Torino Tempio Valdese Martedì 04.IX.07 Ore 17 Ritratti In

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Torino Tempio Valdese Martedì 04.IX.07 Ore 17 Ritratti In Torino Ritratti in musica Tempio Valdese Vittorio Ghielmi viola da gamba Martedì 04.IX.07 Luca Pianca liuto ore 17 Simpson Poole Doni Marais De Visée Forqueray Ritratti in musica Christopher Simpson (1610-1669) A division upon a ground variazioni su un basso ostinato Anthony Poole (XVII secolo) Division upon the Poolewheele ground variazioni su un basso ostinato Giuseppe A. Doni (XVII secolo) Toccata Gagliarda Passacaglia Marin Marais (1656-1728) Prélude Rondeau Saillie du Café (L’uscita del caffè) La Minaudière (La smorfiosa) La Reveuse (La sognatrice) L’arabesque Robert De Visée (1661-1720) Allemande (Tombeau de Mr Mouton) Courante Le Rossignol de Mr Couperin (L’usignolo del Signor Couperin) Les Rémouleurs (Gli arrotini) Antoine Forqueray le Père (1672-1745) Allemande La Girouette (La banderuola da vento) La Sylva La Marélla Le Carillon de Passy La Leclair Vittorio Ghielmi, viola da gamba Luca Pianca, liuto Videoimpaginazione e stampa • la fotocomposizione - Torino ell’Europa rinascimentale e barocca, cioè tra la fine del 1400 e la Rivoluzione N francese, il liuto e la viola da gamba ebbero grosso modo il ruolo che nell’Ot- tocento ebbe il pianoforte e più recentemente la chitarra elettrica. Nell’Ottocento non vi fu casa borghese in cui mancasse un pianoforte; nelle carovane dei pionieri nel Far West non era infrequente trovare un pianoforte, all’incirca come oggi si tro- verebbe un televisore. Nei secoli del Rinascimento non vi è quadro o descrizione in cui manchi un liuto. Tuttavia questi due strumenti incarnano al contempo ciò che di più raffinato produsse la cultura europea in quell’epoca. Essi si basano su un principio di produzione sonora assai particolare: la vibrazione prodotta dalla corda è “catturata” dalla tavola del liuto (il fondo nella viola), che per mezzo di un complicatissimo sistema di barre e proporzioni si trasforma in una vera e propria corda di risonanza, mantenendo la vibrazione ed elaborandone il timbro nel tempo di risonanza, in modo non dissimile da quanto avviene in una campana. Per questa ragione il liuto fu considerato strumento “d’oro” e la viola, un liuto ad arco, il gradino successivo. Gli strumenti “senza” risonanza, cioè concepi- ti solo come amplificatori di suono, come il violino, furono considerati di rango inferiore fino alla metà del Settecento. La proliferazione chiaramente percepibile degli armonici durante la risonanza, nelle campane come nel liuto o nella viola da gamba, fu sempre studiata e considerata come immagine percepibile del Cosmo, in cui l’Uno produce il molteplice. Non è un caso che le campane siano nella tradizione cristiana, come in moltissime altre, gli strumenti del “trapasso”, della morte-vita, della caduta in stato di trance, e via dicen- do. Proprio grazie a questo tipo di produzione sonora, la viola da gamba venne spes- so usata nel barocco per accompagnare ed evocare il “passaggio” tra morte e vita, tra stato mortale e stato di trance mistica. L’esempio più noto, ma uno tra i tanti, di que- st’uso della viola da gamba, si trova nelle Passioni bachiane, dove compare come sigillo soprannaturale nel momento culminante dell’opera. La stessa cosa avviene per la sesta cantata del ciclo Membra Jesu Nostri di Buxtehude, dedicato alle piaghe del Cristo in croce: l’ascesi in sette cantate dai piedi al capo del crocefisso ha il suo cul- mine mistico nella cantata Ad cor, accompagnata da cinque viole da gamba. Nella seconda metà del Settecento, parallelamente ai moti sociali e di pensiero, questi due strumenti, come tante altre icone di un’epoca spirituale al tramonto, scompaiono o si conservano in aree marginali rispetto alle grandi innovazioni della cultura europea; si lasciano dietro tuttavia un repertorio sterminato di brani musi- cali, di capolavori della composizione in decine di stili e idiomi nazionali differen- ti, dalla Spagna, all’Italia, all’Inghilterra, alla Francia, al Nord Europa. Da questa immensa eredità (si dice che si conservino più brani per viola da gamba che per pianoforte…) abbiamo scelto questa sera una piccola tranche, rappresenta- tiva di uno dei periodi d’oro di liuto e viola da gamba: la fine del Seicento e il pri- missimo Settecento tra Inghilterra e Francia. La viola da gamba arrivò in Inghilterra dall’Italia e fu senza dubbio lo strumento principe del Seicento inglese. Fu adottato come strumento didattico nell’educazio- ne dei ragazzi e in tutte le scuole si formarono consort (concerti) di viole, sfruttan- do anche il fatto che nella famiglia di questi strumenti le taglie piccole (soprani e tenori) potevano essere suonate da ragazzi piccoli. Il repertorio di consort, da tre a sette viole e più, fu uno dei pilastri della composizione inglese di quel periodo, in cui si cimentarono tutti i maggiori autori. A fianco di questo utilizzo “sociale” dello strumento si sviluppò un repertorio solistico diviso in vari stili, uno dei quali, forse il più popolare, fu l’improvvisazione su un ground, cioè su un basso ostinato. Amatissima da autori come Purcell, l’arte del costruire delle divisions, cioè delle variazioni su un basso, fu profondamente posseduta dai virtuosi di viola come Chri- stopher Simpson o Anthony Poole. Il ground, un breve basso esposto all’inizio, all’incirca come uno standard nel jazz, viene poi variato secondo schemi ritmici, melodici e articolatori con un sapiente uso retorico, che contrapponendo elementi differenti ci restituisce alla fine un grande affresco, composto da tasselli che hanno sempre in comune un elemento (il basso ripetuto). Il ground di Simpson è una breve frase unica; quello di Poole è articolato in due frasi, A e B, che vengono poi varia- te alternativamente durante il brano. Sul finire del Seicento, mentre il liuto e la tiorba avevano già raggiunto in Francia un altissimo grado di perfezione, l’arte inglese della viola da gamba sbarcò in Francia. I francesi abbandonarono le vecchie viole a cinque corde e si impossessarono in manie- ra onnivora degli strumenti a sei corde e dello stile inglese, come testimoniano autori come André Maugars o lo stesso giovane Marin Marais, che scrisse in gioventù alcune divisions in stile inglese. L’influenza della scuola liutistica e una differente estetica sonora modificarono tuttavia rapidamente in Francia la viola da gamba e la sua musi- ca. L’aggiunta della settima corda (il la grave), pare per opera del maestro di Marin Marais, Saint-Colombe, diede allo strumento una nuova profondità sonora. Ben presto si formarono stili musicali differenti e il gusto francese per la miniatura si diffuse, a lato delle forme più antiche della suite (le forme di danza: allemande, cou- rante, sarabande, gigue). È assai interessante vedere questa evoluzione nei cinque libri per viola di Marin Marais, comparsi tra 1686 e 1725. Il primo libro è composto quasi interamente da brani in stile secentesco (danze) e qualche division; l’ultimo libro è quasi interamente dedicato alle pièces de caractère, le descrizioni musicali alla moda. Dopo il solo liutistico del maestro italiano Giuseppe Doni, il programma di questa sera è interamente dedicato alle pièces de caractère. I tre autori Marais, Forqueray e De Visée rappresentarono l’élite musicale alla corte di Luigi XIV e Luigi XV. Di Marais si ricorda il soprannome “l’Ange” e di Forqueray “Le Diable”, per i diversi temperamenti che traspaiono nella scrittura violistica; De Visée fu il massimo virtuoso di liuto, tiorba e chitarra. Di lui ci rimangono tra l’al- tro numerosissime trascrizioni per liuto da opere orchestrali di Lully, che il liutista eseguiva su comando nella Chambre du Roi: una maniera per riproporre al re la sua musica orchestrale preferita nei momenti o luoghi in cui non si poteva disporre del- l’orchestra (oggi si accenderebbe un Hi-Fi…). Dopo un preludio e un bellissimo Rondeau in do minore, il brano di Marais, La Sail- lie du Café, ci suggerisce per mezzo di un perpetuum mobile di note rapide il rumo- re di una piccola folla che esce da un bistrot, o lo sfrigolare dell’acqua del caffè (le due interpretazioni sembrano possibili). La Minaudière vuole rendere il carattere arrogante e un po’ antipatico, benché seducente, di una smorfiosa e lo fa con l’ar- tificio ritmico di una sovrapposizione 2/3 che dà al brano un andamento contem- poraneamente sinuoso e spigoloso. La Reveuse e L’arabesque, i due brani forse più noti di Marais, non hanno bisogno di parole. I brani di De Visée comprendono un Tombeau, cioè un brano funebre pensato sulla tomba del defunto (un’altra moda francese dell’epoca), la trascrizione per liuto di una pièce de caractère di Couperin per cembalo, l’imitazione del canto dell’usignolo e un piccolo brano dove il moto musicale “circolare” imita l’attività degli arrotini. Antoine Forqueray, che ci consegnò un libro postumo di brani per viola, edito dal figlio violista Jean-Baptiste Antoine, fu virtuoso violista e compositore ispirato. Le sue composizioni non indulgono mai alla maniera e non usano formule stereotipa- te, situando questo compositore tra i massimi della sua epoca, con l’unico torto di non aver composto opere o suite orchestrali, ma solo musica per il proprio stru- mento. Dopo un’Allemande, conservata manoscritta alla Biblioteca Nazionale di Parigi, eseguiremo la Girouette, dove il capriccioso girare di una banderuola da vento è magistralmente descritto dal turbinare delle note; la Sylva, una breve aria très tendrement dedicata come una sorta di ritratto musicale a Jean-Baptiste Sylva, primo medico della regina; la Marélla, ritratto dell’omonimo violinista francese o imitazione di un gioco popolare fatto battendo la palla con un bastone, come sug- gerirebbe il ritmo musicale violentemente puntato; Le Carillon de Passy, un brano composto sul lugubre suono di una campana ripetuto costantemente; La Leclair, un brillante ritratto del più grande violinista francese dell’epoca.
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