Si Credeva Ancora Nei Viaggi». Paesaggi in Guido Piovene E Gianni Celati

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Si Credeva Ancora Nei Viaggi». Paesaggi in Guido Piovene E Gianni Celati Scuola Dottorale di Ateneo Graduate School Dottorato di ricerca in Italianistica Ciclo XXIX Anno di discussione 2017 «Si credeva ancora nei viaggi». Paesaggi in Guido Piovene e Gianni Celati Settore scientifico disciplinare di afferenza: L-FIL-LET/11 LETTERATURA ITALIANA CONTEMPORANEA Tesi di Dottorato di Arpioni Maria Pia, matricola 831663 Coordinatore del Dottorato Supervisore del Dottorando Prof. Tiziano Zanato Prof.ssa Silvana Tamiozzo “Per un attimo il tempo si ferma, e la cosa banale te la senti nel cuore come se il prima e il dopo non esistessero più.” C. Pavese, Le Muse A Carlo 2 INDICE PROVVISORIO [sono evidenziate in giallo le parti in fase avanzata di stesura] Indice p. 3 Stato del lavoro p. 5 Introduzione p. 6 Capitolo I Paesaggi americani in Guido Piovene p. 21 1.1 Nuove partenze p. 21 1.2 «Diventare narratore del mondo»: le svolte “americane” di p. 27 Piovene e Celati 1.3 Viaggiare, «un atto d’umiltà» p. 35 1.4 «Visione dell'America» come «visione di spazi» p. 38 1.5 «La speciale bellezza» di New York, fra natura e cultura p. 41 1.6 Città come «macchine», strade «come tentacoli» p. 48 1.7 Los Angeles, «modello» di città «nebulosa» e «centrifuga» p. 61 1.8 L’America, Undici anni dopo p. 65 1.9 «Il technicolor qui è natura» p. 77 1.10 Il “paesaggio” degli anni Sessanta e Settanta p. 82 Capitolo II L’America di Gianni Celati p. 85 2.1 Lo “sbarco” e il racconto come “visione” di paesaggi p. 85 2.2 Los Angeles: l’America come “luogo mentale” p. 94 2.3 Luoghi e colori p. 104 2.4 L’essere umano, essere animale p. 107 2.5 Da Los Angeles a Bollate p. 109 2.6 Macchine, speculazione edilizia e luoghi “speciali” p. 114 Capitolo III Paesaggi italiani: la “nazione di carta” di Guido Piovene p. 118 3.1 Il Veneto di Piovene: un paesaggio “materno” p. 118 3.2 Italia (1955): la natura come arte p. 128 3.3 Il problema demografico p. 136 3.4 Il Viaggio in Italia e la sua attualità p. 139 3.5 Il Grand Tour e l’«inventario» p. 146 3 3.6 La “prospettiva” necessaria p. 152 3.7 Il Nord Italia «nelle luci di temporale di una civiltà che muta» p. 156 3.7.1 Dal senso del luogo allo spaesamento p. 156 3.7.2 Tra le rovine dell’antico e i simulacri del nuovo p. 158 3.7.3 Le zone della grande bonifica p. 148 3.7.4 L’altro polo: Milano, l’America 3.8 Alberi, lune e stelle Capitolo IV Il “paese che crolla” di Gianni Celati 4.1 «Quello che cammina»: Verso la foce 4.2 Un nuovo genere. I Narratori delle pianure 4.3 Cinema all’aperto. I film-documentari di Gianni Celati 4.4 Versi e paesaggio. Il Parco dell’Ariosto e del Boiardo 4.5 Uomini-albero Conclusioni Bibliografia 4 STATO DEL LAVORO Il presente lavoro si compone di una introduzione seguita da quattro capitoli e dalle conclusioni. I capitoli sono raggruppabili in due parti: i primi due sono infatti dedicati alle rappresentazioni dei paesaggi americani in alcuni testi di Guido Piovene e Gianni Celati (in particolare, rispettivamente, nel De America e in quattro novelle appartenenti alle raccolte Narratori delle pianure e Cinema naturale), gli altri due prendono in esame le visioni del territorio italiano in opere diverse di questi scrittori (su tutte, Viaggio in Italia e Verso la foce). Mentre la prima sezione è proposta in una versione definitiva, la seconda manca di alcune parti che sono tuttavia in fase avanzata di stesura. In esse prevedo di fornire un’analisi più estesa e ravvicinata del reportage italiano di Piovene e di occuparmi dei documentari e testi celatiani di ambientazione italiana. 5 INTRODUZIONE Il paesaggio fra materiale e immaginario dal secondo dopoguerra ai giorni nostri. Alcune note sul metodo Non si troverà sulla carta Croveo. Guido Piovene, Viaggio in Italia Ogni interpretazione è sospesa per aria e niente potrà mai ricondurla a terra. Gianni Celati, Commento su un teatro naturale delle immagini Nell’epoca dell’«onnipaesaggio», forse non si sentiva né la mancanza né tantomeno l’esigenza di un approfondimento critico dedicato alle rappresentazioni letterarie del paesaggio.1 Tuttavia, a dispetto dei periodici allarmi sulla crisi delle discipline umanistiche, una funzione cognitiva e sociale delle opere letterarie e di quegli scritti critici che ne rendono più significativa e perspicua la lettura è stata riconosciuta da studiosi afferenti ad ambiti disciplinari diversi, anche tecnico-scientifici, che a tali opere e scritti hanno fatto ricorso con l’intento di focalizzarsi proprio sulle raffigurazioni del paesaggio. Per quei geografi impegnati attivamente nella difesa del territorio, queste ultime contribuiscono infatti a rendere maggiormente dicibile il significato del paesaggio, a rafforzare le basi culturali che ne contrastano lo scialo.2 Come testimonia l’urbanista Bernardo Secchi, che lungo tutta la sua carriera si è occupato della progettazione concreta dei luoghi del futuro, le immagini letterarie costituiscono una fonte essenziale grazie alla quale ricostruire percezioni, vissuti, immaginari e usi degli abitanti: 1 M. JAKOB, Il paesaggio, tr. di A. Ghersi e M. Jakob, Bologna, il Mulino, 2009, p. 7. 2 Cfr. F. VALLERANI, Italia desnuda. Percorsi di resistenza nel paese del cemento, ed. dig., 2013, pos. 122 [Milano, Unicopli, 2013]. 6 di ciascuna città e territorio ho cercato [...] di conoscere l'attività letteraria. [...] Libri scritti da autori grandi e piccoli, noti ed oscuri che in quella città e in quel territorio avevano vissuto e che quella città o territorio raccontavano. Non solo libri di urbanistica, ma romanzi, poesie, cronache; insomma tutto ciò che veniva scritto e letto in quei luoghi.3 Soprattutto lo studio di scenari complessi e sempre più “invadenti” come quelli urbani sembra richiedere l’utilizzo di strumenti diversi, più raffinati di quelli solitamente adottati dagli specialisti: «una analisi sociologica urbana [...] non poteva affidarsi soltanto alle tecniche più tradizionali per analizzare la città complessa, ma richiedeva una sensibilità poetica e una capacità narrativa propria di scrittori e artisti capaci di perdersi nella città stessa».4 L’idea di “perdersi” nello spazio, fatta propria da antropologi-urbanisti come Franco La Cecla,5 ma anche da scrittori quali Gianni Celati, ben sintetizza i cambiamenti paradigmatici intervenuti di recente nel rapporto fra essere umano e territorio, suggerendone una inedita paradossale caratterizzazione nella forma di una massima vicinanza coincidente con il massimo della distanza. Se dunque, come da più parti si va affermando, l’attuale crisi socio-economica e ambientale non può essere affrontata che in termini culturali, i valori espressi attraverso la scrittura letteraria e quella critica rientrano a pieno titolo nel rinnovamento auspicato. Dal momento inoltre che molti dei nodi irrisolti della situazione italiana si manifestarono a partire dal secondo dopoguerra, è proprio da quel torno d’anni, con qualche necessaria regressione, che ha preso avvio la nostra indagine, concentrandosi prevalentemente su due autori, Guido Piovene e Gianni Celati, le cui immagini paesistiche rivelano non a caso una consapevole “carica” tanto etica quanto estetica. La comparazione fra due autori è sempre operazione fruttuosa, ma mai agevole, soprattutto in riferimento a un tema tanto affascinante quanto sfuggente come il paesaggio, che per sua stessa natura sembra richiedere una molteplicità di sguardi e di approcci. La scelta di queste specifiche figure di scrittori si giustifica con la speciale attenzione da entrambi dedicata alla riflessione sul paesaggio e alla sua 3 B. SECCHI, Tra letteratura ed urbanistica, Pordenone, Giavedoni, 2011, pp. 13-14. Si veda in proposito anche quanto scrive Eugenio Turri: «Poiché tutti si opera all'interno di una società, ogni contributo che riconduca funzionalmente la valutazione del paesaggio alla sua lettura culturale, alla individuazione dei suoi significati, assumerà importanza» (E. TURRI, Introduzione a ID., Il paesaggio come teatro. Dal territorio vissuto al territorio rappresentato, Venezia, Marsilio, 20065 [1998], pp. 11-25, a p. 19). 4 G. NUVOLATI, L'interpretazione dei luoghi. Flânerie come esperienza di vita, Firenze, Firenze University Press, 2013, p. [XI]. 5 F. LA CECLA, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Roma-Bari, Laterza, 20054 [1996]. 7 rappresentazione, da specole affatto differenti e pur tuttavia con punti di tangenza ed esiti talvolta di sorprendente somiglianza. Di estrazione nobiliare, Piovene (Vicenza 1907-Londra 1974) crebbe alla fine della Belle Époque in un ambiente aristocratico, conservatore, colto e prospero, in un contesto familiare povero di affetti e intriso di cattolicesimo sentimentale e moralistico; fu narratore e giornalista di razza, tradizionalista ma sempre disposto a mettere in discussione le proprie idee, intimamente tormentato da una tensione metafisica a volte disperata. Di famiglia proletaria e laica è invece Celati (Sondrio 1937-); nato pochi anni prima dello scoppio del secondo conflitto mondiale, a differenza del primo non vive in prima persona l’atmosfera torbida del Ventennio fascista, è appena ventenne durante gli anni del “miracolo economico” e forma la propria coscienza sociale e politica all’interno delle contraddizioni portate dal declino di quel momento storico. Dotati entrambi di fine intelligenza e originalità artistica, e legati, seppur in fasi e misure diverse, al pensiero e alla cultura francese e a quella americana, si pongono ambedue in atteggiamento dialettico nei confronti della tradizione, sperimentando con modalità e risultati assai differenti, e dissimili gradi di influenza sulle generazioni successive. Per alcuni aspetti la
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