Manifesto Per La Liberazione Dei Saperi
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Manifesto per la Liberazione dei Saperi Liberare i saperi vuol dire cambiare il Mondo Preambolo Hanno imprigionato i saperi. Li hanno ingabbiat. Hanno costruito recint, barriere; hanno cercato di renderli scarsi, compettvi, servi di questo modello economico e fnanziario che ha prodoto solo crisi, fondato sulle diseguaglianze per molt e ricchezza per pochi. I recint sono i processi di privatzzazione, i brevet, la competvità e la precarizzazione per chi produce saperi; le gabbie sono quelle troppo poche risorse spese in ricerca per produrre armi, macchine inquinant, per generare diseguaglianze, per disegnare una società di subalterni alle logiche del pensiero unico: quello dell’economia sopra la società. Il movimento studentesco non può restare fermo di fronte a questo scenario. Costruire un manifesto per la liberazione dei saperi vuol dire pensare, al tempo della crisi, di ristabilire come priorità il rilancio del ruolo dei saperi nella società per costruire un diverso modello di sviluppo. L’accesso alle conoscenze limitato a pochi, i processi di privatzzazione di scuole e università, un nuovo feudalesimo dei saperi legat al mercato del lavoro, la precarizzazione di ricercatori, docent e del mondo della produzione cognitva ci consegnano un modello di società diseguale in cui i saperi sono piegat alla logica della competzione e di una produzione basata sullo sfrutamento delle risorse umane e ambientali. Viviamo scuole e università dove si tende ad insegnare un “pensiero unico” economico, storico, giuridico, dove la conoscenza viene quantfcata, tramite una valutazione ftzia, nella forma dei credit. In questo contesto, la lota delle studentesse e degli student, dei dotorandi, ricercatori e docent, di tuto il mondo della formazione e della produzione sociale dei saperi deve costruire un tessuto largo e nuovo di rifuto dello status quo in cui in quest anni ci hanno condoto politche scellerate di tagli e privatzzazioni. Ma questo non basta. E’ il momento di cominciare a costruire un piano di rilancio del valore pubblico dei saperi e della loro natura pubblica e slegata dalle logiche del modello economico e produtvo. Si trata di una lota d'atacco capace di ripubblicizzare scuole e università, svuotat dalla loro natura pubblica e dat in pasto ai privat con la politca di tagli e dequalifcazione dei processi formatvi. Vogliamo che il sapere torni ad essere il luogo e il tempo dell’emancipazione colletva, che la produzione cognitva, la ricerca, la creazione di pensiero sia costruita atorno ad un modello di società che rifut la guerra, lo sfrutamento ambientale e che meta al centro la libertà come valore colletvo basata sulla giustzia sociale e l’eguaglianza sostanziale per tute e tut. Liberare i saperi signifca lotare per costruire uguaglianza sociale e di genere, liberando le diversità di genere, di capacità, di pensiero, vuol dire pensare ad un nuovo modo di pensare le relazioni, l’economia, la democrazia e la vita. Il Manifesto della liberazione dei saperi, è una forma dinamica e colletva, uno spazio di discussione aperto, con cui vogliamo costruire un dibatto sul valore dei saperi, dei luoghi della formazione, della loro radicale centralità nella trasformazione della società. I saperi sono fruto di un ato cooperatvo e sociale; i saperi sono processi ibridi, informali, ma sopratuto non sono recintabili. Making history. Vent’anni di lote e di buone ragioni Fare la storia di quest vent’anni è metersi in cammino tra le lote dei moviment studenteschi che dagli inizi degli anni ‘90 si sono oppost alle riforme volte a destruturare il ruolo dei saperi e i luoghi della formazione. Il graduale processo di privatzzazione del nostro sistema di formazione ha radici lontane e non solo italiane. Parlare di quest processi vuol dire avere a che fare con i disagi materiali, reali, che le studentesse e gli student in scuole e università, ricercatori e docent precari vivono ogni giorno sulla propria pelle. L’atacco direto al sistema formatvo italiano portato avant dal governo Berlusconi tra il 2008 e il 2011 è il picco massimo del processo di privatzzazione in ato da molt anni. Un processo in fase di consolidamento da parte del Governo atualmente in carica. Il dibatto che si era sviluppato per un'autonomia scolastca e universitaria come spazio di partecipazione e cooperazione tra component scolastche e universitarie, si è trasformato nella testa di ponte per introdurre una mentalità manageriale con il raforzamento dei poteri di Presidi e Retori senza un corrispetvo aumento della democrazia interna ai luoghi della formazione. In scuole e università gemmate e divise le une dalle altre, con la riduzione dei fondi pubblici (che intanto si trasferivano alle struture private) è stato dato il via all'aumento della contribuzione studentesca e dei fondi privat e aziendali. Governance di tpo privatstco e fnanziament privat si sono sovrappost trasformando la natura del pubblico. Mentre tra gli anni '70 e '90 si voleva trasformare il pubblico statalista e centralista in un pubblico partecipato e democratco ci siamo ritrovat, nel terzo millennio, con un pubblico privatzzato. Dopo l’ingresso di sogget esterni, principalmente privat, nei luoghi decisionali delle università, sono arrivat tagli e proget di legge, come quello della Gelmini, che hanno devastato completamente il mondo della formazione permetendo alle aziende e alle fondazioni di entrare nelle scuole. L’ingresso dei privat non corrisponde soltanto alla possibilità di quest di condizionare la didatca, ma di aumentare considerevolmente il costo dell’istruzione, scaricandola tuta sulle famiglie e spacciando la scuola o la facoltà per eccellenza. In questo modo si aumenta considerevolmente il peso delle famiglie nei bilanci delle scuole determinando un processo di esclusione all’accesso ai luoghi della formazione. E’ questa la logica del contributo volontario sperimentato nelle scuole o ancora il modello di tassazione e contribuzione universitaria. Un modello che sostanzialmente individualizza e privatzza il costo dell’istruzione, come se i benefci e le ricadute derivant da una maggiore conoscenza e consapevolezza fossero meramente un benefcio di chi accede al percorso formatvo e non dell’intera colletvità, acuendo quelle distanze e disuguaglianze sociali sempre più present nel nostro paese. Il dirito universale all'istruzione è stato trasformato in un servizio individuale. Questo processo vive dentro le logiche dei processi internazionali dell’istruzione pubblica, che hanno portato gli student e le studentesse a scendere in piazza negli ultmi anni. Le politche liberiste internazionali ed europee, tramite i G.A.T.S. e la Diretva Bolkestein, meccanismi di sdoganamento dell’omogeneizzazione dei processi di privatzzazione dei servizi essenziali (e quindi della formazione), ci consegnano un’Europa devastata da un aumento drammatco della tassazione scolastca e universitaria in alcuni paesi, in altri lo smantellamento dei sistemi del dirito allo studio, in tut l’ingresso nelle scuole e nelle università dei privat, delle imprese e in generale delle logiche della gestone aziendale mirata al profto. Dentro questo sistema il sapere vive un processo di mercifcazione. La conoscenza prodota diviene una merce, scarsa e poco accessibile, recintata da brevet, precarizzata da forme di lavoro instabili e senza tutele. Il sapere è libero o non è La conoscenza come merce: su questo si gioca molto del futuro non solo dei luoghi della formazione, ma della società nel suo complesso. Sempre più lo sviluppo di saperi e la loro messa a valore diventano una leva per produrre proft e per massimizzare la produzione o la vendita delle merci. Per questa ragione la conoscenza diviene un bene da recintare, uno spazio rispeto al quale operare meccanismi di esclusione. Parcellizzazione dei saperi, numeri chiusi negli atenei, cost sempre più elevat di accesso ai consumi culturali, abbassamento vertcale del livello dei nostri luoghi formazione, privatzzazione delle scuole e delle università, sono tute conseguenze del tentatvo di trasformare la conoscenza in uno strumento in mano a pochi e al servizio degli interessi di qualcuno. E in nessun altro campo gli interessi dei pochi si contrappongono a quelli generali come nell’ambito del sapere, che per la sua natura è danneggiato esso stesso da qualunque genere di recinzione gli venga applicata: la conoscenza è infat cooperazione, produzione ampia di possibilità diferent e molteplici; sviluppare saperi signifca percorrere numerose strade diferent per individuare le soluzioni migliori o di maggiore interesse, necessità di impiegare le risorse più ampie possibili e accedere alle produzioni altrui per migliorarle o meterle in discussione; la produzione intelletuale deve avvenire in contest apert e retcolari e nutrirsi delle molteplici forze in campo. Tute queste esigenze si contrappongono in modo neto all’obietvo, manifestato negli anni da parte di chi muove le leve dell’economia e perseguito troppo spesso dalla politca, fare del sapere un bene scarso e direto esclusivamente a fni specifci e ben delineat. E proprio a questo tentatvo si riducono due delle strategie messe in campo in maniera massiccia negli ultmi: il progeto di rendere in sapere un bene scarso e quello di privatzzare i luoghi della formazione. Nessuno di quest due element può essere accetabile. Anzituto perché la conoscenza è un elemento caraterizzato dalla sua tendenza a moltplicarsi e a scavalcare contnuamente le barriere e le recinzioni, tanto più in un’epoca storica nella quale la tecnologia ha consentto di rendere replicabile