ai Medici. protezione offerta dai Medici, e più in parti- È vero che, sin dai primi anni dopo la fir- colare dai due matrimoni con donne di tale ma delle «Capitolazioni», Firenze aveva ten- casata, dalle donazioni generosamente elargi- tato di dar vita, nella Contea medesima, ad au- te da papa Leone XI ed infine dall’eredità tonomie comunali, come nel caso di Donora- marchigiana pervenuta alla casata da Costan- tico nel 1407, di Castagneto nel 1421 e di Bol- za della Gherardesca. All’originario nucleo gheri nel 1530 (e questo ordine cronologico ci patrimoniale della Maremma si erano andate indica anche quale fosse, all’epoca, la rispetti- così aggiungendo la tenuta di Mondeggi, va importanza di queste tre comunità), ma è quella del Mugello, il prestigioso palazzo di anche documentato che la pertinacia dei Borgo Pinti e, in ultimo, i citati beni del pesa- Gherardesca, nel riaffermare l’antico proprio rese. I Gherardesca erano riusciti dunque a dominio su dette popolazioni, aveva vanifica- risalire gradatamente la china del basso livello to il progetto fiorentino e trovato nei Medici economico toccato alla fine del Medio Evo, e un orecchio comprensivo che, fino a quel mo- si erano potuti adeguare al potenziale finan- mento, aveva consentito di salvaguardare i ziario delle più ricche famiglie di Firenze. poteri comitali sulle medesime. Basti pensare La politica filomedicea, adottata già dai che, ancora nel 1639, il conte Ugo 3°, con suo

24 AF, f. 296, n. 4. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 157

Veduta interna del palazzo della Gherardesca in Borgo Pinti a Firenze (proprietà SMI). Galleria lungo il portico [fig. 23] 158 I della Gherardesca personale decreto, elencò le dodici famiglie l’imprenditoria agricola, in ciò incoraggiato castagnetane dalle quali, e solo dalle quali, dal suo stesso educatore e parente che, mo- potevano essere tratte le persone cui affidare rendo nel 1684, lasciò a lui in eredità questi cariche comunali, sempre ben inteso dopo suoi possessi. Prima di allora i due avevano sua preventiva approvazione. Il medesimo viaggiato in lungo e largo per gran parte del- provvedimento fu reiterato nel 1695 dal conte l’Europa e da tali viaggi Simone Maria dovette Giulio Cesare della Gherardesca, anche in trarre molte esperienze in fatto di agricoltura, nome dei fratelli25. che gli tornarono utili allorquando pose ma- Con la morte di Ferdinando II e l’avvento no all’ammodernamento della tenuta di Bol- di Cosimo III, qualche cosa di tutto questo gheri, cui si dedicò con impegno negli ultimi marchingegno iniziò lentamente ad inceppar- venti anni della sua vita. si e non certo in senso favorevole al conserva- Non si può invece dire che le proprietà ma- torismo dei Gherardesca, sempre meno in li- remmane della casata fossero state curate pri- nea con l’evolversi dei tempi. Se il lungo ed i- ma di lui con la medesima sua buona volontà; netto governo di Cosimo, rappresentò l’avvio è probabile infatti che i Gherardesca si siano del definitivo declino dei Medici, fu anche l’i- piuttosto preoccupati di amministrare al me- nizio di quel processo che nell’arco di circa glio le tenute fiorentine, i cui prodotti trova- un secolo concluderà la lunga esperienza si- vano un mercato di vendita più conveniente e gnorile dell’antica casata comitale. vicino che non le loro troppo lontane terre di Maremma. Oltre a ciò i Gherardesca, a svan- taggio dei propri interessi agricoli maremma- Simone Maria 4° e Piero, figli del ni, si erano soprattutto impegnati a conserva- conte Ugo 3° re una strategica collocazione a corte, convin- ti che «il fuoco riscalda chi gli sta vicino». I tre Gherardesca, Guido, Piero e Simone Questo disinteresse aveva finito col ridurre Maria, che avevamo lasciato bambini, erano questi domini in stato deplorevole. Impaluda- nel frattempo divenuti adulti. Da quanto ho te lungo tutta la fascia costiera, con la malaria potuto appurare dalle carte dell’archivio di che imperava per molti mesi dell’anno e con famiglia, loro madre Lucrezia fu donna assai la popolazione ridotta di conseguenza ai mi- pia, che si sforzò d’inculcare nei figli i suoi nimi termini, tali proprietà avevano, per di stessi sentimenti di religiosità, forse nella se- più, risentito pesantemente delle ripetute af- greta speranza di poterne avviare qualcuno fittanze «speculative»26 alle quali le avevano fra le braccia di Santa Romana Chiesa. assoggettate i Gherardesca, onde, con poca Mentre Guido, il primogenito, venne edu- fatica, ricavarne quanto fosse stato loro possi- cato per intraprendere quella vita pubblica bile per finanziare in parte gli investimenti fa- tradizionalmente destinata al capofamiglia, Si- miliari nell’area fiorentina e le opere d’abbel- mone Maria fu affidato alle cure di Ippolito limento eseguite sia alla villa di Mondeggi che della Gherardesca, suo cugino carnale, di soli al palazzo di Borgo Pinti. quattordici anni a lui maggiore, che già era Quando Bolgheri cadde, sulle sue volente- avviato ad una discreta carriera ecclesiastica. rose spalle il conte Simone Maria 4° si trovò La sorte volle però che Ippolito, alla morte ad affrontare un compito tutt’altro che facile. del suo omonimo padre, avvenuta quando lui Il castello, malgrado gli interventi del passato, contava appena un anno di età, avesse eredi- non era ancora certo tornato ad essere quel tato Bolgheri e in quella tenuta di famiglia, superbo maniero che i mercenari tedeschi ave- anziché la vocazione religiosa, il pur piissimo vano raso al suolo nel 1496. Simone Maria do- Simone Maria 4° incontrò la vocazione per vette eseguirvi alcuni fondamentali lavori per

25 AF, f. 13, n. 1, e f. 19, n. 36, a. 1695. 26 AF, f. 32. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 159

Veduta interna del palazzo della Gherardesca in Borgo Pinti a Firenze (proprietà SMI). Interno [fig. 24] 160 I della Gherardesca riattarlo ad un’abitabilità decorosa, ma, prima sportate a Firenze per essere inumate nella SS. d’impegnarsi in tale pur necessaria opera, vol- Annunziata, ma che prima ne venisse estratto le dare un segnale della propria devozione cri- il «muscolo cardiaco», simbolo per gli uomini stiana e, poco distante dal castello, fece co- di ogni affetto, per essere sepolto, proprio lì, struire una cappella che dedicò a S. Antonio nella pieve della sua adorata Bolgheri27. da Padova, protettore degli animali [fig. 25]. Se questo Gherardesca ha lasciato così tan- Fu infatti al bestiame «brado e domo» che te tracce del suo fecondo operare, anche suo questo Gherardesca volse le sue prime cure fratello Piero cercò di non essere da meno de- imprenditoriali, dando l’avvio alla realizzazio- dicandosi alla cura della vicina tenuta di Do- ne delle prime grandi stalle per il ricovero dei noratico. La sua cultura imprenditoriale non bovini e degli ovini. Non trascurò peraltro il era però così affinata come quella di Simone riordino colturale della tenuta, procedendo Maria e pertanto non gli riuscì di dare alle persino all’impianto sperimentale di alcuni vi- proprie terre quel medesimo impulso innova- gneti da cui, come racconta Luciano Bezzini tore che trasformò profondamente la tenuta nella sua opera su Bolgheri, provenne un vino di Bolgheri. Con imprudente baldanza, egli «non dispiacente». Furono così cotruiti una cercò anche di «ricostruire in parte l’antico cantina e nuovi magazzini per la conservazio- castello su cui pesavano due secoli e mezzo di ne dei raccolti, nonché vari alloggi per il per- abbandono»28 e di sistemare ciò che restava sonale addetto ai lavori agricoli e ricoveri per del circostante borgo [fig. 26]. Ce ne fornisce le attrezzature, resesi necessarie per affrontare conferma lo statuto promulgato nel 1661 per coltivazioni mai fatte fino ad allora. la «comunità di Donoratico»29, e, assai più La popolazione della Contea mostrò subito tardi, nel 1816, uno scritto del conte Guido di risentire il benefico effetto di tutte queste i- Alberto della Gherardesca che fa riferimento niziative e i suoi abitanti aumentarono rapida- al «diruto paese» di Donoratico30 del quale mente di numero per l’afflusso di braccianti e oggi non rimane più traccia alcuna. Il conte coloni attratti da nuove prospettive di lavoro. Piero non ebbe comunque successo neppure In mezzo a tanto fervor di opere, il conte Si- con questa iniziativa, che rimase solo fra le mone Maria non mancò di fornire un nuovo sue buone intenzioni. segnale della sua religiosità, facendo edificare un altro oratorio nei pressi della via Regia (og- gi Aurelia), che egli volle fosse dedicato a S. Al primogenito Guido: cariche pubbliche Guido della Gherardesca. Si tratta di quella e onorificenze cappella dall’elegante pianta ottagonale che ancora si può ammirare quasi all’imbocco del Mentre i suoi due fratelli minori si dedica- magnifico viale di cipressi che conduce a Bol- vano, con maggior o minor buon esito, alla cu- gheri e che Giosuè Carducci, in età matura, ra delle loro proprietà maremmane, il capofa- cantò mirabilmente con una lirica stupenda, miglia, conte Guido, si era preoccupato invece che tutti conoscono, e con il cuore colmo di d’impegnarsi soprattutto nella carriera pubbli- struggente nostalgia per la trascorsa gioventù ca, dalla quale anche i suoi predecessori aveva- maremmana. Anche nel cuore di Simone Ma- no tratto decoro e sostegno per la propria ca- ria 4° albergò un altrettanto grande amore per sata. Egli fu tenuto infatti in gran conto da Co- questa sua terra, al punto che, poco prima del- simo III, il quale, tre anni appena dopo esser la morte avvenuta a Bolgheri nel 1704, lasciò divenuto granduca di Toscana, lo nominò se- disposto che le sue spoglie mortali fossero tra- natore; poi, nel medesimo anno 1673, lo fece

27 AF, f. 160, n. 17, a. 1704. 28 L. BEZZINI, Bolgheri. I luoghi, la gente, i misteri, la storia, Tip. Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1990, p. 18. 29 AF, f. 61, n. 2. 30 AF, f. 5, n. 2. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 161 [fig. 25] Proprietà Gherardesca Ricostruzione pittorica del castello di Bolgheri alla fine 1600 162 I della Gherardesca commissario e capitano di Arezzo, incarico ficenze e cariche, Guido fu il primo dei Ghe- che Guido conservò fino al 168031. Del primo rardesca a non espletare funzioni a corte ed a periodo di questo settennale commissariato, tenersi lontano, per i ventidue anni di vita che desidero narrare un episodio di carattere mar- gli rimasero dopo la sua prima nomina a com- ginale, ma pur sempre di un qualche interesse missario di Arezzo, da quel «focarello medi- storico per i Gherardesca. Mentre svolgeva le ceo» al quale i suoi antenati si erano riscaldati sue incombenze ad Arezzo, a Guido venne se- per tanto tempo. gnalato che nelle campagne vicino alla città vi- Per quanto riguarda gli aspetti più privati veva una famiglia assai povera di contadini che dell’esistenza di questo personaggio, si può portava lo stesso suo cognome. Incuriosito, il intanto dire che, quale amministratore del conte della Gherardesca volle visitare quella suo cospicuo patrimonio, il conte Guido non misera gente per meglio conoscerne il passato; lasciò impronte di alcun rilievo; nella condu- ebbe così modo di apprendere che si trattava, zione delle sue tenute agricole, ubicate sia in a loro dire, di discendenti della schiatta comi- territorio fiorentino che in Maremma, egli si tale il cui progenitore, nel corso della breve Si- rimise soprattutto all’operato dei propri agen- gnoria pisana di Castruccio Castracani, era sta- ti, e ciò a causa, probabilmente, del poco tem- to da questi spogliato di ogni suo avere ed esi- po disponibile che gli concedevano i suoi im- liato da Pisa. Il fatto di per se stesso era plausi- pegni commissariali. Unica iniziativa persona- bile, considerato l’ostile antagonismo che, in le da lui presa a Castagneto, della cui tenuta e- quel particolare periodo storico, animava fra ra titolare, fu quella d’istituire le feste annuali di loro i Gherardesca e il Castracani, ritenuto in onore a S. Guido, suo omonimo antenato, dai conti un usurpatore dei loro diritti di Si- di cui si era preoccupato anche a Pisa, otte- gnoria sulla città; comunque di questa vicenda nendo che le sue reliquie, conservate nella pri- non sono riuscito a trovare traccia alcuna né maziale, fossero traslocate nell’altare del pa- negli archivi né nei trattati storici. Guido tutta- trono della città, S. Ranieri. via ne rimase impressionato e volle generosa- Dal punto di vista familiare, il conte Guido mente beneficare tali suoi supposti parenti. fu ovviamente attento ad assicurare la conti- Nel 1680, dopo l’esperienza aretina, Guido nuità della schiatta, compensando in abbon- venne nominato commissario e capitano di danza l’inesistente propensione matrimoniale Pisa e conservò tale incarico per ben quindici dei due fratelli minori. anni, cioè fino alla morte avvenuta nel 1695. Nel periodo in cui si trovò a risiedere a Pisa, egli alloggiò in un palazzo che i Gherardesca Il conte Ugo 4°, anomalo primogenito possedevano ancora in città e che era sito in via di Guido S. Martino, nell’originario quartiere di Chinse- ca. Da un corposo carteggio con i segretari Il suo primogenito fu subito un maschio e, del granduca, e in particolare col Panciati- more solito, venne chiamato Ugo; per noi sarà chi 32, credo di essermi fatto un’idea di quali il quarto della serie. Nato nel 1653, sin dal fossero le incombenze di un commissario momento del suo battesimo, in cui ebbe come (che assimilerei a quelle di un governatore), compare il granduca Ferdinando II e come ma soprattutto dei relativi non disprezzabili comare la granduchessa Maria Vittoria34, egli emolumenti33. Nel 1683, il granduca volle an- parve destinato al consueto trantran della vita cora una volta onorare il conte Guido, nomi- di corte. Ugo 4° fu invece un futuro capofami- nandolo gran connestabile dell’ordine milita- glia anomalo, poiché a ventidue anni optò im- re di S. Stefano. Malgrado tutte queste onori- provvisamente per la carriera militare, andan-

31 Il compenso annuo per tale carica arrivò fino a 5.000 scudi. 32 AF, f. 125. 33 AF, f. 134. 34 AF, f. 105, n. 2. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 163 [fig. 26] Proprietà Gherardesca Ricostruzione pittorica dei resti del castello di Donoratico alla fine 1600 164 I della Gherardesca do a combattere in Germania sotto le insegne re stirpe, cosa specialmente auspicata dall’or- imperiali austriache. L’anomalia consistette nel mai anziano genitore. I due novelli sposi, in- fatto che le carriere militari o ecclesiastiche, e- vece, per vari anni, non sembrarono voler rano, ai suoi tempi, riservate ai soli figli cadetti soddisfare tali legittime attese e così il povero delle famiglie aristocratiche, e ciò per consen- conte Guido morì, nel 1695, senza aver pro- tire al primogenito un regolare proseguimento vato la gioia di veder nascere almeno un nipo- della propria stirpe, ben al coperto dai rischi tino dai suoi cinque figli maschi ancora viven- insiti nella vita di un soldato e salvaguardato ti, dei quali soltanto uno, Tommaso Bonaven- dalla... castità obbligatoria per un religioso. tura, risultava giustificato per il fatto che, in- Scartabellando fra le carte dell’archivio trapresa la carriera ecclesiastica, non poteva Gherardesca, credo però di essere arrivato a certo concorrere al soddisfacimento dei desi- scoprire le vere ragioni della vocazione guer- derata paterni. resca di Ugo, soprattutto scaturita dall’impel- Alla scomparsa del conte Guido, il gran- lente necessità del denaro che gli occorreva duca volle dimostrare l’apprezzamento per per la sua vita di gaudente «caposcarico» e l’opera da lui svolta prima ad Arezzo e poi a che il padre invece gli lesinava. Spesso, scri- Pisa, nominando il figlio Ugo suo successore vendo al genitore dalla Germania, egli infatti nella carica di commissario di quest’ultima si lamentava che la paga da ufficialetto gli era città. Sembrò quasi che la morte del padre e insufficiente e... batteva cassa. Suo padre do- la nomina granducale avessero di colpo vette sfogarsene con il granduca, se è vero co- sbloccato in Ugo 4° qualche freno inibitore, me lo è, che quest’ultimo decise di assegnare poiché, ad iniziare dal 1696 e per i quindici di persona, al giovane spendaccione, una pa- anni che seguirono, egli riuscì a procreare ga mensile di otto scudi per tutto il tempo con la moglie la bellezza di ben undici figli di che egli fosse rimasto a fare il guerriero ed a prevalente sesso maschile. In tardivo omag- combattere in terra straniera35. gio al nonno defunto, il primogenito fu bat- Rientrato alfine in Italia dopo questa av- tezzato Guido Filippo e, nella pomposa ceri- ventura in Germania, Ugo 4° parve voler monia religiosa, il granduca in persona fu il continuare ad alimentare i propri bellicosi compare del piccolo Gherardesca, mentre la spiriti, e divenne capitano di una compagnia comare fu la principessa Violante Beatrice di di corazzieri a cavallo della banda di Borgo Baviera, nuora di Cosimo III, in quanto spo- S. Lorenzo. Nella Toscana di quei tempi, non sa del suo primogenito Ferdinando. Vista la vi era però fortunatamente ombra alcuna di buona strada intrapresa, lasciamo ora Ugo 4° guerra, anche se in una lettera del conte Si- a fare il commissario granducale a Pisa, non- mone Maria 4°36, si accenna ad una spedizio- ché a mettere al mondo figli al ritmo di quasi ne navale (forse contro i pirati turchi) alla uno all’anno, ed andiamo a vedere cosa nel quale Ugo stesso avrebbe partecipato. All’an- contempo facevano i suoi fratelli. cor giovane Gherardesca non rimase pertan- to che far la vita di brillante ufficiale scapolo fino al 1691, anno nel quale, con immagina- Il conte Tommaso Bonaventura, bile sollievo paterno, decise di mettere la te- arcivescovo di Firenze sta a partito, sposandosi con Maria Virginia, della nobile famiglia fiorentina degli Ughi. Di essi, quello di gran lunga più famoso, fu Considerando che Ugo 4°, al momento del il citato Tommaso Bonaventura, che, sospinto matrimonio, aveva già trentott’anni, c’era da fin da giovanissimo da sincera vocazione reli- attendersi un immediato suo impegno per as- giosa, si era fatto sacerdote. Dotato d’intelli- sicurare una discendenza alla sua plurisecola- genza vivacissima, non gli riuscì difficile salire

35 AF, f. 147, n. 31, a. 1677. 36 AF, f. 440, n. 2. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 165 rapidamente gli scalini della gerarchia della patrimonio personale. chiesa fiorentina. Già nel 1679, a soli venticin- Di lui si ricordano inoltre, altri significativi que anni, venne nominato canonico del duo- «impegni finanziari». Si narra infatti che, due mo di Firenze e, poco più tardi, «uditore della volte alla settimana, egli ricevesse in arcivesco- pontificia nunziatura» per la Toscana, eserci- vato, i più miserandi della città e che sempre li tando l’incarico di internunzio apostolico. beneficasse generosamente con denari propri Fu appunto nella succitata veste che egli e non già della diocesi. Si può ben immaginare dette un primo significativo esempio della sua la confusa ressa che si registrava in tali giorni, convinta carità cristiana. Dovendo infatti pro- tanto che, una volta, un cavaliere suo assisten- nunziare una sentenza per la quale una pove- te fece notare all’arcivescovo che l’eccessiva ra donna veniva completamente spogliata di invadenza di quei poveretti, presto non avreb- ogni suo avere e, pertanto, di ogni possibile be nemmeno risparmiato la sua stessa camera sostentamento per lei e la sua famiglia, Tom- da letto. Tommaso Bonaventura rispose allora maso Bonaventura si attenne con scrupolosità allo zelante cavaliere: «Si ricordi che essi ven- alla lettera delle norme e condannò la disgra- gono solo a richiedere ciò che è loro»37. ziata, ma, al tempo stesso, dispose che le fosse L’arcivescovo fu pure personaggio di eleva- corrisposto, dal proprio patrimonio persona- ta cultura e a lui si deve anche la costituzione le, un indennizzo di identica misura a quanto di un organico archivio diocesano. Pubblicò e- le era stato tolto. gli stesso alcuni trattati di argomento religioso Divenuto, con il tempo, decano del Capito- e, per uso della diocesi, volle che fosse adotta- lo, Tommaso Bonaventura venne nominato to il catechismo detto di Montpellier, edito a vicario generale dell’arcivescovo cardinale Mo- Parigi nel 1712 e tradotto in italiano dal fio- rigia, ed infine, nel 1702, papa Clemente XI rentino Costanzo Grasselli sotto il titolo di I- lo elesse a vescovo di Fiesole. Era però desti- struzione generale in forma di catechismo38. Il no che un Gherardesca non riuscisse a star Grasselli aveva dedicato la propria opera al- per molto a capo di quella diocesi, come set- l’arcivescovo e, quando la romana Congrega- tant’anni prima era accaduto al conte Cosi- zione dell’Indice pose il libro al bando, il pri- mo; infatti anche Tommaso Bonaventura la mo a soffrirne profondamente, nell’animo e lasciò appena un anno dopo, ma questa volta, nel fisico, fu proprio Tommaso Bonaventura. fortunatamente, non già per sopravvenuta L’arcivescovo, che già da tempo lamentava di- morte, bensì per impugnare il bastone pasto- sturbi polmonari, ebbe un blocco renale il 5 rale alla guida dell’arcivescovato fiorentino. settembre 1721 ed in poche ore rese l’anima a Egli resse tale diocesi, con grande autorità e Dio, con rimpianto sincero della chiesa e del fermezza, per la durata di diciotto anni e la- popolo tutto di Firenze. Fra le varie cariche sciò ragguardevoli tracce del suo operato. Nel che egli aveva ricoperto in vita, vi furono an- 1712, ad esempio, inaugurò il seminario dio- che quelle di «prelato domestico» di papa Cle- cesano di Firenze in via Cerretani, realizzan- mente XI, di «assistente al soglio pontificio» e do quanto non erano mai riusciti a fare i suoi di «principe del Sacro Romano Impero»39. predecessori. Invero, già nel 1687, il cardinale Morigia aveva posato la prima pietra di que- sto grande edificio, ma l’opera non era andata L’acquisto di una villa con tenuta agricola avanti per sopravvenute difficoltà. Tommaso a Fiesole Bonaventura superò invece ogni ostacolo, non esitando nemmeno a profondere nel pro- Nell’anno medesimo della dipartita di getto alcune migliaia di scudi attinti dal suo Tommaso Bonaventura, si spense anche suo

37 AF, f. 296, n. 1, e f. 160, n. 18. 38 AF, f. 103, n. 17. 39 AF, f. 103, n. 17; f. 296, n. 1. 166 I della Gherardesca fratello Ugo, ma di ciò parleremo dopo aver clave dei Gherardesca e sentiva l’opportunità accennato ad un’iniziativa del conte Giulio di porvi in qualche modo la parola «fine». Cesare, ultimogenito della nidiata messa al Dopo questo suo timido primo passo, il gran- mondo dal conte Guido e Laura Guadagni, duca non ebbe modo di procedere oltre nei sua moglie. Quest’ultimo Gherardesca non suoi intenti, essendo morto nel 1723, cioè as- ebbe discendenza, malgrado che, oltre natu- sai prima di arrivare al termine di scadenza ralmente ad Ugo 4°, fosse stato l’unico a spo- concesso, e pertanto non si può stabilire se sarsi fra i tanti suoi fratelli; egli non lasciò no- fosse sua reale intenzione o meno, di dare, nel tizie di risalto della sua vita, salvo quella di a- 1731, un ulteriore giro di vite all’autonomia ver acquistato nel 1709 una villa (La Torrac- signorile della famiglia comitale. cia o Lo Stipo), ubicata in quel di Fiesole e È un dato invece certo che Gian Gastone, corredata da alcuni poderi che andarono a suo degenere figlio e successore, dimenticò costituire la terza tenuta di famiglia in territo- persino la scadenza in parola e lasciò che, nel- rio fiorentino40. Incidentalmente, anche il fra- le more, i Gherardesca continuassero imper- tello Ugo aveva notevolmente ampliati i pos- territi ad esercitare, nella propria Contea, quei sesi dei Gherardesca in Mugello, con l’acqui- poteri che essi consideravano «perpetui» e sto di altri appezzamenti di terra provenienti che Cosimo III aveva invece riconfermato lo- dalla famiglia Lavoratori41. ro solo per un quindicennio. Soltanto sei anni più tardi, e cioè nel 1737, Gian Gastone de’ Medici, ormai quasi sul letto di morte, reiterò Le prime avvisaglie dell’imminente ai Gherardesca la grazia giurisdizionale per u- perdita di ogni autonomia dei Gherardesca na durata di ulteriori quindici anni43. Quando nella loro Contea maremmana dunque l’ultimo dei Medici rese l’anima a Dio, la casata comitale riuscì, in extremis, a farsi ri- Prima di concludere la rassegna delle più confermare quegli antichi privilegi di cui era salienti figure della numerosa figliolanza del gelosissima, anche se, forse, si rendeva ormai conte Guido, occorre accennare ad un parti- conto della precarietà della situazione, soprat- colare evento che si verificò nel 1716. Proprio tutto ora che le veniva a mancare la protezio- in quell’anno infatti i Gherardesca si trovaro- ne di quei principi ai quali si era affidata per no a dover inoltrare una supplica al granduca due secoli e mezzo. affinché venisse loro «restituita» la giurisdi- Infatti, nella facile previsione di una estin- zione civile, criminale e mista nella loro Con- zione dei Medici, il trattato di Vienna del tea di Maremma42, che da qualche anno era 1735 aveva già assegnato il Granducato di To- stata da essi stessi fatta esercitare dal capitano scana a Francesco di Lorena; l’incognita di u- fiorentino di Campiglia. La grazia richiesta na tale successione «straniera» doveva senza venne concessa ma per una durata di soli dubbio turbare i Gherardesca, quasi quanto quindici anni (dal 1716 al 1731). La nuova lo aveva fatto in passato il loro traghettare dal procedura, in tal modo instauratasi, rappre- contesto di Pisa a quello di Firenze, con il sentò un allarmante segnale di un mutamento conseguente sofferto inserimento della fami- in corso negli automatismi del famoso «vica- glia nella nuova realtà politica. Si può quindi riato perpetuo», con annessi e connessi. Evi- immaginare con quale trepidazione tutta la dentemente anche Cosimo III, pur nella sua casata comitale dovesse attendere l’arrivo in incapacità di governo, avvertiva ormai l’im- Toscana del nuovo granduca. possibilità di protrarre ulteriormente nel tem- Ma chi furono i membri della schiatta a po l’anomalo regime tuttora vigente nell’en- rappresentarla in quell’epoca di transizione?

40 AF, f. 180, nn. 1, 6, 8. 41 AF, f. 186. 42 AF, f. 14, nn. 1, 2, e f. 65, n. 31. 43 AF, f. 14, n. 10. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 167

I figli del conte Ugo 4° volle divenire cavaliere di Malta e frate gero- solimitiano, facendo voto di castità, pur rima- Avevamo lasciato il conte Ugo 4° a... far fi- nendo a vivere allo stato laicale. gli; ripartiamo perciò proprio da lui che, co- In un modo o nell’altro, resta il fatto che al me già detto, fu l’unico fra i tanti fratelli a sal- solo primogenito Guido Filippo, fu deman- vare, e con buon margine di sicurezza, la ca- data l’incombenza di «pensare alla famiglia». sata dall’estinzione. Dopo il menzionato pri- Dopo essersi goduto il celibato fino all’età di mogenito Guido Filippo, seguirono con rit- trentasei anni, egli cominciò infatti a «pensar- mo incalzante altri dieci pargoli (sei maschi e vi» sposando Virginia, figlia del conte senato- quattro femmine), che, salvo uno, superarono re Cammillo Pandolfini, e dando subito inizio tutti indenni gli anni critici della prima infan- ad una schiera di sette figli, con l’ormai con- zia. I Gherardesca, in questa loro ventiquat- sueta prevalenza di eredi maschi. tresima generazione storica, come del resto Il primogenito, con abituale poca fantasia, nelle due precedenti, non soffrirono dunque fu battezzato Ugo e sarà il numero cinque di carenze in fatto di eredi che potessero assi- della sua serie, ma, a Dio piacendo, anche curare una tranquilla continuità della stirpe. l’ultimo, poiché in seguito si trovò il coraggio Potremmo addirittura esclamare «troppa gra- di rispolverare il più compromettente ma an- zia S. Antonio», se non dovessimo però subi- che più storico appellativo di Ugolino, dando to rilevare che, dei sette maschi nati, uno, Fi- con ciò l’avvio ad una nuova sequela di cui il lippo, morì, come già detto, ad appena due sottoscritto si trova a far parte. Del precitato anni d’età; il secondogenito, Carlo, non si spo- Ugo 5° parleremo nel capitolo seguente, poi- sò e visse a lungo a Pisa, noto soltanto per i ché, con l’arrivo a Firenze del granduca Pie- suoi successi nel Gioco del Ponte ma anche tro Leopoldo I, sarà proprio lui e la sua gene- per essere stato «Priorista» del comune citta- razione ad essere coinvolto «nell’effettivo» i- dino negli anni 1733, 1756 e 176544; altri tre nizio operativo del Granducato dei Lorena, fratelli, Gherardo, Bernardo e Bonifazio, si con quanto ne seguì per i Gherardesca. fecero religiosi ed infine l’ultimo, Giuseppe,

44 B. CASINI, Il Priorista e i Libri d’oro del Comune di Pisa, Olschki, Firenze 1986, p. 88.

CAPITOLO TERZO

I Lorena e la controversia sull’autonomia della Contea

Francesco I di Lorena imperiale subentrò il figlio maggiore Giusep- e il suo governo «fantasma» pe, mentre divenne granduca di Toscana il secondogenito Pietro Leopoldo che, all’epo- Spentosi l’ultimo dei granduchi medicei, i ca, contava appena diciott’anni. Fiorentini, con una certa curiosità, attesero Andiamo ora a vedere che cosa era acca- di far la conoscenza con il loro nuovo princi- duto ai Gherardesca nel periodo di tempo pe, il quale, autodefinendosi Francesco I, intercorso fra la morte di Gian Gastone de’ parve quasi voler sottolineare una netta frat- Medici e l’ormai prossimo arrivo a Firenze tura con un passato, durante il quale, con i di Pietro Leopoldo I, che i Fiorentini, a tor- Medici, già si era annoverato un granduca to, ritenevano ancor troppo giovane per as- dello stesso nome e della medesima numera- sumere efficacemente le redini del governo zione progressiva. Appariva lampante che, granducale. Sappiamo che il conte Guido con tale sua prima decisione, il Lorena inten- Filippo aveva impalmato la contessina Virgi- desse simbolicamente prendere le distanze nia Pandolfini e con lei aveva sollecitamente dai suoi predecessori; la cosa non dispiacque impostato un numeroso stuolo di fanciullet- in modo particolare a Firenze, dove i Medici, ti che ebbero il potere di far svanire ogni nonostante i gloriosi trascorsi della loro casa- qualsivoglia apprensione al riguardo di una ta, non erano mai stati troppo amati dai pro- estinzione della schiatta. Già abbiamo fatto pri sudditi. Il nuovo granduca si fece però at- anche la conoscenza del loro primogenito tendere per quasi due anni e quando, nel Ugo 5°, ed ora non resta pertanto che dare 1739, con una fastosa cerimonia, alfine s’in- un rapido sguardo per vedere chi erano e sediò a Palazzo Pitti, vi si trattenne appena che fecero gli altri sei figli di Guido Filippo tre mesi, ripartendone poi, per mai più farvi e Virginia, premettendo che tre di essi (due ritorno. femmine e un maschio) morirono in tenera Francesco di Lorena aveva sposato Maria età. Teresa, unigenita figlia dell’imperatore d’Au- Prima occorre però accennare ad un even- stria; per comprensibili ragioni non intende- to che, nel 1749, ebbe un rimarchevole in- va quindi trovarsi lontano da Vienna quando flusso sul futuro dei Gherardesca. Il 21 aprile si fosse aperta la successione al trono degli A- di quell’anno, il granduca fece promulgare u- sburgo. Fu questo il motivo per cui la Tosca- na legge, poi detta «Legge sui Feudi», con na rimase orfana della presenza fisica del suo cui intese procedere ad un riordino di tale principe, il quale si limitò a governarla da obsoleto istituto medievale, sotto il cui regi- lontano affidandosi, in loco, ad una reggenza me tuttavia ricadeva ancora la maggior parte di sua fiducia. Quando poi, nel 1745, France- delle proprietà fondiarie in Toscana. Non ap- sco I divenne a Vienna il nuovo imperatore, pena la nuova normativa venne pubblicata volle conservare anche il titolo di granduca nel Granducato, due «suppliche» di segno di Toscana e così la precitata reggenza si pro- opposto furono prontamente inoltrate. Una trasse oltre ogni prevedibile limite. Alla sua fu diretta dai Gherardesca a Vienna a Sua morte, avvenuta vent’anni dopo, sul trono Maestà Cesarea affinché si degnasse di di- 170 I della Gherardesca chiarare che la loro Contea restava esclusa ruolo di figlio cadetto e a vent’anni, per ren- dai dettami della nuova legge1; l’altra fu, più dersi economicamente indipendente e per modestamente, indirizzata dai Castagnetani a conquistarsi un po’ di gloria, si arruolò nell’e- Firenze alla Reggenza per la Toscana, per la- sercito imperiale austriaco, andando a guer- mentarsi del «mal governo» dei Gherardesca reggiare in Germania, come prima di lui ave- stessi e per richiedere che la «Legge sui Feu- va fatto suo nonno Ugo 4°. Cammillo militò di» venisse automaticamente estesa anche al- prima a Friburgo e poi a Brünn, in Moravia, la Contea2. dove, come alfiere del reggimento Piccolomi- Ad avallo della propria supplica, la casata ni, nel 1756 combatté con onore contro le comitale sostenne la tesi che il suo dominio su truppe di re Federico di Prussia. Due anni quella parte del litorale toscano, che ancora più tardi fu all’assedio della fortezza di allora era segnato sulle carte geografiche co- Schweinitz in Slesia, ma durante tali combat- me «la Gherardesca», godeva già da prima timenti cadde prigioniero del nemico e dalla della firma dell’arcinoto trattato del 1405 con prigionia fu riscattato solo alcuni anni dopo. la Repubblica Fiorentina, di una propria «giu- Non dovette tuttavia trattarsi di un «soggior- risdizione totalmente indipendente» e che se no obbligato» troppo duro, perché, a quanto la Contea medesima fosse stata inclusa fra i pare, riuscì persino a conoscere il re di Prus- feudi, si sarebbe contravvenuto al preciso ac- sia, tanto che in seguito Cammillo a lui invierà cordo di «vicariato perpetuo» solennemente in omaggio un dipinto raffigurante il conte U- sancito da Firenze proprio nelle clausole delle golino3. Suo fratello maggiore Ugo 5°, che gli «Capitolazioni in Accomandigia». In tutt’al- era molto affezionato, si preoccupò tuttavia tre cose affaccendato, Francesco I non dette per questa prigionia e, per riscattarlo al più riscontro né ai Gherardesca né, indirettamen- presto dalla medesima, non esitò a recarsi a te, ai loro sudditi castagnetani, e le cose rima- Vienna nel 1760, per trattare le condizioni sero come stavano prima, senza che la fami- per un suo rilascio. In tale circostanza, Ugo, glia comitale si curasse di farsi iscrivere nel non ancora trentenne, ma dotato di buon fiu- Libro dei Feudi, istituito a norma della pre- to e di abbastanza cervello, prese lo spunto ciatata legge. Il conte Guido Filippo, sostenu- per riaccostarsi al «fuocherello imperiale e nel to il primo impatto con questa «grana», non contempo granducale», ottenendo di farsi no- ne poté vedere i successivi sviluppi, poiché minare ciambellano di Francesco I. Il suo passò a miglior vita nel 1755, lasciando che, viaggio ebbe pieno successo, poiché, oltre a con la faccenda, se la sbrigassero i suoi figli. conseguire la liberazione del fratello, il conte Veniamo dunque a questi Gherardesca che Ugo rientrò in Italia con l’onorofica nomina vissero negli ultimi anni della reggenza e che in tasca, anche se con meno scudi in borsa, videro arrivare a Firenze il nuovo e secondo dato che aveva dovuto versare il riscatto per granduca Lorena. Cammillo e che anche la nomina a ciambella- no gli era stata fatta... pagare abbastanza lau- tamente4. Cammillo della Gherardesca alle prese Il «riscattato» Cammillo si trattenne invece con il granduca Pietro Leopoldo I per alcuni anni ancora a Vienna, dove conti- nuò a militare nell’esercito austriaco con il Per un rapido esame, partirò da Cammillo, grado di luogotenente, ma nel 1763 dovette secondogenito di Guido Filippo, che, portato congedarsi per far ritorno in Toscana, dove la per vocazione alla carriera militare, assolse al sua presenza era reclamata dal malfermo stato

1 AF, f. 67, n. 1. 2 AF, f. 60, n. 17. 3 AF, f. 296, n. 11, a. 1777. 4 Il conte Ugo versò la somma di 200 scudi al camarlingo imperiale. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 171 di salute del fratello maggiore e dalla conse- «motu proprio» del 1769 che «tutte le leggi guente necessità di affiancarlo nell’ammini- granducali, inclusa quella sui feudi», fossero strazione del cospicuo patrimonio familiare. immediatamente pubblicate nella Contea me- Ormai per il conte Ugo 5° si avvicinava il tra- desima e contemporaneamente venissero a- guardo della breve sua esistenza terrena, ed brogate «tutte quelle emanate dai conti della infatti spirò a Bolgheri, nel 1767, senza lascia- Gherardesca»5. Non è difficile immaginare lo re alcuna discendenza in quanto scapolo e sconcerto che tale «diktat» provocò nei Ghe- scaricando dunque sulle spalle del fratello le rardesca stessi; ma prima d’inoltrarmi nel re- incombenze di capofamiglia. soconto di questa vicenda, parlerò della se- A questo punto, Cammillo, da buon mili- conda mossa fatta da Cammillo. La novella tare, fece i suoi piani ed effettuò due mosse sposa, Teresa, era purtroppo dotata di salute che reputò strategicamente opportune. La cagionevolissima e ciò non poté non avere prima fu quella di accostarsi lui pure al po- un’influenza negativa sulle sorti della discen- tenziale «focherello», facendosi nominare denza bramata dal consorte. Tanto per co- ciambellano del nuovo granduca Pietro Leo- minciare, i primi quattro figli, nati in rapida poldo I; la seconda, altrettanto prudente, fu successione fra il 1768 e il 1773 e tutti di ses- quella di sposarsi al più presto, impalmando so femminile, morirono nel primo anno di vi- nel 1768 Teresa, figlia del marchese senatore ta, ad eccezione di Giulia che sopravviverà, fi- Vincenzo Riccardi, e cercando di assicurarsi no ad andare sposa al conte Ferrante Cappo- quella discendenza, cui non aveva provvedu- ni ma poi morirà a soli ventitré anni. Come se to il conte Ugo 5° e che non poteva essere non bastasse, la contessa Teresa si ammalò procurata dagli altri due fratelli di Cammillo. gravemente nel 1774 e per circa un lustro, con Il primo di essi infatti, Tommaso Bonaventu- immaginabile preoccupazione e disappunto ra, omonimo dell’arcivescovo suo predeces- del marito, dovette soprassedere ad ogni «pia- sore, si era fatto anche lui sacerdote; il secon- no dinastico». do, Neri, detto «il Gobbo», come dà ad in- Non si può quindi asserire che in quei gior- tendere il soprannome, era persona fisicamen- ni il futuro del povero conte Cammillo si pro- te menomata. La strategia di Cammillo riscos- filasse tutto rose e fiori, tanto più che, dal se buon esito sotto l’aspetto dinastico, ma un 1769 al 1775, la controversia con il governo poco meno per quanto riguarda i rapporti con granducale circa l’effettivo stato giurisdizio- il granduca. nale dell’enclave di famiglia, si consumò, per- Pietro Leopoldo infatti, giunto in Toscana venendo ad una inaspettata e sfavorevole so- giovanissimo ed accolto con poco credito, po- luzione. Infatti dopo l’emanazione del citato se invece subito mano, con inaspettata ener- «motu proprio» di Pietro Leopoldo I, i Ghe- gia, ad un riassetto del suo Stato, che l’inetti- rardesca avevano fatto immediata opposizio- tudine degli ultimi Medici e la successiva ne, chiedendo che, come previsto dalle «Ca- trentennale inerzia della reggenza avevano ri- pitolazioni» del 1405, della questione venisse dotto in condizioni alquanto deplorevoli. Fra investita la magistratura della Pratica Segreta. le tante sue iniziative, il principe riprese an- L’istanza venne accolta, ma l’uditore della che in mano la famosa legge paterna sui feudi Pratica, bontà sua, assegnò alla casata comita- e quasi immediatamente rilevò che i Gherar- le un termine di solo otto giorni per produrre desca non erano iscritti nell’annesso libro. Il le ragioni e i documenti che comprovassero granduca non frappose allora tempo in mezzo l’origine allodiale degli antichi domini della e, forse ignorando i secolari precedenti che a- progenie6. Immediata nuova istanza dei Ghe- vallavano la libera, o quasi, Signoria della fa- rardesca affinché fosse loro assegnato un ter- miglia comitale nella Contea, deliberò con mine di tempo più congruo, e conseguente

5 AF, f. 67, n. 4, a. 1769. 6 AF, f. 67, n. 9, a. 1769. 172 I della Gherardesca concessione di un ulteriore rinvio di... due riconferma di quei benedetti patti di Acco- mesi7. Era dunque evidente la fretta del gran- mandigia, con annessi e connessi, che il gran- duca di veder presto risolta la questione che duca voleva assolutamente abrogare, onde eli- sembrava stargli particolarmente a cuore. La minare il fastidioso ed incongruente intoppo vertenza, da quel momento, di rinnovo in rin- che il regime in vigore nella Contea Gherar- novo, si trascinò invece per oltre cinque anni, desca rappresentava per la moderna riorga- con un batti e ribatti di comparse e contro- nizzazione dello Stato programmata da Pietro comparse che non riuscirono ad avviare la lite Leopoldo. I tempi del resto erano certamente nella direzione voluta da Pietro Leopoldo. maturi per farlo, tanto più che in Francia si I Gherardesca, nel frattempo, per la difesa andavano delineando le prime minacciose av- dei propri interessi, si erano rivolti ai lumi del visaglie di quella grande rivoluzione liberale, professor Migliorotto Maccioni, insigne giuri- che, a breve, avrebbe prima sconvolto quel sta e storico dell’Università di Pisa. Il profes- Paese e poi l’Europa tutta. sore, accettando l’incarico, mise mano con Pietro Leopoldo, che era un governante impegno alla stesura di un’opera documenta- decisionista e capace, non attese allora che la le di vastissime proporzioni, con la quale in- vertenza giungesse ad una conclusione a lui tendeva dimostrare le antichissime e ricono- sgradita, ed il 17 aprile 1775 tagliò corto, or- sciute origini allodiali del territorio della Con- dinando con altro suo «motu proprio» che i tea e quindi la validità dei poteri signorili che, territori della Contea Gherardesca venissero da secoli, i Gherardesca vi esercitavano. Non «d’allora in poi considerati come i rimanenti è questa la sede più appropriata per esamina- del Granducato»9, confermando implicita- re nei dettagli la monumentale tesi difensiva mente, con tale formulazione del rescritto, imbastita dal Maccioni che, nel predisporla, che fino a quel momento l’enclave della fami- ricorse, per la verità, a qualche discutibile ar- glia comitale era stato un’entità, sotto vari a- tificio dovuto più alla sua cultura di avvocato spetti, distinta dal Granducato medesimo. I che non a quella di storico; se il lettore lo de- Gherardesca non possedevano più l’antica vi- sidera, potrà comunque farsi un’idea di come, goria per potersi opporre a tale perentorio or- dopo il 1405, stessero le cose nel precitato en- dine del principe e dovettero pertanto... chia- clave, scorrendo rapidamente l’inserto 3, ri- nare il capo. Il 17 dicembre di quel medesimo portato nell’Appendice al presente lavoro. 1775, il conte Cammillo giurò dunque come Di fronte a questa poderosa Difesa del do- «feudatario» di Bolgheri, Castagneto e Dono- minio dei Conti della Gherardesca sopra la Si- ratico, e come tale ebbe l’investitura grandu- gnoria di Donoratico, Bolgheri, Castagneto ecc., cale10, dopo aver sborsato, per ironia della ecc., il Fisco granducale ribatté con una stri- sorte, una somma di circa 62 scudi per diritti minzita e carente Confutazione delle scritture governativi connessi a tale, da lui poco gradi- fatte a difesa del presunto dominio ecc., ecc.; il to, «onore». Non parliamo poi di quanto si documento dell’avvocatura del granduca ap- trovarono a pagare i Gherardesca per saldare parve subito troppo povero di argomentazio- tutte le spese, inclusa la salatissima parcella ni valide a sostenere la tesi gradita da Pietro del Maccioni, conseguenti alla lunga vertenza Leopoldo di Lorena e la vertenza continuò ad con il Fisco; limitiamoci solo a segnalare la fa- attorcigliarsi in un susseguirsi, apparentemen- stidiosissima serie di obbligazioni minori che te interminabile, di «osservazioni» e «contros- a loro derivarono per essere, contro voglia, servazioni»8; già si andava così profilando una divenuti dei feudatari [fig. 28]. Unica magra

7 AF, f. 67, n. 13, a. 1770. Era evidente che anche il nuovo termine accordato era insufficiente a consentire una seria ri- cerca documentale che per la maggior parte avrebbe dovuto essere effettuata presso archivi diversi da quello di famiglia, sparsi in città come Lucca, Pisa, Siena, Volterra e Massa Marittima. 8 AF, f. 68. 9 AF, f. 67, n. 30, a. 1775. 10 AF, f. 67, n. 32, a. 1775. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 173

Il conte Cammillo della Gherardesca con la seconda moglie Proprietà Gherardesca [fig. 27] 174 I della Gherardesca consolazione fu quella di rivedersi assegnare Anche se scarsamente portato alla condu- la giurisdizione nella Contea per le cause civi- zione agricola delle proprie tenute (pur es- li, criminali e miste, con facoltà di accedere sendo stato accolto nel 1771 a far parte della anche a quelle che potevano concludersi con prestigiosa Accademia dei Georgofili) , Cam- la pena di morte. millo intuì la fondamentale importanza di dar Le tante suppliche inoltrate dai Castagne- avvio a programmi di bonifica idraulica delle tani al granduca fino almeno al 179911, stanno terre maremmane. In tale opera usufruì del a dimostrare che quest’unico privilegio con- prezioso aiuto del noto scienziato fiorentino, cesso non risultò affatto gradito agli ex suddi- abate Ximenes, che, esperto del problema ti, mentre rappresentò una sia pur modesta per aver eseguito altri lavori analoghi lungo il fonte d’introiti per i Gherardesca, ai quali, litorale toscano, progettò una rete di smalti- come informa una lettera indirizzata nel 1788 mento delle acque palustri, convogliandole dal vicario di Castagneto al conte Cammillo12, nel torrente Bufalareccia, che da allora fu competeva l’incasso delle pene pecuniarie e detto «fossa Cammilla». Molti terreni di pia- delle entrate giurisdizionali. nura vennero così recuperati alla coltivazio- Ma i guai per Cammillo non erano ancora ne, mentre nuove unità poderali furono rea- terminati poiché, come ho accennato, in quei lizzate in collina14 con impianto di vigne ed medesimi anni la moglie si ammalò grave- oliveti; questa parte della Maremma Pisana, mente e, dopo la non brillante serie iniziale, ai primi del Milleottocento, iniziò così quel non fu più in grado di sopportare gravidanze. processo di riscatto colturale che la porterà a Sembrava proprio che la mala sorte si volesse divenire una delle più belle plaghe esistenti in accanire contro la casata comitale, minaccian- Toscana. done ancora una volta l’impoverimento e l’e- Il conte Cammillo era attratto da ogni pro- stinzione. Invece Teresa, nel giro di cinque gresso della scienza moderna, allora ai suoi anni, recuperò abbastanza salute da concepi- primi albori. Fu anche in rapporti con Ales- re e dare alla luce, nel 1780, un erede maschio sandro Volta che volle presentare allo Xime- alquanto gracile ma in grado di sopravvivere, nes15, di cui Cammillo fu sempre grande esti- cosa non di poco conto se si considera che al- matore e sostenitore, tanto che l’astronomo, tri due fratellini nati dopo di lui, Maria Anna morendo, lascerà ai Gherardesca il compito e Vincenzo, morirono entrambi nella primis- di suoi esecutori testamentari16. Anche il gran- sima infanzia. Si possono ben immaginare le duca incoraggiò questi entusiasmi di Cammil- assidue cure che i genitori dedicarono all’uni- lo e, quasi in segno di riconciliazione per la co figlio maschio, cui fu apposto il nome di delusione «feudataria» infertagli, dal 1783 lo Guido Alberto e sul quale, gioco forza, si ricoperse letteralmente di onorificenze e cari- concentrarono tutte le speranze dinastiche che, fra l’altro, ben remunerate. In quell’anno della casata. La nascita di un erede sembrò ri- il conte della Gherardesca fu infatti nominato dare un nuovo scopo alla vita del conte Cam- primo brigadiere delle guardie nobili, mag- millo che, sulle ali di un ritrovato entusiasmo, giore delle truppe reali, balì di Massa Maritti- nel 1781, acquistò la bella villa di Lappeggi, ma del militare ordine di S. Stefano e, in ulti- con l’annessa tenuta medicea che confinava mo, luogotenente dell’opera della SS. Annun- con Mondeggi13. ziata di Firenze17.

11 AF, f. 310, n. 28 bis. 12 AF, f. 310, n. 26, a. 1788. 13 Quasi un secolo dopo, la villa di Appeggi fu rivenduta da Ugolino, nipote del conte Cammillo. 14 L’autore a Castagneto Carducci ha ristrutturato una villa di campagna, ricavandola dal podere di Montepergoli di Sot- to, fatto costruire nel 1790 dal conte Cammillo. 15 Nell’archivio dei della Gherardesca vi è una lettera di Alessandro Volta che ringrazia il conte Cammillo per la presen- tazione fattagli allo Ximenes. 16 AF, f. 310, n. 21, a. 1785. 17 AF, f. 296, n. 13, a. 1783. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 175

Ordinanza granducale riguardante alcuni obblighi dei feudatari toscani (AF) [fig. 28] 176 I della Gherardesca

Sei anni dopo, nel 1789, Cammillo fu an- lica continuità del principato mediceo, volle che gonfaloniere del comune di Pisa18. Anche chiamarsi Ferdinando III. Per quanto riguar- la contessa Teresa aveva riacquistato la gioia da i rapporti con i Gherardesca, il nuovo di vivere, malgrado che, dopo la festeggiatissi- granduca nominò subito come suo «paggio ma nascita dell’erede maschio, le fosse nata e magistrale» il piccolo Guido Alberto, riassog- subito deceduta una figlioletta. Nell’archivio gettò Cammillo alla cerimonia dell’investitura Gherardesca ho rintracciato infatti la notizia feudale e, pochi anni dopo, armò l’ancor mi- che, in una festa per il carnevale del 1784, ella norenne Guido Alberto, cavaliere dell’ordine «cantò da buffo» in un teatro di Pistoia, ri- di S. Stefano. scuotendo un vivo successo e facendo con ciò Mentre a Firenze si registravano questi av- arguire che, a dispetto delle tante disavventu- venimenti secondari riguardanti l’ambito ri- re fisiche e delle ripetute dolorose esperienze stretto dell’antica casata comitale, in Francia materne, doveva conservare uno spirito viva- era scoppiata quella rivoluzione che stravol- cemente allegro. Ma quanto minava Teresa, e- gerà l’assetto politico d’Europa e, con essa, ra sempre in agguato e ricomparve improvvi- anche quello della Toscana. Nel contempo, samente dopo che ella ebbe partorito un’ulti- come spesso avviene in molte famiglie fra pa- ma figlia. Nel 1791, quando contava solo qua- dre e figlio, Ferdinando III cercava di affer- rantasei anni di età, si riammalò, questa volta mare una propria personalità ripudiando la senza speranze, morendo di lì a poco di tu- lungimirante politica adottata da Pietro Leo- more. Al momento del trapasso, degli otto fi- poldo ed abrogando alcune delle fondamen- gli da lei messi al mondo, ne rimanevano in tali riforme economiche da questi volute. I to- vita solamente tre: Giulia, che morirà appena scani non rimasero pertanto ben impressiona- due anni dopo la madre, Guido Alberto ed ti dall’avvio del governo del giovane principe infine l’ultima nata, Maddalena, che più tardi e non si rattristarono più di tanto quando, nel andrà sposa al marchese Giuseppe Corsi e di- 1799, egli dovette precipitosamente abbando- verrà la madre di quel cardinale ed arcivesco- nare il Granducato sotto l’incalzare delle vo di Pisa, che patrocinerà la santificazione di truppe napoleoniche, comandate dal generale Walfredo, leggendario capostipite della schiat- Gaultier. La rivoluzione francese era dunque ta, e la beatificazione della camaldolese Ghe- approdata anche in Toscana e i Gherardesca, rardesca. Prima ancora che Teresa spirasse, le come tutti del resto, si trovarono a confron- era morto di pochi mesi, come già sappiamo, tarsi con il nuovo quadro politico che ne era un secondo erede maschio, Vincenzo, che, scaturito. Pochi anni prima, con la presa della più tranquillamente, avrebbe potuto assicura- Bastiglia a Parigi, si era convenzionalmente re la continuità della schiatta destinata invece conclusa quell’epoca che sarà poi detta Evo ad affidarsi al solo Guido Alberto, la cui salu- Moderno e nel corso di tale ciclo storico la te rappresentò sempre una fonte di costanti casata comitale si era vista declassare la pro- preoccupazioni per il padre. pria Signoria nella più modesta investitura Prima di procedere oltre, occorre ricordare feudale. Ora, all’inizio dell’Evo Contempora- che nel 1790 si era spento a Vienna l’impera- neo, il conte Cammillo fece un ulteriore arre- tore Giuseppe, fratello di Pietro Leopoldo, e tramento passando da «conte della Gherarde- che quest’ultimo era stato chiamato a succe- sca» a semplice... «cittadino della Gherarde- dergli sul trono austriaco. In Toscana, come sca», così come egli stesso fu costretto a quali- granduca, gli subentrò il ventunenne primo- ficarsi in un’istanza rivolta al generale che co- genito Ferdinando che, questa volta, a simbo- mandava le truppe francesi in Maremma.

18 CASINI, op. cit., p. 88. CAPITOLO QUARTO

Sotto il dominio napoleonico in Toscana

Al momento dell’occupazione francese del- venne amico di pittori dell’epoca, come il la Toscana, la famiglia Gherardesca, numeri- Bezzuoli, il Benvenuti, il Pampaloni ed altri camente parlando, era veramente ridotta ai ancora. A venti anni, l’unico rampollo dei minimi termini storici. Nel 1799 ne risultava- Gherardesca, era divenuto un uomo di solida no infatti tuttora viventi, solo quattro membri cultura, di fisico alto, snello e, si dice, di gra- equamente suddivisi in due generazioni. Del- devole aspetto [fig. 29], per quanto egli venis- la prima di esse facevano parte il canonico se ben presto affetto da una precocissima cal- Tommaso Bonaventura1 e l’ormai sessantacin- vizie e canizie. Tutte le strade per un buon quenne conte Cammillo; della seconda i due successo nel mondo sembravano dunque spa- unici figli rimasti a quest’ultimo, Guido Al- lancate di fronte a lui. berto e Maddalena. Cammillo, rimasto vedo- Nel contempo anche suo padre, pur rima- vo della prima moglie, si era risposato in età nendo semplice «cittadino», iniziò a risalire... avanzata, con la giovane Luisa, figlia del nobi- la china, con la nomina, da parte dei francesi, le Iacopo Nerli [fig. 27], ma da tale unione a commissario straordinario imperiale, prima non era provenuta prole alcuna e pertanto o- di Perugia e poi d’Arezzo. Intanto nel 1801, il gni speranza per una prosecuzione nel tempo granduca Ferdinando III fu ufficialmente de- della casata rimaneva solo legata al conte Gui- stituito, e il 12 agosto di quel medesimo anno do Alberto. fu proclamato in Toscana il «Regno di Etru- Questi aveva dovuto però superare, nella ria» di cui fu primo sovrano Lodovico I di fanciullezza, non pochi problemi di salute che Borbone Parma. I due Gherardesca, padre e certo trovavano la loro origine negli acciacchi figlio, trassero immediato beneficio dalla nuo- fisici sofferti dalla madre Teresa prima di con- va situazione instauratasi; infatti, appena un cepirlo. Era comunque riuscito a travalicare mese dopo dall’avvento del nuovo sovrano, l’età critica infantile, grazie alle assidue atten- Cammillo venne da lui promosso capitano co- zioni del padre che, oltre a fortificarne la salu- mandante della Regia Guardia e tenente ge- te, volle coltivarne il vivace ingegno, facendo- nerale delle truppe reali, mentre Guido Al- lo istruire privatamente da valenti insegnanti berto fu nominato ciambellano del re, avvian- dell’epoca, che lo erudirono in tutte le mate- dosi a quella brillante carriera di corte che, rie umanistiche, insegnandoli anche a domi- grazie alla sua adattabilità ai diversi contesti nare perfettamente due idiomi stranieri, il politici in cui si trovò ad operare, lo portò a francese e l’inglese. Guido Alberto mostrò divenire una sorta di Talleyrand toscano in pure una buona disposizione per il disegno e scala, ovviamente, assai ridotta. la pittura, tanto che nel 1800 fu ammesso, in Un anno dopo, Cammillo, divenuto ormai qualità di socio onorario, all’Accademia Fio- colonnello delle Guardie Nobili, dovette ac- rentina delle Belle Arti, dove conobbe e di- compagnare re Lodovico I in un viaggio uffi-

1 Da una lettera indirizzata al conte Cammillo da un suo amministratore, Antonio Fabbri, risulterebbe che nel 1801 il canonico Tommaso Bonaventura venne nominato vescovo di Arezzo ma che egli, per motivi di salute, non accettò l’inca- rico. 178 I della Gherardesca

G. Bezzuoli, Ritratto del conte Guido Alberto della Gherardesca ventenne Proprietà Gherardesca [fig. 29] Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 179 ciale in Spagna della durata prevista di vari in Toscana l’istituto feudale ed i titoli nobilia- mesi; decise allora di dare al figlio Guido Al- ri2. Mentre egli ormai si stava avvicinando alla berto un libero e completo mandato per am- settantina, suo figlio Guido Alberto, buon ministrare, in sua assenza, tutto il notevole amministratore ed appassionato di agricoltu- patrimonio familiare. Il giovane conte aveva ra, si era dedicato con impegno al completa- appena raggiunta la maggior età di ventun an- mento delle bonifiche avviate dal genitore, ni, ma il padre riponeva in lui una totale fidu- trasformando in fertili campi e ricchi pascoli cia per la grande maturità che già dimostrava; nuovi terreni un tempo impaludati e malsani. da allora mai più revocò la procura generale e Ma se intendeva cacciare da quelle sue terre lasciò le redini economiche in mano a Guido l’acqua mefitica, altra buona da bere cercava Alberto. dovunque per l’approvvigionamento idrico Rientrato dalla Spagna, il conte Cammillo, delle colonie di nuovo impianto e per le esi- in riconoscimento del servizio da lui prestato genze del crescente numero di abitanti di Ca- nel viaggio appena concluso, ricevette in do- stagneto e Bolgheri. Durante la sua ultracin- no dalla regina d’Etruria, Maria Luisa, un a- quantennale conduzione imprenditoriale, fu- nello di brillanti; in risposta a questo onore ri- rono scavati pozzi e captate sorgenti per ali- cevuto, il conte della Gherardesca dette un mentare anche diverse fontanelle pubbliche, grande ricevimento per le loro maestà nel fra le quali fece spicco l’artistica fonte di S. giardino del suo palazzo di Borgo Pinti. Il fe- Walfredo (più tardi detta «dell’aquila»), eret- stino riuscì benissimo ma gli costò la bella ta a Bolgheri ed oggi andata rovinata ad ope- somma di 451 scudi che furono ricavati, pro- ra di vandali. babilmente, salassando le casse delle varie te- Nel 1807, la Toscana venne annessa al- nute agricole. A ciò forse si deve il gustoso l’Impero Francese e fu in quel medesimo an- rimprovero garbatamente rivoltogli da Cle- no che chiuse per sempre i suoi occhi il con- mente Moratti, a quell’epoca suo fattore di te Cammillo. Spettò allora a Guido Alberto Castagneto, il quale, all’atto di inviare i denari assumere quegli impegni pubblici che sino a richiesti, così scrisse un po’... sgrammatica- quel momento aveva condiviso con suo pa- mente al suo padrone: dre, e, già nel medesimo 1807, egli fece parte della delegazione che la municipalità fioren- Ho risentito che Ella sia stato dalla Regina rigala- to di un bel anello contornato di brillanti, che era tina inviò a Milano per incontrare l’impera- quello che portava in dito S. M. in ricompenza della tore Napoleone. Due anni dopo, venne no- sua tanta assistenza e incomodi sofferti che non sa- minato ciambellano della granduchessa di ranno stati pochi, ma si come io non ho memoria di Toscana, Elisa Baciocchi [fig. 30], che egli ac- averle a Lei mai veduto anelli indito gli renderà pe- compagnò in Francia in occasione del matri- rora un qualche incomodo che gli parrà di avere monio di suo fratello, imperatore dei france- impastoiate le dita, dunque io crederei che sarebbe si, con Maria Luisa d’Austria. Nella circo- stato meglio un Groppo di zecchini, ma non aven- stanza, Guido Alberto si trattenne a Parigi do potuto avere quelli gliè un bell’onore anche l’a- nello. per cinque mesi e durante tale soggiorno fu nominato, da Napoleone stesso, «conte del- In quel medesimo anno 1803, il conte Cam- l’Impero», titolo trasmissibile per primogeni- millo ebbe riconfermata da re Lodovico la fa- tura maschile3. Nel 1812, venne pure decora- mosa investitura feudale, ritornando con ciò to cavaliere dell’ordine imperiale della Riu- ad essere il «conte della Gherardesca» a di- nione4, e, nel medesimo anno, fu equiparato spetto delle leggi francesi che avevano abolito a cittadino francese ed eletto a far parte della

2 AF, f. 296, n. 21, a. 1803. 3 AF, f. 296, n. 21, a. 1809. Era questa però un onore inflazionato per il fatto che l’imperatore, dal 1806 al 1815, creò 31 duchi, 452 conti e 1500 baroni, ossia più di quanti ne avessero nominati tutti i re di Francia messi assieme. 4 AF, f. 296, n. 21, a. 1812. 180 I della Gherardesca 490), Versaille. Accanto alla granduchessa il suo ciambellano,

× [fig. 30] Pietro Benvenuti. Elisa Baciocchi Bonaparte circondata da artisti a Firenze nel 1813 (olio su tela, cm 332 conte Guido Alberto della Gherardesca Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 181 [fig. 31] Proprietà Gherardesca Diploma a firma di Napoleone con la nomina conte dell’impero Guido Alberto della Gherardesca 182 I della Gherardesca

Assemblea Cantonale per il dipartimento del- so di Vienna, tentavano di ripristinare un pas- l’Arno5. sato privo ormai di ogni radice nell’animo di Il ciclo storico del grande condottiero cor- quei popoli europei che avevano assaporato i so stava tuttavia per esaurirsi e i suoi futuri principi liberali della Rivoluzione francese. vincitori, seduti attorno al tavolo del Congres-

5 AF, f. 296, n. 21, a. 1812. CAPITOLO QUINTO

Dalla restaurazione dei Lorena ai primi anni del Regno d’Italia

Il ritorno dei Lorena a Firenze conte, che volle addirittura che fosse prevista una certa dote a favore delle femmine, quan- In Toscana, nel 1814, si registrarono con- do si fossero maritate. Sensibile ai problemi temporaneamente due avvenimenti di rilievo: dei meno abbienti, fu altresì fra i fondatori l’arrivo all’Elba dello sconfitto Napoleone, re- delle Scuole di Mutuo Insegnamento a Firen- legato in quel piccolo Regno, assegnatogli dai ze, destinate all’istruzione dei ragazzi più po- suoi vincitori quasi per spregio, e il ritorno veri; e, per dimostrare la validità di tale istitu- nella sua reggia fiorentina di Palazzo Pitti di to, dette a suo tempo il buon esempio iscri- Ferdinando III di Lorena. vendovi il proprio figlio primogenito. Il granduca, mostrando di essere alquanto Guido Alberto si avvicinava ormai alla qua- maturato nel corso del quindicennale esilio, rantina quando, nel 1819, decise giudiziosa- assunse inaspettatamente una linea di gover- mente di sposarsi con Ernesta, unica femmina no così moderata e liberale da far sì che, nel del nobil cavaliere Iacopo Finocchietti di Pi- suo granducato, la parola «restaurazione» sa. Con lei il patrimonio Gherardesca si arric- non avesse quel significato punitivo che ebbe chì della... Torre della Fame; il palazzo Gua- invece in altre parti d’Italia. In tale cornice, fu landi, ubicato nella pisana Piazza dei Cavalie- emblematica l’immediata riconferma a ciam- ri [fig. 32], dentro al quale la tradizione vuole bellano del conte Guido Alberto, il quale riu- fosse incorporata la famosa torre-prigione, e- scì in tal modo a passare senza danni, prima ra a quei tempi di proprietà dei Finocchietti dai Lorena ai napoleonici e poi da questi nuo- e, dopo la morte del padre, pervenne in ere- vamente ai Lorena. dità alla contessa Ernesta. Celebrato il matri- Se si considera che egli, all’epoca, aveva so- monio, si trattava ora di assicurare una di- lo trentaquattro anni, non gli si possono di- scendenza alla casata comitale di cui Guido sconoscere eccellenti doti di adattabilità alla Alberto era pericolosamente rimasto l’unico e mutevolezza dei tempi. Mentre questo Ghe- solo rappresentante maschio. La serie dei figli rardesca, a dispetto del succedersi dei princi- iniziò già nel 1820, ma il primo nato fu una pi, conservava la propria inamovibilità a cor- femmina che oltre tutto morì quasi in fasce; te, egli non mancava tuttavia di occuparsi con due anni più tardi venne alla luce una secon- equilibrato impegno delle sue proprietà e dei da creatura, anch’essa del sesso cosiddetto suoi interessi economici in generale, dimo- debole. Sembrava dunque che stesse per ripe- strando nel contempo una saggia disposizione tersi la serie di bambine che aveva angustiato ad affrontare quei problemi sociali che gli e- il conte Cammillo nella generazione prece- venti gli posero di fronte. Nel 1817, ad esem- dente; invece, nel 1823, giunse il sospirato e- pio, dopo che una terribile epidemia di tifo rede maschio che, come ho già accennato, in- falcidiò un gran numero di abitanti della terruppe la sequela degli «Ugo» inaugurando Contea, fondò a Bolgheri un istituto per fan- quella degli «Ugolino». Nel volger di altri due ciulli d’ambo i sessi, rimasti orfani in seguito anni, la famiglia si rafforzò con un secondo al flagello. In quella fondazione, i piccoli ospi- bambino, cui fu apposto il duplice appellati- ti furono mantenuti ed istruiti a spese del vo di Walfredo Fazio, riesumando anche per 184 I della Gherardesca e edificio [fig. 32] Collezione Bertarelli, Milano Il palazzo Gualandi (poi Gherardesca) in piazza dei Cavalieri a Pisa. La Torre della fame si dice sia rimasta incorporata in tal Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 185 lui due dei più storici nomi della prosapia. Gherardesca programmarono la riapertura, Un’ultima femmina, Adelasia, concluse la attraverso i boschi della Contea, di quella che schiera dei cinque figli che Guido Alberto e era stata l’antica via romana detta «Emilia»2, Ernesta misero alla luce nei primi anni della ridotta a quei tempi a poco più di una malan- loro lunga e felice unione. data strada di campagna. Per un più sollecito In quei medesimi tempi, e più esattamente avvio di tale opera, che avrebbe sostanzial- nel 1824, si spense il granduca Ferdinando mente migliorato le comunicazioni fra i vari III, cui subentrò il primogenito Leopoldo II. centri abitati del litorale, mancavano però gli Di carattere mite ma purtroppo anche estre- stanziamenti di bilancio. Il granduca con- mamente indeciso, questi caratterizzò il suo cordò allora con Guido Alberto di ricorrere governo per le grandi opere pubbliche che all’artificio di stornare, a tal fine, alcune som- promosse con notevole progresso economico me originariamente destinate al capitolo di del suo Stato. Il granduca ne migliorò tutta la spesa per la «manutenzione di strade»; ma rete viaria, fece costituire la società che rea- poiché l’importo conseguibile era ancora in- lizzò il primo tronco ferroviario in Toscana1 e, sufficiente, ottenne che il Gherardesca contri- in particolare, avviò quella bonifica dell’agro buisse a sua volta, aprendo le sue «dispense»3 grossetano che è forse rimasta l’iniziativa leo- a favore delle centinaia di operai stagionali poldina più significativa, e per merito della che avrebbero dovuto lavorare alla riapertura quale fu possibile riguadagnare alla produtti- della strada, durante quei mesi dell’anno nei vità un’estesissima plaga di terre palustri. quali era meno rischioso contrarre le febbri Conseguenza immediata di tutte queste ini- malariche che ancora imperversavano nella ziative granducali fu l’indispensabile esigenza zona. Fu questo pertanto un riuscito esempio di rafforzare il sistema finanziario toscano, di proficua collaborazione fra «pubblico e previa costituzione di nuovi istituti bancari, privato» che, in meno di due anni, rese possi- cui affidare la raccolta del denaro occorrente bile riportare a nuova vita un’arteria stradale, per il finanziamento dei vari progetti; e fu co- risultata poi di primaria importanza [fig. 33]. sì che, con sovrano rescritto del 30 marzo Il buon successo dell’impresa cementò ul- 1829, venne istituita la Cassa di Risparmio di teriormente i rapporti personali fra il conte Firenze, della quale Guido Alberto fu uno dei della Gherardesca e il granduca, tanto che soci fondatori. che questi volle che Guido Alberto divenisse Onde controllare personalmente l’anda- suo consigliere di Stato, carica peraltro onori- mento di tutte le opere pubbliche in corso e, fica, e fosse anche nominato maggiordomo in particolare, i lavori di bonifica a Grosseto, della granduchessa vedova Maria Ferdinanda, che considerava il proprio fiore all’occhiello, carica invece questa discretamente remunera- Leopoldo II si spostava frequentemente dalla ta. Non trascorsero altri tre anni da tali even- sua reggia fiorentina. Durante questi trasferi- ti, che Guido Alberto salì l’ultimo e più eleva- menti, varie volte il granduca sostò a Bolghe- to gradino della sua pluriennale carriera ri, dove ebbe modo di apprezzare le conside- nell’ambito delle corti principesche sussegui- revoli migliorie apportate alle sue tenute dal tesi in quegli anni in Toscana. Nominato da conte Guido Alberto, al punto da decorarlo, Leopoldo II suo maggiordomo maggiore4, e- in riconoscimento, cavaliere del Real Ordine gli mantenne tale prestigiosa incombenza, che al Merito. Fu forse in occasione di uno di lo rendeva il gentiluomo di carica più alta a questi incontri che il granduca e il conte della corte, per sedici lunghi anni, fino a quando

1 Guido Alberto fu fra i primi azionisti della Compagnia per la ferrovia toscana, detta poi La Leopoldina. 2 La via Emilia derivava il proprio appellativo dal console romano Emilio Scauro che la fece costruire. Durante il regime fascista, essa fu ribattezzata Aurelia ed oggi, declassata, è stata sostituita da una nuova superstrada. 3 Così erano detti i magazzini nei quali si conservavano i prodotti agricoli della Contea. 4 Si trattava della carica civile di grado più elevato a corte, per la quale il compenso annuo giunse fini a 14.000 scudi, con in più uso di una carrozza. 186 I della Gherardesca [fig. 33] Collezione Bertarelli, Milano Apertura della nuova via Emilia attraverso i boschi di Donoratico Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 187 nel luglio 1849, non se ne dimise adducendo morì a causa di un tumore. motivi di salute. La ragione «ufficiale» appa- Facendo ora un passo addietro, voglio se- riva plausibile, stante il fatto che Guido Al- gnalare che l’anno medesimo delle sue dimis- berto era sempre stato di fisico malfermo. sioni, egli venne sostituito a corte dal primo- Non mi sentirei però di escludere che le reali genito Ugolino, nominato dal granduca suo motivazioni della sua decisione fossero da ri- ciambellano; non escluderei che la mossa del cercare in altra sede. Il conte della Gherarde- principe sia stata dettata dal desiderio di por- sca aveva infatti mal digerito l’atteggiamento gere a Guido Alberto una sorta di riappacifi- da Leopoldo II assunto in occasione dei «mo- catore ramoscello d’olivo. Del resto poco tem- ti castagnetani», a cui fra non molto accen- po dopo, Leopoldo II volle che fosse proprio nerò, ed inoltre, come la maggioranza dei To- il vecchio conte della Gherardesca a rappre- scani, doveva aver disapprovato la decisione sentarlo, andando incontro a Pio IX, quando presa dal granduca, nel febbraio di quel me- il pontefice visitò la Toscana. desimo 1849, di abbandonare il granducato, rifugiandosi a Gaeta da papa Pio IX, dopo a- ver chiamato in Toscana le truppe austriache I figli di Guido Alberto affinché sedassero i violenti tumulti popolari che stavano squassandola. Sia pur commista Ed eccoci a parlare dei figli di Guido Al- agli aneliti risorgimentali, era infatti arrivata berto, e cioè dell’ultima generazione dei Ghe- nel granducato l’onda lunga di risacca della rardesca che comparirà in queste pagine. Te- Rivoluzione francese ed anche la Contea mo che il mio giudizio su di essi risentirà già Gherardesca non ne poté non risentire. Il ses- della difficoltà di soppesare, con obiettività, santottenne Guido Alberto si trovò a con- dei personaggi che, per quanto non conosciu- frontarsi con i «tempi nuovi» mal coadiuvato ti direttamente da nessuno dei Gherardesca dai suoi inesperti figli maschi. Le antiche rug- viventi, hanno percorso e concluso il proprio gini, soprattutto fra i Castagnetani e la casata cammino terreno in epoca a noi tanto vicina, comitale, vennero tutte a galla e furono facile, da farci tuttora sentire una loro quasi palpabi- e forse comprensibile, esca di quei «moti» le presenza. Alla morte di Guido Alberto, so- che il Bezzini descrive nel suo Carducci 5. Fu lo tre dei suoi cinque figli erano ancora in vi- proprio per spengere tali focolai rivoluzionari ta: Ugolino, Walfredo Fazio e Adelasia, anda- che, pressato a farlo dall’intimorito granduca, ta sposa al conte Giovanni Rucellai. I maschi, Guido Alberto dovette procedere ad un au- che avrebbero potuto preoccuparsi di una di- toespropio, allivellando6, a favore degli abi- scendenza della progenie, erano dunque due tanti di Castagneto, oltre settecento fra i più ed entrambi non mancarono di farlo, sposan- ubertosi ettari delle sue tenute. Il provvedi- dosi ancor prima che il loro genitore rendesse mento conseguì l’effetto voluto, ma la vicenda l’anima a Dio. Ugolino impalmò, nel 1844, la turbò grandemente il vecchio conte che, a giovane e bella dama di corte Giulia Giuntini, torto o a ragione, era nel suo intimo convinto figlia del cavalier priore Michele, e, sette anni di aver ben operato nel corso della sua esi- dopo, Walfredo Fazio si unì con Teresa, figlia stenza e di non aver quindi meritato le violen- del cavalier priore Tommaso Morrocchi. È as- ze di cui fu fatto segno nella circostanza. sai curioso rilevare come i due fratelli, avvian- Questo stato d’animo esacerbato ebbe un in- do la serie dei loro discendenti con l’imme- flusso negativo sulle sue già malferme condi- diato arrivo di un erede maschio, vollero en- zioni di salute; e da allora, infatti, non riuscì trambi onorare il genitore apponendone il no- più a riprendersi, fino a quando, nel 1854, me al proprio rispettivo primogenito; tuttavia

5 L. BEZZINI, Carducci e la «sua» Maremma, Tip. Bandecchi e Vivaldi, Pontedera 1993. 6 L’allivellamento consistette in un’anomala forma di affitto perpetuo che i Gherardesca s’impegnarono a mai più riscat- tare. I terreni in oggetto vennero equamente ripartiti fra tutte le famiglie castagnetane. 188 I della Gherardesca ad evitare un’imbarazzante omonimia fra cu- due femmine e tre maschi, dei quali ultimi, gini carnali, mentre Ugolino battezzò come malauguratamente, ne rimase in vita solo uno, Guido Alberto il primo figlio natogli nel e cioè mio nonno Walfredo Tedice, venuto al 1845, Walfredo Fazio chiamò Alberto Guido mondo nel 1865. Invece Walfredo Fazio, fra- l’erede venutogli al mondo nel 1851. La vene- tello di Ugolino, ebbe maggior successo dina- razione ed ammirazione per loro padre da stico poiché procreò ben sei nuovi Gherarde- parte di questi due Gherardesca si confermò sca, di cui quattro maschi, tutti vivi e vegeti. quando essi vollero che, a sua memoria, venis- Dal punto di vista patrimoniale, alla morte di se eretto un imponente monumento funebre Guido Alberto, il suo primogenito Ugolino e- marmoreo, nella chiesa del monastero di mo- reditò la parte più cospicua delle proprietà, nache benedettine, tuttora esistente a Firenze fra cui il palazzo di Borgo Pinti, la villa e la in località al Lapo, lungo la via Faentina, dove fattoria di Mondeggi, nonché le grandi tenute Guido Alberto, benefattore di tale convento, di Castagneto e di Donoratico; al fratello Wal- lasciò scritto di voler essere sepolto. fredo Fazio toccò invece il castello e la tenuta I due fratelli tuttavia non furono solo all’u- di Bolgheri, la rocca e la tenuta di Castiglion- nisono in questi lodevoli sentimenti di amor cello e, infine, la villa e la fattoria di Lappeggi; filiale, ma purtroppo anche in alcuni difetti, quest’ultima però fu da lui ceduta, quasi subi- fra i quali il maggiore fu certo quello di voler to, ad Ugolino, che a compensazione si accol- sempre vivere al di sopra dei propri effettivi lò un consistente debito ipotecario contratto mezzi economici. A quanto risulta, Ugolino e dal fratello. Le proprietà di S. Piero a Sieve in Walfredo Fazio iniziarono a contrarre pesanti Mugello e quella di Fiesole erano già state debiti appena pochi mesi dopo la morte di vendute da loro padre, alcuni decenni prima. Guido Alberto7. Ugolino, fra i due, fu indub- Dopo secoli di osservanza del meccanismo e- biamente il più solerte in tale infausta con- reditario delle leggi longobarde, fu questa la dotta di vita, tanto che, nell’archivio di fami- prima volta che il dominio maremmano si glia, ho trovato lunghi elenchi di suoi credito- suddivise definitivamente in due parti che ri, fra i quali risultano anche il suo ben forni- mai più si sarebbero ricongiunte, come invece to suocero e la stessa contessa Giulia. Viene era sempre avvenuto per il passato. perciò il sospetto che il matrimonio di Ugoli- Prima di proseguire nel racconto della im- no avesse avuto dei precisi risvolti d’interesse pegnata esistenza del mio bisnonno Ugolino, economico per lui e di soddisfacimento sno- accennerò al fatto che di Walfredo Fazio inve- bistico per i Giuntini; questi infatti, pur van- ce vi è ben poco da riportare, salvo che preferì tando nobili ed antiche radici, erano una fa- soprattutto vivere in campagna e che fu balì di miglia che solo da poco si era affermata nel- Perugia dell’ordine militare di S. Stefano. l’ambito della finanza. Forti della loro irrobu- stita posizione economica, essi ambivano ora ad imparentarsi con le maggiori casate dell’é- Il conte Ugolino fra i protagonisti lite aristocratica fiorentina. Tre erano in quel dell’annessione della Toscana momento le pulzelle Giuntini da marito e tut- al Regno sabaudo te e tre si accasarono «bene»: Maria Anna si unì con Simone Velluti Zati dei duchi di S. Della vita di Ugolino c’è invece assai di più Clemente; Maria Antonia con il conte Cosi- da narrare. Come si ricorderà, Leopoldo II lo mo degli Alessandri e, infine, Giulia con il aveva nominato suo ciambellano nel 1849, mio omonimo bisnonno. ma, ciò nonostante, il filo fra i Lorena e l’anti- Da quest’ultimo matrimonio nacquero, ca casata comitale si era ormai spezzato a se- piuttosto scaglionati nel tempo, cinque figli, guito soprattutto dei tentennamenti del gran-

7 Nel 1855, morto da un anno appena il padre, i conti Ugolino e Walfredo Fazio avevano già contratto un mutuo di 30.000 scudi (equivalenti a 210.000 lire di allora) con il Monte dei Paschi di Siena. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 189 duca riguardo alla politica da seguire nelle vi- Vittorio Eamnuele preferì pertanto prudente- cende risorgimentali italiane. La grande mag- mente ripiegare su di una semplice formula di gioranza dei suoi sudditi, e fra essi il mio bi- «protettorato sabaudo» sulla Toscana, nomi- snonno, non poteva infatti perdonargli la nandovi a suo commissario straordinario Car- chiamata in Toscana delle truppe austriache, lo Boncompagni, già ambasciatore piemonte- proprio in concomitanza con il primo conflit- se presso il decaduto governo granducale. to scoppiato fra il Piemonte e l’Austria, né Dopo l’armistizio firmato a Villafranca, fra tantomeno le sue titubanze allorché, nel i Francesi e i Piemontesi vittoriosi e gli Au- 1859, al momento dell’inizio della terza guer- striaci sconfitti, la situazione politica ebbe ra d’indipendenza, si trattò nuovamente di un’ulteriore evoluzione che consigliò di svin- decidere se affiancarsi a Napoleone III e a colare la Toscana da questa sorta di tutela Vittorio Emanuele II, come reclamavano i che, agli occhi delle maggiori potenze euro- Toscani, o allinearsi ancora una volta con pee, non avrebbe consentito un’autonoma de- l’Austria, come tendeva a fare il granduca. cisione a riguardo di una sua eventuale annes- Non sapendo risolversi a prendere l’una o l’al- sione al Piemonte. Si dimise allora il commis- tra di queste due decisioni, Leopoldo II non sario straordinario che venne sostituito da un trovò di meglio che abdicare in favore del fi- nuovo governo provvisorio, guidato questa glio Ferdinando ed allontanarsi nuovamente volta dal barone Ricasoli; tale governo, fra i da Firenze, questa volta in via definitiva. Non suoi primi provvedimenti, indisse l’elezione furono dei subbugli popolari a spingerlo in dei deputati per sarebbero andati a formare tal senso, bensì una sorta di pacifica pressione l’Assemblea Generale toscana. Le elezioni si su di lui esercitata dai due partiti che faceva- tennero il 7 agosto 1859 e anche il conte Ugo- no capo, l’uno al barone Bettino Ricasoli e lino risultò fra gli eletti. l’altro a Giuseppe Dolfi, alleati in tale circo- L’assemblea si pose immediatamente al la- stanza per quanto di concezioni politiche al- voro e fra le sue delibere, prese in gran fretta, quanto diverse. La partenza del granduca alla vi fu quella di dichiarare per sempre decaduta volta dell’Austria avvenne quindi senza dram- ogni pretesa dei Lorena sulla Toscana e poi, mi, tanto da far dire a Vincenzo Salvagnoli nella seduta del 20 agosto 1859, di approvare che «la rivoluzione toscana del 27 aprile 1859 una proposta che sanciva la volontà di annes- finì a desinare»8, e cioè dopo che i Fiorentini sione al Piemonte. Ugolino della Gherardesca ebbero terminato di assieparsi curiosi lungo figurò primo firmatario fra i nove deputati e- le strade, per dare l’ultimo loro ironico saluto stensori del documento che, rielaborato in al pur non odiato «Canapone»9. parte da un’apposita commissione incaricata Partito il principe, fu subito formato un go- di fonderlo con altra analoga proposta pre- verno provvisorio, con alla testa Ubaldino Pe- sentata dall’Avv. Massei, venne approvato al- ruzzi, Vincenzo Malenchini e Alessandro Dan- l’unanimità dall’assemblea10. Questo voto fu zini, il cui primo atto fu quello di offrire a Vit- subito comunicato a re Vittorio Emanuele, il torio Emanuele II la «dittatura» sulla Tosca- quale, nel compiacersene, pretese tuttavia una na. Fra i convinti sostenitori di tale orienta- consultazione popolare che, ancor più signifi- mento, oltre al barone Ricasoli, figurò anche il cativamente, riaffermasse l’effettiva volontà conte Ugolino della Gherardesca, che gravita- annessionistica dei Toscani. Il plebiscito, in- va nell’area politica del Ricasoli stesso. I tempi detto per il marzo 1860, sancì a stragrande e la situazione internazionale non erano però maggioranza l’unione della Toscana al Regno ancora maturi per un’annessione al Piemonte. sabaudo.

8 G. SPADOLINI, Firenze capitale, Le Monnier, Firenze 1966, p. 343. 9 Soprannome dato dai Fiorentini a Leopoldo II, per la consuetudine di quest’ultimo di portare una parrucca di color giallognolo. 10 Le Assemblee del Risorgimento, in Atti raccolti e pubblicati per deliberazione della Camera dei Deputati, Tip. Cam. Dep., Roma 1911, p. 691 sgg. 190 I della Gherardesca

Nell’antica Contea maremmana, il risultato morasse in dialetto piemontese al suo cerimo- della votazione non poté non lusingare gli o- niere: «Ma io credevo che fossero morti tutti rientamenti politici pubblicamente e ripetu- di fame». Il mio bisnonno, permalosissimo, si tatmente manifestati dal mio bisnonno; infatti adombrò e fece l’atto deciso di voltare le spal- nella comunità di Castagneto, che a quei tem- le e di andarsene. Ci volle del bello e del buo- pi era ancora conosciuta come «Gherarde- no per farlo recedere dalla sua decisione che, sca»11, su 1092 votanti si ebbero ben 1089 vo- a dir poco, avrebbe compromesso tutta la ce- ti favorevoli all’annessione. A buon titolo rimonia. Anche se questo aneddoto fosse sto- dunque, e non solo per questo risultato, pro- ria vera, il disguido non compromise certa- prio al conte Ugolino fu conferito il prestigio- mente la carriera politica di Ugolino, che, il so incarico di guidare la delegazione che, ac- medesimo anno, si presentò candidato al pri- compagnata dal Ricasoli, fu inviata a Torino mo parlamento italiano e risultò eletto depu- per comunicare a re Vittorio Emanuele l’esito tato per il distretto di Rosignano, mentre, due della consultazione popolare. Tale delagazio- anni più tardi, fu nominato dal re fra i 303 se- ne che, oltre al Gherardesca, comprendeva i natori del Regno12. deputati Scipione Borghesi, Rinaldo Ruschi, Dal 1863 al 1871, il mio bisnonno fu an- Pier Augusto Adami e Giovan Battista Gior- che consigliere di quella municipalità fioren- gini, fu solennemente ricevuta dal sovrano tina che dovette affrontare le sostanziali ri- nella grande sala del Consiglio della reggia to- strutturazioni urbanistiche che predisposero rinese, presenti il capo del governo piemonte- la città a divenire la capitale del Regno. Fra i se, Rattazzi, il generale Lamarmora ed altri il- primi a dover fare le spese dei grandiosi pro- lustri personaggi. Lo storico evento fu in se- getti formulati dall’architetto Poggi, fu pro- guito immortalato da un grande dipinto del prio il conte Ugolino, il quale, per consentire pittore Giovanni Mochi, oggi in Palazzo Pitti, la realizzazione dell’ampio viale di circonval- nel quale è raffigurato il conte Ugolino men- lazione che prese il posto dell’antica cerchia tre legge a Vittorio Emanuele II il documento di mura cittadine, si vide espropriare una lar- con cui la Toscana chiede ufficialmente di es- ga fascia del giardino di Borgo Pinti13 e, co- sere annessa al Regno [fig. 34]. me se non bastasse, dovette provvedere, a È ora il caso di riportare un aneddoto che proprie spese, a sistemare decorosamente tut- circolò al rientro a Firenze della delegazione. to il fronte della sua proprietà, prima confi- Premetto che il mio bisnonno aveva un carat- nante con le demolite mura ed ora affaccian- tere ombrosissimo, tanto da essere stato so- tesi sulla nuova grande arteria cittadina. Ai prannominato dagli amici il «conte nero». Si lati della bella cancellata che egli fece realiz- narra dunque che, a causa di questo suo ca- zare per un nuovo accesso al giardino volle ratteraccio, si verificò un incidente al momen- che fossero apposte due lapidi (tuttora esi- to in cui i componenti della delegazione to- stenti) che ricordassero questa sua opera e, scana furono presentati, ad uno ad uno, al so- nella sua megalomania, chiese addirittura allo vrano sabaudo dal suo cerimoniere, marchese storico Passerini di formularne il pur stringa- Ferdinando Arborio di Gattinara. Pare che al to testo14. sentir nominare per primo il nome di Ugolino Nel decennio fra il 1860 e il 1870, il mio bi- della Gherardesca, a bassa voce ma non tanto snonno fu letteralmente ricoperto da onori e da non essere udito dall’interessato, il re mor- cariche pubbliche15, ma poi sembrò che la sua

11 N. DANELON VASOLI, Il plebiscito in Toscana del 1860, Olschki, Firenze 1968, p. 194. La comunità Gherardesca era stata in realtà soppressa con una legge del 1838, ma l’uso dell’antico appellativo era ancora rimasto dopo più di venti anni dalla sua scomparsa legale. 12 AF, f. 371, n. 3. 13 AF, f. 371, n. 23, a. 1867. 14 AF, f. 373, n. 27. 15 AF, ff. 370, 371, 372, 373. Ecco in sintesi le cariche e onorificenze ottenute dal conte Ugolino: 1863, nomina a consi- gliere comunale di Firenze; 1864, nomina a membro della Commissione Centrale Ippica Italiana e nomina a capoguardia Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 191 cito del 1861 favorevole all’annessione [fig. 34] Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna, Firenze G. Mochi, Il capo della delegazione toscana, conte Ugolino Gherardesca, legge a re Vittorio Emanuele II l’esito del plebis 192 I della Gherardesca vocazione politica si fosse appagata di colpo e affidare l’amministrazione di tutto il suo pa- le sue attenzioni maggiori tornassero a volger- trimonio ad un «consiglio di sorveglianza» si verso la famiglia. Bisogna a questo proposi- costituito dalla stessa contessa Giulia (che vi to accennare che, nel 1861, era morto il suo si fece però rappresentare dal marchese Pom- primogenito ed unico maschio Guido Alber- peo Burbon del Monte), dal marchese Stefa- to, riaprendo il problema di una discendenza no Lodovico Pallavicino e dal marchese An- per questo ramo principale della casata. La drea Carrega Bertolini. Non risulta tuttavia se contessa Giulia fu ancora una volta all’altezza tali amministratori seppero ben operare, ma e, dopo la bellezza di diciotto anni dal suo personalmente ne dubito. «sì» matrimoniale, fu capace di mettere al Quando infatti, nel 1882, il conte Ugolino mondo altri due eredi maschi: Guido Novello rese l’anima a Dio, ai tutori, cui fu affidato e Walfredo Tedice, mio nonno. Malaugurata- mio nonno ancora minorenne, non rimase mente il primo morì a solo otto anni e rimase che accertare la gravità della situazione patri- così al secondo l’incombenza di non fare e- moniale e, per tamponarla, vendere a S.A. I- stinguere il ramo medesimo. smail Pachà, Kedivé d’Egitto, il palazzo e il giardino di Borgo Pinti, per la somma di 800.000 lire più 60.000 lire per alcuni mobili Il declino di un personaggio ed arredi di lusso, lasciati nel palazzo stesso16. È quasi in coincidenza con questo doloroso Negli ultimi anni della sua vita, il conte U- sacrificio finanziario che si chiuse dunque l’e- golino si dedicò soprattutto ai suoi interessi sistenza di Ugolino che pure, ai suoi tempi, e- familiari, ma non lo fece con grande successo, ra stato un personaggio politico di successo stando almeno ai sostanziosi e lunghi elenchi ed aperto, forse più in teoria che in pratica, a di suoi debiti di cui tuttora rimane traccia lodevoli idee liberali. nell’archivio Gherardesca. Il mio bisnonno a- Nel 1892, anche suo fratello Walfredo Fa- veva anche contratto pesanti mutui con la fio- zio lasciò questo mondo e con lui si esaurì la rentina Cassa di Risparmio, il cui ricavato era ventisettesima generazione «storica» della no- forse servito a sanare le pendenze più urgenti stra progenie. Da allora sono seguite altre cin- ma non aveva risolto la sostanza dei suoi pro- que generazioni, fino ad arrivare a quella dei blemi finanziari, tanto che, nel 1875, entrò miei nipoti [tav. 18]. Di questi familiari non addirittura nell’ordine d’idee di vendere, «a parlerò per i motivi che ho esposti nella pre- cancelli chiusi», il castello e la tenuta di Ca- messa a questo mio scritto. Mi limiterò solo stagneto, stimati nella circostanza tre milioni ad accennare che fra di essi si annoverarono di lire. La trattativa, effettivamente avviatasi, ancora due senatori del Regno, un podestà di non arrivò peraltro a buon fine. Firenze, un preside della provincia di Lucca Nel 1877, avendo ancora una volta urgente ed un consigliere comunale di Firenze. bisogno di un nuovo prestito di 550.000 lire, Con lo scorrere di tanti secoli, la nostra pro- si rivolse a sua moglie, ma questa volta ella sapia ha gradatamente perduto in spessore ma dettò le sue condizioni che costrinsero Ugoli- i Gherardesca possono comunque andar fieri no a rinunziare alla cura dei suoi affari e ad della forse ineguagliabile longevità della loro della Misericordia fiorentina; 1865, nomina a questore del Senato per il biennio 1865-67 e riconferma a consigliere comunale fiorentino; 1866, elezione a vicepresidente della Filarmonica Fiorentina e nomina a commendatore dell’Ordine dei SS. Mau- rizio e Lazzaro; 1867, ulteriore riconferma a consigliere comunale fiorentino; 1868, nomina a 21mo ufficiale dell’Ordine del- la Corona d’Italia e ammissione a socio della Società Geografica Italiana; 1869, elezione nella commissione di dieci membri che avrebbero sovrainteso alla Consulta Araldica di recente istituzione (10 ottobre 1869); 1870, nomina a membro della commissione senatoriale incaricata di ricercare una sede romana appropriata per l’assemblea che avrebbe dovuto trasferirsi da Firenze a Roma, nuova capitale del Regno. [Rinunziò a questo incarico per i molti suoi affari]. 1871, dimissioni da consi- gliere comunale fiorentino, a causa, anche questa volta, dei molti suoi affari. 16 La proprietà del palazzo passò poi alla Società delle Strade Ferrate Meridionali e, successivamente, alla Società Metal- lurgica Italiana. Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia 193 194 I della Gherardesca stirpe, nella storia d’Italia. Chi scrive si conge- preceduti, sappia ogni Gherardesca ispirarsi da invitando i propri discendenti a meditare ai lati migliori di essi. su quanto di positivo hanno saputo fare i no- Il mio auspicio conclusivo sia dunque quel- stri antenati negli oltre dodici secoli della no- lo che la nostra schiatta longobarda possa di- stra saga. Poiché ognuno di noi certo reca in gnitosamente percorrere ancora molto cam- sé qualche cromosomo di tutti i personaggi mino oltre i suoi dodici secoli di storia. che ci hanno degnamente, od indegnamente, Appendice

[fig. 35]

INSERTO 1

Ricerca toponomastica dei possedimenti di S. Walfredo e loro accostamento con i domini dei Gherardesca

Nell’esaminare le donazioni fatte da S. Walfre- nell’esame, rilevando subito che le donazioni in do al monastero di San Pietro in Palazzuolo, la argomento sembrano quasi circoscrivere quelle prima impressione che se ne ricava è quella che, due secoli dopo, risulteranno essere le signo- dell’apparente minuta dimensione di ciascuna di rie dei Gherardesca [si veda la cartina allegata]. esse, nonché della loro diffusione su di un’area Nell’analisi che segue, i vari toponimi citati nelle geografica di estensione molto vasta. donazioni sono stati riportati nel medesimo ordi- La spiegazione di quanto sopra può essere la ne nel quale appaiano nell’atto di fondazione del seguente. Premettiamo innanzi tutto che, nell’Al- monastero di S. Pietro in Palazzuolo4. Inoltre al- to Medio Evo, almeno in Toscana, la proprietà cuni di essi, come ad esempio «Agello» e «Vaia- fondiaria si presentava suddivisa in piccole unità1. no», sono diffusissimi in Toscana5 e pertanto ne Deve infatti tenersi in evidenza che il popolo lon- risulta problematica un’esatta identificazione, gobardo non aveva né una cultura, né una parti- mentre altri toponimi sono conservati da località colare vocazione agricola, e che pertanto, all’atto semisconosciute od addirittura da piccolo casolari della sua invasione dell’Italia, preferì lasciare agli agricoli, magari ridotti oggi in ruderi. Malgrado originari coloni romani il compito di coltivare le queste difficoltà oggettive della ricerca, è stato terre. I conquistatori si limitarono ad appropriarsi possibile accertare una pressoché perfetta sovrap- non già delle medesime, bensì di gran parte del ponibilità dei possedimenti donati al suo mona- loro frutto, quale compenso della difesa che i loro stero da S. Walfredo con i domini che i Gherarde- guerrieri assicuravano al territorio. Solo in alcuni sca, documenti alla mano, poterono vantare sin casi2, i Longobardi asservirono gli antichi coltiva- dagli inizi del X secolo. tori, rendendolo loro schiavi3; tale fenomeno si accentuò probabilmente nelle vicinanze dei forti- PALATIIOLO. Circa l’esatta ubicazione di questa lizi che i Longobardi stessi si affrettarono a realiz- località non sussistono incertezze. Le rovine del zare istituendo una fitta rete di roccheforti atte a monastero fondato da S. Walfredo sono ancora controllare le aree di maggior interesse strategico. ben visibili [figg. 1-2] su di una collinetta, non La seconda spiegazione che ci interessa, cioè quel- lontana da Monteverdi, denominata «la Badia». la della diffusione su di un’area geografica così va- Che i Gherardesca dominassero questo territorio, sta delle donazioni fatte da S. Walfredo, è certo ri- nell’Alto Medio Evo, viene confermato da svariati conducibile al disegno di questo eminente longo- documenti, fra cui uno del 1053 con cui Ugo, fi- bardo di porre sotto una formale protezione della glio di Rodolfo conte di Suvereto, vendette all’a- Chiesa quanti più domini possibili della propria bate di S. Pietro in Palazzuolo, la sua quota parte famiglia, e ciò nella prospettiva della conquista della vicina rocca di Gualda6. Del resto nei din- dell’Italia da parte dei Franchi, alleati appunto del torni di Monteverdi i Gherardesca signoreggiaro- Pontefice romano. Del resto la medesima opera- no su molte roccheforti, come quelle di Suvereto, zione fu fatta, all’epoca, da numerosi altri capi Monte S. Lorenzo, Campetroso, Tricase e Leccia. longobardi. A questo punto si può procedere Altra conferma della presenza a Monteverdi della

1 BARSOCCHINI, Sulle cause che nel Medio Evo produssero la divisione dei domini in minute parti in Toscana, cit. 2 Ad esempio, nel caso delle arimannie. 3 A questo proposito vedere i casi in cui Walfredo, nelle sue donazioni, include anche gli abitanti. 4 Si veda il documento 1 della presente Appendice. 5 Nell’allegata cartina geografica illustrativa, alcuni toponimi sono dunque ripetuti per più di una volta. 6 REPETTI, op. cit., vol. II, p. 557. 200 I della Gherardesca grande casata comitale, proviene da un manoscrit- Serena10 ed il documento n. 113 dell’anno 1028, to del 18 agosto 1109, con cui il conte Ugo, figlio riportato dallo Schneider nel suo Regesto Volter- di Tedice 2°, cedette a Rangerio, vescovo di Luc- rano. ca, i proprio possedimenti «allodiali» compresi CORNIA. Il Cornia è un piccolo fiume della dalla «Cecina usque ad fluvium quod dicitur Rivo Maremma massetana, di cui il già citato «Rivo Ur- Ursajo7 et de Monte Virgide [Monteverdi] usque sajo» è un affluente. Per quanto attiene ai Ghe- ad mare»8. rardesca, essi dominarono, come abbiamo visto BASILICA SANCTI FILIPPI. Non è stato possibile alla voce «Palatiiolo», numerosi castelli nella valle individuare la località a cui corrisponde oggi que- del Cornia, alla cui foce, nel 1022, fondarono il sto antico toponimo. Unica labile traccia è quella monastero di San Giustiniano di Falesia11. Del re- rinvenuta dal Brunetti nel suo Codice Diplomatico sto, già nel 1004, Gherardo 2°, conte di Frosini, Toscano, p. 493, dove cita un documento dell’an- aveva donato al monastero, da lui fondato, di S. no 759 in cui si accenna ad un terreno del vescovo Maria di Serena vari beni nel distretto populo- di Lucca, Walprando, che includeva un Casale niense, limitrofo al Cornia. Sancti Philippi. GAGIO GHUTOTI. Il Pieri individua tale topo- CASTANIETO. Lo Schiapparelli, così come il nimo con «Gagio Cuttoli», ubicato nei pressi di Repetti, lo fanno coincidere con Castagneto della Massa Marittima, e quindi in territorio che i Ghe- Gherardesca (oggi Carducci), dominio dell’antica rardesca dominarono con le roccheforti prece- schiatta longobarda da tempi immemorabili. L’i- dentemente elencate12. potesi è certo la più plausibile, ma non è nemme- RIVO ORSARIO. Per ciò che riguarda questo to- no da scartare che possa trattarsi di un Castagne- ponimo si rinvia a quanto detto per «Palatiiolo» e to ubicato nei pressi di Palaia, nel pisano, e quin- «Cornia». di non distante da quel «Rivo Cavo» e da quel «Padule Actioni» che incontreremo fra breve. Vi RAOSSANO. Viene generalmente identificato è poi anche un «Castagnetro»9 presso Vecchiano, con Rezzano presso Calci, nel pisano, dove il do- lungo il corso inferiore del fiume Serchio, dove minio dei Gherardesca è attestato da un docu- risultarono ubicate alcune arimannie longobarde mento datato 93913. Il Pieri, a p. 127 della sua o- nelle vicinanze di «Arsola» ed «Arena» che pure pera già citata, individua invece tale toponimo menzioneremo in seguito. Anche in questi di- con altra località sita presso la «Caldana» nel stretti i Gherardesca ebbero rocche e domini [in- grossetano. Da segnalare inoltre che esiste un Ru- serto 2]. sciano presso Capannoli in Val d’Era, dove i Ghe- rardesca ebbero dominio nel Medio Evo. CALDANA. Questo toponimo può essere identi- ficato con due località diverse che conservano SALINAS IN LOCO VADA. Nessuna difficoltà ad tutt’oggi tale denominazione. Il Repetti, nella sua individuare questo toponimo che ancor oggi con- opera più volte citata, ed il Pieri nel suo trattato serva la sua originaria denominazione e che si lo- sulla Toponomastica della Toscana meridionale, in- calizza a nord di Cecina, nel livornese. Già nel dividuano Caldana con quella, di origini romane, 1042, un manoscritto, conservato fra le carte del sita presso Campiglia, nel distretto populoniense. monastero di S. Paolo all’Orto di Pisa, riporta la Non è però da trascurare, a mio avviso, che si vendita di alcuni terreni limitrofi al castello di Va- possa trattare della Caldana, presso Gavorrano, da, ad opera di personaggi che apparirebbero ri- nell’antico distretto grossetano di Roselle. In en- conducibili senz’altro alla schiatta dei Gherarde- trambi detti territori i Gherardesca vantarono do- sca. Comunque un altro documento più tardo, e mini documentati sin dal 1004, come attesta l’atto precisamente del 1177, conservato nell’archivio di fondazione del monastero di S. Maria di della casata comitale, oggi depositato presso l’A-

7 Si veda più avanti il toponimo Rivo Orsario. 8 BERTINI, Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, cit., vol. IV, p. 46. 9 ACP, doc. n. 42 del 30 maggio 1016. 10 Appendice, doc. 2. 11 Appendice, doc. 3; e CECCARELLI LEMUT, Il monastero di S. Giustiniano di Falesia e il castello di Piombino, cit. 12 S. PIERI, Toponomastica della Toscana Meridionale, Accademia Senese degli Intronati, Siena 1969, p. 153. 13 AF, f. 95, a. 939; e F. SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico della Toscana medievale, a cura di F. Barbolani di Montauto, Stianti, Firenze 1975, p. 249, n. 159. Appendice 201

SF, cita donazioni fatte al monastero di S. Felice zona, quali Mitiano, Orzale, Tenda, Collegalli e in Vada da parte dei conti e fratelli Gherardo e Barbialla. Ranieri, figli di Gherardo, e relative a loro beni si- LATINIANO. Secondo lo Schiapparelli è identi- ti in Rosignano, Montecuccari, Riparbella, castel- ficabile con , presso Cascina nel pisa- lo delle Mele e Castelgiustri di Linaglia. Nel XIII no, dove i Gherardesca vantarono domini nel secolo i Gherardesca inoltre possedevano ancora Medio Evo18. Il Barsocchini, nelle sue Memorie e le «saline tedicinghe» lungo il litorale di Cecina, documenti per servire all’Istoria del Ducato di Luc- non lontano da Vada14. ca, accenna invece a Latiano, vicino a Segromi- POTIOLO. Dopo accurate indagini ho potuto i- gno, dove sono segnalati altri domini dei Ghe- neditamente concludere che si tratta certamente rardesca [→ Potiolo]. di Pozzolo, sito non lontano da Castelfalfi nel vol- AGELLO. Gello, derivato dal latino «agellum» terrano [→ Castello Foalfi]. Da sottolineare che (piccolo campo), è un toponimo molto diffuso in nei pressi di questo Pozzolo, antico insediamento Toscana, dove pare se ne contino oltre sessanta. romano e, forse, ancor prima etrusco, vi sono va- È pertanto problematico individuare a quale del- rie rocche che furono dei Gherardesca e fra que- le tante località omonime si sia riferito S. Walfre- ste quella di Orzale. La mia ipotesi è fra l’altro a- do. Secondo il Repetti19 potrebbe trattarsi di vallata da un documento del 1161, citato da M.L. Gello, presso Casaglia in Val di Cecina, mentre il Ceccarelli Lemut nel suo Un inedito documento Barsocchini, nella sua opera già citata, propende- dell’archivio arcivescovile di Pisa riguardante il mo- rebbe per Gello di Lavaiano, nella Val d’Arno in- nastero di Monteverdi e i conti della Gherardesca. feriore. A mio giudizio potrebbe allora tenersi Il manoscritto riporta proprio una vertenza insor- anche in evidenza, sempre nel pisano, sia Gello, ta fra i due soggetti al riguardo di alcune terre presso Palaia o che Gello, presso Montione o dell’Orzale, vicine a Pozzolo, di cui il monastero Gello presso S. Giuliano Terme. In tutti i precita- rivendicava la proprietà avverso ad analoga prete- ti distretti i Gherardesca ebbero comunque roc- sa dei conti. Meno attendibile, a mio avviso, la tesi che e possessi già nel X secolo e in quelli succes- dello Schwarzmaier15 che, nel suo studio citato in sivi [inserto 2]. bibliografia, sostiene trattarsi di Poziostolli, in lucchesia, che nel XI secolo era dominio del conte CISIANO. Lo Schneider20 lo identifica con Ci- Ugo, figlio di Tedice 1°, così pure come altri pos- sano o Cesana, in territorio pisano, dove i Ghe- sedimenti in località non lontane, quali Marlia, rardesca ebbero domini sin dal 101521. Esiste Segromigno, Lammari e Lunata. però un Ciciano fra Chiusdino e Montieri22, an- tico distretto volterrano che fu pure dominato SEPTARE. Di problematica localizzazione. Po- per vari secoli dai Gherardesca, conti di Frosini. trebbe peraltro coincidere con il «Septere», pres- Da segnalare peraltro anche un Cisciano in Gar- so Orciano Pisano, citato in un documento del fagnana, menzionato da L. Angelini nel suo Pro- 101716, che viene indicato come «terra comitorum blemi di storia longobarda in Garfagnana. Come o terra ghisolfinga». Altra eventualità è quella che vedremo in seguito, alla Garfagnana ci ricondu- si tratti di Settimo, presso S. Casciano nel pisano, cano del resto altre donazioni di S. Walfredo. A di cui i Gherardesca furono signori per secoli, fre- tale proposito è forse opportuno segnalare che, giandosi anche del relativo titolo nobiliare17. già nel 1000, erano signori della Garfagnana i CASTELLO FOALFI. Senza ombra di dubbio trat- Gherardenghi, stirpe di ceppo longobardo di- tasi dell’odierno Castelfalfi, nel distretto volterra- scendente da un Gherardo che potrebbe identi- no di Montaione. Questa roccaforte fu dominata ficarsi con il figlio di Ildebrando, comes di Luc- dai Gherardesca unitamente ad altri castelli della ca, che appare nel 996 nella genealogia dei Ghe-

14 CECCARELLI LEMUT, I conti Gherardeschi, cit., pp. 165-90. 15 SCHWARZMAIER, Lucca und das Reich bis zum Ende des XI Jahrhunderts, cit., p. 239. 16 CATUREGLI, op. cit., doc. 91; e SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico della Toscana medievale, cit., p. 252, n. 157. 17 REPETTI, op. cit., vol. V, p. 290-92. 18 AAP, doc. del 1076 nel quale il conte Gherardo vende suoi beni nel distretto. 19 REPETTI, op. cit., vol. II, pp. 425-26. 20 SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico della Toscana medievale, cit., p. 248, n. 137. 21 CATUREGLI, op. cit., doc. 181; e Mensa di Pisa, doc. 38. 22 PIERI, Toponomastica della Toscana Meridionale, cit., p. 98. 202 I della Gherardesca rardesca tracciata dallo Schwarzmaier nel testo stretti i Gherardesca ebbero castelli e possedi- prima citato. menti.

MASSIANO. Identificabile con una località omo- CASAS IN CIVITATE. Si tratta certamente di case nima situata fra Vicopisano e Cascina, in territorio in Pisa, di cui erano cittadini sia Walfredo che suo pisano23, dove, come noto, i Gherardesca ebbero padre Ratcauso. L’area su cui sorgevano tali case antichi domini. era probabilmente quella stessa sulla quale, più tardi, i Gherardesca eressero le proprie torri ed i UARIANO. Secondo il Repetti24, coincide con quello che oggi è detto Lavaiano, nella Val d’Arno propri palazzi. Quest’area era il quartiere di Chin- inferiore, dove appunto i Gherardesca dominaro- seca, il cui terreno, secondo alcuni storici, prove- no la rocca di Vajano, come è attestato da un ma- niva da una donazione di Liutprando, re dei Lon- noscritto del 115625 in cui il conte Walfredo, figlio gobardi. di Enrico di Donoratico, vendette alla Mensa di BARGA. Lo Schipparelli immagina che si tratti Pisa la sua quota parte di detto castello. Da segna- di Barga in Garfagnana e così pure il Repetti32 lare anche che nel 1159 il conte Tedice, con atto (Vedere in proposito quanto scritto alla voce Ci- rogato a Biserno, vendette a Galgano, vescovo di siano). È pure del Repetti l’ipotesi che possa trat- Volterra, alcuni suoi possedimenti fra cui un Va- tarsi di un paese omonimo, un tempo situato non liano26. lontano da Pietrasanta in Versilia ed andato com- pletamente distrutto nel corso dei secoli. Da non RIVO CAVO. Quasi sicuramente corrispondente ad una località sita lungo il torrente Ricavo, che dimenticare che, a Pitignano in Versilia, S. Wal- s’immette nella sinistra dell’Arno all’altezza del fredo fondò il monastero di S. Salvatore dove si padule, un tempo, formato dall’Usciana sulla riva ritirarono a vita conventuale sia sua moglie che le opposta del fiume [→ Padule Actioni]. Il castello loro figlie e sua sorella, sposa del nobile lucchese di Ricavo, che potrebbe forse coincidere con l’at- Gunvaldo, che invece divenne monaco con Wal- tuale , era dei Gherardesca e fu fredo a S. Pietro in Palazzuolo. ceduto ad Attone, arcivescovo di Pisa, dal conte GHERMIO. Il Repetti accosta questo toponimo a Ranieri di Forcoli nel 112127. Ghermio, vicino a Barga in Garfagnana33, e la sua ipotesi appare plausibile. Il Pieri34 lo individua in- UEXINIANO. Dovrebbe trattarsi di Visignano, presso Cascina nel pisano28, zona nella quale i vece in Germano, presso Scansano nel grossetano. Gherardesca dominarono le rocche di Rapida e In quest’ultimo distretto i Gherardesca ebbero Settimo. Anche lo Schiapparelli29 lo identifica domini, come ci conferma l’atto di fondazione del con il predetto Visignano e così pure il Brunet- monastero di S. Maria di Serena nel 1004. ti30. Da non trascurare peraltro una possibile LUPINARIA. Sia lo Schiapparelli che il Repetti i- coincidenza con , presso Cascina, in un dentificano questo toponimo con Lupinaia, in alta comprensorio in cui i Gherardesca signoreggia- Val di Serchio presso Gallicano. rono varie roccheforti. GLACENTIIANO. Secondo il Pieri35 si tratta di PITTULE. Di non facile identificazione. Potreb- uno dei due Glutzano, siti l’uno in Val d’Era e be trattarsi di Pieve di Pitti, presso Laiatico in Val l’altro nella Maremma grossetana. Sappiamo che d’Era o di Casa Pectuli, presso Camaiano sui in entrambi detti comprensori i Gherardesca eb- monti livornesi del Gabbro31. In entrambi tali di- bero domini nell’Alto Medio Evo. Il Guidi e il

23 S. PIERI, Toponomastica del Val d’Arno, Accademia Lincei, Roma 1912, p. 161. 24 REPETTI, op. cit., vol. II, pp. 663-64, e vol. V, p. 623. 25 MURATORI, Antichità del Medio Evo, vol. III. 26 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 187. 27 AAP, Archivio segreto. 28 REPETTI, op. cit., vol. V, p. 792; e PIERI, Toponomastica del Val d’Arno, cit., p. 198. 29 SCHIAPPARELLI-BRUHL, Codice diplomatico longobardo, cit., p. 347, n. 7. 30 BRUNETTI, op. cit., p. 552. 31 CATUREGLI, op. cit., doc. 50. 32 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 273. 33 Ivi, vol. II, p. 953. 34 PIERI, Toponomastica della Toscana Meridionale, cit., p. 70. 35 PIERI, Toponomastica del Val d’Arno, cit., p. 102. Appendice 203

Parenti, nel loro Regesto del Capitolo di Lucca, ri- che nel 1068, la contessa Matilde di Toscana con- portano, al n. 1336, un documento del 1176, re- fermò al conte Ranieri di Forcoli il feudo su alcu- datto a Guzzano, nel quale, a mio avviso, appaia- ni terreni ubicati in Usciana41. no personaggi riconducibili alla genealogia dei ARSULA. Probabilmente identificabile con un Gherardesca. Inoltre fra i vari toponimi citati in subburbio settentrionale di Pisa42. Lo Schiappa- un lavoro di E. Falaschi36, è riportato il docu- relli la fa coincidere infatti con Arsole in bassa Val mento n. 40 nel quale si menziona un Glatitiano, di Serchio, vicino a Vecchiano, dove un tempo in- forse identificabile con , in comune di sistevano varie arimannie longobarde. Il Repetti S. Giuliano Terme nel pisano37. Infine un Glatia- invece la individua in Arsiccioli, vicino a Castel- no, confinante con un «prato Teudici», è menzio- franco di Sotto, nella zona di Ricavo e Usciana nato in due documenti, uno del 1020 e l’altro del dove furono domini dei Gherardesca. 107438, i cui attori, nonché un sottoscrittore, par- rebbero riconducibili alla genealogia dei Gherar- ARINA. Sia il Repetti43 che lo Schiapparelli non desca. hanno incertezze nel farla corrispondere ad Are- → SARACHANIANO. Il Repetti lo identifica con Sa- na, in bassa Val di Serchi [ Arsula]. 39 ricagnana in Garfagnana . Non è però da esclu- UERRIANA. Dovrebbe identificarsi con Pieve di dersi che possa trattarsi di Sarchiano che il Pieri S. Gervasio, in Val d’Era, detta, un tempo Verria- cita nella sua Toponomastica della Valle dell’Arno. na e citata in varie membrane a partire dal IX se- PADULE ACTIONI. È individuabile con il padule colo44. A mio avviso potrebbe anche trattarsi di formato un tempo dal torrente Usciana, tributario Veriana in Val di Fine, presso S. Luce, nelle cui vi- destro dell’Arno in vicinanza di Castelfranco di cinanze, nel IX secolo, era citata la «Sala di Teudi- Sotto40 Come più volte ripetuto, in tale distretto i cio». Nella medesima zona insistevano le rocche Gherardesca ebbero varie rocche. Da segnalare Gherardesca di Montevaso, Mele e Strido.

36 E. FALASCHI, Carte dell’Archivio Capitolare di Pisa, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1971, pp. 114-15. 37 Si vedano, infra, le voci Arsula e Arina. 38 NANNIPIERI D’ALESSANDRO, Carte dell’Archivio di Stato di Pisa, cit., docc. 22 e 88. 39 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 273. 40 CATUREGLI, op. cit., doc. 55. 41 REPETTI, op. cit., vol. II, pp. 566-67. 42 M. TIRELLI CARLI, Carte dell’Archivio Capitolare di Pisa, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1977, p. 226. 43 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 111. 44 Ivi, p. 112 del Supplemento; e SCHIAPPARELLI, op. cit., p. 349, n. 4. INSERTO 2

Castelli e rocche che furono dominati dai Gherardesca per breve o lungo periodo

Nell’Alto Medio Evo, la denominazione di «ca- La logica di tale assunto ha notevolmente facili- stello» o di «rocca» stava ad indicare un appresta- tato l’opera di chi scrive, nell’individuazione più mento difensivo, generalmente non molto grande, esatta possibile dell’articolata e potente rete difen- costruito quasi sempre sul cucuzzolo di un’altura, siva storicamente controllata dai Gherardesca fra nonché corredato da una cinta muraria e da una o il X e il XII secolo. La cartina geografica in allega- più torri, ma per il resto dotato di pochissimi, e to, evidenzia tale peculiarità, mostrandoci il carat- poco confortevoli, locali destinati all’alloggio dei teristico allineamento o raggruppamento dei cas- soldati messi a guardia del fortilizio. seri dominati dalla casata comitale, a mezzo dei Il castellano, quando risiedeva nella roccaforte, quali, procedendo da nord verso sud, essa con- dedicava gran parte del proprio tempo alla cura trollava i seguenti territori strategici: Val d’Arno del drappello di armati alle sue dipendenze. Inol- inferiore (da S. Miniato a Pisa); Val d’Egola e Val tre provvedeva al controllo dei lavori nelle circo- d’Era (dal loro sbocco verso l’Arno alla loro origi- stanti terre di suo eventuale dominio diretto1, che ne volterrana); Val di Merse (nell’antico distretto generalmente venivano coltivate da «servi»2. Uni- volterrano, oggi divenuto senese); litorale tirreni- co suo svago era la caccia, dalla quale, oltre alla co (dall’odierno Livorno al fiume Cornia); la Val carne per l’alimentazione sua e dei suoi soldati, ri- di Fine e la Val di Cecina (dal litorale alle vicinan- cavava anche trofei che, appesi poi alle pareti, co- ze di Volterra) ed infine tutta la Val di Cornia. In- stituivano spesso il maggior ornamento del suo spiegabilmente isolati ed avulsi da un qualsiasi spoglio e mal illuminato alloggio. Con il trascorre- schema organico, apparivano invece il castello di re dei secoli, il «castello» si andò identificando Bisenzio, sul lago di Bolsena, e le rocche di Alma, con una costruzione assai più grande che, pur non Giugiano e forse Vicinatico, tutte dislocate nel di- venedo meno alla propria destinazione guerresca, stretto grossetano di Roselle. Un’ulteriore consi- privilegiava anche la parte abitativa che fu sempre derazione, che ci aiuta a fare la precitata cartina più riccamente addobbata, via via che l’edificio geografica, è quella che, mano a mano che nel andava perdendo le sue originarie finalità militari contado circostante alle città, rafforzarono la pro- per assumere, per il proprietario, più pacifici sco- pria influenza prima la Chiesa, sostenuta dai pi di rappresentanza. Franchi, e poi le emergenti realtà comunali, i Quando dunque si parla di castelli nell’Alto Gherardesca furono costretti ad abbandonare Medio Evo si debbono immaginare dei fortilizi gradatamente le loro posizioni più esposte a tali del primo tipo, quasi sempre disposti secondo un pressioni, per finire con l’arroccarsi in quell’encla- preciso schema che li voleva a vista fra di loro e ve «bunker», situata fra i fiumi Cecina e Cornia, quindi in grado di intercomunicare con segnali di che in seguito fu denominata «la Gherardesca» e fumo, di giorno, o con fuochi, di notte. Del resto che, per essere collocata sufficientemente distante era proprio questo il tipico apparato di difesa che dalle mire espansionistiche dei comuni di Pisa, i Longobardi apprestavano all’atto stesso della lo- Volterra, Siena e, da ultimo, Firenze, ebbe la pos- ro conquista di ogni nuovo territorio. sibilità di essere mantenuta praticamente indipen-

1 Nell’Alto Medio Evo la proprietà fondiaria in Toscana era molto frazionata e il dominio su di una rocca od un castello non implicava necessariamente il possesso, da parte del castellano, di tutto il territorio di cui lui curava la difesa. Peraltro i li- beri coloni, usufruendo della sua protezione, dovevano versargli tributi. 2 Fino al secolo XI il termine servus corrispondeva in pratica a quello di schiavo. Negli atti di vendite effettuate in quei secoli si trova frequentemente che un determinato fondo viene ceduto assieme ai suoi abitanti e questo conferma che il ser- vus rappresentava proprietà alienabile dal padrone e ne costituiva parte del patrimonio così come i campi ed il bestiame. 206 I della Gherardesca dente per tutto il Medio Evo e, in forma partico- te Ugo, figlio di Tedice 2°, dona alcuni suoi beni a lare, anche nell’Evo Moderno. Rangerio, vescovo di Lucca3. Il Repetti, nel suo Per concludere, è opportuno segnalare che de- Dizionario, così descrive questa rocca: «Castellare gli antichi casseri dei Gherardesca, oggi rimango- nei monti della Gherardesca, alle sorgenti del Rio no o delle ristrutturazioni che ne hanno incorpo- Acquaviva che sbocca in mare presso la torre di S. rato e stravolta l’antica struttura o solo qualche Vincenzo. Fu dominato dai Gherardesca. Oggi rudere e talvolta nemmeno quello. È da ricordare non ne rimane alcuna traccia». Il conte Fazio No- infatti che quando vari di essi vennero rasi al suo- vello, signore di Pisa, nel suo testamento menzio- lo a seguito di eventi bellici, questi furono letteral- na il monastero di Acquaviva, che era forse ubica- mente smontati per riutilizzarne le ben squadrate to su quello che è oggi detto «Poggio del Romito- pietre nella costruzione di altri edifici o di caratte- rio» a nord est di S. Vincenzo. re religioso o, soprattutto, di destinazione agrico- ALMA. Rocca situata sui monti di Tirli che so- la. In quest’ultimo caso non è infrequente rinveni- vrastano Pian d’Alma, nel grossetano. Oggi non re in qualche podere l’antico nominativo del ca- ne rimangono neppure le rovine ma doveva essere stello dal quale furono germinati. Del resto anche ubicata non distante dalla Badia di Sestinga alla mio nonno Walfredo, quando, nel 1929, fece eri- quale Ugo, conte di Suvereto, vendette nel 1074 gere una torre campanaria al lato della chiesa par- la propria metà di questo castello con il relativo rocchiale di Castagneto, pensò bene di riutilizzare porto e distretto4. le pietre sparse attorno alla diruta torre del castel- lo di Donoratico. Una lapide, murata su di una ASCI o ASCHI. Una prima memoria di questo 5 delle pareti esterne del campanile, ricorda appun- castello si rintraccia in un documento del 975 . La to tale evento. rocca, nel 1109, è menzionata come dominio dei 6 Da segnalare infine che le ubicazioni dei vari Gherardesca ed in altro manoscritto del 1132 è castelli indicati nella cartina geografica non pre- pure citata come Signoria comune fra i Gherarde- 7 tendono di essere assolutamente esatte, poiché sca medesimi e i Cadolingi . L’ubicazione del ca- talvolta i casseri, distrutti da un qualche attacco stello potrebbe coincidere con Asciano, alle falde nemico, anche se vennero riedificati, come nel ca- orientali del Monte Pisano, nei cui pressi è situato so di Bolgheri, lo furono in posizione diversa da Vicascio, un tempo detto Vico d’Asci. quella originaria. Per poter oggi localizzare l’anti- BARBIALLA. → Scopeto. co sito delle roccheforti andate distrutte, occorre BELLORA. Un tempo ubicato nella Val di Ceci- spesso riferirsi a toponimi che si riscontrano fre- na inferiore, non distante dalle rocche di Casaglia quentemente in Toscana e che suonano, ad esem- e Buveclo. Oggi non ne rimane alcuna traccia. Nel pio, come: «il castellare», il «colle del castelluc- 1117 Ermingarda, vedova del conte Ugo, donò al- cio», il «poggio della rocca» o simili. la Mensa di Pisa le proprie quote della rocca in ACQUAFREDDA. Fu uno dei castelli che i Ghe- parola, come pure quelle di Buveclo, ricevute in rardesca costruirono e dominarono in Sardegna e «margincap» dal consorte8. Nel 1121 anche il che persero nel 1326, dopo la pace fra Pisa e il re conte Gherardo di Gherardo, vendette all’arcive- Giacomo II d’Aragona. Le rovine della roccaforte scovo di Pisa la propria parte dei predetti due ca- sono ancora ben visibili sulla vetta di un’altura a stelli9. forma di pan di zucchero, che si erge ai margini BIBBONA. Di questa roccaforte, situata all’im- occidentali del Campidano di Cagliari. bocco di una delle vallate che dal litorale di Ceci- ACQUAVIVA. È menzionato nel 1004 nell’atto di na conducono verso Volterra, rimangono oggi solo fondazione del monastero di S. Maria di Serena alcune mura ed un tozzo torrione. F. Schneider10 ed in un altro manoscritto del 1109 con cui il con- riporta che, dopo l’anno 840, questo cassero fu

3 BERTINI, Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, cit., vol. IV, p. 46. 4 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 69; e NANNIPIERI D’ALESSANDRO, op. cit., doc. 89. 5 REPETTI, op. cit., vol. V, p. 150. 6 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 145. 7 AF, f. 98, a. 1132 e f. 99, a. 1132. 8 AF, f. 95, nn. 1 e 13, a. 1117; e ROSSETTI, Pisa nei secoli XI e XII, cit., p. 37, n. 282. 9 AF, f. 150, n. 30. 10 SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico della Toscana medievale, cit. Appendice 207

Signoria dei Gherardesca. Nell’Alto Medio Evo, S. Vincenzo, in provincia di Livorno. Il territorio infatti questa località era inglobata nella cosidetta attorno alla rocca rimase in parte ai Gherardesca «terra tedicinga» che si estendeva, approssimati- anche dopo l’estinzione del loro ramo familiare di vamente, da Collesalvetti, a nord, al fiume Ceci- Biserno. na, a sud. Successivamente il dominio passò al ve- BOLGHERI. Situato a sud di Cecina e collocato scovo di Lucca; un documento, conservato su un modesto rilievo, fu probabilmente un anti- nell’AAP, segnala che nell’XI secolo il conte Ugo co «castrum» romano successivamente trasforma- e suo figlio Tedice ricevettero nuovamente Bibbo- to dai longobardi in una «gariganga»15 per merce- na in enfiteusi. Nel 1117 questa rocca è ancora nari bulgari. Da tale ipotesi è dunque possibile menzionata fra i possedimenti dei Gherardesca11. che sia proceduta la denominazione di questo ca- Nel 1156 i fratelli Gherardo e Ranieri della Ghe- stello che ancor oggi esiste in versione profonda- rardesca cedettero quanto loro apparteneva in mente ristrutturata. Bolgheri fu fra i domini degli Bibbona al vescovo di Volterra12. Nel 1395 i Ghe- eredi di S. Walfredo, ma, per breve periodo nella rardesca, che avevano rioccupato la rocca ormai seconda metà dell’VIII secolo, fu usurpato da Al- divenuta da tempo dominio pisano, la restituiro- lone, duca longobardo di Lucca, che lo ribattezzò no a Iacopo d’Appiano, signore di Pisa13, ma nel «Sala di Allone». Per diretto intervento di papa 1405 se la fecero abusivamente riassegnare dalla Adriano I, Carlo Magno restituì Bolgheri a Gun- Repubblica Fiorentina nelle «Capitolazioni in Ac- fredo, figlio di S. Walfredo nonché secondo abate comandigia» sottoscritte fra quest’ultima e la ca- del monastero di S. Pietro in Palazzuolo, presso sata comitale. Comunque pochi anni dopo tale e- Monteverdi16. Il castello vero e proprio dovrebbe vento, Bibbona non figurava già più fra i possessi essere stato costruito dai Gherardesca attorno al della famiglia. 1000; in un’epoca di poco successiva, il monaste- BISENZIO. Castello ubicato sulla sponda occi- ro di S. Maria di Serena vi vantava infatti propri dentale del lago di Bolsena, di fronte all’isola Bi- possedimenti17. Nel 1128, in concomitanza con u- sentina. Oggi ne rimangono solo alcuni ruderi. na delle innumeri guerre fra Pisa e Lucca, Bolghe- Apparteneva ai Gherardesca già nel 1002 e nel ri venne assediato e conquistato dal margravio 1004 figura nell’atto di fondazione del monastero Corrado, rappresentante in Tuscia del potere im- di S. Maria di Serena, fra i tanti beni che Gherar- periale ed alleato di Lucca. In tale frangente alcu- do 2°, conte di Frosini, assegnò al convento da lui ni Gherardesca furono fatti prigionieri e reclusi in fondato [doc. 2]. una torre presso Siena18. Incendiato da truppe BISERNO. Rocca antichissima, oggi del tutto fiorentine nel 1393, allorché stava ormai per con- scomparsa, eretta fra i monti che furono detti cludersi il secolare contrasto fra Pisa e Firenze, «della Gherardesca». Identificò uno dei rami del- venne poi definitivamente raso al suolo nel 1496 la casata comitale. Se ne hanno notizie già dal- ad opera di soldatesche germaniche al soldo l’801 da un atto che fu redatto in tale rocca14. Nel dell’imperatore Massimiliano I d’Asburgo. Il ca- 1004 è menzionata nell’atto di fondazione del mo- stello fu successivamente riedificato, forse un po- nastero di S. Maria di Serena. Nel 1296 e poi nel co più a monte della sua originaria collocazione 1304, subì pesanti assedi da parte della Repubbli- (riconducibile al non lontano toponimo detto og- ca Pisana e, forse, anche da parte dei conti di Do- gi «Castelvecchio»), ma i lavori per la sua rico- noratico, alleati di Pisa. Non risulta se la rocca struzione, avviata ai primi del Millecinquecento, si venne distrutta dopo l’assedio del 1304, né oggi se protrassero a lungo e procedettero in più fasi suc- ne conosce con esattezza l’originaria ubicazione cessive, per concludersi alla fine del Milleottocen- da individuarsi peraltro fra le alture ad oriente di to nell’attuale veste neogotica.

11 ROSSETTI, op. cit., p. 37, n. 282. 12 Archivio Generale di Volterra. 13 AF, f. 102, n. 11. 14 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 328. 15 La gariganga, da wergango e cioè straniero, era un istituto fondiario longobardo, sviluppato in particolar modo nel di- stretto pisano, con il quale, a scopo di difesa e non a titolo ereditario, alcune terre coltivabili venivano assegnate ad alleati stranieri che si fossero distinti in guerra e, per la loro affidabilità, fossero quindi meritevoli di una ricompensa. 16 Codex Carolinus, docc. 51, 57 e 58. 17 Appendice, doc. 3. 18 DAVIDSOHN, op. cit., vol. I, p. 601. 208 I della Gherardesca

BUVECLO o BOVECCHIO. Di questa rocca, ubi- quale ella, nel 1099, ingiunse a detto conte Guido cata nella Val di Cecina inferiore poco distante da di restituire la rocca al vescovo di Lucca che ne ri- quella di Casaglia, non rimangono oggi nemmeno sultava il legittimo proprietario 24. le rovine19. CASAGLIA. Rocca eretta a nord di Montescu- CAMPETROSO. Sito nella vallata della Cornia, daio, su di un’altura lungo la riva destra del fiume fra i fiumiciattoli Pecora e Milia, nella località det- Cecina. Fu Signoria dei Gherardesca da tempi ta «Castello», ad est dell’odierno Capetroso20. immemorabili e come tale è citata in molti docu- Nel 1040 risultava in possesso dell’Abbazia di menti, fra i quali quello della Capitolazioni in Ac- Monteverdi, ma nel corso del XIII secolo il domi- comandigia del 140525. Nel trattato in parola si nio del convento si sfaldò. Campetroso è infatti precisa anzi che, a quell’epoca, Casaglia non era menzionato in una sentenza del 1283 pronunziata più fortificata. Oggi la rocca è stata ristrutturata a Pisa in favore di Paganello, Gualando e Pelluc- in villa signorile. cio, conti di Castagneto, per la quale vennero ad CASALAPPI. Castello ubicato presso il fiume essi restituite sette parti del castello medesimo che Cornia, su di una altura (forse quella detta oggi era invece reclamato dal comune di Massa Marit- Poggio Castellaccia) non distante dalla località 21 tima . Da questo fatto si potrebbe evincere l’anti- che tutt’ora ne conserva il nome; viene citato nel ca originaria Signoria dei Gherardesca. Ulteriori 1055 come usurpato dal conte Tedice 2°. Succes- notizie su Campetroso, datate 1296, si rintraccia- sivamente il conte Ugo, figlio di detto Tedice, ri- no nel Regesto Passerini, citato alle pp. 77 e 78 nunziò, nel 1101, ai suoi diritti sul castello in favo- della Difesa del dominio dei conti Gherardesca di re dell’abate della Badia di Sestinga26. Nel 1109, M. Maccioni. lo stesso conte Ugo vendette la «curte» di Casa- CAMPIGLIA. Collocato sulle ultime alture verso lappi, a Rangerio, vescovo di Lucca. Oggi di que- mare che dominano la vallata della Cornia, questo sta roccaforte non esistono nemmeno i ruderi. castello è citato come Signoria dei Gherardesca CASALE. Castello collocato a nord di quello di nel 1004 nell’atto di fondazione del monastero di Bibbona, con cui sbarrava la medesima vallata S. Maria di Serena. È ricordato, successivamente, verso Volterra. Di antichissima Signoria dei Ghe- in un contratto di vendita fatto dal conte Ilde- rardesca, fu già menzionato nel 1004 nell’atto di brandino di Biserno e da sua moglie Matilde Lan- fondazione del monastero di S. Maria di Serena. 22 franchi . Un ramo dei Gherardesca si richiamò al Da una lettera di Filippo Belforti, vescovo di Vol- titolo di «conti di Campiglia» fra il XIII ed il XV terra, indirizzata nel 1344 al conte Bernabò di secolo. Donoratico, che si trovava in Sardegna, si appren- CAMPORBIANO. Situato fra Volterra e Castelfal- de che Gherardo, fratello di detto Bernabò, si tro- fi, questo castello fu di originaria Signoria dei Ca- vava malato nel suo castello di Casale. Nel 1405 la dolingi e probabilmente pervenne ai Gherardesca Repubblica Fiorentina riconobbe questo castello quale dote di Adelagita, figlia del conte Cadolo, fra i domini dei Gherardesca. Pochi decenni dopo andata sposa al conte Tedice 2°. Il castello è men- esso fu però smantellato, forse a seguito di una ri- zionato in un manoscritto del 102823. bellione dei conti. Oggi ne rimangono solo alcune tracce alla sommità del pittoresco borgo medieva- CAPANNOLI. Roccaforte ubicata nella Val d’Era le di Casale Marittimo. vicino all’attuale paese che ancor oggi ne conserva il nome. Per qualche tempo fu dominata da Gui- CASTELL’ANSELMO. Rocca ubicata presso Par- do 2°, conte di Forcoli, come ci conferma un rana fra i monti livornesi. Fu rasa al suolo dai fio- «placito» della contessa Matilde di Toscana, con il rentini nel 1432 per punirne gli abitanti che si era-

19 Per altre notizie sul castello, si rinvia a quanto già detto per quello di Bellora ed a ciò che riporta REPETTI, op. cit., alla voce Bovecchio. 20 MONTE DEI PASCHI DI SIENA, I castelli del Senese, Electa Editrice, Venezia s.a., 34. 2. 21 ASP, Pergamena Colletti. 22 AF, f. 95, n. 1, a. 1240; e CATUREGLI, op. cit., doc. 371. 23 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 113. 24 BERTINI, op. cit., vol. IV, Raccolta di documenti, p. 6, doc. III. 25 Appendice, doc. 5. 26 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 192. Appendice 209 no ribellati alla repubblica in occasione della di- cui i Gherardesca e i Cadolingi. Secondo il Repet- scesa in Toscana del visconteo capitano di ventura ti i primi vendettero la loro quota di possesso nel chiamato il Piccinino. Anche se non vi sono preci- 1139. se prove documentali, è possibile che, attorno al CASTELLO NOVO. Questa roccaforte, citata an- 1000, questa roccaforte fosse Signoria dei Gherar- che nel 1004 nell’atto di fondazione del monastero desca che nelle vicinanze possedevano beni in di S. Maria di Serena, dovrebbe corrispondere Parrana e non lontano vari castelli come quelli di all’attuale Castelnuovo della Misericordia, ubicato Monte Massimo, Planzano e . Il documen- fra i monti livornesi del Gabbro, e dominato, un to del 1101, infatti, ricordato per le voci di Casa- tempo, dal conte Fazio Novello della Gherarde- lappi e Vicinatico, cita anche un Monte Anselmo. sca, signore di Pisa. Egli infatti lasciò per testa- Del resto un documento del 1121 ci segnala che mento alla Pia Misericordia pisana, le proprietà proprio in Castell’Anselmo, il conte Gherardo, di che aveva in Camaiano e un documento del 104129 Gherardo, procedette alla vendita delle sue quote 27 riporta testualmente: «castello de Camaiano qui di posseso dei castelli di Belora e Buveclo . dicitur novo». Altri invece identificano questo ca- CASALGIUSTRI. Ubicato in località Linaglia, nel- stello con Castelnuovo Val di Cecina; che il casse- la Val di Cecina inferiore, non ne rimangono oggi ro potesse essere ubicato in territorio volterrano, nemmeno le rovine. È citato come «castrum» in lo confermerebbe un documento del 1213, a firma un documento del 117728. Stante la sua colloca- di Rinaldo, figlio di Alberto conte di Segalari30. zione in pianura, era forse destinato a difendere il CASTIGLIONCELLO. Forse denominato un tem- guado principale del Cecina. Le Capitolazione in po «Oliveto»31, è tuttora collocato sulla vetta di un Accomandigia del 1405 ci dicano che, all’epoca, alto colle a sud est di Bolgheri. Fu Signoria dei era ancora dei Gherardesca, ma che non era più Gherardesca sin dal X secolo32. Ai primi del Mille- fortificato. quattrocento il castello fu acquistato dai Soderini CASTAGNETO. Antichissimo cassero collocato, a di Firenze, che si erano imparentati con i Gherar- sud di Cecina, su di un’altura non distante sia dal desca stessi. Poi il cassero passò nelle mani dei castello di Donoratico che da quello di Segalari. Pannocchieschi della Sassetta, quindi in quelle de- Da tempi immemorabili fu Signoria dei Gherar- gli Incontri di Volterra ed infine, nel 1801, tornò desca che ne sono ancor oggi i proprietari. Dall’o- in possesso dei Gherardesca. A seguito del matri- riginario bastione difensivo fu ricavato, alcuni se- monio di Clarice della Gherardesca con il marche- coli or sono, l’attuale «palazzo baronale», come lo se Mario Incisa della Rocchetta, oggi il castello è definisce il Repetti nella sua opera più volte men- divenuto proprietà di quest’ultima famiglia. zionata. Nell’atto di fondazione, nel 754, del mo- CASTIGLION MONDIGLIO. Ubicato lungo l’at- nastero di S. Pietro in Palazzuolo, S. Walfredo tuale litorale livornese, a nord di Rosignano, è og- donò al suo convento anche suoi beni siti in Ca- gi conosciuto come Castiglioncello (da non stagneto. Uno dei rami dei Gherardesca si fregiò confondersi con l’omonimo castello prima men- del titolo di «conti di Castagneto». zionato). Giovanna, figlia del conte Arrigo, ebbe CASTELFALFI. Situato nel distretto Volterrano, questo castello in dote quando, attorno al 1328, nell’alta Val d’Era, questo castello tuttora esisten- andò sposa a Gherardo degli Upezzinghi33. Il ca- te, anche se ampiamente ristrutturato, fu citato stello poi rientrò fra i domini dei Gherardesca34 nel 754 nell’atto di fondazione del monastero di ed è infatti citato nelle Capitolazioni in Accoman- S. Pietro in Palazzuolo. A quanto pare fu Signoria digia del 1405, che ci fanno sapere, fra l’altro, che comune di varie casate di origine longobarda fra non si trattava più di una roccaforte.

27 CATUREGLI, op. cit., doc. 291. 28 Archivio del convento di S. Paolo all’Orto di Pisa. 29 NANNIPIERI D’ALESSANDRO, op. cit., p. 109, doc. 41. 30 AF, f. 99, a. 1213. 31 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 590. 32 ASF, Carte di Vallombrosa. 33 MACCIONI, op. cit., pp. 79-81 [Sommario]; E. CRISTIANI, Per l’accertamento dei più antichi documenti riguardanti i conti della Gherardesca, in «Bollettino Storico Pisano», XXIV-XXV, p. 16. 34 Forse il reintegro nel dominio dei Gherardesca avvenne in osservanza ai dettami della legge longobarda in materia di doti matrimoniali. 210 I della Gherardesca

CAUCICCIO oCUCICCIO. È citato in vari docu- tributi della pieve di detta località furono dati in menti35 ma non è facile localizzarlo. Unica labile enfiteusi ai conti della Gherardesca dai vescovi di traccia di un tale bizzarro toponimo, forse la for- Lucca e furono poi rilasciati liberi al vescovo Ran- nisce il documento n. 98 dell’anno 1024 riportato gerio dal conte Ugo il 18 settembre 1109. da N. Caturegli nel suo «Regesto della chiesa pi- CUCCARI oMONTECUCCARI. Di questa rocca, u- sana», in cui si menziona la località di «Casiscio». bicata in Val d’Era non distante da Fabrica, non CHIUSDINO. Questo castello parrebbe risultare rimane oggi traccia alcuna. Nella prima metà del di dominio dei Gherardesca quando, nel 1133, si XII secolo una porzione del possesso di questo stipulò la pace fra Crescenzo, vescovo di Volterra, castello passò forse ai Pannocchieschi che la rice- e Gena Visconti, vedova del conte Ugolino di vettero quale apporto dotale di Adelasia, figlia di Forcoli, la quale interveniva nell’atto in nome dei Ugolino conte di Forcoli, andata sposa a Lotario suoi quattro figli minori e degli altri componenti Pannocchieschi42. Peraltro nel 1177 parte della della casata comitale36. Da ricordare del resto che rocca risultava ancora dei fratelli conti Gherardo nelle immediate vicinanze la casata comitale do- e Ranieri, figli di Gherardo, che ne fecero dona- minava o aveva dominato i castelli di Miranduolo zione al monastero di S. Felice in Vada43. Monte- e di Serena. cuccari è citato nuovamente in un documento del 44 COLCARELLI. Rocca situata, fra la Val d’Era e la 1293 . Val d’Arno inferiore, forse sulla vetta del poggio CUMULO. Rocca ubicata non distante da S. Mi- 37 S. Lucia presso S. Gervasio . Fu Signoria con- niato, al disopra della valletta del torrente Chieci- 38 giunta dei Cadolingi e dei Gherardesca . In que- nella45. Viene citata sia nel 1004 nell’atto di fon- sto castello fu redatto il documento con il quale il dazione del monastero di S. Maria di Serena che conte Ranieri, figlio di Guido 2°, e sua moglie A- nel 1022 nell’atto di fondazione del monastero di delasia cedettero all’arcivescovo di Pisa il castello S. Giustiniano di Falesia46. Il dominio dei Gherar- di Ricavo, ubicato poco distante. Colcarelli è an- desca su tale roccaforte non fu peraltro privo di che citato in un manoscritto del 1121 con il quale contrasti, se è vero che la contessa Matilde di To- fu raggiunto un accordo fra il precitato conte Ra- scana, con un suo «placito» del 1100, dovette in- 39 nieri ed Attone, vescovo di Lucca . giungere ai conti Gherardo e Ugone, figli di Tedi- COLLEGARLI oCOLLECHARLI. Dovrebbe trat- ce 1°, di restituire al convento di S. Maria di Sere- tarsi dell’odierno Collegalli, situato nei pressi di na la metà del castello da essi usurpata47. Barbialla, nella Val d’Egola. Viene citato in un at- DONORATICO. Castello ubicato poco a sud di to del 1123 con il quale il conte Ranieri, già ricor- Castagneto. Fu Signoria dei Gherardesca da tempi dato per Colcarelli, giura al vescovo Benedetto di immemorabili e fu sempre considerato la dimora Lucca che, nel caso di vendita o pegno della roc- comune principale di tutta la casata comitale che, ca, egli, prima di altri, si sarebbe rivolto al vesco- 40 in origine, venne infatti conosciuta come quella dei vo stesso . «conti di Donoratico». La grande fortezza venne . Non è chiaro se si trattasse di un probabilmente eretta fra il X e l’XI secolo e si con- castello. Il Repetti41, parlando di Corazzano (già servò intatta fino al 1447 o 1448 quando, a seguito Quaratiana), racconta che dopo il 1000 i beni e i di una ribellione a Firenze del conte Fazio della

35 AF, f. 95, n. 2, a. 1053, e f. 150, n. 11. 36 MACCIONI, op. cit.,pp. 29-31 [Sommario]. 37 Appendice, inserto 1, alla voce Uerriana. 38 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 764; PIERI, Toponomastica del Val d’Arno, cit. 39 CATUREGLI, op. cit., doc. 292. 40 AAL, AD 73 e 74. 41 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 796. 42 Atto redatto nel 1147 nel castello di Montecuccari e sottoscritto dal conte Lotario Pannocchieschi e da sua moglie A- delasia. 43 MACCIONI, op. cit., pp. 37-38 [Sommario]; e AF, f. 150, n. 36, a. 1177. 44 AF, f. 155, n. 16. 45 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 837. 46 CATUREGLI, op. cit., docc. 77 e 94; e Appendice, docc. 2 e 4. 47 F.M. FIORENTINI, Memorie della gran contessa Matilde, Giuntini, Lucca 1756. Appendice 211

Gherardesca (e forse anche di altri suoi congiunti) nastero di S. Maria di Serena, nel manoscritto si venne rasa al suolo da truppe fiorentine. Oggi di qualificò quale conte di Frosini. Molti documenti questo castello e del borgo che gli si era arroccato menzionano questo castello. Di particolare inte- attorno, rimangono solo il troncone di una delle resse è quello del 1133, con il quale fu sancita la torri, un grande portale di accesso a quello che era pace fra Crescenzo Pannocchieschi, vescovo di stato il fabbricato principale, una delle porte della Volterra e i Gherardesca. Nel 1186 i conti di Fro- prima cinta muraria e tracce delle cinte murarie sini si sottomisero al comune di Siena. Essi sono stesse che apparirebbero essere state più d’una. poi ricordati anche in un documento del 1204 All’esterno di queste, è ancora visibile la facciata conservato presso l’ASS. Altro manoscritto del della chiesetta del castello, rimasta incorporata in 124351 accenna ad una controversia fra un Ghe- un edificio rurale ristrutturato ora in albergo. rardo, conte di Frosini, e i conti Ranieri e Ilde- brandino, fratelli fra di loro e figli di altro Ranieri. FORCOLI. Detto nell’antichità «castrum de Fur- culae», ebbe probabilmente origini romane. Il ca- GERMAGNANA. Questa rocca venne donata, nel stello, certamente eretto più in alto rispetto al ca- 1101, alla canonica di Volterra da un conte Ugo52. strum, risultò in ottima posizione strategica, tro- In quell’epoca, tale nominativo è rintracciabile sia vandosi allo sbocco della Val d’Era nella Val nella genealogia dei Gherardesca, conti di Suvere- d’Arno. Fu a lungo dominato dai Gherardesca, to, che in quella dei Cadolingi, ma, in quest’ulti- un ramo dei quali si fregiò del titolo di «conti di mo caso dovrebbe trattarsi di Ugo, figlio di Uguc- Forcoli». Nel 1123 e nel 1137 parte della roc- cione, e non già di Ugo come riportato nel docu- caforte e del borgo furono acquistati dagli arcive- mento. L’ubicazione del castello potrebbe essere scovi di Pisa dal conte Guido 3°, detto Malapar- individuata nei pressi di una località omonima a te, e da sua moglie Galliana da Uzzano48. Nel sud di Montaione, nel volterrano. 1141, anche il conte Ermanetto, figlio di detto GIOIOSA GUARDIA. Denominato oggi Villamas- conte Guido, cedette la propria parte del castello sargia, fu uno dei tre castelli che i Gherardesca e- e nel 1182 il conte Gherardo di Ranieri vendette ressero e dominarono nella loro zona d’influenza 49 definitivamente anche la sua quota . L’originaria in Sardegna e fu forse l’unico di essi che rimase in fortezza, secondo quanto dice il Repetti, è stata loro possesso dopo la pace del 1326 con re Giaco- poi riattata in quella bella villa signorile che fu mo II d’Aragona. Della rocca rimangono ancor dei Niccolai Gamba Castelli. Considerato peral- oggi le rovine. tro che era presupposto di ogni apprestamento 53 difensivo dell’Alto Medio Evo di trovarsi colloca- GIUCIANO. È citato dal Caturegli . Se fosse ac- 54 to in modo da risultare in vista con altre roc- costabile al toponimo «Iuniano» , potrebbe esse- cheforti collegate (Colcarelli, Ricavo, Marti, ecc.), re identificato con Iuniano, presso Roselle, nel 55 è più probabile che quella che fu la rocca Ghe- grossetano , distretto nel quale i Gherardesca eb- rardesca di Forcoli, si trovasse ubicata più in alto bero domini attorno al 1000, come ci conferma di detta villa, e più precisamente nel sovrastante l’atto di fondazione di S. Maria di Serena. Fra Ri- paese di . bolla e Civitella Paganico esiste tutt’oggi il «moli- no di Giugnano». FROSINI. Castello trasformato oggi in villa; è u- bicato nel senese ad uno degli imbocchi alla Val GONNESA. Fu il terzo dei castelli Gherardesca di Merse. Del primitivo complesso rimane solo u- in Sardegna. Era ubicato a sud di Villa di Chiesa, na torre al centro del fabbricato, una base a scar- detta oggi Iglesias, dove ancor ora essite il paese pa ad una delle cantonate ed ampi tratti del muro omonimo. esterno che sovrasta la scarpata50. Quando Ghe- GUALDA o GUALDO. Localizzabile forse sul rardo 2° della Gherardesca fondò nel 1004 il mo- «poggio del castelluccio», nei pressi dei due po-

48 CATUREGLI, op. cit., docc. 303 e 363. 49 CATUREGLI, op. cit., docc. 379 e 558. 50 MONTE DEI PASCHI DI SIENA, op. cit., 16. 4. 51 ASF, Carte di S. Agostino di Siena. 52 AF, f. 98, a. 1108, e Carte di S. Ottaviano di Volterra. 53 CATUREGLI, op. cit., doc. 218. 54 PIERI, Toponomastica della Toscana meridionale, cit., p. 110. 55 Acta Pontif. Romanorum Inedita, J. von Pflugk, Tübingen 1881-88, parte II, p. 309. 212 I della Gherardesca deri «Gualda di sopra» e «Gualda di sotto», lun- rardesca e dei Cadolingi. Il Repetti, nella sua ope- go la strada collinare che da Sassetta conduce a ra più volte citata, dice che, dopo il 1100, appar- Monteverdi. Ugo, figlio di Rodolfo 2°, conte di tenne ai Cadolingi e, alla loro estinzione avvenuta Suvereto, vendette questa rocca nel 1053 al mona- pochi decenni dopo, passò agli Upezzinghi. Non stero di S. Pietro in Palazzuolo56. è da escludersi che la rocca sia pervenuta ai Cado- lingi quale dote di Adelasia, figlia del conte Gui- GUARDISTALLO. Denominazione che deriva for- do di Forcoli, quando essa, secondo il Litta, sposò se dal longobardico «werdem stabulum», che si- Ugone Cadolingi, il quale poi, in seconde nozze, gnificava «residenza di guardia». Questo castello, si unirà con Cecilia Upezzinghi. ubicato sulle alture ad est di Cecina, fu dei Ghe- rardesca da tempi immemorabili. Nel 1155 i conti MEGRANO. È citato nel 1004 nell’atto di fonda- Gherardo e Ranieri, donarono a Galgano, vesco- zione del monastero di S. Maria di Serena e do- vo di Volterra, una porzione dei loro beni nel di- vrebbe coincidere con il castelletto di Mengrano si- 60 stretto di Guardistallo57. Altro documento del to in Val d’Egola dove i Della Gherardesca domi- 1160 cita ancora Guardistallo e i predetti due fra- narono molte altre roccheforti. Potrebbe peraltro 61 telli Gherardesca. Il castello fu tolto alla famiglia corrispondere anche al toponimo «Melagrano» comitale con la firma delle Capitolazioni in Acco- individuabile sia presso Chiusi che presso Sartea- mandigia del 1405, ma, attorno al 1447, fu da essa no; entrambi dette località, site nel distretto senese, riconquistato, con l’aiuto delle truppe di re Alfon- non risultano troppo lontane da quel castello di Bi- so V d’Aragona. Dopo che la roccaforte venne ri- senzio che il conte di Frosini, Gherardo 2°, donò al presa dalla repubblica gigliata, i Dieci di Balia ne precitato convento da lui fondato. deliberarono lo smantellamento nel 1448. Oggi di MELE. Situato sulle alture a nord ovest di Vol- essa, nell’omonimo paese, rimangono solo alcune terra, potrebbe coincidere con l’odierno castello vestigia in via di Castello. di Miemo, che sorge nei pressi del colle delle Me- le. È citato in un documento del 1177 con il quale LAIATICO. Situato, poco distante da Volterra, i conti Gherardo e Ranieri, già varie volte menzio- quasi all’inizio della Val d’Era, è menzionato qua- nati, effettuarono alcune donazioni al monastero le dominio dei Gherardesca dallo Schneider58. di S. Felice in Vada62. → LAVAIANO. Vajano. MIRANDUOLO. Rocca eretta alla confluenza di LECCIA. Rocca situata in alta Val di Cornia, non due piccoli torrenti sulla destra del fiume Merse, distante da Serazzano. Ghisla, vedova di un conte in un bosco detto Costa Castagnoli. Ne rimango- di Suvereto, era signora di tale castello quando, no oggi solo alcuni ruderi63. Era già Signoria dei con il consenso del figlio Uguccione, lo donò Gherardesca nel 1004 quando Gherardo 2° fondò all’Abbazia di Monteverdi il 20 gennaio 110559. il non lontano monastero di S. Maria di Serena. Nel 1178, il conte Tedice, figlio di Ugolino conte LUCAGNANO. Dovrebbe coincidere con l’omo- di Forcoli, donò il castello al comune di Siena64; nima località del pisano, ubicata fra e altro documento del medesimo anno riporta che Capannoli. Un conte Gherardo di Donoratico il predetto conte Tedice fece donazione al mona- vendette questo castello con atto redatto, il 29 a- stero di Serena della propria metà di tale cassero; gosto 1121, in Castell’Anselmo, presso Parrana. la donazione fu convalidata nel 1187 da papa Ur- MARTI o MARTA. Viene citato nel 1004 nell’atto bano III. Nel 119365, Ildebrandino, vescovo di di fondazione del monastero di S. Maria di Sere- Volterra, giura di restituire ad Ugolino, conte di na. Ubicato in Val d’Arno, ad ovest di S. Miniato, Strido, quanto i suoi avi avevano posseduto in Mi- questo castello fu forse Signoria comune dei Ghe- randuolo, che, se il conte voleva, poteva anche es-

56 AF, f. 95, n. 13, a. 1053; e TARGIONI TOZZETTI, op. cit., vol. IV, p. 204. 57 AGV. 58 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 145. 59 REPETTI, op. cit., vol. II, pp. 668-69. 60 PIERI, Toponomastica della Val d’Arno, cit., p. 242. 61 PIERI, Toponomastica della Toscana meridionale, cit. 62 MACCIONI, op. cit., pp. 37-38 [Sommario]. 63 MONTE DEI PASCHI DI SIENA, op. cit., 16. 6. 64 SCHNEIDER, Regestum Senese, cit., doc. 286. 65 SCHNEIDER, Regestum Senese, cit., doc. 364. Appendice 213 sere riedificato. Nel 1202, Ugolino, conte di For- quelli che furono detti «monti della Gherarde- coli, s’impegnò a non cedere i propri diritti su Mi- sca». È citata, nel 1004, nell’atto di fondazione del randuolo senza il preventivo assenso del comune monastero di S. Maria di Serena. di Siena66. Un documento della comunità di MONTECASTELLO. Antica rocca situata fra il Montieri riporta che, nel 1257, il conte Ildebran- torrente Cecinella e l’Era. Secondo la Pescaglini dino, figlio di Ranieri, vendette la terza parte dei Monti questo fortilizio era dominato dai Gherar- possedimenti suoi e di suo fratello Ranieri, fra cui 67 desca. La notizia non troverebbe peraltro confer- le «argentiere» situate presso Miranduolo . ma da parte di altri ricercatori storici, sempre, MITIANO. Può identificarsi con una località o- ben inteso, che il toponimo non abbia subito me- monima citata in un documento del 94768, ubica- tamorfosi nei secoli. ta nei pressi dell’odierno Vignale nel distretto vol- MONTECUCCARI. Vedere Cuccari. terrano. Questo castello è elencato fra quelli che il conte Gherardo 2° donò al monastero di S. Maria MONTEMASSIMO. Castello un tempo situato su di Serena. di una propaggine settentrionale dei monti livor- nesi, non distante da Limone75; corrisponde forse MONTEBICCHIERI. Forse denominato antica- all’odierno Monte Masso, sito in quei paraggi. Il mente Vetrugnano69. È ubicato poco distante da S. cassero doveva sorgere non troppo lontano dalla Miniato, sulla sommità di un’altura che, da un lato, rocca di Planzano della quale parleremo fra bre- domina la Val d’Egola e, dall’altro, la valletta del ve. Montemassimo è citato in un atto di vendita, torrente Chiecina. Nel 1022, in questo castello fu redatto a Parrana, dai fratelli Gherardesca, conti redatto il documento con il quale sei fratelli Ghe- Ranieri e Guido, detto Malaparte76. rardesca fondarono il monastero di S. Giustiniano MONTE S. LORENZO. Castello nel distretto di di Falesia, presso Piombino70. Montebicchieri, o Massa Marittima, situato non lontano da quello di Vetrugnano che dir si voglia, fu a lungo conteso fra Campetroso. Fu dominio dei Gherardesca77. Un i Gherardesca ed il comune di S. Miniato. G. Villa- documento del 1315 riporta che in quell’anno il ni, nella sua Cronaca71, cita un primo accordo fra le conte Tige di Donoratico riacquistò una terza parti nel 119872 ed un secondo nel 1211. Nel 1261, parte di questo castello dai Della Rocca. il comune di S. Miniato fu costretto a restituire an- cora una volta ai Gherardesca i diritti su tale ca- MONTESCUDAIO. La denominazione di questa stello che i fiorentini avevano invece unilateral- roccaforte può derivare da «monte dello schuld- mente assegnati ai sanminiatesi. Poco più tardi heis»; lo schuldheis o sculdascio era un funziona- però la roccaforte passò definitivamente sotto il rio minore dell’ordinamento pubblico longobar- controllo del summenzionato comune. do. Situata non lontano da Guardistallo, fu Signo- ria dei Gherardesca da tempi immemorabili ed u- MONTEBURLI. Rocca segnalata in Val di Cornia, no dei rami della casata si richiamò al titolo di presso Cornino, detta anche Monte Buruli73 e do- «conti di Montescudaio e Guardistallo». Nel 1091, minata dai Della Gherardesca74. il conte Gherardo 5° fondò a Montescudaio il con- MONTECALVO. Rocca situata poco distante da vento di S. Maria per monache benedettine, che e- quella di Acquaviva; era probabilmente eretta sul- siste ancor oggi ma che ora è delle Piccole Suore l’altura che ancor oggi è denominata Monte Calvi, Missionarie di Livorno. Vari documenti attestano ubicata fra Castagneto e Campiglia Marittima, in la continuità della Signoria dei Gherardesca78 fino

66 SCHNEIDER, Regestum Senese, cit., doc. 410. 67 TARGIONI TOZZETTI, op. cit., vol. I, p. 44. 68 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 27. 69 DAVIDSOHN, op. cit., vol. I, p. 783. 70 CATUREGLI, op. cit., doc. 94; e Appendice, doc. 4. 71 G. VILLANI, Cronica, B. Zanetti, Venezia 1537, col. V-27 [Rizzoli, Milano 1935]. 72 Documento conservato fra le carte della Certosa pisana di Calci. 73 BARSOCCHINI, Memorie e documenti per servire all’Istoria del Ducato di Lucca, cit., t. V, p. II, doc. 919. 74 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 145. 75 REPETTI, op. cit., vol. III, p. 432. 76 CATUREGLI, op. cit., doc. 234. 77 CATUREGLI, op. cit., doc. 371 e AF, f. 95, a. 1240. 78 ASF, Carte del monastero di S. Lorenzo alla Rivolta di Pisa. 214 I della Gherardesca alle Capitolazioni in Accomandigia del 1405. Do- svolta da Fazio Novello onde far sì che l’antipapa po tale trattato, Montescudaio subì le vicende e la Niccolò V facesse atto di sottomissione al legitti- sorte del vicino castello di Guardistallo. mo pontefice. Il Gherardesca, alla propria morte, restituì per testamento alla Chiesa detto castello86. MONTEVASO. Situata a cavallo delle valli dello Sterza, affluente dell’Era, e del Fine79, questa roc- PIETRACASSA. Situato presso , in Val ca era ubicata poco distante da quelle di Strido e d’Era. Per questo castello vale quanto detto per di Mele. È citata dal Muratori80 sulla base di un quello di Camporbiano. manoscritto del 1156, che riporta la vendita fatta PIETRAROSSA. Piccola rocca ubicata sulle alture di tale cassero dal conte Walfredo, figlio di Enrico 81 sovrastanti il castello di Donoratico, non distante di Donoratico, all’arcivescovo di Pisa . dalla rocca di Montecalvo. Un fabbricato agricolo MONTIERI. Questo castello, collocato ad ovest semidistrutto ne conserva ancor oggi la denomi- di Chiusdino nell’antico distretto volterrano, al nazione. Fu dominio dei Gherardesca da tempi principio del XII secolo risultava dominio del ve- remotissimi. Alcuni membri della casata si fregia- scovo di Volterra. Precedentemente però vi aveva- rono occasionalmente del titolo di «conte di Pie- no vantato propri diritti anche i Gherardesca82 e trarossa». La rocca è menzionata nel documento ciò almeno fino al 1133, anno in cui, grazie anche n. 204 riportato da N. Caturegli nel suo «Regesto alla mediazione di papa Innocenzo II83, fu trovato della Chiesa pisana». un accordo fra la casata comitale e Crescenzo, ve- PLANZANO. Localizzabile nei dintorni dell’o- scovo di Volterra. dierno Livorno, viene citato nel 1004 nell’atto di ORZALE. Rocca ubicata fra il castello di Castel- fondazione del monastero di S. Maria di Serena e falfi e quello di Tonda. È menzionata in un mano- poi in altro manoscritto del 100687 in cui viene scritto con il quale i Gherardesca, conte Guido da detto «Platiano» e collocato poco a sud da Villa un lato e conti Tancredi e Tedice dall’altro, ven- Limone (forse su quello che oggi è detto Poggio dono le loro quote parti di tale castello84. Ne ac- del Castello presso Montenero), che nel 949 fu cenna anche una sentenza del 1161, relativa ad u- concessa in livello al conte Rodolfo, figlio di Ghi- na controversia insorta fra i precitati Gherardesca solfo88. Nella medesima zona il Repetti parla di ed il monastero di S. Pietro in Palazzuolo, circa il «terra dei conti» e di «selva dei figli di Ghisolfo». possesso di alcune terre dell’Orzale85. Del resto G. Volpe a p. 396 del suo Studi sulle isti- PAPENA. Era probabilmente una piccola rocca tuzioni comunali di Pisa, cita un documento di ubicata, non lontano da Frosini, dove oggi esiste vendita fra i Gherardesca e i Sismondi dei diritti un podere omonimo o, piuttosto, nella vicina lo- sul castello di Montenero. Il Pieri nella sua Topo- calità del Castelletto che appunto sovrasta la valle nomastica del Val d’Arno, segnala peraltro anche di Papena. Vi fu redatto un documento del 1007 un «Pianzano» presso di Peccioli, in Val [retro, cap. I, n. 40]. d’Era, dove i Gherardesca ebbero pure domini. PERETA. Situato presso Manciano, nel grosseta- PORCARI. Castello situato in lucchesia, vicino ai no, questo castello, tuttora esistente, era dominio possedimenti che i Gherardesca ebbero a Lunata, della Chiesa di Roma. Il conte Fazio Novello della Lammari, Segromigno e Marlia. Nel 1047, Guido, Gherardesca, signore di Pisa, lo ricevette in dono detto «Bacherello», vendette al conte Ranieri una da papa Giovanni XXII che volle con tale atto e- porzione del castello di S. Giusto a Porcari89. Nel sprimergli la propria riconoscenza per l’opera 1051 un accordo fra Giovanni, vescovo di Lucca,

79 TARGIONI TOZZETTI, op. cit., vol. IV, p. 438. 80 MURATORI, Antichità de Medio Evo, vol. III, p. 1169. 81 TARGIONI TOZZETTI, op. cit., vol. III, p. 187. 82 G. VOLPE, Medio Evo Italiano, Sansoni, Firenze 1961, p. 340. 83 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 157. 84 AF, f. 95, n. 14. 85 M.L. CECCARELLI LEMUT, Un inedito documento dell’Archivio Arcivescovile di Pisa, riguardante il Monastero di Monte- verdi e i conti di Castagneto (Pisa, 1161 novembre 9), in «Bollettino Storico Pisano», XL-XLI, 1971-72, pp. 31-37. 86 AF, cartapecora n. 23 bis. 87 REPETTI, op. cit., vol. II, pp. 698-99. 88 SCHWARZMAIER, op. cit., p. 211. 89 Annali camaldolesi, vol. III. Appendice 215 e i conti Ugo e Tedice 3°, figli di Tedice 2°, sancì Val di Fine, a nord di Cecina, ma, al tempo stesso, che, senza preventivo assenso dell’alto prelato, ammette che possa invece essere situato nel pivie- questi ultimi non avrebbero dovuto far pace con re di Montopoli, nel Val d’Arno pisano. È proba- loro zio Guido, conte di Forcoli, né con sua mo- bile che quest’ultima sia la collocazione giusta e glie Adelaide né con i loro figli e ciò in tutto il ter- che possa farsi coincidere con l’odierno Castel del ritorio «compreso fra Porcari e il fiume Bruna nel Bosco. Ranieri, figlio del conte Guido di Forcoli, distretto di Roselle». vendette questa rocca ad Attone, arcivescovo di Pisa, il 30 settembre 112097, dopo averla prece- PORTO BARATTORI. Denominato oggi Baratti, è ubicato a nord di Piombino. Da segnalare che fu dentemente venduta a Ridolfo, vescovo di Lucca, forse da questo piccolo golfo che salpava il longo- il 2 agosto 1118. bardo Walfredo per le sue supposte spedizioni mi- ROSIGNANO. Castello ubicata a nord di Cecina, litari in Corsica prima che, nel 754, egli fondasse il che conserva tutt’oggi il suo antico toponimo. Nel suo monastero a Monteverdi. Il castello fu Signo- 783 ne era signore il longobardo Perprando, figlio ria dei Gherardesca da tempi remotissimi e un do- di Walperto duca di Lucca e fratello di Walpran- cumento del 1032 riporta che la contessa Ermin- do vescovo della medesima città98. Il 6 luglio garda, vedova del conte Tedice 2°, previo assenso 1071, il conte Ranieri, figlio di Guido, detto il Si- di suo figlio Ugo, donò la città di Populonia, che gnoretto, promise a Pietro, abate di S. Felice in sovrasta Baratti, all’Abbazia di S. Quirico, sita in Vada, di non molestarlo a causa di una casa che Populonia medesima90. Il 25 aprile 1117, i conti questi possedeva sotto le mura del castello99. La Tedice, Gottifredo e Roberto cedettero il castello roccaforte, unitamente a quella di Vada, passò in in usufrutto a loro madre Mingarda, vedova del seguito sotto la giurisdizione del comune di Pisa conte Ugone91. La roccaforte, certo notevolmente ma i Gherardesca la riconquistarono a più ripre- ristrutturata nel corso dei secoli, è forse quella che se. L’ultima volta fu nel 1395, come risulta dal fat- ancor oggi sovrasta l’abitato di Populonia. to che in quel medesimo anno essi la restituirono 100 PRATIGLIONE. Questa roccaforte è ricordata nel a Iacopo d’Appiano, signore di Pisa . medesimo documento del 1123 di cui è stato fatto RUSTICA. Questa rocca era situata di fronte a cenno parlando di Collegarli. Doveva essere ubi- Capannoli. Non risulta se sia stata mai dominata cata in Val d’Era, nel territorio oggi comune di dai Gherardesca. Si sa solo che vi fu redatto quel Montopoli92. La Pescaglini Monti, dopo averla documento già citato parlando di Porcari e che fu detta di dominio dei Gherardesca, la colloca inve- firmato da Giovanni, vescovo di Lucca, e dai con- ce nella vicina Val d’Egola93. Vi è poi chi, a mio ti Ugo e Tedice 3°. avviso erroneamente, la identifica con Portiglione, SALVIANO. Il castello, ubicato secondo S. Pieri sito presso il padule di Scarlino94. (Top. Tosc. Merid.) nei pressi di Livorno, è citato RAPIDA o RABIDA. Castello ubicato nella Val in due documenti del 949 e del 1006. Anterior- d’Arno inferiore, presso Calcinaia, fra Vicopisano mente al 1243, una Gherardesca cedette ai Si- e Cascina95. Ranieri, figlio di Guido conte di For- smondi di Pisa i suoi diritti sul castello101. coli, e sua moglie Dina Marignani, lo vendettero SAVIOLI. Questa rocca è menzionata nel 1004 l’1 ottobre 1145 96. nell’atto di fondazione del monastero di S. Maria RICAVO. Il Repetti colloca questo castello nella di Serena. Non se ne conosce l’esatta ubicazione,

90 AF, f. 95, n. 13. 91 CATUREGLI, op. cit., doc. 277; e ROSSETTI, op. cit., p. 37, n. 282. 92 REPETTI, op. cit., vol. IV, pp. 635-36. 93 PESCAGLINI MONTI, Un inedito documento lucchese della marchesa Beatrice e alcune notizie sulla famiglia dei «domini» di Colle, cit., pp. 150-51. 94 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 192. 95 Ivi, vol. IV, p. 705. 96 ROSSETTI, op. cit., p. 68. 97 CATUREGLI, op. cit., docc. 284 e 290. 98 CATUREGLI, op. cit., doc. 13. 99 ASP, doc. 76; e VOLPE, Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, cit., p. 80. 100 AF, f. 102, n. 11, a. 1395. 101 VOLPE, op. cit., p. 396. 216 I della Gherardesca ammenoché non la si voglia accostare all’odierna le manoscritto ci parla di Berta (Aldobrandeschi), località di Salivoli, subito a nord di Piombino, ri- vedova del conte Tedice 1°, comes di Volterra, e di cordando che i Gherardesca, nel 1022, fondarono due dei suoi tanti figli, Gherardo 3° e Tedice 2°. Si nei pressi il monastero di S. Giustiniano di Falesia. potrebbe quindi ipotizzare che la rocca fosse domi- nata dai Gherardesca, che poco distante vantavano SCOPETO. Anche questo castello è menzionato nel 1004 nell’atto di fondazione di S. Maria di Se- Signoria anche sulla rocca di Leccia. rena. È ubicato nella Val d’Egola, nei pressi di SERENA. Questo castello era ubicato vicino a Barbialla. Fu Signoria congiunta dei Cadolingi e Chiusdino, nell’odierna località detta Poggio della dei Gherardesca. A questi ultimi apparteneva Badia105. Fu Signoria dei Gherardesca e nel 1004 quel conte Ugo di Tedice che, nel 1109, dette in fu donato da Gherardo 2°, conte di Frosini, al mo- pegno al vescovo di Lucca, la metà dei suoi posse- nastero da lui fondato proprio a Serena. Venne di- dimenti in quel distretto102. Nel 1151, Matilde strutto nel 1133 da Crescenzo Pannocchieschi, ve- Lanfranchi, vedova del conte Ildebrandino di Bi- scovo di Volterra serno, vendette a Galgano, vescovo di Volterra, la SETTIMO. Situato presso S. Frediano, nel Val parte del castello e delle terre circostanti che era- d’Arno pisano, fu antica Signoria dei Gherardesca no appartenute a suo marito103. ed un ramo della casata si contraddistinse con il SEGALARI. Rocca situata di poco a nord est di titolo di «conti di Settimo». In un documento del Castagneto. Risulta Signoria dei Gherardesca sin 1002 è citata la «terra comitorum» presso Setti- 106 dai primi dell’XI secolo104 ed uno dei rami della mo . Il castello è anche menzionato in altri ma- casata si fregiò del titolo di «conti di Segalari». Ri- noscritti del 1159 e del 1178 conservati presso cordano questo castello numerosi documenti con- l’ASF fra le carte del monastero di S. Lorenzo alla servati sia nell’ASP (carte del monastero di S. Lo- Rivolta di Pisa. Settimo venne confiscato dalla Re- renzo alla Rivolta) che nell’archivio generale di pubblica Pisana al conte Ugolino dopo il suo in- Volterra. Il castello uscì dai domini dei Gherarde- carceramento e mai più rientrò fra i possedimenti sca fra il XV e il XVI secolo, per divenire di pro- della casata comitale. prietà dei nobili Ceuli (o ) di Pisa, dai quali, SILIQUA. Questo castello è menzionato come più tardi fu ripreso in affitto dagli originari pro- Signoria dei Gherardesca da Francisco de Vito prietari. Nel 1887, fu riacquistato dal conte Wal- nella sua Historia de la isla de Sardeña di cui un e- fredo della Gherardesca che intraprese una ristrut- stratto si conserva nell’AF. È peraltro assai proba- turazione in stile neogotico dell’edificio ancora esi- bile che lo storico spagnolo equivochi con il vici- stente all’epoca, il quale già aveva subito radicali no castello di Acquafredda. interventi nel corso dei secoli onde adattarlo alle e- STRIDO. Rocca eretta su di un’altura dominan- sigenze di palazzo signorile, prima, e poi di più te il primo tratto del corso del torrente Sterza, modesta casa colonica. Oggi della primitiva roc- affluente dell’Era. Alcuni Gherardesca furono caforte rimane integra solo una bella torre isolata. conosciuti come «conti di Strido» ma non risulta . Questo cassero, divenuto nel tem- che un ramo ben definito della schiatta si sia mai po un omonimo paese, era ed è posto a cavallo fra fregiato di tale titolo con continuità. Il conte Te- la Val d’Orcia e la Val di Cornia, sulla cresta di al- dice 3° vendette la sua quota parte di questa roc- 107 cune alture collegate a quelle di Monte Rufoli. Il caforte a Galgano, vescovo di Volterra . Attor- Repetti, nel suo noto Dizionario, ci dice che «è inu- no al 1130, altra quota del castello fu venduta tile cercare notizie storiche di questo luogo innanzi dai conti Walfredo e Aliotto, figli di Enrico di al 1102». Lo contraddice invece un documento del Donoratico. 1001 riportato al n. 93 del Regestum Volterranum SUVERETO. Castello sovrastante la Val di Cor- dello Schneider e redatto proprio a Serrazzano. Ta- nia, lungo la strada collinare che da Pisa condu-

102 AAL. 103 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 172. 104 CATUREGLI, op. cit., doc. 122. In questo documento dell’anno 1048 il Castello è detto insistere nella terra tedicinga e i conti di Segalari discendevano appunto da Tedice 2° della Gherardesca, fondatore con i suoi fratelli del monastero di S. Giustiniano di Falesia, presso Piombino. 105 MONTE DEI PASCHI DI SIENA, op. cit., 16. 11. 106 FALASCHI, op. cit., doc. 24. 107 SCHNEIDER, Regestum Volterranum, cit., doc. 187. Appendice 217 ceva a Roma. Tuttora ne esistono notevoli rovine tento di marciare su Pisa per dar aiuto al disgra- al culmine del paese omonimo. Fu antichissima ziato congiunto, occupò nuovamente il castello Signoria dei Gherardesca ed, in tempi successivi, per breve periodo di tempo, ma poi, fallito il suo degli Aldobrandeschi. Nel 1080 il conte Ugo, fi- intento, restituì la roccaforte a Pisa114. In seguito glio di Rodolfo 2°, assieme a sua moglie Giulitta, fu il conte Niccolò di Montescudaio a riconqui- dette questo castello in pegno ad Anselmo, ve- stare il castello allorché, nel 1368, mosse guerra a scovo di Lucca108. Pisa115. Alcuni anni più tardi, la roccaforte fu TONDA. Castello ubicato in Val d’Egola, a circa però restituita dai Gherardesca a Iacopo d’Appia- cinque chilometri a nord ovest di Montatione. Il no, signore di Pisa, unitamente ai castelli di Rosi- fortilizio, ristrutturato, esiste tutt’oggi e fa parte di gnano e Bibbona. un complesso destinato all’agriturismo. Parrebbe VAJANO. Situato nella Val d’Arno inferiore, nei che la roccaforte sia pervenuta ai Gherardesca per pressi dell’odierno Lavaiano. Un documento del una dote matrimoniale. Nel 1221, il conte Ranieri 1156 attesta il dominio dei Gherardesca su questo di Donoratico, detto «il Piccolino», cedette a S. castello, allorché il conte Walfredo, figlio di Enri- Miniato la sua quarta parte del castello109. co di Donoratico, vendette la propria metà della 116 TRICASE. Ubicato in Val di Cornia, nei pressi del roccaforte alla Mensa di Pisa . torrente Milia, questo castello è già ricordato nel VARIANELLO. Di difficile localizzazione. Forse 754 nelle carte della chiesa di S. Regolo in Gual- ubicato nel grossetano117. È citato nell’atto di fon- 110 do . Nel 1099, il conte Ugo di Suvereto, figlio di dazione del monastero di S. Maria di Serena Rodolfo 2° vendette metà di questa roccaforte alla [1004]. chiesa di S. Cerbone di Massa Marittima111. VETRUGNANO o VENTRIGNANO. Vedere Mon- TRIPALLE. Rocca situata fra e Fauglia, tebicchieri. fra le colline pisane sovrastanti la valle del torren- te Tora112. Già menzionato nell’VIII secolo quan- VICINATICO. Castello ubicato nelle vicinanze di do tre nobili pisani fondarono, presso Calci, la Gavorrano, nell’antico distretto di Roselle nel Badia di S. Savino e, fra altri loro beni, le assegna- grossetano. È citato nel 1004 nell’atto di fonda- rono una quota della corte di Tripalle113. I Ghe- zione del monastero di S. Maria di Serena, e poi, rardesca ebbero Signoria su tale rocca e uno di es- più tardi, in un documento del 1101, con cui il si, il conte Ildebrandino, ne cedette la propria conte Ugo, figlio di Tedice 2°, rinunziò ai suoi di- quota parte alla Repubblica Pisana nel 1276. Suc- ritti su detta rocca in favore dell’abate di Sestin- cessivamente, nel 1385, i Gherardesca conti di ga118. E. Repetti accenna invece ad un castello di Montescudaio e Guardistallo, istigarono vana- Vicinatico in Val d’Era fra Palaia, Montecastello e mente gli abitanti di Tripalle a rivoltarsi contro la Montopoli. repubblica medesima. VICOPISANO o VICO ASSERISSULE. Castello si- VADA. Dopo essere stato nell’antichità territo- tuato alle falde orientali dei monti pisani. Risulta- rio, almeno in parte, dominato dai Gherardesca, va fra i domini dei Gherardesca già attorno al questo castello cadde sotto la giurisdizione di Pi- 1015119. Nel 1075 il conte Tedice vendette i pro- sa. In concomitanza con gli avvenimenti che de- pri diritti sulla rocca, unitamente ai suoi possedi- terminarono il desautoramento del conte Ugoli- menti in «Cisano»120. Tre cartapecore, probabil- no, nel 1288, Inghiramo, conte di Biserno, nell’in- mente apogrife, indicano il conte Ranieri Novello,

108 REPETTI, op. cit., vol. V, p. 490. 109 Regesto di L. Passerini alle date 1851-60. 110 MONTE DEI PASCHI DI SIENA, op. cit., 28. 12. 111 AF, f. 95, n. 13, a. 1099; e REPETTI, op. cit., vol. V, p. 490; e TARGIONI TOZZETTI, op. cit., vol. IV, p. 122. 112 REPETTI, op. cit., vol. V, p. 600. 113 FALASCHI, op. cit., doc. 1. 114 TARGIONI TOZZETTI, op. cit., vol. IV, p. 422. 115 MACCIONI, op. cit., p. 144 [Sommario]. 116 MURATORI, Antichità del Medio Evo, cit., vol. III. 117 PIERI, Toponomastica della Toscana meridionale, cit., p. 138. 118 REPETTI, op. cit., vol. I, p. 192. 119 SCHNEIDER, L’ordinamento pubblico della Toscana medievale, cit., p. 248, n. 137; e Mensa di Pisa, doc. 38. 120 CATUREGLI, op. cit., doc. 181; e Appendice, inserto 1, Cisano. 218 I della Gherardesca signore di Pisa, come «domino» di detto castel- me Cornia. Oggi non ne rimangono nemmeno le lo121, nel quinto decennio del XIV secolo. rovine. Nel 1139, il conte Ildebrandino di Biserno e sua moglie Matilde Lanfranchi vendettero le IGNALE V . Ubicato a sud di Campiglia ed eret- 122 to, forse, su di una modesta altura, detta Vignale proprie quote di detto castello . Vecchia, che domina la piana alluvionale del fiu-

121 1 AF, cartapecore 25 e 25 /2. 122 AF, f. 95, n. 1, a. 1240; e CATUREGLI, op. cit., doc. 371. INSERTO 3

Compendio di documenti, tratti dall’Archivio della Gherardesca, che possono fornire un quadro del grado di autonomia della Contea dal 1405 al 1775

1405 1461 Capitolazioni in Accomandigia con la Repubblica Esenzione dall’Estimo (Catasto) per i sudditi dei Fiorentina [Appendice, doc. 6] e varie ratifiche Gherardesca [AF, f. 64, n. 7]. del trattato da parte dei diversi membri della ca- 1466 sata Gherardesca [AF, f. 63, n. 2 e f. 18, n. 3 e f. Le Capitolazioni vengono riconfermate come vali- 64, n. 1]. de dai Priori della Libertà della Repubblica Fio- 1407 rentina [AF, f. 18, n. 4 e f. 64, nn. 8 e 10]. Statuto della comunità di Donoratico [ASF, Arch. 1483 della Repubblica, Dieci di Balia, Statuti comunità Gli uomini e le comunità della Contea, per il trat- autonome, p. 15, n. 299]. tato del 1405, non sono tenuti a concorrere ad un 1409 balzello imposto dal capitano di Campiglia [AF, f. Particolari esenzioni e immunità concesse ai conti 12, n. 3 e f. 109, a. 1483]. della Gherardesca dai Dieci di Balia fino al 1414 1492 [AF, f. 64, n. 2 e Libro del Comitatus Pisano, Ar- Elenco delle gabelle che debbono essere pagate ai ch. Riformagioni di Firenze]. Gherardesca sul grano, vino ecc [AF, f. 27, n. 1]. 1419 1497 I governatori del Sale e delle Saline di Firenze di- I Dieci di Balia dichiarano che i conti della Ghe- chiarano che i Gherardesca, in virtù delle Capito- rardesca possono riscutere gabelle sulle mercanzie lazioni del 1405, non sono tenuti a prendere o che transitino sui loro territori [AF, f. 64, n. 15]. comprare il sale dal comune di Firenze, per l’uso ed il consumo dei loro castelli, sudditi e bestie ma 1509 possono comprarlo ovunque a loro piaccia a con- Statuto della comunità di Bolgheri [ASF, Libro dizione però che non ne vendano, donino od alie- del Comitatus Pisano, Arch. Riformagioni di Fi- nino a persone soggette alla giurisdizione fiorenti- renze]. na [AF, f. 64, n. 3]. 1512 1421 I priori e il gonfaloniere di Firenze invitano i Con- Statuto della comunità di Castagneto [AF, f. 11, n. soli di Mare di Pisa ad attenersi ai disposti delle 4; ASF, Libro del Comitatus Pisano, Arch. Rifor- Capitolazioni del 1405 [AF, f. 64, n. 18]. magioni di Firenze]. 1515 Convenzione fra la Repubblica Fiorentina e i 1444 Gherardesca con cui si conferma la validità delle In relazione alle Capitolazioni del 1405 i conti Capitolazioni del 1405 [AF, f. 109, a. 1515]. della Gherardesca non sono tenuti a pagare al co- mune di Firenze le gabelle per il pedaggio delle 1521 loro mercanzie (bestie e robe) che traggano dal lo- La magistratura degli Otto di Pratica ordina ai ro territorio o dal territorio volterrano [AF, f. 12, Consoli di Mare di Pisa di restituire ai Gherarde- n. 2 e f. 58, n. 4 e f. 64, n. 6]. sca un «liuto» (un vascello) che era naufragato sulle spiagge della Contea [AF, f. 62, n. 2]. 1461 Strumento di riconferma delle Capitolazioni [AF, 1534 f. 109, a. 1461 e cartap. n. 880 della Strozzina]. Supplica del conte Simone 2°, figlio di Ugo 1°, af- 220 I della Gherardesca finché sia concesso a lui ed ai suoi discendenti di quella parte della giurisdizione indebitamente fare acquisto di beni immobili posti nel dominio esercitata dal capitano di Campiglia [AF, f. 65, fiorentino [AF, f. 2, n. 4]. I Gherardesca, pur libe- n. 11]. ri di fare eventuali acquisti nel proprio territorio, 1569 per quanto afferiva a quello della repubblica era- I Gherardesca non possono essere convenuti in no equiparati a «stranieri». giudizio senza previa autorizzazione degli Otto di 1536 Pratica [AF, f. 65, n. 17]. La magistratura degli Otto di Pratica ordina alla 1577 Dogana di Pisa di restituire ai Gherardesca un Viene ribadito che i Gherardesca sono proprietari vascello naufragato sulle loro spiagge [AF, f. 62, di tutte le acque dei loro territori e possono impe- n. 3]. dire ad altri di erigere mulini [AF, f. 64, n. 10, a. 1544 1577]. Istanza del conte Simone 2° agli Otto di Pratica 1577 affinché, in virtù delle Capitolazioni, vengano Vincenzo da Filicaia, magistrato della Sanità, chie- confermati i privilegi dei Gherardesca relativi alle de che s’ingiunga ai Gherardesca di provvedere gabelle sui generi che dalla Contea vengono nel ad una più stretta sorveglianza delle loro spiagge, graducato. La supplica, presentata da Angelo de’ essendovi un pericolo di pestilenza proveniente Medici, vescovo di Assisi, viene accolta [AF, f. dal meridione italiano e che in caso contrario ven- 109, a. 1544]. gano inviate guardie della Signoria fiorentina a 1545 spese dei conti stessi [AF, f. 64, n. 29]. La Dogana di Firenze dichiara che il territorio della Contea Gherardesca non fa parte del conta- 1589 do di Pisa [AF, f. 63, n. 1]. Il granduca Ferdinando I riconferma ai Gherar- desca la validità del trattato del 1405 [AF, f. 12, n. 1546 6 e f. 18, n. 4, a. 1588]. Lettere di Cosimo I ad Alfonso Capponi, prov- veditore di Pisa, ed al capitano di Campiglia, per 1592 invitarli a rispettare, in fatto di gabelle, la vali- Tutti i diritti di macello nella loro Contea appar- dità delle Capitolazioni del 1405 [AF, f. 64, nn. tengono ai Gherardesca [AF, f. 65, n. 27]. 25 e 26]. 1597 1557 I Gherardesca e i loro sudditi non sono tenuti a La Pratica Segreta sentenzia che certe gabelle pagare le gabelle fiorentine sui contratti e sulle competano ai Gherardesca e non già a Pisa [AF, f. doti [AF, f. 12, n. 7]. 65, n. 3]. 1611 1559 Rescritto del granduca che ribadisce che i naufra- Gli Otto di Pratica sentenziano che i quattro pro- gi avvenuti sulle loro spiagge, spettano ai conti curatori eletti dalla comunità di Castagneto senza della Gherardesca [AF, f. 62, n. 5]. il consenso del conte Gherardo della Gherardesca, 1614 sono stati nominati in disaccordo con quanto sta- Le gabelle di «transito» sulla Contea, debbono es- bilito dalla convenzione del 1514 [AF, f. 58, n. 21]. sere pagate al conte di Bolgheri da chi proceda 1561 verso sud ed al conte di Castagneto da chi proce- I conti della Gherardesca sono nuovamente di- da verso nord [AF, f. 27, n. 7]. chiarati franchi da gabelle fiorentine nei luoghi lo- 1622 ro [AF, f. 27, n. 4]. Sentenza degli Otto di Pratica che conferma che i 1562 Gherardesca non sono soggetti alle leggi grandu- Per le cause civili a loro carico, i Gherardesca cali in fatto di taglio dei boschi [AF, f. 109, a. possono solo essere convenuti dinanzia alla Magi- 1622]. stratura dei Nove [AF, f. 65, n. 10]. 1623 1564 Vertenza relativa al recupero di un vascello pirate- Il conte Ugo 2°, di Simone 1°, chiede ed ottiene sco turco naufragato sulle spiagge della Contea. I che, in virtù delle Capitolazioni, sia a lui avocata Gherardesca dichiarano di aver il diritto di tratte- Appendice 221 nere il relitto con tutte le sue pertinenze, ivi inclu- 1695 se le artiglierie [AF, f. 62, n. 6]. Il conte Giulio Cesare della Gherardesca e i suoi 1635 fratelli eleggano cinque famiglie di Castagneto Rescritto degli Otto di Pratica e di S. A. S. favore- quali «uomini del comune» [AF, f. 19, n. 36]. vole alla tesi dei Gherardesca relativamente alla 1696 vertenza di cui sopra [AF, f. 16, n. 5]. I conti della Gherardesca reclamano presso gli 1639 Otto di Pratica per un abuso giurisdizionale com- Facoltà concessa dal conte Ugo 3° a dodici fami- messo dal capitano di Campiglia riguardo ad un glie di Castagneto di chiamarsi «uomini del co- loro suddito castagnetano [AF, f. 63, n. 8]. mune». Solo fra di esse potranno essere eletti il 1699 camerlingo ed uno dei consoli, previo comunque Relazione del senatore Filippo Buonarroti che l’assenso del conte [AF, f. 13, n. 1]. comprova che i Gherardesca potevano emanare 1644 leggi sull’Estimo [Catasto]. Elenco delle gabelle da pagare ai Gherardesca 1700 [AF, f. 27, n. 8]. Sentenza sfavorevole a un Casanova che intende- 1654 va costruirsi un mulino su terreno di sua pro- Sentenza del capitano di Campiglia con la quale prietà. Si conferma che tutte le acque sono in pos- se ne annulla altra pronunciata dal suo predeces- sesso dei Gherardesca [AF, f. 58, n. 32]. sore, che, in contrasto con quanto stabilito dalle 1704 Capitolazioni del 1405, dichiarava non ricadere Bando dei conti della Gherardesca per le volture sotto la giurisdizione dei Gherardesca, le pene re- agli Estimi nella Contea [AF, f. 61, n. 5]. lative ad un certo danno arrecato all’osteria dei si- gnori Serristori. Viene sancito che detti signori 1707 non possono possedere alcuna osteria in quanto Gli Otto di Pratica riconfermano la giurisdizione tali esercizi sono di esclusiva competenza dei con- dei Gherardesca su di un determinato caso [AF, f. ti [AF, f. 60, n. 1]. 63, n. 12]. 1658 1716 Lettere degli Otto di Pratica ai Consoli di Mare di Supplica dei Gherardesca al granduca Cosimo III Pisa per ordinare la restituzione ai Gherardesca dei affinché venga loro concesso di amministrare la vascelli naufragati sulle loro spiagge dal 1520 al giustizia nella loro Contea nelle cause civili, crimi- 1658. I naufragi oggetto della rivendica erano dieci, nali e miste. I supplicanti ricordano la loro libera avvenuti dal 1521 al 1656 [AF, f. 16, nn. 1 e 2]. padronanza sui propri domini prima del 1405. La grazia è concessa per una durata di quindici anni 1661 rinnovabile [AF, f. 14, nn. 1 e 2 e f. 109, a. 1716]. Nuovo statuto della comunità di Donoratico [AF, f. 61, n. 2]. 1716 Bando dei conti della Gherardesca per il rinnovo 1661 delle licenze di porto d’armi [AF, f. 61, n. 6]. Rescritto con il quale si dichiara che i conti della Gherardesca possono promulgare leggi sotto la 1717 protezione del granduca [AF, f. 109, a. 1661]. Divieto di caccia fatto a chiunque dai Gherarde- sca per il periodo intercorrente fra la Quaresima 1663 ed il 31 agosto [AF, f. 109, a. 1717]. Processo Gherardesca-Bussotti che si protrarrà fi- no al 1673. Vi si legge: «I conti si trovano costretti 1717 a reprimere le consumate insolenze di un proprio Supplica presentata dagli «Uomini di Castagneto» suddito che con il suo comportamento aveva arre- ai conti della Gherardesca per ottenere che siano cato pregiudizio, non solo agli interessi dei conti accettate alcune modifiche allo statuto della co- stessi ma anche della loro giurisdizione» [AF, f. munità in vigore dal 1421 [AF, f. 61, n. 7]. 49, n. 1]. 1717 1664 Viene sancito che anche il cav. Serristori è sogget- Bando per il pagamento di alcune gabelle nella to alla giurisdizione dei Gherardesca in base al Contea [AF, f. 63, n. 7, a. 1664]. trattato del 1405 [AF, f. 63, n. 15]. 222 I della Gherardesca

17 [??] dei loro sudditi dalle gabelle fiorentine sul bestia- Vertenza fra i Gherardesca ed un tale Vivarelli in me [AF, f. 14, n. 11]. merito alle gabelle da pagare su legna e carbone 1746 che transitino attraverso il territorio della Contea Tale Andrea Perelli, per ordine del governatore di [AF, f. 63, n. 17]. Piombino, viene consegnato ai confini della Con- 1719 tea della Gherardesca perché soggetto alla giuri- Si ribadisce che qualunque suddito dei Gherarde- sdizione della medesima [AF, f. 14, n. 16]. sca che divenisse cittadino fiorentino, rimane pur 17 [??] sempre completamente soggetto alla giurisdizione Trattative con le autorità di Siena per la estradi- dei conti. Il granduca avalla [AF, f. 14, n. 6]. zione del bandito Giuliano Paolini, catturato nella 1722 Contea della Gherardesca [AF, f. 14, n. 17]. Rescritto granducale che ribadisce il diritto dei Gherardesca su tutti i naufragi che avvengono 1749 sulle loro spiagge [AF, f. 62, n. 11]. Promulgazione della Legge sui Feudi da parte del granduca Francesco I. 1722 Bando dei conti della Gherardesca affinché i loro 1749 sudditi facciano la guardia in armi durante le feste Supplica dei Gherardesca a Sua Maestà Cesarea a di S. Guido [AF, f. 109, a. 1722]. Vienna, affinché si degni di dichiarare che la loro Contea, in base alle Capitolazioni del 1405, resta- 1725 va esclusa dai dettami della nuova legge [AF, f. Sotto pena della sospensione dei sacerdoti e della 67, n. 1]. scomunica dei laici, si proibisce di mettere pan- che nella chiesa di Castagneto senza licenza dei 1749 conti della Gherardesca e decreto del vescovo di Ricorso alla Reggenza di Toscana fatto dai casta- Massa Marittima [AF, f. 4, n. 44]. gnetani contro il governo dei conti della Gherar- desca che risulterebbe in contrasto con la nuova 1725 Legge sui Feudi. Serie lunghissima di lamentele Controversia con il Fisco granducale, nella quale [AF, f. 60, n. 17]. si afferma che i Gherardesca e i loro sudditi sono esenti dal pagare la gabella fiorentina sui contratti 1759 fatti nella Contea; si sottolinea la «Signoria parti- Elenco di tutti i processi criminali celebrati a Ca- colare» vigente nella medesima. La sentenza è fa- stagneto sotto la giurisdizione dei Gherardesca, vorevole ai conti [AF, f. 14, n. 8 e f. 55, n. 6]. ad iniziare dal 1716 [AF, ff. 122, 123 e 124]. 1727 1760 Lettera del senatore Buonarroti in cui si precisa Ancora a quell’epoca i Gherardesca imponevano che i Gherardesca non sono compresi nell’ordine gabelle [AF, f. 63, n. 26]. dei feudatari [AF, f. 63, n. 24]. 1768 1728 Supplica dei castagnetani ai conti della Gherarde- Alcune imbarcazioni naufracate, fra il 1724 e il sca affinché intervengano nei confronti di tale 1728, sulle spiagge della Contea, vengono restitui- Giovacchino Tonnerini che «tiene comportamenti te ai legittimi proprietari «per grazia» dei conti poco propri e disdicevoli» [AF, f. 60, n. 22]. [AF, f. 62, n. 12]. 1768 17 [??] Lettera di supplica che richiede ai Gherardesca di Si ribadisce il dirittodei Gherardesca a pretendere revocare l’esilio da loro inflitto a tale Mario Cec- gabelle per il transito di bestiame sul loro territo- carelli, uomo della loro Contea. Nella medesima rio [AF, f. 63, n. 9]. filza si trovano varie lettere dal cui tenore traspa- 1737 re chiaro che i castagnetani mal sopportano di es- Dai Gherardesca viene richiesta la proroga di sere ancora governati dai Gherardesca [AF, f. 60, quanto loro concesso dal granduca nel 1716 circa n. 23]. la giurisdizione nella Contea [AF, f. 14, n. 10]. 1769 1744 Motu proprio del granduca Pietro Leopoldo I Sono riconfermate le esenzioni dei Gherardesca e con cui egli ingiunge che tutte le leggi granducali, Appendice 223 inclusa quella sui feudi, vengano immediatamente 1775 pubblicate nella Contea e che contemporanea- Secondo motu proprio del granduca Pietro Leo- mente vengano abrogate tutte quelle emanate dai poldo I con cui egli ordina che i territori della conti della Gherardesca [AF, f. 67, n. 4]. Contea Gherardesca «da allora in poi vengano 1769-75 considerati come i rimanenti del Granducato» Si svolge l’accanita ed incerta controversia fra il Fi- [AF, f. 67, n. 30]. Conferma implicita che prima sco granducale ed i Gherardesca che si oppongo- di allora tali territori erano ritenuti distinti, sotto no al motu proprio granducale [AF, ff. 67 e 68]. vari aspetti, da quelli del dominio fiorentino. DOCUMENTI I corsivi indicano le parole e le frasi citate nel testo

Documento 1 ut nullus episcoporum aut iudicum ibi perueniat in- perio, neque aliquis de filiis uel heredum meorum Pisa, luglio 754. Atto di fondazione del mona- tipo superbie inflati quacumque possit in fratibus stero di S. Pietro in Palazzuolo [da L. SCHIAPPA- inibi congregati uel in res monasterii huius gene- RELLI, Codice diplomatico longobardo, versione B]. rare superbiam, set ita uolo adque per huius mu- nimine cartula cinfirmaui, ut in supra memorato In nomine domini nostri Iesu Christi adque monasterio Sancti Petri congragatiio monachorum beate semper uirginis Marie et beatissimi aposto- fiat de illis fratribus quos pios Deus et ipse eius a- lorum principis sancti Petri, regnante piissimo ad- postolus ad suum seruitium uocatus dignare fue- que excellentissimo pro salute totiius catholice re. et filiis meis una cum ipsis, pariter adiuuante gentis nostre Longobardorum donno nostro Ai- omnipotenti Dei misericordia, sancte et regulari- stulfo rege, anno regni eius Deo protegente sexto, ter uitam peragantur, et pro mei peccatis die noc- mense iulio, indictione septima. Uualfredus filio tunque suis orationibus omnipotenti Dei non ces- quodam Rathcausi, civis Pisane, recolente me istius sent obsecrari misericordia. et tamen ordinatione mundi caduca ac transitoriam uitam, et quot o- abbati quam et alias ordinationes, quod oportuna portet huius mundi uana gloria contemnere per sunt in monasterio fieri, ita agant et perficiant se- Christum dominum sequi eiusque sacra precepta cundum instituta regula ad sanctum patrem no- inplere et promissione suscipere et eternam uita strum Benedictum. et si aliquo error pro ordina- cum eum fruere, et quod peccatoribus aditus re- tiione abbati ortus fuerit, aut prauo akiquo ui- gni celorum non intercluditur si toto corde ad mi- tiium repertum inter fratribus, quod ipse inter se sericordiam Dei confugerit, et dum pro mea faci- ad rectitudinem aut regule instituta corrigere ne- nora et spatiio uite quam neglegentur duxi me a- clexerint, tunc accedant in ipso monasterio sancti nimi tedio inficere, et non inueni per quo me in patres quoepiscopi, id est sedi ecclesie Populo- amgustiis conuertere, tunc protectorem quesiui, niensis seo et abbas monasterii domini Saluatoris ut quod non meis meritis ad illa ualeo peruenire loco Pontiiano, item et abbas monasterii Sancti uita, per qua commissa deleatur, illius protectio, Frediani ubi et eius corpus quiescit umatum ciui- cui ligandique et soluendi est concessa potestas, in tatem Lucense. his sanctissimi quattuor hac uene- ouile eius reducatur; tunc in eius honore disposui rabiles uiri in omnibus habeant licentiiam malu monasterio hedificare in que regulariter uitam du- aut prauum uitiium, quod ortus fuerit istigante cere, et me una cum filiis et res mea offero, ubi et diabulo, ad Domini reuocare precepta, ut malum nostras ad aliorum anime saluarentur. item nam- uitiium resecetur et anime fratrum corrigat ad sa- que ego qui supra Uulfredi cum magna deoutiio- lute. et si, decedente abate, in electiione abbatis a- ne et conpunctione cordi offero meipso et filiis liquo ortus fuerit scandalo, sicut solet fieri per in- meis, id est Ratchis, Gumfredi, Taiso et Benedicto, sidia ostis nostri, ipsi quidem supra memorati domine Deo deseruire et usque ad uirtutem et sancti patres una cum fratribus ipsius monasterii possibilitate, auxiliante pius Deus, sancte et regu- preuideant qui dignus fuerit preesse, ita eligant et lariter uitam peragere in monasterio beatissimi et confirment dine ullo munere aut alio aliquo inpe- apostolorum principi Sancti Petri, quas presenti rio, nisi tantum at his prauis uitiis se corrigendum, tempore in proprio territorio meo ob hamore Chri- ut sancte et regulariter uiuant. nam si ipsi se corri- sti et pro remedio peccatorum meorum hedificare gere potuerint, ut sancte et regularis uite agant, su- uisus sum locus qui uocatur Palatiiolo, iudicaria pra memorati quoepiscopi uel abbati nullo cogeant Lucense; in eo uero tenore meus disposuit animo, inperio in ipso monasterio aliquo ordinandi aut iu- 226 I della Gherardesca dicandi; set liceat eos instituta patrum seruare et Magniacioli, et casa Teudiperti, et casa UUipertu- uita peragere. de supra memoratis uero filiis meis, li, et casa qui fuit Pasquali in fundo Magno, cum uolo ego qui supra Uualfridi, ut si aliquis de ipsis omne adiacentiia ad ipse case pertinentem. item- peccatis fatiscentibus in aliquo lapso ceciderit, aut que do et offero ad ipsum predictu monasterio aliquo prauumo egerit, tunc abbas, qui ordinatus portionem meam de curte mea castello Foalfi, cum fuerit, eum penitentiiam et disciplinam corrigat et uineas, oliuetas, hedificias, territuria cultas et in- intro monasterio reteneant, ut anima eius saluari cultas seo et case massericie ad ipsa curte perte- possint, nam foris monasterio nullo modo eus ex- nente, cum omne adiacentiia et familie, quante pellant, ut anima eius depereant; set quot forte exinde libere non dimiserimus, abeai ipse mona- uoluntarie bene agere neglexerint, faciant inuiti. in sterio Sancti Petri. simili modo offero in predicto dotis uero supra memorati monasterii Sancti Petri, monasterio portionem meam de cagio de Latinia- una con prefatis filiis meis, id est Ratchis, Gumfre- no in integro et casa Teoduri de Agello et casa do, Taiso et Benedicto, in primis trado et offero Oinculi de Cisiano, cum omne adiacentiia ad ipse portionem meam de supradicto casale Palatiiolo, case pertinente et familie eorum. item abeat ipse ubi et ipse monasterio fundatum est, una cum por- monasterio Sancti Petri casa Gumfridi de Massia- tione mea de basilica Sancti Filippi, uel res ad eam no, et medietate de casa quodam Mauri in Uaria- pertinentes, cum casas massaricias, familias, uel a- no et de filiis eius. et abeat casa Gheduli in Riuo diacentiia eorum, peculias donicatas cum pastores Cauo, et casa de filii quodam Anscausi de Uexu- qui eam depascunt, cum uineas, oliuetas et territu- niano, et casa de filii quodam Pincioli in Pisiniano, rias per fines una cum siluas sicut nobis pertinere et casa Prandi in Pittule. item in civitate casa Cu- uidetur in integro. item et curtis iuris meis in Ca- nandi, et casa Gadiperti, casa Fridicausi, casa stagnieto cum edificias suas, peculias donicatas et Cauperti, casa Sichimundi; hec autem case cum pastores qui eam depascunt, uineas, oliuetas, pra- omne adiacentiiam ad eas pertinente et familie eo- tas, territurias, siluas seo et casas massaricias cum rum abeat ipso sanctum et uenerabile locum. simi- familias suas que nobis pertinent. quanti exinde li- liter uolo ut abeat in loco Cotiano casa Barduli, et beri non dimiserimus, cum omne adiacentiia ad i- casa Mincioli, cum adiacentiia sua et familie eo- pse case uel curte pertenente, in integro abeat ipse rum, quante exinde liberi non dismiserimus. simul monasterio. item et abeat portionem meam de mo- et habeat ipse monasterio medietatem de mea lino et casa de Caldana cum Helaro seo Dominico portione de case quem abemus in loco que uoca- pueri nostri, et omnem adiacentiiam ad ipsa casa tur Barga, Ghermio, Lupinaria, Glacentiiano, cum uel molino parte meam in integro pertenentes. si- familie sue et adiacentiiam sua. et abeat casa in lo- mili modo et abeat ipse prefatus monasterio por- co qui uocatur Sarachaniano, quem emimus da Ta- tionem meam de curte super Cornia, cum edificias niperto, cum adiacentiia sua. in tale enim tinore suas, uineas, territurias, cultas et incultas, siluas, uolo ego qui supra Ualfridi res superius conpreen- pergaias, pascuas, una cum casas massaricias, cum sa omnia abere monasterio supra memorati Sancti familias suas, et omne adiacentiam ad ipse(case) Petri, ut ita persoluant ad ipso monasterio tam li- uel curte pertenente in integro; anteposito portio- beri quam et serui vel aldioni qui in ipse case rese- nem meam de gagio Ghutoti et portionem meam, derint. itemque do et offero ad suprescritto mona- hoc est medietatem, de casa Candidi de Riuo Or- sterio portionem meam de pecunia nostra in insula sario cum familo et omne adiacentiiam ad ipse ca- Corsica, tam casas, familias, territurias, et omne a- se pertenente. item abeat ipse monasterio Sancti diacentiia ad ipse case pertinente, et res donicata, Petri portionem meam de casale in Raossano, tam mouilia et inmouilia; ut dixi, mea portione de de monasterio quod inibi est seo et de case masse- quantum in ipsa insula Corsica (habeo), et omnia in ricie, cum adiacentiia ad ipsa case pertenente, por- integrum. simul et abeat ipse monasterio portio- tionem meam in integro. item uolo et abeat ipse nem meam de prato ad padule Auctioni. et abeat monasterio medietatem salinas in loco Uada, et in portionem meam ad Arsula, et orto que uocatur Potiiolo area quod emit a quodam Anfridi, mea ad Prato iuxta padule Auctioni, et portione mea portione. simili modo et offero in supradicto mo- de terra in Arina, medietate de mea portione. si- nasterio portionem meam de curtis iuris mei in lo- mul et abeat portione mea de oliueto in Uerriana, co qui uocatur Septare, cum edificias, uineas, o- et portione mea de casa Brunuli in ipso loco Uer- liuetas, siluas, territurias cultas et incultas, una riana, cum familia uel omne adiacentiia ad ipse ca- cum casas massaricias uel omne adiacentia ad ipse se pertinente, mea portione. itemque do et offero casa uel curte pertenente. at abeat insimul casa ad prefatum et sepius nominato monasterio beatis- Appendice 227 simi Sancti Petri id est ecclesia et monasterio Sancti territorio Toscana, infra comitatu et territorio Ca- Petri in Accio, que est fundatum et constructo in stro seu super aliis Comitatis. Nominant: castello iam predista insula Corsica, cum omnia adiacentiia de Serena, cum curte et pertinentia cum ecclesiis; que ad ipsa eclesia et monasterio est pertinente, in eccl. S. Andree de Padule medietate cum curte; integro abeat et possideat ipse sanctissimo et ue- castello de Mirandolo cum eccl. S. Iohannis Evan- nerabile locu. hec omnia superius conpreensa do geliste cum curte; castello de Soveioli cum eccl. S. et offero ego qui supra Uualfridi pro redemtiione Michaelis Archangeli cum curte; Scopetulo castello anime mee in predicto monasterio Sancti Petri et cum curte; medietate de castello de Cumulo cum abbas cum fratribus inibi congregatis, peto ut pro curte; castello de Vicinatico cum eccl. et curte; ec- meis peccatis suis orationibus et uigiliis intecedere cl. S. Marie de Bosseto; eccl. S. Margharite de Ta- dignetur, ut michi Dominus ignoscat quod negle- vernule; eccl. S. Marie de Salario; eccl. S. Lucie de gentur gessi, et eorum pro me peccatorum Domi- Perignano cum curte; eccl. S. Marie de Pulveraio nus retribuat mercedem. ecce qualiter meus com- cum XIII mansis q. sunt in curte de Casale; eccl. placuit animus. per huius uoluminis cartule con- S. Blasii de Islarto cum curte; eccl. S. Michaelis de firmo sic, ita ut si aliquis de filiis aut heredes prohe- Noctule medietate; medietate de Linalia; castello redes meos contra hanc dotis mei pagina ire quan- de Campilia medietate cum eccl. et curte; castello doque presumpserit, aut aliquid subtraere aut mo- de Acquaviva; quarta parte q. Colle Godimari voc. lestare per se aut supposita persona de omnia que cum eccl. S. Cassiani; rocca de Bizerno q. Finiculo super. legitur et adprobatum fuerit, conponat ad voc., cum eccl. S. Angeli, medietate, curtem et pars ipsius monasterii Sancti Petri uel eius congre- suam portionem de rivo de Gualdo; castello u. d. gationis auri solidos quignenti, et presens cartula Montecalvo suam portionem; medietate et suam dotis mee in sua maneat firmitate et robore. Unde portionem q. iam fuit Castello Novo; castello de tres cartule pari tenore Asperto, notarium scriuere Mitiano medietate cum curte; castello de Megrano rogaui. Actum Pisa; per indictione suprascripta; suam portionem medietatem; castello de Varianel- feliciter. Una de ista cartule reseruamus in predic- lo medietatem cum curte; castello de Planzano to monasterio nostro Sancti Petri, alia uero de iste suam portionem medietate cum curte; castello u; cartula dedimus ad conseruandum in domo sanc- d; Bizenzo medietate cum curte et cum eccl. S. te ecclesie Pisane, ubi domnus Andreas episcopus Michaelis; castello de Martha cum sua portione. esse uidetur, tertia dedimus ad conseruandum Promittunt abbatibus q. in eccl. et mon. fuerint monasterio domini Saluatoris, ubi abbas Gadisteo hec inviolabiliter conservare cum stipulatione esse uidetur. subnixa. Intus castellum suprascrittum mon. S. [Seguono le firme di Walfredo, di vari testimo- Marie, territorio Voluterrensis. ni e del notaio]. [Seguono le firme del conte Gherardo e della moglie, dei testimoni e del notaio].

Documento 2 Documento 3 Puliciano, anno 1004. Atto di fondazione del monastero di S. Maria di Serena [da copia del sec. Pisa, 19 febbraio 1158. Elenco di possessi del XII di Ildebrandus not.a.s., in A. MURATORI, An- monastero di S. Maria di Serena [da minuta origi- tichità del Medio Evo, vol. III, p. 1067]. nale presso ASP, fondo Roncioni]. A. MCLVIII, XI kal. mart., ind. VI. Guido ab- A. MIV, ind. II. Gerardus (comes f. qd...) q. bas mon. S. Marie de Serena, communi concordia fuit similiter comes, et uxor sua Guil(l)a reme- suorum confratrum, presentia Ansaldi monaci sui, dium (anime sue et par) entum suorum atque re- presb. Rolandi cappellani sui S. Blasi de Biboni, missionem omnium peccatorum suorum offerre pro melioratione et utilitate sui mon. concedit, unanimi voto provident Deo et eccl. mon. S. Ma- tradit Villano Pis. archiep., ad opus eccl. et archie- rie infra castello de Serena omnia sua bona et cer- piscopatus S. Marie de Pisa, medietatem integram tas suas possessiones cum curtibus, ecclesiis, ca- omnium rerum inmobilium et possessionum ad stellis, cultis et incultis, loci habitantibus et sine suprascriptum mon. pertinentium, cum castellis, habitationibus, infra comitatu et territorio Voliter- vineis, pratis, pascuis, silvis, salinis, omni eorum rensis, Lucensis, Populoniensis, Rosellensis, infra iure a Cecina usque ad Ombrone sicut in mare de- comitato et territorio Orbivieto, infra comitato et rivantur, videlicet: medietatem de hoc quod su- 228 I della Gherardesca prascripto mon. pertinet in Biboni et eius confini- psius eccl. permaneat potestate. Si ullus futurorum bus, in confinibus de Casale, in Montalto et eius pontifices a se vel a suis eredibus ac proeredibus confinibus, in Palatino, in Canpomagiore, in curia supradicta eccl. abstulerit, res q. concedunt in sua de Bolgari ad S. Victorem, in finibus Rivo Gualdi deveniant potestate. Ordinant ut, quandoque ab- q. est in Castagnetum et Sagalare, in rocca de Biser- batem constitutus regulariter in predicto monaste- no et in eius confinibus et curia q. est medietas rio ab oc seculo migraverit, uno consilio supradic- rocca et eius curie, in Acquaviva et eius confini- te congregationis ipsi q. s. gg. vel suis eredibus ac bus, in Canpilia q. est medietas de castello et cu- proeredibus ibidem abbatem congreget. Si inter q. ria, in Finoketo, in curia de Suvereto, in Castilione s. gg. vel suis eredibus intetio orta fuerit, quod Bernardi et eius curia, confinibus et curia de Mon- communiter abbatem congregare non voluerint, teritondo, scilicet villa de Cangna, villa de Pater- cum consilio suprascriptorum fratrum, tunc preci- no, villa de Burriano, in curte de Marciliana, in piunt, ut ep. Vulturensis ibidem congreget abbas curte de Topario supra Castellina, in Casalasci, in cum consilio et electione suprascrpt. fratrum... Burgugnano, in Acquanigra, in Aquilaia, infra ple- [omissis] bem de Noni in Cornino, scilicet curia de S. Vito, [Si conclude con la firma dei fratelli Ugo, Ghe- q. tenet c. in Cerrosuvera, aliud c. in piscina pre- rardo, Tedice, Guido, Rodolfo e Enrico, con quel- sb. Lei, aliud ad murum longum, aliud in Petrafic- le dei testimoni ed infine quella del not. d. i. Fla- ta, uno l. in via Lacamadula, et aliud c. in piscina gipertus]. de Selice et Perogebulo, sic redit per Silicem u- sque ad Corniam, aliud c. ad fossam Lupaiam, sic vadit per Prunetam usque ad Varicum, vadit per Documento 5 Arnisanum usque ad fossam Kunici, in curte Casa- lappi, in curte de Sanbuketa, in villa de Burgo, in Firenze, 28 gennaio 1405. Capitolazioni in Ac- curte de Montioni. comandicia fra i Gherardesca e la Repubblica Fio- [omissis] rentina [da M. MACCIONI, Difesa del dominio dei conti della Gherardesca, Riccomi, Lucca 1771].

Documento 4 In Dei nomine amen. Anno Incarnationis Do- mini Nostri Jesu Christi Millesimo quadrigentesi- Vetrungnano, 1° novembre 1022. Atto di fonda- mo quinto Indictione quartadecima, secundum zione del monastero di S. Giustiniano di Falesia [da cursum, & morem Florentinorum die vigesimo una copia dell’XI secolo del not. d. i. Gerardus]. octavo Mensis Januari coram Nobilibus & Pru- dentibus Viris Domino Laurentio de Ridolfis de- Ugo comes, Gerardus, Guido, Teudici, Rodul- cretorum Doctore, Niccolas Joannis de Uzzano, fus gg. ff. qd. Teodorici, q. fuit comes, pro anima- Domino Philippo de Magalottis Milite, Francisco rum suarum remedio edificant monasterium in ho- Cecis de Pulcis, Antonio Vannis Mannucci, Do- nore s. Iustiniani infra comitatum et territorio Po- mino Rainaldo de Gianfigliazzis Milite, Domino poloniense u. d. Falesia iuxta mare. Supradicta ec- Cristofano de Spinis Milite, Bartolomeo Niccolai cl. videtur esse sub regimine et potestate Aposto- Taldi Valoris & Paulo Berti Grazzini de Carnesec- lorum principis urbis Rome. Suprascritti gg. offer- chis, Civibus honorabilibus Florentinis, novem ex re et dare volunt: curtem suam de Cumulo cum decem Baliae Magnifici, & potentis Comunis Flo- donicatis, angaris, olivetis, silvis, cultis vel inculm- rentiae absente tunc Lodovico della Badessa eo- tis; IX casis et rebus massariciis in l. Fisulanum: I rum Collega personaliter costituti Nobiles & pru- regere videtur per Principio massario, II per Leo, dentes Viri, Comes Gabriel Filius olim Domini U- III per Berizo, IV per Petro, V per Martino, VI gonis, & Comes Joannaes Filius olim Comitis per Iohannes, VII per Petrus, VIII per Vuinizio, Niccolai de Comitibus della Gherardesca Comita- IX per Carello presb. ; medietate de S. Perpetua tus Pisarum, facientes & qui fecerunt omnia & cum terris, vineis, silvis; curte de S. Cristina in l. A- singula infrascripta eorum propris nominibus, ac quaviva. Omnia offerre prevident tali ordine, ut u- etiam vice & gestorio nomine Comitis Arrigi filii sque dum ipsi vel suis eredibus hac proeredibus olim dicti Domini Ugonis & Germani dicti Comi- predicta eccl., q. in monasterium edificant, a pon- tis Gabriellis & Niccolai & Fratrum filiorum olim tefice Beati Petri eccl. urbis Rome apostolice sedis dicti Comitis Niccolai & Comitis Vincislai olim abere et detinere videntur, supradictis rebus in i- Domini Napoleonis Comitis de Doneratico, & fi- Appendice 229 liorum, & descendentium Masculorum legittimo- & eorum filii Masculi, & descendentes Masculi, rum, & naturalium in perpetuum tam natorum & per lineam Masculinam tam nati quam nascitu- quam nasciturorum ipsorum Comitum Gabriellis, ri in perpetuum, intelligantur esse, & sint facti, & & Johannis, & aliorum praedioctorum, quorum solemniter constituti perpetui Vicarii Comunis & nomine faciunt & seu fecerunt pro quibus omni- pro Comuni Florentiae, cum omni administratio- bus de rato observantia & ratihabitione promise- ne, & jurisdictione, ac gubernatione & sic ipsos runt dictis novem de decem baliae, & mihi Vivia- fecerunt, & constituerunt in perpetuum infrac- no Notario infrascripto ut publicae personae reci- sriptorum Castrorum cum eorum Curiis homini- pienti, & stipulanti, videlicet pro dicto, & vice, & bus & personis videlicet, Castri Casalis, Castri Bi- nomine dicti Comunis Floretiae & pro omnibus bonis, Castri Bogori, Castri Castagneti, & Castri & singulis, quorum interest, vel intererit quoquo Donoratici, Comitatus Pisarum. modo; Reverenter esposuerunt ipsis Novem de II – Item quod infrascripta loca cum eorum Decem baliae quod ipsi tenent, & hactenus tenue- Curiis pro ut infra nominabuntur, pertineat ad runt Castra & loca quae erunt infra specificata & dictos Comites, & eorum filios & descendentes nominata, & quod ipsi sunt dispositi puro animo praedictos cum Juribus quae in eis habent & pro & recta intentione velle se esse in perpetuum veri ut ad eos pertinent ad praesens, & hactenus perti- & devoti filii servitores & obbedientes dicti Magni- nerunt, & possint ipsa tenere, possidere & usu- fici, & potentis Comunis Florentiae & hoc osten- fructuare pro ut hactenus fecerunt & potuerunt, dere per effectum, & petierunt se cum Castris & & de illis disponere pro ut hactenus potuerunt, locis, & aliis de quibus infra scribetur & pro eo- quae loca sunt ista videlicet. Colmezzanum, Pars rum successoribus recipi ad gratiam, & filiatio- ad eos pertinens loci dictae le Mele, Casaglia, Ca- nem & obbedientiam ipsius Comunis, cum illis sa giusti, Castillione, Olivetum, Segalari, Petra modis, deliberationibus, Capitulis, ordinamentis, Rossa, Pars eorum in Biserno, Castiglione Mandi- gratiis, privilegiis, favoribus, concessionibus, one- gli prope & extra Curiam Rusignani. In quibus lo- ribus, obligationibus, permissionibus, & aliis de cis non est aliqua Fortilitia, ut dictum & assertum quibus pro ut & sicut placeret ipsi officio Domi- fuit per dictos Comitem Gabrielem, & Johannem norum decem baliae & se eis & dicto Comuni dd. nominibus. Florantiae recomendaverunt offerentes se paratos III – Item quod in dictis Castris & locis, & eo- omnia facere quae ipsi mandabuntur. Qui Novem rum Curiis, hominibus & personis dicti Comites de dicto Officio Decem Baliae auditis praedictis ut Vicarii praedicti possint in perpetuo exercere & conoscentes ut dixerunt hoc caedere ad hono- omnem Jurisdictionem, salvo tamen quod de ma- rem, & exaltationem dicti Comunis Florentiae & leficiis & delictis pro quibus venire de jure comu- suae libertatis & status, & ad exterminium inimi- ni imponenda poena mortis vel abscisionis mem- corum dicti Comunis, & volentes etiam ostedere bri, jurisdictio & cognitio pertineat ad Comunem magnificentiam dicti Comunis, & dictos Comites Florentiae & non ad dictos Comites, & pro dicto benigne recipire & tractare ipsos Comites Gabrie- Comuni, & quolibet tali casu ad illum Officialem lem & Johannem modis & nominibus quibus su- cui fuerit comissum semel aut pluries, & quando- pra receperunt sub filiatione, gratia & obbedien- cumque per officium Dominorum decem Baliae tia dicti Comunis Florentiae cum capitulis, dispo- Comunis Florentiae vel non existenti decem Ba- sitionibus, modis, & pactibus, conventionibus & liae per magnificos Dominos Dominos Priores ar- aliis infra scribendis, quae omnia ipsi novem de tium, & Vexilliferum Justitiae Civitatis Florentiae decem baliae retenta prius pratica, & facta exami- & eorum Collegia vel duas partes eorum, hoc ta- natione per duos de ipsis decem baliae & cum men declaro quod executiones condennationum dictis Comitibus Gabrielle & Johanne dicti nomi- ipsorum maleficiorum & delictorum in persona & nibus, deliberaverunt, ordinaverunt, providerunt, membro fiant & fieri debeant per Officialem cui & disposuerunt & pro dicto Comuni Florentiae fuerit commissum in dictis locis, vel quocumque convenerunt, firmaverunt, & fecerunt omni modo ex eis. via forma, & causa quibus melius, & efficacius IV – Item quod dicti Comites & Eorum Filii & potuerunt pro ut & sicut infra per scripturas & Descendentes praedicti percipiant & percipere Capitula apparebit, videlicet. possint in perpetuum fructus & redditos dicto- I. – In primis quod ipsi Comites Gabriel, Arri- rum Castrorum & locorum, & ad eos ipsi fructus, gus, & Johannes, & Niccolaus, & alii filii dicti Co- & redditus pertineant pro conservatione, custo- mitis Niccolai ejus Fratres, & Comes Vincislaus, dia, & manutentione ipsorum Castrorum, & pro 230 I della Gherardesca aliis expedientibus pro praedictis. XII – Item quod dicti Comites Vicarii, & eo- V – Item quod dicti Comites Vicarii praedicti, rum filii & discendentes praedicti, debeant dicta & eorum filii & descendentes praedicti, cum dic- Castra & Loca salvare & custodire, ad honorem tis Castri & locis sint & esse intelligantur sub Pro- Comunis Florentiae, ut veri Vicarii dicti Comunis. tectione dicti magnifici Comunis Florentiae ut sui XIII – Item quod census, feuda, & alia Jura, Vicarii, ut supra dictum est, & Protectionis bene- quae pertinent in dictis Castris & locis ad praedic- ficio gaudeant dicti Communis eorum Domini & tos Comites, possint per eos teneri, & usufructua- Protectoris. ri pro ut hactenus potuerunt, & ad eos pertinue- VI – Item quod dicti Comites Vicarii praedicti, runt, & pertinent cum solitis Juribus, quae habue- & eorum filii & descendentes praedicti pro reco- runt, & habent, & sic ipsis uti possint. gnitione dictae concessionis, & Vicariatus, & in si- XIV – Item quod Patronatus Abbatiarum, Ec- gnum reverentiae & obedientiae teneantur & de- clesiarum & Hospitalium, & aliorum Beneficio- beant quolibet anno in perpetuum per unum eo- rum pertineant ad dictos Comites pro ut de Jure rum Procuratorem vel familiarem quel voluerint ad eos pertinent, excepto tamen quod aliquo Jure equestrem offerri facere in Civitate Florentiae ad Patronatus non possint uti in aliquo Beneficio vel Ecclesiam Sancti Johannis Baptistae, in die festis Loco Ecclesiastico existente infra Castrum Guar- Sancti Johannis praedicti de Mense Junii, unum distalli, & seu infra Castrum Montiscudaii. Palium de Sirico, pro ut eorum honori viderint XV – Item quod in Bonis, Censibus, aut feudis convenire, exstimationis ad minus florenorum de- quos vel quae dicti Comites tenerent, quae essent cem auri. alicujus Praelati, vel Personae Ecclesiasticae & VII – Item teneantur & debeant pro Comuni Beneficii Ecclesiastici Comunis Florentiae, aut ali- Florentiae facere exercitus & Cavalcatas, & de fa- quis Officialis dicti Comunis, non debeant ipsos mulis mittere & tenere in servitium dicti Comunis vel aliquem ipsorum molestare; Et quod Comune secundum eorum posse quotiens eis fuerint man- Florentiae debeat eis dare illum favorem qui est datum per dictum Comune & eius officiales. justus & honestus. VIII – Item quod in dictis Castris & locis non XVI – Item quod praedicti Comites possint in possint nec debeant retineri vel receptari nec mo- suprascripti Castri & locis supra nominatis & eis rari aliquis, vel aliqui presentes, vel futuri conden- concessis exigere, & exigi facere Pedagium prout nati ad morte, vel in membris, aut in pecunia a hactenus potuerunt; Salvo quod a Civibus, vel dugentis libris supra Comunis Florentiae aut qui Comitatinis Civitatis Florentiae seu de eorum be- essent condennati Comunis Vulterrae in praedic- stiis aut pro eorum equis vel aliis animalibus, aut tis vel aliquo praedictorum; salvo quod possint re- personis, aut pro eorum, vel de eorum Mercantiis, ceptare Comitem Niccolam, & Matteum de Stri- vel aliis rebus nullum Pedagium, vel Gabella acci- do & ibidem in dictis Castris & locis ipsi duo sta- piatur, vel exigatur, quod ad aliis ultra solitum re, & habitare possint. nihil exigatur. IX – Item quod dicti Comites Vicarii praedicti, XVII – Item quod in his, quae dicti Comites & eorum filii & descendentes praedicti, debeant tenent & possident ad praesens, ipsi possint uti cum dictis Castris & locis facere omni tempore ad omnibus eorum Juribus, & prout de Jure de dic- mandatum Comunis Florentiae Guerram & Pa- tos spectat, & pertinet. cem pro ut ipsis mandatum fuerit, ut Vicarii dicti XVIII – Item quod ipsi Comites & Comunia & Comunis, & in talibus ipsi Comuni Florentiae ob- Loca supra eis concessa, & ipsorum Comunium bedire. & locorum homines, & personae intelligantur es- X – Item quod directe, vel indirecte, tacite vel se & sint absoluti ab omni debito, ad quod pro expresse, non possint nec debeant alicui Inimico praeterito tenentur Comuni Pisarum, & propte- Comunis Florentiae dare auxilium, vel favorem, rea non possint, nec debeant gravari vel molestari. & in omnibus tractare amicos Comunis Florentiae XIX – Item quod pro aliquo debito ad quod pro amicis, & inimicos dicti Comunis pro inimi- dicti Comites, vel homines & Personae de dictis cis, & sic in omnibus casis observare. Castris, & locis supra eis concessis vel aliquis i- XI – Item quod in dictis Terris, & locis de- psorum, vel dicta Comunia, & loca tenentur alicui beant ad omne mandatum Comunis Florentiae de Civitate aut Comitatu, vel districtu Pisarum, i- receptari omni tempore Gentes armorum dicti psi vel dicti homines & Personae, aut dicta Co- Comunis, Equestres & Pedestres contra quo- munia non possint gravari infra decem Annos scumque & quibuscumque causa & c. proxime futuros. Appendice 231

XX – Item quod dicti Comites, & quilibet eo- XXV – Item quod dicti Comites, & quilibet rum possint caricare & discaricare in Plaggis della eorum, & ipsorum, & cujuscumque eorum filii & Gherardesca Granum & Bladum, quod recollige- descendentes Masculi & per lineam masculinam rent in dictis Castris, & locis supra eis concessis possint & cuilibet eorum liceat omni tempore in sine solutione alicujus Datii, vel Gabellae. perpetuum per Civitatem, Comitatum, & Distric- XXI – Item quod dicti Comites possint uti om- tum Florebtiae, & per Civitatem, Comitatum, & nibus eorum Juribus in omnibus possessionibus Districtum Pisarum & in omni loco in quo Comu- quas habent, vel ad eos spectant ad praesens, sal- ne Florentiae habet Praheminentiam, vel Superio- vo & excepto quam in Castris, & Comunibus ritatem portare omnia & quaecumque Arma of- Guardistalli & Montis Scudari, & quod omne se- fendibilia, & defendibilia licite & impune. Nomi- questrum factum ad petitionem officii supradicto- na dictorum Comitum pro Armis, qui ad praesens rum Dominorum Decem Baliae tollatur & revoce- nominantur, sunt ista videlicet. Comites Arrigus, tur. Et insuper quod de, & pro omni, & quocum- & Gabriel praedicti, & Nicolaus & Johannes olim que debito ad quod ipsi Comites, vel aliquis eo- Comitis Nicolai & eorum fratres Vincislaus Do- rum teneantur cuicumque de Civitate aut Comita- mini Napoleonis, Bernabos, Laurentius, & Fra- tu seu Districtu Florentiae, vel aliunde praeter- tres filii dicti Comitis Arrigi & filii praedictorum quam de Civitate Comitatu, vel districtu Pisarum, Comitum. stetur cuicumque declarationi, & diffinitioni quae XXVI – Item quod quando ipsi Comites essent infra tres annos facta fuerint semel seu pluries & in Civitate Florentiae, possint decem eorum Fa- simul, & separatim per illum Officialem, & seu il- miliares, qui vere essent eorum familiares, non ta- lum Officium cui commissum erit infra dictum men sint de Civitate Florentiae, & quilibet ipso- tempus per Dominos Decem Baliae, vel duas par- rum familiarim possint portare Arma offendibilia tes eorum, & non existentes decem Baliae per & defendibilia per Civitatem Florentiae, & ejus Dominos Priores & Vexilliferum Justitiae Civitatis Comitatum & Districtum licite & impune, & i- Florentiae vel duas partes eorum, & quaelibet ta- dem intelligatur quando ipsi Comites essent in Ci- lis deffinitio, & declaratio observetur. vitatem Pisarum, aut in quacumque Civitate in XXII – Item quod dicto Comitem Vincislao li- qua Comune Florentiae haberet Superioritatem, ceat usufructuare Bona quae habet in Comuni vel Praeheminentiam, & quando essent duo aut Castellinae estra Castrum; sed Domus concessa plures ex dictis Comitibus in quacumque ex dictis Comuni & Palatium in Castro existens remaneat Civitatibus etiam decem familiares, & quando es- Comuni Florentiae cum suis pertinentis. set solus unus ex ipsis Comitibus possint octo suis XXIII – Item quod dicti Comites, & homines Familiares licite & impune ipsa arma portare, & & personae de Locis & Castris supra eis conces- quod nullos de dictis familiares possint esse de sis, & quilibet eorum intelligantur esse & sint ex Civitate Florentiae, & debeant esse veri familiares nunc absoluti & liberati ab omnibus, & singolis eorum & non alterius. roberiis, maleficiis, & delictis hactenus usque XXVII – Item quod per dicta, vel aliquod nunc commissis factis & perpetratis, & propterea praedictorum non derogeretur aliquibus Capitu- non possint nec debeant aliqualiter molestari. lis, vel Concessionibus factis per Officium ipso- XXIV – Item quod dicti Comites, & quilibet i- rum Dominorum Decem Baliae. psorum intelligantur esse & sint ex nunc absoluti, XXVIII – Item quod sopradicti Comites Arri- & plenissime liberati ad omnibus & singulis con- gus & Nicolaus & Vincislaus & alii Comites supe- demnationibus & bannis de eis vel contra eos, & rius nominati qui sunt aetatis debeant hinc ad per quemcumque ex eis dati latis seu factis hactenus totum Mensem Februarii proxime futuri, ratifica- pro quibuscumque maleficiis excessibus & delic- re & jurare ea, quae preadicti Comites Gabriel & tis ubicumque, & quaecumque condennationes, Johannes pro ipsi promiserunt ut infra apparebit, & banna, intelligantur esse & sint annullatae & & ad quae obligantur per Capitula suprascripta & revocate & pro cassis & cancellatis habeantur & infrascripta, & mittere infra tempus praedictum censeantur, & pro ipsis vel contentis in eis non Officio Dominorum dictorum Decem Instrumen- possint nec debeant molestari, & si expediens es- tum publicum Ratificationis. set fiant quaecumque Provisiones, Reformationes XXIX – Item quod dicti Comites Gabriel & & Deliberationes, & idem intelligantur de homi- Johannes dictis nominibus debeant promittere, & nibus Locorum & Castrorum supradictis Comiti- Jurare se esse & perseverare in futurum boni recti bus concessorum. & legales servitores Comuni Florentiae & contra 232 I della Gherardesca haec nullo modo facere, vel actentare & Juxta mitibus suoradictis, & pro ipsorum & dictorum a- posse operari & facere quod Civitas Pisarum ve- liorum Filiorum & Descendentium per lineam niat sub obbedientia & dominatione dicti Comu- Masculinam, & sic a delationem mei Viviani in ni Florentiae. Quibus omnibus sic factis praedicti praesentia dictorum Novem de Decem Baliae dic- Novem de dictis Dominis Decem Baliae praedicti tis modis & nominibus Juraverunt ad Sancta Dei Comites Gabriel & Johannes ibidem praesentes Evangelia manu tactis scripturis de recta & per- auditis omnibus suprascriptis, & ipsis omnibus fecta observantia praedictorum & de non facien- dictis nominibus consensuerunt & promiserunt do, vel aliqualiter actendo. dictis nominibus ipsis Novem de Decem Baliae & Acta fuerunt praedicta in Civitate Florentiae in mihi Viviano Notario Pubblico officio pubblico Palatio Populi Florentini praesentibus strenuo Vi- stipulanti, & recipienti pro dicto, & vice & nomi- ro Sforza Johannis de Cutignola, uno ex Caporali- ne dicti Comunis Florentiae, & omnium quorum bus gentium armorum Comunis Florentiae, Ser interest seu intererit suprascripta omnia fideliter Paulo Ser Landi, Ser Nicolao Andreae Gucci, & bono animo, & recta fide effectualiter observare Ser Martino Lucae Notariis Florentinis, testibus & contra aliquo modo, de Jure, vel de facto non ad praedicta adhibitis & vocatis. facere vel venire, & sic promiserunt pro aliis Co- BIBLIOGRAFIA

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Premessa 7

PARTE PRIMA Una grande casata guerriera del Medio Evo

CAPITOLO PRIMO Le origini leggendarie e storiche della famiglia 11

CAPITOLO SECONDO I rami genealogici minori della famiglia 35

CAPITOLO TERZO Le prime generazioni dei conti di Donoratico 57

CAPITOLO QUARTO L’epopea dei Gherardesca in Sardegna 65

CAPITOLO QUINTO I conti di Donoratico e la loro Signoria su Pisa 81

CAPITOLO SESTO La pace con Firenze e le vicende che ne seguirono 115

PARTE SECONDA Dal Granducato dei Medici al Regno d’Italia

CAPITOLO PRIMO I della Gherardesca diventano fiorentini 131

CAPITOLO SECONDO Sotto l’ala protettrice dei Medici 141

CAPITOLO TERZO I Lorena e la controversia sull’autonomia della contea 169

CAPITOLO QUARTO Sotto il dominio napoleonico in Toscana 177

CAPITOLO QUINTO Dalla restaurazione dei Lorena ai primi anni del Regno d’Italia 183

APPENDICE

INSERTO 1 Ricerca toponomastica dei possedimenti di S. Walfredo e loro accostamento con i domini dei Gherardesca 199 186 I della Gherardesca

INSERTO 2 Castelli e rocche che furono dominati dai Gherardesca per breve o lungo periodo 205

INSERTO 3 Compendio di documenti, tratti dall’Archivio della Gherardesca, che possono fornire un quadro del grado di autonomia della Contea dal 1405 al 1775 219

DOCUMENTI 225

Bibliografia 233 FINITO DI STAMPARE DALLA LITOGRAFIA VARO IN PISA IL GIORNO DEI SS. PIETRO E PAOLO 29 GIUGNO 1996 PER CONTO DELLE EDIZIONI ETS

IL PRESENTE ESEMPLARE APPARTIENE ALLA PRIMA RISTAMPA DI CINQUECENTO COPIE

IL CASTELLO DI WILLEHALM MINIATURA DEL MANOSCRITTO VIENNESE, FOL. 106r