Davide Crosara Il Buco Nel Cielo Di Carta

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Davide Crosara Il Buco Nel Cielo Di Carta A10 Davide Crosara Il buco nel cielo di carta Samuel Beckett e il monodramma Prefazione di Mario Martino Aracne editrice www.aracneeditrice.it [email protected] Copyright © MMXIX Gioacchino Onorati editore S.r.l. – unipersonale www.gioacchinoonoratieditore.it [email protected] via Vittorio Veneto, 20 00020 Canterano (RM) (06) 45551463 isbn 978-88-255-2644-8 I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: agosto 2019 A Livia, my life line Indice ! Prefazione "# Premessa Un teatro senza il teatro? "# Capitolo I Il monodramma $.$. An art of stillness: premesse storico–culturali, "# – $.". Da Rousseau a Göz, "% – $.#. La scena pietri&cata: la posizione di Go- ethe, "' – $.( A mental theatre: Lewis, Baillie, Byron, (!. !# Capitolo II Beckett e i media ".$. Beckett e la radio da Berlino a Londra, !# – ".". Krapp’s Last Tape: un monodramma per il XX secolo, '( – ".#. Annus mirabilis: $%)$, %" – ".(. Racinian light: la purezza della forma, %'. $*% Capitolo III La lezione romantica #.$. Una rilettura a distanza, $*% – #.". Macchine e marionette: Schiller e Kleist, $$# – #.# The voice within: Keats e Hölderlin, $#* – #.(. Yeatsian extravaganza: Beckett e il dramma in versi, $+$ – #.+. All passion spent: Samson Agonistes paradigma beckettiano, $!$. ! ' Indice $'$ Capitolo IV Il monodramma dopo Beckett (.$. Harold Pinter, Alan Bennett, Sarah Kane, $'$ – (.". Conclusio- ne: Pensare senza corpo, "$+. "$% Bibliogra$a ""% Ringraziamenti Prefazione M,-./ M,-0.1/* Tra la &ne dell’Ottocento e gli inizi del Novecento diversi autori e opere segnalano l’esigenza di cambiamenti radica- li nell’ambito del teatro, in forme che attaccano la compo- stezza e le convenzioni ormai stanche del teatro borghese: Ubu roi, di A. Jarry, ad esempio, è del $'%); in America The Emperor Jones, di E. O’Neill, è del $%"*; e nel $%"$ Pirandello aveva dato una vigorosa scossa al mondo letterario ed arti- stico presentando, al teatro Valle di Roma, Sei persona%i in cerca d’autore, quasi in simultanea, per quanto riguarda il ge- nere drammatico, con le pressoché coeve pubblicazioni di The Waste Land, di T.S. Eliot, e Ulysses di Joyce, entrambe del $%"", che rivoluzionarono il genere poetico e narrativo. Fu Beckett tuttavia che ebbe la capacità di riassumere e concen- trare in sé e nella sua opera gran parte delle tensioni inno- vative e delle spinte rivoluzionarie provenienti da più parti, perseguendo con eccezionale coerenza e profondità la spe- rimentazione formale e il rinnovamento contenutistico che la nuova epoca chiedeva, lungo un arco produttivo piuttosto ampio, che va dagli anni Trenta alla &ne degli anni ‘'*; più ampio di quello tracciato da altri grandi modernisti. Concen- trandosi sulla produzione speci&camente monodrammatica, * Professore associato di Letteratura inglese presso la Sapienza Università di Roma. % $* Prefazione e sulla sua tradizione, lo studio di Crosara va ad occupare un vuoto critico importante relativo allo scrittore irlandese e alla portata innovativa della sua opera, alla cui interezza lo sguardo è ripetutamente allargato. Difatti, la ricerca letteraria beckettiana degli anni Trenta si applica in primo luogo alla forma narrativa, perché narrato- re, e poeta, il drammaturgo si concepì all’inizio della sua car- riera, a Parigi, operando nell’ombra di Joyce. In quel di2cile tempo racchiuso tra due guerre mondiali, con l’incompiuto Dream of Fair to Middling Women, con More Pricks than Kicks, e Murphy, primi tentativi narrativi e romanzeschi, Beckett è alla ricerca di una propria voce o originalità, anche se risente ancora fortemente – ma progressivamente meno - della lezio- ne joyciana. Con Watt, terzo romanzo, iniziato a Parigi nel ‘($, e terminato nel ‘((, in clandestinità a Roussillon, nel sud della Francia, dove Beckett, membro della Resistenza, si era rifugiato per sfuggire alla Gestapo, ci immergiamo nel delirio del secondo con3itto mondiale e non solo perché le date di composizione sono tutte interne al tempo di guerra, ma per- ché il romanzo è una risposta a quella follia, è scritto per non impazzire, come ebbe a dire lo stesso autore. Ma è a partire dalla &ne del con3itto, più o meno nel quin- quennio fatale tra il $%(+ e il $%+*, che Beckett raggiunse una piena maturità e autonomia di espressione artistica, con la poetica della ‘sottrazione’, con la disciplina straniante della adozione della lingua francese, e con l’individuare il centro umano nel personaggio semifolle e outcast, accompagnato o meno da un suo doppio, o da sue scomposizioni in altre, cangianti identità e voci. Emerge così come la trilogia roman- zesca proceda in parallelo, con3uisca nella sperimentazione drammatica. Essa disegna in tal senso un arco coerente, di progressivo allontanamento da presupposti naturalistici e rea- listici per chiuderci sempre più nel micro- e macrocosmo della Prefazione $$ mente e della interiorità, nella individualità monologante, nel 3usso di parole che risuonano in un’aria rarefatta straniante, dall’incerto statuto ontologico: passiamo insomma attraverso i tre momenti distinti, eppure fusi in uno, di questo percorso, che sono Molloy, Malone Dies e The Unnamable$ (e se Beckett non si sentì a proprio agio con la de&nizione di “Trilogia” ciò fu piuttosto per il sapore di presunzione autocelebrativa che essa ha connaturata). Il climax è memore della costituzione tripartita della mente di Murphy nel romanzo eponimo; o anzi, quale Murphy la rappresenta a se stesso, come osser- va sarcastica la voce narrante: ciascuna zona di quella mente ingenuamente ancora concepita come luogo del piacere, ma tanto più puro quanto più si allentano i legami col mondo, e la stessa consapevolezza di soggettività si dissolve. È uno dei tanti paradossi a cui la &gura e l’opera di Beckett ci abituano, quello per cui l’opera che più di altre porta a compimento la rivoluzione del teatro moderno, Waiting for Godot, nasca come “divertissement” alla tremenda pressione intellettuale della stesura dei tre romanzi, e &sica, di virtua- le reclusione nella sua stanza di Parigi, vicina a una prigio- ne e un mattatoio. Il sottotitolo, a tragicomedy in two acts, che colloca il play all’interno di un sottogenere la cui de&nizione e teorizzazione arriva già dall’ambito Cinque– Seicentesco, italiano in particolare (e collegato in Inghilterra al nome di Fletcher specialmente), sottolinea immediatamente un suo aspetto bifronte, o binario, che va collegato al superamento delle distinzioni drammatiche classiche. Il play unisce trage- dia e commedia, pur non essendo né l’una e né l’altra cosa singolarmente. Binaria è poi la struttura dei personaggi, con i protagonisti Vladimir ed Estragon anch’essi, chiasticamen- $. Nella versione originaria francese rispettivamente: Molloy (Quarantasette), Malone meurt (Quarantotto) e L’innomable (Cinquanta). $" Prefazione te, distinti eppure singolarmente simili; simili, quasi al punto da non saperne noi distinguere le battute, spesso cooperati- ve piuttosto che dialoganti; e distinti talvolta basilarmente opposti (in riferimento alla statura alta/bassa, o alla corpo- ratura, longilinea o tarchiata). Didi e Gogo sono duplicati e specchiati, a loro volta, dalla coppia Pozzo e Lucky, quasi a disegnarne una sorta di loro archeologia umana e sociale. Ep- pure la struttura dei personaggi di Waiting for Godot, sebbene riprenda, entro i limiti detti, la pluralità dei personaggi della scena teatrale tradizionale, interpreta tale pluralità in senso rivoluzionario, negando la tenuta delle identità circoscritte e la sostanza del dialogismo, rarefacendo il plot, consumando le parole, e portando al limite del nulla i dati di ambientazione. Ed è una struttura che, pertanto, già contiene in nuce alcuni dei fondamentali tratti di sviluppo dell’arte teatrale becket- tiana — persino quando questa incontrerà i nuovi media o strumenti tecnologici, come la radio, il registratore sonoro, la televisione — e la vitalità di questo incontro per la forma stessa del monodramma è acutamente mostrata e indagata nello studio di Crosara. Il duplice di Waiting for Godot è compreso nell’uno, perciò. Allo stesso modo funzionano i due atti in cui il play è diviso, distinti quel tanto che basta per dare il sentore di una variazio- ne e sviluppo lineare, del proseguire della vita; e simili, l’uno ripetizione dell’altro, a dare il senso contrario dell’assenza di variazioni sostanziali, e perciò di una monotonia inevadibile dell’esistere, dell’assenza di un signi&cato ultimo. Nella strut- tura del play che fonda la drammaturgia di Beckett, e quella del Novecento, c’è già l’idea della sostanziale identità della condizione umana, e della sua radicale chiusura e solitudine. Il processo entropico del personaggio sembra così giunto al suo punto quasi conclusivo, senonché Beckett, con una im- maginazione che tanto più si arricchisce ed espande quanto Prefazione $# più va al limite di ogni riduzione possibile, non smette mai di portarci oltre. Se Molloy, ad esempio, ci si presenta come per- sonaggio inserito in un ambiente di dati residuali ancora com- patibili con i modi del realismo borghese, la sua metempsicosi in Malone assottiglia tali legami &no a con&narci al solo dato essenziale di una coscienza presente a se stessa, di una voce che si narra storie; mentre l’Innominabile, negato al prota- gonista un nome, nega la stessa identità di coscienza. Se poi con un
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