TESI DI DOTTORATO DI RICERCA L'affetto E La Sua Misura. Le Autorità Ecclesiastiche E La Regolamentazione Della Musica Nel
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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MILANO SCUOLA DI DOTTORATO «Humanae litterae» DIPARTIMENTO Scienze della storia e della documentazione storica CORSO DI DOTTORATO Società europea e vita internazionale nell’età moderna e contemporanea UNIVERSITÉ BLAISE PASCAL – CLERMONT –FERRAND II ÉCOLE DOCTORALE DES LETTRES, SCIENCES HUMAINES ET SOCIALES UNIVERSITÀ ITALO-FRANCESE (UIF/UFI) TESI DI DOTTORATO DI RICERCA L’affetto e la sua misura. Le autorità ecclesiastiche e la regolamentazione della musica nel Cinque e Seicento CANDIDATO MANUEL BERTOLINI (matr. R08549) TUTOR Chiar.ma Prof.ssa Claudia Di Filippo Bareggi CO-TUTOR Chiar.mo Prof. Bernard Dompnier COORDINATORE DEL DOTTORATO Chiar.ma Prof.ssa Paola Vismara A.A. 2011/2012 2 Ai miei genitori 3 INDICE INTRODUZIONE 6 I. L’AFFETTO E LA SUA MISURA. LA CORNICE DI UN’IDEA MUSICALE 9 1. L’antefatto mitologico 9 2. La dottrina dell’ethos 14 3. Lo spirito e il corpo della musica 23 II. RILEGGERE “L’ANGELO E LA SIRENA”. I VOLTI DELLA CENSURA MUSICALE POSTRIDENTINA 31 1. Il Concilio di Trento 31 2. “Maius est illuminare che lucere solum” 41 3. Un’oasi di musica spirituale: l’Oratorio di Filippo Neri 74 4. Musica all’Indice 89 5. Separare la parola dal suono e lo spirito dalla carne 115 6. La dissonanza in confessionale 141 III. UNA VIRTÙ SEGRETA: MUSICA E POLIZIA DEI COSTUMI A GINEVRA 173 1. Calvino e la disciplina ecclesiastica 173 2. Il conflitto della salmodia 179 3. I processi del Conseil 190 4. L’alambicco musicale 206 IV. IDEE SULLA VIRTUS FLEXANIMA DELL’ARMONIA: FICINO, CAMPANELLA E LA CENSURA DEGLI ESORCISMI 221 1. I demoni di Psello 221 2. La natura ambigua del segno 228 3. Il Diavolo nell’orecchio 236 4. Il delirio, la fede e la lira 246 4 5. Campanella e Pitagora 253 CONCLUSIONE 272 FONTI E BIBLIOGRAFIA 279 5 INTRODUZIONE «Dite, l’attuale vostra musica, sempre appassionata e brillante, non può turbare l’equilibrio degli elementi morali da cui dipende l’ordine sociale? – Scusate, ma questo problema è troppo lontano da me: io suono il violino». V. Odoevskij, Notti russe. Queste pagine costituiscono il primo approdo di una riflessione da me iniziata alcuni anni fa, che è scaturita da un interrogativo, apparentemente semplice: «La musica vola. Inafferrabile e imprendibile. Come si fa a mettere in gabbia una canzone?». A chiederselo era Dario Fo nella prefazione a Sparate sul pianista!,1 un libro che illustra i fenomeni di censura musicale nel mondo contemporaneo. Che la musica possa essere condannata al silenzio ha forse del paradossale. Eppure, in molti paesi la sua repressione costituisce oggi più una regola che un’eccezione. Se le proibizioni di certe frange fondamentaliste del mondo islamico possono sorprendere fino a un certo punto, a dare i brividi sono le liste di proscrizione in vigore negli Stati Uniti: “Clear Channel”, la maggiore catena radiofonica, ha stilato e diffuso a tutte le sue emittenti una black list di artisti e titoli da non programmare. Dietro sta indubbiamente la volontà del potere politico di mettere a tacere le posizioni ‘scomode’ espresse dai musicisti. La musica può essere condannata perché da voce a minoranze etniche che si vorrebbero ignorare; perché convoglia pulsioni sessuali e istanze di libertà nebulose difficili da disciplinare. Essa è stata definita una struttura parallela di potere, capace di destabilizzare il sistema sociale. Ciò è ben testimoniato dalla relazione fra la star e i suoi fans. La star, idealizzata e venerata, svolge un ruolo di ego ideale per il pubblico e si fa portatrice di norme, valori e opinioni politiche che, veicolate dalla musica, si caricano di un valore emotivo forte e penetrante. La censura musicale esiste fin dall’antichità. Platone sosteneva la necessità di controllare o proibire la ‘cattiva’ musica: al pari delle peggiori compagnie, essa aveva il potere di distogliere i cittadini dal perseguimento del Bene; poteva causare il rovesciamento dell’ordine sociale e la rovina dello Stato. Dalla messa in scena delle opere di Verdi al fascismo, la qestione del controllo politico della musica popolare è sempre stata all’ordine del giorno. Se ogni epoca storica ha conosciuto forme di censura musicale, cosa può essere detto per l’età moderna? Certo l’idea di musica era differente, 1 Sparate sul pianista! La censura musicale oggi, a cura di M. Korpe, Torino, EDT, 2004. 6 e in Italia musicisti ed ascoltatori dovevano confrontarsi non tanto con una censura di Stato, ma con le crescenti funzioni di controllo esercitate dal corpo ecclesiastico (i dicasteri romani, gli ordini regolari, i vescovi). Non senza una certa sorpresa, durante un seminario tenuto da Gigliola Fragnito sulla censura ecclesiastica cinquecentesca, ho scoperto che la musica costituisce un’assenza di rilievo in un dibattito storiografico che, dopo l’apertura dell’Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede, ha conosciuto un enorme sviluppo. Eppure, proprio da questi studi è emersa con nettezza la volontà della Chiesa postridentina di esercitare un controllo fortemente centralizzato e pervasivo su ogni ambito culturale. In questa sede non mi interrogherò sulle ragioni di questo curioso silenzio della storiografia (che caratterizza, peraltro, anche molta musicologia), dovuto forse alla scasa cultura musicale che caratterizza ancora oggi il nostro paese, e che spinge a relegare la musica agli addetti ai lavori cosiddetti ‘alfabetizzati’. Scopo di questo lavoro è, invece, quello di mostrare anzitutto i diversi volti della censura musicale. Con il suo essere sintesi di trivio e quadrivio, occuparsi di censura musicale significa confrontarsi con la liturgia, la poesia, ma anche con idee filosofiche o particolari concezioni mediche. Rivalutata dalla pedagogia umanistica, la musica divenne parte integante del programma formativo del giovane nobile. Nella novellistica cinquecentesca, la gioventù si esprime immancabilmente attraverso la parola cantata. Com’è stato scritto, «costituzionalmente correlato all’evolversi del giorno, il ritrovarsi insieme a cantare o a suonare può essere l’atto attraverso il quale si riapre, dopo la solitudine notturna, il sipario della vita sociale».2 La musica era presente in molte forme di sociabilità e di divertimento; scandiva gli atti di preghiera e accompagnava il lavoro quotidiano. Questo suo essere fibra sostanziale della vita culturale dell’epoca rende l’indagine ancora più urgente. Nel primo capitolo, fisserò le coordinate generali della teoria musicale dell’antichità greca, con particolare riguardo alla dottrina dell’ethos. L’idea secondo cui una composizione di potenze antagoniste in equilibrio instabile altera il proprio carattere, in seguito all’egemonia di una delle componenti elementari dell’armonia, è uno dei cardini del pensiero rinascimentale in materia di psicologia musicale: la virtù come giusta misura tra pathos e anomalia; l’eccesso o il difetto della medicina umorale; la trasgressione dei limiti negli exempla che esaltano il potere psicotropico della melodia; 2 S. Lorenzetti, Musica e identità nobiliare nell’Italia del Rinascimento. Educazione, mentalità, immaginario, Firenze, Olschki, 2003, p. 123. 7 l’ostracismo nei confronti degli strumenti polychorda che moltiplicano le digressioni dell’armonia. La commistione del pari e del dispari negli intervalli, la consonanza e la dissonanza d’impronta pitagorica fra potenze contrarie, sono alla base del principio che riassume con efficacia tutti i fenomeni di casualità transitiva sonora. Dagli antichi, grazie al tramite dei Padri della Chiesa, i moderni hanno appreso che la musica ha il potere di un oppiaceo, che altera le facoltà dell’anima e può privare l’uomo del libero arbitrio. Da questo principio base ha origine la necessità delle autorità ecclesiastiche di regolamentare le varie forme della musica. Di questi volti vuole dare conto il secondo capitolo. Il primo problema è rappresentato dalla liturgia: la Riforma impone alla Chiesa di Roma di proteggere il repertorio liturgico da derive eterodosse; di sradicare quel variegato insieme di comportamenti superstiziosi che la musica incentiva; di definire in maniera stringente il rapporto fra orazione interiore ed esteriore che Lutero e Calvino riportano sotto i riflettori della riflessione teologica. Cercherò di riflettere su questi aspetti muovendo da una disputa fra teatini e gesuiti relativa alla recita dell’ufficio corale. Nella prima età moderna il confine fra lo spazio sacro e quello profano è labile: la diffusione della parodia e dei ‘travestimenti’ spirituali impone dunque di confrontarsi anche con i madrigali e le villanelle napoletane che avevano invaso le piazze e le corti cardinalizie. Per analizzare questo secondo aspetto farò principalmente riferimento alla politica della congregazione dell’Indice, e all’attività musicale dell’Oratorio di Filippo Neri, che degli orientamenti dell’Indice si fece (almeno in parte) promotore, e che costituisce uno dei più interessanti ‘ponti’ fra la musica spirituale e quella profana. Ma la censura non è fatta solo di normative e di indici. E, ovviamente, la musica non è costituita soltanto dal testo letterario. Lungi dal volermi aggiungere alla fitta lista di teorici che, fra Cinque e Seicento, dibattono su quale delle due componenti della musica – la parola o il suono – deve essere subordinata all’altra, cercherò di capire se, dietro l’espurgazione testuale di una partitura, è possibile individuare una precisa preoccupazione delle autorità ecclesiastiche per la melodia (e, se così, quale). Tale dimensione può essere avvicinata, oltre che attraverso i memoriali dei censori, dalla letteratura di casistica penitenziale. Si tratta di un filone pressoché trascurato dalla musicologia. Muovendo dalla ricerca condotta da Alessandro Arcangeli sulla censura del ballo, tenterò di mettere in luce le specificità dei problemi etici posti dalla musica rispetto alla sua compagna prediletta, la danza, con la quale si ritrova sovente sul banco degli imputati. Non senza una certa sorpresa, si vedrà che i pericoli sonori dai quali i 8 confessori cercano di mettere in guardia i fedeli si rifletteonno pressoché specularmente in una serie di procedure giudiziare avviate dal Consistoire di Ginevra, durante il magistero di Giovanni Calvino; a queste ultime è dedicato il terzo capitolo.