Guida Alla Lettura Di
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Pino Sabatelli Guida alla lettura di www.ifioridelpeggio.com Opera protetta da Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale Introduzione Nel 2015 avevo pubblicato sul vecchio blog una prima versione di questa guida. Consapevole della sua assoluta parzialità, ho però deciso di procedere a una raccolta più sistematica delle voci, col risultato di quintuplicarne il numero. Non saprei dare una motivazione razionale sul perché l’abbia fatto, visto che si tratta di un libro ormai vetusto e che non ebbe un particolare successo neanche quando uscì. Non posso neanche dire di averlo particolar- mente apprezzato, come potrete desumere dalla recensione che feci a suo tempo e che ho qui ripubblicato. Penso che la ragione principale di questo lavoro, che potrebbe a buon diritto essere scelto per illustrare in un vocabolario l’aggettivo “inutile”, risieda nel fatto che ogni libro di Pynchon, almeno per me, rappresenta una sfida intellettuale, e accettarla significa iniziare una caccia al tesoro per scoprire cosa è reale e cosa no, accorgendosi, talvolta, che quel che sembrava inventato di sana pianta è vero, mentre altre cose, apparentemente verosimili, sono del tutto campate in aria. Senza questo sforzo di disvelamento della fittissima trama di rimandi e sottotracce del testo, ritengo che le opere di Pynchon possano essere apprezzate solo in parte, e questo vale anche per questo romanzo, affatto minore nella sua produzione. Inutile dire che questo comporta un lavoro immane che, per quanto facilitato dalle risorse ormai disponibili online, rimane immane. Eppure è quello che mi diverte di più quando leggo un suo libro: il che, forse, dice qualcosa sia su di me che sulla “piacevolezza” delle letture pynchoniane. Per la gran parte delle voci ho utilizzato Wikipedia, dando così un senso al contributo che verso annualmente in suo favore. Un altro sito di fondamentale importanza è stato bleedingedge.pynchonwiki.com, specie per alcuni rife- rimenti alla cultura americana, altrimenti quasi impossibili da cogliere, almeno per me. Eventuali altre fonti sono citate al termine della voce. Sono ovviamente a disposizione degli eventuali aventi diritto per correggere citazioni non corrette o fonti che non mi è stato possibile individuare. Il livello di dettaglio nella descrizione delle voci è generalmente arbitrario, anche se ho cercato, come regola gene- rale, di limitare l’orizzonte temporale di riferimento al periodo in cui è ambientato il romanzo o alla data di pub- blicazione, cercando di non perdermi in tutti i meandri dei possibili riferimenti secondari. Nonostante l’attenzione posta nella correzione del testo, sono certo che contenga ancora errori o refusi. Per questo sono graditi suggerimenti e segnalazioni per correggere, migliorare o completare le voci, specie quelle per le quali non ho trovato riscontri. Nel caso è possibile utilizzare la funzione “commenti” di questa pagina o il mio profilo twitter @SabatelliPino (il riferimento è l’edizione Einaudi del 2014). Prima di chiudere desidero ringraziare Stefano Jugo, senza il cui amichevole supporto questa guida sarebbe stata molto diversa, e peggiore. Lui sa. Pino Sabatelli PS: Provate a pensare a qualcosa di incredibile, improbabile, assurdo, qualunque cosa. Sappiate che nei Simpson è già successa. I Thomas non abita più qui. “La cresta dell’onda” di Thomas Pynchon “L’arcobaleno della gravità è un grande libro, ma in linea di massima Pynchon mi dà sui nervi e secondo me il modo in cui affronta diverse cose è abbastanza su- perficiale, a dirla tutta.” David Foster Wallace[1,2] Sinossi (sic!): New York, 2001, nel breve intervallo tra il crollo delle società dot-com e l’11 settembre. Maxine Tarnow, sepa- rata, due figli da crescere, ha una piccola agenzia di investigazioni a Manhattan, specializzata in frodi. Da quando le hanno tolto la licenza può permettersi di fare il mestiere come più le aggrada, girando con una Beretta, frequentando un mondo ai margini della legalità, dedicandosi a piccole operazioni di hackeraggio. Mentre indaga su una società specializzata in servizi di sicurezza informatici e sul suo direttore, uno stravagante miliardario che si è arricchito con la bolla speculativa di fine millennio, Maxine si imbatte in una serie di delitti, e in una realtà sotterranea fatta di spacciatori che viaggiano su barche a motore in stile art déco, nostalgici hitleriani, liberisti sfegatati, mafiosi russi, blogger, imprenditori. Un mondo che, come sempre nei romanzi di Pynchon, è tanto più vero e vicino a noi quanto più sembra solo il frutto della sua sfrenata e geniale fantasia. Diciamo la verità: se il libro di cui stiamo parlando non fosse firmato dallo scrittore che grazie, o malgrado, la sua invisibilità, è assurto a ossimorica icona del postmodernismo[3], probabilmente non ne staremmo parlando. Perché è un libro davvero modesto. Qualcuno penserà: “Ma chi crede di essere questo qui? Parlare così di Pynchon!”. È proprio questo il punto: si sta parlando di Pynchon, cazzo! Di quello che ha scritto L’arcobaleno della gravità, mica L’alchimista! Mi spiace ma, in barba a glassatori editoriali, recensori cerchiobottisti, funamboli dell’aggettivo e stroncatori omeopatici, non sono disposto a riconoscere diritti acquisiti ad alcuno e sono sempre stato allergico a qualsiasi ipse dixit. Chi ha letto il vero[4] Pynchon non può, impunemente, essere trattato come un lettore medio[5] qualsiasi, soprattutto se a farlo è lo stesso Pynchon! Partiamo dal titolo italiano. Approvato o meno che sia stato dall’Autore, non riesco a trovare alcun nesso plausibile che conduca da Bleeding Edge a La cresta dell’onda, e nessuna ragione accettabile per non lasciare il titolo originale. Anche avendo come riferimento editoriale il lettore che si è avvicinato a Pynchon solo grazie a Vizio di forma[6], e ipotizzando quindi una scarsa dimestichezza a compulsare enciclopedie (cartacee e virtuali) alla ricerca di riscon- tri alla messe di riferimenti con cui il Nostro dissemina le proprie narrazioni, basta arrivare a pagina 97 per trovare una definizione precisa del termine: “È quella che chiamano tecnologia bleeding edge […]. Cioè ad alto rischio e senza dimostrata utilità, qualcosa che va a genio solo ai fanatici dell’utenza precoce”. Non era sufficiente? Ma la modestia del libro, ovviamente, ha ben altre ragioni. Innanzitutto la sensazione che stavolta Pynchon sia in ritardo sul mondo che descrive. Non ne deriva quindi lo straniamento stupito che ha colto chiunque abbia frequen- tato la Zona, Peenemunde o La Valletta[7], ma solo uno stanco déjà vu reso ulteriormente stucchevole da una di- screta, e sorprendente, grossolanità e approssimazione di fondo. A cominciare, ad esempio, dalla descrizione del deep web[8], del tutto fuori sincrono rispetto all’attualità. Qualcuno potrebbe obiettare: “Ma la storia è ambientata nel 2001!”. Al che io risponderei che questa non è un’attenuante, e proprio perché stiamo parlando di Thomas Pynchon, cioè di uno che negli anni settanta ha descritto la Seconda Guerra Mondiale in un modo che sarà stupe- facente anche fra un secolo. E DeepArcher, cosa dovrebbe o vorrebbe essere? Una versione di The Sims sotto acidi? Un cenotafio collettivo? Francamente interessa fino a un certo punto capirlo, perché i mondi virtuali creati per gli attuali videogiochi, uniti alle infinite possibilità di giocabilità online a livello planetario hanno, di fatto, superato di molto la realtà descritta da Pynchon, anche in termini di paranoia, angoscia e alienazione. Per non parlare dell’11 settembre… Questo sarebbe “il vero romanzo sull’11 settembre”? Ma non scherziamo! Dal “padre” della paranoia letteraria e dalla “madre” di tutti i complotti, mi aspetto il colpo di genio, il ribaltamento della prospettiva, lo spiazzamento, non Giulietto Chiesa! II Ma le banalità non si fermano qui, purtroppo. Anche le considerazioni del Nostro su Internet[9], sul capitalismo[10], sul mercato[11], sulla politica americana[12], sul fondamentalismo islamico[13], lasciano basiti per prevedibilità, scon- tatezza, fiacchezza inventiva. Ripeto: questo dovrebbe essere Pynchon, mica un biscotto della fortuna! Cosa rimane allora? Gli effetti speciali di un abilissimo illusionista[14] che però, senza un’idea forte e l’energia vitale sufficiente, diventano fatua espressione di un virtuosismo tecnico solipsistico[15]. Il mio amato DFW, a proposito degli innovatori diceva che: “…dopo i pionieri vengono sempre i giramanovella”. Ecco, temo proprio che Pynchon sia diventato il giramanovella di se stesso. E su questo non ho altro da dire. #fallabreve: al di là del bello e del brutto. “La cresta dell’onda” di Thomas Pynchon Einaudi 2014 (2013) Traduzione di Massimo Bocchiola pp. 567 € 21,00 [1] Il VUC (Vostro Umilissimo Critico) dichiara apertamente ai suoi venticinque lettori che sta attraversando una fase di vera e propria dipen- denza da David Foster Wallace (di seguito DFW), come risulterà evidente dalla struttura di questo post. [2] Di carne e di nulla, di DFW, Einaudi 2013, pag. 233. [3] Su cosa sia il postmodernismo, mi permetto di citare la definizione di Bruce Handy: “Fondamentalmente, il postmodernismo è qualunque cosa vogliate che sia, solo che lo vogliate abbastanza”(Spy, aprile 1988), riportata ne: Il rap spiegato ai bianchi, di DFW e Mark Costello (Mini- mum Fax 2014, pag. 154, nota 3). [4] Pur risultando evidente che qualsiasi mia affermazione su quale sia o meno il “vero” Pynchon possa sembrare opinabile, autoreferenziale e vagamente arrogante (e lo sia, in effetti), ritengo tuttavia che in tale definizione rientrino le seguenti opere del Nostro (fra parentesi la data di prima pubblicazione): i racconti della raccolta Entropia/Un lento apprendistato(1988, ma scritti a partire dai primi anni sessanta); V. (1963); L’incanto del lotto 49 (1966); L’arcobaleno della gravità, ritenuto unanimemente il suo capolavoro (1973); Vineland (1984); Mason & Dixon (1997) e Contro il giorno (2006). Io delle opere citate, ho letto le prime cinque. [5] Intendendo con tale termine “una specie di sineddoche per «persone che leggono principalmente per distrarsi o divertirsi»”, come specifi- cato in Di carne e di nulla, di DFW (Einaudi 2013, pag.