Andrea Chénier

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Andrea Chénier Andrea Chénier La Fenice prima dell’Opera 2002-2003 6 FONDAZIONE TEATRO LA FENICE DI VENEZIA Andrea Chénier dramma di ambiente storico in quattro quadri libretto di Luigi Illica musica di Umberto Giordano PalaFenice sabato 19 aprile 2003 ore 20.00 turni A-L martedì 22 aprile 2003 ore 20.00 turni D-O giovedì 24 aprile 2003 ore 20.00 turni E-F-P-T domenica 27 aprile 2003 ore 15.30 turni B-M martedì 29 aprile 2003 ore 17.00 turni C-G-N-S-U Gaetano Esposito (1858-1911). Ritratto di Umberto Giordano. Olio su tela, 1896 (Napoli, Conservatorio di San Pietro a Majella). Sommario 7 La locandina 9 «Allons, enfants de la Patrie!» di Michele Girardi 11 Andrea Chénier, libretto e guida all’opera a cura di Giorgio Pagannone 73 Andrea Chénier in breve a cura di Gianni Ruffin 75 Argomento – Argument – Synopsis – Handlung 81 Marco Emanuele «Son donna e son curiosa» e non so nemmeno cantare: maschile e femminile in Andrea Chénier 103 Giovanni Guanti Andrea Chénier, o la carriera di un girondino 123 Cecilia Palandri Bibliografia 129 Online: Revisionismo all’opera a cura di Roberto Campanella 137 Umberto Giordano a cura di Mirko Schipilliti 143 Andrea Chénier a Venezia (1961-2003) Locandina della prima rappresentazione di Andrea Chénier. Andrea Chénier dramma di ambiente storico in quattro quadri libretto di Luigi Illica musica di Umberto Giordano Casa Musicale Sonzogno di Piero Ostali, Milano personaggi ed interpreti Andrea Chénier Fabio Armiliato Carlo Gérard Alberto Gazale Maddalena di Coigny Daniela Dessì La mulatta Bersi Rossana Rinaldi Madelon Olga Alexandrova La contessa di Coigny Marta Moretto Roucher Cesare Lana Il Romanziero (Pietro Fléville) Armando Gabba Fouquier Tinville Franco Boscolo Il sanculotto Mathieu Paolo Orecchia Un «Incredibile» Luca Casalin L’Abate Mauro Buffoli Schmidt Andrea Snarski Il maestro di casa Emanuele Pedrini Dumas Renzo Stevanato maestro concertatore e direttore Paolo Olmi regia, scene e costumi Ivan Stefanutti coreografia Fausta Mazzucchelli light designer Vilmo Furian Orchestra e Coro del Teatro La Fenice direttore del Coro Piero Monti allestimento Teatro Regio di Parma e Teatro Vincenzo Bellini di Catania 8 LA LOCANDINA Corpo di ballo Simona Fioravanti, Elisa Carli, Margherita Longato, Anna Maria Bruzzese, Pietra Piccione, Maggiolen Uscotti, Barbara Pessina, Francesca Thian, Fabio Bellitti, Edoardo Comis, Luciano Firi, Alessandro Mathis direttore musicale di palcoscenico Giuseppe Marotta direttore di palcoscenico Paolo Cucchi responsabile allestimenti scenici Massimo Checchetto maestro di sala Stefano Gibellato aiuto maestro del coro Ulisse Trabacchin altro direttore di palcoscenico Lorenzo Zanoni assistente regista Elisabetta Marini assistente scenografo-costumista Francesca Laurino maestri di palcoscenico Silvano Zabeo, Maria Cristina Vavolo, Raffaele Centurioni, maestro rammentatore Pierpaolo Gastaldello maestro alle luci Ilaria Maccacaro responsabile macchinisti Vitaliano Bonicelli capo elettricista Vilmo Furian capo attrezzista Roberto Fiori capo sarta Rosalba Filieri responsabile della falegnameria Adamo Padovan coordinatore figuranti Claudio Colombini costumi Sartoria DIVA (Milano) calzature CTC (Milano) attrezzeria Rancati (Milano) parrucche Mario Audello (Torino) sopratitoli Studio GR (Venezia) «Allons, enfants de la Patrie!» Troppe rivoluzioni, di per sé legittimate da situazioni estreme di oppressione, sono dege- nerate in ‘regime’, e quella francese, madre di tutte le rivoluzioni moderne, non fa ecce- zione. Ma le funebri carrette, che caricano condannati di ogni ceto per portarli alla ghi- gliottina, non costituiscono un problema per il poeta Andrea Chénier e l’aristocratica Maddalena de Coigny, fidanzati con la morte. Al contrario: piombando sul loro collo la lama li unirà per sempre. Maddalena non è la prima eroina del melodramma che s’immola volontariamente per di- videre la sorte del proprio uomo: l’indimenticabile Aida si era nascosta nella tomba desti- nata a richiudersi su Radames, condannato a morire per consunzione. «T’aveva il cielo per l’amor creata / ed io ti uccido per averti amata», canta dolcemente il tenore verdiano, per poi ribellarsi alla sorte nell’udire il canto dei sacerdoti che segna la fine per entrambi («Né le mie forti braccia / smuovere ti potranno o fatal pietra»). Mentre gli amanti in basso (la scena è ripartita su due piani orizzontali) sussurrano il loro addio alla vita, Amneris, l’anta- gonista, resta sola in alto tra gl’incensi, a invocare una pace utopica. Anche per Andrea e Maddalena la morte è l’unico modo per realizzare una felicità amorosa, negata dall’interesse degli uomini di potere; salgono sulla carretta radiosi, can- tando «La nostra morte è il trionfo dell’amore». Le regole del tragico si capovolgono e la morte diventa paradossalmente l’unico lieto fine concesso, mentre noi ci chiediamo dove siano finite le aspirazioni alla giustizia sociale che il giovane poeta aveva pur sfoggiato nel- l’Improvviso, franate sotto il peso dell’Amore – «Eterna Canzone!» secondo Gérard. Ci domandiamo poi perché si passi così repentinamente dal palazzo d’aristocratici dell’ini- zio, dove i servi vengono duramente oppressi, a una piazza dove si sono trasformati in carnefici sanguinari (e così rimarranno sino ai fumi del tribunale rivoluzionario e agli squallori del carcere). Nonostante l’ellissi temporale – cinque anni separano i primi due quadri (1789 e 1794) – le due situazioni vengono recepite dal pubblico in giustapposizio- ne immediata, tradendo un giudizio negativo sulla Rivoluzione Francese, che si lascia fa- cilmente estendere a ogni momento in cui le classi sottomesse si ribellino a una mole in- sopportabile di ingiustizie. Tuttavia la situazione politica dipinta nell’Andrea Chénier finisce per essere, nelle ma- ni di Giordano, solo un pretesto per una storia d’amore a tutto campo, pregna di roman- ticismo anche nel senso della rinuncia agli aspetti più materiali del sentimento (ancora un a due significativo dal carcere: «Il nostro è amore d’anime!»). Se il compositore non ma- nifestava posizioni politiche particolari (fu però Accademico d’Italia dal 1929, e certo non sgradito al regime), così non era per Luigi Illica, la cui produzione letteraria e drammati- ca era sostenuta da un credo sociale perlomeno ambiguo, di taglio anarchico-populista. Adorava il grande affresco storico à la Sardou – e si pensi al Cristoforo Colombo per Franchetti (1892) piuttosto che alla riduzione della Tosca per Puccini –, ma non l’utiliz- zava per sviluppare grandi temi di libertà e giustizia sociale, quanto come mero sfondo. Tuttavia i suoi libretti sono la manifestazione di un istinto teatrale innato, che fornisce al 10 MICHELE GIRARDI compositore soluzioni innovative, mentre le sue didascalie sono talmente erudite e esube- ranti da potersi paragonare quasi a una sorta di libro di regìa. Anche per questo abbiamo scelto di pubblicare la versione originale del libretto, che è molto diversa dal testo canta- to. Come spiega Giorgio Pagannone, autore della Guida all’ascolto, «è anche dal con- fronto, e dal contrasto, tra musica e libretto che si può spiegare la drammaturgia dell’o- pera.» (p. 13): intento che egli persegue, tra gli altri, cogliendo risultati che aprono nuove prospettive critiche agli studi sul cosiddetto ‘Verismo’ (si veda, per fare un caso, la scelta di distinguere le sequenze sceniche come parametro d’appoggio all’analisi). I versi omessi dal compositore a fini musicali (virgolettati dal curatore, perché si possa ben distinguere il testo intonato) sono moltissimi, tanto che sovente l’impianto metrico originale risulta sconvolto – e basti leggere in appendice (pp. 64-68) quel che accade all’Improvviso origi- nale, o alla «Grande scena finale» tra i due amanti. Tra i versi virgolettati si trova pure l’annuncio dell’arrivo degli ospiti da parte del maestro di casa e del maggiordomo, nel pri- mo quadro (p. 23), uno dei tòpoi vincenti di Illica, sperimentato tre anni prima con la sce- na dell’appello delle prostitute nella Manon Lescaut: evidentemente Giordano voleva evi- tare ogni possibile ‘parentela’ con Puccini. Marco Emanuele, invece, indaga con finezza un aspetto decisamente nuovo: come si costituiscono i principi del maschile e del femminile nell’opera verista? Il risultato ci con- sente di lasciare alle spalle i soliti luoghi comuni, primo fra tutti che questo repertorio, per sete di ‘verità’, esibisca valori ‘atletici’ nel canto ad ogni costo. Il maschio protagonista contagia con toni da orazione gli altri personaggi a cominciare dalla donna, che assume gradatamente la sua prospettiva. Emanuele giunge a questa conclusione (p. 102): La storia di Giordano è la storia dell’impossibilità del canto ‘alto’ nell’opera moderna, in cui i personaggi non contagiati possono a malapena declamare su un motivo melodico ben squadra- to in orchestra, costeggiarlo a tratti, ma sempre in maniera subordinata, e più spesso sono con- finati al recitativo, al grido disarticolato (la folla), alla dimensione dimessa di un frammento me- lodico che muore sul nascere (le mercatine), al canto fasullo di secondo grado (le pastorelle), al canto popolare rivoluzionario che se è in bocca a Mathieu è proprio in bocca a tutti. Giovanni Guanti, trattando del personaggio-Chénier tra storia e invenzione, traccia un quadro efficace dell’espressione del genere ‘dramma storico’, rintracciando lucidamente i precedenti dello Chénier come pièce à sauvetage, ma a rovescio, e confrontandone in par- ticolare gli esiti con i grandi affreschi verdiani dedicati al potere. Il nostro Caronte informatico, Roberto Campanella, dal canto suo, punta il dito sui «so- stenitori di un ritorno all’ordine», che dipinsero i rivoluzionari «alla stregua di spietati as- sassini», mentre essi agirono «pur sempre nel nobile tentativo di smantellare un sistema di potere disumano, che si era retto per secoli sul privilegio di pochi e su indicibili sofferenze di molti» (p. 129). Concordo con la sua opinione, anche quando sostiene che Giordano va- da annoverato tra i «sostenitori dell’ordine»: non mi sembra affatto credibile lo Chénier fu- stigatore, che soccombendo si erge a giudice di un evento più grande di lui, la Rivoluzione; né mi convince il suo coinvolgimento nella lotta («Sì, fui soldato»).
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